Dispense storiche sul bilancio - "PARTHENOPE"

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Dispense storiche sul bilancio - "PARTHENOPE"
IL BILANCIO DI ESERCIZIO.
PROFILI STORICI ED EVOLUTIVI
Dispensa a cura del Prof. Stefano Coronella
1. Le origini del bilancio.
Attribuire un’origine certa ed inconfutabile al “bilancio” è pressoché impossibile. Anzitutto
perché nell’ambito della ricerca non si riesce a disporre di materiale originale e fonti dirette. Inoltre,
poiché il termine “bilancio” può assumere diversi significati a seconda dell’oggetto di osservazione
e dei contenuti e delle forme che ad esso si associano.
Ciò posto, è innegabile che il bilancio, così come la contabilità, ancorché in forma
estremamente rudimentale, risale ai tempi antichi.
Invero, l’uomo ha sempre sentito l’esigenza di “tenere di conto”, quindi di poter percepire
l’entità del proprio “patrimonio”.
Ciò, a maggior ragione, quando cominciarono a sorgere, già a i primordi dell’umanità, le prime
attività artigianali, proto-industriali e commerciali.
Valide testimonianze in merito si riscontrano presso tutti i popoli antichi: babilonesi, egiziani,
ebrei, fenici, greci, romani, ecc..
Tuttavia, solo con la forte espansione dei commerci e la nascita delle aziende “moderne” la
contabilità ed il bilancio si sono maggiormente strutturati, assumendo sempre più importanza nel
tempo.
È quindi nell’alto medioevo che si cominciano ed effettuare le registrazioni contabili in partita
doppia e a formare i primi articolati rendiconti di carattere patrimoniale: erano gli stessi mercanti gli
abili esperti dell’arte contabile.
Non a caso, i primi, documentati esempi di “bilanci” come saldi di conti di scrittura doppia
giunti fino a noi risalgono appunto al XIII-XIV secolo.
Con lo sviluppo della stampa le conoscenze tecnico-contabili cominciarono ad essere diffuse,
grazie alle opere di numerosi autori, già a partire dal XV secolo.
Tuttavia, nella concezione originaria, il bilancio era visto come un semplice bilancio di verifica
(“bilancio del libro”) o poco di più.
Dalla prima opera a stampa del Pacioli a tutto il secolo XVI, infatti, i trattati di contabilità (fra i
quali ricordiamo principalmente quelli di Giovanni Antonio Tagliente, Domenico Manzoni, Alvise
Casanova), si limitavano a spiegare l’operazione di chiusura dei conti di un mastro ed il
conseguente riporto a nuovo.
Il primo Autore ad illustrare il bilancio come qualcosa in più di un semplice saldo dei conti del
mastro è Lodovico Flori. Egli illustra infatti nel dettaglio come si debba procedere agli assestamenti
dei conti ed al loro epilogo in modo da determinare un risultato economico dell’esercizio. Inoltre,
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presenta il “bilancio del libro” come uno strumento per vedere distintamente e con chiarezza “lo
stato delle cose”.
In questo senso, il bilancio comincia ad assumere la fisionomia ed il significato “moderno” di
strumento necessario ad un’amministrazione – pubblica o privata che sia – per sintetizzare tutta la
vita e la storia dell’azienda in un determinato periodo di tempo.
E comunque, il bilancio restò per lungo tempo una necessità che si poneva agli imprenditori e
non un obbligo legale.
Sotto questo profilo, fu il ministro francese Colbert nel 1673 ad introdurre per primo l’obbligo di
redazione del bilancio di esercizio.
La sua Ordonnance de commerce imponeva ad ogni commerciante la redazione dell’inventario
con cadenza biennale. Come si comprende, questa normativa rappresenta la prima tappa verso la
promulgazione di specifici provvedimenti normativi in materia di bilancio.
Alle disposizioni dell’Ordonnance de commerce non fece seguito alcunché per oltre un secolo
fino al Codice di commercio francese del 1807, su cui si basarono le legislazioni commerciali
italiane e di numerosi altri paesi.
L’influenza francese in Italia continuò per tutto il secolo, tant’è che il primo codice di
commercio dell’Italia unita (1882) risulta ancora molto aderente a quello francese del 1807 il quale,
con riferimento al bilancio, era piuttosto lacunoso.
E ciò, nonostante altre legislazioni dell’epoca, principalmente quella prussiana e quella svizzera,
fossero decisamente più all’avanguardia in materia.
Occorrerà attendere fino il codice civile del 1942 per avere una normativa (per l’epoca) moderna
e analitica.
Nel 1974, con la legge n° 216, il disposto del codice civile in materia di bilancio venne
ulteriormente integrato, mentre nel 1991, con il recepimento della IV Direttiva CEE mediante il
D.Lgs. n° 127, l’intero quadro normativo venne completamente ridisegnato.
Infine, la riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. n° 6/2003 e provvedimenti connessi) ha
aggiunto altre disposizioni, senza tuttavia alterare il quadro sistematico del D.Lgs. 127/91, agli
articoli del codice civile.
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Scheda di sintesi
L’EVOLUZIONE DEL BILANCIO D’ESERCIZIO
IN ITALIA
Nel nostro Paese, il bilancio di esercizio è stato regolamentato
dalle seguenti norme:
• Codice di Commercio del 1882
• Codice Civile del 1942
• Codice Civile del 1942 integrato con L. 216/74
• Codice Civile del 1942 completamente rinnovato con D.Lgs. 127/91
• Codice Civile del 1942 ulteriormente integrato con D.Lgs. 6/2003 (e
successivi provvedimenti)
2.
Gli scopi del bilancio.
Nel tempo, il bilancio ha assunto un numero sempre maggiore di scopi. Dal semplice
“rendimento di conto”, utile a fini interni per il proprietario o l’amministratore, con l’introduzione
della partita doppia nella tenuta dei libri contabili, esso, pur rimanendo uno strumento prettamente
interno, si è reso indispensabile per determinare la correttezza dei saldi dei conti.
Successivamente, con l’allargarsi dei mercati, lo sviluppo della concorrenza, la percezione
dell’importanza sociale dell’azienda (in una parola, con l’“apertura” dell’azienda verso l’esterno), il
bilancio ha mutato radicalmente la propria finalità, diventando il principale strumento di
informazione aziendale verso tutti i soggetti interessati: non più solo quelli interni, ma anche e
soprattutto quelli esterni, quali finanziatori, fornitori, clienti, associazioni sindacali, fisco, ecc..
Peraltro, come sovente accade, il legislatore ha sempre introdotto con ritardo nell’ordinamento
giuridico le novità elaborate dalla prassi contabile.
Per meglio comprendere quanto appena affermato, è utile illustrare, seppure sinteticamente, il
contenuto delle diverse fonti normative in materia di bilancio che dall’unità d’Italia fino ad oggi si
sono susseguite.
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3. Il codice di commercio del 1882.
Il codice di commercio del 1882 è alquanto lacunoso in materia di bilancio.
Come è stato anticipato, la nostra legislazione in materia commerciale era modellata, per ovvi
motivi, su quella francese, da cui aveva largamente attinto.
In particolare, per quanto concerne il bilancio, si deve fare riferimento a ben pochi articoli,
peraltro fra loro non ben correlati.
In primo luogo, va ricordato l’art. 22, il quale dispone che: “Il commerciante deve fare ogni
anno un inventario dei suoi beni mobili ed immobili e dei suoi debiti e crediti di qualunque natura e
provenienza. L’inventario si chiude col bilancio e col conto dei profitti e delle perdite […]”.
Secondariamente, l’art. 176, il quale, riferendosi in particolare alle società anonime e alle
società in accomandita per azioni, dispone che il bilancio “deve dimostrare con evidenza e verità gli
utili realmente conseguiti e le perdite sofferte” (art. 176, secondo comma).
Si tratta, come si nota agevolmente, di una sorta di “clausola generale”, peraltro imperfetta dato
che di “verità” non si può parlare a causa della presenza di valori congetturati.
Inoltre, dal medesimo devono risultare:
“1° il capitale sociale realmente esistente;
2° la somma dei versamenti effettuati e di quelli in ritardo” (art. 176, primo comma).
L’art. 89, primo comma, n° 6, infine, sempre con riferimento alle società anonime e alle società
in accomandita per azioni, obbligava ad indicare nell’atto costitutivo “le norme colle quali i bilanci
devono essere formati e gli utili calcolati e ripartiti”.
Dal dettato normativo si evince chiaramente che non vi era alcun riferimento a specifici criteri
di valutazione delle singole voci di bilancio.
In linea di principio, pertanto, poteva ritenersi lecita l’adozione di qualsiasi criterio di
valutazione, purché esso risultasse conforme alle disposizioni dello statuto o dell’atto costitutivo1.
Tale disciplina, largamente lacunosa ed imperfetta, lasciava pertanto ampi margini di
discrezionalità agli amministratori.
Superfluo rilevare che la situazione era aggravata da almeno due circostanze:
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la mancanza di organismi di regolamentazione o di statuizione di principi contabili a cui
fare riferimento;
In altri Paesi, invece, alle valutazioni di bilancio è stata prestata molta più attenzione. Il codice di commercio
prussiano, emanato nel 1861, conteneva già alcune prescrizioni sulle valutazioni (in particolare dei crediti e dei debiti).
Tale normativa, tra l’altro, fu a più riprese migliorata nel corso dei decenni successivi. Il codice di commercio svizzero
del 1881 era molto analitico e dettava criteri di valutazione per tutte le principali poste del bilancio. In definitiva,
esisteva una notevole differenza a livello legislativo tra i paesi sotto l’influsso germanico e quelli sotto l’influsso
francese.
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la considerazione del bilancio come uno strumento prettamente “interno” e che quindi
rispondeva ad esigenze e a logiche profondamente diverse da quelle attuali.
Scheda di sintesi
IL CODICE DI COMMERCIO DEL 1882
• Non contiene alcuna disposizione circa le modalità di redazione ed il
contenuto del bilancio
• Contiene una “clausola generale”: il bilancio deve indicare “con evidenza e
verità gli utili conseguiti e le perdite sofferte” (art. 176)
• Inoltre, richiede di evidenziare solo il capitale sociale realmente esistente e la
somma dei versamenti effettuati regolarmente ed in ritardo (art. 176)
4.
Il codice civile del 1942.
Il codice civile del 1942 per la prima volta disciplina analiticamente il contenuto del bilancio di
esercizio.
Viene anzitutto proposta una “clausola generale” più aderente alla realtà, la quale chiede che il
bilancio indichi “con chiarezza e precisione la situazione patrimoniale della società, gli utili
conseguiti e le perdite sofferte” (art. 2423).
Tuttavia, l’informazione richiesta si limita al solo stato patrimoniale (art. 2424), mentre non vi è
alcun riferimento ad altri documenti contabili.
Invero, l’art. 2424 riporta il contenuto dello stato patrimoniale, diviso in due sezioni
contrapposte (“dare” e “avere”), che contenevano, rispettivamente, le attività e le passività più il
netto.
Peraltro, tale schema era da intendersi come meramente orientativo e non obbligatorio o
vincolante.
Non era previsto l’obbligo di redazione e di deposito del conto economico (altresì denominato
conto “profitti e perdite”).
Di conseguenza, le aziende erano solite predisporlo nella configurazione “a risultati lordi”,
ovvero in una forma estremamente sintetica che non lasciava trasparire in che modo il risultato di
esercizio si era formato.
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Nel 1942 vennero però introdotti specifici criteri di valutazione per le singole voci (art. 2425) –
immobilizzazioni, magazzino, titoli, crediti, ecc. – i quali, pur essendo molto generici ed elastici,
vincolavano i compilatori del bilancio a delle norme analitiche di stima.
Inoltre, venne previsto un ulteriore documento – la “relazione degli amministratori” – quale nota
esplicativa al bilancio “contabile” (art. 2423).
Non venne però inserita alcuna norma in merito, tant’è che in assenza di una specifica
regolamentazione le aziende continuarono per anni a redigerla solo come “pro-forma” e con un
contenuto estremamente differenziato.
Scheda di sintesi
IL CODICE CIVILE DEL 1942
• Individua anch’esso una “clausola generale”: il bilancio deve indicare “con
chiarezza e precisione gli utili conseguiti e le perdite sofferte” (art. 2423)
• Per la prima volta si prescrive un determinato contenuto orientativo dello stato
patrimoniale (art. 2424)
• Stabilisce anche taluni criteri di valutazione: per
immobilizzazioni,
partecipazioni, magazzino, crediti, ecc. (art. 2425)
• Si prescrive anche la redazione di un ulteriore documento di carattere
amministrativo-gestionale: la relazione degli amministratori (art. 2423) senza
tuttavia prevederne i contenuti
6.
Il codice civile del 1942 integrato con la legge 216/74.
Con la legge 216/74 il legislatore ha tentato di colmare le lacune mostrate in precedenza e che da
più parti venivano stigmatizzate.
In primo luogo si introdusse pertanto il conto economico (art. 2425 bis), denominato conto
“profitti e perdite”.
Anch’esso, al pari dello stato patrimoniale, era da intendersi come uno schema di riferimento dal
contenuto assolutamente non rigido ma orientativo.
La struttura di tale conto era tipicamente denominata “a costi, ricavi e rimanenze”: era, in altri
termini, diviso di due colonne contrapposte (“dare” e “avere”) che contenevano rispettivamente i
costi (“perdite”) e i ricavi (“profitti”).
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Inoltre, la stessa legge introdusse un allegato esplicativo al bilancio: la relazione degli
amministratori (art. 2429 bis), con funzioni di spiegare il contenuto delle voci di bilancio, fornire
informazioni aggiuntive ed ipotesi sul futuro svolgimento della gestione aziendale.
Scheda di sintesi
IL CODICE CIVILE DEL 1942 INTEGRATO CON
LA LEGGE 216/74
• Si rende finalmente obbligatoria la redazione del conto economico a “costi,
ricavi e rimanenze”, denominato tipicamente “conto dei profitti e delle
perdite”
• Il suo contenuto, come per lo stato patrimoniale, ha carattere orientativo
(art. 2425-bis)
• Viene espressamente regolamentato il contenuto della relazione degli
amministratori (art. 2429-bis)
7.
Il codice civile del 1942 completamente rinnovato con il D.Lgs. 127/91.
Con il D.Lgs. 9 aprile 1991 n° 127 venne data attuazione, con molto ritardo, anche in Italia alla
IV e VII direttiva CEE in materia di conti annuali d’esercizio e consolidati. I primi bilanci
interessati alla nuova disciplina furono quelli chiusi al 31 dicembre 1993.
In particolare, il contenuto della IV direttiva CEE, che regolamentava i bilanci d’esercizio,
confluì, con alcuni ritocchi nel codice civile, riscrivendo completamente il contenuto degli articoli
2423 e seguenti del codice stesso.
Anzitutto, fu definitivamente stabilito che il bilancio si compone di tre documenti fondamentali
ed inscindibili: lo Stato patrimoniale, il Conto economico e la Nota integrativa: documenti contabili
i primi due e documento non contabile il terzo (art. 2423, primo comma). Ad essi deve essere
aggiunto un allegato obbligatorio, rappresentato dalla Relazione sulla gestione (art. 2428).
La “clausola generale” (art. 2423, secondo comma) è stata ulteriormente migliorata, richiedendo
che il bilancio dovesse “essere redatto con chiarezza e […] rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell'esercizio”.
Inoltre, quale “rafforzamento” della clausola generale i commi terzo e quarto dell’art. 2423
hanno introdotto l’obbligo, quando necessario, di fornire informazioni complementari e di derogare
alle disposizioni di legge qualora risultassero incompatibili con la clausola generale stessa.
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L’art. 2423 bis ha fatto poi assurgere a norma di legge alcuni principi statuiti dalla prassi
contabile (e contenuti nei “principi contabili”, sia nazionali che internazionali), quali la prudenza, la
competenza, la continuazione dell’attività, ecc..
Onde consentire una minore discrezionalità di compilazione da parte degli amministratori e
garantire una loro maggiore comparabilità nel tempo e nello spazio, il codice civile ha stabilito che
gli schemi contabili di bilancio – stato patrimoniale e conto economico – avessero un contenuto
obbligatorio e rigido per tutte le categorie di aziende, fatta esclusione per alcune soggette a leggi
speciali (sostanzialmente: banche, enti finanziari ed assicurazioni). Tale rigidità è stemperata solo in
casi specifici e direttamente regolamentati dal codice stesso.
Il contenuto dei criteri di valutazione (art. 2426) non è stato mutato sostanzialmente rispetto alla
previgente formulazione del codice, mentre una radicale trasformazione ha subito la vecchia
Relazione degli amministratori.
Il suo contenuto, infatti, è stato idealmente suddiviso in due parti, affluite in due documenti: la
prima è andata a costituire la Nota integrativa, facente parte integrante del “bilancio” e
regolamentata direttamente dall’art. 2427 ed indirettamente da numerosi articoli del codice civile.
La seconda è invece confluita nella Relazione sulla gestione, disciplinata dall’art. 2428, la quale
non fa parte integrante del bilancio, ma rappresenta un allegato obbligatorio del medesimo.
Infine, è stata introdotta la possibilità di redigere il bilancio in forma “abbreviata” (art. 2435 bis)
ovvero “sintetica” per le aziende “minori”.
Scheda di sintesi
IL CODICE CIVILE DEL 1942 COMPLETAMENTE
RINNOVATO CON IL D.LGS. 127/91
• Contiene una nuova “clausola generale”: “Il bilancio deve essere redatto con
chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell'esercizio” (art. 2423)
• Impone un insieme di principi di redazione (art. 2423-bis)
• Il bilancio è costituito da tre essenziali documenti contabili: stato
patrimoniale, conto economico e nota integrativa (artt. 2424, 2425 e 2427)
• Salvo deroghe ed eccezioni, stabilisce un contenuto rigido e obbligatorio per
lo S.P. ed il C.E. (art. 2423-ter)
• A corredo del bilancio si prescrive la relazione sulla gestione (art. 2428)
• Le aziende minori possono redigere il bilancio in forma “abbreviata”
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8.
Il codice civile del 1942 ulteriormente integrato con il D.Lgs. 6/2003.
Con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n° 6 è stata attuata una profonda riforma del “Diritto delle
Società”, che ha interessato una notevole parte del nostro codice civile.
Per quanto riguarda, in particolare, la sezione dedicata al bilancio, si deve rilevare il
mantenimento della struttura imposta dal D.Lgs. 127/91, salvo l’introduzione di qualche “ritocco”
più o meno importante in alcuni articoli.
La riforma ha lasciato invariata la clausola generale, mentre ha integrato, nell’art. 2423 bis un
ulteriore principio di redazione ed in particolare il principio della “prevalenza della sostanza sulla
forma”.
Sono stati lievemente ritoccati i contenuti degli schemi di Stato patrimoniale (art. 2424) e di
Conto economico (art. 2425), nonché aggiunti alcuni criteri di valutazione all’art. 2426.
È stato inoltre notevolmente integrato il contenuto “diretto” della nota integrativa (art. 2427). Un
successivo provvedimento ha poi aggiunto l’art. 2427 bis riguardante le informazioni da fornire con
riferimento agli “strumenti finanziari derivati”.
È stato ritoccato il contenuto della relazione sulla gestione (art. 2428) e rivisto quello del
bilancio “in forma abbreviata” (art. 2435 bis).
Ma la novità più importante è una questione “di fondo” e riguarda la netta separazione fra il
bilancio “civilistico” e la dichiarazione dei redditi ai fini fiscali.
Invero, prima della citata riforma, nel redigere il bilancio di esercizio l’amministratore era libero
di applicare i criteri civilistici (art. 2426) oppure quelli fiscali (contenuti nel Testo Unico delle
Imposte sui Redditi – T.U.I.R.) nella valutazione delle voci di bilancio.
Con l’introduzione del D.Lgs. 6/2003 nel nostro ordinamento, tale “commistione” non è più
possibile, dovendosi, nella redazione del bilancio, seguire esclusivamente la normativa civilistica.
Le eventuali riprese “fiscali”, in aumento o in diminuzione del reddito civilistico per determinare il
reddito imponibile, devono essere effettuate esclusivamente in sede di dichiarazione dei redditi.
Ne consegue che il reddito scaturente dal bilancio civilistico dovrebbe essere un reddito “puro”,
ovvero non inquinato da convenienze o obblighi indotti dalla normativa tributaria, come invece
spesso accadeva negli esercizi precedenti.
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Scheda di sintesi
IL CODICE CIVILE DEL 1942 ULTERIORMENTE
INTEGRATO CON IL D.LGS. 6/2003
• Ha integrato i principi di redazione (art. 2423-bis)
• Ha ritoccato gli schemi di bilancio: Stato patrimoniale, Conto economico e
Nota integrativa (art. 2424, 2425, 2427)
• Ha ritoccato il contenuto della Relazione sulla gestione (art. 2428)
• Ha sancito la completa separazione tra reddito civile e reddito fiscale
• Ha ritoccato la disciplina del bilancio in forma abbreviata
9.
Le diverse fonti legislative e regolamentari dell’attuale bilancio di esercizio.
Com’è ovvio, la fonte principale di riferimento per la redazione del bilancio civilistico non può
che essere quella normativa, ovvero il codice civile.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il legislatore civilistico ha dettato dei criteri di valutazione
(art. 2426) estremamente elastici.
Ne consegue che, pur nel rispetto della clausola generale, due amministratori diversi possono
giungere a differenti situazioni contabili per rappresentare la medesima dinamica aziendale.
Per questo motivo, nel tempo, specifici organismi hanno elaborato dei principi contabili per ogni
voce di bilancio, i quali sintetizzano la miglior prassi, in modo da orientare le valutazioni degli
amministratori e ridurre il loro grado di discrezionalità.
In Italia, tale compito è stato espletato prima dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
e dei Ragionieri (CNDCR) e successivamente dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC).
I numerosi principi contabili elaborati dagli organismi suddetti sono ormai di fatto considerati
alla stregua di “norma di legge”.
Dal 2005, per effetto dell’introduzione del Regolamento dell’Unione Europea n° 1606 del 19
luglio 2002, le società con titoli quotati in un mercato regolamentato, nonché quelle bancarie e
assicurative, nella redazione del bilancio consolidato devono seguire il dettato dei principi contabili
internazionali elaborati dall’International Accounting Standard Board (IASB) invece di quelli
nazionali. Tale obbligo viene esteso per gli anni successivi anche al bilancio d’esercizio delle
medesime aziende, mentre le altre tipologie di società (tranne quelle che redigono il bilancio in
forma abbreviata) hanno la facoltà di scegliere se continuare ad applicare il principi contabili
nazionali o passare all’impiego di quelli internazionali. Qualora si scelga di passare ai principi
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internazionali non sarà però possibile tornare indietro: ciò al fine di impedire utilizzi indiscriminati
ed abusi legati alle differenze fra le due tipologie di principi.
Le società che redigono il bilancio in forma abbreviata, invece, non possono applicare i principi
contabili internazionali, ma devono quindi rifarsi esclusivamente a quelli nazionali.
Come si comprende, la situazione non è semplice, anche perché mentre alcuni principi –
nazionali ed internazionali – sono molto simili, in qualche caso essi divergono notevolmente e
conducono quindi a risultati estremamente diversi.
A ciò si deve aggiungere l’influenza della normativa tributaria (T.U.I.R.) che, sebbene non debba
più essere utilizzata ai fini della redazione del bilancio civilistico, viene tenuta in considerazione per
la determinazione del reddito fiscale e per la presentazione della dichiarazione dei redditi.
Inoltre, almeno indirettamente, essa continua ad influire sulla redazione del bilancio civilistico.
Infatti, nella determinazione delle imposte da inserire in bilancio occorre distinguere fra le imposte
correnti, imposte anticipate ed imposte differite, le quali si originano, appunto, quando il reddito
civile coincide con quello fiscale, ovvero risulta più basso o più elevato rispetto ad esso.
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