Concreto/astratto: una dinamica necessaria nell`insegnamento
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Concreto/astratto: una dinamica necessaria nell`insegnamento
Paola Longo Dipartimento di Matematica Politecnico di Torino Concreto/astratto: una dinamica necessaria nell’insegnamento primario della matematica 1) Introduzione Una delle questioni di fondo che si pongono nella formazione di base in matematica è la relazione tra pensiero astratto ed esperienza concreta. Sebbene la psicologia cognitiva abbia ormai evidenziato in modo inequivocabile il legame tra conoscenza ed esperienza, non è affatto banale né scontato coniugare questo legame per la matematica, soprattutto se non si vuole eccessivamente banalizzarne l’insegnamento. Siamo ormai abituati a pensare che i bambini di scuola elementare imparino la matematica usando libri pieni di coloratissimi disegni di ogni tipo: insiemi di gatti, di uccellini, di fiori, abachi, mani, palloncini, figure geometriche in libertà o racchiuse da contorni insiemistici. E poi schede da colorare, materiale strutturato e materiale vario come bottoni, sacchetti di pasta ed altro. Ma “concreto” significa proprio questo? Il risultato, infatti, non sembra adeguato alle attese. I bambini si divertono a disegnare ed a giocare ma, per usare i termini di Lucio Russo, i bastoncini restano bastoncini e non diventano segmenti, e così le operazioni restano algoritmi meccanici di cui non comprendono né il significato nei contesti né i reciproci legami dentro un’unica struttura. Non basta crescere per cambiare qualità, infatti quando i ragazzi entrano nella scuola media non si verifica nessun salto improvviso verso la formulazione di un pensiero matematico astratto. Se si esaminano alcune situazioni didattiche con una certa attenzione a questo problema, si osserva che la dinamica concreto/astratto non è affatto banale né a senso unico, e, soprattutto, che non si può porre un taglio netto tra i due livelli. Anzi, talvolta per costruire il pensiero matematico può essere necessario abbandonare il ricorso ad esperienze e modelli concreti sostituendoli con considerazioni sul linguaggio e sul significato, pur di fornire ai bambini ragioni effettive e credibili per gli oggetti , le relazioni e le strutture matematiche. Mi sembrano molto significative le osservazioni di Fischbein (1981)su questo argomento. Egli osserva che “l’insegnamento della struttura per mezzo di modelli intuitivi è lontano dall’essere riuscito a costruire una base matematica solida per gli scolari delle classi elementari “ (pag.21) “I modelli concreti devono essere concepiti di modo tale che, pur fornendo al bambino il sostegno intuitivo di cui egli ha bisogno, gli offrano anche la possibilità di liberarsi da questo appoggio stesso. Il materiale concreto utilizzato deve essere tale da suscitare domande alle quali il bambino possa rispondere ricorrendo al suo pensiero, ai suoi schemi logici, alla sua fantasia. Un materiale didattico che non suscita delle domande o che risponde da sé a quelle che il bambino si può porre per conto suo, non è di nessuna utilità. Peggio ancora, rischia di bloccare e di soffocare il pensiero matematico del bambino”.(pag.23) Fischbein insiste sull’importanza della domanda, sulla necessità di sollecitare il bambino ad immaginare, e ad imparare a giustificare logicamente le sue risposte. Egli inoltre suggerisce di non usare oggetti sensibili qualsiasi, ma “modelli generativi” che agevolino il pensiero produttivo. La necessità/possibilità di staccarsi dal modello concreto per produrre un concetto matematico (astratto) è legata sia al modo con cui l’insegnante provoca e sostiene l’attività degli allievi, sia alle esperienze che egli propone. Se si sceglie la via della reinvenzione guidata, suggerita per la matematica da Freudenthal (1994), le scoperte che ci attendiamo che il bambino compia attraverso attività e compiti scolastici possono essere conformi alle attese dell’insegnante solo se l’esperienza che egli propone è strettamente legata al concetto a cui sta mirando. D’altra parte qualsiasi esperienza può rimanere improduttiva se i bambini non compiono un processo interno che sfocia nella produzione di un pensiero personale. Molti autori hanno evidenziato come questo processo, pur elaborando in ciascun allievo una conoscenza personale, è però anche un processo sociale. C.Pontecorvo (1999) indagando sulla funzione della discussione e dei processi linguistici e socio/cognitivi che essa favorisce, evidenzia che essa non si realizza “naturalmente” a scuola, ma è il risultato di alcune condizioni che l’insegnante deve introdurre: - un’esperienza comune che non comporti un’unica lettura o soluzione - un discorso che rielabora l’esperienza compiuta e che si struttura come situazione di problem solving collettivo - alcune regole di intervento sia per gli allievi che per l’insegnante (pag. 76). La Pontecorvo considera la discussione tra gli allievi in classe come un ragionamento esteriorizzato di tipo collettivo, nel quale la conoscenza si costruisce non solo attraverso la concatenazione degli argomenti, ma anche attraverso un pensiero collettivo che passa dall’uno all’altro, come se non si trattasse più di individui diversi, ma di un unico soggetto che parla con più “voci” (pag. 77). Indica due diverse dimensioni di cui bisogna valutare la presenza affinché la discussione sia produttiva: lo sviluppo e la pertinenza. C’è sviluppo se gli interventi fanno avanzare l’analisi, l’interpretazione, la chiarificazione dell’oggetto del discorso. C’è pertinenza se il progredire del discorso si colloca all’interno del tema proposto dall’insegnante e condiviso dagli interlocutori. L’interazione che avviene nella discussione in classe ci si presenta dunque come uno strumento assai efficace per produrre un pensiero astratto, purché si ritenga davvero possibile applicarla anche per la matematica. Questo comporta saper immaginare e mettere in atto anche per la matematica un livello di esperienza in cui i bambini siano coinvolti in prima persona, mettendo veramente in attività il proprio io e saper poi guidare la rielaborazione sia singola che collettiva, fino ad una forma che possa davvero chiamarsi matematica. Possiamo dedurne che progettare la didattica, secondo questo orientamento, vuol dire innanzitutto saper scegliere le esperienze da proporre alla classe valutando la conoscenza implicita che esse sono capaci di generare. Per la matematica, si tratta dunque di identificare situazioni e problemi nella loro natura recondita di “teoremi in atto” (Vergnaud 1995). Concreto/astratto ci appare inizialmente come un gioco di contestualizzazione e decontestualizzazione. Ma esso può essere seguito da una fase opposta: una volta evidenziato uno schema concettuale, questo può servire come strumento guida per risolvere problemi e per porsi di fronte a situazioni più complesse (come ad esempio quando si costruisce la moltiplicazione a partire da somme ripetute). E’ dunque realistico parlare, per la matematica, di vari livelli successivi di astrazione: rispetto ad uno di tali livelli la funzione iniziale del concreto può essere svolta dalla manipolazione concettuale di oggetti astratti del livello inferiore. Attraverso alcune esemplificazioni vorrei ora evidenziare: - il ruolo di alcuni strumenti per costruire esperienze da cui dedurre concetti astratti superando il modello concreto (il movimento realizzato attraverso il corpo, il gioco, il racconto, l’immaginazione, la rappresentazione, la discussione, la simbolizzazione, la presa di coscienza attraverso il linguaggio); - l’importanza per l’insegnante di identificare in modo corretto alcuni aspetti epistemologici non del tutto espliciti che sono presenti fin dall’inizio nel pensiero matematico, per farli diventare oggetto di esperienza, discussione, esplicitazione. Entrambi questi fattori hanno un ruolo fondamentale per definire la funzione dell’insegnante. Egli deve convogliare l’attenzione degli allievi su fatti e proprietà importanti della matematica. Deve fare in modo che si crei un clima di curiosità e di attesa e che le domande emergano quanto più possibile in modo apparentemente spontaneo. Deve lasciare il tempo perché i bambini tentino di dare risposte personali ed insegnare loro la necessità di sottoporre a verifica tali risposte. Non deve illudersi che i bambini siano sempre capaci di trovare personalmente le risposte, soprattutto quelle legate agli aspetti più formali del linguaggio matematico, ma deve fare in modo che accolgano la risposta, quando alla fine verrà fornita, come effettiva risposta ad un’esigenza che condividono. 2)Esemplificazioni didattiche L’abaco vivente E’ un’esperienza di recupero su 5 bambini di una terza elementare. Questi bambini, tutti caratterizzati da difficoltà e lentezze personali ben note all’insegnante, non riuscivano ancora ad utilizzare il meccanismo della rappresentazione posizionale dei numeri. Anche se riuscivano ad eseguire le operazioni in colonna, sbagliavano facili esercizi di passaggio tra unità, decine, centinaia. Il lavoro sul cambio era già stato eseguito nelle classi precedenti su materiale non strutturato: ad esempio stuzzicadenti sciolti, oppure raggruppati con elastici a mazzetti di dieci o cento, che venivano usati anche per imparare ad eseguire le operazioni in colonna. I passaggi venivano ora ripetuti sull’abaco. Osservando i bambini mentre trasferivano sull’abaco alcuni esercizi sulla scrittura posizionale in cui era necessario eseguire il cambio, è risultato evidente, sia a me che all’insegnante di classe, che questo strumento rendeva più veloci e consapevoli i bambini senza difficoltà, mentre non aiutava i 5 che non avevano ancora compreso il meccanismo. In particolare, potevamo constatare che essi consideravano identici i dischetti su ogni ferro verticale e dunque non assegnavano ad essi la funzione di rappresentare oggetti diversi a seconda della loro posizione. Si trattava, per quei bambini, di un modello di cui non coglievano il significato, anche se era fatto di oggetti concreti: non era dunque un “modello generativo” secondo la definizione di Fischbein. La situazione si è sbloccata agendo su due strade: - far ripetere ai bambini in difficoltà le azioni del raggruppare sollecitandoli a prendere coscienza dell’utilità di questo lavoro (passando da una grossa quantità di oggetti singoli ad una quantità molto minore di mucchietti contenenti tutti la stessa quantità di oggetti, la situazione torna ad essere alla portata della percezione); - utilizzare esperienze di movimento, coinvolgendo il corpo nell’apprendere. La situazione si è definitivamente sbloccata per quei 5 in un lavoro fatto in comune con il resto della classe, quando da un bambino è nata l’idea di costruire in cortile un abaco ponendo se stessi al posto degli anelli, su lunghe strisce disegnate in terra e di eseguire operazioni su questo abaco. Tutti i bambini della classe hanno vissuto insieme questa attività in clima di gioco (Longo,Avataneo,2000). Quest’esperienza ha avuto un aspetto particolarmente significativo: dopo le vacanze estive, all’inizio della quarta, l’acquisizione risultava ben conservata da tutti, al contrario di ciò che avviene molto spesso dopo le consuete attività di recupero. Essa ci ha permesso di osservare che pur essendo l’abaco un oggetto concreto che si tocca e si manipola, esso non permette di fare esperienza diretta di un’azione di raggruppamento e di cambio ed è perciò utile solo a quei bambini che sanno vedere in esso uno strumento di rappresentazione simbolica. Nel gioco fatto dando vita ad un abaco con il proprio corpo la situazione è cambiata radicalmente, in quanto i bambini erano obbligati a compiere personalmente le azioni di raggruppamento di cui dovevano interiorizzare lo schema. All’esito positivo ha contribuito in modo essenziale il fatto di permettere ai bambini di esplicitare la propria creatività finalizzandola all’obiettivo, che avevano assunto come proprio. Movimento - linguaggio - geometria La stessa insegnante sta sperimentando quest’anno in 5a l’uso sistematico del corpo per insegnare la geometria, essendosi impadronita dei criteri di conduzione dell’attività fisica finalizzata all’apprendimento in un corso di formazione svolto nella sua scuola in settembre. Alcuni bambini si sdraiano a terra in palestra ed hanno la funzione di bastoncini. Altri bambini hanno il compito di spostarli per disegnare enti geometrici: per ora angoli e figure piane. In questo lavoro discutono le relazioni che devono rappresentare e completano con l’immaginazione alcune imprecisioni. Ad esempio se un bambino sdraiato é troppo lungo o troppo corto, si accordano tra loro per inventare soluzioni nel comporre la figura desiderata, cioè si staccano leggermente dalle condizioni reali per idealizzare la configurazione che stanno eseguendo. Successivamente in classe descrivono l’esperienza fatta guardandola da due punti di vista diversi: quello materiale (i bambini, gli spostamenti eseguiti) e quello dell’immaginazione in cui gli oggetti sono ideali. I due punti di vista generano due linguaggi diversi ma corrispondenti, su cui procedono in parallelo anche nella registrazione. Anche questa esperienza, come la precedente, non è immediatamente ripetibile, ma sono comunicabili i criteri da cui è partita l’insegnante per interagire con i suoi allievi. Il primo risultato ottenuto é la facilità con cui i bambini hanno accettato il fatto che per la geometria le semirette sono illimitate e che l’angolo é una regione illimitata, cioè non quella realmente descritta, ma quella ideale, immaginata, di cui l’altra é un modello pertinente e divertente. Sanno dunque distinguere esplicitamente il livello concreto ed il pensiero astratto. 3) La formazione matematica degli insegnanti Perché un insegnante possa interagire con i bambini guidandoli lentamente verso concetti matematici essenziali, occorre che la sua conoscenza della matematica vada ben al di là degli aspetti tecnici della disciplina. Ci sono aspetti di significato di cui non si parla abbastanza nella formazione degli insegnanti. Vorrei segnalarne alcuni pensando a tutto l’attuale percorso di scuola elementare e media, lasciando per ora in sospeso la questione della trasposizione didattica. Lo zero Esistono molteplici aspetti che danno significato allo zero. Nella storia dei numeri si é avuto un grande vantaggio quando qualcuno ha pensato di introdurre questo simbolo. Si é trattato storicamente di un grosso salto concettuale e bisogna rendersi conto che lo é ancora per i bambini. Infatti per essi é il primo incontro con un ampliamento numerico, tipico dell’astrazione in matematica, che si ripeterà con i numeri razionali, gli irrazionali ed infine con i numeri complessi. Prima dell’introduzione dello zero, i numeri naturali servono per indicare solo quantità concrete, con lo zero si stabilisce di assegnare un simbolo al “nulla” e poi di trattarlo come se fosse uno degli altri numeri. Sarebbe un procedimento assurdo se non ci fossero delle buone ragioni e dei vantaggi, che ritengo fondamentale (e possibile) rendere evidenti ai bambini. Quello che segue non è un’esperienza didattica già tutta realizzata, ma una specie di canovaccio per eseguirla. • Il primo vantaggio riscontrabile è che lo zero serve in primo luogo come risultato dell’operazione di sottrazione tra due quantità uguali, uniformando la rappresentazione della sottrazione in tutti i casi: differenze tra quantità diverse oppure tra quantità uguali diventano assimilabili nella rappresentazione con i numeri. • Un secondo vantaggio si ha nella rappresentazione dei numeri secondo la scrittura posizionale, poiché permette di sostituire una scrittura rapida ma inequivocabile alla scrittura polinomiale: 2035 2*103 + 3*10 + 5*100 Mentre la seconda scrittura é chiara perché esplicita, la prima non risulterebbe chiara se lo zero non segnalasse che è vuoto il posto delle centinaia (qui le potenze di dieci sono solo un linguaggio adulto, non trasferibile ai bambini). • Il passo seguente é dare significato alla moltiplicazione per zero: a*0 = 0*a = 0 per ogni numero naturale, che è un ampliamento della definizione iniziale. Non é difficile trovare un motivo valido e convincente: la facilitazione della costruzione dell’algoritmo della moltiplicazione, come nel seguente esempio. Operiamo in riga: 403*12= 403*(10+2) = (403*10) + (403*2) = 4.030+806= 4.836 e poi trascriviamo in colonna ciò che abbiamo già eseguito: 403 x 12 806 (cioè 403x2) 4030 (cioè 403x10) 4836 Questo algoritmo ha la facile descrizione, a tutti nota, solo se si pone a*0=0*a=0. Ecco una valida ragione a livello di rappresentazione, che mi sembra più convincente del ricorso a situazioni concrete “addomesticate”, cioè lontane dal buon senso. • Perché non si può dividere per zero? Mi sembra che qui il ricorso all’intuizione ed all’esperienza possa essere perfino sviante. L’unica ragione che mi sembra semplice e convincente é quella formale, che ritengo comprensibile anche dai bambini attraverso un’opportuna mediazione didattica. Tra i numeri naturali (non nulli) é noto che se a*b = c, allora c : a = b e c : b = a e viceversa. Ad esempio 35 : 5 = 7 é vero perché 7*5 = 35. Supponiamo ora di voler ampliare la divisione analogamente alla moltiplicazione, cercando una possibilità di risultato se si divide per zero. Se si cerca a∈N tale che 5 : 0 = a, deve essere 5 = 0*a; ma non esiste un numero naturale con questa proprietà perché abbiamo già posto 0*a = 0 qualunque sia a. Non esiste dunque lo spazio per una nuova definizione, al contrario del caso della moltiplicazione. • L’uso dello zero nelle equazioni mi sembra trascendere questi significati. Perché possiamo passare da 5x-1=0 a 5x=1? Perché zero é l’elemento neutro della somma. Nella prassi didattica lo si giustifica forse in un modo apparentemente diverso, ma la sostanza é questa. Comprendere, a mio avviso, significa poterlo esplicitare, anche con tutta la lentezza e la gradualità necessarie ai bambini e senza usare troppo precocemente il linguaggio dell’algebra astratta. • Perché a0 =1 ? Sappiamo che è una convenzione, allora cosa significa in questo caso comprendere? A mio avviso, coglierne le ragioni. Queste sono molto semplici, se si sta sul piano giusto, che è ancora una volta quello della rappresentazione. E’ noto che am : an = am-n se m>n e che se m=n è invece am :am = 1. Queste due proprietà acquistano una forma più compatta scrivendo solo am : an = am-n (m ≥ n) purché si ponga a0 = 1 per convenzione. E’ chiaro che per farne cogliere l’importanza agli allievi, occorre che il lavoro su cui la classe è impegnata non abbia come unico livello quello del calcolo, ma che sia orientato anche a comprendere le rappresentazioni ed a ricercare le ragioni. Corrispondenze ed operazioni Riprendo un punto che mi pare centrale nell’opera di Vergnaud(1994), sul quale ho già visto alcune sperimentazioni, ancora non rielaborate. I problemi di corrispondenza se sono diretti si risolvono con una moltiplicazione, se sono inversi comportano una divisione. Esaminiamo i tipi possibili. Problema 1: Se ogni confezione di yogurt contiene 6 vasetti, quanti vasetti contengono 3 confezioni? Osserviamo lo schema della corrispondenza: Confezione Vasetti/Conf. 1 6 2 12 3 18 ..... ….. n 6n La risposta, 18 vasetti, si ottiene dalla moltiplicazione 6*3=18. I due fattori del prodotto non hanno lo stesso significato nel problema, o meglio nella corrispondenza: 6 è il numero di vasetti per confezione (è una misura) mentre 3 è il numero di confezioni (numero puro). Per conservare nella rappresentazione questi significati dovremmo scrivere un’operazione tra numeri dotati di dimensione: 6 vas/conf * 3 conf = 18 vas Questa posizione non mi sembra artificiosa perché spiega bene i due tipi di problemi inversi che si possono dedurre da quello diretto. Esaminiamoli. Problema 2: Se ogni confezione di yogurt contiene 6 vasetti, quante confezioni occorrono per avere 18 yogurt? Qui la domanda è sul numero di confezioni, cioè sul numero puro: 18 : 6 = 3 o meglio 18 vas : 6 vas/conf = 3 conf Problema 3: Ricordando che ogni confezione contiene lo stesso numero di vasetti, se per avere 18 yogurt occorrono 3 confezioni, quanti vasetti ha ciascuna confezione? Qui la domanda è sul contenuto di ogni confezione, cioè sulla misura: 18 : 3 = 6 o meglio 18 vas : 3 conf = 6 vas/conf La moltiplicazione come operazione astratta è commutativa, ma come schema di problemi di corrispondenza non è affatto commutativa: 6 confezioni con 3 vasetti ciascuna non è la stessa situazione di 3 confezioni con 6 vasetti ciascuna. Bisogna allora riflettere sul fatto che se si insegnano le operazioni a partire dai problemi, si è immersi in contesti molto precisi dove i significati locali non sono eliminabili. Per passare all’identificazione della moltiplicazione e della divisione tra numeri come operazioni matematiche (astratte) bisogna fare in modo davvero consapevole e non solo intuitivo un’operazione di decontestualizzazione. Ma poi per saper usare le operazioni nei problemi bisogna saper fare il passaggio inverso, cioè ricontestualizzare. Misura e numeri Esiste un legame strettissimo tra misura e numeri, non solo perché si misura attraverso i numeri, ma perché esistono analogie strutturali tra le operazioni che si fanno sulle grandezze e quelle che si fanno sui numeri. Questo è un leitmotiv in tutta l’aritmetica. Voglio evidenziare solo alcuni particolari di tale parallelismo e della sua possibile funzione didattica, per sottolineare che in aritmetica parlare di “concreto” non si riferisce tanto al fatto di manipolare oggetti concreti, quanto alla possibilità di compiere azioni concrete di cui poi si evidenzia la struttura e che si m i para a “tradurre” con un particolare linguaggio (aritmetica). Limitiamoci a considerare il cambiamento di unità di misura e mostriamo alcuni suoi legami forti con i concetti aritmetici, anche in questo caso pensando soprattutto ad una traccia per la formazione, cioè ad una base concettuale per una rielaborazione didattica. • Un modo possibile di vedere la frazione è pensarla come un cambiamento di unità di misura in una classe di grandezze. Questa via dà significato alle frazioni improprie, oltre che a quelle proprie. Al contrario la concezione di frazione come parte di un intero non si adatta alla frazione impropria, a cui comunque occorre dare senso prima di iniziare ad introdurre operazioni sulle frazioni. Ecco un esempio: A B C se AB é l’unità iniziale, abbiamo AB < AC < 2AB; se passiamo alla nuova unità U’ = 1/4 AB, allora é esattamente AC = 7U’ = 7 (1/4 AB) = 7/4 AB • Se l’unità iniziale é divisa in dieci parti, questo stesso ragionamento permette di introdurre i decimi, e poi analogamente i centesimi, ecc.. Per queste particolari frazioni si introduce una rappresentazione formale diversa. Se infatti si riprende la scrittura posizionale dei numeri naturali, essa si può prolungare a destra per contare anche i decimi, i centesimi, ecc.. La virgola é allora un accorgimento per segnalare l’unità scelta. Se si sposta la virgola si cambia l’unità e viceversa. • Attraverso il cambiamento di unità di misura si può dare senso a moltiplicazione e divisione con i decimali. Serviamoci di un esempio, 1,3 * 2,1. Possiamo interpretare i due fattori come dimensioni di un rettangolo rispetto ad una stessa unità di misura, ad esempio 1,3 dm e 2,1 dm. Per calcolare l’area del rettangolo, torniamo alla situazione nota (misure intere dei lati) trasformando le misure in modo che diventino intere: ci troviamo allora a considerare un rettangolo di dimensioni 13 cm e 21 cm La griglia fatta rispetto ai centimetri ci dice che l’area é il prodotto delle due dimensioni: 13*21 cm2, cioè 273 cm2. Possiamo ora tornare all’unità precedente, trasformando questo risultato in dm2. La zona scurita misura 2 dm2, il resto é 73 cm2 che non bastano a comporre additivamente un altro dm2. Possiamo dunque affermare che l’area è 2 dm2+73 cm2 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Utilizzando la rappresentazione nota per i decimali, possiamo evitare di ricorrere ad una somma e scrivere che l’area é 2,73 dm2. Questo risultato si può ottenere sinteticamente moltiplicando in colonna 13 * 21 e dando la regola usuale per la virgola. Questa é però un’operazione diversa dalla moltiplicazione in N, anche se si costruisce per suo tramite. La divisione poterebbe essere costruita come operazione inversa con passaggi analoghi. • Tentiamo ora di formulare un percorso concettuale per dare significato all’identificazione tra frazione e divisione. Iniziamo con una frazione decimale e chiediamoci, ad esempio, perché poniamo 7/4 =1,75 essendo 1,75 il quoziente dei due numeri 7 e 4. Esaminiamo anzitutto il significato dell’algoritmo della divisione. Primo passaggio troviamo quoziente q=1 e resto r= 3; possiamo scrivere in modo equivalente: 7 4 7= 4*1+3, e dunque 4*1 < 7 < 4*2 oppure 1< 7:4 < 2; 3 1 Secondo passaggio 7 4 aggiungendo lo zero accanto al resto e la virgola nel quoziente siamo passati dall’unità ai decimi; quindi abbiamo 30 1,7 7= 4*1,7 +0,2 ; 4*1,7< 7 < 4*1,8 ; 1,7 < 7:4 < 1,8 28 2 7 4 Terzo passaggio 30 1,75 28 20 20 aggiungendo lo zero accanto all’ultimo resto siamo passati dai decimi ai centesimi; quindi abbiamo q =1,75 e r= 0; possiamo scrivere esattamente 7 = 4*1,75 e cioè 7 : 4 = 1,75. Usiamo ora una rappresentazione geometrica per le grandezze. Prendiamo un segmento di lunghezza 2 (immagine di una grandezza generica di misura 2) e chiediamoci quale sia la rappresentazione decimale della lunghezza del segmento che corrisponde alla frazione 7/4. Anche in questo caso possiamo compiere delle approssimazioni successive. Seguiamo il procedimento pensando sul segmento due sistemi di misura: nel primo l’unità AB è divisa in 4 parti, nel secondo l’unità AB è divisa in 10 parti. 1 2 1,5 1 A B m (AB) = 1; m (AD) = 2; 2 C D m (AC) = ? Approssimazioni successive per la misura con i decimali: 1 < 7/4 < 2 1,5 < 7/4 < 2 infatti 1,5 = 15/10 = 6/4 e quindi 6/4 < 7/4 1,6 < 7/4 < 2 infatti 1,6 = 16/10 < 7/4 (16/10 = 64/40 e 7/4 = 70/40) 1,6 < 7/4 < 1,8 infatti 1,8 = 18/10 = 72/40 1,7 < 7/4 < 1,8 infatti 1,7 = 17/10 = 68/40 In questo modo abbiamo ottenuto un’approssimazione della misura cercata con la prima cifra decimale esatta e possiamo porre 7/4 = 1,7 + r con r < 1/10. Se proseguiamo con questo stesso metodo per cercare la seconda cifra decimale ed otteniamo con alcuni passaggi analoghi 7/4 = 1,75. Il procedimento di approssimazione decimale del valore della frazione 7/4 é identico al processo di approssimazione espresso dalla divisione precedente e ciò appare sufficiente per giustificare l’identificazione. Si può procedere nello stesso modo se la frazione non é decimale. In questo caso il processo di approssimazione non ha termine e si sconfina in delicate questioni di convergenza. L’analogia di questo esempio con i precedenti é che accostarsi al numero razionale identificando la frazione con un decimale é reso significativo da un modello operativo basato sulla misura. Il livello concreto in questo caso è il livello della misura (immaginata) mentre il livello astratto è quello del numero razionale. Bibliografia E.Fischbein ; Concreto ed astratto nell’insegnamento della matematica elementare ; in “Processi cognitivi ed apprendimento della matematica nella scuola elementare” a cura di G.Prodi, La scuola, 1981 H.Freudenthal ; Ripensando l’educazione matematica ; La Scuola, Brescia, 1994, ed. orig. 1991 P.Longo,G.Avataneo ; L’abaco vivente ; atti convegno Matematica e Difficoltà, Pitagora, Bologna, 2000 C.Pontecorvo et alii ;Discutendo si impara ; Carocci, 1999, Urbino L.Russo ; Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola? ; Feltrinelli, 1998 G.Vergnaud ;Schemi teorici e fatti empirici nella psicologia dell’educazione matematica (in Sviluppi e tendenze internazionali in didattica della matematica, a cura di C.Bernardi, Bologna,1995) G.Vergnaud ; Il bambino, la matematica, la realtà ; Armando, Roma, 1994, ed.orig.1981