Pagine Moncalvesi n. 7 - luglio 1999
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Pagine Moncalvesi n. 7 - luglio 1999
Bollettino della Biblioteca Civica "Franco Montanari" di Moncalvo - Asti Anno IV - n. 7 luglio 1999 Supplemento a "Il Platano" Rivista di Cultura astigiana, anno XXIV (1999) SOMMARIO Bilancio di 4 anni Don Angelo Verri Uno sgorbio vergognoso deturpa il paese di Lu Monferrato Alessandro Allemano Vagabondi, mendicanti ed emarginati nei documenti locali e nei provvedimenti delle autorità dal '500 all''800. *** Amministratori e consiglieri comunali di Moncalvo dal 1945 al 1999 Antonio Barbato Un furto di quadri di Guglielmo Caccia (1924) Corrado Camandone Il ritrovamento della tomba del Caccia (1943) Angela Strona La scomparsa di Gino Piacenza: una cronaca Angela Biedermann Ricordando il dottor Gino Piacenza Corrado Camandone Profilo di un gentiluomo Lorenzo Magrassi "Terra monferrina" - Una poesia in dialetto Riletture "Autobiografia di un rabbino italiano" (Marco Momigliano e la comunità ebraica di Moncalvo) Due sonetti "politici" di Cesare Vincobrio riletti da Corrado Camandone Interventi I ragazzi riscoprono le tradizioni: i subiet 'd Patro Curiosità Una ricetta antica per fare una buona minestra proposta da Antonio Barbato Notizie Presentato il primo volume di "Monferrato tra Po e Tanaro" "Perù Antico - Bolivia Magica", mostra di Pit Piccinelli Conferenza di Giovanni Romano su Guglielmo Caccia "Alle origini del Monferrato. Storia e nomi di luogo: Moncalvo, Crea, Monferrato e altri"; cronaca della conferenza di Olimpio Musso (a cura di Alessandro Allemano) Donazione bibliografica "Agostino Lumello" Donazione bibliografica "Mario Merlo" Donazioni di libri Riviste e libri giunti Recensioni "Monferrato ieri. Sui sentieri della memoria con tempere di Mario Pavese. Testi di Luigi Sarzano" (recensione di Alessandro Allemano) Gino Nebiolo "La seconda vita" (recensione di Corrado Camandone) Veduta dei portici di Piazza Carlo Alberto (anni '30) La piazza, come è noto, venne formata in seguito all'atterramento dell'antico castello, nell'ultimo quarto dello scorso secolo, quando si sentiva inderogabile il bisogno di dare maggior sfogo al mercato settimanale e alle numerose fiere, fino ad allora costretti all'attuale piazza Garibaldi. Poichè la nuova piazza risultò particolarmente esposta all'azione dei venti, l'amministrazione comunale decise di recingerla per due lati con un porticato, ancor oggi esistente e per il quale esiste un progetto di intervento conservativo, con belle capriate in legno, sotto i quali si teneva il mercato del bestiame. Sulla destra della fotografia, uno scorcio della zona detta "dietro alle case", il corso Regina Elena. APPELLO AI LETTORI Per arricchire di documentazione la sezione di storia locale della Biblioteca civica rivolgiamo un appello a tutti i Lettori che posseggano annate dei seguenti periodici: La Buona Parola (dal 1934 in poi) L'Eco del Monferrato L'Eco moncalvese (dal 1975 in poi) a contattare la Direzione della Biblioteca. I giornali saranno trattati con ogni cura e precauzione, fotocopiati e riconsegnati ai proprietari in brevissimo tempo. Chi collaborerà riceverà in omaggio una pubblicazione. Si ringraziano quanti hanno già raccolto l'appello. È vietata la riproduzione di testo e immagini contenuti in questo Bollettino senza l’autorizzazione scritta della Redazione anche per quanto riguarda le "pagine Internet" per le quali tuttavia è consentito il "link" alle pagine stesse. "Ho cercato il riposo da per tutto e non l'ho trovato che in un piccolo angolo in compagnia d'un San Francesco di Sales piccolo libro" BILANCIO DI 4 ANNI Questo settimo numero di "Pagine Moncalvesi" viene chiuso editorialmente quando il Comune di Moncalvo si appresta a rinnovare la propria amministrazione civica. Ci sembra giusto riproporre, a solo titolo di documentazione, le iniziative svolte dalla Biblioteca civica "Franco Montanari" nel quadriennio giugno 1995 - maggio 1999, poiché anche il Consiglio di biblioteca termina il proprio mandato. 1995 Restauro della lapide romana già all'esterno della chiesa dei Gessi, con produzione di un calco da posizionare sul sito originale Mostra "Tra carte e immagini - Feste e fiere a Moncalvo" durante la Fiera del tartufo 1995 Insediamento del Consiglio di Biblioteca (mese di ottobre) 1996 Mostra itinerante "Il treno della storia" in collaborazione con la Regione Piemonte Ideazione e realizzazione del bollettino semestrale di studi storici ed informazioni culturali "Pagine Moncalvesi" (numero 1 nel luglio 1996) Parziale censimento dei fondi bibliografico Buronzo, Montanari, Truffa, Caffassi, Burato (primavera -estate, utilizzando personale dei cantieri di lavoro) Trasporto delle carte dell'Archivio storico nel nuovo locale dotato di moderne scaffalature Collaborazione alla produzione del video in tre parti "La villa di Moncalvo nel Monferrato", di Giuliano Monti Attivazione del sito Internet e gestione delle pagine "web" del Comune di Moncalvo Collaborazione all'iniziativa "Tre domeniche d'estate", con proiezioni di documentari sui castelli del Monferrato (di Corrado Camandone) e sul Delta del Po (di Alberto Verdelli) Collaborazione alla mostra sui fischietti in terracotta durante la Fiera del tartufo 1996 Collaborazione al periodico di cultura astigiana "Il Palinsesto" Collaborazione alla rivista "Il Platano", organo dell'Associazione Amici di Asti 1997 Partecipazione al convegno "La protezione dei beni culturali nei conflitti armati e nelle calamità", svoltosi in Alessandria dal 13 al 15 aprile 1997 Partecipazione alla mostra "Emergenza arte", organizzata dalla Provincia di Alessandria in concomitanza con il convegno Attivazione e gestione del sito Internet della Società Italiana per la Protezione del Beni Culturali (SIPBC) Gestione della mostra "I castelli della Camera Ducale di Monferrato" organizzata dall'arch. prof. Claudia Bonardi del Politecnico di Torino Collaborazione all'iniziativa dell'intestazione di tre vie ad altrettanti concittadini illustri (24 maggio 1997) Guida ed illustrazione di Moncalvo e dei cimeli del generale Carlo Montanari ad una delegazione dell'Istituto per la Storia del Risorgimento, sezione di Alessandria Restauro della mappa del territorio e del libro del catasto (1765) Collaborazione alla produzione di un video sulla figura e l'opera di Guglielmo Caccia, realizzato dalla Provincia di Alessandria Collaborazione alla mostra filatelico-numismatica in occasione della Fiera del tartufo 1997, con realizzazione della sezione "Monferrato in cartolina" Nuovo arredamento definitivo dei locali della biblioteca Riapertura ufficiale al pubblico (20 dicembre 1997) Donazione di quadri del pittore Giorgio Piacenza Donazione bibliografica della professoressa Fernanda Borio Riproduzione di un'antica stampa di Moncalvo dell'incisore Giuseppe Bagetti (fine '700) 1998 Ospitalità alla conferenza del dottor Massimo Carcione, in collaborazione con il Lions Club "Moncalvo Aleramica", sul tema della protezione dei beni culturali Presentazione del libro "Pietro Badoglio soldato e uomo politico" di Rodolfo Prosio, con la partecipazione del professor Aldo Alessandro Mola (9 maggio 1998) Copromozione dell'iniziativa "Itinerari cacciani" Partecipazione all'iniziativa "Librinmostra", a Novi Ligure, in agosto Organizzazione del concorso fotografico "Di cantone in cantone. Case e infernot del Monferrato", in collaborazione con l'Ente Parco di Crea, la Fiera del Tartufo e il bisettimanale "Il Monferrato" Promozione e presentazione della ristampa anastatica di "Nel 2073!" di Agostino Della Sala Spada, con la collaborazione della prof. Simonetta Satragni Petruzzi (12 settembre 1998) Organizzazione della mostra "Pensiero neutro" di Marco Porta durante la Fiera del tartufo 1998 Produzione dell'opuscolo di Alessandro Allemano "Fede e valore; un ricordo di don Vittorio Genta", distribuito alle scuole Presentazione del volume "Monferrato ieri" di Mario Pavese e Luigi Sarzano (12 dicembre 1998) Presentazione del romanzo "D'acqua e d'amore" di Laura Bosia (19 dicembre 1998) Realizzazione di una audiocassetta su Moncalvo e il Monferrato, trasmessa dalla radio olandese SALTO 1999 Presentazione ufficiale del primo volume di "Monferrato tra Po e Tanaro" di Aldo di Ricaldone, con la relazione del professor Dionigi Roggero (20 febbraio 1999) Organizzazione della mostra di pittura "Perù antico - Bolivia magica" di Pit Piccinelli Riproduzione dell'antica stampa del castello di Moncalvo, opera dell'incisore Francesco Gonin (1827) Conferenza nella chiesa di San Francesco del professor Giovanni Romano (Università di Torino) sulla figura e l'opera di Guglielmo Caccia, in collaborazione con la Provincia di Asti Conferenza del professor Olimpio Musso (Università di Firenze) sulla toponomastica locale. Nel quadriennio sono stati inoltre recuperati i quadri dei benefattori giacenti presso la Chiesa di San Marco e l'ex Orfanotrofio Cissello; è stato traslocato il materiale della donazione Montanari, disponendolo in locali dotati di sistemi di sicurezza; è stata svolta la schedatura a norma ministeriale di un primo lotto di opere d'arte di proprietà del Comune. La Biblioteca civica ha collaborato con ricercatori e studiosi, mettendo a disposizione il materiale bibliografico ed archivistico necessario. Tale collaborazione in questo periodo ha permesso la stesura di quattro tesi di laurea, due delle quali esclusivamente dedicate a Moncalvo. I Lettori valuteranno questo nostro bilancio; da parte nostra resta l'impegno di lavorare per la promozione della cultura e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico locale. Questo numero 7 del Bollettino ne sia una riprova. Antonio Barbato Direttore della biblioteca e dell'archivio storico Alessandro Allemano Presidente del Consiglio di biblioteca Don Angelo Verri UNO SGORBIO VERGOGNOSO DETURPA IL PAESE DI LU MONFERRATO L’articolo di apertura, che di regola è dedicato al tema della salvaguardia dei beni culturali, viene questa volta proposto da un personaggio d’eccezione: un sacerdote, anziano d’età ma vivacissimo di spirito, artista, architetto, amante del bello e –come è ovvio– detestatore delle tante brutture che devastano molti paesaggi d’Italia. La sua penna si rivolge, al culmine di una lunga campagna di sensibilizzazione condotta sulla stampa locale, contro una invereconda torre che l’allora Azienda di Stato per i telefoni, poi SIP, poi Telecom, decise di installare sul colle di Lu Monferrato. Come il Lettore potrà constatare dalle immagini che accompagnano l’articolo, l’effetto che questa costruzione produce sul paesaggio circostante è il classico pugno in un occhio, per non dire di peggio. Don Angelo Verri crede profondamente in questa sua "battaglia". Noi, proponendo il suo scritto, desideriamo propagare innanzitutto ai Soci della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali e più in generale a tutti i Lettori e in definitiva alla pubblica opinione l’eco della sua giusta polemica e –magari– ottenere qualche risultato concreto. Don Angelo Verri è nato a Lu Monferrato il 16 aprile 1905. È attualmente il sacerdote più anziano della Diocesi di Casale, nonché l’architetto più anziano della provincia di Alessandria. Ordinato da monsignor Albino Pella il 24 giugno 1928, venne dapprima destinato a Moncalvo, dove fu, dal luglio 1928 al novembre 1929, il penultimo viceparroco di don Giovanni Sismondo, poi nominato (1930) Vescovo di Pontremoli. Passò quindi a frequentare la scuola "Beato Angelico" di Milano, diplomandosi al Liceo artistico di Brera nel 1931; passò quindi a frequentare i corsi universitari di Architettura, laureandosi al Politecnico milanese nel 1936. Ricoprì nel frattempo l’incarico di cappellano presso l’Istituto Gonzaga di Milano, tenuto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, dove conobbe don Carlo Gnocchi, futuro cappellano militare degli alpini ed apostolo dei mutilatini. Lavorò molto in Sardegna, dove fu, a più riprese, dal 1947 al 1986; suoi sono, per citarne solo due, il Santuario della Madonna delle Grazie di Nuoro e la Parrocchiale di Orgosolo. A Moncalvo progettò il Battistero in San Francesco e il monumento funebre di don Bolla; durante gli anni della guerra assistette ai lavori di rifacimento all’interno della Parrocchiale. Fu a capo della Commissione diocesana per l’Arte sacra e professore di Arte sacra nel Seminario maggiore di Casale. Dal 1946 è Canonico dell’Insigne Collegiata diSanta Maria Nuova in Lu Monferrato. È collaboratore del mensile "Al païs d’Lü". Conobbe di persona lo scrittore cattolico Piero Bargellini, già Sindaco di Firenze, con il quale prese parte ad un ormai leggendario pellegrinaggio a Roma; don Verri fu chiamato dalla famiglia dell’intellettuale a commemorarne il decennale della scomparsa, nel 1990. Nel nostro paese, Lu Monferrato (Alessandria), da oltre quarant’anni è in corso, anzi ancora in via di sviluppo, una vergognosa, disastrosa e funesta vicenda, che ha già occupato e deturpato buona parte dell’area più interna, più gelosa e preziosa del "nucleo centrale" detto "il Castello", mentre il centro storico si sviluppa attorno a questo nucleo interno e sopraelevato, vero cuore vivo e palpitante, carico di memorie e di antiche tradizioni, vertice del nostro vasto e meraviglioso panorama, ove spicca "la balza più bella del nostro paese" e del Belvedere, che presenta al Monferrato e alla superba corona delle Alpi la nostra splendida Torre Medioevale, nostro emblema e nostro vanto. Su questa balza sorgeva un antico Castello, con alte mura e fortificazioni, andato poi distrutto, ma lasciando alle sue rovine e all’area la denominazione originaria, per cui ancor oggi noi chiamiamo quella balza e quest’area: "il Castello", ove sorse poi un Sacrario per la custodia delle reliquie del nostro Santo Patrono, il Martire Valerio, Vescovo di Saragozza, ucciso dagli eretici ariani, mentre transitava nella nostra regione. Il sacrario durò fino ad un paio di secoli fa e poi è andato distrutto e le ultime vestigia di questo sacello sono state trovate durante gli scavi per le fondazioni di quell’orrenda, oscena e demenziale costruzione che dissacra, insozza, avvelena e sconcia un’area ed un ambiente che meritavano rispetto. E i pochi resti affiorati sono subito stati affondati nel calcestruzzo, con sacrilego scherno al nostro Patrono. Ma quello che nessuno al mondo poteva immaginare è toccato al nostro disgraziato paese, indicato e poi scelto come luogo migliore per installarvi un Ponteradio, che doveva collegare le città del triangolo: Milano - Torino - Genova. E qui comincia la tragica, scandalosa e assurda disavventura che ha travolto, devastato, massacrato "la balza più bella del nostro paese" e l’ambiente circostante, perché gli idioti ed ignoti sapientoni, scelti per il progetto e la sua esecuzione, hanno ignorato le diverse possibilità, suggerite da molti, di scegliere una altura nelle immediate vicinanze del paese e invece caparbiamente hanno puntato sui pochi metri quadri del "Cuore" sacro e storico, "il Castello", magnifica base di una splendida Torre antica e centro del nostro grandioso panorama! Ora invitiamo i lettori a dare uno sguardo alle foto recentemente scattate e rendersi conto di quale orrenda e spropositata sciagura noi siamo vittime, da quali infernali e tetre visioni noi siamo aggrediti e minacciati, di quali ingenti danni noi siamo gravati, in conseguenza di una delirante e disastrosa operazione antiecologica che ci ha sconcertati, umiliati e sbeffeggiati. Nonostante tutto dobbiamo tenere vivo il dibattito su questo scottante e cruciale argomento ed alzare un grido di protesta, di indignazione e di rigetto, per lo sgarbo, lo scherno e l’offesa che accompagnano il REGALO che più schifoso, demenziale e funesto non poteva essere: quel "Mostro" indecente e deforme, irsuto, orecchiuto e cornuto, che è stato intronizzato, come sfregio inverecondo, al vertice panoramico del nostro paese, a ludibrio della nostra veneranda Torre, a beffa di tutti noi, e ad offesa di quanti, spettatori e visitatori, restano incantati dal nostro paesaggio, trasecolati ed inorriditi ed inorriditi per tanto scempio.Si poteva evitare questa enorme bestialità, ma non c’è stato verso. E così è cominciata la nefanda sequenza degli interventi a singhiozzo, con la costruzione di un primo gabbiotto accanto alla Torre, non più grande di un pollaio e già dotato di una specie di tamburo e di grosso imbuto e poi via via a furia di aggiunte successive in lungo, in largo ed in alto, si è arrivati ad impiantare nel punto più elevato e nevralgico del nostro Panorama, questo goffo e volgare scatolone irto di attrezzature indiavolate e repellenti, che sembra un enorme scorpione a tenaglie spalancate e minacciose, cresciuto accanto alla Torre, umiliata, avvilita e offesa, anzi violentata da un turpe ed infame accostamento, che grida vendetta e attira dall’alto la maledizione sui sacrileghi e spudorati autori dell’esecrando misfatto e del nefando oltraggio. Questa assurda e obbrobriosa collocazione di queste volgari ed ingombranti strutture, l’aggiunta delle stravaganti attrezzature tecniche (?) e la farraggine di oggetti di forme spiritate e terrificanti, con la visione di forconi che si innalzano minacciosi contro il cielo ed in ogni direzione, hanno fatto raggiungere all’ingombrante blocco centrale una altezza superiore alla Torre, che è occultata, soffocata e sopraffatta dalla massa caotica di ferraglie dall’aspetto infernale.Le foto allegate sono un documentazione di ciò che si vede da ogni parte e che fa irritare ed inorridire che si pone di fronte ad un diabolico spauracchio, che emerge lugubre e tenebroso oltre il vertice del nostro sconciato e dissacrato panorama. La nostra non è un’esercitazione accademica, retorica ed enfatica ad uno scandaletto di cronaca spicciola, e le nostre reazioni vigorose, vibrate ed anche sarcastiche graffianti, non sono esagerazioni ed amplificazioni forzate per fare colpo, perché l’entità, la gravità e la incoscienza menefreghista del misfatto sono talmente inaudite, macroscopiche ed evidenti da far sobbalzare d’orrore anche i morti, sepolti lassù sotto il pavimento dell’antico sacello di San Valerio, ora schiacciati, oppressi e profanati da una colata di calcestruzzo e da una massa intrusa di coronamenti ed applicazioni cacotecniche, esteticamente orripilanti ed inqualificabili. Umiliati ed offesi noi non avevamo che la "parola" per difenderci e denunciare i risultati sconcertanti delle progressive operazioni deturpanti e rovinose, purtroppo condotte nel silenzio costernato della gente ignara e nella convinzione dei più che è inutile venire a conflitti con le cricche, che manovrano e rosicchiano in queste faccende i opere pubbliche, perché protette e quindi più potenti. Ma quando sono apparse sul colmo del Mostro che cresceva, gonfiava e raggiungeva l’altezza della Torre, le sagome orrende e terrificanti dei primi orecchioni e le varie attrezzature irte di forconi e di ferraglie contorte, puntute e spiritate, in me è scattata una molla e mi ha spinto a reagire e tentare qualcosa per arginare il crescendo di una situazione allucinante. Ci furono consensi ed approvazioni: ma sono restata l’unica voce che si è fatta sentire a diverse riprese, confortato dalla disponibilità del nostro "mensile" (Al Païs d’Lu) a pubblicare i miei ripetuti attacchi vibranti, scottanti ed apprezzati, ma in pratica velleitari ed inutili. Ora sono vecchio – ho 94 anni – e scrivo con sforzo ed amarezza queste ultime cartelle per suggerimento di amici che appartengono ad una organizzazione dedicata alla tutela del patrimonio artistico, storico, sacro ed ambientale dell’Italia, che può interessarsi del nostro caso noto per la sua eccezionale bruttezza, anzi segnalato fra quelli che più brutti di così non si può essere. Sono lieto di avere trovato altre voci, che mi tolgono il poco ambito privilegio di essere stato finora "l’urlatore isolato" per tanto tempo ed ora uniscono le loro voci alla mia e mettono a disposizione la loro esperienza ed il loro appoggio per cercare e trovare una via, nel ginepraio della burocrazia, per ottenere lo sfratto e la demolizione dell’intruso Mostro Bastardo, noto come il SUPER–MAXI–STR... del Monferrato e dintorni. Don Angelo Verri – Luese N.d.r. Le foto sono state gentilemente concesse da Don Angelo Verri. Alessandro Allemano VAGABONDI, MENDICANTI ED EMARGINATI NEI DOCUMENTI LOCALI E NEI PROVVEDIMENTI DELLE AUTORITÀ DAL ´500 ALL’ ´800 La società moderna ha, si può dire, "riscoperto" negli ultimi decenni il problema del disagio sociale, evidenziato dalla presenza insistente e scomoda di mendicanti, "barboni", zingari, persone disagiate che per scelta o per necessità vivono ai margini del cosiddetto mondo civile, senza accettarne le regole e le convenzioni. Tuttavia l’emarginazione sociale è una realtà che data ben più addietro. Accattoni, vagabondi di ogni tipo, poveri e nomadi costituivano già un problema per l’ordine pubblico dei secoli passati: frequenti erano le disposizioni in materia emanate sia dall’autorità centrale che dalle amministrazioni locali. Questo articolo, che prende in esame la situazione tra la metà del ‘600 e l’inizio del secolo attuale, nasce da un accenno fatto al problema nel mio recente libro "Come da memorie antiche. Cronache e storie del cantone di Santa Maria", laddove si parla delle spese sostenute dalla Comunità di Penango nel 1905 per dare degna sepoltura ad una "ligera" morta nella valle tra Santa Maria e Cioccaro. Cercherò qui, senza pretesa di completezza o di troppa scientificità, di delineare la situazione che riguarda i diversi provvedimenti in materia di pubblica sicurezza e di assistenza sociale, facendo riferimento ad alcuni documenti d’archivio inediti. Il problema dei mendicanti nell’Archivio parrocchiale di Moncalvo Ecco, tanto per cominciare, una lettera circolare inviata ai parroci del Monferrato nel 1774 dal Vicario generale della Diocesi casalese, Ferdinando Rovida. Il problema dei girovaghi, che percorrono le strade e visitano i paesi con intenzioni men che oneste appare nel suo aspetto più deleterio: il rapimento dei bambini. "Otto giorni sono è stata rapita ad una cassina delle fini di San Giorgio una figlia d’anni circa 13 di pelo bruno, di statura picciola, d’occhi neri, denti bianchi, vestita di giubba violacea, per nome Antonia Caligaris; ed è stata rapita da una donna bionda, cogli occhi griggi, di mediocre statura, gentile di corporatura, d’anni circa 25, maritata con certo Rossi di Camagna e nata Lovera di Lu, separata dal marito e vagabonda già da qualche tempo, per nome Teresa. Si compiacerà d’indagare e far indagare dai Signori Parochi di codesta Vicaria se mai la sodetta capitasse nelle rispettive Parochie, per darmene avviso, facendola frattanto assicurare nella miglior maniera". Sempre nell’Archivio parrocchiale moncalvese si trovano abbondanti tracce di mendicanti che vengono a finire i propri giorni lungo i fossi delle strade, o, se più fortunati, nei fienili delle cascine o presso il locale ospedale di San Marco. "Quaedam mulier mendicans, nomine Clara Ghiazza, nuncupata «Bella da vegghi», orta e Civitate Niceae Palearum, aetate annorum 45 circiter, mortua in domo rurali, vulgo «Merli di sopra» nuncupata, obiit die 7 aprilis 1795 eiusque corpus sepelitus in publico cemeterio" "Homo quidam pauper et infirmus civitatis, ut ipse dixit, Saluzzo, quin aliquis de eius nomine ac cognomine exquisierit, in hoc xenodochio receptus, media nocte circiter subito quodam morbo correptus, cuius causa loquelam amisit, sacro tamen oleo inunctus, aetate, ut videbatur, 40 annorum, obiit die 2 decembris 1797, eiusque corpus postero die in publico cemeterio sepultum est" I provvedimenti dei Gonzaga Il volume "Notizie storiche del Santuario di Nostra Signora di Crea" del padre Onorato Corrado riporta, a pagina 229, il testo di un ordine dato in Casale il 16 agosto 1540 da Margherita Paleologo, vedova del marchese Federico Gonzaga, quale reggente del Marchesato monferrino in nome del figlio minorenne Francesco. Questo atto – il più antico tra quelli da me ritrovati – contiene disposizioni contro le carovane di zingari che troppo frequentemente invadevano i paesi circostanti il santuario di Crea. "Sapendo nuoi che il luoco nostro di Serralunga et districto suo, cioè Fornello, et Castellacio sopportano ogni anno grandi carighi et danni per la grande moltitudine delli concurrenti alla devotione de la chiesa de Sancta Maria de Creta ivi propinqua. Ne pare cosa condecente et honesta preservare essi luoghi et fine loro da altri carighi et danni [che] li puossano essere dati, et maximamente da Cinghari, o vero Egiptii. Alli quali per nostre patenti è stato concesso di puoter allogiar per qualche giorno in le nostre terre del Monferrato. Però con queste nostre ordiniamo et declaramo che in ogni concessione fatta, che per lo avvenir si facesse a detti Cinghari per detti alloggiamenti, non li siano inclusi li predetti luoghi di Serralunga, Fornello, et Castellacio et fine loro. Anzi vogliamo ne siano totalmente liberi et exempti, e che quando accadesse a qualche compagnia di Cinghari per allogiarli, non possiano li huomini de essi luoghi darli licentia, et de più, se volessero essi Cinghari usar resistentia de partirsi, puossiano essi huomini, et li sia licito senza incursione de pena alcuna, con quel miglior modo et mancho scandalo [che] sarà possibile, scacciarli et farli partire dalli luoghi loro. Non obstante alcuna concessione da essi Cinghari fatta". Oltre un secolo dopo, nel 1633, una grida del Duca Carlo I tratta ancora del problema dei nomadi, confermando le misure preventive già adottate dai predecessori. "Carlo Primo per la Gratia di Dio Duca di Mantova, Monferrato, Nivers, Umena, Retel, etc. Ancorchè per gli ordini de’ Serenissimi nostri Antecessori siano stati banditi da questo nostro Ducato tutti li cingari, ad ogni modo siamo assicurati ch’essi hanno ardire di fermarsi ancor in quello, et coll’andar vagando per le Città, Terre e Luoghi del medemo nostro Stato dano materia di sentire doglianze per diversi eccessi che giornalmente commettono a danno de’ nostri sudditi. Onde risoluti di provedere a simil abuso, inherendo agli ordini e bandi fatti per l’adietro da sudetti Serenissimi nostri Antecessori a’ quali non intendiamo punto derogare, anzi quelle confirmando, in virtù della presente Grida diamo di nuovo bando da tutto questo nostro Stato a qualunque cingaro di che grado, sesso, stato e conditione si sia, sì che subito publicata questa nostra debbano partir dal medemo nostro Stato et sgombrar affatto per la più breve strada, nè ritornarvi ne anco per transito, sotto pena della vita, nella quale incorreranno anco tutti quelli che per se stessi o per interposta persona daranno loro o a chi si sia d’esso ricetto, aiuto e favore. Commandiamo espressamente a tutti li Ministri nostri, Capitano di Giustizia, Vicegerente oltre Tanaro, Vassalli, Podestà, Castellani, Giusdicenti e particolarmente alli Capitani delle Milizie de’luoghi così mediati come immediati, che comparendo ne’Territori sottoposti alle loro giurisditioni cingari come sopra, dando martello alla campana procurino et usino ogni possibil diligenza per haverli nelle forze della giustizia, dando poi a Noi o al Consiglio nostro subito parte del seguito per ricevere quegli ordini che stimeremo di convenire alla qualità dei casi ed al compimento di giustizia. Non mancando ciascuno d’esseguire et far esseguire puntualmente la presente per quanto stimano cara la gratia nostra. In Casale li 10 settembre 1633" Risale invece al 1702, quando il Monferrato sta per passare dai Gonzaga ai Savoia, un’altra grida dei "Conservatori generali sopra la Sanità", magistratura avente fini di salvaguardia delle condizioni di buon ordine derivante dal mantenomento della sanità pubblica. Qui si prendono di mira i "birbanti" che potrebbero celarsi sotto gli scarsi panni dei mendicanti e dei vagabondi. Anche in questo caso, come si potrà leggere, non si fanno distinzioni tra coloro che, semplicemente poveri, praticano la mendicità e quanti invece si propongono scopi criminali (latrocinii, grassazioni, furti campestri). "Li Conservatori Generali sopra la Sanità del Stato di Monferrato L’attentione che si deve per mantenere un tanto thesoro quale si è quello della commune salute e li continui ladroneggi e truffarie che si commettano da birbanti e questuanti ci danno giusto mottivo di rinovare gli Ordini Nostri toccanti simili materie, tutto che già per altre Grida sia stato sufficientemente provisto et abenchè per l’Iddio gratia si goda sanità in questa Città e Stato, come altresì nelli circonvicini, pure per tempo più provedere ciò possa dar causa a mali ed impedire li disordini. Commandiamo in vigore della presente pubblica Grida che nel termine di tre giorni dopo la publicazione della medesima debbino sortire da questa Città e Stato senza più introdursi tutti li mendichi, questuanti, vagabondi, scrocchi e gente che non hanno impiego, tanto forestieri che abitanti da qualche tempo in qua in questa Città e Stato, sotto pena di tre tratti di corda o galera, inclusivamente a gl’uomini, ed alle donne e fanciulli della frusta od altra arbitraria a S.A.S. Incaricando per tanto a gl’Ufficiali e Giusdicenti de’ luoghi di questo Stato sì mediati che immediati d’usare ogni esatezza e diligenza, acciò non s’introduca simile sorte di gente, o introdotta sia trattenuta e catturata, dandocene parte per farli subire la pena sodetta; commandando altresì a Gabellieri e Guardie delle porte di questa Città ogni diligente e ben particolare vigilanza per impedirli l’ingresso sì a questi che saranno cacciati che a qualsivoglia altro volesse introdursi, sotto pena alli detti Postieri e Guardie in caso di trasgressione reale e corporale ad arbitrio di S.A.S., da essere irremissibilmente eseguita. E perchè a poveri del paese pare conveniente l’agiutarli o sovenirli, si avisa, anzi si commanda, debbino portarsi da Noi o dal nostro Secretaro od altro deputato, il quale accompagnarà li medemmi con un viglietto di tolleranza ed un segno, senza de’ quali non potranno in alcuna forma questuare, nÈ esser tolerati nonostante qualsivoglia prova o giustificazione avessero che fossero del paese, se non hanno la fede del Paroco confirmata da’ Consoli del luogo, anzi saranno sogetti alla stessa pena de gl’altri. Volendo che sia da tutti indistintamente et inviolabilmente osservata la presente e da Noi soli venga ricercata la dichiarazione od interpretazione ed avanti di Noi presentati li ricapiti e prove che siano del paese. Ed in oltre sapendo che l’interesse privato molte volte apporta danno di considerazione al publico, perciò con la presente prohibiamo ad ogni persona di qualsisia stato, grado e condizione e particolarmente alli hosti et altri che tengono camere di locanda o fanno bettolini et altre taverne e simili l’alloggiare o dar ricetto a tale sorte di gente forastiera o che non habbiano li ricapiti sopra detti sotto pena d’una doppia per testa, e per ogni volta da applicarsi un terzo all’accusatore o stipendiati e gli altri due terzi alla Ducal Camera. E per levare ogni scusa d’ignoranza ordiniamo et espressamente commandiamo di tener sempre affissa nelle loro habitazioni e dove sogliono affiggere altri Ordini una copia delle presenti Gride stampata sotto la pena stessa, dovendo nel termine di tre giorni dopo la publicazione della medemma esserne provisti. Essendovi altresì molte persone private che sotto varii pretesti, anche senza mercede nè emolumento alcuno, danno ricetto et alloggio sopra le loro cassine, stalle e luoghi simili, principalmente nell’Ala, perciò prohibiamo assolutamente l’alloggiarli, nè darli ricetto alcuno, quando non abbiano il segno e viglietto, sotto la medemma pena come sopra ed in mancanza della doppia di pena corporale arbitraria a S.A.S., avertendo di più che catturandosi quei mendichi forastieri o senza segni e nell’esame deponendo con loro giuramento il luogo e chi li averà alloggiati o dato ricetto, che si starà al detto loro giuramento e si procederà virilmente contro li transgressori per le pene sopra nominate. Ordinando per fine al Bargello e suoi Balestrieri d’invigilare all’adempimento di quanto sopra, coll’osservare se saranno affisse le copie delle presenti ne’ luoghi già detti e se vedranno mendicanti senza li dovuti segni e ricapiti commandandosi adesso per all’ora di darne parte a Noi od al nostro Secretaro per poter procedere nelle multe ed in caso di contravenzione sotto pena di carcere, privazione dell’uffitio ed altra maggiore ad arbitrio come sopra. (...) Datum in Casale li 2 ottobre 1702 Giulio Cesare Balliani Presidente Guido Avellani Conservatore Carlo Guglielmo Miroglio Conservatore Luiggi Dalla Valle Conservatore Romoaldo Bussa Secretario" I provvedimenti dei Savoia Nel libro IV al titolo XXXIV delle "Loix et Constitutions" pubblicate a Torino nel 1729 e comprendenti una specie di summa legislativa ad uso dello Stato sabaudo, il capitolo XV si intitola espressamente "Degli oziosi, vagabondi e zingani". Vi compaiono poche disposizioni di tono deciso, ad evitare malintesi. Innanzitutto viene riportato l’editto della Reggente Maria Giovanna Battista (1675) in base al quale "non potrà veruno de’ zingani e vagabondi sì maschi che femmine tanto de’ Nostri Stati che d’alieno dominio entrar ed introdursi sotto qualunque pretesto ne’ Nostri Stati". L’ordine prosegue stabilendo le pene da comminarsi ai contravventori: "quanto agli uomini che saranno maggiori d’anni venti della galera per anni dieci e d’anni cinque se saranno maggiori di dieciotto e minori di venti, e quanto alle donne maggiori d’anni venti della pubblica fustigazione, ed essendo minori di dieciotto o sieno maschi o sieno femmine per la prima volta si discaccieranno colla comminazione della detta pena, la quale in caso di recidiva dovrà anche contro di essi esequirsi". Per una corretta interpretazione del provvedimento si offre anche la definizione di "zingani e vagabondi": "S’avranno per zingani e vagabondi tutti quelli che sani e robusti senza beni stabili e sufficienti al loro mantenimento e senza esercizio di professione andranno vagando, o che si troveranno aver appresso di loro grimaldelli o chiavi false, ovvero scarpelli e ferri simili, o che si fingeranno storpiati o ciechi, eziandio che non andasserro questuando". Viene qui dunque distinto il caso dei mendicanti validi –puniti dal provvedimento– da quelli invalidi, dei quali nulla si dice; è evidente che nella definizione di cui sopra sono compresi tutti i vagabondi malintenzionati. Il termine "zingano" non sembra avere molta attinenza con il popolo nomade di lontana ascendenza indoeuropea: il termine si confonde con quello di "vagabondo" e non resta una chiara sua specificazione. I Savoia per la verità avevano affrontato legislativamente il problema della mendicità. Nel 1628 Carlo Emanuele aveva emanato un ordine per la somministrazione del vitto necessario ai poveri di Torino con proibizione di mendicarvi. Ancor prima, nel 1587, era stato eretto l’"Albergo di virtù" con il fine di raccogliervi tutti i poveri mendicanti invalidi della capitale piemontese. Risale invece al 1720, sotto il Re Vittorio Amedeo, una particolare innovazione avente per scopo l’estirpazione della mendicità, vera piaga sociale per quei tempi. Le Congregazioni di carità Conclusasi con una sebbene precaria pacificazione il conflitto tra francesi e austriaci e rinforzata la monarchia sabauda nei propri confini, la situazione sociale delle terre sotto dominio piemontese restava di una eccezionale gravità. Le incursioni decennali delle milizie regolari e mercenarie al soldo delle due grandi potenze, le conseguenti epidemie scoppiate tra il popolo ignaro, il gravosissimo carico fiscale imposto, dal Gonzaga prima e dal Savoia poi, per far fronte alle spese di guerra, la situazione precaria dell’agricoltura e dell’occupazione in campagna erano tutte cause che avevano portato con sè altre conseguenze nefaste: una di queste fu l’incremento del numero di mendicanti, molti dei quali provenienti dalle fila di qualche esercito e resisi disertori. Vittorio Amedeo II, che la Pace di Utrecht aveva dichiarato Re di Sicilia, intraprese quindi un’opera decisa per eliminare o almeno ridimensionare questo inconveniente. Con gli editti 6 agosto 1716 e i regolamenti 17 aprile 1717 e 20 luglio 1719 si prospettò l’istituzione di Congregazioni o Case di carità nelle principali città del Regno, prima fra tutte Torino. Con Lettere patenti del 27 settembre 1720 l’istituzione di tali Congregazioni venne estesa alle province di Acqui, Alba, Alessandria, Asti, Casale, Fossano, Ivrea, Mondovì, Nizza, Pinerolo, Saluzzo, Susa e Vercelli. Di conseguenza anche le piccole Comunità locali dovettero recepire la disposizione sovrana e si dovette procedere alla nomina delle locali Congregazioni di carità. Ecco la trascrizione del convocato 4 luglio 1722 con il quale la Comunità di Penango si disponeva a questa incombenza. "Millesettecentoventidue in giorno di sabbato li quatro del mese di luglio in Penanco nella Casa della Comunità. Convocato e congregato il Conseglio di questo luogo d’ordine di Noi infrascritto nodaro e Podestà e mediante la cittatione del messo secondo il solito. (...) Nel qual consiglio come sovra radunato quanto a quest’atto ad instanza del Molto Reverendo Padre Giovanni Agostino Magliani della Compagnia di Giesù destinato da S.S.R. Maestà per l’erretione delli Ospedali generali e Congregationi di Carità in tutti li suoi Stati, è stato proposto dal detto Molto Reverendo Padre essersi portato in questo luogo di Penanco d’ordine preciso di S.S.R. Maestà per l’erretione ed stabilimento d’una Congregatione di Carità, acciò venghi sbandita la mendicità e non si dii più luogo a’ poveri d’andar vagando d’un luogo all’altro, come è seguito per l’addietro con grave pregiudicio di molti d’essi, che non possono esser socorsi secondo la luoro indigenza e per non esser le elemosine ben distribuite e con buon ordine tanto a riguardo de’ poveri forastieri e vagabondi che delli veri poveri, che ne fanno abuso, oltre a molti altri inconvenienti che occorano alla giornata; e però aver esso Molto Reverendo Padre detto di esser spediente di far congregar il presente Consiglio, in cui ha presentato il sudetto Ordine di Sua Maestà delli 19 maggio 1717 contenuto nel libro stampato et intitolato La Mendicità sbandita, letto ad intelligenza di tutti, et in seguito a quanto resta espresso nel medesimo Editto doversi dal presente Consiglio far l’elletione de’ signori Dirrettori di questa Congregatione di Carità, avertendo di nominare persone idonee e quelle che saranno credute le più capaci e più affette al bene de’ poveri, acciò venghi prontamente adempita la mente di Sua Maestà; e così tutti li sodetti nobili Consoli e Consiglieri come sovra congregati unanimi e concordi, niuno di loro discrepante, sentita la lettura del sopra designato Ordine di Sua Maestà delli 19 maggio 1717 a piena luoro intelligenza e quello col dovutto onore e riverenza che si conviene ricevutto, si sono offerti prontissimi d’ubedirvi, et in esegutione fatti li dovuti riflessi sopra tutti li particolari del presente luogo di Penanco, Ciocaro e Patro che ponno essser li più proprii per detti uffitii, et conferta prima col detto Molto Reverendo Padre le qualità che in essi devono concorrere e doppo un diligente esamme hanno eletto e nominato, come ellegono e nominano in Direttori di detta Congregatione doppo li Direttori d’uffizii perpetui già nominati da Sua Maestà, che sono l’illustrissimo sognor Marchese Francesco Mossi feudatario di questo luogo, il signor Podestà et uno de’ signori Sindici a vicenda, li M. Reverendi signor don Giovanni Domenico Ferraris Rettore di questo luogo, il M.R. don Andrea Ferraris qui per Penanco e messer Francesco Caviglia e messer Agostino Corzino; per Ciocaro il Molto Reverendo signor Capellano pro tempore, il signor Alfiere Agostino Cornachia, messer Carlo Giuseppe Firato et Antonio Francesco Oddone; per Patro il Molto Reverendo signor Capellano pro tempore, il Sargente Federico Re e messer Domenico Chiesa, a’ quali il Conseglio manda intimarsi l’ellettione e nomina fatta nelle luoro persone di Direttori di questa Congregatione di Carità, li quali si pregano di adempiere con l’attentione possibile al luoro obligo conforme dispongano dette Reggie Instruzioni, acciò sortisca intieramente il suo effetto un opera sì degna a magior gloria di Dio e bene de’ suoi poveri e venghino in conseguenza pienamente adempite le pie e rettissime intentioni della Maestà Sua". La formazione delle Congregazioni di carità, se da un lato costituivano una lodevole iniziativa, all’atto pratico non dovettero sortire risultati troppo lusinghieri: venivano sussidiati come si potevano le persone indigenti prive di qualsiasi mezzo di sussistenza, ma nulla o ben poco si poteva fare contro il dilagare della mendicità volontaria, praticata dai cosiddetti "oziosi", persone dalla condotta di vita poco chiara e dalle ancora meno limpide intenzioni. Ecco allora che si moltiplicano i provvedimenti di polizia nei confronti di questi individui. "D. Corrado Assinari Conte di Cartos de’ Primi Scudieri e Gentiluomo di Camera di S.M., Brigadiere nelle sue Armate e Governatore della Città di Casale e Ducato dell’Alto e Basso Monferrato Ad effetto di proccurare col mantenimento del buon ordine la pubblica tranquilità restando opportuno di rendere nuovamente pubblici li provvedimenti che ad un tal fine sono diretti, onde non possa veruno pretenderne ignoranza, e vengano essi da ciascuno per quanto gli spetta eseguiti, abbiamo pertanto in adempimento delle Regie determinazioni ordinato come ordiniamo osservarsi nella Città di Casale e sua Provincia quanto segue infra. (...) 7. Capitando nelle osterie, cabaretti, locande e cafè disertori, banditi, oziosi e vagabondi, persone ssopette in genere di furti o di vita disonesta od altri malviventi, dovrà in tali casi ogni oste, cabarettiere, locandiere e padrone immediatamente darne avviso al Governo, perchè li possa arrestare e consegnare al suo Giudice competente per l’opportuno procedimento e gastigo, sotto pena in caso di ommessione di un tale avviso di essere cadun di loro anche sul campo arrestato e rimesso pure al suo Giudice compettente per il dovuto procedimento e gastigo; e rispetto alle terre della Provincia dovrassi un tale avviso per l’anzidetto fine recare al Giusdicente, sotto la medesima pena. (...) Casale, li 20 dicembre 1768" "D. Carlo Felice Faussone Brigadiere di Fanteria nelle Armate di S.M., Cavaliere della Sacra Religione ed Ordine Militare de’ SS. Maurizio e Lazaro, Governatore del Castello di Casale e Comandante d’essa Città e del Ducato di Monferrato (...) 7. Ricordiamo a’ Sindaci e Consiglieri della Città e Comunità, agli osti, locandieri, cabarattieri, barcaiuoli, portolani e ad altro chiunque cui spetti l’obbligo che loro corre di osservare esattamente il prescritto (...) delle Regie Costituzioni e del Regio Manifesto Senatorio lelli 19 settembre 1772 intorno alla proibizione di dare ricovero, alimenti o altra assistenza ai banditi, disertori, oziosi, vagabondi, mendicanti validi od altri malfattori o persone sospette, come anche l’incarico ch’essi hanno di dover denunciarli e procurarne l’arresto. (...) Casale, 1 gennaio 1777" L’amministrazione francese Con l’istituzione dei governi filofrancesi in Piemonte negli anni 1798 e 1800 sembrò che dovessero prendersi provvedimenti drastici e direi rivoluzionari nell’ambito di tutte le branche dell’amministrazione e quindi anche per ciò che concerneva la sicurezza sociale e l’assistenza ai poveri. Invero leggiamo nel volume 3 del "Recueil raisonné des principales fonctions, devoirs et attributions des Administrateurs des Communes et des Hospices à l’usage de Messieurs les Maires, Adjoints, Conseils municipaux ... par Joseph Crivelli", Verceil 1806, chez Felix Ceretti: "(...) Malgrado tutta la vigilanza del Governo e le sue buone intenzioni, la mendicità continua ad esistere e non c’è uniformità nelle misure repressive. La cattiva distribuzione dei soccorsi fatta da parte degli uffici di beneficenza e la scarsa cura delle autorità costituite sono la causa dell’esistenza della mendicità. Ma le circostanze muteranno e vi è speranza che il Governo vi provvederà. (...)" La provvidenza più necessaria sembra essere in questi anni la costituzione di uno stabile ricovero di mendicità in Alessandria, capoluogo del Dipartimento di Marengo. Nell’attesa che ciò divenga realtà si adottano provvedimenti contingenti. "Decreto del Prefetto di Marengo Finché non sarà istituito nel Dipartimento un ricovero generale in grado di accogliere tutti i mendicanti validi ed invalidi, vagabondi e persone prive di scrupoli di qualsiasi sesso od età, è giusto che ciascuna Comunità sia incaricata di sorvegliare e mantenere gli accattoni che ne fanno parte. La mendicità ed il vagabondaggio a lungo andare conducono alla malvivenza. [Si impone all’Autorità politica di richiamare presso ciascuna Comunità tutti i vagabondi che vi sono nati] Sono definiti mendicanti e vagabondi tutti gli individui validi che domandano pubblicamente l’elemosina. [I Maires due giorni dopo l’arrivo in patria dei mendicanti dovranno comunicare alla Prefettura il loro stato nominativo con le provvigioni che riterranno opportune sui mezzi da usarsi per sorvegliare, far lavorare e mantenere tali individui] Alessandria, 4 novembre 1806 Prefetto Robert" Risale al 5 luglio 1808 il decreto di Napoleone sull’estirpazione della mendicità. Si tratta di misure assai radicali, che portano alla reclusione coattiva nei ricoveri di mendicità: peccato che queste istituzioni non siano state costituite se non in pochissime sedi! "Art. 1 La mendicità sarà proibita in tutto il territorio dell’Impero. Art. 2 I mendicanti di ogni Dipartimento saranno arrestati e tradotti nei ricoveri di mendicità del proprio Dipartimento, allorché tale ricovero sarà costituito e si saranno sbrigate le formalità dette più avanti. Art. 3 Nei 15 giorni successivi alla costituzione e all’organizzazione di ciascun ricovero di mendicità, il Prefetto del Dipartimento renderà noto tramite manifesto che tale ricovero è stato costituito ed organizzato e tutti i mendicanti e i privi di mezzi di sussistenza saranno tenuti a recarvisi. Tale avviso sarà ripetuto in tutti i Comuni del Dipartimento per tre domeniche consecutive. Art. 4 A far data dalla terza pubblicazione chiunque sarà trovato a mendicare nel detto Dipartimento sarà arrestato per ordine dell’Autorità locale e per mano della Gendarmeria o di altra Forza armata. Egli verrà senz’altro tradotto al ricovero di mendicità. Art. 5 I mendicanti vagabondi saranno arrestati e condotti in carcere". Finalmente anche nel Dipartimento di Marengo si decide di aprire una di queste case di accoglienza (che poco dovevano avere da invidiare ad un carcere, secondo le testimonianze di visitatori ed ospiti dell’epoca) "Decreto del Prefetto del Dip. di Marengo, Cossé–Brissac Alessandria, 19 ottobre 1811 1 Il ricovero di mendicità del Dip. di Marengo verrà aperto il 15 del prossimo mese di novembre. 2 In conseguenza di ciò tutti gli individui che si danno alla mendicità nel territorio del Dip. di Marengo saranno tenuti a presentarsi avanti al Sottoprefetto dei loro Circondari per quanto riguarda i Circondari di Asti e Casale e avanti Noi per il Circondario di Alessandria, al fine di formalizzare la loro domanda di ammissione al ricovero (...) 3 Dopo la terza e ultima pubblicazione del presente decreto ogni individuo che si dedichi alla mendicità nel territorio del Dipartimento verrà arrestato, sia tramite gli Ufficiali di polizia sia tramite la Gendarmeria o altra forza armata, e condotto alle carceri del Circondario, per esservi poi, se del caso, trasferito al ricovero. 4 Tutti i mendicanti portati al ricovero, vi saranno trattenuti in forza di una decisione del Sottoprefetto che constati la situazione di mendicante: vi saranno trattenuti fino a che si saranno resi abili a guadagnarsi da vivere col lavoro, o almeno per un anno. (...)" Gli anni della Restaurazione Tramontato l’astro napoleonico si ritorna all’amministrazione sabauda, come se nulla in questi venti anni fosse cambiato. L’ordine del Barone Giuseppe Galante, Comandante del Castello di Casale ed interinalmente della Città e del Ducato di Monferrato, riprende il 27 dicembre 1815 tale e quale le disposizioni emanate nel 1777 dal Governatore Faussone. Dieci anni più tardi il problema della mendicità viene affrontato dal nuovo Governatore generale della Divisione di Alessandria, il terribile Galateri. "Conte Don Gabriele Galateri di Genola Generale di Cavalleria, Cav. dell’Ordine supremo della Santissima Nunciata, Gran Croce insignito del Gran Cordone dell’Ordine Militare de’ SS. Maurizio e Lazzaro, Cavaliere degli Ordini Russi di S. Anna di I Classe, di S. Giorgio di IV Classe, Commendatore di S. Leopoldo d’Austria, di S. Waldimiro di Russia, Cav. della Spada di Svezia, Cav. onorario di S. Gioanni di Gerusalemme, della Sciabola d’oro guarnita di brillanti coll’iscrizione "Al Valore", della medaglia del 1812 di Russia e di quella per l’entrata in Parigi delle Truppe Imperiali nel 1814, Governatore generale della Divisione di Alessandria Manifesto del R. Governo della Divisione di Alessandria per mantenere il buon ordine", 1 gennaio (...) Art. 16 Saranno pure considerati come oziosi e vagabondi, suscettibili d’arresto e di traduzione avanti le autorità competenti quei mendicanti validi che sotto vari pretesti vanno girando i paesi fuori della loro patria, senza carte giustificative delle loro qualità personali e degli allegati motivi dell’espatrio" Nel manifesto del 1 aprile 1826 si ripetono pressoché le stesse disposizioni, ponendo finalmente una chiara distinzione tra i mendicanti invalidi e quelli validi, assai più pericolosi per la sicurezza pubblica. Per gli invalidi, le classiche "ligere" di nostra memoria, viene addirittura istituito –meraviglie della burocrazia – un certificato che autorizza a praticare la mendicità. "Art. 16 Ai poveri di stato estero, siano abili che inabili al lavoro, non dovrà essere permesso di questuare, ed anche muniti di carte regolari saranno diertti alla frontiera la più vicina per rientrare nel rispettivo loro Stato. Fra i Regi sudditi non dovranno essere tollerati, ma saranno espulsi dal territorio d’ogni comune e diretti alla lor patria i mendicanti validi che non ne sono nativi o domiciliati. Per questi ultimi, cioè nativi o domiciliati, sarà speciale cura de’ Signori Sindaci d’eccitarli a darsi a stabile lavoro, procurando di somministrarne loro, per quanto sarà possibile, l’occasione ed i mezzi: salvo poi a comprenderli nelle note trimestrali degli oziosi e vagabondi, qualora continuassero a tenere la stessa biasimevole condotta. Art. 17 I mendicanti invalidi, cioè quelli che o per età o per infermità non sono suscettibili di procacciarsi la necessaria sussistenza, è loro permesso di percorrere tutta la Provincia, con che però siano muniti di Certificato di buona condotta. Appartenendo ad altra Provincia, essi dovranno essere diretti al loro paese nel modo stabilito dalla vigenti Istruzioni. Non è permesso ai mendicanti di esporre alla pubblica vista, per eccitare la commiserazione, delle nudità, piaghe o deformità ributanti. Sarà sempre proibito a chiunque di questuare dopo il tramontare del sole e chiedere l’elemosina usando minaccie espresse o pagliate sotto termini di disperazione o simili. È vietato ai padri e alle madri non meno che agli altri parenti di far domandare l’elemosina dai figliuoli in tenera età. È pure difeso di mendicare nelle Chiese. Così nel "Manifesto ..." del 1 gennaio 1830 "(...) Art. 25, par. 2 Gli accattoni di estero dominio ed anche in abito o con altre esteriorità da pellegrini saranno sfrattati ed avviati alla frontiera con diffidamento che ritornandovi verranno arrestati e condannati (...)". Poco o nulla d’invariato in quello del 1 gennaio 1836 "(...) Art. 24 Negli Uffizi di Polizia di ogni città e Comune si aprirà un registro in cui dovranno essere inscritti ogni sorta di mendicanti. Quelli che non apparterranno al luogo dove verranno ritrovati questuando ne saranno immediatamente espulsi e diretti nella rispettiva patria. È proibito ai nullatenenti senz’arte o mestiere, ai così detti zingari ed agli accattoni d’introdursi ne’ Regi Stati se stranieri e di uscire dalla propria provincia se nazionali. Ai zingari poi è specialmente proibito di andare attorno in tale qualità, denominazione e professione anche nella propria Provincia. I poveri per poter liberamente circolare fuori del luogo nativo nella propria Provincia dovranno giustificare della loro patria e mediante certificato di buona condotta rilasciato dal Sindaco e vidimato dal Giusdicente e dal Comandante della Stazione locale dei Carabinieri Reali od in difetto della più prossima, e gl’invalidi dovranno inoltre per accattare essere muniti di un attestato del Parroco, vidimato dal Sindaco, pel quale consti della loro povertà e che non hanno potuto essere ricoverati negli Spedali od altrimenti, nè essere soccorsi nel luogo di nascita. Negli anni ‘40 il Barone Righini, successore di Galateri, riconferma i provvedimenti, con qualche attenuazione. Dalla Regia Segreteria di Stato Il 12 novembre 1831, nell’ambito della più generale politica sociale del nuovo re Carlo Alberto, era stata frattanto inviata alle autorità locali una circolare firmata dal Primo Segretario di Stato per gli Affari interni, De l’Escarène. Nella missiva, scritta nell’ampolloso stile del tempo, traspare tutto il paternalismo albertino nei confronti di quella parte di sudditi più disagiati, che se da un lato sono trattati da "poverelli", dall’altro restano circondati da un’aura di pesante sospetto. "I Re ha ordinati non è guari alcuni provvedimenti, pe’ quali, se non tolti affatto dal tristo mestiere dell’andare attorno i vagabondi, gli oziosi, e gli accattoni atti a lavorare, ne sarà tutt’almanco diminuito d’assai il numero. E l’opportunità di così fatti provvedimenti sarà agevolmente sentita da chiunque ponga mente ai danni gravissimi, che vengono agli Stati da cotal sorta di gente, ed alla necessità in cui trovasi di presente il Governo di avvisare a tutti i mezzi, che sono in poter suo, onde preservare questi Stati dal flagello, che imperversa in Europa, o farne al peggio andare minori i danni. Ma se per una parte non è giammai soverchia la severità con simil razza di gente, che, immersa in ogni genere di vizi, pretende di vivere scioperata, e logorare impunemente e senza fatica il pane dei veri poveri; gli è per l’altra evidente che i veri poveri, coloro i quali cioè o non possono lavorare, o potendolo non trovano impiego alle loro braccia, sono meritevoli di compassione, ed hanno diritto di essere pietosamente assistiti, e sollevati nelle loro angustie. Il Re vorrebbe, e ben di buon grado il farebbe se fosse possibile, a tutti indistintamente porgere la benefica sua mano; ma S. M. ha dovuto restringersi ad adoprare con tutti gli spedienti che sono in facoltà di un Principe generoso, caritatevole, e cristiano; e se i buoni suoi Sudditi non si assoziano in questa virtuosa bisogna alle sue sollecitudini, non potrà certamente avere intiero e compiuto effetto l’ardente suo desiderio di assistere, e di sollevare i veri poveri. (...)" Al termine di tutto questo preambolo, di cui ho conservato la forma e la punteggiatura originale, il Ministro autorizzava Comuni e ospizi ad "incontrare eziandio qualche debito onde soccorrere con saggia moderazione i loro indigenti; avvertendo peraltro di farne prima una specifica domanda a questa Regia Segreteria di Stato". Un fatto di povertà locale L’8 agosto 1838 il Maggiore Generale De Asarta, Comandante della Città, Castello e Provincia di Casale (autorità massima di P.S. in provincia) domanda al Sindaco di Penango informazioni sulla condotta morale di un certo Verdino "giornaliere nella borgata o cassine denominate Cioccaro", in territorio del Comune di Penango. Il 12 agosto risponde il Sindaco Pietro Minoglio, confermando lo stato di assoluta povertà della famiglia in questione; addirittura egli giunge se non a giustificare almeno a comprendere le azioni poco legali che il Verdino, e tanti altri come lui, compivano per soddisfare ai bisogni essenziali della famiglia: "Mi risulta non aver egli una condotta rimarchevolmente cattiva. Egli è pover uomo con moglie e figli, vive colla mercede delle sue giornagliere fatiche e, quando gli manca il lavoro, mendicando. Non avvi chi gli possa imputar né furti né altre cattive azioni, se non che come purtroppo è generale abuso fra i giornalieri e poveri va facendo qualche taglio di legna attorno alle altrui ripe." Altre disposizioni Il Re Carlo Alberto con Regie Patenti del 29 novembre 1836 proibiva intanto l’esercizio della questua "nelle Provincie nelle quali è stabilito un Ricovero di Mendicità". Con Regio Decreto del 23 aprile 1851 veniva autorizzata l’apertura di un "Ricovero per li poveri accattoni della Città e Provincia di Casale dell’uno e dell’altro sesso, nati e residenti nella provincia medesima". Il nuovo Codice penale trattava da parte sua in modo molto deciso la questione dei mendicanti e girovaghi. "456. Niuno potrà andare pubblicamente questuando se non conformandosi alle leggi ed ai regolamenti, sotto pena del carcere estensibile ad un mese. Ove si tratti di mendicante valido ed abituale la pena del carcere potrà estendersi a tre mesi, e se fosse arrestato questuando fuori della Provincia di sua dimora sarà punito col carcere da due a sei mesi. 1 I mendicanti validi che accatteranno riuniti, seppure non sia il marito e la moglie, il padre o la madre coi loro fanciulli, saranno puniti colla pena del carcere da tre mesi ad un anno. 2 Colla stessa pena da tre mesi ad un anno saranno puniti i mendicanti sì validi che invalidi, i quali questuando avranno fatti insulti od usate minaccie, od avranno proferite ingiurie, o saranno entrati senza permissione del proprietario o delle persone di casa in una abitazione od in un recinto che ne faccia parte; o fingeranno piaghe od infermità". Tanto per non lasciare possibilità di equivoco si davano anche le definizioni essenziali delle categorie di persone contemplate negli articoli citati. Vagabondo è chi non ha né domicilio certo, né mezzi di sussistenza e non esercitano attualmente alcun mestiere o professione; appartengono invece alla classe degli oziosi tutti coloro che, sani e robusti e non provveduti di sufficienti mezzi di sussistenza, vivono senza esercitare professione, arte o mestiere e senza darsi al lavoro. Sono poi assimilati ai vagabondi gli individui che vagano da un luogo all’altro affettando l’esercizio di una professione o di un mestiere non sufficiente per procurare loro la sussistenza, nonchè coloro che fanno il mestiere d’indovinare, pronosticare o spiegar sogni per ritrarre guadagno dall’altrui credulità. Il Ricovero di mendicità eretto in Casale Monferrato Il Ricovero di cui si parlava da almeno mezzo secolo venne finalmente aperto a Casale il 15 giugno 1852 e quattro anni dopo l’Intendente Visone emanava un decreto in cui si legge: "Saranno arrestati tutti li mendicanti sì validi che invalidi, che verranno sorpresi questuando tanto per le vie, che per le scale o per altri luoghi pubblici, sia di questa Città, che dei Comuni dipendenti da questa Provincia, e si provvederà a loro riguardo a termini di legge. (...)" L’Ospizio di Carità era sorto fin dalla metà del secolo XVIII sull’attuale piazza Cesare Battisti (piazza della Posta), in borgo Ala, in seguito al lascito del sacerdote Evasio Andrea Nigris. La Congregazione della Misericordia, "che da più di due secoli si occupava dell’assistenza sociale" in Casale, curò la costruzione dell’edificio. A compilare il progetto di quest’importante opera fu chiamato l’architetto Bernardo Antonio Vittone, che affidò la realizzazione pratica al capomastro Zanetti. L’Ospizio venne inaugurato nel 1744. Le vicende di fine secolo portarono poi alla sua chiusura, con conseguente aggravamento della situazione di disagio sociale per il Monferrato, ormai privo di un luogo in cui "sbandire la mendicità". Ecco quindi che l’istituzione del nuovo Ricovero di Mendicità nel palazzo dell’antico Ospizio fu vista come una vera provvidenza a favore della popolazione più disagiata ed anziana; era retto da una Commissione amministrativa composta da un Presidente, sei membri di nomina municipale, sette eletti dai soci azionisti ed un segretario. Negli annuali "conti morali" resi dal Presidente della Commissione all’adunanza generale dei soci azionisti viene sempre evidenziata la difficoltà incontrata dall’istituzione nel suo primo decennio di attività, non disgiunta dalla speranza nel futuro (e nelle rare ma cospicue elargizioni dei filantropi monferrini). Ciò che anche preoccupa l’amministrazione è l’enorme numero di indigenti che vorrebbero –e a rigor di legge dovrebbero– essere accettati dal Ricovero: "I poveri vi accorrono, è vero: tutti qui convengono da ogni parte della Provincia; ma si possono forse tutti accogliere? Impossibile nelle angustie presenti: e quante volte dovettero lasciarsi inesaudite le domande di tanti sventurati che invocavano il benefizio d’un posto in questo recinto?" La quota pagata inizialmente per ogni ricoverato era di 200 lire annue, troppo esigua per poter garantire vitto e alloggio adeguati: dal 1864 passerà infatti a 250 lire. Il bilancio della gestione 1863 è comunque in discreto attivo. È merito anche delle donazioni pervenute da personaggi noti ed autorevoli quale il Vescovo Luigi Nazari di Calabiana fino a persone del popolo minuto che non dimenticano di beneficare chi versa nell’indigenza: una certa Teresa Biginelli, già persona di servizio della ricca signora Camilla Locco vedova Raiteri "seguendo forse le pie inspirazioni della padrona, disponeva che sul peculio da lei ammassato in vita co’ suoi lavori, venisse pagata al Ricovero la somma di lire 500". La triste morte di una "ligera" Nonostante la presenza attiva del Ricovero casalese sempre frequenti sono i casi di vagabondaggio. Negli Atti di morte della Parrocchia di Penango San Grato, volume dell’anno 1858, si trova una toccante testimonianza di quale fosse ancora la situazione dei girovaghi, nonostante i provvedimenti dell’Autorità in loro favore. "L’anno del Signore milleottocentocinquantotto ed alli quindici del mese di aprile nella Parrocchia di San Grato, Comune di Penango è stata fatta la seguente dichiarazione di decesso. Il giorno quindici del mese di aprile alle ore tre pomeridiane circa nel distretto di questa Parrocchia, casa Cima, è morto Raiteri Giuseppe di anni trentanove, di professione accattone, nativo del Comune di Penango, girovago, vedovo in prime nozze di Chiara Bossotto, figlio del fu Stefano Raiteri e della fu Anna Maria Micco. Il cadavere è stato sepolto il giorno diciasette del mese di aprile nel cimitero di questa Parrocchia". Negli anni precedenti sempre nello stesso Comune si erano verificate almeno altre quattro decessi di accattoni nati nella zona ma ridottisi ad andare "agli usci" per procurarsi il sostentamento. Nel dicembre 1840 erano morti infatti Domenico Antoniotti, settantunenne, e la vedova Francesca Cavallo, sessantaseienne, nativa di Vignale. L’anno successivo, il diciotto febbraio, aveva perduto la vita, raccolto per carità in casa Minotti a Penango, Francesco Terzoli, nativo di Incisa e privo di domicilio stabile. Nel mese di aprile 1853, invece, era deceduta "Lucia Ponti nata Anselmi", di anni "sessanta incirca", nativa di Moncalvo, di professione "accattonessa". "Una donna (...) meschinamente vestita" Se le "ligere" di cui si è fatto cenno possedevano almeno un’identità che ne permise l’identificazione estrema, fatto ben più triste accadde, sempre a Penango, nell’agosto 1881. Si rinvenne difatti il cadavere di una mendicante del cui nome mai nulla si seppe; alla tristezza della condizione errabonda si aggiunge qui l’impossibilità di poter concludere anche civilmente un’esistenza di certo cominciata nel segno della sventura. "L’anno milleottocentoottantuno e verso le ore tre pomeridiane del giorno diciasette del corrente mese di luglio, è stato riferito al Sindaco sottoscritto che nella frazione Cioccaro ed in un prato sito nella regione Peschiera San Giorgio, trovavasi un cadavere di sesso femminile. Recatosi immantinente sulla località indicata, per l’accertamento del fatto, rinvenne infatti il cadavere colle seguenti distinzioni, cioè: una donna vecchia, dell’età dai sessanta ai sessantacinque anni, di corporatura robusta, statura metri 1,55, naso grosso, bocca larga, capelli radi, ciglia griggie, sopraciglia griggie, meschinamente vestita, di professione mendicante, e per segno particolare un siro sulla mammella sinistra. In capo al cadavere non furono rinvenuti né carte, né altri oggetti fuorché piccoli cenci; e nessun’altra indicazione che potesse accertare la personalità del cadavere. Dalla voce pubblica pare che la defunta mendicante sia una trovatella provveniente dall’ospizio di Alessandria. La relazione del Sanitario che accertava la morte per insolazione venne trasmessa d’ufficio alla Regia Pretura del Mandamento di Tonco; ed il tutto è stato fatto alla presenza dei Reali Carabinieri (...)". Il Ricovero di Mendicità di Casale alla fine del secolo scorso Brutta disavventura per un mendicante Le disposizioni di legge in materia di repressione dell’accattonaggio erano nel secolo scorso particolarmente rigide. Ne è un esempio quanto accaduto ad un povero originario di Cioccaro che nel 1884 subì l’arresto –preventivo – di due settimane per essere stato trovato a Vignale mentre chiedeva "‘l toc", il classico tozzo di pane, che per quegli indigenti era già un considerevole segno di carità. Si tratta di Pietro Re, "delli furono Felice e Margherita Palena, surnomato Salabò, (...) privo di domicilio fisso, di anni 53, contadino, nullatenente, celibe, inalfabeto, impregiudicato". Costui era "stato sorpreso verso le ore 8 e mezza antimeridiane delli 15 novembre 1884 in Vignale mentre aveva accattati due tozzi di pane". L’accusa, fondata sugli articoli 72, 442 e 446 del Codice Penale e 613 del Codice di procedura penale allora vigenti, imponeva come misura di sicurezza nientemeno che la comparizione avanti il Pretore locale sotto scorta della forza pubblica. Per la verità il Pretore di Vignale, Mussio, pur riconoscendo la colpevolezza del "Salabò", ne ammise "a di lui favore il concorso di circostanze attenuanti": il magistrato ritenne quindi "bastantemente punito [l’imputato] col carcere fin qui sofferto di giorni quattordici". Prima di venire scarcerato però, il povero Re dovette subire l’ammonizione "di darsi immediatamente a stabile lavoro e di farne constare nel termine di giorni otto prossimi davanti all’Autorità politica amministrativa di Penango, dove tiene suo domicilio di origine, colla avvertenza inoltre di non allontanarsi senza previa partecipazione della Autorità medesima". Quale sommo tratto di grazia, il Pretore ordinò che l’indigente fosse rimesso "indilatamente in libertà, dove non si trovi per altra causa detenuto", con restituzione della somma di sessanta centesimi, avendo appurato che tale denaro non era provento di questua. Lettere di Autorità in materia di vagabondi e oziosi La presenza inquietante dei vagabondi per libera scelta, quasi sempre ladruncoli e qualche volta veri e propri delinquenti con pochissimi scrupoli, continua comunque a destare preoccupazione nei nostri paesi negli anni che portano verso la fine del secolo. Lettera del Sindaco f.f. di Tonco, Cantino, al Sindaco di Penango, 8 agosto 1871 "Il signor Sottoprefetto ha notificato al sottoscritto che si aggirano per queste contrade quattro vagabondi, invitandolo a far eseguire dalle guardie campestri e da altri inservienti del Comune le più accurate ricerche, di operare il fermo di qualsiasi persona sospetta che non possa dimostrare la sua identità personale e di presentarle al signor Pretore od alla stazione dei Reali Carabinieri più vicina. (...)" Circolare del Ministero dell’Interno ai Prefetti del Regno, 16 agosto 1872 "I signori Prefetti di Brescia, Milano, Pavia e Sondrio hanno recentemente lamentato che nelle rispettive provincie sieno capitate compagnie di zingari assai numerose, con donne e fanciulli, carri, cavalli, orsi e scimmie. Il Ministero va ad assumere opportune informazioni per sapere come siasi permesso a questa sorta di vagabondi di introdursi nel regno, mentre avrebbero dovuto essere respinti per quello stesso punto del confine pel quale sono entrati e per conoscere perchè in qualche luogo siansi anche muniti di visto i loro recapiti di viaggio. Gli zingari sono vagabondi nel senso esatto dell’art. 436 del codice penale, a termini degli art. 437, 439 dello stesso codice essi dovrebbero essere puniti col carcere ed espulsi dal regno; l’essere munito di passaporto regolare non li sottrae certamente alla applicazione della Legge. Gli zingari come è noto vanno apparentemente spiegando sogni e pronosticando l’avvenire e facendo piccoli lavori; ma in realtà vivono con la questua, col furto e con la frode, nelle città sono molesti, nelle campagne pericolosi, dovunque indecenti, non si può perciò ammettere che la loro industria abbia qualche utilità e non presti facile adito alla frode. (...) Per evitare spese e difficoltà sarà necessario che gli zingari sieno mandati al confine per mezzo delle ferrovie insieme ai loro carri e con gli animali che conducono seco. (...)" Circolare del Prefetto di Alessandria, Veglio, ai Sindaci, 22 novembre 1879 "(...) La neve è caduta: il verno è incominciato: il lavoro può mancare all’onesto lavoratore; contro il malvivente stia vigile l’occhio dell’autorità: la carità degli abbienti provveda agli infelici e dia loro lavoro e pane. Già colla mia lettera circolare n. 61 del 20 agosto scorso invitava i Municipi tutti a provvedere per la stagione jemale a quei lavori pubblici che potevano farsi in quel tempo (...) Sono certo che i proprietari obbliando un istante la gravezza dei tributi, i raccolti scemati dalle innondazioni, l mancato raccolto del formentone, la grandine devastatrice, troveranno nei loro provvidi risparmi il mezzo di far eseguire nella fredda stagione lavori di vanga e di zappa. Ma non basta: l’alto prezzo del pane e del formentone ed il mancato raccolto di questo prodotto nelle classi lavoratrici di terre reca miseria anche in chi dapprima poteva col suo lavoro sfuggirla. A costoro può in via eccezionale provvedere la carità di tutti. Penso quindi essere utile ed opportuno (...) che i signori Sindaci si adoperino fino d’ora a creare Comitati di soccorso in tutti i Comuni per venire in aiuto all’onseta povera gente, con danari, vestiti, generi di prima necessità, legna, ecc. (...)" Circolare del Sottoprefetto di Casale, 14 settembre 1891 "Allo scopo di prendere un provvedimento radicale per la repressione del vagabondaggio la Prefettura ha disposto un servizio di perlustrazione con una squadriglia di agenti di P.S. in borghese guidata da un funzionario di P.S. a partire dal 15 corrente. Tale squadriglia per dieci giorni consecutivi batterà la strada, i passi e i cascinali di questo Circondario, sorprendendo ed arrestando tutti i vagabondi e le persone sospette (...)" Circolare del Prefetto di Alessandria, Garroni, 22 marzo 1894 "Dacchè mi trovo a capo di questa Provincia ho dovuto constatare che la quantità di reati, specialmente i furti, commessi nelle borgate, nelle chiese e nelle campagne vanno attribuiti all’opera di sconosciuti, i quali percorrono il territorio in istato di vagabondaggio. Costoro transitano di cascinale in cascinale, di borgata in borgata chiedendo vitto e alloggio talvolta con prepotenza, ai proprietari, sussidi ai Municipi, i quali per evitare molestie, ed anche per timore di danni alle proprietà, concedono il dimandato, dubitando di una pronta azione di repressione (...)" Seguono varie raccomandazioni di attenersi alle vigenti disposizioni in materia di vagabondaggio. Circolare del Prefetto di Alessandria, Gloria, 10 luglio 1896 "È invalso l’uso per parte di taluni Sindaci di accordare piccoli sussidi a individui che si presentano nei Municipi a chiederli sotto pretesto di essere privi di mezzi, transitanti in cerca di lavoro, ma effettivamente vagabondi di professione i quali forniti di denaro dai comuni, trovano poi nutrimento ed alloggio nei cascinali. I signori Sindaci devono rammentare che questa è la vera piaga del vagabondaggio che deve stare a cuore di tutti di estirpare e che questo scopo non si raggiungerà mai finchè durerà la consuetudine di soccorrere immeritatamente chi del vagabondaggio ha fatto una professione ed un tenore di vita comodo e lucroso; e finchè persisterà l’uso di non respingere tali vagabondi per timore di danni che per vendetta si sospettano di arrecare. (...)" Nuove disposizioni di legge in materia di vagabondi Il 23 dicembre 1888 era intanto stata emanata la nuova Legge di pubblica sicurezza, che trattava dei mendicanti nel capitolo I del Titolo III significativamente denominato "Disposizioni relative alle classi pericolose alla società". Le "ligere" erano accomunate ai viandanti, ai liberati dal carcere, agli stranieri da espellere, agli ammoniti, ai condannati ala vigilanza speciale della pubblica sicurezza. Si ribadiva il divieto di esercitare l’accattonaggio per le vie delle città nelle quali fosse esistente un Ricovero di mendicità; qualora non esistesse tale istituzione, i mendicanti inabili a qualsiasi lavoro, privi di mezzi di sussistenza e di congiunti tenuti per legge al loro mantenimento dovevano inviati a cura del Comune nel più vicino Ricovero. A carico della Comunità restava inoltre la retta di mantenimento dell’indigente. Le disposizioni contenute nella Legge di P.S. erano informate dalle nuove norme del Codice penale del Regno d’Italia pubblicato il 22 novembre dello stesso anno, il cosiddetto "codice Zanardelli", dal nome del Ministro della Giustizia del tempo. Conclusione Mentre il secolo XIX volge al termine la situazione delle "ligere", dei poveri senza possibilità di redenzione sociale, degli invalidi che altro non possono se non darsi alla pubblica carità, in una parola, degli emarginati non è delle più rosee. Se è vero che qualcuno di essi riesce ad essere ospitato nel Ricovero di mendicità di Casale, è pur vero che sempre più difficile diventava per i Comuni l’accollarsi il pagamento della loro retta. Le campagne continuarono ad essere percorse per almeno altri cinquant’anni da un popolo di poveri disperati, per lo più inoffensivi, amanti del buon vino, in grado di accontentarsi anche del vinello di bassa gradazione, una specie di scarto che veniva destinato a dissetare i poveri. L’ultimo ricordo di questo articolo è dedicato ad una figura per tutte: lo "zio Pietro", che passava indimenticabili nottate a Santa Maria, vittima degli scherzi – un po’ troppo pesanti – dei buontemponi del paese. Nel suo sguardo è tutta la vita di questo personaggio, insieme con quella di tutti i suoi compagni di sventura: invidieranno essi il mondo che hanno dovuto lasciare, sogneranno di ritornarvi con maggior fortuna, o piuttosto non lo guarderanno con ironia e commiserazione, solo cercando la libertà che ha per tetto una notte stellata d’estate e la volta d’un fienile d’inverno? Lo "zio Pietro (foto Camandone) AMMINISTRATOTI E CONSIGLIERI COMUNALI DAL 1945 AL 1999 Lo scorso 13 giugno si sono svolte anche a Moncalvo, come in gran parte d'Italia, le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale. In occasione di tale importante avvenimento, fondamentale per l'amministrazione municipale e la vita civile della comunità moncalvese anche queste "Pagine" intendono proporre l'elenco completo degli amministratori che si sono succeduti a Moncalvo dalla Liberazione ad oggi. Oltre al nome del Sindaco, o comunque del Capo dell'amministrazione, sono riportati anche i nominativi degli Assessori (per le Giunte "provvisorie" seguite immediatamente al ripristino delle forme democratiche di gestione della cosa pubblica) e, dal 1946, quelli dei Consiglieri comunali, sia di maggioranza che di opposizione. Riteniamo che riproporre questo elenco sia utile soprattutto alle giovani generazioni che tanti nomi neppure conoscono, mentre per i "vecchi" moncalvesi sarà occasione per ricordare chi li ha rappresentati negli ultimi 55 anni. 1945: dal 20 aprile al 1° giugno COMMISSARIO PREFETTIZIO PROSIO Giovanni 1945: dal 1° giugno al 21 settembre SINDACO FIORINO Luigi con GIUNTA CLN: COGGIOLA Giuseppe Felice, FROSA Umberto, PRATO Luigi Giovanni, ROBERTO Francesco (dimissionario), AUDANO Bartolomeo, BAIANO Mario, 1945: dal 21 settembre al 25 ottobre COMMISSARIO PREFETTIZIO DOVANO Eletto 1945: dal 25 ottobre SINDACO ROTA Paolo con GIUNTA CLN: DELLAVALLE Alberto, AUDANO Bartolomeo (dimissionario), PROSIO Giovanni, BAIANO Mario, VIOLA Luigi, ROSMINO Edoardo Pasquale, BEVILACQUA Luigi, (subentrato) FIORINO Luigi (subentrato) dall'11 febbraio 1946 la GIUNTA CLN è composta da: Assessori: DELLAVALLE Alberto, BAIANO Mario, VIOLA Luigi, PROSIO Giovanni, ROSMINO Edoardo Pasquale, BEVILACQUA Luigi. Consultori frazionisti: ROBERTO Francesco, COPPO Giuseppe, PANATERO Bastiano, CROSTA Lorenzo, COGGIOLA Felice, SPINOGLIO Francesco, FIORINO Luigi. dal 19 marzo 1946 la GIUNTA CLN è composta da: VIOLA Luigi, PROSIO Giovanni, BEVILACQUA Luigi, BAIANO Mario, ROSMINO Edoardo Pasquale 1946: in seguito a regolari elezioni SINDACO Giovanni CAPRA CONSIGLIERI: BIANCO Angelo, GALLO Pietro, VIOLA Luigi, BROVERO Alberto, AVEZZANO Pier Luigi, ROBERTO Mario, MARGARINO Dario, FORNO Romualdo, DE ROSA Antonio, VARESE Emilio, DELLAROVERE Giuseppe, ARIANO Antonio, DONNA Emanuele, BECCARIS Giulio, ROTA Paolo, DELL'OSTA Emilio, ONORATO Cesare, COGGIOLA Felice, GUGLIELMONI MARTINETTI Antonietta 1951 SINDACO Evasio MARTINETTI, poi Eugenio LANFRANCONE CONSIGLIERI: LANFRANCONE Eugenio, CORNACCHIA Mario, CASALONE Dario Alberto, BAIANO Mario, IBERTIS Giovanni, CAPRA Giovanni, DEMARIA Lorenzo, FASSIO Giuseppe, FINARDI Rino, GAIA Mario, GALLO Pietro, ODDONE Beniamino, PROSIO Giovanni, REI Angelo, RIVA Luigi, SCAGLIONE Dante, TRINCHERO Giacomo, BARGERO Attilio, ROTA Paolo 1956 SINDACO Giuseppe BIANCO CONSIGLIERI: MICCO Umberto CORNACCHIA Mario LANFRANCONE Eugenio CAPRA Giovanni SORISIO Fernando CANTA Attilio CASALONE Dario Alberto BARALIS Luigi MINOLA Giuseppe DEMARIA Lorenzo CORNACCHIA Candido DE ROSA Antonio RIVA Luigi MARTINETTI Giuseppandrea BOTTERO Adelio VIALE Marcello PANATERO Bastiano Secondo COPPO Pietro CORRADO Lorenzo 1960 SINDACO Giuseppandrea MARTINETTI CONSIGLIERI: CORNACCHIA Mario LANFRANCONE Eugenio DE ROSA Antonio CASALONE Dario Alberto ETERNO Mario BACCHIELLA Pierino RIVA Luigi GALLO Francesco PANATERO Bastiano Secondo ROBERTO Alfredo NICOLOTTI Sergio MINOLA Giuseppe IBERTIS Giovanni ROSMINO Aldo BISSOLI Carlo ROTA Paolo RONCO Vincenzo BRIGNOLIO Francesco BACCHIELLA Celeste Enrico 1964 SINDACO Giuseppandrea MARTINETTI CONSIGLIERI: BACCHIELLA Pierino BISSOLI Carlo BRODA Francesco CANTINO Guglielmo CASALONE Dario Alberto CORNACCHIA Mario DE ROSA Antonio FARA Remo LUPANO Giovanni "Pierino" MICCO Umberto MINOLA Giuseppe MONTIGLIO Gioachino ODDONE Beniamino PANATERO Bastiano Secondo ROTA Paolo BRIGNOLIO Francesco VIALE Marcello SORISIO Vincenzo BERTANA Mario 1970 SINDACO Giuseppandrea MARTINETTI CONSIGLIERI: BRODA Francesco ALEMANO Marco BACCHIELLA Pierino CERRATO Pier Luigi DE ROSA Antonio MARZANO Lorenzo POLETTO Eugenio MINOLA Giuseppe PARMIGIANI Pier Luigi MANACORDA Ettore CANTINO Guglielmo VEGLIO Piero PANATERO Bastiano Secondo COPPO Romolo BISSOLI Carlo MICCO Umberto BRIGNOLIO Francesco LUPANO Giovanni "Pierino" BERTANA Mario 1975 Sindaco Umberto MICCO CONSIGLIERI: RONCO Vincenzo ANSELMO Mauro BRIGNOLIO Francesco LUSONA Paolo GENTILE BAIANO Rita BERTANA Mario ROBERTO Gaudenzio VIALE Marcello SPINOGLIO Walter CANTAMESSA Carlo RICCIO Antonio LUPANO Giovanni "Pierino" BERALDO Adriano NEGRO Luciano POMERO Bruno CORNACCHIA Mario BOSCO Giovanni MARTINETTI Giuseppandrea GALLO Vincenzo 1980 Sindaco Francesco BRIGNOLIO CONSIGLIERI: MICCO Umberto RONCO Vincenzo VIALE Marcello LUSONA Paolo RAVIOLA Livio BILETTA Remo ROBERTO Gaudenzio BAIANO Roberto BIANCO LEVRIN Gloria SPINOGLIO FEROTTI Maria SPINOGLIO Walter RICCIO Antonio NEGRO Luciano LAURELLA Roberto MARIANO Domenico FARA Aldo MARZANO Aldo PONZONE Renzo BODDA Mario 1985 Sindaco Giovanni VERRUA CONSIGLIERI: BOSCO Giovanni FARA Aldo GALLO Franco MARTINETTI Giuseppandrea ARDIZZONE Giovanni MARZANO DEMICHELIS Margherita SPIOTTA Giorgio ACCORNERO Fernando MACARIO Luigi FERRARIS RAMPONE Margherita GUARINO Mario ODDONE Pier Mario FRIGO Lino VEGLIO Piero RE Teresito MICCO Umberto BRIGNOLIO Francesco VIALE Marcello BAIANO Roberto 1990 Sindaco Giovanni VERRUA CONSIGLIERI: FARA Aldo BOSCO Giovanni BRUNORO Tiziano MARZANO DEMICHELIS Margherita GALLO Franco RIVA Giancarlo PROSIO Giuseppe ZUCCOLO Gianni MARTINETTI Giuseppandrea CABIALE Roberto ARDIZZONE Giovanni FERRARIS RAMPONE Margherita ACCORNERO Fernando GUARINO Mario ODDONE Pier Mario PIANA Giuseppe ZANLUNGO Secondo COGGIOLA Fabio BAIANO Roberto 1995 Sindaco Aldo FARA CONSIGLIERI ZANLUNGO Secondo BALDOVINO Piero VOLTA Luciano ALLEMANO Alessandro DEBERNARDI Patrizia PARMIGIANI Giuseppe STRONA Angela BARSANTI MICCO Letizia TRENTO Giancarlo FAROTTO Carlo CABIALE Roberto BRUNORO Tiziano ROSSI CASTELLANO Carla RONDI Marco ALEMANO Luciano PERACCHIO Luigi (dimissionario) DEMARIA Guido (surrogante) 1999 Sindaco Aldo FARA CONSIGLIERI CELLA Fabrizio BRAGHERO Luisella MUSUMECI Diego VACCHINA Massimiliano STRONA Angela VOLTA Luciano CABIALE Roberto BALDOVINO Piero ALLEMANO Alessandro ALESSIO Sergio COGGIOLA Fabio BRUNORO Tiziano ZONCA Mario ROSSI CASTELLANO Carla AMANTE Fabrizio VERCELLI Franco Antonio Barbato UN FURTO DI QUADRI DEL CACCIA (1924) Nella notte tra il primo e due settembre 1924 venne trafugato un quadro nella Chiesa Parrocchiale di San Francesco in Moncalvo. Fu un fatto che, per la sua gravità, interessò direttamente l'Amministrazione comunale che ne trattò e prese provvedimenti durante le riunioni di Giunta. Mi è parso interessante proporre alcune parti dei verbali conservati presso l'Archivio storico del Comune. Si diede incarico ad un detective. Il ritrovamento del quadro, avvolto in una tela cerata, avvenne in una panetteria di Milano di proprietà di un certo Vigorelli che senz'altro compì il delitto con la complicità di malavitosi locali. Il Sindaco propose anche la sospensione dello stipendio all'incaricato della sorveglianza per manifesta negligenza. Dal registro delle deliberazioni della Giunta del 1924. 15 novembre 1924. ... convocata la Giunta Municipale vi intervennero i Signori Caligaris Comm. Avv. Luigi, Sindaco Gavello Comm. Prof. Dott. Giuseppe Audisio Pietro Manacorda avv. notaio Filippo Sipollino Enrico Marletto Guido Pelazza Giuseppe, coll'assistenza ed opera del Segretario Comunale sottoscritto [Cerutti]. Il Signor Sindaco ricorda, come la Giunta è informata, che nella notte tra il primo e il due di settembre venne trafugato dalla Chiesa Parrocchiale di San Francesco il pregevolissimo quadro di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, rappresentante la Natività di San Giovanni Battista, dichiarato monumento nazionale. Mercè le attivi indagini espletate il quadro venne rinvenuto in Milano, presso una panetteria, dove già si trovava avvolto in tela cerata pronto la spedizione altrove. Il quadro che è in buonissime condizioni, trovasi già in Moncalvo, presso il Comando dei R.R. Carabinieri. L'Arma dei Carabinieri ha proceduto all'arresto in Milano della persona presso cui il quadro venne rinvenuto, cioè di certo Vigorelli Paolo. Trovasi già detenuto nelle Carceri di Casale, per lo stesso motivo, certo Monzeglio Carlo, arrestato fin dal giorno dello scoprimento del furto. Siccome la causa contro il predetto Monzeglio è chiamata per il giorno 19 dicembre prossimo è necessario che il Comune faccia subito la costituzione di parte civile e faccia istanza per il rinvio del processo a carico del Monzeglio onde questo venga unito con quello che si inizierà contro il Vigorelli ed altri complici. La Giunta Comunale, udita la sovra fatta esposizione ed approvando la proposta del Signor Sindaco unanime delibera di autorizzare lo stesso Signor Sindaco a costituirsi parte civile nel processo che verrà iniziato contro il Vigorelli e gli altri complici e faccia istanza per l'abbinamento delle cause di cui sopra. Dal "Registro delle deliberazioni della Giunta non soggette a visto" 28 novembre 1924 ... si delibera di pregare il signor Tesoriere a voler anticipare la somma di lire quindicimila pattuita come premio al Detective Visco-Gilardi per la scoperta e ricupero del quadro del Caccia rappresentante la natività di San Giovanni Battista, trafugato nella Chiesa Parrocchiale di San Francesco. 18 gennaio 1925 Il Signor Sindaco riferisce di aver sospeso il pagamento dell'assegno all'incaricato della conservazione e custodia dei quadri -monumenti nazionali - esistenti nella Parrocchiale di San Francesco, per la poca diligenza da questi dimostrata lasciando che si perpetrasse il furto del quadro del Caccia, ora ricuperato. Avendo detto incaricato richiesto il pagamento dell'assegno dicendo non imputabile a sua negligenza il furto, avvenuto di notte, senza che egli potesse avvertirlo, chiede alla Giunta il proprio parere. La Giunta approva l'operato del Signor Sindaco che servirà certamente di richiamo dell'incaricato a maggior diligenza: delibera tuttavia di rilasciare il mandato di pagamento tenendo conto dell'assiduità dimostrata sempre in passato sia nella buona conservazione che nella custodia dei quadri stessi. Corrado Camandone IL RITROVAMENTO DELLA TOMBA DEL CACCIA Queste notizie sono state lette durante il breve indirizzo di saluto che -a nome dell'Amministrazione comunale- il Presidente della biblioteca civica di Moncalvo ha letto prima della conversazione del professor Romano. Durante la seconda guerra mondiale, nel biennio 1943 – 1945, sono stati realizzati grandi restauri alla chiesa parrocchiale di S. Francesco, in Moncalvo. Il parroco, Mons. Giuseppe Bolla, ideatore e promotore dei restauri, volle che fossero diretti da una speciale commissione di esperti, composta da elementi della Commissione Diocesana di Arte Sacra, quali Mons. Luigi Baiano, l'Architetto Can. Angelo Verri, l'Ing. Vittorio Tornielli. Oltre a questi fecero parte della commissione Mons. Ippolito Rostagno, musicologo, e i pittori Mario Micheletti e Nello Cambursano, autori di opere pittoriche e di restauro nella chiesa parrocchiale. Questa commissione decise di ispezionare la tomba del pittore Guglielmo Caccia, situata nella Cappella di S. Antonio, a sinistra di chi guarda l'altare maggior, e precisamente sul lato sinistro di detta cappella, dove è collocata anche attualmente l'epigrafe che ricorda l'illustre pittore. È stato tolto il pavimento esattamente nella zona sottostante la lapide per un tratto di circa cm. 200 x 50 ed è comparso un banco di sabbia giallastra. Erano presenti in quella mattina Mons. Bolla, Mons. Rostagno e altri membri della commissione sopra citata. Ho l'onore di essere stato testimone dell'avvenimento e di aver personalmente eseguito le operazioni che ora descriverò. Delicatamente ho rimosso lo strato di sabbia in cui non vi era traccia della cassa funebre; solo nei punti estremi a sud (zona del capo, verso l'altare ) e a nord (zona dei piedi) ho trovato dei grumi simili a pietre friabili, che in realtà erano ammassi di ruggine che contenevano i chiodi di ferro forgiati a mano, che probabilmente tenevano insieme gli elementi della cassa funebre, totalmente disintegrata. Proseguendo nella rimozione della sabbia ho scoperto l'osso frontale, poco o niente della nuca, poi pian piano le costole, la colonna vertebrale, le ossa lunghe delle gambe e delle braccia e in particolare le piccole ossa di quelle dita e di quelle mani che hanno creato tanti capolavori. la mia emozione è grandissima. Nei paraggi di quella zona non sono stati trovati resti umani, perciò si può ragionevolmente ritenere che i resti rinvenuti siano quelli del nostro amato artista. Per quell'occasione era stata preparata una cassetta di legno ove raccogliere i venerati resti, che erano tutti ridotti e in parte consumati da una erosione superficiale. Tutti i resti dello scheletro furono da me deposti nella cassetta di circa cm. 100 x 30 x 30, insieme a un tubo di vetro, sigillato agli estremi, contenente i dati cronologici relativi all'esumazione: data, nomi delle autorità religiose del momento, Papa, Vescovo, Parroco; delle autorità civili, capo dello Stato e del Governo, e dei testimoni diretti dell'esumazione. Fu deposto nella cassetta anche un piccolo mazzo di garofani rossi, omaggio della commissione, del parroco e del sottoscritto, poi la cassetta fu chiusa, inchiodata e collocata esattamente sotto la lapide tuttora esistente, otto il livello del pavimento attuale. Questa è la mia testimonianza – omaggio nei riguardi del grande pittore, gloria imperitura di moncalvo. Al fine di conservare nel tempo e suoi preziosi resti è bene riflettere sul fatto che le cause naturali, umidità e temperatura, che hanno disgregato la cassa originaria, possono distruggere anche quella fatta oltre cinquant'anni fa. Una cassa di zinco, di piombo o di acciaio sarebbe la soluzione migliore. Questa testimonianza, toccante nella narrazione e precisa nella descrizione, ricorda la notizia che di quella ricognizione di 56 anni fa diede il sempre fatidico bollettino parrocchiale "La buona Parola"; l'articolo, apparso sul numero di febbraio-marzo 1943, non è firmato ma è ragionevole attribuirlo alla penna di don Bolla. In quest'occasione [i lavori che si stavano compiendo in San Francesco, già descritti da Camandone] si è potuto finalmente accertarci di quanto contiene il sottosuolo del transetto, la parte che dovrebb'essere la più antica della mole sacra, al di là della quale fu costruito poi nel '600 il prolungamento della Chiesa attuale. E si rinvenne, avanti la cappella di S. Antonio, un loculo sotterraneo della quadratura di 2 metri, profondo 2,30, contenente in mucchio una certa quantità di scheletri e, separati già forse da visite precedenti, rottami di assicelle fradicie. Nessuna targa, nessun segno indicatore: può supporci fosse la tomba dei frati conventuali servienti alla Chiesa. Nel piccolo presbiterio della cappella di S. Antonio, a lato sinistro e sotto l'indicazione muraria si rinvennero in tombino e senza più residui di cassa, le ossa composte di una sola salma che è certo quella, cui accenna sulla lapide sovrastante il Capello, del Pittore nostro sommo; ed a lato destro, nella stessa posizione e secondo l'indicazione marmorea murata, la salma della Contessa Anna Maria Corradina Filippa figlia cinquantenne del conte Giov.[anni] Antonio Filippo senatore torinese, sepolta il 21-V1667. Nel pomeriggio del 24 febbraio, alla presenza di tutt'il Clero locale (msr. Rostagno, D. Corrado v.p., D. Fantino v.p., il prevosto D. Bolla ricompose in cassa nuova le venerate reliquie; fu rinchiusa in tubo vitreo una scritta su pergamena per l'indicazione; posto un mazzo di fiori freschi furon benedette, si pregò, ed il tombino venne richiuso. Angela Strona LA SCOMPARSA DI GINO PIACENZA: UNA CRONACA Nel marzo scorso è mancato il torinese dottor Gino Piacenza, cittadino onorario di Moncalvo. Egli, negli anni della guerra, con il fratello Giorgio, aveva trasferito a Moncalvo una piccola industria di abbigliamento, che aveva trovato posto nell'ormai abbandonata filanda, nel "borgo". Era stata una delle lungimiranti idee che don Bolla aveva subito fatto sua: installare una fabbrica in uno stabilimento che avrebbe potuto ospitare truppe, con le conseguenti possibili rappresaglie a spese di tutti i moncalvesi, e di più, dare impiego a maestranze locali, in particolar modo femminili. Col passare degli anni la fabbrica divenne la Trasformazioni Tessili; tra alti e bassi, dopo un periodo di grande auge, esiste ancor oggi, sempre nel "borgo". A svolgere una breve cronaca dell'avvenimento è il Consigliere Angela Strona, nella veste poco nota di precisa compilatrice della cronaca parrocchiale moncalvese, mentre il compito di ricordare la figura di Gino Piacenza spetta a due persone, nostri Collaboratori, che lo hanno ben conosciuto ed apprezzato. Si sono svolti il 15 marzo 1999 in forma strettamente privata i funerali del dott. Gino Piacenza. Il "dottore", come veniva chiamato in azienda con grande rispetto, si è spento a Torino improvvisamente, stroncato da un infarto. Il cordoglio per la scomparsa di questo gentiluomo è unanime e grande è il rimpianto. Moncalvo, di cui era cittadino onorario, gli deve moltissimo in termini di gratitudine. Fondatore con il fratello Giorgio (cui è stata recentemente dedicata una via) di una azienda nata nell'immediato dopoguerra, contribuì in modo determinante allo sviluppo occupazionale ed economico della nostra città. In questo progetto pionieristico ebbe l'aiuto determinante delle Suore Salesiane, Figlie di Maria Ausiliatrice. Oltre 300 operaie costituivano la maestranza capace e professionalmente preparata dalla scuola aziendale. Nel mondo dela moda maschile, la camiceria di alta qualità contrassegnata dal marchio "T. T." (Trasformazioni Tessili) rappresentava il prodotto principe ed era indossata da grandi personalità. Alle esequie, svoltesi a Torino nella Chiesa di Nostra Signora del Pilonetto erano presenti a testimoniare sentimenti di riconoscenza profonda Mons. Carlo Grattarola, Parroco di Moncalvo per 19 anni, il Sindaco di Moncalvo Aldo Fara e Angela Strona, Consigliere comunale. È andato via così, il dottore: con eleganza e discrezione, com'era nel suo stile. Chi redige questa pagina di cronaca parrocchiale ha avuto un grande privilegio: quello di conoscerlo bene. Una conoscenza durata 35 lunghissimi anni ... e oltre! Uno spaccato di vita così ampio da contenere centinaia di ricordi e di emozioni. Che sono e resteranno prezioso bagaglio personale. Era un vero gentiluomo. Un raffinato, riservato, umanissimo gentiluomo. La signorilità del dottore conquistava davvero tutti. La sua grande generosità, sempre rigorosamente silenziosa, è stata per lungo tempo una realtà su cui tante persone hanno potuto contare. Per tutto il bene che nella sua lunga vita ha saputo donare, gli sia immensa la ricompensa e gioiosa l'eternità. Angela Biedermann RICORDANDO IL DOTTOR GINO PIACENZA Una telefonata. "È morto il Dott. Piacenza". E la natura, all'improvviso, assume un aspetto irreale. È la morte che, ferendo il cuore, toglie smalto al cielo, ai fiori, alla terra che s'abbandona all'abbraccio del mare. È morto il Dottor Piacenza. E i ricordi fanno ressa nella mente. Si azzuffano per avere la precedenza. È morto. E la morte mi appare in tutta la sua brutale realtà. Antagonista della vita. Rivale dell'amore. Contraddizione di ogni aspirazione. In questa nostra società in cui i muri vengono impunemente violentati da pittori da strapazzo, emergono, talvolta, verità sconcertanti. "Die Welt ist ärmer ohne dich" è stato scritto da un tedesco deluso sul muro fatiscente d'un antico casolare. "Il mondo è più povero senza di te". Sempre. Un fiore che appassisce, un albero abbattuto, un uccello che non torna al proprio nido, una luce che si spegne, una vita che si conclude e il mondo è più povero. È morto il Dottor Piacenza. Ma chi era il Dottor Piacenza ? Un industriale che, sfollato da Torino durante l'ultima guerra, aveva trovato accoglienza presso il parroco di Moncalvo, Monsignor Giuseppe Bolla. Un incontro felice. Un seme caduto in un terreno fertile. Una cittadina che si trasforma e si arricchisce. C'è lavoro per tutti, nella vecchia filanda ristrutturata. Dalla Trasformazioni Tessili escono le più belle camicie da uomo del mondo. Sono camicie speciali che non si stropicciano. Sono camicie moderne, eleganti. E il marchio T.T. invade l'Italia e porta all'estero la geniale eleganza italiana. Ma non finisce qui. In Italia, negli anni quaranta, l'obbligo scolastico terminava con la Quinta Elementare. I ragazzi più fortunati frequentavano poi la Scuola Media. Altri, l'Avviamento. Ma molti restavano con la Licenza Elementare. Fu allora che il Dottor Piacenza ebbe l'idea geniale d'investire parte degli utili ricavati dall'Azienda, in una moderna Scuola Aziendale per dare alle maestranze una discreta base culturale. Studio, lavoro, ginnastica, musica, teatro, recitazione, accademie, gare sportive. Un mondo contadino che si rinnova, che si modernizza, che si rivaluta. La Trasformazioni Tessili, conosciuta come T.T. con annessa Scuola Aziendale per preparare le maestranze, nata dall'intelligenza e dalla generosità del Dottor Piacenza, è stata la prima fabbrica in Italia con una impostazione nuova e originale. *** Ho collaborato, per oltre vent'anni, nella formazione culturale delle giovani aspiranti ad essere assunte in fabbrica. Una grande fatica per chi doveva insegnare e per chi doveva imparare. Ma un vantaggio enorme: spalancare orizzonti, aprire nuove strade, gettare il seme d'una cultura fatta di Letteratura, Storia, Geografia, Scienze, Matematica, Musica, Canto, Educazione Fisica. Ricordo le Accademie per le feste natalizie e per la chiusura dell'anno scolastico. E ricordo le operette con i grandi scenari dipinti a mano da generosi collaboratori, e orchestrine, canti, suoni, danze, recitazione. Il tempo ha ingoiato tutto. Di quegli anni d'oro sono rimaste soltanto vecchie foto, che in parte hanno perso la freschezza del colore. In prima fila, lui, il Dottor Piacenza con la moglie Silvana e i bimbi Giulia e Franco. E nei primissimi tempi, anche il fratello Giorgio, collaboratore ed estroso artista con la moglie Adriana. Ma come tutto sembra lontano ora che la fabbrica è molto ridimensionata e la scuola non è più necessaria. La splendida chiesa, ricavata da un vecchio magazzino dell'antica filanda, dall'architetto Morbelli, ora è chiusa. Il grande organo, regalato dal Dottor Piacenza in occasione della venuta del vescovo Monsignor Angrisani, tace nella sua profonda incapacità di sofferenza. Ma chi ha detto che le cose non soffrono. Ho rivisto quell'organo, alcuni anni or sono, e l'ho trovato impolverato, stanco, depresso. Non ho osato toccarlo. Nel silenzio di quella chiesa deserta, la sua voce mi sarebbe sembrata, un grido straziante. *** Da molti anni non rivedevo il Dottor Piacenza. Avevo sue notizie da Suor Elsa, amica comune. Mi diceva: "Sul Dottore il tempo sembra non incidere. Sempre lui, alto, distinto, sorridente." Io gli scrivevo una volta all'anno, a Natale. Una lunga lettera, nella quale le ultime notizie si intrecciavano con i ricordi del passato. E lui sempre mi rispondeva con la sua bella, chiara calligrafia. Le ho conservate tutte. Ed ora che non c'è più, nel rileggerle, provo una stretta al cuore. Una specie di doloroso infarto che fa soffrire e non uccide. Nell'ultima, in data 10 dicembre '98 mi scrive: "Moncalvo è il ricordo di un'epoca particolarmente bella, con la Scuola e le rappresentazioni natalizie. Fiori che non appassiscono". E ancora: "Mi piacerebbe poterla eguagliare nel fare molto moto, ma avrei bisogno di gambe nuove, perché le mie vecchie, mi costringono a molte limitazioni: è senz'altro un segno che il mio traguardo si avvicina." E il traguardo era più vicino di quanto lo potessimo immaginare. Tre mesi. Tre mesi soltanto. Il 13 marzo 1999, un infarto ha fermato quel suo grande cuore. Caro Dottore, se lo avessi saputo, sarei volata a trovarla, per ringraziarla per quanto ha dato a me e alle giovani di Moncalvo e del Monferrato. E per stringerle la mano, ancora una volta, con affetto sincero. Corrado Camandone PROFILIO DI UN GENTILUOMO Nel momento in cui una persona scompare, la sua figura risalta chiara nella nostra mente, mentre sullo schermo della memoria vediamo, in rapida sintesi, tutta la sua vita. II nostro sentimento ci porta a ricordare il bene che abbiamo ricevuto da questa persona, se siamo stati legati a lei con vincoli di intimità familiare o di amicizia, di collaborazione o di semplice conoscenza. Nell'apprendere la notizia della scomparsa del Dott. Gino Piacenza, il primo istintivo commento che mi è salito dal cuore è stata una sola parola: "gentiluomo", nel suo significato più preciso e più ricco. "Uomo" che ho conosciuto quando in piena guerra ha trasportato un'industria da Torino, terrorizzata dai bombardamenti, a Moncalvo, tranquillo mondo agricolo. Operazione che ha richiesto non comune coraggio e salda fiducia in qualcosa e in qualcuno che avrebbe capito il nobile intento di salvare il lavoro e il pane di tanti lavoratori, anche in tempi oscuri. La sua fiducia gli ha fatto incontrare Don Bolla e Moncalvo. Moncalvo è stata la salvezza dei Piacenza, e i Piacenza furono poi la salvezza materiale e culturale di Moncalvo. Terminata la guerra l'"uomo", nel diffuso clima di rinascita e di ricostruzione, ha potuto sviluppare la sua opera secondo i suggerimenti della sua mentalità grandiosa, aperta, raffinata. Sua arma, strumento e metodo fu la sua "gentilezza"; virtù che non solo bollava chiara nel suo sorriso, ma era fatta anche di attenzione a tutti gli aspetti del lavoro da lui diretto e alle esigenze delle persone che collaboravano alla sua impresa. Impareggiabili collaboratrici furono le Figlie di Maria Ausiliatrice, responsabili della produzione in tutte le sue fasi e di tutti i servizi inerenti. E' uno dei pochi casi in cui vi è stata stretta collaborazione tra un'industria e un istituto religioso e che ha dato frutti eccellenti, di valore economico, sociale e politico. In questo caso l'elemento religioso ha dato un contributo fondamentale al progresso del proletariato. Mi sia permesso accostare la figura del Dott. Piacenza a quella di un orologiaio-artista, che con pazienza e intelligenza smonta e rimonta l'ingranaggio e lo fa funzionare alla perfezione. Proprio perché la sua gentilezza coincideva con l'intelligenza, non solo la sua industria si sviluppò, ma si arricchì di istituzioni e di attività di vario genere, che elevando il livello culturale delle persone elevava il livello del prodotto. La Trasformazioni Tessili (T.T.) è per Moncalvo ben più che un'industria: resta come un'istituzione che per mezzo secolo fu come un fiore all'occhiello e ancora oggi è una preziosa fonte di risorse economiche. Nel patrimonio storico di Moncalvo, insieme alle figure di artisti, sacerdoti, scrittori, benefattori, patrioti resta certamente la figura del Dott. Gino Piacenza, "uomo completo", modello di gentilezza intelligente e feconda. Lorenzo Magrassi “TERRA MONFERRINA” – UNA POSEIA IN DIALETTO Lorenzo Magrassi, nato a Villalvernia (AL), risiede dall'infanzia a Mombello Monferrato in Val Cerrina; ha seguito gli studi classici e, dopo il conseguimento della Maturità, ha svolto impiego bancario. Oggi, in quiescenza, si dedica con passione allo studio della Lingua e della Letteratura in piemontese; collabora da diversi anni al mensile di cultura piemontese: "Piemonteis ancheuj", alla rivista trimestrale: "La Sloira"; suoi articoli sono stati pubblicati su vari periodici quali: "Ij Brandè" (Armanach ed poesia piemonteisa), e "Musicalbrandè" (ricordiamo i profili sul poeta casalese Cesare Vincobrio e quello sul letterato Diego Garoglio, nativo di Lussello di Villadeati). Socio del Circolo culturale "Piero Ravasenga" di Casale , da diversi anni è membro della Giuria del Concorso di Poesia intestato all'illustre scrittore piemontese. L'anno scorso ha congedato, ai torchi dell'editoria, la raccolta delle sue liriche in lingua monferrina con il titolo: "Cheur e pais" e con prefazione del Prof. Camillo Brero; il volume si può richiedere presso l'autore, a Momello Monferrato, Via Roma 21. Appassionato di musica classica, Lorenzo Magrassi dirige altresì da parecchi anni il complesso corale dei Polifonici Monferrini. Ha collaborato con la Biblioteca civica di Moncalvo, leggendo alcune liriche di Nino Costa e Pinin Pacot durante la presentazione di "Monferrato tra Po e Tanaro" TÈRA MONFRIN-A TERRA MONFERRINA Ca anreisàji a la tèra che, cmé 'na mari, a-j uèrna; santé ch'ai rampìjo tra filàgn ëd barbera; òrt ch'ai scondo dré 'd na cioénda na preus ëd salata e bron 'd rosmanìn; ël torent che, ciaciaranda, ël pèrd ël fil rivanda 'n cò dla và'; un'aria seren-a ch'la sfuma 'l ponci dij brich coronà 'd casté e 'd campanìn, testinòni d'un passà dë storia galantòm e sensa blaga; tèra monfrin-a, frusté ansùma ël strà dël mond, ët sògn ti sogno con eucc malavi ëd nostalgìa!... Case radicate alla terra che, come una madre, le custodisce; sentieri che s'arrampicano fra filari di barbera; òrt ch'ai scondo orti che celano dietro un recinto una striscia d'insalata e ciuffi di rosmarino; il torrente che, chiacchierando, perde il filo arrivando a fondo valle; un'aria serena che sfuma le cime delle colline coronate di castelli e campanili, testimoni d'un passato di storia galantuomo e senza boria: terra monferrina, forestiero sulle strade del mondo, ti sogno con occhi malati di nostalgia!… Nota: Poesia tratta dalla sezione "Monfrà" della raccolta "Cheur e pais. Poesìe piemontèise ant l'armonia monfrin-a, cudìe e presentà da Camillo Brero", A l'Ansëgna dij Brandè n. 10. Ca dë Studi «Pinin Pacot». Edission «Piemontèis Ancheuj» - Centro Studi Don Minzoni, Turin; 1997 AUTOBIOGRAFIA DI UN RABBINO ITALIANO (Marco Somigliano e la Comunità ebraica di Moncalvo) Sulla piazza Carlo Alberto, nel luogo che fronteggiava l'ingresso all'antica fortezza paleologa, si erge ancor oggi un edificio grigio, quasi mascherato tra una banca e un ristorante. Il turista occasionale, il visitatore distratto, insomma chi non conosce la storia e la città di Moncalvo mai immaginerebbe che quella costruzione ospitasse il tempio di una delle più importanti comunità ebraiche del Piemonte: quell'edificio è stata la sinagoga degli ebrei di Moncalvo. Sulla sua facciata si leggeva ancora fino a qualche anno fa l'iscrizione, dal profeta Isaia 56,7: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti"; ora anche quella scritta è scomparsa, facendo perdere una cospicua testimonianza storica. A chi poi percorra la strada provinciale che da Moncalvo conduce a Grazzano si presenta, sulla sinistra, un ancora più triste spettacolo: un recinto in muratura, per ampia parte divelto o crollato, separa ciò che rimane del cimitero degli ebrei; all'interno tombe profanate, lapidi spezzate, dappertutto un intrico di arbusti e rovi. Sulla porta d'ingresso, inciso nel marmo, ancora si legge il versetto 7 del dodicesimo capitolo dell'Ecclesiaste: "E la polvere (corpo) in terra ritorni, com'era. E lo spirito ritorni a Dio che lo ha dato". Queste due vestigia -sinagoga e cimitero- testimoniano, pur nella loro attuale desolazione, l'attività di una fiorente colonia di israeliti che sopravvisse fino all'ultima guerra. Le origini L'origine della comunità ebraica di Moncalvo risale, secondo la tesi più avvalorata, alla fine del '300, allorquando un primo nucleo di israeliti vi giunsero in seguito alle espulsioni dalla Francia; 1) altri studiosi ritengono invece che solo un secolo dopo gli ebrei si siano insediati in Moncalvo, giungendo dalla Spagna. 2) Appare ragionevole pensare che la comunità si sia formata per successive stratificazioni e non da un'unica ondata di immigrazione. 3) Nel Monferrato dei Paleologi e dei Gonzaga gli ebrei godettero di una condizione particolarmente felice, esercitando il commercio anche su vasta scala, il prestito su pegno e la gestione del credito, attività queste ultime vietate ai cristiani. In tutto il territorio monferrino vennero fondati i banchi di prestito: nel 1539 ne esistevano 18 ed uno dei principali era quello di Moncalvo. Nel 1631 il numero dei banchi venne ridotto a 12, e fu ulteriormente limitato all'inizio del '700. La politica della Casa di Gonzaga verso gli israeliti fu sostanzialmente benigna: ciò era dovuto al fatto, non secondario, che avendo buona disponibilità di denaro liquido, potevano farne prestito alla Camera Ducale, specialmente in periodi di frequenti guerre che dissanguavano le finanze ducali. Il potere economico di alcuni banchieri ebrei di Casale accrebbe considerevolmente quando si aggiudicarono i numerosi appalti concessi dall'amministrazione centrale di Mantova: sale, tabacco, gabelle generali per citarne solo alcuni. 4) Se la tolleranza da parte dei Gonzaga fu soprattutto concessa per ragioni utilitaristiche, la situazione cambiò in Monferrato, e quindi anche a Moncalvo, con l'avvento dei Savoia, che successero ai mantovani nel 1714. Il ghetto degli ebrei Sulla base della legislazione di Amedeo VIII "il Pacifico" (Statuti del 1430, citati in nota), Emanuele Filiberto "Testa di Ferro", 5) Carlo Emanuele I "il Grande" e Vittorio Amedeo II, la situazione sotto la dinastia sabauda si stava facendo via via ben differente da quella ampiamente tollerante dei Gonzaga. Gli ebrei erano costretti a vivere in zone circoscritte, facilmente controllabili e all'occorrenza isolabili dal resto della città: i ghetti. 6) Il primo ghetto venne istituito nella Roma di papa Paolo IV Carafa, nel 1555. 7) L'etimologia del nome è incerta. Alcuni la fanno derivare da un termine ebraico che significa "separazione", altri dal greco "geiton", che vale "vicinanza", altri ancora dal tedesco antico "gehechten", "luogo recintato"; il termine slavo "gatvo" da parte sua significa "strada", mentre "Getto" era detta una località presso Venezia dove già nel XII secolo abitava una nutrita comunità ebraica; secondo altri studiosi, infine, il termine non verrebbe se non dall'italiano "borghetto", "vicolo, piccola strada". 8) Il ghetto di Moncalvo, istituito verso il 1732 9) e ancor oggi chiamato "'l ghët" dagli anziani del luogo, era delimitato dalla piazza Carlo Alberto e dalle vie Carlo Montanari, IV Marzo, XX Settembre (la "Fracia") e il vicolo del Mercato, con due uscite, una in via Montanari e l'altra sulla "Fracia". Un sistema di portoni consentiva la chiusura della zona nelle ore serali e notturne e la riapertura al mattino seguente. Nel ghetto gli ebrei svolgevano attività piuttosto umili: artigiani, piccoli commercianti, scrivani. Le donne si dedicavano al ricamo. Era definitivamente tramontata l'epoca dei ricchi mercanti e degli ancor più facoltosi banchieri: agli israeliti era inoltre imposto un ) segno distintivo, precursore della stella di David gialla, di sinistra memoria. 10) Anche il rapporto con la Parrocchia divenne di sostanziale soggezione; in occasione del Natale la comunità offriva al Parroco il dono (o tributo?) di "un filippo moneta antica", 11) mentre alla morte di qualche israelita i parenti dovevano darne comunicazione allo stesso Parroco accompagnando la notizia con "soldi quindici di moneta antica per cadun decesso". 12) Durante il Triduo pasquale una rappresentanza della comunità ebraica moncalvese era tenuta a seguire quella parte ora soppressa delle funzioni del Giovedì Santo detta degli "improperi", quando i cristiani rinnovavano ai giudei le accuse di deicidio nei confronti di Cristo, considerando l'inesorabile diaspora e le limitazioni della libertà imposte a quel popolo come un giusto castigo divino. Gli obblighi finanziari nei confronti della Parrocchia vennero all'inizio dell''800 ridotti dapprima a una moneta d'argento e poi ad un pacco di 12 flambò di cera da somministrarsi ad ogni Pasqua. Gli ebrei di Moncalvo, anche nelle epoche buie, conservarono inalterata la propria religiosità, e le Autorità concedettero l'uso della sinagoga e del cimitero e permisero che tanto nelle case private come nella "chiesa degli ebrei" si svolgessero le cerimonie prescritte dal rituale di quella religione. 13) La comunità moncalvese seguiva, con Asti e Fossano, un rito particolare, detto Appam, e questo conferma la particolare rilevanza che essi avevano tra le altre comunità piemontesi; vi fu una Università israelitica, con funzioni di rappresentanza ufficiale e di sovrintendenza sulla vita religiosa e civile dei correligionari. A capo degli anziani era il Rabbino, al quale spettava di presiedere le cerimonie religiose pubbliche e che doveva seguire un corso di studi particolarmente lungo e difficile, comprendente vari gradi di formazione. Tra gli ebrei, costretti in quegli anni a vivere nell'angustia del ghetto e a malapena tollerati dalle leggi, fu sempre vivo il senso della solidarietà sociale, tanto che già nel 1817 14) venne fondata una società di mutuo soccorso con funzioni previdenziali e di assistenza. 15) L'emancipazione del 1848 Si doveva attendere fino al 1848, con la promulgazione dello Statuto di Carlo Alberto, il 4 marzo, 16) per far tornare i membri delle comunità ebraiche degli Stati di Sua Maestà sarda a godere dei pieni diritti di cittadini. All'articolo 1 quella Carta recitava che "la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato", precisando però che "gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi". Al successivo articolo 24 si stabiliva: "Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi". Più tardi, per togliere ogni dubbio circa l'interpretazione di questo articolo, lo stesso Carlo Alberto con Decreto 29 marzo 1848 stabilì: "Gli Israeliti regnicoli godranno dalla data del presente di tutti i diritti civili e della facoltà di conseguire i gradi accademici, nulla innovato quanto all'esercizio del loro culto, ed alle scuole da essi dirette". La comunità moncalvese assunse allora una rilevanza ancor maggiore tra quelle del Piemonte e si vissero anni di fervore ed attività: alla fine del 1859 fu restaurata ed ampliata la sinagoga, ad opera del Rabbino Marco Momigliano, si fecero lavori al cimitero, la comunità, dalle 233 anime del 1836, raggiunse il numero di circa 300 membri nel 1875, 17) scesi a soli 60 alla fine del secolo, secondo quanto riportato da don Lupano. Gli ebrei di Moncalvo furono dediti in questa seconda metà di secolo XIX e all'inizio del XX al commercio e all'artigianato: uno di essi, Giuseppe Sacerdote, tenne una importante libreriastamperia al numero 11 di via XX Settembre, presso la quale furono edite diverse opere di storia locale, da quelle di Giovanni Minoglio alla stessa "Moncalvo sacra" di don Lupano. 18) Parecchi ebrei divennero ricchi proprietari terrieri, come testimoniano i libri del catasto relativi a quel tempo: basti ricordare che quando i Salesiani decisero di aprire il Collegio San Pio V a Penango, nel 1880, acquistarono il "casino" settecentesco già di proprietà di Carlo Caroelli ed in quegli anni passato al barone Sabino Leonino, appunto un ricco e neo-nobilitato ebreo. Lattes, Luzzatti, Foa, Debenedetti, Vitale furono i nomi dei casati preponderanti nella Moncalvo ebraica di quel tempo. La fine della comunità La comunità si estinse a poco a poco per successive emigrazioni verso le grandi città e soprattutto per le inique leggi razziali emanate dall'Italia sull'esempio tedesco nel 1938. Durante gli anni della persecuzione Moncalvo pagò il proprio tributo di morte alla follia razzista, con l'arresto e la deportazione di alcune esponenti della comunità, alcune anche anziane, rifugiatesi nella villa Foa, sulla collina antistante la città. Vennero avviate ai campi di concentramento e non vi fecero più ritorno. Dopo la guerra anche la sinagoga fu smantellata e gli arredi vennero portati in Israele. Attualmente vive in Moncalvo una sola famiglia di stirpe ed osservanza ebraica, che si dedica alla produzione e al confezionamento di cibo "kasher", prodotti cioè in maniera rituale. Il Rabbino Marco Momigliano La comunità israelitica moncalvese fu guidata per qualche anno da un'autorevole figura di Rabbino, che lasciò traccia di sé in una breve storia della propria vita, "Autobiografia di un Rabbino italiano", pubblicata nel 1897 e riproposta nel 1986 dall'editore Sellerio. 19) Marco Momigliano nacque a Mondovì nel 1825 da una famiglia che doveva il proprio nome alla cittadina di Montmélian, in Savoia. Un suo antenato nel XIV secolo si trasferì a Torino appena in tempo per scampare ad una memorabile persecuzione antigiudaica; da Torino i Momigliano passarono quindi nel saluzzese. La prima istruzione religiosa venne impartita a Marco da un pio ebreo al quale Momigliano padre aveva affittato casa e bottega; successivamente frequentò una specie di scuola in famiglia per intraprendere la carriera pastorale di Rabbino. Quando venne il momento di recarsi a Torino per essere esaminato sulla propria preparazione, il Rabbino Pugliese, che doveva rilasciargli un'attestazione degli studi privatamente compiuti, se ne morì. Marco dovette quindi attendere ancora qualche tempo ed intanto svolse l'attività di "Melamed Tinocod", 20) all'incirca assistente ripetitore nelle scuole ebraiche, aspirante alla carriera di Rabbino. Pure privatamente svolse gli studi di retorica e filosofia, corrispondenti all'incirca agli insegnamenti impartiti nell'attuale ginnasioliceo: allo studio si accompagnava una intensa pratica della pietà religiosa. "Ogni giovedì vegliava l'intera notte. Tutto questo danneggiò talmente la mia salute, che fui colto da un forte mal di capo che mi obbligò al letto per tutto il mese delle feste autunnali". Con la venuta in Mondovì del Rabbino Levi, Momigliano potè finalmente apprestarsi a dare il famoso esame a Torino: purtroppo anche stavolta non gli riuscì di addottorarsi Rabbino, poiché colui che lo doveva esaminare, il Rabbino Maggiore Lelio Cantoni era assai indaffarato attorno alla questione dell'emancipazione degli ebrei da parte del Re Carlo Alberto. Il giovane aspirante non volle ritornare a Mondovì ("ciò mi dispiaceva, poiché ritornando a casa si sarebbe potuto credere che non fossi stato ancora abile a subire l'esame") e rimase qualche tempo ospite a casa dello zio Samuel Nizza. Finalmente venne il tempo del sospirato esame, della durata di oltre un mese, con il conseguimento del diploma di "Kaver", il primo grado nella scala rabbinica, nel 1847. Passò subito ad occupare la cattedra di Rabbino della piccola comunità di Savigliano, 21) per uno stipendio complessivo di circa 1000 lire annue; qui dovette affrontare una complessa controversia con il proprietario del locale ghetto, un certo avvocato Volli, conclusasi sfavorevolmente per gli israeliti che si videro costretti, anche in seguito all'emancipazione del marzo 1848, a lasciare le loro abitazioni e la sinagoga. Fu grazie all'intraprendenza del giovane Rabbino che si potè apprestare un nuovo tempio, inaugurato nel gennaio dell'anno seguente. Nel 1852 Marco Momigliano si sposò con una cugina di primo grado e tre anni più tardi da Savigliano passò a Moncalvo. Il Rabbino Momigliano a Moncalvo 22) "Nel 1855 si rese vacante la cattedra rabbinica di Moncalvo 23) e mi compiaccio di affermare che tra i diversi concorrenti io fui il prescelto. Mi recai colà accompagnato da mio padre nel mese di novembre. L'onorario era di lire 800 annue oltre ad alcuni proventi. La comunità si componeva di cinquanta famiglie delle quali pche erano di agiata condizione. Il Tempio lasciava molto a desiderare, aveva bisogno di essere restaurato, infatti da circa trent'anni si facevano offerte a tal uopo ma nessuno si curava di esigerle. Troppo lungo sarebbe il descrivere l'opera mia assidua ed efficace prestata per rimettere in buon stato la casa di Dio, mi basti il dire che le mie fatiche furono coronate da ottimo successo, e che nel settembre 1860 s'inaugurò il Sacro Tempio rinnovato e molto abbellito. All'inaugurazione presero parte il Rabbino Maggiore di Torino S.[alomone] Olper, alcuni coristi Astigiani e molti correligionarj di Casale e di Asti. Nel giorno dell'inaugurazione mi fu conferito dal prelodato Rabbino Maggiore Olper il titolo di Kakam quale premio dell'opera mia prestata, a cui consacrai tutto me stesso. Anche in quella seconda cattedra rabbinica provai la santa e dolce soddisfazione d'inaugurare un Sacro Tempio. Molte erano colà le mie occupazioni. La scuola d'istruzione sacra e profana era di quando in quando ispezionata da un apposito comitato a tale scopo costituito. E qui debbo tributare meritati elogi all'eccellente signor Abram Foa di Moncalvo, ora Rabbino a Chieri, il quale faceva parte del suddetto comitato e attendeva con zelo ed assiduità al buon andamento della scuola. Al termine di ogni anno scolastico avevano luogo gli esami a cui assisteva il comitato, e si premiavano quegli alunni che si erano segnalati nello studio e nella condotta. Negli undici anni che dimorai a Moncalvo tenni sempre a dozzina quattro o cinque giovanetti. Accumulai i miei risparmi per il bene di mia moglie e dei miei figli. A questi risparmi contribuì il buon andamento della mia famiglia e la saggia direzione dovuta all'opera della mia cara consorte, donna laboriosa ed economa. A lei devo in gran parte il capitale, sebbene non cospicuo, di cui mi trovo oggi in possesso. Si può proprio dire che Issà Kakamà Banedà Beda, cioè «La donna saggia edifica la casa». A Savigliano Dio mi fece padre di una sola figlia, e a Moncalvo di due figli e una figlia. Quella nata a Savigliano trovasi ora maritata a Moncalvo. Anche tale comunità andava a poco a poco spopolandosi, in guisa che io dovetti concorrere alla cattedra rabbinica di Bologna resasi vacante nel 1865. Il concorso ebbe per me esito felice, perché anche a Bologna fra i numerosi concorrenti la scelta cadde sopra di me. Mi recai dunque in questa città, dove mi trovo tuttora e che mai ebbi cuore di abbandonare, il 30 luglio 1866 accompagnato dalla mia famiglia e dlla mia cognata Enrichetta patentata maestra di grado superiore. Non mi regge il cuore nel descrivere la dolorosa partenza da Moncalvo per l'affetto sinceramente sentito che portava ai miei correligionarj di colà, dai quali era con pari affetto contraccambiato. Venne alla mattina della dolorosa partenza ad accompagnarmi alla stazione più di minian. 24) Mi è veramente doloroso il pensiero che quella comunità ora non conta più che pochissime famiglie". Trasferitosi nella importante comunità di Bologna, che contava allora circa trecento membri, Momigliano vi costituì una Associazione Israelitica con scopi di mutua assistenza ed istruzione; più tardi fu tra i fondatori di una società di misericordia per sostenere le spese funebri degli ebrei poveri. Anche a Bologna il Rabbino ebbe la consolazione di inaugurare un Tempio, nel 1877, alla cui spesa ingente parteciparono singoli israeliti e intere comunità, anche dall'estero. In segno di riconoscenza per l'opera prestata, a Momigliano venne conferito il grado più alto della scala gerarchica dei rabbini, Magnalad Morenu Arav. Dei due figli maschi di Marco, il maggiore, avviato anch'egli alla carriera rabbinica, morì di malattia a soli 31 anni quando già era a capo della comunità di Alessandria; 25) l'altro, Moisè, non assecondò le aspirazioni paterne e preferì diventare insegnante di lingua francese alla Regia Scuola Tecnica di Cuneo piuttosto che Rabbino. Poco dopo la scomparsa del figlio, Marco Momigliano fu colpito da un altro grave lutto: la morte del fratello Samuele, mancato a Torino all'età di 50 anni. L'autobiografia del Rabbino Maggiore termina a questo punto con un augurio di ottimismo e di speranza nella religione dei padri. "Abbandoniamo questi tristi ricordi non senza però rammentare come la religione sia indispensabile all'uomo in mezzo alle tante sventure di cui è sparso il cammino della sua vita. Ricordiamo il detto del Salmista jrad adonai Teorà gnomeled Lagnad, cioè: «La divina religione è oura e deve sussistere in perpetuo». E` l'unico farmaco salutare che attutisce i dolori della vita!" Il Rabbino Momigliano morì in Bologna nel 1900. I suoi discendenti diretti e collaterali illustrarono il buon nome del casato. Il critico letterario Attilio Momigliano e lo storico Arturo Carlo Jemolo discendevano da Giuseppe Vita, zio di Marco; Felice Momigliano, fervente patriota mazziniano di fede socialista, discendeva dall'altro zio, Aronne; pure congiunti del Rabbino Maggiore sono lo studioso dell'antichità Arnaldo Momigliano ed Enrichetta, ricordata nella "Autobiografia", delicata narratrice e drammaturga, autrice della vita di uno dei maggiori filantropi bolognesi di religione israelitica, Lazzaro Carpi. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI - AA. VV. "Come è potuto accadere? Gli Ebrei nella storia", lavoro interdisciplinare degli alunni delle classi 3B, 3C, 3F della Scuola media statale "Gancia" di Canelli; anno scolastico 1995-96. - Dario CARMI "Banchieri ebrei del XVI e XVII secolo nel Monferrato" in "Almanacco monferrino", Media editrice, Casale Monferrato (AL); 1982 - Dario CARMI "La parlata giudaico-piemontese usata dai mercanti ebrei nel tardo '800" in "Almanacco monferrino", Media editrice, Casale Monferrato (AL); 1982 - Francesco COGNASSO "I Savoia", Dall'Oglio, Milano; 1971 - Anna Maria DECIO GALLEA "Organizzazione del Marchesato di Monferrato sotto i Gonzaga", Piemme, Casale Monferrato (AL); 1995 - Roberto GREMMO "Gli Ebrei in Piemonte: Moncalvo", estratto dal "Bollettino della Comunità Israelitica di Milano", anno XVIII - n. 7, febbraio 1978 - Paul JOHNSON "Storia degli Ebrei", Longanesi, Milano; 1991 - Costantino LUPANO "Moncalvo sacra. Notizie edite ed inedite", Tipografia Sacerdote, Moncalvo; 1899 - Giuseppe NICCOLINI "A zonzo per il Circondario di Casale Monferrato", Loescher, Roma; 1877 - Annie SACERDOTI e Annamarcella TEDESCHI FALCHI (a cura) "Piemonte, itinerari ebraici. I luoghi, la storia, l'arte", Marsilio-Regione Piemonte; 1994 - *** "Comunità che scompaiono: gli Ebrei a Moncalvo" in "Moncalvo: una pagina di Monferrato", Edizione del Cenacolo, ...; 1971 SUGGERIMENTI PER ULTERIORI LETTURE Della vita nelle comunità ebraiche piemontesi si tratta in tre altri bei libri, facilmente reperibili. - Guido ARTOM "I giorni del mondo", Longanesi, Milano; 1981 (si narra della vita nella importante comunità giudaica di Asti, con una buona trattazione di quanto avvenne ai tempi dell'Emancipazione del 1848) - Maria Luisa GIRIBALDI SARDI "Scuola e vita nella Comunità ebraica di Asti (18001930)", Rosenberg & Sellier, Torino; 1993 (storia molto circostanziata delle scuole ebraiche in Asti, con vari riferimenti agli ebrei di Moncalvo) - Augusto SEGRE "Memorie di vita ebraica. Casale Monferrato-Roma-Gerusalemme. 19181960", Bonacci, Roma; 1979 (tratta della vita nella comunità di Casale, con qualche richiamo agli ebrei di Moncalvo) Un volume di carattere generale, ampio e documentato sulla vicenda del popolo ebraico dalla diaspora alla fondazione dello Stato d'Israele con alcuni interessanti capitoli sulla formazione dei ghetti in Italia è invece il seguente: - Riccardo CALIMANI "Storia dell'ebreo errante", Rusconi, Milano; 1987 Suggerisco anche alcuni articoli pubblicati nel corso degli anni sulla rivista di divulgazione storica "Storia illustrata"; sono esemplari per la loro semplicità di esposizione e la contemporanea esattezza delle notizie contenute. C.W. ROBERTSON "La storia degli ebrei", in due puntate, numeri di novembre e dicembre 1964 Franco DELLA PERUTA "Quando in Italia c'erano i ghetti", num. 339, febbraio 1986 Giuliana GIANI "Quei tuguri sul Tevere", num. 339, febbraio 1986 Gianluca CASTRO "Il sogno sionista", num. 8/9, agosto-settembre 1998 NOTE 1) I Re Filippo IV e Carlo VI d'Angiò, detto "il Folle", avevano emanato nel 1306 e nel 1394 decreti che espellevano tutti gli israeliti dalla Francia, tranne che da Avignone, dal Delfinato e dalla Provenza. Ma già nel 1215 il IV Concilio Lateranense aveva imposto l'esclusione degli israeliti dai pubblici impieghi e l'obbligo di portare un segno di riconoscimento (nastro di color giallo) per evitare promiscuità con i cristiani. 2) Dopo la conquista di Granada del 1492, Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona decretarono di bandire dai loro regni sia i "moriscos" (sudditi musulmani dei re cristiani) che gli ebrei, i quali si stabilirono in Italia, Africa del Nord e Turchia. Gli israeliti di provenienza spagnola presero la denominazione di "sefarditi", mentre quelli provenienti dall'Europa centrale vennero detti "askenaziti". 3) Sbaglia palesemente don Costantino Lupano ("Moncalvo sacra", p. 132) quando afferma che "la venuta dei figli d'Israele a Moncalvo risale alla metà del secolo 17°, sotto il Duca Carlo Ferdinando Gonzaga: il quale, sapendo che a Moncalvo si trovavano molte case disabitate e pochi gli abitanti in seguito ai disastrosi avvenimenti delle guerre e della peste, vendette a povere famiglie di Ebrei nomadi alcune di quelle che erano di pertinenza del Castello". 4) Tra le famiglie di banchieri ebrei che maggiormente si arricchirono con il traffico di denaro vanno ricordati i Vitta, i Jona e i Clava, che vantarono crediti ingenti nei confronti delle finanze pubbliche; ai soci Jona-Clava, che già tenevano in Casale un banco di prestiti e pegni, vennero concesse patenti per lo sconto di effetti e per vere e proprie operazioni bancarie. 5) Va pur detto che nel 1576 Emanuele Filiberto aveva concesso -e Carlo Emanuele rinnoverà la concessione nel 1603- agli ebrei l'esercizio della medicina e della chirurgia: i medici israeliti erano assai apprezzati a corte e presso le famiglie dell'alta aristocrazia piemontese. 6) "Nelle Città, nelle quali sono tollerati gli Ebrei, si stabilirà un Ghetto separato, e chiuso per l'abitazione d'essi, e quelle famiglie, che si trovano sparse negli altri luoghi, dovranno un anno dopo la pubblicazione delle presenti andar ad abitare nelle dette Città, proibendo loro d'introdursi senza nostra licenza in quelle, nelle quali non sono per anco stati ammessi". (Vittorio Amedeo II, 1706) "Non usciranno dal Ghetto dal cadere fino al sorgere del Sole, se per avventura non si svegliasse in esso, o nelle di lui vicinanze qualche improviso incendio, o che altra simile giusta causa non li costringesse ad uscire, sotto pena di lire venticinque per ogni uno, e per ciascuna volta, e non avendo da pagarle, di giorni otto di Carcere. Nel predetto tempo, che resta ad essi proibito il poter uscire dal Ghetto, dovranno tenerne le Porte chiuse, e non ardiranno introdurvi, o ricever alcun Uomo, o Donna Cristiana, sotto la pena suddetta". (Amedeo VIII, 17 giugno 1430) 7) "È assurdo -affermava il Pontefice nella bolla «Cum nimis absurdum»- che gli ebrei, per loro colpa condannati da Dio a perenne schiavitù, pretendano che i cristiani li amino e accettino di vivere in stretta prossimità con loro". 8) C.W. ROBERTSON "I tempi del ghetto", in "Storia Illustrata", dicembre 1964. 9) A quella data il numero degli israeliti a Moncalvo ascendeva a 171 individui, suddivisi in 33 famiglie. 10) "Tutti gli Ebrei, ed Ebree, tostochè saranno giunti all'età d'anni quattordeci, dovranno portare scopertamente tra 'l petto, e braccio destro un segno di color giallo dorato di seta, o di lana, e di lunghezza un terzo di raso, talmentechè possano manifestatamente distinguersi da' Cristiani, sotto pena di lire venticinque per ciascuno, e per ogni volta, che contravverranno". (Vittorio Amedeo, 17 giugno 1430) 11) LUPANO "Moncalvo sacra", p. 133. 12) LUPANO "Moncalvo sacra" p. 133. 13) Va precisato che, nonostante le restrizioni imposte agli israeliti, questi erano in qualche misura protetti dalle forme troppo violente di "conversione": era proibito il Battesimo forzato ad adulti e neonati. Inoltre era punito severamente l'ingerenza dei cristiani nelle cerimonie rituali ebraiche e non era consentito molestare gli ebrei nelle loro abitazioni. D'altra parte se qualcuno dei figli di Giuda si convertiva al Cristianesimo, gli restava proibito di comunicare segretamente con gli ex correligionari ed ogni colloquio doveva avvenire "in presenza di qualche onesto, e fedel Cristiano", per evitare il pericolo di "ritornare alla primiera perfidia". 14) LUPANO "Moncalvo sacra", p. 133. 15) Nel ghetto moncalvese si parlava uno strano idioma, misto di monferrino e di ebraico, assai gergale nell'interpretazione; un esempio di questa parlata si ha nella celeberrima "Gran battaja d'j'Abrei d'Moncalv" pubblicata più volte da Sacerdote e riportata sia dal GREMMO che dal NICCOLINI, opp. citt. 16) Questa data è immortalata nella toponomastica moncalvese, proprio nella via centrale dell'antico ghetto. 17) NICCOLINI "A zonzo per il Circondario di Casale Monferrato", p. 298. 18) La libreria, aperta nel 1858, passò poi ai soci Brignone e Bono, quindi al solo Carlo Bono. 19) In questa edizione al testo vero e proprio di Momigliano è posposto il saggio "La scintilla di una fede" di Alberto Cavaglion, che contiene notizie interessanti sul Rabbino e sul mondo delle comunità ebraiche d'Italia. 20) Il libro di Momigliano è ricco di termini ebraici, traslitterati secondo l'abitudine degli ebrei piemontesi: come afferma il Cavaglion nel saggio citato, la dentale finale "thaw" veniva enfatizzata e resa con la -d, invece che con la consueta -th ("Tenocod", invece che "Tenocoth"), la velare finale "'ajin" era resa con la nasale -n del piemontese (quella, per intenderci, di "galin-a", "fascin-na", "poarin-a") e traslitterata con la -gn ("Jeosuagn" in luogo di "Jeoshuà", "Scemagn" in luogo di "Shemà"). 21) Savigliano, insieme con Cuneo, Fossano, Mondovì, Cherasco e Saluzzo, era uno dei molti centri d'insediamento ebraico che caratterizzavano il Cuneese. 22) Trascrizione testuale di parte del capitolo IV e di tutto il capitolo V dell'opera, da p. 24 a p. 27. 23) Secondo i dati del "Calendario del Regno" ed. 1852, all'inizio degli anni '50 l'Università israelitica minore di Moncalvo, dipendente dall'Università maggiore di Casale, era retta da Lazzaro Ottolenghi con il titolo di vicerabbino; Abram Sacerdote era "anziano", mentre Marco Luzzatti e Graziadio Foa erano altri due autorevoli rappresentanti della comunità. 24) Si dice "minian" il numero minimo -dieci- di persone di oltre 13 anni indispensabile per la celebrazione di certe cerimonie liturgiche. [n.d.R.] 25 Il padre vide in questa crudele morte una sorta di castigo inflittogli dall'imprescrutabile volere di Dio. DUE SONETTI “POLITICI” DI CESARE VINCOBRIO Riletti da Corrado Camandone Il nostro Collaboratore presenta in questo numero due "sounett mounfrinn" in cui Vincobrio sferza, con toni anche insolitamente pesanti, i cattivi politici, o meglio, i politicanti; non mancano tratti duri verso l’istituzione parlamentare. È opportuno ricordare che queste composizioni si collocano all’inizio del periodo "fascista" dell’avvocato casalese, che pure fu in gioventù un acceso liberale progressista, quasi vicino ai radicali; la nota qualunquistica che contraddistingue questi sonetti si inserisce quindi nella deplorazione del modo di far politica tipica dell’Italia parlamentare prefascista, che prelude all’esaltazione (in altri sonetti) del nuovo regime. Dalla sezione " ‘l Sour Coulin an poulitica" dei "Sounett mounfrinn" SONETTO XXXI J è a Roumma ‘n sit ciamà Mountecitori Ch’l’era la stala d’in gra brut arment: Là ‘ndrenta ‘l voulpp, i luvv, j ochi e i giumentt As radunavou souens a parlatori. C’è a Roma un luogo chiamato Montecitorio Che era la stalla di un gran brutto armento: Là dentro le volpi, i lupi, le oche, i giumenti Si radunavano sovente a parlamentare. Da la bandiera roussa a l’aspersori E ai tre pountinn là j erou tucc parentt: Tucc camourista egual, foll, insoulentt, Tucc mort ad fam cme i fra dal refetori. Dalla bandiera rossa all’aspersorio E ai tre puntini là erano tutti parenti: Tutti camorristi uguali, folli, insolenti, Tutti morti di fame come i frati del refettorio. E ‘ntant i galantomm, sensa rimprocc, ‘s ciamavou se, par fa di deputà, J era propi nen ‘d mei che coui babocc: E intanto i galantuomini, senza vantarsi, Si chiedevano se, per fare dei deputati, Non c’era proprio niente di meglio di quei fantocci. I galantuomini che intanto se ne stavano a casa A piangere tutti come viti, grattandosi le ginocchia, I galantomm che ‘ntant ‘s nou stavou a ca’ A piansi tucc cme vi, gratandsi i snocc, Par l’Italia ch’l’andava a gambi ‘lva. Per l’Italia che andava a gambe levate. Il Vincobrio ha condensato in cinque sonetti ciò che la gente comune pensava della politica, intorno agli anni venti del nostro secolo. Il Sour Coulin, monferrino tipico, intelligente, esperto, equilibrato e libero, profondo conoscitore della mentalità popolare, affronta l’argomento della politica senza tanti complimenti. Si fa portavoce del popolo che si sente vittima impotente della politica, e comincia a paragonare Montecitorio a una stalla piena di animali più o meno selvatici che formano il governo: volpi (i furbastri), lupi (i duri), oche (gli ignoranti), giumenti (gli inutili idioti). Poi precisa che, pur di governare, le opposizioni più estreme i avvicinano e complottano: bandiera rossa (comunisti), aspersori (clericali), tre puntini (massoni) diventano parenti, tutti uguali in quanto camorristi, insensati, insolenti, tutti morti di fame in cerca di una sedia (seggio) e di un piatto (soldoni). Di fronte a questo governo, anzi "contro" questo disastroso governo c’è il popolo dei governati, che ripete le inutili lamentele di ogni secolo. I galantuomini, i benpensanti si chiedono perché il potere finisca in mano a degli incapaci. Questi galantuomini però, si fermano alla pura e lamentosa critica: non sanno o non vogliono fare altro. Piangere come viti appena potate e con tali governati l’Italia va a rotoli. Sonetto amaro, pessimista. Non si vede come una società simile possa uscire dal pantano. Nel sonetto seguente però, fa un’affermazione che tocca il cuore del problema, indica la causa e il rimedio di tale penosa situazione. SONETTO XXXII Ma mi ‘l l’ho prou trouvà la spiegasioun, Mi j ho scouert cme ch’a l’è la maciavela: Tirè vin quand l’è vœuida la vasela, Gavè sang da ‘na rava, s’a sij boun. Ma io l’ho ben trovata la spiegazione, Ho scoperto com’è il trucco: Spillate vino quando è vuota la botte, Cavate sangue da una rapa, se siete capaci. Dapartut, voulind fa ‘na cosa bela, Venta avej coumpetensa e cougnissioun: Studià, rifleti, nen dà ‘nmach rasoun Semp a coul ch’al sa mnà la bartavela. Dovunque, volendo fare qualcosa di buono, Bisogna avere competenza e criterio: Studiare, riflettere, non dare sempre ragione A chi sa soltanto menare la lingua. E ‘nvece ‘ntrè ‘nt la sala eletoural Al dì dagl’elessiounn: vardevi ‘ntour Quand j è ‘n founsioun al corp eletoural: E invece entrate nella sala elettorale Il giorno delle elezioni: guardatevi attorno Quando è in funzione il corpo elettorale: Vardeij ben an ghigna a si eletourr, Si campiounn dal sufragi universal: I boeu ‘nt la melia i soun pu svicc che lour. Guardate bene in faccia questi elettori, Questi campioni del suffragio universale: I buoi nella meliga sono più svegli di loro. Il nostro poeta dice che è possibile uscire dalla situazione penosa descritta nel sonetto precedente soltanto con la competenza e il criterio, che si acquisiscono con lo studio e la riflessione. Nessuno può essere degno uomo di governo senza cultura generale e specifica e senza saggezza. Ma un governo esperto e saggio può essere espresso solo da un elettorato a sua volta informato e saggio. E qui viene a galla un problema enorme, complicato, di difficile soluzione. Un governo ideale dovrebbe fare leggi che permettano al popolo di raggiungere cultura e saggezza; ma il mondo degli elettori dovrebbe eleggere i propri governanti guidato dal criterio della cultura e della saggezza che dovrebbe già possedere. È un circolo vizioso che per alcuni finisce necessariamente in un circolo perverso, e che per altri può sfociare in un circolo virtuoso. A questo problema è legata la storia tormentata del suffragio universale. In uso già presso i Romani antichi, fu nuovamente introdotto in età moderna in Francia nel 1793, poi abolito due anni dopo. Nel 1912 fu voluto da Giolitti in Italia per i maschi di almeno 30 anni. Nel 1918 fu esteso ai maschi di almeno 21 anni e nel 1945 anche alle donne. Le limitazioni venivano dal presupposto che il voto politico era un atto pieno di responsabilità e conseguenze e che non tutti erano in grado di esercitarlo degnamente. Il Sour Coulin era contro il suffragio universale e conclude il sonetto dicendo che i buoi in mezzo ai filari di meliga sono a loro agio perché stanno facendo un lavoro che sanno fare, e quindi sono in condizioni migliori di tanti elettori che devono mandare al governo uomini di cui non conoscono sovente né cultura né onestà, i quali, a loro volta, dovranno risolvere problemi molto complessi, di cui la maggioranza degli elettori non ha la minima idea. Questa era la situazione agli inizi del secolo. Oggi le cose vanno meglio? INTERVENTI Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo contributo giuntoci da parte di una classe della scuola media di Moncalvo. I RAGAZZI RISCOPRONO LE TRADIZIONI I SUBIET ‘D PATRO In seguito all’approvazione di un progetto che prevedeva un corso di lavorazione della creta, ogni giovedì pomeriggio, dal 14 gennaio al 18 marzo 1999, nell’aula di Educazione artistica della scuola media "Capello" di Moncalvo si è svolta un’attività didattica interessante: la realizzazione dei subiet ‘d Patro, curata dal maestro artigiano Primo Favarin che da molti anni svolge questa attività e che ha opere esposte nel Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma, e dal prof. Paolo Cocito, insegnante di Educazione artistica della scuola media "Capello". Hanno partecipato a questo laboratorio gli alunni della classe IIA a tempo prolungato. Parallelamente, questo lavoro è stato volto dalle scuole elementari. Nel corso delle prime lezioni il signor Favarin ha mostrato e poi fatto modellare ai ragazzi i tradizionali fischietti, realizzati con la creta, seguendo questo procedimento: con le dita costantemente inumidite si lavora la creta sino a formare una specie di palla abbastanza grande che, con l’apposita stecca, si buca per fare il vuoto al suo interno; quindi, dalla parte opposta, viene praticato un altro foro per far uscire il suono e infine si libera dalle sbavature il foro iniziale e lo si delinea opportunamente. Tutta l’operazione viene eseguita su tavolette di legno. Il signor Favarin, nelle lezioni successive, ha insegnato ai ragazzi a modellare la palla di creta per realizzare vasetti, anfore con il manico, vuoto all’interno per ottenere il fischietto, animaletti – specialmente uccellini -, maschere ecc… Nell’ultima lezione il signor Favarin ha mostrato un vasetto pieno d’acqua da cui, soffiando nel foro praticato nel manico, uscivano diverse note, simili al canto degli uccelli. Tutti gli oggetti realizzati verranno cotti in una fornace e successivamente esposti al Teatro Civico di Moncalvo, in occasione della presentazione del lavoro di linguistica "Il viaggio di Diomeca", letto in qualche sua parte dall’attore Renzo Arato. Questo laboratorio ha avuto l’intento di rivalutare una antica tradizione artigianale contadina e di far conoscere i ragazzi questa attività creativa. Gli alunni sono stati attivamente operativi e nel realizzare i subiet hanno potuto dimostrare il loro estro ed apprezzare un lavoro artigianale eseguito esclusivamente a mano. Questa iniziativa perciò è risultata positiva. Hanno finanziato il progetto il Comune di Moncalvo e la Scuola media. Al termine del corso con l’insegnante di lettere, prof. Renato Rossi, sono state affrontate alcune letture tratte dal catalogo "La terra, il fuoco, l’acqua, il soffio", pubblicato nel 1995 dal Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma, per trattare la parte storica relativa ai subiet. Abbiamo allora "conosciuto" Mattia Guazzo e visto le fotografie delle opere di Antonio e Angelo Guazzo e i lavori di Primo Favarin. Vittorio Berruti, della IIA a tempo prolungato Scuola Media Statale "Capello" - Moncalvo ANTICA RICETTA PER FARE UNA BUONA MINESTRA proposta da Antonio Barbato Durante i lavori di riordino e schedatura dell’archivio storico del Comune di Moncalvo, e all’interno di un pacco ben legato con su la scritta "Carte tottalmente (sic!) inutili, da scartarsi", abbiamo trovato questo breve documento a stampa risalente probabilmente all’inizio dell’ 800. La presenza di un spago nell’angolo alto a sinistra delle carte ci fa pensare che fu anche affisso all’albo pretorio del Comune per darne maggior diffusione e conoscenza ai cittadini. Se qualche buongustaio, esperto di culinaria, o semplicemente curioso ha intenzione di provare questa gustosa ricetta, ci faccia poi eventualmente sapere le proprie impressioni. Libertà Uguaglianza Estratto dai registri dell’Accademia Agraria Subalpina Metodo di fare le minestre economiche. "Per fare queste minestre, che uniscono l'economia ed il sapore grato alla nutrizione sostanziosa, conviene saperne la ricetta, ossia i componenti, e la manipolazione. Riguardo alla ricetta si può variare a piacere, e secondo le circostanze; se ne trovano diverse nell'Estratto delle opere del conte di Rumphord, e nel Calendario Georgico di quest'anno pubblicato dal presidente dell'Accademia Agraria; e generalmente sono buone a fare queste minestre tutte le sostanze farinose, come i fagiuoli, i ceci, le fave, le lenticchie, il formentino, l'orzo, il riso, la meliga, le castagne, le tartifle, o pomi di terra, ec. (n.d.r. le "tartifle" sono, evidentemente le patate) Io propongo qui la ricetta sperimentata dai Cittadini Balzetti Tesoriere, e P. Ramino di s. Carlo, del Comitato di beneficenza, colle dosi rispettive ridotte al centinaio perché si possano facilmente proporzionare a numero maggiore o minore, con mettere la dose dell'acqua in peso ed in misura secondo il peso, che mi risultò di libbre tre oncie nove la pinta d'acqua. Per fare cento porzioni di oncie 16 ciascuna di minestra, acqua libbre 168 oncie 9, ossia una brenta e un quarto, farina di meliga 7. 3. riso 5. 0. tartifle 7. 0. castagne 3. 4. cipolle 2. 9. lardo 0. 10. sale 2. 3., e consumarono dieci legne per cuocerle. Con questi od altri simili componenti, ed aggiungendovi, se così piace, un poco di carote, di porri ec. per dar il gusto alla minestra, si forma questa nella minestra seguente: alla sera si mettano i legumi rotti, od i grani farinacei, eccetto il riso, nell'acqua tiepida, perché si gonfino, ed al mattino si sciolgano più facilmente in poltiglia, e si preparino le tartifle pelate. Al mattino per tempo si mettano le tartifle a bollire lentamente col terzo dell'acqua, che i vuol impiegare per l'intera minestra. Si rimescolano di tempo in tempo con una spatola di legno, perché si sciolgan più facilmente, e non prendan il gusto di bruciato. Questa operazione dura circa un'ora. Quando le tartifle sono ridotte in poltiglia, si aggiunge tutto il restante dell'acqua, che si fece riscaldare mentre si scioglievano le tartifle, indi si mettono tutti i farinacei rotti; questi si fanno bollire lentamente, e si rimescolano di tempo in tempo colla spatola di legno sintanto che siano anch'essi sciolti in poltiglia, che si fa cuocere lentamente, sinchè sia mediocremente spessa. Allora si mette il condimento fatto di lardo che si tritura bene, e si liquefà con cipolle e peperoni rossi, ed il sale, poco a poco rimescolando il tutto, perché si distribuisca egualmente per tutta la minestra. La minestra cotta si prende con una misura, che contiene le sedici oncie, e si versa sopra pezzetti di pane ben secco, o sopra castagne, per obbligare alla masticazione utilissima per la buona digestione. Il condimento si può anche variare con carne salata, grasso di bue, olio ec., ma la carne ed il grasso si mettono coi farinacei, e il sale si può anche mettere allora, perché bollano colla poltiglia, che deggiono condire. La lunga e lenta cuocitura è quello che rende queste minestre sostanziose, che l'esperienza dimostrò bastar tre porzioni di sedici oncie al giorno per mantenere bene le persone, che fanno forti fatiche, due porzioni per le persone, che fanno fatiche minori". Notizie PRESENTATO IL PRIMO VOLUME DI "MONFERRATO TRA PO E TANARO" Sabato 20 febbraio, nella cornice del salone della Biblioteca civica "Montanari" di Moncalvo, è stato presentato al pubblico il primo volume dell’opera "Monferrato tra Po e Tanaro - Guida storico–artistica dei suoi Comuni" di Aldo di Ricaldone, pubblicata dall’astigiano Lorenzo Fornaca. Erano presenti, fra gli altri, l’onorevole Vittorio Voglino, membro della Commissione cultura della Camera, l’Assessore provinciale alla Cultura, Piera Accornero, accompagnata dal Consigliere provinciale Luigi Porrato, il dottor Massimo Carcione, Consigliere provinciale di Asti e funzionario dell’Assessorato alla cultura della Provincia di Alessandria oltre che Segretario generale aggiunto della SIPBC, vari Sindaci di Comuni monferrini, studiosi di storia locale e rappresentanti degli organi di informazione. Gli ospiti, accolti nell’androne del palazzo municipale da due figuranti in costume, sono stati salutati dal Sindaco di Moncalvo, Aldo Fara, che era accompagnato dall’Assessore Piero Baldovino. Oratore ufficiale della giornata è stato il professor Dionigi Roggero, ordinario di Storia e Filosofia nei licei, pubblicista e storico locale di grande competenza; al tavolo dei relatori erano anche il dottor Stefano Grillo, l’editore Lorenzo Fornaca ed il Presidente della biblioteca, Alessandro Allemano. Il professor Roggero ha svolto il proprio intervento evidenziando uno dei molti possibili "itinerari di lettura" del libro: il percorso dei moltissimi personaggi illustri che in Monferrato hanno avuto i natali o che comunque il Monferrato hanno illustrato. Dopo una introduzione di carattere generale, nella quale ha definito le caratteristiche del volume (880 pagine nelle quali si traccia il profilo di 34 Comuni e due Santuari, con abbondanza di disegni e fotografie), egli ha affermato che i monferrini insigni si possono ricondurre a due categorie. La prima comprende i personaggi che "si nutrono di sradicamento, di peregrinazione, che abbandonano la loro terra per andare a morire lontano dalla patria": a questi ben si addice il mito di Ulisse, più l’Ulisse di Dante che di Omero. Gli altri sono quelli che "si identificano con una città, con la terra in cui vivono e che proprio da quella terra riescono a prendere forza e che è una terra che rifiorisce al loro passaggio": per costoro l’accostamento mitologico più adatto è ad Anteo, il gigante fortissimo figlio di Posidone e di Gea, che appena posava i piedi sulla madre Terra ne assorbiva le energie, divenendo invincibile. Tre sono i personaggi, definiti da Roggero "monferrini smonferrinizzati", che possono ben descrivere la prima categoria: Cristoforo Colombo, il famoso avventuriero Giovanbattista Boetti, detto "Al Mansur", originario di Piazzano, ed il conte Carlo Vidua di Conzano, bella figura di viaggiatore in giro per il mondo dei primi decenni dell’Ottocento. Alla figura del gigante Anteo il relatore ha associato invece Aleramo, il fondatore del Marchesato monferrino, san Giovanni Bosco, del cui apostolato parlano tanti paesi monferrini, e Guglielmo Caccia, che sebbene nativo dell’Acquese, tanto meritò di queste terre da ottenere l’appellativo di "Moncalvo". Il professor Roggero, lodando la perizia di Aldo di Ricaldone e l’intraprendenza dell’editore Fornaca, ha infine auspicato la compilazione, al termine del secondo volume, di un indice dei nomi, strumento indispensabile in un opera tanto vasta. Il Presidente della biblioteca, Alessandro Allemano, ha poi illustrato brevemente uno dei 34 Comuni descritti nel libro: Grazzano Badoglio. La "lettura" che di questo paese ha fatto Allemano ha seguito lo stesso schema -originale peraltro- presentato dall’Autore. A cadenze di mille anni, come afferma Aldo di Ricaldone, a Grazzano un personaggio "speciale" sorge a simbolo della propria epoca e, più ancora, del millennio. Nel secolo I a.C. è il legionario imperiale Grattius a fondare il borgo (che da lui prenderà denominazione) con l’aiuto dei compagni che in segno di buonuscita avevano ottenuto un podere nelle terre conquistate. Poco prima dell’anno Mille il marchese Aleramo, di nobile stirpe sassone, ottiene dall’imperatore una vasta zona di territorio tra Piemonte e Liguria quale compenso per i servigi resi in guerra: sarà il fondatore del marchesato di Monferrato e della celebre abbazia benedettina di Grazzano, dove volle la sua sepoltura. Attraverso l’interessante storia, tracciata a grandi linee, dell’abbazia di Grazzano, soppressa dalle leggi napoleoniche ai primi dell’Ottocento e non più ristabilita, si giunge al secolo nostro, quando, mille anni dopo Aleramo, un altro grazzanese assurge addirittura a capo, militare prima e politico poi, dell’Italia: il Maresciallo Pietro Badoglio. Al termine dell’intervento del Presidente, Stefano Grillo, discendente da una nobile famiglia di origine genovese poi trapiantata in Monferrato e che ebbe esponenti anche a Moncalvo, ha brevemente delineato la figura di Aldo di Ricaldone, assente dalla presentazione per motivi di riservatezza. È emerso il ritratto di un personaggio che vive quasi fuori dal tempo, completamente occupato, quasi avvinto, dalle antiche carte che parlano la storia monferrina. "È un uomo che ama la tradizione, coltiva la tradizione e odia cordialmente la modernità o peggio il modernismo", ha detto il dottor Grillo. "La sua casa offre al visitatore lo spettacolo di un piccolo squarcio di Medioevo, Medioevo nel quale lui vive tutt’oggi rifiutando quelli che per noi sono strumenti indispensabili". Ed è in questo isolamento Aldo di Ricaldone ha potuto produrre in trent’anni oltre sessanta opere di argomenti disparati. L’editore Lorenzo Fornaca, dal canto suo, ha ripercorso le tappe che lo hanno portato a conoscere l’Autore e a pubblicare, non senza difficoltà, il "Monferrato tra Po e Tanaro"; auspicando di poter presentare tra un anno il secondo volume, egli ha poi ringraziato la Biblioteca di Moncalvo che si è assunta l’onere di approntare e gestire la presentazione. In altri brevi interventi conclusivi, l’onorevole Voglino e l’Assessore Accornero hanno sottolineato come un testo come il "Monferrato" abbia, oltre che funzioni di documentazione storica, anche fini di promozione turistica dei paesi monferrini. Gli interventi di Roggero e Allemano sono stati arricchiti dalla lettura di alcune poesie in dialetto monferrino di Nino Costa, Pinin Pacòt, Cesare Vincobrio e Domenico Testa: dicitori molto apprezzati sono stati Elio Botto e il poeta Lorenzo Magrassi. Nei locali della biblioteca erano anche esposti i disegni originali che l’editore Fornaca ha commissionato ad alcuni pittori astigiani e monferrini per l’illustrazione dell’opera. Va infine rilevato che una buona parte delle fotografie che compaiono nel primo volume e che compariranno nel secondo provengono dall’eccezionale Archivio fotografico Parva Lux di Camandone, Zanzottera e Verdelli. "PERÙ ANTICO - BOLIVIA MAGICA", MOSTRA DI PIT PICCINELLI Dal 21 marzo all’11 aprile 1999, Casa Montanari è stata teatro di un altro importante avvenimento culturale: "Perù Antico e Bolivia Magica", esposizione e importanti note di viaggio nel Perù Antico e Bolivia Magica di Pit Piccinelli a cura di Bona Tolotti e della Biblioteca civica. Questa mostra ha esposto pensieri raccolti sul campo di lavoro dall’Artista Pietro ‘Pit’ Piccinelli. Un lavoro da antropologo alla scoperta dell’Uomo ripercorrendo i tempi dell’Altra America con i suoi colori, ritmi e suoni. Oggi Pit ha 83 anni e continua a raccontare, con colori, ritmi e suoni i tempi dell’Altra America, della Nazioni Indiane come Nazioni Sovrane; popoli sempre ricchi di dignità, di tradizioni e i saggezza che continuano tenacemente a rifiutare l’integrazione forzata di una società estranea ai propri valori. La mostra di primavera è stata dedicata al Perù Antico e alla Bolivia Magica: in essa l’artista ricorda molto di quello che non è andato perso: dalle gigantesche costruzioni, alle arti minori e i riti, i tratti delle espressioni, i ricchi costumi, inoltre esponendo anche il modello grafico del loro antico linguaggio tuttora vivente, un mondo di leggere e scrivere con forme e colori. Tante sacralità dei Nativi delle Americhe testimoniate come un autentico archivio tratto dalle importanti raccolte dei suoi incontri e permanenze avvenuti già dalla prima giovinezza. Con questa esposizione Pit Piccinelli ha voluto proseguire un più ampio progetto di studio e ricerca antropologica iniziato nel 1996 con la notevole mostra parigina svoltasi dal 9 dicembre ’96 alla fine di gennaio del ’97 dal titolo "Hommes et Forêts d’Amazonie", organizzata in collaborazione con l’Association Universitaire de Cooperation Internationale dell’Universitè Paris X Nanterre. È importante sottolineare che anche in questa occasione l’esposizione di un centinaio di opere distribuite tra disegni, oli su tela, schizzi, carte geografiche ed altra documentazione è stata presentata nelle sale della Biblioteca Universitaria dell’Università di Nanterre Paris X ed ha inaugurato questo spazio espositivo nell’ambito di un programma culturale e scientifico indirizzato alle varie specializzazioni accademiche. L’Assessorato alla Cultura ha provveduto, in occasione di questa importante mostra, alla riproduzione a colori in 300 copie dell’opera "Sacsahuaman (Perù) - I figli del Sole (gli Incas)", ora di proprietà del Comune di Moncalvo per donazione di Pit Piccinelli. CONFERENZA DI GIOVANNI ROMANO SU GUGLIELMO CACCIA Nella bellissima cornice della chiesa di San Francesco, vera pinacoteca di arte sacra moncalvese, sabato 27 marzo si è tenuta una bella manifestazione a conclusione della prima parte del progetto "Itinerari cacciani" a cura dell’Amministrazione provinciale di Asti e del Comune di Moncalvo. Il professor Giovanni Romano, ordinario di Storia dell’arte medievale e moderna presso la facoltà di Magistero dell’Università di Torino, nonché massimo studioso di Guglielmo Caccia, ha tenuto una interessante e seguitissima conferenza sulla figura e l’opera di questo pittore, nato a Montabone d’Acqui nel 1568 e morto a Moncalvo nel 1625. Alla cerimonia, organizzata congiuntamente dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Asti e dalla Biblioteca civica "Montanari" di Moncalvo, erano presenti, tra gli altri, l’Assessore provinciale Piera Accornero, la dottoressa Elena Ragusa della Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Piemonte, il Presidente e il Direttore del Parco di Crea, Merlo e Barbero, accompagnati dal Rettore del Santuario e già Prevosto di Moncalvo, mons. Carlo Grattarola, il consigliere provinciale Massimo Carcione, Sindaci ed amministratori di vari Comuni monferrini. Tra il pubblico erano anche presenti due classi della locale scuola media. Nel suo indirizzo di saluto l’Assessore Accornero ha ringraziato gli enti che hanno promosso nell’estate 1998 gli "Itinerari cacciani", oltre al Prevosto di Moncalvo, don Angelo Francia, per la disponibilità dimostrata in questa occasione. "Il risultato dell’esperienza degli Itinerari", ha detto Piera Accornero, "non solo ci ha spronati a mettere sul tappeto l’organizzazione dell’incontro di oggi, ma ci ha dato chiari segnali di quanto la valorizzazione dei beni culturali possa essere elemento di tramite per altre e parallele proposte culturali e occasione di accrescimento per tutti noi". È stata poi la volta del Presidente della biblioteca, Alessandro Allemano, che ha rivolto un saluto ai presenti leggendo la toccante testimonianza del Viceparroco di Moncalvo che nei primi mesi del 1943 ebbe la ventura di svolgere la ricognizione sulla sepoltura di Guglielmo Caccia, nella cappella di Sant’Antonio, al culmine della navata sinistra del "bel San Francesco". La conversazione del professor Romano si è quindi svolta con grande efficacia di esposizione, in modo da risultare gradevole anche a chi non è un conoscitore della storia dell’arte. Il relatore ha illustrato i diversi periodi della produzione cacciana in Monferrato servendosi di una serie di diapositive, sulle quali ha svolto confronti e raffronti. Non ha dimenticato di ricordare come abbia mosso i primi suoi passi alla "riscoperta" del Caccia quarant’anni fa, proprio a Moncalvo, aiutato nelle sue peregrinazioni monferrine dall’allora Prevosto don Finazzi e dai fotografi-artisti Teresio Zanzottera e Alberto Verdelli (quest’ultimo operatore d’eccezione alla proiezione delle diapositive durante la conferenza). Il Caccia che è emerso dalla conversazione di Giovanni Romano è risultato un personaggio calato appieno nella realtà quotidiana e alle prese con le necessità della vita d’ogni giorno, preoccupato nei suoi ultimi anni di dare alle figlie monache e pittrici un convento in Moncalvo, sì da legare indissolubilmente il nome di Caccia alla località monferrina che gli ha anche attribuito il soprannome con cui egli è noto. Al termine, è stato possibile per i presenti visitare alcune tele del Caccia custodite nella sacrestia della parrocchiale e generalmente non visibili da parte del pubblico (il "San Matteo" con i due famosi puttini, soggetto di una bellissima cartolina di qualche decennio fa); la giornata cacciana è proseguita nel Palazzo municipale, dove sono custodite altre tele del pittore di Montabone e soprattutto le notissime "nature morte" della figlia suor Orsola Maddalena. Nella sala consigliare rimessa a nuovo da un apprezzato intervento dell’Amministrazione comunale, tutti gli intervenuti hanno gustato un aperitivo. Nel pomeriggio dello stesso sabato 27 marzo, nonostante l’inclemenza del tempo, per la verità assai poco primaverile, è stato possibile visitare, con l’ausilio di guide appositamente addestrate, alcune delle chiese monferrine che custodiscono opere cacciane: le cappelle del Sacro Monte di Crea, le chiese di Grazzano Badoglio, quelle di Penango, Cioccaro, Grana, Casorzo e Calliano, oltre naturalmente agli edifici sacri di Moncalvo. "ALLE ORIGINI DEL MONFERRATO. STORIA E NOMI DI LUOGO: MONCALVO, CREA, MONFERRATO E ALTRI"; CRONACA DELLA CONFERENZA DI OLIMPIO MUSSO (a cura di Alessandro Allemano) Gli studiosi di storia locale e anche i semplici appassionati hanno da sempre ritenuto che il nome di Moncalvo non abbia un’origine particolarmente oscura: proviene, quel toponimo, da "mons calvus", cioè "monte privo di vegetazione", a motivo di sistematici disboscamenti operati verso l’anno Mille dagli abitanti del luogo. Questa è in verità la spiegazione offerta anche dal "Dizionario di toponomastica" della UTET, una voce particolarmente autorevole fra tante ipotesi e supposizioni. Giovanni Minoglio, finora il maggiore storico civile di Moncalvo affermava, del resto, oltre 120 anni fa che "se ben si considera il nome (...) si vedrà che non si dilunga dalla verità l’asserzione essere Moncalvo di origine medio-evale". Aldo di Ricaldone all’inizio degli anni ‘70 scriveva: "Come risulta evidente dal toponimo stesso, Moncalvo è nominativo di pretta origine medievale, anche se nelle immediate vicinanze del centro urbano sono venute alla luce epigrafi romane di qualche interesse. (...) Non sappiamo in quale epoca precisamente, ma verso il mille, le popolazioni della regione disboscarono il crinale, dove poi sorse Moncalvo, che fu appunto chiamato, per la caratteristica di essere schiomato in un mare di verzura: Moncalvo, cioè Monte Calvo"; e soggiungeva, trattando del motivo del disboscamento: "Forse ci troviamo davanti ad una emigrazione o forse le piante vennero tagliate per usi domestici: tutte e due le cause potrebbero essere valide e coesistere". Lo storico di Ottiglio però nel recente "Monferrato tra Po e Tanaro", parlando di Moncalvo, a pagina 777 del primo volume, dice testualmente: "È noto che l’interpretazione del toponimo Moncalvo è allegata dagli studiosi ad una zona priva di vegetazione, particolarmente di alberi, sia per motivi naturali sia per fattori di disboscamento. Ma documentata la presenza di pagi e ville romani nella odierna area civica e nei territori confinanti, risulta assai probabile che il toponimo desuma il titola dal colle (mons in latino) del romano Calvus, ubicato in posizione dominante intorno alla cui villa si unificò al tempo delle invasioni barbariche (V secolo) il primo nucleo demico che assunse il nome: Monte (colle) di Calvo divenuto in prosieguo di tempo Mons Calvus ossia la sede del romano Calvo, italicamente Moncalvo. Un esempio insigne lo troviamo a Montemagno che nulla assolutamente ha da spartire con la facile derivazione di Monte Grande o Grosso bensì dal patronimico romano Manius, come accadde nella Gallia Transalpina per i vari Mont Magny e Mons Calvus o Calvius". Ebbene, pare che anche questa seconda ipotesi debba essere messa in discussione, soppiantata -o, meglio, affiancata- da una terza, che farebbe derivare il nome della città monferrina da un termine barbarico inserito in un substrato romano. Ad illustrare questa affascinante ipotesi, così come quelle che riguardano l’origine dei nomi di luoghi del Monferrato, è stato sabato 15 maggio il professor Olimpio Musso, che ha parlato nel salone della Biblioteca civica di Moncalvo gremito di un pubblico numeroso e particolarmente interessato all’argomento, composto di studiosi ma anche di semplici curiosi. Il conferenziere Casalese di nascita, ma di famiglia astigiana, Olimpio Musso è docente presso il Dipartimento di Scienze dell’antichità "Giorgio Pasquali" dell’Università di Firenze. Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni su vari temi dell’antichità classica e medievale (dalla filologia all’epigrafia, dalla papirologia alla numismatica, all’archeologia, alla storia), da parecchi anni si occupa di storia monferrina e di archeologia, numismatica e onomastica del Monferrato. Ha partecipato in veste di relatore al "Quarto Congresso di Antichità e d’Arte" svoltosi a Casale nel 1969, nel quale si è occupato anche della zona di Moncalvo dando notizia di reperimenti archeologici. Ha tenuto conferenze sul Duomo di Casale e sui suoi mosaici, sui Templari in Monferrato e su San Varo, sulla tomba di Aleramo in Grazzano e sul mosaico romano posto sulla sua tomba, sulla storia di Pontestura decifrando la scrittura sul fonte battesimale di S. Agata, sugli altorilievi di Mombello di età traianea e sul monastero di Monte Sion a Zenevreto di Mombello. Da qualche anno si sta occupando dell’origine del termine «Monferrato» ed è giunto a conclusioni nuove. Anche sull’origine di alcuni toponimi le sue ricerche l’anno portato a risultati nuovi ed inaspettati. È stato inoltre addetto culturale a Monaco di Baviera e a Barcellona; in quest’ultima sede ha diretto la Sezione di Studi Storici "Alberto Boscolo" dell’Istituto Italiano di Cultura. È Accademico di Spagna in quanto membro corrispondente dell’Institut d’Estudis Catalans. Va innanzitutto chiarito che, nonostante i molti titoli che gli competono, Olimpio Musso si è presentato al pubblico con una verve dialettica di certo non accademica e cattedratica: il suo è stato un linguaggio semplice, usato più per incuriosire l’uditorio che per affermare verità inconfutabili (come spesso è abitudine di tanti professori). La sua è stata -mi si passi il termine dotto- una conversazione condotta con il metodo maieutico caro a Socrate: i concetti, le risposte, il desiderio di proseguire nella ricerca, vengono dati dagli stessi ascoltatori, opportunamente stimolati dal conduttore dell’intervento. È comprensibile che tutti aspettassero le novità annunciate sul toponimo "Moncalvo", ma il professore ha fatto ben attendere questa conclusione, preferendo giungervi per gradi e sempre attraverso la toponomastica monferrina. Da Terruggia fino a Solonghello e Salabue passando per Castellazzo, Godio, Murisengo e tanti altri paesi "Quello che vi dirò" ha esordito il professore "magari non sarà vero al 100%, però è senz’altro nuovo, perchè io non mi presento al pubblico se non ho qualcosa di nuovo da dire; se poi sia convincente, lo giudicherete voi. Anzi, le nuove ipotesi io non le dirò: vi presenterò il materiale e le conclusioni le tirerete voi, con perfetta vostra libertà". Lo studio della toponomastica locale non è affatto semplice, ammesso che si vogliano proporre ipotesi con un minimo di serietà: occorre innanzitutto conoscere le lingue straniere, poiché i testi basilari di questa disciplina sono per lo più scritti in tedesco, e qui Musso ha citato gli autori principali, che sono il Förstemann e il Gamillscheg, vere miniere di informazioni come repertori di radici di nomi (in uno di questi testi è ad esempio citato come importantissimo il toponimo di Godio, oggi frazione minuscola del Comune di Castelletto Merli). Inoltre va tenuto sempre presente che il Monferrato è stata terra di conquista per tante popolazioni e quindi non si può pretendere che i nomi siano soltanto latini, o soltanto germanici: molto spesso su radici più antiche si sono impiantate parti più recenti, derivate dalla lingua di un altro popolo che in quella terra è passato o vi si è insediato. Il viaggio di Olimpio Musso tra i nomi di luogo monferrini ha quindi preso avvio dai tanti equivoci interpretativi che negli ultimi secoli hanno creduto di spiegare l’origine di molti toponimi, facendo magari entrare questi errori addirittura negli stemmi civici. Terruggia, ad esempio, comune a pochi chilometri da Casale, è stato interpretato come proveniente da "Terricula"; ma secondo le leggi della fonetica si dovrebbe avere in italiano non Terruggia, bensì "Terricchia". Si tratterebbe quindi dell’interpretazione falsamente dotta di qualche scrivano dei tempi passati. Si può quindi concordare con Fedro che "non semper ea sunt quae videntur, decipit frons prima multos", "non sempre le cose sono in realtà come appaiono e molti sono ingannati dalle apparenze". Castellazzo, frazione del Comune di Serralunga di Crea, è ritenuto anche dal Dizionario UTET quale "diminutivo-dispregiativo di castellum"; ma perché non crederlo -e i manuali ne corroborano l’ipotesi- come "castello di Azzo", esattamente come esiste Castellalfero, "castello di un certo Alfero, o Alfiero"? Altra questione, sollevata da un Ospite verso il professor Musso, è stata quella relativa al fatto che neppure una minima traccia esiste a Castellazzo di un castello o di qualcosa di simile. Anche qui il Relatore ha specificato come molti paesi, non solo monferrini, fossero nella loro interezza dei "castra", cioè "luoghi fortificati", quindi castelli; soltanto nel XII secolo sono sorte le costruzioni in pietra, possedute e abitate dai signori del luogo, che, con caratteristiche architettoniche particolari, sono i castelli quali comunemente intendiamo. In "Terruggia" possiamo distinguere una radice terr-di chiara etimologia, sulla quale si è impiantata una desinenza -uggia, che non viene da -odia latino, bensì da Udo, nome germanico attestato dagli Autori: perciò Terruggia = terra di Udo. L’impianto germanico su di un substrato latino testimonia dell’antichità del luogo; all’arrivo dei Germani in Monferrato, essi hanno in un primo tempo cercato di usare una parte del nome di un luogo, inserendovi proprie connotazioni. Il Monferrato ha subito sostanzialmente tre invasioni: dai Goti, dai Langobardi e quella dei Franchi. Gli studiosi hanno in proposito potuto accertare che in epoca medievale non rimanevano pressoché più nomi latini, se non nomi di santi: tutto risentiva della presenza delle genti germaniche. Dai Goti proviene Godio, che è una piccola borgata ma conserva la peculiarità di essere uno dei pochissimi toponimi gotici sicuri; perciò è conosciuto anche all’estero, presso gli studiosi tedeschi. Dai Langobardi derivano i toponimi che terminano in -engo. È il caso di Murisengo, che potrebbe sembrare un prediale derivante dal nome proprio Muris, quindi "podere di Muris"; in realtà, se così è ad esempio per Pozzengo ("podere di Pozzo"), per Murisengo si propone la derivazione da Munesingo, attestato già attorno all’anno 870, nome proprio che ha dato il nome al paese. Non bastano però questi tre grandi gruppi storico-etnici per sistematizzare la toponomastica locale; da queste parti c’erano anche altre popolazioni, alcune delle quali precedenti: i Taifali, i Sarmati, gli Alamanni. I Goti a loro volta si suddividono in Visigoti, Ostrogoti, Gepidi. Alla fine dell’impero romano i latini erano stati completamente sottomessi da queste nuove popolazioni, tutte piuttosto barbariche tranne i Goti. Anche Saluzzo ha un etimologia analoga a quella di Terruggia: deriva da "sala di Uzzo". Come il professor Musso ha precisato, termini come "sala" e "fara" sono di certa provenienza langobarda. Egli alla cascina Fara di San Vincenzo presso Moncalvo trovò notizia, qualche decennio fa, di quattro sesterzi romani di bronzo; ciò che in questo caso è importante non è tanto la moneta in sé, quanto piuttosto la sua localizzazione. A questo punto -segnala l’estensore di questa cronaca- il Sindaco di Moncalvo, purtroppo assente alla conversazione per altri impegni, avrebbe tratto motivo di giusto vanto il conoscere la propria ascendenza come dichiaratamente langobarda, giacchè il termine "fara" significa "piccolo insediamento langobardo". Anche la vicina Penango possiede un toponimo germanico, così come il microtoponimo moncalvese Borganino (la valletta di Borganino). Un altro nome che potrebbe sembrare curioso è Monteu da Po, l’antica Industria, località nei pressi di Cavagnolo. Il solito Dizionario UTET lo fa derivare da "montis acutus", ma se così fosse l’accento dovrebbe cadere in fine di parola, dando "Monteù". Molto più razionale sarebbe ricondurlo al germanico Eu (come esiste, ad esempio, Eurìco): perciò Monteu = Monte di Eu. Il fatto che non sia mai stato proposto questo etimo deriva in gran parte dall’influenza che sugli storici italiani hanno avuto i Romani, ma noi -come ha più volte affermato il professor Musso"siamo Germani" e dobbiamo disporci all’interpretazione dei nomi di luogo tenendo presente la natura profondamente germanica del Monferrato. I Romani hanno comunque lasciato una serie di toponimi diffusi in Monferrato: tutti quelli terminanti in -ano (Grazzano, Ponzano, Gabiano, etc.). "Tutte queste cose che io vi dico" ha ancora ribadito il Conferenziere "non è detto che siano giuste: le giudicate voi, poi se vi piacciono le accettate, se no fate altre ricerche. L’importante per me è che vorrei dire che queste ricerche sono una cosa seria, condotte su una base scientifica". Uviglie potrebbe derivare dal semplicissimo "uva", però è pur vero che in germanico esiste un nome Uwila e un altro Wilja: sta quindi all’ascoltatore scegliere l’ipotesi che gli sembri più corretta. Uviglie si trova vicino alla valle Ghenza, termine attestato intorno al Mille come "Genza", termine che può essere ligure, ma potrebbe anche essere germanico. In Catalogna visse attorno al Mille un famoso abate, di nome Òliba, il cui genitivo è "Olìbanis"; il nome ha prodotto il termine tedesco "Eule", "civetta", e potrebbe ben spiegare -sia chiaro sempre in termini di ipotesi- il nostro Olivola. Montiglio esso pure potrebbe essere termine di derivazione germanica, inteso come "monte di Ilo"; Mombello, che tutti fanno derivare senza troppo sforzo da "monte bello" ("non sono forse tutti belli i paesi monferrini?" ha obiettato Musso; "perché chiamare bello soltanto quel paese della Valcerrina?") potrebbe invece significare "monte di Ballo", nome di persona attestato nelle lingue germaniche, nella viriante Bel pure attestata (il Conferenziere ha messo in guardia dall’inventare nomi, come spesso succede). Anche Mombaruzzo è forse "monte di Baro", di chiara origine langobarda. Solonghello, che possiede la stessa provenienza di Zoalengo, è anch’esso attestato come nome germanico, derivante da Salo. Salabue, già Comune autonomo, ora frazione di Ponzano, deriva da "sala", che come "fara" e "arimannia" denuncia una chiarissima connotazione germanica: "sala" significa infatti "casa della residenza padronale" all’interno della "fara" langobarda. Il -bue è un’aggiunta successiva, derivante, come anche dice Aldo di Ricaldone, dal nominativo "Bolo". La probabile "germanicità" di Moncalvo Esiste a Moncalvo, come preannunciato, la valletta denominata Borganino, la cui etimologia sembrerebbe derivare da "borgo di Anin", altro nome proprio germanico. E finalmente il professor Musso è giunto a parlare del nome Moncalvo. Qui sembrerebbe non esserci problema alcuno: che derivi da "calvo" inteso come "schiomato" o dal nome personale "Calvo", il significato non parrebbe discutibile. Ma in germanico esiste il termine "calw" ed esiste una città chiamata Calw, patria fra l’altro dello scrittore Hermann Hesse. Può quindi esserci la possibilità che "calvo" non sia nome latino, bensì germanico. Il latino ci indica "colle calvo" ("non si capisce bene perché" ha detto il Conferenziere, "tutto il Piemonte fosse ricoperto di foreste e solo questo paese risultasse privo di vegetazione"), oppure "colle del latino Calvo", ma non possiamo affatto escludere che derivi dal germanico "calw". Novità anche su Crea Olimpio Musso ha qualcosa di nuovo da dire pure sul toponimo Crea, tanto caro ai monferrini. "Può darsi che faccia qui un peccato", ha detto il professor Musso rivolgendosi a monsignor Carlo Grattarola, Rettore del Santuario. "Comunque quello che io cerco con queste conferenze è di instillare un metodo e un interesse". Nella dialettologia e nell’onomastica francese esiste "crête", quindi una "cresta", ma in certi dialetti del Delfinato il termine è maschile; ma l’esito in Italia non sarebbe stato "Crea", bensì "Cresta". Il nostro "Crea" è attestato "in castro credonensi" (1152), "Creta" (1163), "Credonensem ecclesiam" (1176), "Creta" (1202), "Creda" (1223), "Crea" (1231). La radice del nome è quindi cred-, poi divenuto cret-per successivo passaggio dalla sonora -d alla sorda -t. Ma, escluso il termine italiano "creta" come possibile etimologia, sorge un altro problema: l’aggettivo locativo dovrebbe essere in latino "credensis", e non, come invece è, "credonensis". Musso ha trovato un termine germanico, "Hretha", dove la "H" iniziale si legge "C" robusta, così come ha trovato "Hredi", "Redun" e "Hredun". L’origine di questi termini è la parola "hriad", che significa "canna selvatica"; perciò Crea era "Creda" quando si trattava di nome proprio, mentre diventava "Credon" ("Hredon") nella formazione dell’aggettivo. È questa un’altra delle ipotesi proposte dal professore: anche stavolta si è liberi di accettarla o di respingerla, tuttavia essa appare credibile. Monferrato, per finire "È il pezzo forte di questa conversazione, perché è la prima volta che dico in pubblico il risultato della mia ricerca". Così Olimpio Musso ha introdotto l’ultima parte della sua relazione sui nomi di luoghi. Sul Monferrato si sono dette e scritte, e continuano a scriversi tante cose, non sempre corrette, da parte di autori che si avvicinano al Monferrato con poco amore e con molta presunzione. Il Dizionario di toponomastica UTET non dice sostanzialmente nulla sull’etimologia definitiva del termine; la compilatrice si limita a passare in rassegna le varie ipotesi proposte nel corso dei secoli. Si va dal "mun frà" che deriva dalla leggenda di Aleramo nell’atto di ferrare il proprio cavallo con un mattone ("mun", in dialetto), alla figura di un antico fabbro che teneva bottega vicino a Crea, fino all’ipotesi che il termine derivasse dal latino (dubbio) farrare, "coltivare a farro" "con riferimento dice il Dizionario- alla natura del territorio, privo di boschi, coperto di campi fertilissimi". Il Serra nel 1927 "avvicinò il coronimo a ferré, che, in antico francese veniva applicato a chemin, per indicare un ‘sentiero riservato al pascolo delle greggi migranti’" Il Dizionario non cita forse l’unica antica fonte che può metterci sulla strada giusta: la "Cronica degli Illustrissimi Principi et Excellentissimi Marchesi di Monferrato", scritta nel 1493 da Galeotto Del Carretto. Qui si dice testualmente: "In questo ameno et placido paese / Nulla di ferro vena a Marte applaude", che significa che non c’è mai stata estrazione di ferro in Monferrato in quantità tale da giustificare il nome per tutta la regione. Il nome proverrebbe invece, secondo l’Autore della "Cronica", da Aysembergo, località sassone, origine presunta della stirpe dei Marchesi di Monferrato; e spiega quindi: "Volendo Aysembergo interpretare / Di ferro monte vol significare". "Galeotto del Carretto è l’unico che ha avuto il fiuto giusto di capire che Monferrato doveva essere il nome di una località", ha concluso Musso, il quale ha contato ben sette Eisenberg in Germania, neppure uno però in Sassonia. È quindi stato opportuno "cambiare strada", lasciando la pista sassone, anche perché il Marchese di Monferrato era di stirpe franco-burgunda, come indirettamente attestato da un documento del 961. Olimpio Musso si è quindi diretto in Francia, alla volta di un paesino presso Grenoble che si chiama Montferrat, nel dipartimento dell’Isère, situato nei pressi del lago di Paladru. Anticamente esisteva in quella località una contea, il che potrebbe bene adattarsi al fatto che Guglielmo, padre di Aleramo, fosse conte. Anche se nessuno ha saputo fornire notizie più precise su tale feudo, è probabilmente questo il luogo che ha originato il nostro Monferrato. A favore di questa ipotesi il professore pone una prova lampante: quei francesi abitanti di Montferrat dell’Isère non si chiamano "monferratois", come in un altro Montferrat (nel dipartimento del Var, dove esisteva una miniera di ferro, secondo un’informazione del Sindaco Giampiero Cattaneo, di origine italiana, al professor Musso), bensì "monfrinos", che benissimo si adatta al nostro "monfrin", "monfrinot". Con questa comunicazione si è conclusa, dopo due ore abbondanti, la conversazione piacevolissima-di Olimpio Musso, che è stata anche l’ultima manifestazione promossa dal Consiglio di biblioteca prima delle elezioni comunali del 13 giugno. La consegna di alcuni omaggi e un rinfresco hanno terminato l’interessante pomeriggio. Donazione bibliografica "Agostino Lumello" Nello scorso mese di maggio la Biblioteca civica di Moncalvo ha acquisito una ingente donazione di libri pervenuti dalla signora Anna Lumello Quaglino che, con la madre Isabella Bonicelli Quaglino, ha inteso onorare la memoria del padre, professor Agostino Lumello. Agostino Lumello nacque a Torino il 10 febbraio 1910. Proveniente da famiglia non particolarmente abbiente, frequentò l’Istituto Tecnico "Sommelier" di Torino, dove si diplomò brillantemente ragioniere, iscrivendosi in seguito alla Facoltà di Scienze Economiche e commerciali dell’Università torinese. Durante il secondo anno si iscrisse alla Scuola Allievi Ufficiali di Moncalieri, uscendone -primo del Corso- Sottotenente nel 94° Reggimento di fanteria. Nel luglio 1933 si laureò con il massimo dei voti e la dignità di stampa; vinse il concorso nazionale per l’insegnamento e fu quindi per alcuni anni professore di Ragioneria presso l’Istituto Tecnico "Quintino Sella" di Torino. Nel 1940 fu richiamato alle armi ed inviato sul fronte albanese. Al termine del conflitto entrò nello studio di un commercialista di Torino con il quale collaborò per qualche anno, finché, nei primi anni ‘50, aprì un proprio studio professionale. Nel 1956 prese moglie e l’anno successivo gli nacque la figlia Anna. Nel corso della propria carriera professionale il dottor Lumello ha potuto annoverare fra i suoi clienti società di grande rinomanza e prestigio, quali la Martini & Rossi, Carpano, Gancia, Valeo, Oréal, Banca Brignone, delle quali fu Sindaco, Presidente dei sindaci, Consulente, Amministratore. Nel 1987 conobbe Moncalvo ed apprezzò subito le bellezze, oltre che storiche e culturali, di una campagna e un paesaggio che purtroppo non ha potuto frequentare come avrebbe desiderato. Studioso e profondo conoscitore della sua materia, lavorò fino all’ultimo, quando, il 26 febbraio 1989, stroncato da un ictus, concluse la propria esistenza, lasciando un grande rimpianto per le sue doti di professionista e la sua umanità. I volumi della donazione sono per la maggior parte testi di diritto e legislazione civile italiana: dall’Enciclopedia del diritto della Giuffrè alla raccolta "Lex - Legislazione italiana", dal "Repertorio del Foro italiano" al Commentario del Codice Civile" edito da Zanichelli a vari codici. Molti sono anche i testi di economia politica, mentre tra le curiosità spiccano il "Dizionario di merceologia" del Villavecchia in 4 volumi, edita da Hoepli, la terza edizione del "Corso di Scienza della Finanza" pubblicato nel 1914 da Luigi Einaudi e la rara "Storia della rivoluzione fascista" di G.A. Chiurco, in 5 volumi, pubblicati a Firenze da Vallecchi nel 1929, ancor oggi considerata la più completa opera storiografica di parte fascista sul periodo 1919-1922. DONAZIONE BIBLIOGRAFICA "MARINO MERLO" Come già anticipato nel precedente numero di "Pagine Moncalvesi", il 27 dicembre 1998 a Casale Monferrato è mancato il professor Marino Merlo. La moglie del compianto e i figli tutti hanno deciso, come da espresse volontà del maestro stesso, di lasciare un fondo musicale alla Biblioteca civica di Moncalvo. Il materiale, composto da libri e spartiti, era stato scelto, selezionato e catalogato da Marino Merlo già nel 1992. La consistenza di questo fondo è oltre 20 metri lineari e proprio in questi giorni sono state terminate le operazioni di trasferimento dei faldoni e dei libri dall’abitazione di Casale ai locali della Biblioteca di Moncalvo. Il tutto è stato collocato in continuità rispetto al "Fondo Musicale Monsignor Bolla" anch’esso riordinato dall’illustre Maestro Merlo già nel 1982. Ci onora veramente che Marino Merlo e la sua famiglia abbiano deciso di arricchire specialisticamente la nostra biblioteca. Ora di libri e spartiti è in corso una catalogazione elettronica: ciò permetterà all’utente una maggior facilità nel recupero delle informazioni mantenendo inalterato l’assetto catalografico originario. Il fondo è vastissimo e interessantissimo e per darne almeno un’idea del contenuto proponiamo qui di seguito l’indice dal catalogo. -Musica vocale religiosa (mottetti) -Mottetti di Palestrina -Mottetti e canti per Settimana Santa -Musiche natalizia (mottetti, lodi, e canti) -Canti in italiano per la Messa -Salmi, Vespri, Magnificat, Inni, Lodi -Canto Gregoriano -Messe in latino -Musica profana (canti, romanze, opere, oratori etc.) -Musica strumentale -per pianoforte -violino, violoncello, pianoforte -per orchestra -per banda -per organo, harmonium -Testi scolastici -Metodi, teoria, solfeggio -Cultura musicale -Dizionari ed enciclopedie -Libretti d’opere, operette, oratori -Serenate -Romanze varie -Raccolte di canti popolari. DONAZIONI DI LIBRI Oltre alle più cospicue donazioni Merlo e Lumello, nello scorso semestre alla biblioteca sono pervenute in dono anche altre opere. Giorgio Cardani, di Moncalvo, ha donato una serie di libri per l’infanzia. La maestra Mirella Mortarotti van Rooijen ha donato alcuni libri di spiritualità e di narrativa. La signora Mortarotti sta inoltre svolgendo un lavoro di prima, sommaria schedatura del fondo di esoterismo appartenuto al dottor Luigi Burato, già pretore di Moncalvo, poi magistrato a Padova. Il professor Dionigi Roggero, in occasione della presentazione di "Monferrato tra Po e Tanaro", ha donato una copia del suo lavoro "Ottiglio. Ritratto di un paese del Monferrato", edito dal Comune di Ottiglio nel 1998 (II edizione); all’opera ha collaborato anche Antonio Barbato. Il maestro Alberto Verdelli ha donato alcuni volumi di narrativa contmporanea. Il Conte Davico di Quittengo, proprietario del castello di Salabue, ha donato 30 volumi delle "Selezioni della narrativa mondiale", editi da "Selezione dal Readers’ Digest". La signora Maria Teresa Comollo Ubezio ha donato, in ricordo della zia Regina, il romanzo "Il filo d’un romanzo" di Agostino Della Sala Spada. La dottoressa Pierina Nicolini ha donato i cinque volumi di indici dell’"Archivio Storico Lombardo" dal 1934 al 1993. Il professor Corrado Camandone ha donato il proprio libro fotografico "Mistero e gioia del presente", edito nel 1988 dall’Editrice Esperienze di Fossano (CN). Il Presidente Allemano ha donato una serie di 40 riviste di informatica. Mario Cravino, di Casale, ha donato, in copia fotostatica, 27 composizioni in dialetto, scritte da Tomaso Denaldi di Forneglio e stampate alla fine del secolo scorso da Giuseppe Sacerdote di Moncalvo. Il dottor Giuseppe Spina, direttore didattico a riposo e pubblicista, collaboratore di "Pagine Moncalvesi", ha donato una serie di volumi di psicologia, pedagogia, filosofia e storia contemporanea. L’Amministrazione provinciale di Asti, in occasione della conferenza di Giovanni Romano, ha donato una serie di sue recenti pubblicazioni. Paolo Cavallo, collaboratore di "Pagine Moncalvesi", ha donato una copia del volume "Troubadours, Minnesänger, Troubaires. Atti del Convegno di Studi", edito dalla Provincia di Asti. RIVISTE E LIBRI GIUNTI "Asti Contemporanea n. 6", dall’Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea. Silvana Baldi "Carità, beneficenza pubblica e assistenza sanitaria ad Asti. Dal Medioevo alla prima guerra mondiale", Edizioni Gruppo Abele, dall’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea. "Tridinum", bollettino (numero 2) dell’Associazione per l’Archeologia, la Storia e le Belle Arti di Trino. "Villa della Regina. Diario di un cantiere in corso", "Restauri in Piemonte 1996", e "Il restauro di due bandiere dell’Armeria Reale", dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Torino. "Il Ponte", notiziario del Comune di Cocconato. MONFERRATO IERI Sui sentieri della memoria con le tempere di Mario Pavese Testi di Luigi Sarzano pag. 180, ill. - Imago, Baldissero d’Alba (CN); 1998 Leggere -meglio, sfogliare- questo libro, presentato con tutti gli "onori" del caso nel teatro comunale di Moncalvo il 12 dicembre 1998, è ritornare indietro nel tempo, ripercorrere, come afferma il sottotitolo, un viaggio non nel futuro, com’è di moda oggi, ma nel passato, a ricercare le cose d’allora e, trovatele, gustarle. Le tempere di Mario Pavese, moncalvese se non di nascita, certamente per scelta e per vocazione, sono piacevolissimi quadri di un mondo che non è quello dei secoli scorsi, bensì quello che alcuni decenni fa è stato sostituito dalla cosiddetta civiltà moderna, industriale, che ha divelto una civiltà che durava da secoli, basata sui perfetti equilibri della natura, sul ricorso delle stagioni, sulla fatica del lavoro e la serenità dello spirito, quando l’uomo è sicuro di aver fatto bene il proprio dovere. Guardando queste illustrazioni si ritorna indietro, senza rimpianti fuori dal tempo, ma con una nostalgia che fa bene, perché permette di apprezzare le cose che allora magari non i consideravano nella loro giusta importanza. Io stesso, che in quel mondo sono riuscito a vivere, seppur di sfuggita, ho provato sensazioni belle, personali, difficili da trasmettere ad altri: ciascuno deve gustare le scene, i personaggi, le situazioni che sono ritratte in questo libro. Vengono in aiuto i testi – semplici, brevi, spesso scarni, ma essenziali, efficacissimi – di Luigi Sarzano, uno che a Moncalvo è anche nato, oltre ad essere vissuto. Ci voleva proprio l’estro di un poeta quale egli è per accompagnare la lettura dei quadri di Mario Pavese con testi che in poche righe dicono tutto. "Monferrato ieri" dunque. Il libro, dalla veste grafica ricca, signorile, è suddiviso in quattro parti: "gente", "terra e stagioni", "paesi e cascine", "lavoro e festa". La sezione "gente" si apre proprio con un genio moncalvese, troppo tardi riconosciuto come tale, l’inventore Alessandro Bonaventura, ritratto da Pavese mentre scruta il cielo stellato con un cannocchiale certamente di sua progettazione. Dall’osservazione dell’immensamente lontano si passa a scrutare poi la realtà quotidiana. C’è l’immagine del camino (Sarzano lo chiama "monumento"), c’è la stufa a legna che serve a mille usi, ci sono i viandanti con i "birocin", i bambini che ritornano a scuola in autunno sotto la pioggia scrosciante – e sembra proprio di sentirla cadere, quella pioggia. C’è l’oste soddisfatto sulla porta della trattoria, c’è il medico condotto che dall’automobile "ambulatorio mobile" offre il proprio consiglio ad una mamma; ma soprattutto c’è la neve. Questo è l’elemento che ricorre in tanti quadri di Mario Pavese, la neve candida che ricopre le campagne preparandole per la rigenerazione primaverile, e nella neve pochi viandanti, avvolti nella "mantlina", il copricapo che riparava dal sole; c’è il "brentao", dalla vigoria tranquilla e solida, che sembra portare come Atlante il mondo sulle spalle, c’è l’immancabile don Bolla sulla piazzetta della chiesa, i grandi che giocano a bocce e i piccoli che li imitano con le biglie di vetro e di terracotta. Poi ci sono le donne, quelle donne di campagna che sapevano gestire l’economia della casa con perfezione da ragioniere, che stendevano al vento marzolino i panni appena passati all’ "alsìa", che radunavano il pollame, che davano di mano al rastrello per la raccolta del fieno, che sapevano preparare piatti di saporiti ed ineguagliabili agnolotti; e c’era in tutte le case la "granda", la nonna, che Pavese ritrae con l’arco di un portone sullo sfondo, "quasi un arco di trionfo". "Terra e stagioni" ci offre una serie di immagini dei nostri paesi in tanti momenti dell’anno: c’è il paesaggio invernale, con le case e i campi ricoperti da una folta coltre nevosa, con un solo passero rimasto sul ramo; c’è la provvista di legna per la cattiva stagione, ci sono le nuvole di vento, le nebbie autunnali che preludono al sonno invernale, c’è il momento della vendemmia e quello della semina. C’è infine una bella sintesi di un paesaggio suddiviso in quattro parti, ciascuna per una stagione dell’anno. "Paesi e cascine" ci porta a viaggiare nei luoghi abitati da quella "gente" che già abbiamo incontrato all’inizio. Sono le nostre terre – Moncalvo, Grazzano, Ottiglio, Camagna, Vignale, con l’immancabile colle di Crea; ci sono i portici moncalvesi, laddove sorgeva la fortezza dei Paleologi; i questa sono rimasti i torrioni, che Pavese illustra in una visione notturna, mentre Moncalvo dorme, sullo sfondo. Viene in mente la bella poesia di Buronzo "Al mè pais". Ecco il "fosso" in piena primavera, con la pioggia e le piante da frutta in fiore, ma anche – e come non poteva esserci? – d’inverno con la neve che copre ogni cosa. Ecco le chiese di moncalvo: Sant’Antonio, San Marco, con il Parroco che "è, con il Maresciallo dei carabinieri, il più informato del paese"; poi San Giovanni e le case di Patro in lontananza, San Francesco, la Madonna con la neve che pone in risalto le forme possenti della facciata del Magnocavallo. Poi vengono le cascine, possenti, fatte per lo più di cantoni, nelle quali tutto e tutti hanno o trovano il loro posto; c’è il contadino che sullo sfondo di Ottiglio, "il pais di coco", vanga la terra, quasi a risvegliarla dopo il sonno invernale; ci sono le prime "macchine da dare l’acqua" con gli indispensabili "trö", le vasche di pietra o cemento in cui si preparava la soluzione antiparassitaria. Il tema del lavoro, di quel lavoro sano e onesto che conta il doppio se fatto bene, occupa la quarta parte del "Monferrato Ieri". Ci parla da queste pagine un mondo di contadini, gente alla buona che prova in prima persona la precarietà delle cose umane: la paura del temporale che rovina il fieno, il terrore della grandine, la "tempesta", che in un nonnulla distrugge il lavoro d’un anno intero. Ecco la raffigurazione della fatica, con il falciatore che "d’amson" si terge il sudore sotto il solleone che picchia inesorabile. Ecco l’atmosfera, finalmente gioiosa, della trebbiatura, che una volta era un avvenimento per le cascine che ospitavano la "macchina da bati"; poi in cantina a sorvegliare l’invecchiamento di quello buono, "una cantina – dice Sarzano – dove chi stura una bottiglia diventa subito personaggio". Gli animali fanno anch’essi la loro parte di fatica, a trainare birocci, a tirare carri, ad arrancare per la fatica dell’aratura; poi al giovedì tutti a Moncalvo per un appuntamento che è occasione di affari, chiacchiere, incontri, talora litigi, ma soprattutto un simbolo per la nostra città e per i paesi che la circondano. Chi la fa da padrone, soprattutto sul mercato delle bestie, sono i mediatori, che all’arguzia del contadino aggiungono la malizia del commerciante. Poi gli strumenti della fatica del contadino: l’aratro dal vomero lucente, la solidissima "barosa", e sul timone della "barosa" la "granda" senza tempo, che cuce. E si conclude con le immagini della spensieratezza: l’ "allegria" dei coscritti, che sono quelli del ’23, ma anche quelli del ’27 e quelli di tante altre leve, pronti alla baldoria perché pronti a servire la Patria senza farsi tante domande. Poi la partita a carte, la gita a Crea, sempre un avvenimento atteso per mesi, la "festa ‘d Moncalv" con i fuochi d’artificio e le bancarelle del torrone e il carretto del gelataio, poi le processioni, quella di Sant’Antonio al 13 giugno e l’altra, solennissima, del Corpus Domini; poi il matrimonio con la fatidica foto di gruppo che andrà a far bella mostra magari sul camino, tra le carte "importanti" della casa. Il viaggio di Mario Pavese sui sentieri della memoria termina qui in questa mia breve e forse affrettata sintesi. Ma il libro deve essere letto, ripeto gustato, dalla prima all’ultima pagina, dalla prima all’ultima tempera, dal primo all’ultimo commento di Luigi Sarzano. Sarà piacevolissimo, come lo è stato per me, stare in compagnia di quest’opera che recupera la memoria della civiltà monferrina dei decenni passati e così facendo compie un immenso servizio alla cultura, quella vera, nella quale noi crediamo. La tecnica di Pavese poi è talmente efficace, immediata, sia nelle grandi raffigurazioni sceniche che nelle più dirette caricature –che non sono mai irrisione dei difetti altrui– da non avere bisogno di commenti. Grazie di vero cuore Mario Pavese, grazie Luigi Sarzano anche per quei ricordi che mi sono particolarmente cari. A voi l’onore di aver composto questo libro e di avercelo fatto conoscere, e a voi la parola, dopo tante delle mie. Alessandro Allemano Gino Nebiolo LA SECONDA VITA Rizzoli, Milano1993 – pag. 364 Giornalista e scrittore, il piemontese Gino Nebiolo ha lavorato per alcuni grandi quotidiani e per la RAI, soprattutto come speciale e corrispondente all’estero: in particolare, è stato a Pechino, primo tra i giornalisti occidentali ai tempi di Mao, dopo la rottura dei rapporti tra Cina e Unione Sovietica; poi a Madrid, Buenos Aires, Il Cairo, Beirut, Parigi. Per le reti televisive e per i telegiornali ha firmato numerosi reportages, dalla stagione dell’indipendenza dei paesi coloniali alle guerre in Africa ed in Medio Oriente. La seconda vita è il racconto delle vicende toccate alla salma di Evita Peron che, coinvolta in fanatici e fatui progetti politici, è stata ridotta a merce di scambio, portata in giro per il mondo. E’ un racconto romanzato, costruito su uno sfondo storico ben preciso che va dal 1919, anno di nascita di Evita, ad un anno non precisato di fine secolo. I paesi in cui è ambientata la grandiosa tragedia-commedia sono l’Argentina, il Centro America, la Spagna, l’Egitto e in fine l’Italia. La salma della santa dei descamisados, donna più famosa che virtuosa, ritenuta in un primo tempo reliquia preziosa, specie di talismano capace di influire sulla vita politica, è stata mummificata, nell’intento di conferirle una specie di interessata eternità. Col passare del tempo, con la caduta di Peron, la reliquia è diventata un enorme problema per il marito vedovo, per il suo partito e per i suoi oppositori: gli uni volevano conservarla come riserva di energie spirituali, capaci di far rivivere i trionfi del passato, e gli altri, appunto per la volontà di soffocarli per sempre, volevano impadronirsene per eliminarla. Perciò è iniziata una serie di trafugamenti della salma, più o meno segreti, di artifici per far perdere le tracce, in cerca di depositi, grotte, navi, ritenuti rifugi sicuri per qualche tempo. E’ stata una grande discesa dall’Olimpo alla Suburra. Il racconto è molto interessante perché rivela nell’autore una profonda conoscenza delle vicende politiche del periodo indicato, delle città descritte, specialmente di Buenos Aires e Madrid, della mentalità ispano-americana e della lingua spagnola. Nebiolo si è divertito a far ballare, sul sottile filo macabro che lega tutta la vicenda, una quantità di personaggi di ogni tipo: sanguigni, fanatici, opportunisti, maniaci, striscianti, fatui. Sono ritratti con precisione i dittatori, più o meno fantocci del centro America, che si copiavano a vicenda nelle crudeltà, nelle rapine, nel trionfalismo galleggiante su economie disastrose, nelle infantili collezioni di motociclette e di automobili. Il libro ci fa vedere ciò che si svolge sul palcoscenico della storia, ma anche ciò che si trova tra le quinte. E’ nello stesso tempo un libro di storia e di filosofia della storia. Infatti l’inutilità della mummificazione di Evita Peron è il simbolo della impossibilità di ancorare nella fissità ciò che galleggia sulla corrente della storia, cioè il successo di uomini come Peron o Stalin o Mao o il dittatore di turno. Alcune pagine sono da antologia. Le vicende umane sono viste con un sentimento che unisce pietà e distacco. L’autore si diverte anche a muovere i personaggi suggerendo parole, espressioni e movimenti come un regista. La seconda vita poteva scriverla solo un giornalista della carta e della televisione come Gino Nebiolo, che ha la curiosità e la memoria proprie del suo "mestiere", che rileviamo anche nell’altro suo libro Lasciapassare, del 1996. La curiosità-passione che l’ha spinto a viaggiare da un continente all’altro, anche nelle zone calde, dove una notizia si può pagare anche con la vita, ha trasformato il giornalista in scrittore. L’informazione corretta e veritiera è, da sola, un servizio impagabile ai fini della vera civiltà; ma certe esperienze sono talvolta così forti che esigono un discorso più lungo, una specie di confessione fatta al lettore delle proprie valutazioni, della propria concezione della vita. La finale del libro è a sorpresa. Quella che è ritenuta la vera salma di Evita, ma che in realtà è una perfetta copia in cera, torna a Buenos Aires, dove è ricevuta con doverose, ma modeste onoranze. Mentre la vera salma finisce in un solitario luogo imprecisato dalla campagna romana. Finale simbolica. Dovunque sia finita la salma di Evita Peron la conclusione è una sola: tanto rumore per nulla. Corrado Camandone ADESIONI AL BOLLETTINO "PAGINE MONCALVESI" Elenco aggiornato al 30 giugno 1999 Aldo di Ricaldone – Ottiglio (AL) Giuseppe Alessio – Montemagno (AT) Carlo Aletto – Rosignano Monf. (AL) Rita Allara – Grazzano B. (AT) Gaetano Amante – Penango (AT) Irene Amarotto – Genova Antonino Angelino – Casale Monf. (AL) Rosalba Ansaldi – Moncalvo (AT) Giovanni Ardizzone – Moncalvo (AT) Associazione culturale "Aquesana" – Acqui Terme (AL) Archivio storico diocesano – Casale Monf. (AL) Associazione Casalese Arte e Storia – Casale Monf. (AL) Associazione nazionale Combattenti e Reduci – Moncalvo (AT) Roberto Barberis – San Salvatore Monf. (AL) Amilcare Barbero – Ponzano (AL) Simona Bargero – Moncalvo (AT) Clelia Beccaris – Moncalvo (AT) Stefano Beccaris – Moncalvo (AT) Adriana Bechis Piacenza – Torino Ezio Belforte – Torino Cinzia Bendanti – Imola (BO) Cesare Berruti – Calliano (AT) Gianni Berta – Alessandria Mario Bertana – Moncalvo (AT) Ugo Bertana – Castelletto Merli (AL) Clara Besso – Moncalvo (AT) Claudio Bestente - Moncalvo (AT) Biblioteca civica "G. Canna" – Casale Monf. (AL) Biblioteca civica – Moncucco Torinese (AT) Biblioteca comunale – Calamandrana (AT) Biblioteca comunale – Calliano (AT) Biblioteca comunale – Castelletto Merli (AL) Biblioteca comunale – Grazzano B. (AT) Biblioteca del Seminario vescovile – Asti Biblioteca del Seminario vescovile – Casale Monf. (AL) Biblioteca nazionale centrale – Firenze Biblioteca storica della Provincia di Torino – Torino Biblioteche civiche e Raccolte storiche – Torino Angela Biedermann – Andora (SV) Raimondo Biglione di Viarigi – Brescia Alessandro Biletta - Moncalvo (AT) Guido Boano – Moncalvo (AT) Alfio Bonelli – Calliano (AT) Maria Bonzano Strona – Asti Alberto Borghini – Massa Mauro Bosco – Casale Monf. (AL) Enrichetta Bosia – Torino Armando Brignolo – Asti Luigi Broda – Asti Luisa Brovero – Casale Monf. (AL) Franco Buano – Moncalvo (AT) Maria Pia Buronzo - Torino Domenico Bussi – Asti Luigi Caligaris – Roma Corrado Camandone – Andora (SV) Marcello Cambiaso – Moncalvo (AT) Felice Camerano – Moncalvo (AT) Marco Canepa – Alessandria Gaia Caramellino – Torino Massimo Carcione – Asti Vittorio Giovanni Cardinali – Torino Dina Cariola – Moncalvo (AT) Mario Casalone - Torino don Gian Paolo Cassano – Occimiano (AL) Maria Castellano – Torino Alba Cattaneo – Casale Monf. (AL) Angela Cavallito – Moncalvo (AT) Paolo Cavallo – Pinerolo (TO) Luigi Cavallotto – Moncalvo (AT) Carla Cavanna Broda – Moncalvo (AT) Centro Studi Piemontesi – Torino Centro UNESCO di Firenze – Firenze Centro UNESCO di Torino – Torino Annalisa Cerruti – Moncalvo (AT) Maria Clerici – Pino Torinese (TO) Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri – Asti Comando Stazione Carabinieri – Moncalvo (AT) Commissione nazionale della CRI per la Diffusione del Diritto Internazionale Umanitario – Roma Consorzio per la gestione della Biblioteca Astense – Asti Giuseppe Coppo - Casorzo (AT) Giuseppe Coppo – Moncalvo (AT) Enrico Corzino – Moncalvo (AT) Giuseppe Cova – Alessandria Maria Eleonora Cravino – Torino Mario Cravino – Casale Monf. (AL) Piergiuseppe Cuniberti – Calliano (AT) suor Elsa Cuppini – Torino Carlo Debernardi – Moncalvo (AT) Patrizia Debernardi - Moncalvo (AT) Armando De Coppi – Milano Carlotta Della Sala Spada Lombardi – Quattordio (AL) Maria Cristina Della Sala Spada – Asti Direzione didattica – Moncalvo (AT) Antonio Dogliani – Bra (CN) Marco Dolermo – Acqui Terme (AL) Elèna Dolino – Torino Diana Donna - Moncalvo (AT) Gigi Efisio - Casale Monf. (AL) Emeroteca Storica Italiana – Verona Tino Evaso – Casale Monf. (AL) Cesare Fara – Sanremo (IM) Giovanni Fara – Torino Franco Fassio – Moncalvo (AT) Marco Ferrero – Vicenza Ornella Fino – Asti Gennaro Fiscariello - Napoli Lorenzo Fornaca – Asti Renzo Fracchia – Casale Monf. (AL) Marta Franzoso – Asti Bruno Gallo – Buenos Ayres (Argentina) Ugo Gallo – Casale Monf. (AL) Francesca Gamba – Moncalvo (AT) Fiorenzo Gambino – Monale (AT) Renato Gendre – Villafranca (AT) Carlo Francesco Genta – Asti Cleto Girino – Torino Mario Andrea Gerbi – Roma Fiorenza Gherlone – Revigliasco (AT) Rosanna Gherlone – Moncalvo (AT) Vittorio Graziano – Ponzano (AL) Stefano Grillo – Casale Monf. (AL) Walter Haberstumpf – Torino Josette Hallet – Limal (Belgio) Marco Illengo – Serralunga di Crea (AL) Michele Isacco – Trino (VC) Istituto Internazionale di Diritto Umanitario – Sanremo (IM) Silvio Lavagnino – Asti Giancarlo Libert – Torino Liceo Ginnasio "V. Alfieri" – Asti Armida Lunghi Salatino – Moncalvo (AT) Alberto Lupano - Chivasso (TO) Americo Luparia – Moncalvo (AT) Giovanni Macagno – Asti Lorenzo Magrassi – Mombello (AL) Giampiero Maio – Moncalvo (AT) Teresio Malpassuto – Casale Monf. (AL) Giuseppe Mantelli – Casale Monf. (AL) Arturo Marcheggiano – Pitigliano (GR) Giuseppandrea Martinetti – Moncalvo (AT) Aldo Marzano – Moncalvo (AT) Rita Marzano – Moncalvo (AT) Marco Massaglia – Moncalvo (AT) Giorgio Massola – Casale Monf. (AL) Alfredo Matuonto – Milano Ferruccio Mazzariol – Treviso Oreste Mazzucco – Torino Roberto Mercuri – Viterbo Rinaldo Merlone – Piobesi (TO) Giovanni Minoglio Chionio – Torino Aldo Alessandro Mola – Torre San Giorgio (CN) Roberto Mombellardo – Moncalvo (AT) Elda Mongardi – Imola (BO) Nancy Montanari - Palermo Wendy Montanari - Alexandria, Va. - U.S.A. Giuliano Monti – Cinisello Balsamo (MI) Orazia Montiglio – Moncalvo (AT) Marco Morra – Asti Lyda Mosca – Asti Pier Luigi Muggiati – Casale Monf. (AL) Olimpio Musso - Colle Val d’Elsa (SI) Angelo Muzio – Casale Monf. (AL) Giovanni Navazzotti – Villanova Monf. (AL) Gino Nebiolo – Roma Vincenzo Nebiolo – Asti Daniela Nebiolo Sacco – Asti Pierina Nicolini - Mombello Monf. (AL) Livia Novelli – Borgo San Martino (AL) Nevilda Oddone - Grana (AT) Giuseppe Opezzo – Omegna (VB) Oscar Ottone – Moncalvo Monica Parola – Portacomaro (AT) Parrocchia di S. Antonio di Padova – Moncalvo (AT) Parrocchia del Santo Nome di Maria – Calliano (AT) Mario Pavese – Torino Renato Peirone – Penango (AT) Fratelli Pelazza – Milano Franco Piacenza – Torino Gino Piacenza – Torino Giulia Piacenza Amerio – Torino Alfredo Poli – Calliano (AT) Francesco Porcellana – Asti Pontificio Consiglio per la Cultura – Città del Vaticano Rodolfo Prosio – Asti Carlo Prosperi – Acqui Terme (AL) Achille Raimondo – Moncalvo (AT) Severino Ramello – Agliano Terme (AT) Gian Luigi Rapetti Bovio Della Torre – Strevi (AL) Alice Raviola – Asti Carlo Raviola – Asti Giovanni Rebora – Acqui Terme (AL) Piera Redoglia – Grazzano Badoglio (AT) Pia Re Ombra – Casale Monf. (AL) don Francesco Ricossa – Verrua Savoia (TO) Alberto Rissone – Asti Luigi Rizzo – Lecce Andrea Rocco – Castell’Alfero (AT) Dionigi Roggero – Casale Monf. (AL) Giovanni Roggero – Asti Rubèn Darío Romani Ferreira – Mendoza (Argentina) Riccardo Romano – Venezia Lido Giuseppe Rosina – Moncalvo (AT) Renato Rossi – Moncalvo (AT) Learco Sandi – Milano Paolo Santoro – Firenze Raffaele Santoro – Roma Laura Santoro Ragaini – Milano Claudio Saporetti – Roma Luigi Sarzano – Torino Mariella Sarzano – Vinchio (AT) Giovanni Scaiola – Moncalvo (AT) Massimo Scaglione – Torino Mariangela Scarsi Barberis – Moncalvo (AT) Scuola elementare "Ten. Riva" – Montemagno (AT) Scuola media statale "Capello" – Moncalvo (AT) Carlo Serra – Moncalvo (AT) Elisabetta Serra – Torino Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti – Torino Fernando Sorisio – Asti Emilio Spallicci – Alessandria Giuseppe Spina – Treville (AL) Maria Spinoglio – Moncalvo (AT) Angela Strona – Moncalvo (AT) Vincenzo Strona – Moncalvo (AT)