STRATEGIE
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STRATEGIE 1 2 1. La Prada Inside bag, amata da buyer e fashion victim 2. Intreccio giallo Tweety per Bottega Veneta 3. La Kelly II Retourné di Hermès, rivisitazione di un’icona 3 soltanto nel 1967 (il brand francese è stato invece fondato nel 1837, ndr)». In realtà ci sono diversi modi d’intendere l’heritage. «Bernard Arnault (patron di Lvmh, casa madre del marchio Louis Vuitton, nato nel 1854, ndr) sostiene che un marchio con meno di 30 anni di vita non ha un vero heritage», ricorda Salvo Testa. Per altri come Prada - nato nel 1913, ma di fatto esploso alla fne degli anni Ottanta/inizi Novanta, grazie a Miuccia Prada - l’eredità storica è più che altro una «sensazione» a livello di marketing. «In questo caso si deve parlare di modernità e innovazione, quasi di eccesso della trasgressione, dettato dall’ironia, dove il logo non è mai abusato». Dice Tiziana Fausti: «Miuccia Prada è un personaggio straordinario, culturalmente avanzato, che propone collezioni sempre più diffcili da capire, perché colte. Patrizio Bertelli (marito di Miuccia e ceo del Gruppo Prada, ndr) è un grande esperto di accessori, 28 22_09_2015 sa ascoltare i suggerimenti dei buyer. Il trend delle vendite è sempre stato altalenante perché di regola loro “sfdano” il momento». Un’altro marchio che ha le proprie radici negli accessori, Gucci, oggi è sotto la lente del fashion system e al banco di prova delle vendite, con la guida creativa affdata ad Alessandro Michele. «Ho avuto fn da principio una percezione positiva - sostiene Silvia Bini -. Si vende bene in negozio: per esempio, i mocassini/pantofola con il pelo sono andati sold out. Tra l’altro, per scelta del gruppo non saranno più riassortiti. Ho ricominciato a fare vetrine con il marchio, anche perché si sposa bene con il resto della nostra offerta». «Gucci dovrebbe rappresentare la tradizione - ribatte Tiziana Fausti - anche se al momento non è ancora chiaro cosa intenda comunicare. Ma sono convinta che ce la farà». Opinioni contrastanti anche nel caso di Valentino, marchio classe 1957, dal 2008 disegnato da Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli. «Le linee e i colori degli abiti Valentino osserva Patrizia Arienti - sono riconoscibili. La strategia di prodotto della maison non si è mai basata sul logo e non lo è tuttora. Lo stile valorizza l’heritage della marca, pur rendendola innovativa e contemporanea». «Quello di ChiuriPiccioli - replica Salvo Testa - mi sembra un rilancio secondo uno stile che non segue i codici della casa di moda. Però piacciono a un mercato nuovo, che prima non c’era». «Li trovo geniali - afferma Tiziana Fausti -. Il marchio sta seguendo per certi versi il percorso di Saint Laurent, anche se fa riferimento a una donna più bon ton». A proposito della griffe parigina, Fausti si sofferma sull’estrema trasgressione, che rifette del tutto l’immagine del designer Hedi Slimane, arruolato nel 2012. «È ripetitivo ma poi, in ogni collezione, spunta sempre qualcosa di straordinario». «Con lui - dichiara Bini - il prêt-à-porter è diventato l’alta moda di una volta. È un successo di vendite, santo Slimane!». C’è chi non pensa che le performance della griffe siano imputabili al designer ex-Dior. «Non credo - spiega Testa - che la crescita dinamica di YSL sia sostenuta dalla moda, che ha rinunciato del tutto all’heritage. Il problema della maison è che è stata “saccheggiata” da tutti gli stilisti che sono passati di lì. A ogni avvicendamento il fashion system impazzisce. Ma a mio avviso, alla lunga, il risultato non sarà vincente». A proposito di Dior, il docente della Bocconi dice: «È presto per giudicare l’operato di Raf Simons. Penso abbia la capacità di reinterpretare il brand, ma che sia costretto a puntare più sulla sua immagine, per ottenere dei risultati in breve tempo. «La scelta di Simons - commenta Bini - è stata un azzardo per Dior, ma sta dando buoni risultati. In negozio si vendono le proposte più “normali” e sofsticate». SE SI ECCEDE IL MONOGRAMMA PUÒ TRASFORMARSI IN UNA TRAPPOLA Anche Louis Vuitton sta mettendo alla prova un nuovo designer, Nicolas Ghesquiere. «La maison ha un patrimonio e gioca con il logo - dichiara Testa -. Sta cercando di uscire dalla trappola del monogramma con fatica: alla lunga, se eccede, rischia di perdere appeal e valore». Invece Hermès è «un integralista», del tutto fedele alla sua eredità storica. «Che Dio ce lo conservi sempre! - esclama Bini -. È un po’ “vecchio”, ma ben venga il vecchio in un momento di eccessi e confusione come quello attuale». L’altro simbolo del lusso francese, Chanel, secondo la buyer toscana è attualizzato soprattutto grazie alle geniali passerelle inventate dal creative director Karl Lagerfeld: «Poi si vende l’heritage, la normalità». «Lagerfeld - concorda Salvo Testa - ha un “approccio mentale”