View - Società Italiana di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria
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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 shift nel gene katA. La presente nota rappresenta la prima segnalazione di un ceppo di S. aureus catalasi negativo e meticillino-resistente, isolato da animali. L’enzima catalasi è un importante fattore di virulenza negli stafilococchi, in quanto neutralizza l’attività del perossido di idrogeno, intermedio reattivo dell’ossigeno e responsabile dell’attività battericida all’interno dei macrofagi. Conseguentemente, gli stafilococchi catalasi negativi dovrebbero essere meno virulenti. Tuttavia, in un studio effettuato su di un modello murino, è stato osservato che alcuni ceppi di S. aureus catalasi negativi avevano un grado di virulenza assimilabile a quello di ceppi catalasi positivi (11). Inoltre, i ceppi catalasi negativi che sono stati segnalati nell’uomo erano prevalentemente isolati clinici, associati a setticemia o infezioni sistemiche (2). La resistenza alla meticillina negli stafilococchi rappresenta un problema aggiuntivo, in quanto, come nel presente caso, allunga i tempi di guarigione e facilita le infezioni persistenti. Per quanto concerne l’epidemiologia molecolare degli MRSA, nell’ambito degli animali da reddito è stata dimostrata la circolazione di cloni ospite-adattati, come MRSA ST398 isolato da bovini e suini (14). Sono sporadiche invece le segnalazioni di MRSA isolati da cani e gatti. La caratterizzazione genetica in questi casi ha messo in relazione i cloni animali con quelli circolanti nella popolazione umana, suggerendo una trasmissione dall’uomo all’animale (10). Il pattern mostrato dal ceppo MRSA catalasi negativo (ST5, t002) è stato evidenziato in Francia e USA, in cani, nelle stesse zone geografiche in cui era descritto un clone endemico nell’uomo (6,8). Inoltre la presenza della cassette SCCmec I e l’assenza della PVL sono caratteristiche dei ceppi umani circolanti in ambito ospedaliero (Hospital acquired), il che rafforza l’ipotesi di un flusso di ceppi dall’ uomo agli animali domestici (10). Sfortunatamente, la fonte del ceppo MRSA catalasi negativo identificato in questo studio è rimasta incerta, dato che non è stato possibile effettuare il campionamento in altri cani o nel personale del canile. La prova della catalasi è un test di routine utilizzato per l’identificazione di stafilococchi nei laboratori di microbiologia. I risultati di questo studio dimostrano che il riscontro di stafilococchi catalasi negativi, e in particolare di MRSA, rischia di essere sottostimato, e che nell’algoritmo diagnostico delle patologie da stafilococchi andrebbe contemplata questa possibilità. E’ auspicabile inoltre che venga effettuata l’analisi genetica di tali ceppi, ai fini di un monitoraggio epidemiologico, e per valutare le alterazioni funzionali del gene katA, in rapporto alle possibili ripercussioni sulla virulenza di tali microrganismi. BIBLIOGRAFIA 1. Clinical and Laboratory Standards Institute. 2012. Performance standards for antimicrobial disk susceptibility tests; approved standard, 11th ed. CLSI document M02-A11. Wayne, PA. 2. Del’Alamo, L., d’Azevedo, P.A., Strob, A.J., RodriguezLopez, D.V., Monteiro, J., Andrade, S.S., Pignatari, A.C.C., Gates, A.C. 2007. An outbreak of catalase-negative meticillinresistant Staphylococcus aureus. J. Hosp. Infect. 65, 226-230. 3. Deurenberg, R.H., Vink, C., Kalenic, S., Friedrich, A.W., Bruggeman, A.C., Stobberingh, E.E. 2007. The molecular evolution of Methicillin-resistant Staphylococcus aureus. Clin. Microbiol. Infect. 3, 222-235. 4. Enright, M.C., Day, N.P.J, Davies, C.E., Peacock, S.J., Spratt, B.J. 2000. 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Microbiol. 49, 3398-3402. 200 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINE SULLA PRESENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS E DI MRSA NEL LATTE DI MASSA DI ALLEVAMENTI CAPRINI DELLA LOMBARDIA Cortimiglia C.1, Franco A.2 , Battisti A.2, Colombo L.3, Stradiotto K.3, Vezzoli F.1, Luini M.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Lodi; Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio Toscana, CRN Antibioticoresistenza, Roma; 3 Associazione Regionale Allevatori Lombardia, Crema. 1 2 Key words: MRSA, goat, MLST SUMMARY Staphylococcus aureus is an important cause of mastitis in goats, but few data are available about the presence of MRSA in this species. Our study is a survey of S.aureus and MRSA prevalence in bulk milk of Lombardia goat farms. Eighty-five of 197 bulk milk samples from different farms were found positive for S. aureus (43,1%) with counts ranging from 10 to 36.000 ufc/ml. S.aureus isolates from direct plating and after selective enrichment were tested for methicillin resistance and confirmed by specific mecA PCR. Four samples were found MRSA positive. MLST analysis revealed 3 typical livestock-associated ST398 and 1 strain ST1. Our study showed an high prevalence of S.aureus infected herds and demonstrated that dairy goats carried MRSA of the same genotypes common in other livestock in Italy. The application of stringent control measures against S.aureus mastitis in goats are suggested in order to minimize the risk of human occupational or foodborne exposure and colonization by MRSA. INTRODUZIONE Staphylococcus aureus è un importante agente mastitogeno nei bovini e nei piccoli ruminanti nei quali può causare mastiti contagiose prevalentemente di natura subclinica. Anche nelle capre l’infezione può diffondersi negli animali in lattazione, influendo negativamente sulla produzione di latte, sia dal punto di vista quantitativo, che qualitativo. Oltre a questo, la presenza di S.aureus rende il latte stesso e i prodotti derivati una fonte di pericolo di tossinfezione alimentare, soprattutto considerando che la maggior parte dei prodotti lattiero-caseari caprini originano da latte crudo. Negli ultimi 10 anni è emersa la diffusione anche negli allevamenti zootecnici di S. aureus meticillino-resistenti (MRSA, methicillinresistant Staphylococcus aureus), ceppi multiresistenti agli antibiotici, responsabili di infezione umana in ambito ospedaliero o diffusi nelle comunità. LA-MRSA (Livestock Associated MRSA), sono frequentemente riportati negli allevamenti suini e più recentemente negli allevamenti bovini dove ceppi appartenenti al Sequence Type 398 sono quelli maggiormente rappresentati (2). Studi successivi hanno poi messo in luce il potenziale zoonosico di tali ceppi, che si sono dimostrati in grado di causare infezione nell’uomo, in particolare negli addetti agli allevamenti come infezione di tipo occupazionale (9). L’isolamento di MRSA nel latte di capra è segnalata molto raramente (1,3,10) ed in particolare nessuno studio condotto in Italia, ha evidenziato la presenza nel latte di capra di ceppi meticillino-resistenti, confermati per la presenza del gene mecA (6). Il presente lavoro ha lo scopo di valutare la prevalenza di S.aureus e di MRSA in allevamenti di capre da latte della regione Lombardia. MATERIALI E METODI Campioni – Sono stati presi in esame 197 campioni di latte di massa di altrettanti allevamenti caprini presenti nella regione Lombardia, prelevati tra Luglio e Ottobre del 2012 in occasione del monitoraggio di routine della qualità del latte svolto dalla Associazione Regionale Allevatori (ARAL). Durante la lattazione successiva, tra giugno e luglio del 2013, il latte di massa di 4 aziende è stato prelevato per un secondo controllo. Contemporaneamente, in 2 delle 4 aziende è stato effettuato il prelievo del latte individuale di ciascuna emi-mammella, rispettivamente dei 95 e 240 soggetti in lattazione presenti. Esame batteriologico per ricerca di S. aureus - Sono stati seminati 100ml di ciascun campione tal quale e diluito 1:10 su Baird Parker - Rabbit Plasma Fibrinogen agar (BP-RPF); dopo 48 ore di incubazione a 37°C è stata effettuata la conta delle Unità Formanti Colonia (UFC/ml) considerando le colonie tipiche nere con alone di opacamento; contemporaneamente le diluizioni del campione sono state seminate su Agar Globuli + Esculina (ASE) e sono state prese in considerazione le colonie emolitiche. Colonie riferibili a S. aureus sono state confermate con il test della coagulasi in provetta. Ricerca di MRSA – Per ogni campione positivo dalla semina diretta su BP-RPF e su ASE, sono state selezionate fino a 4 colonie confermate come S. aureus e sono state sottoposte al test di sensibilità all’oxacillina con dischetti da 1 mg, secondo Kirby Bauer. Per aloni di inibizione ≥ a 13 mm i ceppi sono stati considerati sensibili, per aloni compresi fra 12 e 11 mm intermedi e ≤ di 10 mm resistenti. Tre ml di latte sono stati inoltre sottoposti ad un doppio arricchimento selettivo per 24 ore a 37 C° in Mueller-Hinton+6,5% NaCl e successivamente in TSB+5mg/L di oxacillina; la piastratura è stata effettuata sui terreni selettivi Brilliance MRSA agar (Oxoid, UK) e Oxacillin Resistance Screening Agar Base (ORSAB) (Oxoid, UK) per incubazione di 24/48 ore a 37 C°. Le colonie sospette sono state confermate con test della catalasi, coagulasi in provetta e con il sopraccennato test di sensibilità all’oxacillina. Tutti i ceppi oxacillina-resistenti e intermedi, sono stati sottoposti a PCR di conferma per MRSA, utilizzando primers per il gene nuc e mecA riportati in letteratura (4,7). Genotipizzazione – Tutti i ceppi MRSA sono stati sottoposti a genotipizzazione mediante Multilocus Sequence Typing (MLST) secondo il protocollo riportato in letteratura (5). RISULTATI E CONCLUSIONI Esame batteriologico per ricerca di S. aureus - Su 197 campioni di latte di massa analizzati nell’anno 2012, 85 sono risultati positivi per S.aureus (43,1%, CI 95%: 36,2%-50,1%). In particolare 32 campioni presentavano una conta compresa fra 10 e 100 UFC/ml, 34 compresa fra 101 e 1000 UFC/ml, 17 compresa fra 1001 e 10000 UFC/ml e 2 una conta > 10000 UFC/ml (Tabella 1). Ricerca di MRSA - Complessivamente abbiamo riscontrato 4 campioni positivi per MRSA corrispondenti al 4,7% dei campioni positivi per S.aureus, di cui 3 individuati per semina diretta e uno individuato solo in seguito ad arricchimento. Per quanto riguarda i primi, in 2 campioni, 4 colonie su 4 testate sono risultate MRSA, 201 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 mentre in un campione solo 1 colonia su 4 si è rivelata MRSA (Tabella 2). Genotipizzazione - La genotipizzazione con MLST dei ceppi MRSA ha messo in luce la presenza di ST398 in 3 dei 4 campioni di latte di massa analizzati e di ST1 nel restante campione. Campionamenti nelle aziende positive – Dall’analisi batteriologica del latte di massa delle 4 aziende risultate positive per MRSA campionate durante la lattazione successiva, 3 sono risultate ancora positive per S.aureus con conte comprese tra 100-800 UFC/ml, ma solo una di queste si è confermata positiva per MRSA, solo dalla semina per arricchimento (Tabella 2). In questa azienda è stato possibile effettuare il campionamento individuale, dal quale S. aureus è stato isolato da 16 capi su 240, di cui 3 si sono rivelati MRSA e i rimanenti 13 meticillino sensibili (MSSA). In analogia a quanto riscontrato nel latte di massa della stessa azienda, l’analisi MLST dei 3 isolati da latte individuale ha evidenziato ST398. Nella seconda azienda dove è stato effettuato il campionamento individuale, non è stato possibile isolare MRSA, né dal latte di massa, né dal latte individuale, mentre 5 soggetti sono risultati positivi per MSSA. Tabella 1 – Risultati della conta di S.aureus nel latte di massa delle 197 aziende ed esito della ricerca di MRSA. S. aureus ufc/ml N. MRSA + < 10 112 - 10 - 100 32 - 101 - 1000 34 1 1001 - 10000 17 2 > 10000 2 1 85 4 (43,1%) (4,7%) Totale positivi Tabella 2 – Risultati della conta di S.aureus nelle 4 aziende positive per MRSA, esito della coltura diretta (n. colonie MRSA/n. colonie testate), dell’arricchimento e dell’analisi MLST. Coltura per MRSA Azienda A B C D Anno S.aureus MLST ufc/ml Diretta Arrich. 2012 1.200 + (1/4) nd ST1 2013 540 - - - 2012 5.300 + (4/4) nd ST398 2013 <10 - - - 2012 3.500 - + ST398 2013 100 - + ST398 2012 36.000 + (4/4) + ST398 2013 800 - - - I nostri risultati mettono in evidenza una prevalenza elevata di campioni di latte di massa positivi per S. aureus a dimostrazione del fatto che questa infezione mammaria è molto diffusa negli allevamenti caprini del territorio considerato. La prevalenza è più elevata rispetto a quella riscontrata in uno studio svizzero nel quale è risultata pari al 32 % (8). Per la prima volta in Italia, la conferma della presenza di MRSA nel latte di massa di capra è stata messa in evidenza dal nostro studio. Studi precedenti condotti in Sicilia avevano riportato l’isolamento un fenotipo di resistenza all’oxacillina, ma erano privi del gene mecA (6). Due dei campioni risultati positivi nel nostro studio avevano alte conte di S. aureus e tutte le colonie testate erano mecA positive. In questo caso è altamente probabile che MRSA rappresentassero la quasi totalità degli S. aureus presenti nel latte di massa e che questi originassero da mastiti presenti nel gruppo. Per quanto riguarda gli altri due campioni, in cui MRSA sono stati dimostrati solo per arricchimento o in proporzione minore (1 sola colonia su 4 indagate), possiamo ritenere che tali ceppi fossero responsabili di infezione mammaria sporadica o piuttosto di origine ambientale. Analoghe considerazioni possono essere fatte per i campionamenti eseguiti nelle stesse 4 aziende nel corso della lattazione successiva, dei quali uno solo è risultato positivo per MRSA, solo dopo arricchimento. In questo allevamento, l’indagine eseguita su tutti i capi in lattazione ha messo in evidenza solo 3 capi con infezione mammaria da MRSA. Complessivamente nei 4 allevamenti si poteva registrare un abbassamento anche della conta di S. aureus nel latte di massa, probabile indice di miglioramento della gestione sanitaria delle mastiti e della riforma della maggior parte degli animali problema. L’analisi MLST ha identificato gli isolati da 3 dei quattro campioni positivi per MRSA come ST398, tipicamente circolante nelle produzioni zootecniche (LA-MRSA), mentre il quarto ceppo è risultato ST1, un clone frequentemente associato a colonizzazioni ed infezioni nell’Uomo, ma già riscontrato in Italia anche da latte di massa bovino, da mastiti bovine e da suini (2, 9). L’alta prevalenza di positività per S. aureus negli allevamenti caprini e la presenza, sia pure sporadica di MRSA nel latte confermano l’importanza di adottare severe misure di contenimento dell’infezione da S. aureus in questa specie. In funzione anche della possibile rilevanza per la salute pubblica il nostro studio suggerisce di porre una maggiore attenzione alla qualità igienico-sanitaria dei prodotti lattiero caseari caprini, anche in considerazione del fatto che sono frequentemente prodotti a partire da latte crudo. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 5. Enright MC, Day NP, Davies CE, Peacock SJ, Spratt BG. 2000. Multilocus sequence typing for characterization of methicillin-resistant and methicillin-susceptible clones of Staphylococcus aureus. J Clin Microbiol.;38(3):1008-15. 6. Foti M, Fisichella V, Conte F, Passantino A, Giacopello C. 2012. Indagine sulla presenza di Staphylococcus aureus meticillino resistenti (MRSA) in animali da reddito e in personale addetto agli allevamenti in Sicilia. Large Animal Review, Vol. 18 No. 4 pp. 177-182 7. McClure JA, Conly JM, Lau V, Elsayed S, Louie T, Hutchins W, Zhang K (2006). 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Battisti A, Franco A, Merialdi G, Hasman H, Iurescia M, Lorenzetti R, Feltrin F, Zini M, Aarestrup FM. 2010. Heterogeneity among methicillin-resistant Staphylococcus aureus from Italian pig finishing holdings. Vet Microbiol.;142(3-4):361-6. 3. Chu C, Yu C, Lee Y, Su Y. 2012. Genetically divergent methicillin-resistant Staphylococcus aureus and sec-dependent mastitis of dairy goats in Taiwan. BMC Vet Res.;8:39. 4. Cremonesi P, Luzzana M, Brasca M, Morandi S, Lodi R, Vimercati C, Agnellini D, Caramenti G, Moroni P, Castiglioni B. 2005. Development of a multiplex PCR assay for the identification of Staphylococcus aureus enterotoxigenic strains isolated from milk and dairy products. Mol Cell Probes ;19(5):299-305. 202 203 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 LARVE DI ANISAKIDAE ISOLATE DA PRODOTTI ITTICI D’IMPORTAZIONE: IDENTIFICAZIONE MORFOLOGICA E MOLECOLARE Costa A.1, Palumbo P.1, Graci S.1, Cammilleri G.1, Fischetti R. 2, Marconi P. 3, Ferrantelli V.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Centro di Referenza Nazionale per le Anisakiasi, Palermo 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Pisa 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Firenze 1 Key words: zoonotic disease, Anisakis spp., Pseudoterranova spp SUMMARY The authors report data on the occurrence of Anisakidae larvae in imported fishery products. Out of 10 fish fillets examined, with visual inspection and digestion method, 4 samples were positive:a total of 76 larval forms of Anisakidae were collected (Anisakis and Pseudoterranova). The morphological analysis has classified the larvae isolated from Brosme brosme as L3 stages of Anisakis Type I (sensu Berland 1961): in the molecular analysis, digestion profiles has allowed the identification of the larvae of Anisakis simplex s.s., based on the combination of RFLP patterns. The larvae isolated by Gadus morhua and from other fish fillets (species not indicated) were identified Pseudoterranova decipiens s.l.: the molecular approach based on mtDNA-cox2 sequence analysis identified the larvae as P. decipiens s.s and P. krabbei. It is known the economic and public health repercussion of the presence of parasites in fishery products as well as the Regulations for the prevention of consumers. INTRODUZIONE L’anisakidosi è una zoonosi dovuta a forme larvali di nematodi anisakidi appartenenti ai generi Anisakis e Pseudoterranova. Le forme adulte vivono nello stomaco di mammiferi marini (ospiti definitivi), principalmente cetacei per Anisakis e pinnipedi per Pseudoterranova, che si infestano ingerendo pesci e/o cefalopodi parassitati: l’uomo si inserisce in questo ciclo biologico come ospite accidentale e può contrarre la zoonosi in seguito al consumo di prodotti ittici crudi o poco cotti o sottoposti a trattamenti (salagione, marinatura, affumicatura) che non siano stati idonei a devitalizzare le larve. Le larve infestanti L3 di Anisakidae possono essere identificate a livello di genere mediante lo studio dei caratteri morfologici al microscopio ottico (MO) (estremità cefalica, aspetto del ventricolo, estremità caudale) (1,2) mentre l’identificazione della specie può essere effettuata solo mediante tecniche di genetica molecolare (5,8). Negli ultimi decenni l’uso di metodi molecolari quali multi locus allozyme electrophoresis (MAE) e più di recente, di metodi basati sul DNA quali PCR restriction fragment lenght polymorphism (PCR-RFLP ITS regions) e sequenziamento del DNA nucleare ribosomiale (28S) e mitocondriale (mtcox2), hanno fornito un contributo significativo allo studio della sistematica e della biologia dei nematodi anisakidi (7). Studi genetico-molecolari hanno evidenziato che le morfospecie Anisakis simplex e Pseudoterranova decipiens, ritenuti i principali responsabili dell’anisakidosi umana, sono in realtà composte da più specie gemelle, caratterizzate da differente distribuzione geografica, ciclo biologico e preferenza per l’ospite (5,7). Riguardo il genere Anisakis, le forme larvali, in base alla presenza o meno del mucrone all’estremità caudale, si distinguono in Tipo I e Tipo II (2). Mediante metodi molecolari, attualmente in Anisakis Tipo I rientrano sei specie distinte (A. simplex s. s., A. pegreffii, A. simplex C, A. typica, A. ziphidarum e Anisakis sp A mentre in Anisakis Tipo II sono state descritte tre specie: A. physeteris, A. brevispiculata e A. paggiae (5,7). Nel complesso P. decipiens rientrano le specie: P. decipiens s.s, - range geografico Nord Est Atlantico, Atlantico e Pacifico canadese, P. krabbei nel Nord Est Atlantico (Scozia, Norvegia,Islanda),P.bulbosa nel Mar di Norvegia e di Barents, Atlantico canadese e Mare del Giappone, P. azarasi nei mari del Giappone, P. decipiens E nelle coste dell’Antartico e P.cattani nell’Oceano Pacifico sud-orientale (7). La presenza di Anisakis in specie ittiche di importanza commerciale anche nel Mar Mediterraneo (oltre che nell’Oceano Atlantico e Pacifico) è ampiamente noto così come la malattia nell’uomo (9): due al momento le specie (A. simplex s.s., A. pegreffii) associate a casi umani nel mondo. Le larve di Pseudoterranova possono essere reperite in prodotti ittici d’importazione (es merluzzi atlantici, coda di rospo, halibut): più rari i casi di Pseudoterranoviasi riportati, in bibliografia, in Giappone, Stati Uniti e Cile, spesso con la tipica localizzazione oro-faringea (8). Un solo caso è documentato in Italia (6). Nel presente lavoro vengono riportati i risultati di una nostra indagine sulla presenza di forme larvali di anisakidi zoonotici in campioni di filetti di pesce confezionati, reperiti al commercio, importati (zona di pesca Atlantico), e giunti all’osservazione presso il nostro laboratorio: i reperti larvali ritrovati sono stati sottoposti ad identificazione morfologica al MO e successiva identificazione biomolecolare mediante marcatori del DNA ribosomiale (ITS)e mitocondriale(mt-cox2). MATERIALI E METODI Nel periodo gennaio-maggio 2013 sono stati sottoposti ad analisi per ricerca larve di nematodi Anisakidae, un totale di 10 prodotti ittici d’ importazione, filetti confezionati e forniti di etichetta, di cui n. 6 congelati (n. 5 di nasello atlantico (Merluccius hubbsi) e n. 1 di merluzzo sudafricano(Merluccius capensis), n. 1 di merluzzo nordico refrigerato (specie e provenienza non indicata), n. 2 filetti salati e refrigerati (Brosme brosme e Gadus morhua) e n. 1 filetti di gallinella cotta (specie non indicata). I campioni congelati e refrigerati freschi riportavano la dicitura “da consumare previa cottura”. I campioni esaminati, con le indicazioni riportate in etichetta, non sempre complete riguardo la denominazione di specie e la zona di provenienza, sono riportati in Tab 1. Sui campioni di filetti di pesce si è proceduto all’esame visivo e/o mediante stereomicroscopio per la ricerca di larve di Anisakidae: sui campioni è stata effettuata inoltre la digestione enzimatica (secondo Reg 2075/2005). Tra le fibre muscolari di alcuni campioni sono state reperite 204 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 n. 76 forme larvali L3 di nematodi riferibili ad Anisakidae. I parassiti sono stati puliti in soluzione fisiologica, fissati in etanolo 70% ed identificati a livello di genere, mediante MO previa chiarificazione in glicerolo, in base alle chiavi identificative esistenti in letteratura (1,2). I reperti larvali sono stati quindi conservati in alcool etilico al 70% per la successiva identificazione molecolare effettuata, dopo estrazione del DNA, mediante PCR-RFLP per i nematodi riferibili al genere Anisakis e successiva lettura dei profili di restrizione (5) e mediante marcatori mt-cox2 e successivo sequenziamento per i riferibili al genere Pseudoterranova (8,10). Estrazione del DNA. Le larve sono state accuratamente lavate in acqua sterile, frammentate con un bisturi, quindi congelate a -20°C per 24 ore. Per l’estrazione degli acidi nucleici sono stati impiegati appositi kit che si basano sull’uso di colonnine di affinità (SIGMA ALDRICH). PCR-RFLP. Si è proceduto all’amplificazione delle regioni ITS del rDNA nucleare e successiva restrizione enzimatica con i due enzimi di restrizione (HhaI, Hinf), per l’identificazione di specie di Anisakis, previsti in bibliografia (5). La procedura è riportata in nostri precedenti lavori (4). Mitochondrial cox2 region. La regione mitocondriale cox2 è stata amplificata usando i primers 210 (5’-CACCAACTCTTAAAATTATC-3’) e 211(5’-TTTTCTAGTTATATAGATTGRTTYAT-3’), unendoli ad acqua RNAsi e DNAsi free in un sistema pronto all’uso (Ready to go PCR beads Illustra) ed infine aggiungendo 2,5 µl del DNA estratto da ciascun campione in un volume finale di 25 µl. Sono state impostate le seguenti condizioni di PCR: 3 min a 94°C, 34 cicli di 30 s a 94°C, 30 s a 46 °C e 90 s a 72°C ed un estensione finale a 72°C per 10 min (Termal Cycler 2720 Applied Biosystems) (5,10). I prodotti derivanti dall’amplificazione della regione cox2, corrispondente ad una porzione del gene di 629 bp, sono stati visualizzati tramite elettroforesi su gel di agarosio all’1,5% con Syber Safe DNA Gel Stain (Invitrogen). Sequenziamento. I frammenti amplificati sono stati purificati con colonnine GFX Microspin e sottoposti a reazione di sequenza utilizzando il Kit Big Dye Terminator Cycle Sequencing (Applied Biosystems). I prodotti di sequenza purificati con l’impiego di colonnine G50 (GE), sono stati denaturati e analizzati per elettroforesi capillare su sequenziatore automatico 3130 Biotec 69. Le sequenze della regione di DNA mitocondriale risultanti sono state allineate con le sequenze più similari disponibili su GenBank utilizzando il software Nucleotide BLAST. (dimensione, presenza del cieco intestinale, colorazione rosso-brunastra) (1, 2). L’applicazione del markers genetico mitocondriale cox2 (mtDNA cox2) seguita dal sequenziamento e dall’allineamento delle sequenze specifiche reperite in GenBank (8) ha permesso di identificarne la specie come P. decipiens sensu strictu (s.s.) and P. krabbei (Tab 1). Le identificazioni ottenute sono in accordo con i dati noti riguardo le distribuzioni geografiche (7). CONCLUSIONI Le attuali normative comunitarie (Reg CE 853/2004 e s.m.i., Reg CE 2074/2005 e s.m.i.) e nazionali (OM 12/05/92) nonché le Note del Ministero della Salute, definiscono gli obblighi per gli OSA in relazione alla presenza di parassiti nei prodotti della pesca, tra i quali il controllo visivo prima dell’immissione sul mercato. I prodotti ittici d’importazione, congelati, surgelati e preparazioni crude, devono essere accompagnati da un documento sanitario attestante tale controllo, per verificare l’assenza di parassiti ed trattamenti di bonifica in caso di presenza. Un recente documento EFSA (EFSA Journal 2011; 9(7):2320) riconosce la presenza di anisakidi zoonotici in specie catturate nel Mar Baltico ed il potenziale rischio per la salute umana, raccomandando: la raccolta di dati epidemiologici sulla diffusione delle specie di anisakidi con l’applicazione di metodi genetico-molecolari e la sorveglianza dell’anisakiasi e delle altre infezioni parassitarie nella popolazione. Alcuni lavori recenti evidenziano l’aumento della prevalenza di infestazione in specie ittiche, reperibili al commercio, provenienti anche da queste zone marine (3). In ultimo si evidenzia l’importanza dell’’applicazione delle metodiche di conferma biomolecolari per una corretta identificazione dei parassiti zoonotici riscontrabili nei prodotti della pesca sia freschi che conservati (salati, affumicati o cotti), importante altresì per studi epidemiologici la cui raccolta, nell’ambito della sicurezza alimentare, riveste sicuramente grande importanza per un approccio sulla valutazione del rischio. Tab 1 Campioni esaminati, indicazioni in etichetta e risultati RISULTATI Sul totale dei campioni di filetti di pesce d’importazione sono state rilevate larve di nematodi Anisakidae in n. 4 campioni come indicato in Tab 1, per un totale di n. 76 larve isolate. I nematodi ritrovati nel brosme all’osservazione morfologica al MO sono risultati riferibili a larve L3 appartenenti al genere Anisakis di tipo I (sensu Berland). In questo campione diverse larve apparivano al MO alterate dalla salatura e l’aspetto del ventricolo non sempre era ben evidenziabile. L’applicazione della metodica PCR-RFLP, sulla base dei patterns delle bande di restrizione ottenute, lette mediante le chiavi esistenti in bibliografia (5), ha permesso di identificarne la specie come Anisakis simplex sensu strictu. Alcuni di questi amplificati sono stati inoltre confermati con il marcatore mitocondriale cox2 e successivo allineamento delle sequenze ottenute con le sequenze depositate in GenBank (5). Le forme larvali recuperate dagli altri campioni di filetti di pesce (Tab 1) sono state identificate morfologicamente al MO come larve L3 appartenenti al genere Pseudoterranova decipiens s.l 205 Tipo campione/ filetti Specie ittica e zona di pesca Totale esamin e positivi nasello atlantico Merluccius hubbsi Atlantico sud occ - FAO 41 5 - merluzzo sudafricano Merluccius capensis Atlantico sud orien - FAO 47 1 - baccalà salato Gadus morhua Atlantico Nord (Faroe Islands) 1 merluzzo nordico - Brosme salato gallinella Totale n. larve Id specie 1 30 P. krabbei 1 1 2 P. decipiens s.s. Brosme brosme Atlantico Nord -FAO 27 1 1 40 Anisakis simplex s.s. Atlantico NordOrientale 1 1 4 P. krabbei 10 4 76 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1) Anderson RC Nematodes Parasites of Vertebrates, Their Development and Trasmission 2nd ed,CABI Publ Wallingford, 2000. 2) Berland B. (1961) Nematodes from some Norwegian marine fishes. 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(2008) Advances and trends in the molecular systematics of anisakid nematodes with implication for their evolutionary ecology and host-parasite co-evolutionary processes Advances in Parasitology vol 66:47-148 8) Mattiucci S, Paoletti M, Webb SC, Nascetti G. (2012) Pseudoterranova and Contracaecum in Molecular detection of human parasitic pathogens 62: 645-656 9) Mattiucci S., Fazii P., Paoletti M., De Rosa A., Salomone Megna A., Glielmo A., Bruschi F., De Angelis M., Costa A., Meucci C., Sorrentini L., Calvaruso V., Nascetti G. (2013) Anisakiasis and gastroallergic reactions associated with Anisakis pegreffii infection, Italy. Emerg Infect Dis Mar; 19(3):496-9 10) Valentini A, Mattiucci S, Bondanelli P, Webb SC, Mignucci-Giannone AA, Colom-Llavina MM, Nascetti G. (2006) Genetic relationships among Anisakis species (Nematoda: Anisakidae) inferred from mitochondrial cox2 sequences, and comparison with allozyme data . J Parasitol. Feb;92(1):156-66. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 APPLICAZIONE DELLA PCR REAL TIME PER LA RILEVAZIONE DI ANISAKIDAE IN PRODOTTI ITTICI: PRIMI RISULTATI Costa A., Sciortino S., Migliazzo A., Giangrosso G., Ferrantelli V. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo Centro di Referenza Nazionale per le Anisakiasi Key words: PCR Real Time, Anisakis spp, food- borne allergen SUMMARY Anisakis spp has been recognized as an important cause of disease in humans caused by the consumption of raw or undercooked fish and as a food-borne allergen source. Adequate cooking will kill anisakid larvae, however, killed or inactivated larvae can still cause sensitization and immunoglobulin E-dependent hypersensitivity. This work describes the application of a commercial kit based on a Real-Time PCR method to detect and quantify the presence of DNA of Anisakis spp. and Pseudoterranova spp. in fish and fishderived products, including fish fillets, surimi, fish sticks, canned fish and baby food. Out of 73 fish products examined, in 16 samples was detected DNA of Anisakidae: the highest prevalence has occurred in the anchovy paste. This molecular test is useful to detect the presence of traces of this parasite in fish and fishderived products and to quantify the level of contamination along the food chain, with potential applications for fish farms, fish markets, and food producers. INTRODUZIONE Parassiti nematodi del genere Anisakis sono ritenuti responsabili, oltre che di infestazioni umane legate al consumo di prodotti ittici, di sensibilizzazione e di ipersensibilità IgE- dipendente. L’allergia all’Anisakis viene studiata circa da una decina di anni e, data la diffusione di questi parassiti, potrebbe essere sottostimata. Sono state infatti osservate reazioni allergiche che vanno dalla sindrome orticaria alla dermatite da contatto, all’asma, allo shock anafilattico, conseguenti sia ad ingestione sia a manipolazione di pesce infestato. Attualmente solo il genere Anisakis viene ritenuto responsabile di reazioni allergiche (10). Diversi lavori bibliografici mostrano il potere allergizzante delle forme larvali di Anisakis, altamente stabili al calore e all’azione della pepsina: alcuni autori ipotizzano che la reazione allergica potrebbe essere scatenata non soltanto dalle forme larvali vitali (10) ma anche dalle larve devitalizzate da trattamenti quali congelamento, salagione o cottura nonché da frammenti o residui larvali che possono permanere in prodotti della pesca preparati (1,2,3). Studi recenti mostrano l’applicabilità di metodiche biomolecolari, quali la PCR Real Time, per determinare la contaminazione da nematodi Anisakidae, in particolare da Anisakis pegreffii (5) specie maggiormente isolata nei prodotti della pesca del Mar Mediterraneo ed identificata in diversi casi di anisakiasi in Italia (8). Alcuni studi ne mostrano l’applicazione oltre che su prodotti della pesca freschi, anche sui prodotti ittici cotti, affumicati o sottoposti a salagione o anche a omogeneizzati di pesce (4,6,7). Tra le metodiche di rilevazione dei parassiti nei prodotti ittici, oltre al metodo visivo, alla transilluminazione UV e al metodo digestivo, la metodica di PCR-Real Time di recente sviluppo (7,9), combinata con una procedura di estrazione del DNA, viene considerata altamente specifica e sensibile e applicabile a prodotti ittici freschi e processati (10). La procedura è stata di recente automatizzata su apparecchiature di laboratorio, con l’utilizzo di kit reperibili in commercio. Nel presente lavoro riportiamo i risultati dell’applicazione della PCRReal Time su diversi prodotti ittici freschi e trasformati, pervenuti 206 presso il nostro laboratorio e campionati nell’ambito di un progetto di Ricerca. MATERIALI E METODI Nel periodo gennaio-agosto 2013 sono stati sottoposti alla metodica di rilevazione qualitativa di DNA di Anisakidi mediante PCR-Real Time, un totale di 73 campioni di prodotti ittici, di cui 13 di filetto di pesce congelato confezionato (filetto merluzzo, di platessa, bastoncini di pesce), 2 di surimi, 4 di omogeneizzato di pesce, 2 condimento per pasta con le sarde e 52 tra conserve e semiconserve ittiche, cosi’ come riportato in dettaglio in Tab 1. Sui alcuni prodotti dove è stato possibile (filetti di pesce, alici marinate, filetti di sgombro, acciughe e sardine sott’olio) è stato prima eseguito il controllo visivo (Reg 2074/2005) e mediante stereomicroscopio, per verificare la presenza di larve di Anisakis o di Pseudoterranova (Tab 1). Per la PCR Real Time è’ stato utilizzato un kit di recente commercializzazione, pronto per l’uso e di rapida esecuzione (InCura): la reazione mediante PCR Real Time riconosce una specifica regione di DNA di Anisakis spp. e Pseudoterranova spp., dando origine ad un prodotto di PCR di 56bp rilevabile in tempo reale (fluoroforo FAM) mediante una sonda di ibridazione fluorescente. Il sistema include inoltre un test di controllo di amplificazione che riconosce una regione universale di DNA eucariotico dando origine ad un prodotto di PCR di 73bp rilevabile in tempo reale col fluoroforo YAK. Il controllo positivo è fornito dal kit di amplificazione. Estrazione del DNA. Il campione (50 g) viene accuratamente omogeneizzato con un frullatore a lama: 0.35 g dell’omogeneizzato verrà sottoposto ad estrazione del DNA. Per l’estrazione del DNA viene usato un apposito kit che si basa sull’uso di colonnine di affinità (Grees DNA Kit Food -InCura).Una stima approssimativa della quantità di DNA estratto viene effettuata mediante lettura spettrofotometrica alla lunghezza di 260 nanometri diluendo 10 µl dell’estratto di DNA in 490 µl di acqua Nuclease free (GeneQuant 100 Biochrom). PCR REALTIME La fase di amplificazione viene effettuata mediante un kit commerciale (Anisakids PCR Real Time Kit – InCura). Per ogni campione, una singola estrazione di DNA è analizzata in due repliche. Il volume totale della miscela di reazione è di 25 µl: in ogni pozzetto della microplate si dispensano 20 µl di Mix Test Anisakids e 5 µl di DNA da testare. Contestualmente si allestiscono le reazioni di controllo negativo e positivo sostituendo il DNA da testare, rispettivamente, con 5 µl di Acqua sterile e 5 µl di DNA Positive Control. La microplate viene inserita nel termociclatore (Stratagene) e viene impostato il seguente ciclo di PCR: 5 min a 95°C, 40 cicli di 15 s a 95°C, 60 s a 60 °C e ramp rate massima. I risultati attesi per i controlli di reazione positivo e negativo ed i valori di Ct per determinare la positività o la negatività del campione testato, sono indicati dalla casa produttrice. Il kit consente la rivelazione fino allo 0.001% di DNA di Anisakis spp. e Pseudoterranova spp. (9). Il risultato potrebbe essere invalidato dalla presenza nel campione di inibitori quali olio o alte concentrazioni di sale: tale situazione si è verificata in alcuni campioni di pasta d’acciughe e di acciughe sott’olio ed in questi caso si è proceduto ad una preventiva diluizione del DNA 207 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 amplificato 1:1000 con acqua sterile. La sensibilità diagnostica è stata valutata infestando sperimentalmente con residui larvali di Anisakis spp e di Pseudoterranova spp (materiale di riferimento del Centro) del tessuto muscolare di pesce non contaminato; i campioni positivizzati sono stati analizzati in condizioni di ripetibilità. La procedura è attualmente in via di validazione presso il Centro. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Nell’ambito della sicurezza alimentare, tra l’altro, le attuali normative intendono garantire ai cittadini, soprattutto a quelli con sensibilità nota a componenti od additivi alimentari, il diritto ad un’informazione più approfondita sul contenuto degli alimenti. In ambito di autocontrollo bisogna prestare particolare attenzione affinchè il confezionamento e i dati riportati in etichetta siano adeguati al prodotto alimentare realizzato, al fine di evitare che alimenti contenenti potenziali sostanze allergeniche vengano immessi in commercio privi di indicazioni specifiche. VALUTAZIONE COMPARATIVA FRA TRE METODICHE DI LABORATORIO PER L’IDENTIFICAZIONE DI LIEVITI DI ORIGINE ANIMALE 1 Crotti S., 1Agnetti F., 1Maresca C., 1Scoccia E., 1D’Angelo G., 2Palmieri M., 3Morganti G., 1Papa P., 2Pitzurra L. 1 IZS Umbria e Marche, Perugia; 2Istituto di Microbiologia, Fac. di Medicina e Chirurgia, Perugia 3 Dip.to di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali ed Alimentari, Perugia Key words: lieviti, identificazione, laboratorio Tab 1 Tipologia campioni esaminati e risultati Tipo campione RISULTATI Sul totale dei campioni esaminati è stato rilevato DNA di Anisakidae in 16 campioni (21.9%), come indicato in Tab 1. Le semiconserve ittiche sono risultate più contaminate, in particolare la pasta d’acciughe (5/11) e le acciughe sott’olio (3/7). Positivo un campione di condimento di pasta con sarde. Negativi i campioni di omogeneizzati di pesce, destinati ad un pubblico infantile, ed i bastoncini di pesce ed alcune preparazioni quali patè di tonno ed il tonno sott’olio. Riguardo il confronto con il metodo visivo, è da rilevare che in alcuni campioni, nei quali il DNA è stato rilevato con la PCR Real Time, era stata evidenziata la presenza di larve di Anisakis, quali alici marinate e acciughe sott’olio, devitalizzate dal trattamento ma potenzialmente responsabili di fenomeni allergici in soggetti sensibilizzati. Di interesse la positività riscontrata in diversi campioni di pasta d’acciughe esaminati, tra l’altro alcuni della stessa Ditta produttrice, il che fa ipotizzare l’utilizzo di materie prime contaminate da residui larvali. CONCLUSIONI Negli ultimi anni l’avvento e lo sviluppo delle tecniche di PCR Real Time quantitativa ne ha permesso l’utilizzo in varie applicazioni, compresa la ricerca di patogeni batterici, virali e parassitari. L’applicazione di tecniche identificative di PCR-Real Time quantitativa permetterebbe di dare un ulteriore contributo alla ricerca di contaminazioni da DNA di parassiti zoonotici nelle matrici ittiche, responsabili di sensibilizzazioni e/o di forme allergiche, argomento attualmente di attualità. Dai risultati preliminari ottenuti in questa nostra indagine, si può affermare che la metodica di PCR Real Time applicata alle matrici ittiche si rileva sensibile e di rapida esecuzione. Ulteriori approfondimenti sarebbero necessari per valutarne l’applicabilità che sembra più opportuna per quei prodotti ittici destinati al consumo umano, lavorati o processati (baby food a base di pesce, in scatola o patè ecc) dove l’identificazione visiva del nematode non è più possibile. E’ da sottolineare che pesce e prodotti derivati rientrano nell’elenco delle sostanze considerate allergeni dalle attuali normative (direttiva 2003/89CE, recepita dall’’Italia con il DL.vo 114/2006). Filetto di merluzzo n. esamin 6 Esame visivo N Presenza DNA - Assenza DNA 6 Filetto di platessa 5 N 2 3 Bastoncini di pesce Omogeneizzato di pesce Condimento pasta con sarde Pasta d’acciughe 2 N - 2 4 - - 4 2 - 1 1 11 - 5 6 Sgombro sott’olio 7 N - 7 Tonno sott’olio 9 N - 9 Acciughe sott’olio 7 2P 3 4 Sardine sott’olio 5 P 1 4 Patè di tonno 3 - - 3 Alici marinate 10 2P 4 6 Surimi 2 - Totale 73 - 2 16 57 BIBLIOGRAFIA 1) Audicana MT, Ignacio J.A., Fernandez de Corres L., Kennedy MW (2002) Anisakis simplex: dangerous-dead and alive? Trends in Parasitology 18 (1):20-25 2) Audicana L., Audicana MT.,Fernandez de Corres L.,Kennedy MW (1997) Cooking and freezing may not protect against allergenic reactions to ingested Anisakis simplex antigens in humans Vet Rec Mar;140(9):235 3) Baeza Ochoa y M.L., San Martin M.S. 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Pardo MA (2010) Evaluation of a Real Time Polymerase Chain Reaction (PCR) Assay for Detection of Anisakis simplex Parasite as a food borne allergen source in seafood products J Agric Food Chem, 58, 1469-1477 8) Mattiucci S., Fazii P., Paoletti M., De Rosa A., Salomone Megna A., Glielmo A., Bruschi F., De Angelis M., Costa A., Meucci C., Sorrentini L., Calvaruso V., Nascetti G. (2013) Anisakiasis and gastroallergic reactions associated with Anisakis pegreffii infection, Italy. Emerg Infect Dis Mar; 19(3):496-9 9) Mossali C, Palermo S, Capra E, Piccolo G, Botti S, Bandi C, D’Amelio S, Giuffra E. (2010) Detection and Quantification of Anisakid Parasite Residues in Food Products. Foodborne Pathog Dis 2010 Apr;7(4):391-7 10) Scientific Opinion on risk assessment of parasites in fishery products. EFSA Journal 2010; 8(4):1543). Ricerca finanziata dal Ministero della Salute RC IZS SI 12/11 208 ABSTRACT Three yeast identification systems, API ID 32C, Vitek-2 System and MALDI-TOF MS, were evaluated using 39 strains, isolated from samples of different animal species. Preliminary data obtained were elaborated through the Cohen test and the scale of Altman, comparing API ID 32C system vs Vitek-2 and API ID 32C system vs MALDI-TOF MS, respectively. Data obtained by the first comparison provided a good degree of correlation, while the comparison between API ID 32C and MALDI-TOF MS provided a sufficient degree of correlation. Further investigations are necessary to compare additional yeast strains, isolated from animals and previously identified by sequencing, also with references strains. INTRODUZIONE Le infezioni dovute a lieviti patogeni o ad organismi lievito-simili possono spaziare da blande irritazioni delle mucose a patologie più severe e/o invasive. Come nel corso di altri processi infettivi, la rapida identificazione dell’agente causale e l’allestimento di test di suscettibilità agli antifungini svolgono un ruolo chiave per una gestione proficua e risolutiva del caso (1). Gli attuali metodi di identificazione per lieviti e organismi lievito-simili si basano prevalentemente sulle caratteristiche fisiche e biochimiche degli isolati. Ad esempio, test semplici e rapidi come il germ-tube sono spesso usati, in medicina umana, per l’identificazione rapida e presuntiva di Candida (C.) albicans; tuttavia, non tutti i ceppi di C. albicans producono tubuli germinativi, ed altre specie, come C. tropicalis e C. dubliniensis, possono comunque produrre strutture simili ai tubuli, erroneamente interpretabili come tali (2). Allo stesso modo, il test di assimilazione rapida del trealosio (RAT) può consentire l’identificazione presuntiva di C. glabrata, ma molte specie, come C. tropicalis, possono generare falsi positivi (3). I test rapidi vanno dunque spesso confermati con ulteriori metodiche, alcune delle quali basate principalmente su proprietà biochimiche, quali la capacità di fermentare i carboidrati. A tal scopo, in commercio, sono presenti pannelli in formato manuale (API ID 20C e API ID 32C) e semiautomatico (Vitek ID YST e Phoenix Yeast ID) (bioMérieux, Marcy l’Etoile, Francia, e BD, Sparks, MD); tali test identificano correttamente dal 90% al 98% degli isolati di origine umana (4). Tuttavia, il loro tempo di risposta può durare da 24 a 72 ore, che, unite al tempo necessario per l’isolamento del lievito in coltura pura, può interferire con la necessità clinica di avere una diagnosi rapida e di impostare una terapia mirata (4, 5). Metodi più rapidi per l’identificazione dei lieviti nella pratica clinica comprendono i terreni cromogeni e i saggi basati sugli acidi nucleici. I primi consentono un’identificazione presuntiva, grazie all’impiego differenziale di substrati cromogeni aggiunti al medium, con il risultato di avere singole colonie di ciascuna specie diversamente colorate. Tuttavia, l’impiego di un cromogeno può essere limitato da due fattori: in primis, la capacità di discriminare un numero limitato di lieviti; in secundis, più specie di lieviti possono sviluppare colori simili sullo stesso terreno (6). Il PNA FISH (Peptide Nucleic Acid Fluorescence in situ Hybridization), invece, rispetto al terreno cromogeno, non presuppone lo sviluppo in coltura del microrganismo, ma consente l’identificazione direttamente dalla matrice positiva in appena due ore, con livelli di sensibilità dal 97,5% al 100% (7). Sebbene più specifico rispetto al cromogeno, il PNA FISH è comunque limitato nel numero di specie identificabili ed in letteratura sono anche riportati casi di cross reattività fra specie e specie (7). I recenti sviluppi nel campo della spettrometria di massa hanno aperto nuove possibilità diagnostiche in microbiologia, potendo comportare una rapida individuazione e differenziazione di patogeni; a tale riguardo, la tecnica MALDI-TOF MS (Matrix-Assisted Laser Desorption Ionization-Time of Flight Mass Spectrometry) ha fornito un importante contributo nell’identificazione e nella differenziazione di microrganismi, miceti compresi (8). In diagnostica veterinaria, può essere fondamentale giungere ad una corretta identificazione di lieviti potenzialmente patogeni, sia nel campo della sanità animale (per individuare l’esatta eziologia di un determinato processo morboso) che in quello della sicurezza alimentare (per evidenziare l’agente contaminante di un determinato alimento di origine animale). Nel presente lavoro, a scopo preliminare, sono state messe a confronto tre metodiche di laboratorio (sistema manuale in micrometodo API ID 32C, semiautomatico Vitek-2 System e MALDI-TOF MS) per l’identificazione di lieviti, a partire da isolati di origine animale. MATERIALI E METODI Miceti: oggetto di indagine sono stati 39 ceppi di lieviti e organismi lievito-simili, isolati in Umbria da varie matrici di diverse specie animali nel corso del 2012 e conservati a 25±1°C attraverso passaggi colturali su Sabouraud Dextrose Agar (SDA). Nello specifico: 3 Candida (C.) albicans, 8 C. famata, 2 C. krusei, 1 C. incospicua, 3 C. sake, 3 C. lusitaniae, 2 C. silvicola, 1 C. laurentii, 1 C. dubliniensis, 1 C. rugosa, 2 C. zeylanoides, 3 Cryptococcus (C.) albidus, 2 Rhodotorula (R.) glutinis, 3 R. mucilaginosa, 1 Saccharomyces (S.) cerevisiae, 1 Trichosporon (T.) inkin, 2 Zygosaccharomyces spp. I suddetti ceppi sono stati identificati tramite API ID 32C, metodica considerata come gold standard (9). API ID 32C e Vitek-2 System: i test di identificazione sono stati allestiti secondo le procedure descritte dal produttore (4). MALDI-TOF MS: l’analisi è stata condotta su colture di lievito di 48 ore, dopo estrazione con etanolo al 70% e trattamento con acido formico al 70% ed acetonitrile. L’analisi degli spettri è stata eseguita mediante la procedura descritta da Buchanan e Ledeboer (12). Elaborazione statistica: sono stati messi a confronto i risultati ottenuti con API ID 32 C rispetto a Vitek-2 System e con API ID 32C rispetto a MALDI-TOF MS, attraverso l’impiego del test k di Cohen, valutato utilizzando la scala di Altman (11). 209 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI API ID 32C vs Vitek-2 System: 26 dei 39 lieviti testati sono stati identificati in modo simile dalle due prove. Il grado di concordanza osservato è stato pari al 66,67% ed il valore della statistica Kappa, di 0,64, esprime una concordanza buona secondo la scala di Altman. API ID 32C vs MALDI-TOF MS: 12 dei 38 lieviti testati (1 ceppo non si è mostrato più vitale e quindi non è stato processato) sono stati identificati in modo simile dalle due prove. Il grado di concordanza osservato è stato pari al 28,95% ed il valore della statistica Kappa, di 0,26, esprime una concordanza sufficiente secondo la scala di Altman. DISCUSSIONE In medicina umana, un’accurata identificazione degli isolati fungini è un punto cruciale nella pratica clinica, onde stabilire una precisa diagnosi eziologica, scegliere un’appropriata terapia antifungina, monitorare la possibilità di diffusione dell’agente causale in popolazioni recettive e mapparlo dal punto di vista epidemiologico (8, 12). In campo veterinario, la necessità di identificare correttamente i miceti, nel caso specifico i lieviti, non è sempre una finalità perseguita dal clinico; tale bisogno è maggiormente sentito per gli agenti batterici, soprattutto per conoscere la loro sensibilità ai diversi antimicrobici in uso. In ambito micologico, solo negli ultimi anni sta crescendo l’attenzione dei veterinari clinici verso una corretta identificazione degli agenti fungini e della loro sensibilità agli antimicotici. Pertanto, anche nella diagnostica di laboratorio veterinaria, si stanno facendo sempre più strada i sistemi già impiegati per identificare gli agenti fungini in campo umano. Nel nostro lavoro abbiamo testato 39 ceppi di lieviti di origine animale con API ID32C, Vitek-2 System e MALDI-TOF MS. Il numero di ceppi considerati è sicuramente esiguo per poter calcolare la specificità di ciascuna metodica nei confronti delle singole specie di lievito. Tuttavia, seppur in termini preliminari, il sistema API ed il Vitek hanno identificato similarmente 26 dei 39 ceppi testati, mostrando una concordanza buona; invece la tecnica MALDI-TOF è riuscita a fornire risultati concordanti col sistema API solo per 12 ceppi. Ciò, probabilmente, potrebbe essere causato dal fatto che la capacità di MALDI-TOF MS di identificare correttamente una grande varietà di ceppi e di discriminare tra quelli strettamente correlati, è direttamente dipendente dalla ampiezza del database di riferimento utilizzato per il confronto (ad oggi quello comprendente i ceppi di origine animale è sicuramente inferiore rispetto a quello comprendente i ceppi di origine umana). Nonostante ciò, però, un vantaggio di molte piattaforme di identificazione MALDI-TOF MS è quello di poter integrare i database di riferimento, qualora si individuino delle specifiche carenze (12). In conclusione, si può affermare che per i ceppi di lieviti di origine animale qui testati, è risultata una migliore concordanza fra le metodiche API ID 32C e Vite2 System; ulteriori indagini in tal senso sono necessarie su un numero maggiore di organismi fungini di origine animale, preventivamente sequenziati, confrontando i risultati anche con ceppi di riferimento. Bibliografia 1) Wisplinghoff H., Bischoff T., Tallent S.M., Seifert H., Wenzel R.P., Edmond M.B., 2004. Nosocomial bloodstream infections in US hospitals: analysis of 24,179 cases from a prospective nationwide surveillance study. Clin. Infect. Dis. 39:309 –317. 2) Dealler S.F., 1991. Candida albicans colony identification in 5 minutes in a general microbiology laboratory. J. Clin. Microbiol. 29:1081–1082. 3) Willinger B., Wein S., Hirschl A.M., Rotter M.L., Manafi M., 2005. Comparison of a new commercial test, GLABRATA RTT, with a dipstick test for rapid identification of Candida glabrata. J. Clin. Microbiol. 43:499–501. 4) Ramani R., Gromadzki S., Pincus D.H., Salkin I.F., Chaturvedi V., 1998. Efficacy of API 20C and ID 32C systems for identification of common and rare clinical yeast isolates. J. Clin. Microbiol. 36:3396 –3398. 5) Verweij P.E., Breuker I.M., Rijs A.J., Meis J.F., 1999. Comparative study of seven commercial yeast identification systems. J. Clin. Pathol. 52:271–273. 6) Hospenthal D.R., Beckius M.L., Floyd K.L., Horvath L.L., Murray C.K., 2006. Presumptive identification of Candida species other than C. albicans, C. krusei, and C. tropicalis with the chromogenic medium CHROMagar Candida. Ann. Clin. Microbiol. Antimicrob. 5:1. doi:10.1186/1476-0711-5-1. 7) Hall L., Le Febre K.M., Deml S.M., Wohlfiel S.L., Wengenack N.L., 2012. Evaluation of the Yeast Traffic LightPNAFISH probes for identification of Candida species from positive blood cultures. J. Clin. Microbiol. 50:1446–1448. 8) Kolecka A., Khayhan K., Groenewald M., Theelen B., Arabatzis M., Velegraki A., Kostrewa M., Mares M., Taj-Aldeen S.J., Boekhout T., 2013. Identification of medically relevant species of Arthroconidial yeasts by use of Matrix-Assisted Laser Desorption IonizationTime of Flight Mass Spectrometry. J. Clin. Microbiol., 51(8): 2491-2500. 9) Freydiere A.M., Guinet R., Boiron P., 2001. Yeast identification in the clinical microbiology laboratory: phenotypical methods. Med. Mycol., 39: 9-33. 10) Meletiadis J., Arabatzis M., Bompola M., Tsiveriotis K., Hini S., Petinaki E., Velegraki A., Zerva L., 2011. Comparative evaluation of three commercial identification systems using common and rare bloodstream yeast isolates. J. of Clin. Microbiol., 49(7): 2722-2727. 11) Altman D.G., 1991. Pratical Statistics for Medical Research. Chapman and Hall, London. 12) Buchanan B.W., Ledeboer N.A., 2013. Advances in identification of clinical yeast isolates by use of MatrixAssisted Laser Desorption Ionization-Time of Flight Mass spectrometry. J. of Clin. Microbiol., 51(5): 13591366 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 A FAST REAL-TIME PCR ASSAY FOR THE DETECTION OF CHLAMYDIA SPECIES FROM ANIMAL SAMPLES Curcio L., Sebastiani C., Ciullo M., Biagetti M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche Key words: Chlamydia, Fast Real-time PCR, animal disease ABSTRACT: The most clinically important intracellular parasites and endosymbionts of eukaryotic hosts are the Chlamydiales; they cause a wide spectrum of diseases in humans and animals. Veterinary diagnostic assays of Chlamydiaceae allow identifying animal disease, reducing economic losses for breeders and risks for human health. In this paper we report the set up and validation of a Fast Real-time PCR protocol that provides a powerful analytical tool for rapid, safer and more specific Chlamydiaceae detection. INTRODUZIONE: Alla famiglia delle Chlamydiaceae appartengono nove specie di rilevante importanza clinica veterinaria ed umana: C. trachomatis (uomo, topo), C. suis (suino), C. muridarum (topo, criceto), C. psittaci (uccelli), C. felis (gatti), C. abortus (bovini, ovini, caprini), C. caviae (cavia), C. pecorum (bovini, ovini), C. pneumoniae (uomo) (2,9). Una recente revisione della classificazione della famiglia ha ricondotto i due generi Chlamydia e Chlamydophila all’unico genere Chlamydia. I microrganismi appartenenti a questo genere sono Gram negativi, intracellulari obbligati con un ciclo riproduttivo bifasico caratterizzato da una fase replicativa intracellulare (corpi reticolari non infettanti) ed una fase extracellulare (corpi elementari infettanti) (7). Tra le specie patogene Chlamydia trachomatis, Chlamydia abortus e Chlamydia psittaci sono responsabili di un’ampia gamma di malattie sia dell’uomo che degli animali. Diversi sono i tipi di approccio alla diagnosi della clamidiosi, tra cui la rilevazione diretta dell’agente mediante PCR, isolamento e identificazione, metodi di colorazione in tessuti, tamponi, organi. I metodi molecolari, in particolare la PCR (Polymerase Chain Reaction), permettono di identificare direttamente il patogeno con tempi di diagnosi brevi. La PCR comparata ad altre tecniche diagnostiche è il metodo di elezione per la sua rapidità, sensibilità, specificità, rapporto costo-beneficio. Per rilevare tutte le specie di Chlamydia, si utilizzano protocolli in PCR aventi come target le regioni geniche codificanti il RNA ribosomiale 16S o 23S, oppure il gene ompA (2,9,7). Tra le analisi basate sulla PCR la più vantaggiosa è la PCR Realtime in quanto è una tecnica rapida e specifica, che permette il rilievo e la quantificazione del patogeno d’interesse (1,3,4,5,6). L’obiettivo dello studio è stato quello di sostituire un’analisi in PCR end-point con una Fast PCR Real-Time con lo scopo di ridurre il rischio delle possibili contaminazioni da amplificato e quindi i falsi positivi. In questo lavoro il target scelto per l’identificazione di Chlamydia spp. è il gene codificante il rRNA 23S. Per la validazione del metodo è stato calcolato il LOD (Limit of Detection) e sono stati valutati i parametri di sensibilità, specificità e robustezza. per la messa a punto del metodo in PCR Real-time. I primers e la sonda utilizzati sono tratti dallo studio di Ehricht et. al (2006), da cui si ottiene un amplificato pari a 110 bp (1). La reazione è stata allestita utilizzando una concentrazione 1x di TaqMan® Universal PCR Master Mix in un volume finale di 20 µl dei quali 2 µl di templato; la concentrazione 0,5 pM è risultata ottimale per entrambi i primers mentre quella adottata per la sonda è 0,2 pM. Il profilo di amplificazione adottato è il seguente: step iniziale a 95°C per 20 secondi, seguito da 40 cicli a 95°C per 1 secondo e 60°C per 20 secondi. Per il calcolo del LOD (Limit of Detection), la sequenza target è stata amplificata con i primers pubblicati da Ehricht et. al (2006) (1) tramite un protocollo PCR touch-down (8) allestita in un volume finale di 25 µl di cui 5 µl di templato: 1X Buffer, 2 mM MgCl2, 0,5 mM dNTP, 0,4 µM di ciascun primer e 1U di AmpliTaq Gold® DNA Polymerase (Life Technologies); il profilo di amplificazione adottato era costituito uno step iniziale di denaturazione a 95°C per 15 min seguito da 5 cicli a 94°C per 30 sec, 60°C per 30 sec e 72°C per 30 sec e successivamente 35 cicli a 94°C per 30 sec, 55°C per 30 sec, e 72°C per 30 sec; infine uno step a 72°C per 5 min. L’amplificato ottenuto è stato purificato con il kit commerciale QIAquick® PCR Purification Kit (Qiagen®) e successivamente quantizzato con lettura al biofotometro. E’ stato poi stimato il numero di copie genomiche (c.g.) (10). Sono state allestite 8 diluizioni seriali 1:2 da 6.7 c.g. a 0.05 c.g. Per ciascuna diluizione sono stati saggiati 10 replicati in modalità Fast PCR Real-time sulla piattaforma StepOne Plus Real-Time PCR System (Life Technologies). Per valutare la sensibilità e la specificità sono stati testati 10 campioni risultati positivi per Chlamydia spp dalle analisi di routine e 10 campioni appartenenti ad altre specie come riportato in tabella 1. Per la stima della robustezza, la stessa prova è stata eseguita sugli stessi campioni utilizzando una differente piattaforma di PCR Real-time, lo strumento ABI 7900HT Fast Real-Time PCR System (Life Technologies). MATERIALI E METODI: il DNA è stato estratto da omogenati d’organo (feti, annessi fetali) e da tamponi vaginali di ruminanti e volatili con il kit commerciale QIAamp DNA Mini Kit (Qiagen®). I campioni sono stati analizzati con il protocollo di PCR endpoint per Chlamydia spp. utilizzato per l’attività di routine diagnostica (8); i campioni risultati positivi sono stati poi utilizzati 210 211 Tabella 1. Ceppi di campo negativi al target 23 S. CAMPIONI NEGATIVI C. perfringens TOSSINOTIPO A C. perfringens TOSSINOTIPO A + β2 S. aureus Mec A+ M. agalactiae M. gallisepticum M. synoviae E. coli (coniglio) E. coli (coniglio) E. coli (bovino) Neospora caninum XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 mydophila psittaci ompA gene reveals a new genotype, E/B, and the need for a rapid discriminatory genotyping method. Journal of Clinical Microbiology; 43(5): 24562461. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il LOD è stato determinato a 3,6 c.g. (36 Ct) dove per tutti i dieci replicati si è registrato il segnale di amplificazione. I risultati ottenuti dai 10 campioni risultati positivi per Chlamydia spp dalle analisi di routine e dai 10 campioni negativi concordano al 100% per sensibilità e specificità. Dalle prove di robustezza, il risultato ottenuto su entrambe le apparecchiature soddisfa a pieno il criterio di accettabilità. L’adozione della Fast PCR Real-Time apporta dei miglioramenti sia rispetto alla PCR end-point sia rispetto alla PCR Real-Time standard. Infatti, la Fast PCR Real-Time consente di eliminare la fase di lettura degli amplificati su gel d’agarosio come previsto per la PCR end-point, consentendo una maggiore rapidità di esecuzione dell’analisi e garantisce una maggiore sicurezza per l’operatore, escludendo l’utilizzo di bromuro d’etidio. Rispetto ad una PCR Real-Time standard la Fast PCR Real-Time permette di ridurre i tempi di analisi di circa 1/3. Nell’immediato futuro il Laboratorio si pone come obiettivo principale lo sviluppo della metodica Fast Real-time PCR anche per altri patogeni abortigeni al fine di allestire nella stessa analisi uno screening multi-target con il vantaggio di dare in tempi brevi più risposte diagnostiche contemporaneamente. 4) Geens T., Dewitte A., Boon N., Vanrompay D. (2005b). Development of a Chlamydophila psittaci species specific and genotype-specific Real-Time PCR. Veterinary Research; 36(5-6): 787-797 . 5) Pantchev A., Sting R., Bauerfeind R., Tyczka J., Sachse K. (2009). New real-time PCR tests for species-specific detection of Chlamydophila psittaci and Chlamydophila abortus from tissue samples. Veterinary Journal; 181(2): 145-150. 6) Pantchev A., Sting R., Bauerfeind R., Tyczka J., Sachse K. (2010). Detection of all Chlamydophila and Chlamydia spp. of veterinary interest using species-specific realtime PCR assays. Comparative Immunology, Microbiology and Infectious Diseases; 33(6): 473-484. BIBLIOGRAFIA 1) Ehricht R., Slickers P., Goellner S., Hotzel H., Sachse K. (2006). Optimized DNA microarray assay allows detection and genotyping of single PCR-amplifiable target copies. Molecular and cellular Probes. 20:60-63. 2) 3) 7) Rodolakis, A., Mohamad, K.Y.(2010). Zoonotic potential of Chlamydophila, Veterinary Microbiology 140 (3-4) 382-391 8) Vicari, N., Santoni, R., Vigo, P.G., Magnino, S. (2004). A PCR-RFLP assay targeting the 16S ribosomal gene for the diagnosis of animal chlamydioses. Proceedings, 5th Meeting of the European Society for Chlamydia Research (Ed.: Judith Deak), Budapest, Hungary, 1-4 September 2004, p. 297 Everett K.D., Bush R.M., Andersen A.A. (1999). Emended description of the order Chlamydiales, proposal of Parachlamydiaceae fam. nov. and Simkaniaceae fam. nov., each containing one monotypic genus, revised taxonomy of the family Chlamydiaceae, including a new genus and five new species, and standards for the identification of organisms. International Journal of Systematic Bacteriology; 49 (Pt 2): 415-440 Geens T., Desplanques A., Van Loock M., Bönner B.M., Kaleta E.F., Magnino S., Andersen A.A., Everett K.D., Vanrompay D. (2005a). Sequencing of the Chla- 9) Zocevic A., Vorimore F., Vicari N., Gasparini J., Jacquin L., Sachse K., Magnino S., Laroucau K. (2013). A Realtime PCR Assay for the Detection of Atypical Strains of Chlamydiaceae from Pigeons. Plos ONE 8(3): 1-5. 10) http://www.thermoscientificbio.com/webtools/copynumber/ XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RILIEVI PARASSITOLOGICI IN VOLPI IN SICILIA Currò V., Antoci F., Disclafani R., Galluzzo P., Randazzo V., Lo Biundo G., Barreca S., Galuppo L., Caracappa S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” Key words: red fox, parasites, PCR SUMMARY The red fox ( Vulpes vulpes) is the only widely distributed wild carnivores in Italy. The high spread of foxes in the country and especially in the northern regions, the capacity to adapt to environmental changes contributes to determine the role of this canids which tank bacterial diseases, viral and parasitic diseases, some zoonotic (5, 6).Often attend the peri-urban areas by significantly increasing the likelihood of interaction with humans and domestic animals. In Iran, for example (Dalimi A. et al. (2006), the four species of canids such as wild or stray dogs, sheep dogs, foxes and jackals, threaten public health. In this context, taking more and more importance as the parasitic species in the complex host-parasite relationship, they adapt not only to the host species, but also the environment, understood as a complex of interrelations with the entire ecological chain in which host and live parasite (3).The purpose of this study was the evaluation of the parasitic state of a sample of hunting foxes from the operations during the year 2012. INTRODUZIONE La volpe rappresenta la specie di carnivoro selvatico più diffusa in Italia anche per la spiccata capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali. Questo canide è stato più volte indicato come un resevoir di malattie batteriche, virali e parassitarie, alcune a carattere zoonosico ed attenzionato in quanto spesso si avvicina alle aree peri-urbane aumentando le probabilità di interazione con l’ uomo e gli animali domestici. Dalimi A. et al., ha riportato come cani selvatici o randagi, cani da pastore , volpi e sciacalli, costituiscono una seria minaccia per la salute pubblica e per il patrimonio zootecnico L’obiettivo di questo studio, ancora preliminare è stato quello di una prima la valutazione circa la fauna parassitaria in un campione di volpi provenienti dalle attività venatorie durante l’anno 2012 da alcune provincie della Sicilia. Il lavoro fa parte di uno studio più ampio che coinvolge tutto il territorio regionale MATERIALI E METODI Durante Gennaio e Luglio 2013 sono state esaminate 120 volpi (Vulpes vulpes) provenienti da 4 diverse provincie della Sicilia: Ragusa, Palermo, Trapani, Agrigento. Gli animali provenienti dalle attività venatorie erano conferiti ai laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia sede di Palermo. In sede di esame autoptico venivano prelevate feci ove possibile ed intestini prelevati per intero o porzioni di essi. Sui campioni di feci sono stati condotti esami copromicroscopici qualitativi con la tecnica dell’ arricchimento mediante flottazione e sugli intestini si ricercavano forme di parassiti adulti. Per la flottazione è stata utilizzata mediante una soluzione densa composta da nitrato di sodio e glucosio avente densità 1300/1350.Tutti gli intestini delle volpi pervenuti sono stati analizzati per la ricerca di forme adulte di parassiti gastrointestinali. Si è proceduto alla separazione del tratto del piccolo intestino dal grosso intestino e sono stati tutti lavati accuratamente sotto un lento flusso di acqua di fonte e l’eventuale contenuto ritrovato, è stato raccolto in setacci da 500 µm. I parassiti ritrovati, 212 sono stati conservati in alcol etilico al 70%. Tutti gli intestini delle volpi pervenuti sono stati analizzati per la ricerca di forme adulte di parassiti gastrointestinali. Si è proceduto alla separazione del piccolo intestino dal grosso intestino, si è proceduto al lavaggio degli stessi e il contenuto è stato raccolto in setacci da 500 µm. I parassiti ritrovati, sono stati conservati in alcol etilico al 70%. Per quanto riguarda i cestodi è noto che il rilevamento di uova nelle feci non è un metodo per una diagnosi specifica , dal momento che le uova di tutti i cestodi taenidi di volpi e cani sono morfologicamente indistinguibili . Nella ricerca di metodi alternativi per la diagnosi diinfezioni da Echinococcus spp . le tecniche sierologiche ( ospiticontenente le tenie adulte) , anticorpo sierologia hanno dato risultati non soddisfacenti. Si è ricorso alle tecniche di biologia molecolare. Sulle porzioni di duodeno di 80 volpi sono state condotte indagini di biologia molecolare consistenti nell’applicazione di una PCR multplex per la ricerca contemporanea di Echinococcus multilocularis, Echinococcus granulosus e Taeniaspp.(11). I primers utilizzati sono riassunti in Tabella 1 (Trachsel D. et al 2006). Tab. 1 Primers utilizzati per le indagini molecolari Parassita Nome primer Sequenza Primer E. multilocularis. Cest1 Cest2 TGC TGATTTGTTAAAGTTAGTGATC CATAAATCAATGGAAACAACAACAAG E. granulosus Cest4 Cest5 GTTTTTGTGTGTTACATTAATAAGGGTG GCGGTGTGTACMTGAGCTAAAC Taeniaspp. Cest3 Cest9 YGAYTCTTTTTAGGGGAAGGTGTG GCGGTGTGTACMTGAGCTAAAC RISULTATI Le specie parassitarie rinvenute grazie alle indagini microscopiche sono riportate nelle tabelle 2 e tabella 3 Tab. 2 classi di parassiti individuati PROV NEMATODI COCCIDI CESTODI ADULTI RG 39% 5% 28% PA 62% 15% 46% AG 57% 29% 14% TP 50% 0% 0% Tab 3 specie parassitarie ritrovate 213 Trichiuris Capillaria PROV spp spp Dipylidium Spirocerca spp spp Echinococcus Moniezia spp spp Eristalis RG 27% 0% 1% 1% 1% 0% 0% PA 38% 15% 0% 0% 0% 0% 0% AG 14% 29% 0% 0% 0% 0% 14% TP 0% 50% 0% 0% 0% 50% 0% XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Nel duodeno e nelle feci delle 120 volpi, le indagini di biologia molecolare hanno rilevato la presenza di Tenia spp. rispettivamente nel 73% e nel 35,9% dei casi. E. granulosus, invece, è stato ritrovato con una prevalenza del 35,9% nel duodeno e del 23,1%. Si è riscontrata una sola positività per E. multilocularis nel duodeno di una volpe proveniente da Ragusa. I risultati ottenuti sono riassunti in Figura 1. Fig.1 risultati delle indagini con PCR multiplex 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Duodeno E. granulosus Feci E. granulosus Duodeno Teniae spp AG I AN O AP TR RI GE NT O RM LE PA RA GU SA Feci Teniae spp. Duodeno E. mul6locularis Feci E. mul6locularis DISCUSSIONE Il presente lavoro costituisce una parte preliminare di uno studio sulla fauna parassitaria in carnivori selvatici nel territorio della regione. In questa prima esperienza il campione di volpi più numeroso proveniente dalla provincia di Ragusa ha permesso di osservare la maggior parte delle specie parassitarie rinvenute. Queste variazioni, essenzialmente qualitative, sono probabilmente in relazione alla diversa disponibilità alimentare negli ecosistemi considerati. In pianura e montagna l’ambiente meno ricco di risorse favorisce “home-ranges” più ampi, una dieta molto varia per il raggiungimento delle calorie necessarie al sostentamento, con maggiori probabilità di acquisire parassiti, in accordo con lo studio condotto da Capelli G., et al., 2003. L’applicazione poi di tecniche di biologia molecolare si è dimostrata anche nel campo degli studi di parassitologia un ottimo ausilio diagnostico li dove le tecniche tradizionali non riescono a fornire un risultato conclusivo. BIBLIOGRAFIA 1.Dalimi A., Sattari A. and Motamedi G., 2006. Vet. Parasitol., 142:129 – 133. 2. Sattari A., MotamediGh.VeterinaryParasitology 142 (2006)129-133). 3. Guberti V. e Poglayen G.; Hystkr, (as.) 3 (1991): 167-173 Atti I Simp. Ital. Carnivori). 4. Manfredi M. T., Giacometti A., Fraquelli C., Piccolo G. J. Mt. Ecol., 7 (Suppl.):2003 5. Capelli G., Stancampiano L., Magi M., Poglayen G., Guberti V.; J. Mt. Ecol., 7 (Suppl.): 199 – 205) 6. Guberti V. e Poglayen G.; Hystkr, (as.) 3 (1991): 167-173 Atti I Simp. Ital. Carnivori). 7.M.Genchi G. Traldi; C. Genchi. Manuale di parassitologia veterinaria. 8.D. Trachsel, P. Deplazes and A. Mathis Parasitology. 2007 Jun;134(Pt 6):911-20. Epub 2007 Feb 9. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MIELOPATIA DEGENERATIVA NEI CANI Cutarelli A.*, De Roma A.*, Cecere B.*, Mandato D.*, Polli M.**, Riva J.**, Guarino A.*, Galiero G.*, Corrado F.* *Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ** Vetogene srl, Milano Keywords: Degenerative Myelopathy, SOD1, Real Time PCR Abstract Canine Degenerative Myelopathy (DM) is a fatal neurodegenerative disease prevalent in several dog breeds. It is progressive disease of the canine spinal cord that is similar in many ways to amyotrophic lateral sclerosis. The disorder is strongly associated with a gene mutation in SOD1. This work concerns the study of the genetic disease with the identification of the causal mutation, in order to develop a rapid test for his detection, avoiding its transmission to the future generations. 1. Introduzione La Mielopatia Degenerativa (MD) è una grave patologia che colpisce il midollo spinale, descritta per la prima volta nel Pastore Tedesco nel 1973. Gli studi eseguiti negli anni successivi hanno evidenziato che molte razze canine sono soggette alla DM, in particolar modo i cani di taglia grande, ma è stata riscontrata anche in soggetti non di razza pura. Questa malattia colpisce solitamente cani di età compresa tra i 5 e i 14 anni attraverso una progressiva ed irreversibile interruzione degli stimoli nervosi dagli arti al cervello e viceversa, provocando la totale incapacità deambulatoria dell’animale. Studi precedenti hanno individuato una correlazione tra questa malattia e la mutazione di un gene (1, 2). In particolare è stato possibile individuare in tutti i cani malati la presenza di una mutazione di un singolo nucleotide da guanina (G) ad adenina (A) nell’esone 2, posizione 118, della regione terminale del gene canino che codifica la SOD1( proteina superossido dismutasi1). Ciò causa la sostituzione di un amminoacido da glutammato a lisina (pE40K), responsabile della malattia. Le analisi volte ad identificare precocemente malattie genetiche come la MD sono spesso richieste da molti allevatori e dagli iscritti ENCI (Ente Nazionale per la Cinofilia d’Italia) come servizio agli Istituti Zooprofilattici e/o a laboratori privati. Tali esami si effettuano attualmente solo all’estero e il loro costo elevato ne limita tantissimo la richiesta da parte degli allevatori. 2.1 Campionamento Le analisi per la messa a punto del test sono state svolte su un totale di 40 campioni raccolti dall’’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno durante manifestazioni canine organizzate dall’ ENCI o inviati allo stesso da veterinari liberi professionisti. I campioni di DNA di controllo positivo (CP) e controllo negativo (CN) sono stati forniti dalla società VETOGENE Srl di Milano. 2.2 Analisi Real Time PCR Il DNA è stato estratto utilizzando il QIAamp DNA Mini kit (Qiagen). La PCR è stata preparata utilizzando 1-2 µL di DNA genomico e ciascuno dei seguenti primers e sonde: Primer forward: TGGGCCTGTTGTGGTATCAG Primer reverse: CAAACTGATGGACGTGGAATCC Sonda wild type: VIC, CTCGCCTTCAGTCAGC Sonda mutato: FAM, CTCGCCTTTAGTCAGC Il profilo termico della PCR consiste in una fase di predenaturazione a 95°C per 20 secondi e in 50 cicli di amplificazione costituiti ciascuno da una denaturazione a 95°C per 3 secondi e una fase di annealing ed estenzione di 30 secondi a 58°C. 3. Risultati e conclusioni Il test Real time ha permesso di discriminare tra i 3 possibili genotipi fornendo i seguenti risultati: -amplificazione esclusiva della sonda wild type G/G (omozigote sano), immagine A in figura 1. -co-amplificazione delle due sonde G/A (eterozigote), immagine B in figura 1. -amplificazione esclusiva della sonda mutata A/A (omozigote malato), immagine C in figura 1. Obiettivo del presente lavoro è stato la messa a punto di un test genetico per la mielopatia degenerativa e la proposta di impiego (a costi contenuti) come screening massivo neonatale e/o di pre-accoppiamento. 2. Materiali e metodi Il metodo che si vuole sviluppare si basa sull’utilizzo della Real Time PCR, un tecnica molecolare che sfrutta la reazione a catena della polimerasi (PCR), in grado di quantificare il DNA di una sequenza target in un campione. Nel saggio Realtime di tipo “TaqMan” si usano 2 primers specifici (forward e reverse) ed un oligonucleotide sonda, che si appaia ai prodotti di amplificazione nella regione compresa tra i primers. La sonda è dotata di un fluorocromo “reporter” e di un fluorocromo “quencher”. Appositi software acquisiscono lo spettro di emissione di ogni singolo campione per tutta la durata della PCR e convertono la variazione di fluorescenza del reporter in una rappresentazione in tempo reale della cinetica d’amplificazione. 214 215 Fig.1 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Le analisi svolte hanno permesso di individuare con successo la malattia nei campioni in esame. Questi dati preliminari consentiranno la messa a punto di un metodo a costi contenuti per l’analisi genetica della Mielopatia Degenerativa allo scopo di individuare: 1)razze canine in cui la malattia si manifesta con maggior frequenza. 2)razze canine in cui la malattia è ad oggi sconosciute, con particolare attenzione alle razze tipiche italiane. I risultati genetici in correlazione alle cartelle cliniche dei soggetti in studio, permetteranno di ottenere una casistica dell’incidenza della malattia nelle razze canine. Bibliografia (1) Tomoyuki Awanoa, Gary S. Johnsona,1, Claire M. Wadeb,c, Martin L. Katza,d, Gayle C. Johnsona, Jeremy F. Taylore, Michele Perloskib, Tara Biagib, Izabella Baranowskaf, Sam Longg, Philip A. Marchh, Natasha J. Olbyi, G. Diane Sheltonj, Shahnawaz Khana, Dennis P. O’Brienk, Kerstin Lindblad-Tohb,l, and Joan R. Coatesk. 2009 Genome-wide association analysis reveals a SOD1 mutation in canine degenerative myelopathy that resembles amyotrophic lateral sclerosis. PNAS, 2794–2799 February 24, vol. 106 no. 8 (2) Hye-Sook CHANG, Hiroaki KAMISHINA, Keijiro MIZUKAMI, Yasuyuki MOMOI, Masaaki KATAYAMA, Mohammad Mahbubur RAHMAN, Mohammad Mejbah UDDIN, Akira YABUKI, Moeko KOHYAMA and Osamu YAMATO. 2013 Genotyping Assays for the Canine Degenerative Myelopathy-Associated c.118G>A (p.E40K) Mutation of the SOD1 Gene Using Conventional and RealTime PCR Methods: A High Prevalence in the Pembroke Welsh Corgi Breed in Japan. J. Vet. Med. Sci. 75(6): 795– 798. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SERRATOSPICULOSI (SERRATOSPICULUM TENDO) NEI RAPACI DIURNI DEL SUD ITALIA CON LA PRIMA SEGNALAZIONE D’INFEZIONE IN UN ASTORE (ACCIPITER GENTILIS) D’Alessio N.1, Di Prisco F.1, Troisi S.2, Degli Uberti B.1, Fusco G.1, D’Amore M.1, Guarino A.1, Veneziano V.3, Santoro M.4 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno 2 Istituto Gestione della Fauna Onlus 3 Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università di Napoli Federico II 4 Dipartimento di Salute Pubblica e Malattie Infettive, Università La Sapienza di Roma 1 Key words: Serratospiculosis, Serratospiculum tendo, Falco peregrinus, Accipiter gentilis SUMMARY Filarial nematodes of Serratospiculum genus include nine species parasitizing birds. Of these at least eight are parasites of Falconiformes belonging to Falco spp., while just one Serratospiculum amaculata (syn. Serratospiculoides amaculata) also infect a member within Accipitriformes, i.e. Cooper’s hawk (Accipiter cooperii) in North America. Serratospiculum tendo is the main species in the genus reported in Europe. It is characterized by high prevalence of infection and pathogenicity. Here we performed a survey on a large sample of birds of prey including 11 species of Accipitriformes and six of Falconiformes for investigating features of S. tendo infection from southern Italy, including host specificity and pathological changes. INTRODUZIONE Nematodi del genere Serratospiculum includono un totale di nove specie che parassitano i sacchi aerei degli uccelli. Di queste almeno otto sono parassiti di uccelli rapaci dell’ordine Falconiformes, mentre solamente una Serratospiculum amaculata (syn. Serratospiculoides amaculata) infetta raramente un membro dell’ordine Accipitriformes (Accipiter cooperii) in Nord America (1,2). Serratospiculum tendo è la specie piú frequentemente riportata nel falco pellegrino (Falco peregrinus) in Europa. L’infezione è caratterizzata da alta prevalenza e patogenicità (3,4). Il ciclo biologico di S. tendo non è completamente conosciuto. Larve del nematode sono state rinvenute in Geotrupes sylvaticus e Locusta migratoria infettate sperimentalmente con le uova del parassita (5). In una specie affine (S. seurati) diffusa nei falchi tenuti in cattività in Medio-Oriente, almeno sei specie di coleotteri e una di isopode costituiscono gli ospiti intermedi del nematode (6). I parassiti adulti rilasciano le uova nei sacchi aerei dell’ospite, quindi le uova embrionate sono ingerite ed eliminate con le feci. Quando le uova sono ingerite da un insetto sviluppano come larva di terzo stadio all’interno della cavità corporea dell’insetto. Il falco si infetta predando gli insetti infetti presenti nel paddock in cui viene tenuto. Poiché il falco pellegrino in natura si alimenta quasi esclusivamente di uccelli di piccola e media taglia (7), è ipotizzabile che in natura tali ospiti possano infettarsi predando su uccelli che servono come ospite di trasporto per le larve del parassita. Nella seguente presentazione noi riportiamo i dati di prevalenza, intensità d’infezione, patogenicità e ospitespecificità di S. tendo. Inoltre segnaliamo per la prima volta a livello mondiale l’infezione di un astore (Accipiter gentilis) con S. tendo. Tali dati riguardano uno studio effettuato su un significativo numero di carcasse di rapaci diurni deceduti nei centri di recupero di Calabria e Campania. 216 Tabella 1 - Rapaci diurni (Accipitriformes and Falconiformes) esaminati dalla Calabria e Campania per la ricerca di nematodi dell’apparato respiratorio. Ospite Nome scientifico Nome comune Area geografica Calabria Campania Totale Accipitriformes Accipiter gentilis Astore 2 1 3 A. nisus Sparviero 33 1 34 Buteo buteo Poiana 97 9 106 Falco di palude 17 - 17 C. cyaneus Albanella reale 1 - 1 C. macrourus Albanella pallida 1 - 1 C. pygargus Albanella minore 1 - 1 Gyps fulvus Grifone 3 - 3 Aquila minore 1 - 1 Milvus migrans Nibbio bruno 2 - 2 Pernis apivorous Falco pecchiaiolo 23 - 23 Smeriglio 1 - 1 F. naumanni Grillaio 3 - 3 F. peregrinus Falco pellegrino 20 2 22 F. subbuteo Lodolaio 4 - 4 F. tunninculus Gheppio 64 6 70 F. vespertinus Falco cuculo 3 - 3 276 19 295 Circus aeruginosus Hieraaetus pennatus Falconiformes Falco columbarius Totale MATERIALI E METODI Un totale di 295 rapaci diurni deceduti tra gennaio 1998 e giugno 2013 in 2 centri di recupero animali selvatici di Calabria e Campania (tab. 1) furono esaminati per la ricerca di nematodi nel tratto respiratorio. A tal fine la trachea, i bronchi, i polmoni e i sacchi aerei furono isolati da ciascun ospite ed esaminati seguendo le tecniche di Santoro et al. (3,4). Campioni di tessuti da animali infetti furono prelevati e conservati in formalina 10% per le analisi istopatologiche. 217 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI E CONCLUSIONI Dei rapaci esaminati, solamente i falchi pellegrini provenienti dalla Calabria e un astore proveniente dalla Campania (provincia di Benevento) furono infettati da S. tendo. In Calabria, 17 dei 20 (85%) falchi pellegrini furono infettati con intensità d’infezione di 7.2 e un numero di individui parassitari che oscillò da 1 a 35. Nell’astore furono contati 17 individui di S. tendo. Nei falchi pellegrini, S. tendo fu più frequentemente rinvenuto nei sacchi aerei toracici. In 3 falchi pellegrini e nell’astore i nematodi penetravano anche nel parenchima polmonare. In presenza dei parassiti era evidente l’ispessimento dei sacchi aerei mentre i polmoni apparivano congesti e edematosi. Nell’astore l’infezione fu associata anche al distacco del polmone sinistro che si presentava in evidente stato di necrosi. Microscopicamente, negli organi interessati le sezioni del parassita erano circondate da aree necrotiche con edema generalizzato ed infiltrati infiammatori di natura linfocitaria. Le uova embrionate del parassita furono rinvenute nell’intero tratto respiratorio. Dai risultati qui ottenuti appare evidente che S. tendo presenta una spiccata specie-specificità per il falco pellegrino caratterizzata da alta patogenicità. Poiché e stato osservato come l’infezione da altri membri nel genere Serratospiculum in falchi di cattività sia in grado di determinare gravi sintomi clinici come dispnea, perdita di velocità in volo, perdita di peso, anoressia, vomito e tremori (8), è plausibile ritenere che l’infezione da S. tendo nei falchi in natura possa causare una sintomatologia similare. Il falco pellegrino alimentandosi in natura di prede cacciate in volo necessità di una condizione fisica eccellente, che chiaramente gli individui parassitati da S. tendo non possono avere. L’azione debilitante dell’infezione riducendo considerevolmente le performances del volo possono quindi facilmente predisporre a lesioni traumatiche secondarie, spesso con conseguenze letali. Questo studio è stato condotto nell’ambito della Ricerca Corrente n° IZSME 06/10 RC. BIBLIOGRAFIA 1. Sterner MC, Espinosa RH (1988) Serratospiculoides amaculata in a Cooper’s hawk Accipiter cooperii Journal of Wildlife Diseases. 24:378-379. 2. Taft JS, Suchow K, Van Horn M (1993) Helminths from Minnesota and Wisconsin Raptors. Journal of Helminthol ogical Society of Washington 60:260-263. 3. Santoro M, Tripepi M, Kinsella JM, Panebianco A, Mattiucci S (2010) Helminth infestation in birds of prey (Accipitriformes and Falconiformes) in southern Italy. Veterinary Journal 186: 119–122. 4. Santoro M, Kinsella JM, Galiero G, degli Uberti B, Aznar FJ (2012) Helminth community structure in birds of prey (Accipitriformes and Falconiformes) in southern Italy. Journal of Parasitololy 98: 22–29. 5. Bain O, Vassiliades G (1969) Evolutive cycle of Dicheilonematinae, Serratospiculum tendo, parasitic filaria of falcons. Annales de Parasitologie Humaine et Comparée. 44:595-604. 6. Samour JH, Naldo JN (2001) Serratospiculiasis in captive falcons in the Middle East: a review. Journal of Avian Medicine and Surgery 15:2-9. 7. Ratcliffe D (2000) The peregrine falcon. Second Edition. T & AD Poyser Ltd, London, 454 p. 8. Tarello, W., 2006. Serratospiculosis in falcons from Kuwait: incidence, pathogenicity and treatment with melarsomine and ivermectin. Parasite 13, 59–63. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MASTITE DA PROTOTHECA ZOPFII GENOTIPO 2 NEL BUFALO (BUBALUS BUBALIS) IN UN ALLEVAMENTO CAMPANO 1 1 De Carlo E., 1 Muto M., 1Alfano D., 2 Lucibelli MG., 2 Gallo A., 2Guarino A., 1Martucciello A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sezione Diagnostica di Salerno - Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline, Salerno; 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Direzione , Portici . Key words: mastite, Prototheca zopfii, bufalo. ABSTRACT. This study describes the results of an investigation undertaken to determine the cause of an atipical mastitis in water buffalo (Bubalus bubalis) from a dairy farm (buffaloes and cows) located in southern Italy . The outbreak began in October 2010. A total of 111 buffalo milk and 12 cow milk samples were examined. In two buffalo milk and four cow milk samples collected from animals with clinical mastitis and negative for other pathogens, Prototheca zopfii genotype 2 was isolated. Each isolate was identified by means of RT-PCR. The entry and transmission of Prototheca zopfii may be explaned by the presence of a group of cattle rared on the farm, however further studies are necessary to define both the role of buffaloes as a reservoir for Prototheca zopfii and the relevance of this pathogen in buffalo. INTRODUZIONE. Le mastiti sostenute dalla microalga Prototheca spp. sono considerate un problema di crescente gravità su scala mondiale. La diffusione di questa patologia in Italia è testimoniata dalle numerose segnalazioni nella specie bovina avvenuta negli ultimi anni (1,7). Il genere Prototheca include organismi unicellulari lievito-simili, privi di clorofilla (tassonomicamente correlabili al genere Chlorella), a riproduzione asessuata, ampiamente diffusi nell’ambiente, dove vivono allo stato saprofitico. Attualmente al genere Prototheca vengono riconosciute 6 specie: P. stagnora, P. zopfii, P. wickerhamii, P. blaschkeae, P.ulmea, P. cutis (6). La specie P. zopfii è stata differenziata in due genotipi: genotipo 1 e genotipo 2. Solo quest’ultimo genotipo è considerato altamente patogeno nel caso di mastite bovina (2). La mastite da Prototheca spp. si manifesta come una patologia della ghiandola mammaria di tipo cronico evolutivo e determina un calo produttivo di latte. Il rischio d’insorgenza d’infezione è strettamente correlato alla presenza in allevamento di fattori predisponenti, quali scarsa igiene ambientale e d insufficiente igiene della mungitura, e ristagno di liquido di lavaggio. Inoltre, è da evidenziare che la mastite da Prototheca spp. risulta resistente ai comuni trattamenti antibiotici manifestando così tendenza alla cronicizzazione, inducendo l’allevatore alla eliminazione dei capi infetti (5). MATERIALI E METODI. Nella seconda decade del 2010 un campione di latte bufalino, prelevato da un soggetto con evidente calo produttivo, proveniente da un’azienda sita nella provincia di Salerno, è stato sottoposto alla ricerca di agenti mastitogeni, risultando positivo alla ricerca di Prototheca spp. E’ stata effettuata la raccolta dei dati anamnestici inclusi i dati inerenti le produzioni e la provenienza degli animali presenti in azienda Sono stati quindi sottoposti ad esame batteriologico tutti i campioni di latte provenienti dai capi bufalini e bovini presenti in allevamento. L’indagine microbiologica sui campioni di latte è stata eseguita seminando 0.01 ml di latte sui terreni 218 di coltura previsti dai protocolli applicati nella diagnostica di routine della mastite (Agar TSI al 5% di sangue di montone, Micoplasma agar, Baird parker agar, Mac Conkey senza sale). Per l’isolamento di Prototheca spp. sono stati utilizzati i terreni Sabouraud dextrose agar e Prototheca isolation medium (PIM) (3). Le piastre sono state incubate in condizioni di aerobiosi a 37°C per 48-72h, e in condizioni di microaerofilia al 5% di CO2 a 37°C per 10 giorni per il Micoplasma agar. Successivamente si è proceduto all’identificazione delle colonie sospette di Prototheca spp attraverso caratterizzazione morfologica microscopica e tipizzazione biochimica Vitek2. Le colonie identificate come Prototheca zopfii sono state sottoposte a conferma in RT- PCR , utilizzando una metodica associata ad analisi della curva di melting modificata, come descritta da Ricchi et al., 2009 (4), utilizzando un ceppo di controllo n° 8830 di DBVPG di Prototheca zopfii genotipo 2. Per la preparazione genomica del DNA è stata utilizzata una coltura batterica isolata su terreno agarizzato. Una singola colonia è stata prelevata con un’ansa per batteriologia sterile, e risospesa in 200 µl di acqua Dnase-Rnase free e bollita per 12 minuti a 100°C. Il campione è stato centrifugato a 12.000 rpm per 5 minuti a 4°C e prelevato il surnatante per gli step successivi. I primers utilizzati, 5’- CTTGTCAGGTTGATTCC-3’ forward e 5’- AGCAGTCCCTCTAAGAAG-3’reverse, amplificano una regione comune a Prototheca spp.. Per la mix di reazione è stata utilizzata la Sybr Green Master Mix di Biorad. Per la mix sono stati utilizzati 10 µl di SYBR Green, 1,25 µl per ogni primer, 7.5 µl di acqua Dnase-Rnase free, 5 µl di DNA, per un volume finale di reazione di 25 µl. Le condizioni del profilo termico sono state: denaturazione/attivazione a 95° per 3 minuti, 40 cicli con 10 secondi di denaturazione a 95° e 30 secondi di annealing a 53°. I campioni sono stati quindi riscaldati da 65° a 95° con incremento di 0,3° per step di 5 secondi. RISULTATI E CONCLUSIONI. Dallo studio condotto nell’azienda da un totale di 111 campioni di latte bufalino e 12 campioni di latte bovino esaminati sono risultati positivi alla ricerca di Prototheca zopfii genotipo 2, due campioni di latte bufalino e quattro campioni di latte bovino. I campioni risultati positivi a Prototheca sono risultati negativi alla ricerca di altri agenti mastitogeni. Secondo quanto evidenziato dalle curve di melting del campione e del controllo positivo, (figura 1 e 2) questo sono perfettamente sovrapposte ed infatti il valore della Tm è lo stesso per entrambi (84,90 °C) , ciò confermando la positività del campione anche all’indagine in PCR. I bufali risultati positivi alla ricerca di Prototheca spp e tutti i bovini, sono stati inviati al macello. Successivamente l’impianto di mungitura è stato sottoposto a disinfezione con prodotti a base di ozono. Per 219 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 valutare l’entità della contaminazione ambientale, dopo tre mesi dall’avvenuta disinfezione, l’acqua di lavaggio della sala mungitura e il latte prelevato dai capi bufalini ancora presenti in allevamento sono stati sottoposti nuovamente ad indagine microbiologica. Tutte le indagini hanno dato esito negativo per Prototheca spp.. La metodica da noi utilizzata è una Real Time PCR associata a melting resolution analysis , come proposta da Ricchi et al. nel 2009 (6) ed ha il vantaggio di essere semplice e molto veloce, relativamente poco costosa e di non richiedere manipolazioni successive all’allestimento della reazione di PCR. La possibilità di confermare in Prototheca spp. la causa di mastite e di poter identificare il genotipo in caso di Prototheca zopfii, è di fondamentale importanza nella gestione del problema in allevamento, dato il diverso significato patogeno delle diverse specie di Prototheca. Dal punto di vista clinico solo uno dei bufali campionati presentava calo produttivo, senza alterazioni evidenti della mammella. I bovini presenti in azienda, introdotti da un’allevamento estero, pluripari, venivano utilizzati al solo scopo di fornire latte per gli annutoli prima dello svezzamento, pertanto il dato produttivo non era tenuto sotto stretto controllo. L’impianto di mungitura utilizzato era il medesimo per entrambe le specie e non veniva utilizzato un disinfettante attivo sulla specie algale. Non si può escludere la trasmissione dell’infezione dai capi bovini ai bufali, considerando che l’allevamento bufalino era comunque sotto controllo per l’insorgenza di mastite nei due anni precedenti l’introduzione delle bovine, non isolando mai l’agente patogeno oggetto di studio. Ad ogni buon fine l’eliminazione dei capi infetti e l’uso settimanale di un disinfettante a base di ozono, nonché l’ottimizzazione delle pratiche igienico sanitarie in sala mungitura, ha portato a non isolare Prototheca spp. per due controlli consecutivi a distanza di 3 mesi l’uno dall’altro. Ulteriori indagini saranno necessarie a chiarire il ruolo dell’infezione da Prototheca spp. nelle patologie mammarie nel bufalo, nonché l’epidemiologia della patologia in tale specie. BIBLIOGRAFIA 1. Arrigoni N., Belletti G.L., Cammi G., Garbarino C., Ricchi M. 2010. Mastite bovina da Prototheca. Large animal review 2010; 16:39-43. 2. Moller A., Truyen U., Roesler U. Prototheca zopfii genotype 2 :the causative agent of bovine protothecal mastitis? 2007. Research in Veterinary Microbiology 120 (2007) 370-374. 3. Pore R.S. 1998. Prototheca Kruger. In: Kurtzman, C.P. , Fell, J.W.(Eds), The Yeats, 4th ed. Elsevier, Amsterdam, pp.883-887. 4. Ricchi M., Cammi G., Merenda M., Garbarino C., Belletti G.L., Arrigoni N. . 2009. Tipizzazione molecolare di specie di Prototheca mediante Real Time pcr associata ad analisi della curva di melting. Atti XI Congresso Nazionale SIDILV, 62-63. 5. Rosignoli C., Nigrelli A.D., Franzini G., Faccini S.,. Nard M i, Favalli F., Bottoli E., Costa A. 2006. La mastite da Prototheca zopfii nel bovino. Praxis vet.vol.XXVII, N.2/2006. 6. Satoh K., Ooe K., Nagajyama H. and Makimura K. Prototheca cutis sp. Nov., a mewly discovered pathogen of protothecosis isolated from inflamed human skin International Journal of systestematic and Evolutionary Microbiology(2010), 60, 1236-1240. 7. Scatassa M.L., Miraglia V., Giosuè C., Brignano S., Randazzo V., Carrozzo A., Ducato B., Fiorenza G., Mancuso I., Caracappa S.2010 Prototheca spp.: indagine preliminare sulla diffusione nella Sicilia occidentale e relazione fra le cellule somatiche ed isolamenti in campioni di latte bovino. XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. 27-29 ottobre 2010. Fig. 1-2 : Curve di melting del campione e del ceppo controllo 220 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RHDV2 IN ALLEVAMENTI CUNICOLI PIEMONTESI De Somma D.1, Lavazza A.2, Caruso C.1, Zoppi S.1, Cerrina P.3, Cavadini P.2, Giorgi I.1, Masoero L.1, Capucci L.2, Dondo A.1 1 I.Z.S. del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (Sezione di Torino). 2I.Z.S della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (CdR nazionale malattie virali dei lagomorfi, Brescia). 3Veterinario aziendale Ferrero Mangimi Key words: RHDV, MEV, rabbits SUMMARY Rabbit Haemorragic Disease (RHD) was first described in domestic rabbits in China in 1984; the virus causes necrosis of the liver followed by disseminated intravascular coagulation, with congestion of lungs, trachea and spleen. It is caused by a lagovirus and there are actually three recognized strains : RHDV1, RHDV1a and RHDV2 (Fra10). RHDV2 appears for the first time in France on spring 2010 involving the wild rabbits, and then spreads in the North-West of France interesting the industrial farms causing high mortality among breeders and fattening rabbits, even vaccinated. In Italy RHDV2 was firstly detected in the summer 2011 in two industrial farms in Friuli Venezia Giulia, and then disease spreads in many others regions involving rural, industrial and wild rabbits. In Piedmont region, from November 2012 to July 2013 we reported 8 cases of positivity for RHDV and 3 of these were positive for RHDV2. The animals showed typical lesions of RHDV: diagnosis was conducted by means of a sandwich MAbs-based ELISA and RT PCR that allows to discriminate between different strains. Even if subjects were normally and corrected vaccinated, outbreaks spread in the herds, thus demonstrating the high capacity of diffusion of RHDV2 strain and arising the question for the use of autovaccines. INTRODUZIONE La malattia emorragica virale del coniglio (MEV o RHD dall’acronimo inglese) è stata osservata per la prima volta in Cina nel 1984 in conigli domestici [1] ed in Europa alla fine nel 1986, interessando inizialmente i conigli selvatici e rurali e diffondendosi poi all’allevamento del coniglio domestico. Il coniglio europeo (Oryctolagus cuniculus) è ritenuto l’unica specie suscettibile. L’agente eziologico è un virus ad RNA a singola catena (RHDV), privo di envelope, appartenente al genere Lagovirus, famiglia Caliciviridae. Ad oggi vengono riconosciuti 3 tipi di RHDV: RHDV1 (ceppo classico o wild type), RHDV1a (variante a) e RHDV2. Quest’ultima è anche denominata RHDVFra10, in quanto i primi casi di malattia sono stati riscontrati nel nord-est della Francia nel 2010, prima in conigli selvatici e poi in allevamenti intensivi [2]. In Italia, RHDV2 è stato identificato la prima volta nell’estate 2011 nella province di Udine e successivamente in Sardegna (ottobre-dicembre 2012) e ad inizio 2012 a Trento. A partire dal novembre 2012 si sono poi susseguite le segnalazioni in tutto il territorio nazionale, sia in allevamenti industriali e a carattere rurale/familiare che in conigli selvatici. Un picco a carattere epidemico si è quindi registrato nella primavera 2013 nelle zone del Nord a maggior produzione cunicola [3]. La patologia “classica” da RHDV1 si manifesta solo nei riproduttori e nei giovani di età superiore ai 40-50 giorni, con percentuali di morbilità e mortalità dell’80%; il decorso è rapido (36-48h) e quasi sempre letale; all’ esame autoptico si rileva: imbrattamento sieroemorragico delle narici, spleno-megalia, epatomegalia, emorragie diffuse a tutti gli organi, congestione polmonare e tracheale [4]. RHDV2 causa una malattia caratterizzata da lesioni simili ma caratteristiche epidemiologiche differenti, infatti, ammalano anche i conigli lattanti (15-20 giorni), l’incubazione e il decorso sono più protratti e, a fronte di una morbilità del 100%, la mortalità è più bassa e variabile (5-60%), con il coinvolgimento anche di soggetti già vaccinati per RHDV1 [2,5]. Inoltre, si è visto che RHDV2 infetta almeno un’altra specie oltre al coniglio, in particolare la lepre sarda (L.capensis var mediterranues) [6]. Il Piemonte è la terza regione italiana, dopo Veneto ed Emilia Romagna, per importanza nella produzione cunicola (11,2% della produzione nazionale), con circa 350 allevamenti che ospitano 5 milioni di capi annui, superando i 45 milioni di euro di fatturato annuale [7]. Indagini diagnostiche effettuate negli anni precedenti, hanno permesso di dimostrare la circolazione sul territorio piemontese della MEV (soggetta a denuncia secondo l’Art 1 del RPVDPR 320/54). Nel presente lavoro, viene riportata la prima segnalazione di RHDV2 in allevamenti cunicoli piemontesi. MATERIALI E METODI Da Gennaio 2012 a Luglio 2013 sono state sottoposte ad esame autoptico, presso il Lab. di Diagnostica Generale IZS PLV, 101 gruppi di carcasse di conigli deceduti con un quadro sintomatologico imputabile a MEV, provenienti tutti da allevamenti piemontesi di tipo industriale. I campioni di fegato sono stati processati presso la S.C. Virologia mediante metodiche immunoenzimatiche di screening (ELISA) e tecniche biomolecolari differenziali (RT- PCR) che hanno permesso l’identificazione della variante RHDV2, successivamente confermata dal Centro di referenza CReMaViLa mediante ELISA Ag utilizzando un pannello di anticorpi monoclonali (MAbs) specifici sia per RHDV1 che RHDV2. ELISA Ag - Brevemente, 2,5 grammi di fegato sono stati omogenizzati meccanicamente in 25 ml di PBS (diluizione 1/10), centrifugato a 5000 rcf x 15’ e il surnatante analizzato mediante kit ELISA tipo sandwich che utilizza Ac monoclonali per la proteina capsidica VP60, messo a punto dal Centro di Referenza Nazionale per le Malattie dei Lagomorfi dell’IZS di Brescia. Il kit di screening non permette la differenziazione tra i diversi ceppi di RHDV. RT PCR L’indagine biomolecolare RT PCR, è stata effettuata a partire da 50-100 mg di tessuto epatico. L’estrazione dell’ RNA totale è avvenuta mediante Trizol (Sigma) seguendo le istruzioni della casa produttrice con eluizione in 50 μl di acqua RNasi free. La retrotrascrizione è stata effettuata con 7 µl di RNA diluito 1/50 mediante kit MultiScribe Reverse transcriptase (Applied Biosystems). L’amplificazione del cDNA è stata realizzata utilizzando il kit PureLink Genomic DNA (Invitrogen). La presenza di genoma virale di RHDV nel campione è stata determinata mediante allestimento di PCR end point rivolta verso il gene della proteina VP60 utilizzando mix e primers specifici riportati in tabella 1. I frammenti genomici prodotti sono stati sottoposti ad elettroforesi su gel di agarosio 2% e visualizzati mediante transilluminatore GEL - DOC (Bio-Rad Laboratories), dopo colorazione con GelGreen Nucleic Acid Stain (Invitrogen). 221 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1. Sequenze dei primers utilizzati per amplificare una porzione del gene che codifica per la proteina VP60 Primers Sequenza Posizione RHDV-F 5’-CCTGTTACCATCACCATGCC-3’ 493-512nt RHDV-Rnew 5’-CAAGTTCCARTGSCTGTTGCA-3’ 820-841nt FRANCIA-F 5’-GTTACCCTGGAAGCAGGTTCGT-3’ 908-928nt FRANCIA-R 5’-CAAACAACCCGGCTGTTGCC-3’ 1239-1258nt BS89-F 5’-TGCCCTTCAACGGTCCCGGT-3’ 1025-1044nt BS89-R 5’ACAGGTGCAGCGGCTGGAGTG-3’ 1344-1364nt Caratterizzazione antigenica La diagnosi differenziale di tipo virale è state effettuata utilizzando un ELISA sandwich con un pannello di MAbs a diversa specificità (RHDV1, RHDV1a, RHDV2) [5]. RISULTATI E CONCLUSIONE Dei 101 campioni sospetti sottoposti ad ELISA sandwich, 36 (36%) sono risultati positivi per MEV. In particolare, nei campioni di fegati di 3 gruppi di conigli che all’esame necroscopico presentavano quadri di tracheite emorragica, degenerazione epatica ed evidente splenomegalia (Figura 1), l’analisi con RT– PCR ha permesso l’identificazione di RHDV2 (Figura 2). Figura 1. Lesioni macroscopiche in conigli deceduti per infezione da RHDV2 Figura 2. Elettroforesi applicata alla RT PCR di tre campioni sospetti per RHDV-MEV. Nella prima corsa i campioni sono stati sottoposti a PCR MEV-tutte le varianti: i tre campioni sono positivi per RHDV, ma non differenzia le tre varianti (banda attesa 390 bp). Nella seconda corsa i campioni sono stati sottoposti a PCR RHDV2: 2 dei tre campioni sono positivi per RHDV2 (banda attesa 350 bp). Nella terza corsa i campioni sono stati sottoposti a PCR per ceppo Wild type. I tre campioni risultati positivi provenivano da 2 allevamenti situati nella provincia di Cuneo ed uno di essi era costituito da un pool di fegati di soggetti con età inferiore ai 50-60 gg. Entrambe le aziende erano allevamenti misti, a ciclo chiuso, con programmi di vaccinazione effettuati correttamente, frequenti interventi di pulizia e di disinfezione (8volte/anno e 50volte/anno rispettivamente nel primo e nel secondo allevamento), assenza di sovraffollamento nel reparto ingrasso e gabbie adeguate nel reparto riproduttori. Gli allevamenti acquistavano fattrici provenienti dalla Francia. I dati epidemiologici e di georeferenziazione, hanno inoltre evidenziato la presenza nelle vicinanze (<10 km) di altre realtà zootecniche e industriali (macello, allevamenti rurali). La tipizzazione antigenica con il pannello di anticorpi monoclonali ha evidenziato per i tre campioni un pattern di reattività riferibile a RHDV2. I risultati ottenuti dimostrano che RHDV2 è una problematica emergente anche negli allevamenti cunicoli piemontese, forse correlata all’acquisto di fattrici dalla Francia, dove la malattia è stata segnalata. Nonostante i due allevamenti ricorressero a piani di profilassi diretta e indiretta corretti e regolarmente messi in atto, non sono stati in grado di evitare e contenere l’insorgenza del focolaio, a prova dell’elevata capacità di diffusione del virus. Inoltre, le differenze antigeniche e genomiche del nuovo virus RHDV2, rispetto ai ceppi classici, sono tali da renderlo di fatto equiparabile ad un nuovo sierotipo. Pertanto la protezione indotta dalla vaccinazione con vaccini RHDV1 è in grado di conferire una cross-protezione solo parzialmente in grado di proteggere dal rischio di contagio e dalla malattia. In tale contesto in via provvisoria, in attesa di disporre di vaccini omologhi registrati, potrebbe risultare utile l’allestimento di vaccini stabulogeni prodotto con i fegati dei conigli provenienti da focolai accertati e notificati, in modo da aumentare l’efficacia della copertura immunitaria sia dell’ingrasso che dei riproduttori. Il comparto cunicolo piemontese conta un elevato numero di allevamenti, la maggior parte a ciclo chiuso, in cui l’adozione di misure di profilassi efficaci (applicazione rigida delle norme di biosicurezza e puntuale rispetto dei piani di vaccinazione) risulta spesso complicata, oltre che dall’elevata contagiosità e diffusibilità della malattia, anche dalla presenza di conigli selvatici e di realtà rurali che costituiscono una sorgente continua di virus, peraltro dotato di elevata resistenza ambientale, difficile da controllare. Proprio gli allevamenti rurali, spesso a conduzione familiare, non riescono ad adeguarsi alle misure di profilassi e prevenzione dettate dalle autorità sanitarie e l’applicazione delle norme di biosicurezza è vanificata dalla realtà territoriale e socio-economica. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 A. Lavazza, S. Bertagnoli , F. Zwingelstein, P. Cavadini, N. Martinelli, G. Lombardi, J-L. Guérin, E. Lemaitre, A. Decors, S. Marchandeau, L. Capucci. Emergence of a new lagovirus related to Rabbit Haemorrhagic Disease virus. Veterinary Research, in press. [6] Puggioni G., Cavadini P., Maestrale C., Scivoli R., Botti G., Ligios C., Le Gall-Reculé G., Lavazza A., Capucci L. The new French 2010 variant of the rabbit hemorrhagic disease virus causes an RHD-like disease in the Sardinian Cape hare (Lepus capensis mediterraneus). Veterinary Research, in press. 7] Macchi E, Prola L, Lazzarato V, Cornale P, Renna M, Perona G, Mimosi A. Il benessere dei conigli da allevamento e l’efficienza aziendale. Agricoltura 73-documenti. BIBLIOGRAFIA [1] Liu SJ, Xue XP, Pu BQ, Quian NH. A new viral disease in rabbits. Animal Husb Vet Med 1984; [2] Le Galle-Reculé G., F. Zwingelstein, S. Boucher, B. Le Normand, G. Plassiart, Y. Portejoie, A. Decors, S. Bertagnoli, J-L Guerin, S. Marchandeau. Detection of a new variant of rabbit haemorragic disease virus in France. Veterinary Record 2011. [3] CReMaViLa -News- N°4 – 18/04/2013, Centro di Referenza Nazionale per le Malattie dei Lagomorfi, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Ubertini”- Via Bianchi, 9 25124 Brescia (Italy). [4] Marcato PS, Benazzi C, Vecchi G, et al. Clinical and pathological features of viral haemorrhagic disease of rabbits and the European brown hare syndrome. Rev Sci Tech Off Int Epizoot 1999. [5] Le Gall-Reculé G., 222 223 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CANINE PNEUMOVIRUS IN CANI CON MALATTIA RESPIRATORIA Decaro N., Pinto P., Mari V., Elia G., Larocca V., Camero M., Terio V., Losurdo M., Martella V., Buonavoglia C. Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, Valenzano (BA) Key words: Cane, Pneumovirus, Malattia respiratoria SUMMARY An outbreak of canine infectious respiratory disease (CIRD) associated to canine pneumovirus (CnPnV) infection is reported. The outbreak occurred in a shelter of the Apulia region and involved 37 out of 350 dogs that displayed cough and/or nasal discharge with no evidence of fever. The full-genomic characterisation showed that the causative agent (strain Bari/100-12) was closely related to CnPnVs that have been recently isolated in the USA, as well as to murine pneumovirus (MVP), which is responsible for respiratory disease in mice. The present study represents a useful contribution to the knowledge of the pathogenic potential of CnPnV and its association to CIRD in dogs. Further studies will elucidate the pathogenicity and epidemiology of this novel pneumovirus, thus addressing the eventual need for specific vaccines. INTRODUZIONE La malattia infettiva respiratoria del cane (CIRD) è una patologia multifattoriale che colpisce cani di tutte le età ed è causata generalmente da infezioni di natura virale e batterica, spesso associate (1). Recentemente, tra gli agenti emergenti di CIRD è stato segnalato negli USA uno pneumovirus del cane (CnPnV), il quale presentava una stretta correlazione genetica con l’analogo virus del topo (MPV) (2, 3). Sebbene CnPnV sia stato isolato da più di 4 anni, al momento non ci sono ulteriori segnalazioni, né è disponibile la sequenza dell’intero genoma degli stipiti isolati. Nel presente lavoro si riportano l’identificazione e la caratterizzazione molecolare dell’intero genoma di uno stipite CnPnV associato ad un focolaio di malattia respiratoria in Italia. MATERIALI E METODI La malattia respiratoria è stata osservata in un canile della Puglia nel 2012 ed ha interessato 37 dei 350 cani ospitati presso tale struttura. Gli animali erano sottoposti a regolari vaccinazioni nei confronti delle comuni malattie infettive del cane, ma nessuna profilassi specifica per CIRD era attuata. I sintomi respiratori, in genere moderati, erano caratterizzati da tosse e/o scolo nasale, mentre la febbre era assente. Da due soggetti, un maschio di 7 mesi ed una femmina di 3 anni, erano prelevati tamponi nasali e faringei per le successive analisi di laboratorio. Gli agenti responsabili di CIRD erano ricercati mediante test molecolari effettuati sugli estratti RNA e DNA. Per la ricerca di CnPnV era utilizzato un test RT-PCR precedentemente messo a punto (3), mentre la quantificazione dell’RNA virale nei campioni clinici era ottenuta mediante un test real-time RT-PCR (Tabella 1). Le prove di isolamento virale sono state condotte su cellule A-72 (3) e per la ricerca degli antigeni virali nelle colture infette era utilizzato un test di immunofluorescenza indiretta con anticorpo monoclonale per virus respiratorio sinciziale dell’uomo (HRSV) (Monosan®, Sanbio BV, Uden, Paesi Bassi). Il genoma virale dello stipite prototipo dog/Bari/100-12/ITA/2012 è stato determinato mediante successive prove di RT-PCR, come precedentemente descritto (2, 3). Ulteriori oligonucleotidi, disegnati sulle sequenze di MPV, sono stati utilizzati per sequenziare le regioni genomiche non determinate in precedenza. Le regioni leader 3’ e trailer 5’ sono state amplificate mediante un kit 5’ RACE (Invitrogen Ltd, Milano). I prodotti PCR sono stati inviati alla BaseClear B.V. (Leiden, Paesi Bassi) per il sequenziamento diretto in entrambe le direzioni. Le sequenze ottenute sono state assemblate ed analizzate utilizzando il software BioEdit e gli strumenti di analisi dell’NCBI (htttp://www. ncbi.nlm.nih.gov) e dell’EMBL (http://www.ebi.ac.uk). La sequenza dell’intero genoma (numero di accesso GenBank KF015281) e delle single regioni genomiche sono state confrontate con le analoghe sequenze di stipiti Pneumovirus di riferimento. L’analisi filogenetica è stata condotta utilizzando il software MEGA4 (4) ed i metodi neighbor-joining e massima parsimonia e fornendo un supporto statistico mediante bootstrapping pari a 1000. RISULTATI Entrambi i cani sono risultati positivi al test RT-PCR per la ricerca di CnPnV (3), mostrando una identità nucleotidica (nt) del 100% a livello del gene target SH. I titoli virali rilevati nei mix di tamponi nasali e faringei erano pari a 2,06 × 105 e 1,59 × 104. Non sono stati messi in evidenza altri patogeni respiratori del cane. Le prove di isolamento virale di CnPnV hanno fornito esito costantemente negativo, nonostante ripetuti passaggi seriali. L’analisi di sequenza dell’intero genoma virale del virus prototipo dog/Bari/100-12/ITA/2012 (Bari/100-12) ha mostrato la stessa organizzazione genomica di MPV, con 10 geni che codificano per un totale di 12 proteine. Il genoma del virus Bari/100-12 è lungo 14.884 nt ed è organizzato nel seguente ordine genico: 3’-NS1-NS2-N-P-M-SH-G-F-M2-L-5’ (Fig. 1). Le regioni leader 3’ e trailer 5’ sono presenti alle estremità del genoma. Il genoma è risultato rispettivamente più corto di 1 e 3 nt rispetto a quello degli stipiti MPV J3666 e 15, mentre non è stato possibile effettuare alcun confronto con gli stipiti CnPnV esistenti, dei quali non è attualmente disponibile l’intera sequenza genomica (4). La più elevata correlazione genetica (95,7-95,8% di identità nt) è stata osservata nei confronti di MPV, mentre i valori di identità nt sono scesi al di sotto del 50% nei confronti di HRSV e virus respiratorio sinciziale bovino (BRSV). Per includere nell’analisi gli stipiti CnPnV Brne17 e Ane4 è stata successivamente considerata una sequenza più corta (8.598-8.600 nt), che va dall’estremità 3’ del gene L all’estremità 5’ della regione leader. In questa regione è stata evidenziata un’identità nt del 96,5-96,6% tra lo stipite Bari/100-12 e gli altri ceppi CnPnV. Tale correlazione non è molto distante da quella riscontrata verso MPV (94,8-96% di identità nt). Le correlazioni genetiche tra CnPnV Bari/100-12 e gli altri membri del genere Pneumovirus nelle diverse regioni genomiche sono riportate nella Tabella 2. L’analisi filogenetica, condotta su un frammento genomico di 8.598 nt, ha dimostrato che lo stipite Bari/100-12 segrega con gli altri ceppi CnPnV e con il ceppo murino J3666, mentre l’altro stipite MPV/15 è filogeneticamente più lontano (Fig. 2). CONCLUSIONI Sebbene CnPnV sia stato isolato più di 4 anni fa, finora solo due terzi del genoma virale sono stati sequenziati. Nel presente lavoro abbiamo riportato i risultati dell’analisi dell’intero genoma di uno stipite CnPnV associato a malattia respiratoria in Italia. Si tratta 224 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 della prima segnalazione di CnPnV in Europa. Lo stipite italiano è risultato geneticamente correlato ai prototipi americani ed ai ceppi MPV. In base ai dati attualmente disponibili non è possibile determinare se MPV sia l’ancestore di CnPnV oppure i due virus si siano evoluti parallelamente da un ancestore comune. Ulteriori studi sono necessari per retrodatare la comparsa di CnPnV mediante l’analisi genetica di sequenze di origine murina e canina. Nonostante la presenza di titoli virali discreti nei campioni clinici, non è stato possibile isolare nessuno dei due stipiti italiani, probabilmente per una non idonea conservazione degli stessi durante il trasporto al laboratorio o per una scarsa sensibilità del clone di A-72 utilizzato per le prove di isolamento. Attualmente il potere patogeno di CnPnV non è completamente noto. Un certo ruolo nell’insorgenza della CIRD può essergli riconosciuto in base a recenti studi su infezioni naturali nel cane (3) e sperimentali nel topo (5). L’azione patogena sull’apparato respiratorio è supportata dal presente studio, in quanto CnPnV è stato identificato nel corso di un focolaio di CIRD in assenza di altri patogeni respiratori. Studi futuri contribuiranno a chiarire le caratteristiche patogenetiche ed epidemiologiche di questo nuovo pneumovirus, definendo la necessità o meno di allestire vaccini specifici. BIBLIOGRAFIA 1. Buonavoglia C, Martella V. Canine respiratory viruses. Vet Res 2007;38:355-73. 2. Renshaw RW, Zylich NC, Laverack MA, Glaser AL, Dubovi EJ. Pneumovirus in dogs with acute respiratory disease. Emerg Infect Dis 2010;16:993-5. 3. Renshaw R, Laverack M, Zylich N, Glaser A, Dubovi E. Genomic analysis of a pneumovirus isolated from dogs with acute respiratory disease. Vet Microbiol 2011;150:88-95. 4. Tamura K, Dudley J, Nei M, Kumar S. MEGA4: Molecular Evolutionary Genetics Analysis (MEGA) software version 4.0. Mol Biol Evol. 2007;24:1596-9. 5. Percopo CM, Dubovi EJ, Renshaw RW, Dyer KD, Domachowske JB, Rosenberg HF. Canine pneumovirus replicates in mouse lung tissue and elicits inflammatory pathology. Virology 2011;416:26-31. Fig. 1. Organizzazione genomica dello stipite CnPnV Bari/10012. Mappa del genoma virale (non in scala) disegnata dall’estremità 3’ a quella 5’, in modo che la direzione della trascrizione è da sinistra a destra. I geni sono rappresentati da rettangoli, mentre le barre laterali indicano I segnali di inizio e fine trascrizione genica. La linea orizzontale rappresenta le regioni extrageniche, in particolare le sequenza leader 3’ (Le), la sequenza trailer 5’ (Tr) e le sequenze intergeniche. Le dimensioni in nucleotidi (nt) delle regioni extrageniche sono riportate nella parte superiore; nella parte inferiore sono indicate le coordinate geniche, la lunghezza degli mRNA e le dimensioni in aminoacidi (aa) delle corrispondenti proteine. I geni P e M2 codificano ciascuno per due proteine distinte. Fig. 2. Analisi filogenetica dello stipite CnPnV Bari/100-12 e degli altri membri del genere Pneumovirus. Albero costruito con il metodo della massima parsimonia su un frammento di 8.598 nt del genoma virale. Il metapneumovirus umano (HMPV) CAN97-83 (NC_004148) è stato utilizzato come outgroup. Il supporto statistico è stato ottenuto mediante bootstrapping su 1.000 repliche. 100 CnPnV/Brne17 100 CnPnV/Ane4 100 100 CnPnV/Bari/100-12 MPV/J3666 MPV/15 HRSV/B1 100 BRSV/ATue51908 HMPV/CAN97-83 200 Tabella 1. Sequenza, posizione e specificità degli oligonucleotidi utilizzati nello studio. Riferimento bibliografico Test a Real-time RT-PCR Questo studio RT-PCR 3 Primer/sonda Sequenza (5’ - 3’) Senso CnPnV-For CnPnV-Rev AAGATAAATTCTTCTATGAAAACAGAATGA CCCATCGTAAGTGAGGTTTCTATT + - CnPnV-Pb 6FAM-CTGCCTAAATACTATCCAGCCATACTGC-BHQ1 - SH1F SH187R ATGGATCCTAACATGACCTCACAC GATTGGGATGAACCGTGCATTG + - Target Posizionea 8065-8094 8151-8174 M2 8100-8127 4104-4127 4290-4311 SH Dimensioni prodotto 110 bp 208 bp La posizione degli oligonucleotidi si riferisce alla sequenza dello stipite CnPnV dog/Ane4/USA/2008 (GenBank HQ734815). Tabella 2. Identità nucleotidiche (%) dello stipite CnPnV Bari/100-12 con pneumovirus di riferimento nelle diverse regioni genomiche. Stipite Pneumovirus (GenBank) CnPnV/Brne17 (GU247050) Leader NS1 NS2 N P M SH G F M2 L Trailer Genoma intero Frammento di 8598 nt NA 94.7 94.7 97.2 97.4 96.8 95.5 96.4 97.4 96.4 N.A. NA NA 96.5 CnPnV/Ane4 (HQ734815) NA 94.7 94.7 97.1 97.4 96.9 95.5 96.6 97.4 96.4 N.A. NA NA 96.6 MPV/strain 15 (AY729016) 78.6 94.2 94.2 95.9 94.8 95.3 89.4 94.1 96.8 95.1 96.7 94.5 95.7 94.8 MPV/J3666 (NC_006579) 83.3 94.2 94.2 95.8 95.6 95.4 90 94.4 96.9 95.1 96.6 95.6 95.8 95 HRSV/B1 (NC_001803) 68.2 39.6 39.9 61.4 45.8 49.5 44.7 36.8 49.1 44.6 54 52.7 48.7 51.1 BRSV/ATue51908 (NC_001989) 72.7 36.7 38.6 60 44.8 50.9 32.5 35.3 50.5 45 54 47.3 48.6 51.5- RINGRAZIAMENTI: Il presente studio è stato realizzato grazie ai finanziamenti della Ricerca corrente 2009, progetto IZS VE 21/09 RC “Definizione di una procedura validata per la selezione di cani per programmi di Interventi Assistiti dagli Animali (IAA)”. 225 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 REPORT DI UN CASO DI MENINGIOMA IN UNA TIGRE DELLO ZOO DI NAPOLI XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fig.1: Colorazione E- E Panoramica Degli Uberti B. 1, D’Amore M. 1, Laricchiuta P. 2, Campolo M. 2, Mizzoni V. 3, Rosato G. 3 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno - Portici (NA); 2 Centro Veterinario Einaudi - Bari (Zoo Healt Management); 3 ASL NA1 Centro Servizi Veterinari - Napoli 2 Journal of neurology, Neurosurgery, and Psychiatry, 1979, 42, 529 – 535 Xanthochromic cysts associated with meningioma; H.J.W. Nauta, W.S. Tucker, W.J. Horsey, J.M. Bilbao, and Gonsalves; Keywords: tigre, tumori intracranici, meningioma ABSTRACT A tiger from the zoo in Naples,14 years old, during clinical examination showed sensory depression and neurological symptomatology. The animal is dead and the autopsy has revealed a cardiovascular collapse as cause of death . At a macroscopic examination, during histological reduction, was found a globular submeningea mass. H-E staining showed its neoplastic nature, to departure from the pia mater .The immunohistochemical investigations led to the diagnosis of meningioma. The Meningioma is the most common type of intracranial tumor in the cat, but has never been mentioned a case in the tiger. INTRODUZIONE: Una tigre dello zoo di Napoli, di 14 anni di età, manifestava depressione del sensorio e sintomatologia neurologica con incoordinazione motoria, decubiti prolungati, assunzione di posizione antalgica presso gli angoli della struttura. Il Veterinario, ai fini diagnostici, eseguiva un prelievo di sangue in EDTA ed emosiero, previa sedazione. Alla seconda visita, l’animale mostrava peggioramento delle condizioni generali ed uno stato semicomatoso. Dopo pochi giorni l’animale è deceduto ed è stato sottoposto a necroscopia con prelievo di organi per esame istologico. In sede necroscopica si valutava come causa di morte un collasso cardio-circolatorio. Ad un esame macroscopico in sede di riduzione istologica si identificava una massa sub meningea di 2 cm di grandezza a livello della corteccia prefrontale, ben circoscritta, globulare circondata da emorragie multiple, grigia e compatta in superficie di taglio, traslucida, a partenza dalla pia madre e con accrescimento intracerebrale. MATERIALI E METODI : La tigre è stata sottoposta a ripetute visite cliniche durante le quali il veterinario ha riscontrato ottundimento del sensorio e stato stuporoso che permetteva di effettuare diagnosi di sospetto di lesione neoplastica a livello di SNC (1). E’ stato eseguito un esame ematochimico al fine di effettuare diagnosi differenziale con encefalite batterica, virale o da toxoplasma. La morte è sopraggiunta dopo poche giorni dall’inizio della sintomatologia. In seguito è stata sottoposta a necroscopia da operatori del Servizio Veterinario della ASL NA1 Centro; durante i rilievi necroscopici si sono effettuati prelievi multipli di organi con e senza lesioni anatomo – patologiche evidenti, che sono stati immersi in formalina tamponata al 10 % ed inviati al Laboratorio di Istopatologia dell’I.Z.S.M. In sede di riduzione istologica, all’esame macroscopico, si è riscontrata una massa a livello della corteccia prefrontale che è stata sottoposta a totale macroriduzione, processata, inclusa in paraffina, tagliata in microsezioni di 3-4 μ e sottoposta a colorazione Ematossilina – Eosina. Quindi, esaminata al microscopio ottico. In seguito a diagnosi presuntiva, si sono effettuati approfondimenti diagnostici mediante esami immunoistochimici utilizzando un pannello anticorpale della Dako s.r.l. Vimentina Clone V9, Sinaptofisina, Citocheratina BIBLIOGRAFIA 1 Can. Vet J 1995; 36: 230 – 232 Paradoxical vestibular syndrome in a cat with a cerebellar meningioma; Andréè D Quesnel, Joane M. Parent; Clone AE1/AE3, S-100 pervenendo alla diagnosi. Sono stati analizzati istologicamente anche prelievi di fegato, milza, rene, surrene, stomaco, ghiandole salivari, polmone, cuore, muscolo temporale, muscolo quadricipite femorale prelevati in sede autoptica. RISULTATI E CONCLUSIONI: Visita Clinica Dai risultati emersi dalle visite cliniche il veterinario ha ritenuto opportuno trattare l’animale in maniera sintomatica in attesa di proseguire l’iter diagnostico (T.A.C e R.M.). Sono stati somministrati Cefotaxime e Clindamicina, Mannitolo e Furosemide per un ipotetico edema cerebrale da compressione. Gli esami del sangue risultavano tutti nella norma per la specie. Necroscopia Il quadro necroscopico evidenziava: stato congestizio di molti distretti, aspetto degenerato del fegato, ipertrofia surrenale sinistra, aree di polmonite, cuore degenerato e sfiancato, congestione meningea. Esami Istopatologici Gli esami clinici e necroscopici, correlati all’esame istopatologico hanno permesso di evidenziare un meningioma (2) a livello cerebrale con ampi fenomeni congestizioemorragici, degenerazione ed encefalomalacia a carico delle strutture adiacenti la lesione neoplastica. La colorazione ematossilina eosina (Fig. 1,2) mostrava una massa di natura neoplastica, a partenza dalla pia madre e ad accrescimento intracerebrale. Gli approfondimenti immunoistochimici portavano alla diagnosi di meningioma. La neoplasia, pur essendo circoscritta, determinava compressione nei confronti delle strutture circostanti e risultavano presenti nell’ambito del tessuto neoformato, emboli e stravasi ematici. Le cellule mostravano microscopicamente un notevole grado di pleomorfismo, citoplasma abbondante finemente granulare senza margini distinti , atipia nucleare. Accrescimento variabile a formare foglietti, risultavano presenti vortici di cellule al cui centro si evidenziava sostanza ialina, dando fisionomia psammomatosa. Inoltre, si evidenziava presenza di cellule giganti multinucleate. L’esame immunoistochimico (Fig.3 ) mostrava i seguenti risultati: espressione positiva con la Vimentina e negativa con la Sinaptofisina. Infine S-100 e Citocheratina davano risultato positivo ma con espressione da sparsa a moderata come da letteratura. Dall’analisi degli altri organi si è pervenuti alla causa di morte che risultava essere collasso cardio-circolatorio in seguito ad insufficienza ventricolare destra, sostituzione di porzioni di tessuto miocardico con tessuto connettivo fibroso, ipotrofia. Tale evenienza aveva determinato congestione passiva a livello epatico. Il decubito prolungato dell’animale aveva determinato fenomeni di necrosi ischemica a livello muscolare. A livello della ghiandola surrenale si identificavano fenomeni degenerativi dei fasci di fibre nervose poste in posizione extracapsulare ed un fenomeno di iperplasia a carico della zona glomerulare. 226 Fig.2: Colorazione E-E Ingr.20x Fig.3: IHC Vim Cl. V9. Ingr.40x 227 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINI TOSSICOLOGICHE VETERINARIE (parte I): CASI DI AVVELENAMENTO IN LIGURIA Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Ercolini C., Ferrari A., Gili M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZS PLVA) Keywords: Avvelenamenti, sostanze, Liguria ABSTRACT The accidental intake of toxics from domestic or wild animals is a serious problem in urban and rural areas. Cats, dogs and pigeons represent the most important goals of intentional poisoning and also they have a greater probability of an accidental intake, so these species are prevalently involved in poisoning cases. This statement, was confirmed in this study, conducted between January 2009 and December 2012 , and it was possible to delineate the maps of poisoning cases in the four counties of Liguria. It is also possible the accidental involving of protect wild species like wolf (two confirmed cases in Liguria during the study period). Furthermore, only in two cases poisoning seems aimed to kill a particular specie; so the dissemination of poisoned baits is almost indiscriminate. La suddivisione per specie è riportata nella tabella 1. La maggior parte delle positività sono state riscontrate negli animali domestici e nei volatili selvatici o sinantropi che rappresentano in parte il bersaglio della disseminazione dolosa di bocconi avvelenati e in parte le specie che in aree urbane hanno maggiore possibilità di assumere accidentalmente sostanze tossiche utilizzate per le derattizzazioni. Negli animali da reddito è risultato positivo ad un anticoagulante cumarinico solo un suino per probabile assunzione accidentale di un esca utilizzata per la derattizzazione. Si sono poi verificati due casi di avvelenamento nel lupo a conferma delle gravi conseguenze che la disseminazione indiscriminata di esche o bocconi avvelenati può avere anche sulla fauna selvatica protetta. specie INTRODUZIONE Il problema della dispersione di esche e bocconi avvelenati sul territorio è sempre più di attualità a causa della costante presenza del fenomeno e della maggiore attenzione da parte della cittadinanza e dei media. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta già da molti anni fornisce un servizio diagnostico per individuare i casi di avvelenamento ed individuarne le sostanze responsabili; a seguito della emanazione della ordinanza ministeriale del 18 dicembre 2008 tale servizio è stato ulteriormente potenziando ampliando il pannello dei principi attivi ricercati. Anche il numero di campioni conferiti ai nostri laboratori è aumentato negli anni ed è ora possibile tracciare una mappa dei ritrovamenti sul territorio Ligure. La mappatura dei casi rappresenta uno strumento utile per individuare le aree a maggior rischio dove eventualmente intensificare i controlli allo scopo di allontanare le esche prima che vengano ingerite dagli animali domestici, sinantropi o selvatici. MATERIALI E METODI Sono stati raccolti i dati di tutti i campioni conferiti, per sospetto avvelenamento, alle sezioni diagnostiche liguri e sottoposti a ricerca di sostanze tossiche presso il laboratorio di Tossicologia dell’IZS PLVA. In particolare sono stati presi in considerazione la tipologia di campione, la specie animale ed il luogo di ritrovamento. Complessivamente sono state sottoposte ad analisi 371 campioni di cui 256 carcasse o materiali biologici di animali, 110 esche e 5 campioni di acqua di abbeverata o mangime provenienti dalle diverse province liguri. I risultati sono stati suddivisi per specie e per provincia ed i campioni positivi sono stati riportati sulle cartine provinciali. RISULTATI E CONCLUSIONI Complessivamente sono risultati positivi 166 campioni di cui 122 carcasse o materiali biologici di animali, 41 esche e 2 mangimi. Animali d’affezione Animali da reddito Animali selvatici Volatili Esche Mangimi ed acqua Cani gatti equini ovini caprini suini bovini polli conigli lupi cinghiali pesci mustelidi ricci selvatici sinantropi totali Totale esaminati 78 84 positivi % 42 52 25.45 31.50 5 2 5 3 1 3 1 3 3 2 1 1 32 32 110 0 0 0 1 0 0 0 2 0 0 0 0 11 14 41 5 2 1.20 371 165 100% ad essere sistematicamente avvelenati sono i piccioni. In provincia di Genova la quasi totalità dei casi è concentrata in ambito urbano nelle città di Genova e Chiavari con il coinvolgimento di diverse specie. Analogamente anche in provincia di La gli avvelenamenti I dati raccolti evidenziano cheSpezia, il fenomeno della o il ritrovamento di esche è circoscritto al distribuzione sul territorio di esche e bocconicapoluogo avvelenati èe al comune di Sarzana. ancora diffuso anche se con intensità differente nelle quattro province Nell’Imperiese la liguri. distribuzione territoriale dei casi è La presenza dicostiera sostanzema tossiche fatto abbandonate prevalentemente non si, dievidenziano aree con per loconcentrazioni più indiscriminatamente, sia(cartine in aree 1, urbane particolari di positività 2, 3 esia 4).in aree rurali rappresenta un rischio per gli animali domestici I datie raccolti evidenziano il fenomeno selvatici; inoltre lache dispersione di della tali distribuzione sostanze sul territorio di esche e bocconi è ancora diffuso nell’ambiente può essere ancheavvelenati causa di avvelenamenti anche se con intensità differente nelle quattro province liguri. Legenda cartine: esca volatili selvatici Gatto piccioni cane suino La presenza di sostanze tossiche , di fatto abbandonate per lo più indiscriminatamente, sia in aree urbane sia in aree rurali rappresenta un rischio per gli animali domestici e selvatici; inoltre la dispersione di tali sostanze nell’ambiente può essere anche causa di avvelenamenti cronici ed espone cronici ed espone ad un possibile rischio anche la ad un possibile rischio anche la popolazione popolazione più sensibile (ad esempio i bambini). più sensibile (ad esempio i bambini). Solo in pochi casi si è potuto constatare una azione mirata versoinalcune come i gatti (colonie feline)una o i piccioni Solo pochispecie casi si è potuto constatare azione mirata (aree alcune urbane);specie in generale che la distribuzione verso come sembra i gatti (colonie feline) o i piccioni delle esche sia indiscriminata e, di conseguenza, coinvolge delle (aree urbane); in generale sembra che la distribuzione anche specie protette di elevato valore faunistico come il esche sia indiscriminata e, di conseguenza, coinvolge anche lupo (1 caso in provincia di Savona e 1 in provincia di specie protette di elevato valore faunistico come il lupo (1 caso Genova). in provincia di Savona e 1 in provincia di Genova). mangime lupo Cartina 1: positività in provincia di Imperia Cartina 3: positività in provincia di Genova 0.60 1.20 Cartina 2: positività in provincia di Savona 6.70 8.5 24.85 Cartina 4: positività in provincia di La Spezia La diffusione dei casi sul territorio riguarda prevalentemente aree rurali/silvestri o aree verdi urbane per quanto riguarda gli avvelenamenti che hanno coinvolto cani, gatti e i lupi; e aree prettamente urbane nei casi in cui sono stati coinvolti volatili sinantropi. Il maggior numero di positività è stato riscontrato in provincia di Savona dove si evidenzia una concentrazione di casi soprattutto nei territori a nord del capoluogo (Valle Bormida) con reperimento di numerose esche e diverse specie animali coinvolte (cani, gatti, piccioni) ad indicare una distribuzione “casuale” di bocconi avvelenati, non mirata verso una determinata specie come, al contrario, si è riscontrata nei comuni ad est di Savona (Celle e Varazze) dove sono esclusivamente colpiti i gatti o nel comune di Laigueglia (zona più a ponente della provincia) dove 228 229 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINI TOSSICOLOGICHE VETERINARIE (parte II) : PRINCIPALI SOSTANZE IDENTIFICATE NEI CASI DI AVVELENAMENTO IN LIGURIA Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Ercolini C., Ferrari A., Gili M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZS PLVA) Keyword: Tossicologia veterinaria, biocidi, Liguria ABSTRACT Knowledge of the most used toxics to poison domestic and wild animals is very important to prevent and control this occurrence. The results of this study, conducted between January 2009 and December 2012, show that anticoagulants are the most frequently found toxic substances in dead animals even if in some cases, in particular in dogs and cats, is real a suspect of a chronic poisoning. a-chloralose, pesticides, metaldehyde, carbammates, strychnine and permethrin were also found. INTRODUZIONE Nella lotta all’utilizzo di sostanze tossiche, causa di avvelenamenti accidentali o volontari degli animali domestici e selvatici, è di fondamentale importanza la conoscenza dei principi attivi più frequentemente utilizzati. Tale informazione è utile per mappare l’utilizzo dei diversi tipi di tossico sul territorio al fine di adiuvare l’azione di controllo da parte degli enti preposti e, in secondo luogo, ma non meno importante, di indirizzare l’impostazione della terapia nei casi di avvelenamento. Di pari rilievo è la valutazione degli avvelenamenti cronici riconducibili alla dispersione di sostanze tossiche nell’ambiente. MATERIALI E METODI Sono stati raccolti i dati relativi a tutti i campioni conferiti ai laboratori diagnostici distribuiti sul territorio e sottoposti a ricerca di sostanze tossiche presso il laboratorio di Tossicologia dell’IZS PLVA con esito positivo nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2009 ed il 31 dicembre 2012. Il pannello di sostanze ricercate è ampio e comprende diverse famiglie di biocidi: - anticoagulanti cumarinici (acenocumarolo, brodifacoum, bromadiolone, coumachlor, coumafuryl, coumatetralyl, dicumarolo, difenacoum, warfarin) e indandionici (clorfacinone, difacinone, flocumafen, pindone); - pesticidi organoclorurati (α-endosulfano, β- endosulfano, endosulfano solfato, lindano) e organofosforati (Chlopyrifos metile, Chlopyrifos etile, Coumaphos, Diazinon, Dimethoate, Ethion, Isofenphos, Malathion, Methamidiphos, Mevinphos, Parathion etile, Parathion metile, Pirimiphos, Phorate, Sulfotep, Terbufos); - carbammati (Carbofuran, Desmediphan, Mercaptodimetour, Oxamyl, Propoxur) e piretroidi (Cypermetrin, Decamethrin, Permetrina I e II); - altre sostanze (metaldeide, a-cloralosio, Lenacil, Piperonylbutoxide,. stricnina). In laboratorio ogni campione è stato sottoposto a una fase di estrazione e purificazione e quindi analizzato sia in GC-MS (per la ricerca di pesticidi, stricnina e metaldeide) che in LC-MS/ MS (per la ricerca di anticoagulanti e a-cloralosio). Di ciascun campione è stata registrata la tipologia, la specie animale, il luogo di ritrovamento e le sostanze identificate. Sono poi state analizzate eventuali relazioni tra le positività ai diversi principi attivi, la specie animale e il luogo di reperimento RISULTATI E CONCLUSIONI In totale sono risultati positivi alle indagini tossicologiche 120 reperti autoptici animali e 42 esche (tabella 1). E’ inoltre stata riscontrata la positività al pirimphos in due campioni di mangime destinato agli equini. La maggior parte degli avvelenamenti è stata causata dai cumarinici, usati singolarmente o in associazione, con 98 casi di cui 80 nei cani e gatti. Se si considerano anche le associazioni di anticoagulanti con altre famiglie di principi attivi (organofosforati, metaldeide, stricnina, a-cloralosio) il numero di positività sale a 104 e rappresenta l’85% di tutte le positività riscontrate negli animali deceduti per sospetto avvelenamento. I restanti 16 casi sono attribuibili principalmente a a-cloralosio usato singolarmente o in associazione con altri principi attivi quali metaldeide, clorofacinone, permetrina. Anche nelle esche i principi attivi maggiormente riscontrati sono i cumarinici da soli o in associazione con altre sostanze; seguiti dai pesticidi organoclorurati che, però, non hanno altrettanta frequenza negli animali morti. A seguire si sono avute positività per a-cloralosio, organofosforati, carbammati, metaldeide e stricnina. La distribuzione sul territorio dell’utilizzo delle diverse sostanze tossiche è riportata nelle cartine 1, 2, 3 e 4. Relativamente alla specie, oltre l’83% dei casi in cui è stato usato a-cloralosio riguardano piccioni in aree urbane; inoltre la percentuale di piccioni avvelenati con questa sostanza rappresenta il 59% di tutti i soggetti risultati positivi a sostanze tossiche. Questa stretta relazione tra i piccioni e la positività all’a-cloralosio è probabilmente dovuta alla elevata sensibilità di questa specie al principio attivo (DL50 32 mg/kg).Tutti gli 8 campioni di germani che sono stati sottoposti ad accertamenti per sospetto avvelenamento sono risultati positivi per brodifacoum anche se in almeno 2 casi la causa della morte è stata accertata essere una intossicazione da Clostridium botulinum e in altri due casi è stata fortemente sospettata. Nei cani e nei gatti le sostanze maggiormente riscontrate sono stati i cumarinici ed in particolare il coumatetralyl identificato in 29 cani su 40 risultati positivi e in 45 gatti su 52 positivi.E’ interessante notare che i rodenticidi (anticoagulanti cumarinici e indandionici e a-cloralosio) sono riscontrati molto più spesso negli animali morti (15,4% sul totale di positività per tali sostanze) piuttosto che nelle esche (84,6% sul totale di positività per tali sostanze); mentre per i pesticidi (organoclorurati, organofosforati, carbammati, piretroidi) il rapporto tra le positività nelle esce e negli animali è quasi esattamente l’opposto (81% di positività nelle esche e 19% negli animali). Probabilmente gran parte degli avvelenamenti da cumarinici sono di natura accidentale o le positività sono da collegare a fenomeni di accumulo e conseguente intossicazione cronica; queste seconda ipotesi sembra essere avvalorata dal fatto che sui 94 soggetti sottoposti ad autopsia e successivamente risultati positivi agli anticoagulanti solo 50 presentavano lesioni emorragiche. 230 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1: 1: sostanze riscontrate Tabella sostanze riscontratenelle nellediverse diversespecie specie cane gatto esca lupo gatto passeri lupo passeri anatra anatra cane esca piccioni piccioni suino suino Totale Totale Alfa-cloralosio e associazioni con cumarinici Alfa-cloralosio e associazioni con cumarinici e pesticidi 5 2 10 15 e pesticidi 5 2 10 15 Pesticidi organoclorurati 1 12 13 Pesticidi organoclorurati 1 12 13 anticoagulanti cumarinici 8 34 9 46 1 1 7 1 107 anticoagulanti cumarinici 8 34 9 46 1 1 7 1 107 anticoagulanti cumarinici + indandionici 1 1 anticoagulanti cumarinici + indandionici 1 1 anticoagulanti cumarinici + metaldeide 1 1 2 anticoagulanti cumarinici + metaldeide 1 1 2 anticoagulanti cumarinici + stricnina 1 1 anticoagulanti cumarinici + stricnina 1 1 anticoagulanti cumarinici + organofosforati 1 5 1 7 anticoagulanti cumarinici + organofosforati 1 5 1 7 organofosforati 3 1 4 organofosforati 3 1 4 organofosforati, carbammati 1 1 organofosforati, carbammati 1 1 organofosforati, metaldeide 1 1 organofosforati, metaldeide 1 1 anticoagulanti indandionici 1 1 anticoagulanti indandionici 1 1 inibitori citocromo ossidasi, carbammati 1 1 inibitori citocromo ossidasi, carbammati 1 1 metaldeide 1 1 2 metaldeide 1 1 2 carbammati 2 2 carbammati 2 2 permetrina 1 1 permetrina 1 1 stricnina 1 1 stricnina 1 1 Totale complessivo 8 40 42 52 1 1 17 1 162 Totale complessivo 8 40 42 52 1 1 17 1 162 Cartina 2: sostanze identificate in provincia di Savona Cartina 1: sostanze identificate in provincia di Imperia Cartina 3: sostanze identificate in provincia di Genova Cartina 4: sostanze identificate in provincia di La Spezia Legenda cartine: organoclorurati alfa-cloralosio cumarinici carbammati metaldeide stricnina permetrina 231 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SCHMALLENBERG: MODALITA’ DI GESTIONE E DESCRIZIONE DELLA CASISTICA IN REGIONE PIEMONTE D’Errico V.1, Grattarola C.1, Giorgi I.1, Perosino M.1, Zoppi S.1, Monaco F.2, Dondo A.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Centro di Referenza Nazionale per lo studio delle Malattie Esotiche (CESME), Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, Teramo 1 2 Key words: schmallenberg, abortion, Piedmont ABSTRACT Schmallenberg virus (SBV) is a novel Orthobunyavirus recently associated with disease in ruminants (cattle, sheep and goats) in Europe, including Italy. The infection causes transient and mild clinical forms in adult cattle and congenital malformation in newborn. The aim of this work is to report and analyze SBV cases in the Piedmont Region. We detected the same pathological findings already reported in other European outbreaks (skeletal deviation, cerebellum hypoplasia) and the infected herds were characterized by transhumance habits, active trading with other herds or located in area already scenario of Bluetongue outbreaks. INTRODUZIONE Il virus di Schmallenberg (SBV) è stato identificato per la prima volta nell’autunno del 2011 in Germania, in alcuni bovini con sintomatologia aspecifica. Le prime informazioni sul genoma virale hanno permesso di collocare questo nuovo agente eziologico nel sierogruppo Simbu, famiglia Bunyaviridae, genere Orthobunyavirus (4). Da allora un numero sempre crescente di Paesi europei è stato interessato dalla circolazione virale (1). In Italia il primo caso si è verificato in Veneto, in un feto caprino, a febbraio 2012, e successivamente nell’autunno dello stesso anno numerose aziende sarde di ovini hanno confermato la presenza di SBV. Il virus colpisce i ruminanti causando negli animali adulti sintomi aspecifici quali ipertermia, abbattimento, anoressia, calo della produzione lattea e diarrea, con guarigione nell’arco di pochi giorni, e disturbi della sfera riproduttiva quali aborti, natimortalità e malformazioni fetali. Alla luce delle attuali conoscenze, l’infezione da virus di Schmallenberg sembra avvenire per trasmissione verticale transplacentare e per trasmissione indiretta da vettori del genere Culicoides. La gestione di caso sospetto/caso confermato e le attività straordinarie e temporanee di controllo di SBV sul territorio nazionale sono regolate dalla Nota Ministeriale DGSAF. III/6764 del 4/4/2012, integrate, per la Regione Piemonte, da specifiche indicazioni contenute nella Nota Regionale 1966/ DB2017 del 18/4/2012. Tali disposizioni sono strettamente collegate e vanno a integrare il piano di sorveglianza sugli aborti, attivo sul territorio piemontese, applicato in tutti gli allevamenti bovini e di piccoli ruminanti. Questa attività consolidata ha un duplice obiettivo: ottemperare ad un requisito legato a territorio ufficialmente indenne da brucellosi e consentire un monitoraggio sulle principali cause di aborto infettivo, partendo dal presupposto che l’aborto ha un peso notevole per l’economia aziendale e può avere importanti In tutti i soggetti erano presenti artrogrifosi anteriore e posteriore e deviazione del rachide (figura 1 e 2). In 4 su 6 si è rilevata un’alterazione macroscopica a livello cerebellare (anomalia nella morfologia e/o nella dimensione). In due feti su 6, erano presenti malformazioni della scatola cranica; in particolare, in un caso, sono state osservate esostosi a livello del distretto cerebellare. In uno (feto ovino), si evidenziava inoltre ipoplasia cerebrale e lissencefalia, come illustrato in figura 3. Figura 1- artrogrifosi in feto bovino ripercussioni sulla Sanità Pubblica (2). Il presente lavoro vuole descrivere i casi sospetti e confermati di SBV pervenuti nel periodo 2012- agosto 2013 presso i Laboratori di Diagnostica Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, sede di Torino (IZS PLV). MATERIALI E METODI Nel periodo dal 2012 ad agosto 2013, la Diagnostica Generale dell’IZS PLV ha esaminato complessivamente 146 feti nel 2012 (109 bovini e 37 piccoli ruminanti) e 84 feti nel 2013 (64 bovini e 20 piccoli ruminanti). Nel periodo considerato, complessivamente sono pervenuti 10 feti con sospetto SBV (2 feti bovini e 4 feti ovini nel 2012 e 3 feti bovini e uno di ovino nel 2013). Il sospetto è stato formulato per anamnesi aziendale riferibile ad aborti ricorrenti con presenza di malformazioni fetali. In un caso erano stati osservati, inoltre, fenomeni di diarrea in animali adulti. Oltre all’applicazione del protocollo diagnostico differenziale standardizzato, in uso presso l’IZSPLV, per valutare l’eventuale presenza d’infezione da SBV campioni di milza e SNC di tutti i feti sono stati inviati al Centro di Referenza Nazionale per lo studio delle Malattie Esotiche (CESME), presso l’IZS dell’Abruzzo e del Molise, per diagnosi diretta con PCR Real Time; in parallelo sono stati inviati campioni di siero e sangue intero della madre, per la ricerca di anticorpi specifici con sieroneutralizzazione (SN). RISULTATI E CONCLUSIONI Delle 9 aziende controllate per sospetto SBV, in quattro l’infezione è stata confermata sierologicamente (positività anticorpale con titoli da 1:16 a 1:128) e in una invece la conferma è avvenuta sia con positività in RT-PCR (da SNC di 2 feti ovini di gravidanza gemellare), sia sierologicamente (titolo anticorpale della madre 1:16). Le lesioni anatomopatologiche riscontrate sui 6 soggetti coinvolti sono riportate in tabella 1. Tabella 1- Descrizione tipologia di lesione, numero di feti con lesione e relativa percentuale 232 Lesione anatomo-patologica Artrogrifosi Deviazione rachide Ipoplasia/agenesia cerebellare Malformazioni scatola cranica e ossa testa Ipoplasia cerebrale n° feti con lesione % feti con lesione 6 6 4 2 1 100% 100% 67% 33% 16% Figura 2- feto ovino con deviazione del rachide Figura 3- ipoplasia cerebrale e lissencefalia in feto ovino Le lesioni descritte sono risultate in linea con quelle riportate in altri Paesi europei (3). Due dei feti di SBV provenivano da allevamenti che effettuavano pascolo vagante e quindi sono da considerarsi a più alto rischio di contatto con vettori infetti. Le aziende in cui si sono verificati i restanti casi di positività sono risultate concentrate nella provincia di Cuneo. Quest’area, a elevata densità zootecnica, è caratterizzata da continui scambi commerciali di animali con la Francia (Paese dove è stata accertata elevata circolazione virale SBV) e la particolare conformazione del territorio, come già dimostrato dalle mappe del rischio elaborate per l’infezione da Blue Tongue (5), costituisce un habitat ideale per la sopravvivenza dei Culicoides, responsabili della trasmissione virale. Gli eventi abortivi ascrivibili a SBV sono risultati distribuiti temporalmente in due ondate successive, in inverno 2012 e in primavera 2013; ciò confermerebbe l’ipotesi che la circolazione virale, nel nostro territorio, sia avvenuta in estate e in tardo autunno. Dei rimanenti 4 casi sospetti SBV non confermati per Schmallenberg virus dal CdR, in tre gli aborti, grazie all’applicazione del protocollo differenziale, sono risultati attribuibili ad altre cause (infezione da Listeria monocytogenes, Chlamydophila abortus e ontogenesi con malformazione cardiaca) ; nel restante caso (feto ovino abortito all’inizio del 2012) gli accertamenti sono invece risultati negativi a tutti gli esami eseguiti per la ricerca di agenti abortigeni. A seguito delle prime segnalazioni sul territorio nazionale (Veneto e Sardegna) dall’inizio del 2012, i risultati descritti nel presente lavoro hanno confermato la circolazione di SBV anche in Piemonte nel 2012 e nel 2013. Considerando che solo nel 30-40% dei casi è possibile individuare la reale causa di aborto, per migliorare le performance diagnostiche, è importante inserire nei protocolli diagnostici gli approfondimenti per SBV, ogni volta che anamnesi e/o riscontro di lesioni anatomo-patologiche facciano ipotizzare un sospetto coinvolgimento di Orthobunyavirus. Una efficiente diagnosi di laboratorio integrata all’intervento dei servizi veterinari del territorio ricoprono infatti un ruolo determinante per la realizzazione di un robusto sistema di sorveglianza volto al controllo di malattie di vecchia e nuova insorgenza. BIBLIOGRAFIA 1. EFSA, 2013,”Schmallenberg” virus: analysis of the epidemiological data 4erfdcv (May 2013) 2. Giorgi I., Grattarola C., Goria M., Garrone A., D’Errico V., Perosino M., Zoppi S., Dondo A.,2012, Indagine sulle cause infettive di aborto nei bovini in Piemonte, XIV Congresso Nazionale SiDiLV, Sorrento 3. Herder V., Wohlsein P, Peters M, Hansmann F, Maumgartner W, Vet Pathol, 2012, Salient lesions in domestic ruminants infected with the emerging socalled Schmallenberg virus in Germany, Vet Pathol, Jul;49(4):588-91 4. Bernd Hoffmann, Matthias Scheuch, Dirk Höper, Ralf Jungblut, Mark Holsteg, Horst Schirrmeier, Michael Eschbaumer, Katja V. Goller, Kerstin Wernike, Melina Fischer, Angele Breithaupt, Thomas C. Mettenleiter, and Martin Beer Novel, 2011, Orthobunyavirus in Cattle, Europe, Em. Inf. Dis., Volume 18, Number 3—March 2012 5. Radaelli M.C., Chiavacci L., Barbaro A., Travaglio S., Masoero L., Accorsi A., Goria M., Monnier M., Vitale N., 2009, Fattori di rischio per la distribuzione di Culicoides spp. in Piemonte e relazione con le positività per Blue Tongue sierotipo 8, XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Parma, 30 Settembre - 2 Ottobre 2009. 233 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. IN ALLEVAMENTI BOVINI DELLA REGIONE VALLE D’AOSTA XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 1: distribuzione degli allevamenti bovini la latte selezionati per la ricerca di Prototheca spp. nella regione Valle d’Aosta Dezzutto D.1, Bergagna S.1 , Gennero M.S.1 , Rosa R.1 , Vitale N.1 , Orusa R.1 , Vevey M.2 , Ruffier M.3 , Barbero R.1 , Domenis L. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta -Torino ANA.Bo.Ra.Va. - Associazione Nazionale Allevatori Bovini di Razza Valdostana ~ Aosta 3 Regione Autonoma valle d’Aosta - Assesorato alla Sanità, salute e politiche socali ~ Aosta 1 2 Key words: Prototheca spp., mastiti, Valle d’Aosta ABSTRACT Prototheca species is a colorless unicellular microorganism thought to be an achloric mutant of the green algae of the genus Chlorella. In the present study, 853 milk samples collected from 59 dairy herds located in the Valle d’Aosta Region were analyzed for the presence of Prototheca spp. All samples were cultured on PIM at 37°C and analyzed after 48 and 72h. Analysis detected the absence of Prototheca spp. in all herds tested. The data obtained showed that the climate could be the cause of the absence of Prototheca in Valle d’Aosta region. In fact, during summer period animals are brought in high mountains in pastures where the climate is more cool and dry. Also farming conditions aren’t suitable for growth and development of Prototheca. In fact, housing areas during the winter period do not have external enclosures where mud puddles are, frequently, the most important reservoir of this algae. INTRODUZIONE La mastite bovina sostenuta dalla microalga Prototheca è stata descritta per la prima volta da Lerche nel 1952 (6); da allora è stata segnalata in innumerevoli parti del mondo. Attualmente, nell’ambito del genere Prototheca, vengono riconosciute 5 diverse specie: P. Zopfii (gen 1 e 2), P. winckerhamii, P. blaschkeae, P. stagnora e P. Ulmea (1,8). Gli isolamenti nelle bovine da latte sono spesso riconducibili a P.zopfii e, più raramente, a P. Wickerhamii (6). Prototheca è una microalga unicellulare eterotrofa, filogeneticamente correlata al genere Chlorella; immobile, priva di attività fotosintetica, a riproduzione asessuata, spesso associata ad aree umide e paludose dove vive allo stato saprofitico. È stato spesso isolata anche in acque di fiume, acque stagnanti, serbatoi di acqua, acque di scolo degli insilati e nel letame. Nell’allevamento bovino può trovare habitat favorevoli a livello di impianto di mungitura (guaine, tettarelle), cute del capezzolo, mangiatoie, alimenti (mangimi, foraggi, insilati), feci, foraggi, lettiere e liquami di percolazione (1,3). L’infezione mammaria, nell’allevamento da latte, è spesso associata ad una prolungata esposizione degli animali a sorgenti di acqua contaminata all’interno dell’allevamento (3). L’esordio della malattia generalmente è asintomatico o sub-clinico, accompagnato solo dall’innalzamento del valore delle cellule somatiche (1). Solo con il progredire dell’infezione è possibile rilevare una compromissione del parenchima ghiandolare a cui fa seguito lo sviluppo di segni clinici tipici di una mastite cronico evolutiva. Pertanto, la diagnosi di mastite da Prototheca, impossibile da un punto di vista clinico, richiede il supporto di esami di laboratorio. Negli ultimi anni risultano sempre più frequenti le segnalazioni di malattia ad alta prevalenza in aree geografiche temperate con clima di tipo continentale (5). La diffusione delle infezioni mammarie da Prototheca spp è testimoniata, anche nel nostro Paese, da numerose segnalazioni (2,3,10) a conferma del fatto che il tipo di management aziendale e il clima sono favorevoli alla diffusione dell’alga nell’ambiente. Scopo del seguente lavoro è presentare i dati relativi alla presenza di Prototheca spp. negli allevamenti bovini da latte della regione Valle d’Aosta. MATERIALI E METODI Lo studio è stato effettuato nel periodo compreso tra Febbraio e Luglio 2013. In totale sono stati analizzati per la ricerca di Prototheca spp. 853 campioni di latte individuale (pool proveniente dai quattro quarti mammari) prelevati in 59 allevamenti valdostani selezionati per la presenza di problematiche sanitarie legate al comparto mammario. L’analisi, eseguita in parallelo con la ricerca di mastidogeni contagiosi (Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus) e ambientali più comuni (streptococchi, stafilococchi, etc.), è stata eseguita inoculando, dopo opportuna agitazione del campione, 0,01 ml di latte su PIM (Prototheca isolation Medium), un terreno colturale selettivo, specifico per Prototheca (9). Il PIM presenta un’ottima soglia di rilevabilità (2ufc/ml di latte), consentendo di evidenziare bassi livelli di escrezione di Prototheca, anche in presenza di un’eventuale contaminazione da flora microbica aspecifica conseguente ad un’ inadeguata asepsi del campione (1). Successivamente all’inoculo, le piastre sono state poste in condizioni di aerobiosi a 37°C ed esaminate dopo 48h e 72h di incubazione. Terminato tale periodo, le colonie cresciute sulle piastre sono state osservate al microscopio ottico per valutarne la morfologia e quindi sottoposte a colorazione di Gram. In caso di rilevamento di colonie sospette, il laboratorio ha previsto l’identificazione di conferma mediante tecniche biomolecolari. Nessuna delle stalle analizzate è risultata positiva per Prototheca spp.. Le cause degli inconvenienti sanitari osservati nelle aziende è stata in genere ascritta alla presenza di mastidogeni contagiosi e in minor misura a batteri ambientali (streptococchi e stafilococchi coagulasi negativi); come già evidenziato in precedenti lavori (4), anche in questo caso Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus si confermano come i principali agenti eziologici di mastite bovina nel territorio regionale. Per quanta riguarda il risultato favorevole riguardante l’assenza di Prototheca spp., si potrebbe ottenere una possibile spiegazione integrando gli aspetti epidemiologici di questa specifica infezione con le peculiari caratteristiche sia del clima locale sia dei sistemi di allevamento utilizzati in ambito regionale. Come riferito da Janosi et al. (2001), la stagione sembra costituire un importante fattore condizionante: nelle zone temperate, infatti, la maggior incidenza di infezione si riscontra nei mesi caldi: l’estate più breve e le temperature meno elevate, caratteristiche delle zone montane, potrebbero dunque rappresentare un fattore sfavorevole per la proliferazione e diffusione dell’alga. Per quanto riguarda il tipo di allevamento, in genere le stalle valdostane non presentano aree esterne di esercizio, caratterizzate da terreno umido, ristagno di liquami e pozze d’acqua, condizioni che, come accennato nell’introduzione, contribuiscono alla persistenza di Prototheca nell’ambiente. In secondo luogo, durante i mesi caldi, ovvero proprio quelli che potrebbero favorire la diffusione dell’infezione all’interno delle stalle, i bovini vengono portati in alpeggio dove, per gran parte della giornata, hanno la possibilità di pascolare all’aperto, su prati drenati e privi di grosse concentrazioni di deiezioni. BIBLIOGRAFIA Arrigoni N., Belletti G. L., Cammi G., Garbarino C., (1) Ricchi M. (2010) Mastite bovina da Prototheca. Lar. An. Rew. 16: 39-43. (2) Bertocchi L., Arrigoni N., Bolzoni G., Marchi V., Bronzo V., Varisco G. (2007) Prototheca zopfii intramammary infections control in a high prevalence herd: preliminary results. 46th National Mastitis Council Meeting, Texas: 228-229 (3) Buzzini P., Turchetti B., Facelli R., Baudino R., Cavarero F., Mattalia L., Mosso P. Martini A. (2004) First largescale isolation of Prototheca zopfii from milk produced by dairy herds in Italy. Mycopathologia, 158: 427-430. (4) Domenis L., Doglione L., Orusa R., Gallina S., Bianchi M., Vevey M., Vitale N., Dezzutto D., Gennero S., Bergagna S. (2012) Agenti mastidogeni del bovino in Valle d’Aosta: risultati del piano di monitoraggiocondotto nel triennio 2009-2011. XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V., Sorrento. 263-265. 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(2006) - Indagine preliminare sulla presenza ambientale di Prototheca zopfii in allevamenti di bovine da latte. Buiatria. Journal of the Italian Association for Buiatrics, 2:45-53. RISULTATI E DISCUSSIONE Come illustrato in Figura 1, gli allevamenti contemplati nel monitoraggio sono distribuiti, in maniera piuttosto omogenea, lungo il fondovalle della regione. 234 235 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PRODUZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI ANTI-IMMUNOGLOBULINE EQUINE PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE INFETTIVE DEGLI EQUIDI Di Febo T., Luciani M., Ciarelli A., Bortone G., Di Pancrazio C., Rodomonti D., Teodori L., Tittarelli M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Via Campo Boario – 64100 Teramo Key words: monoclonal antibodies, horse immunoglobulins, equine diseases SUMMARY Monoclonal antibodies (MAbs) against horse IgG were produced by fusion of Sp2/O-Ag-14 mouse myeloma cells with spleen cells of Balb/c mice immunized with purified horse IgG. Twentyone MAbs that showed a strong reaction with horse IgG were characterized in indirect ELISA with purified immunoglobulins from donkey, cow, buffalo, sheep, pig and chicken. Three (1B10C9, 1B10C10 and 1B10E9) out of 21 MAbs reacted only with horse and donkey IgG and IgM; characterization by western blotting indicate that these 3 MAbs recognized the Fc fragment of equine IgG. Among the 3 MAbs selected, MAb 1B10E9 was used to develop a chemiluminescent immunoblotting test for the diagnosis of dourine and an indirect immunofluorescence assay (IFA) for the diagnosis of African horse sickness (AHS). MAb 1B10E9 was also employed in IFA for the diagnosis of dourine to evaluate its possible use as a substitute of commercially available polyclonal anti-horse IgGFITC conjugated, currently used for diagnosis. INTRODUZIONE La maggior parte dei test utilizzati nella diagnosi delle malattie infettive degli equidi prevede l’uso di anticorpi policlonali (PAb) come anticorpi secondari (1, 4, 5, 6). Tuttavia i PAb possono presentare reazioni aspecifiche che comportano un aumento anche notevole del background nei test immunologici ed eterogeneità tra i lotti prodotti, dovuta alla variabilità della risposta immunitaria degli animali in cui viene prodotto il siero policlonale. Scopo del presente lavoro è stato la produzione e caratterizzazione di anticorpi monoclonali (MAb) anti-IgG equine da utilizzare nella diagnostica delle malattie infettive degli equidi in sostituzione dei Pab, sia in test già in uso che in test da sviluppare. Prove sierologiche Il MAb-HRP è stato testato nell’immunoblotting test in chemiluminescenza (cIB) sviluppato per studiare i pattern antigenici riconosciuti dagli anticorpi presenti nei sieri di cavalli naturalmente e sperimentalmente infetti da Trypanosoma equiperdum (3), utilizzando 500 sieri equini negativi per dourine (FdC < 1:80) e 15 sieri positivi (FdC > 1:80). Il MAb-FITC è stato testato in immunofluorescenza indiretta (IFI) nella diagnosi di dourine (5) e nello sviluppo di una IFI per la diagnosi di AHS, utilizzando vetrini preparati con un monostrato di cellule Vero infettate con il virus AHS sierotipo 9 (10 7,01 TCID50/ml). RISULTATI E CONCLUSIONI Dalla fusione cellulare degli splenociti murini con le cellule di mieloma sono stati ottenuti 21 cloni con densità ottica in ELISA indiretta maggiore o uguale a 2.000. Diciotto dei 21 cloni crossreagiscono con le IgG e le IgM di specie diverse dagli equidi (bovino, bufalo, pecora e maiale), mentre tre cloni (1B10C9, 1B10C10 e 1B10E9) reagiscono solo con le IgG e le IgM di cavallo e asino. Questi ultimi 3 MAb hanno isotipo IgG2a, catena leggera κ. I 3 MAb, caratterizzati in immunoblotting, reagiscono con la catena pesante (50 kDa) e con una banda di 80 kDa delle IgG equine intere, mentre reagiscono con il frammento Fc (30 kDa) nel caso delle IgG digerite con papaina (Figura 1). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Dai dati ottenuti utilizzando il MAb 1B10E9-HRP nel cIB con i sieri equini negativi e i sieri positivi per dourine risulta che il metodo sviluppato permette di discriminare tra animali sani e animali infetti, nei quali sono presenti bande di peso molecolare compreso tra 16 e 35 kDa non presenti negli individui sani (Figura 2). Il cIB permette anche di studiare la cinetica della risposta umorale nei cavalli a seguito di infezione con Trypanosoma equiperdum come mostrato nella Figura 3, in cui si evidenzia la comparsa nel tempo di bande a peso inferiore di 37 kDa. Figura 2 – cIB-dourine: sieri negativi (1-5) e sieri positivi (6-10) Figura 5 – IFI-AHS Figura 3 – cIB-dourine: andamento anticorpale in un cavallo infettato sperimentalmente con T. equiperdum .….. (DBI: days before infection; DPI: days post infection) Dai dati ottenuti risulta che il MAb 1B10E9 anti-IgG equine può essere utilizzato in diagnostica, sia per lo sviluppo di nuovi metodi sia per il miglioramento di metodi già in uso che prevedono l’utilizzo di PAb anti-IgG equine. I MAb infatti hanno maggiore specificità per l’antigene rispetto ai PAb e non presentano cross-reazioni e variabilità tra lotti. Il presente lavoro costituisce uno studio di fattibilità dell’uso di uno dei MAb prodotti nello sviluppo di nuovi test diagnostici e nel miglioramento di test già in uso; tali metodi saranno successivamente validati secondo le indicazioni dell’OIE (7). Figura 1 - Immunoblotting MAbs vs IgG equine 1A: IgG intere con MAb 1B10C9; 1B: IgG digerite con papaina con MAb 1B10C9; 2A: IgG intere con MAb 1B10C10, 2B: IgG digerite con papaina con MAb 1B10C10; 3A: IgG intere con MAb 1B10E9; 3B: IgG digerite con papaina con MAb 1B10E9. MATERIALI E METODI Produzione e caratterizzazione MAbs Topi Balb/c sono stati inoculati per via intraperitoneale con IgG equine purificate e diluite in adiuvante di Freund. Dopo l’eutanasia dei topi, gli splenociti sono stati fusi con cellule di mieloma murino della linea Sp2/O-Ag-14 (ATCC) e gli ibridomi secernenti anticorpi verso le IgG equine sono stati clonati secondo il metodo delle diluizioni limite (2). I MAb sono stati isotipizzati e le loro cross-reattività verso le IgG e le IgM di altre specie (asino, bovino, bufalo, pecora e maiale) sono state determinate in ELISA indiretta. Inoltre i MAb sono stati caratterizzati in immunoblotting utilizzando come antigene IgG equine intere ed IgG digerite con papaina alla concentrazione di 0.1 mg/ml. Purificazione e coniugazione MAbs Uno dei MAb, purificato mediante cromatografia d’affinità con proteina A, è stato coniugato con perossidasi di rafano (HRP) e con isotiocianato di fluoresceina (FITC). 236 Figura 4 – IFI-dourine: confronto tra il MAb 1B10E9 ed un anticorpo secondario commerciale Il MAb 1B10E9-FITC utilizzato nei test IFI-dourine e IFI-AHS permette un’ottima discriminazione tra i sieri positivi ed i sieri negativi e non presenta reazioni aspecifiche con l’antigene legato ai vetrini (assenza di background) (Figure 4, 5) come avviene invece per il PAb commerciale nel caso della IFI dourine (Figura 4) BIBLIOGRAFIA 1.Clausen P.H., Chuluun S., Sodnomdarjaa R., Greiner M., Noeckler K., Staak C., Zessin K.H., Schein E., 2003. A field study to estimate the prevalence of Trypanosoma equiperdum in Mongolian horses. Vet. Parasitol., 115: 9-18. 2.Luciani M., Armillotta G., Magliulo M., Portanti O., Di Febo T., Di Giannatale E., Roda A., Lelli R. 2006. Production and characterisation of monoclonal antibodies specific for Escherichia coli O157:H7. Vet. Ital., 42 (3),173-182. 3.Luciani M., Di Pancrazio C., Di Febo T., Tittarelli M., Podaliri Vulpiani M., Puglielli M.O., Naessens J., Sacchini F. 2013. IgG antibodies from dourine infected horses identify a distinctive Trypanosoma equiperdum antigenic pattern of low molecular weight molecules. Vet. Immunol. Immunopathol., 151: 140-146. 237 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 4.Toledo Piza A.S., Pereira A.R., Terreran M.T., Mozzer O., Tanuri A., Brandão P.E., Richtzenhain L.J. 2007. Serodiagnosis of equine infectious anemia by agar gel immunodiffusion and ELISA using a recombinant p26 viral protein expressed in Escherichia coli as antigen. Prev. Vet. Med., 78: 239-245. 5.World Organisation of Animal Health (Office International des Épizooties: OIE) 2008. Dourine. In: Manual of diagnostic tests and vaccines for terrestrial animals, OIE, Paris, 845851. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ESPRESSIONE DELL’ENZIMA 5-LOX NEL CERVELLO DI STENELLE STRIATE (STENELLA COERULEOALBA) SPIAGGIATE E CON O SENZA (MENINGO)-ENCEFALITI DI NATURA INFETTIVA 6.World Organisation of Animal Health (Office International des Épizooties: OIE). 2012. African horse sickness. In: Manual of diagnostic tests and vaccines for terrestrial animals, OIE, Paris, 1-12. 7.World Organisation for Animal Health (Office International des Épizooties: OIE) 2013. Principles and methods of validation of diagnostic assays for infectious diseases. In Manual of diagnostic tests and vaccines for terrestrial animals. OIE, Paris, 1-16. Di Guardo G.1*, Di Francesco A.1, Falconi A.1, Baffoni M.1, Di Francesco C.E.1, Marsilio F.1, Mazzariol S.2, Centelleghe C.2, Casalone C.3, Mignone W.4, Cocumelli C.5, Eleni C.5, Petrella A.6, Troiano P.6, Marsili L.7, Maccarrone M.8, Giacominelli-Stuffler R.1 2 1 Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Teramo, Teramo; Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione, Università degli Studi di Padova, Agripolis, Legnaro (Padova); 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS) del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino; 4 IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Imperia; 5 IZS delle Regioni Lazio e Toscana, Roma; 6 IZS della Puglia e della Basilicata, Foggia; 7 Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente, Università degli Studi di Siena, Siena; 8 Università Campus Bio-Medico di Roma, Roma; *Indirizzo per corrispondenza: [email protected]. Key words: Striped dolphin, neuropathology, stranded cetaceans. ABSTRACT We report herein the Western-blot (WB) characterization of the expression of 5-lipoxygenase (5-LOX) enzyme in the brain from 8 striped dolphins, 2 of which with no evidence of central neuropathies and the remaining 6 ones either with Dolphin Morbillivirus-, Toxoplasma gondii-, or Brucella ceti-associated (meningo)-encephalitis. All the 6 animals with (meningo)encephalitis showed a more pronounced intensity of 5-LOX bands than that of the 2 dolphins without brain lesions, the most prominent band intensity being detected in the B. ceti-infected animal. The higher expression of 5-LOX in the striped dophins with infectious (meningo)-encephalitis is of interest, since 5-LOX is considered a putative neurodegeneration marker in humans and in experimental animal models. INTRODUZIONE Dolphin Morbillivirus (DMV) è considerato, unitamente a Toxoplasma gondii e a Brucella ceti, un agente patogeno di notevole rilevanza per i Cetacei, soprattutto per la specie Stenella coeruleoalba, un Odontocete pelagico di assai comune riscontro nel Mediterraneo (2, 3). Nonostante il loro documentato neurotropismo, scarsissime risultano le informazioni sulla patogenesi delle lesioni encefaliche indotte dai succitati agenti, ivi comprese le popolazioni cellulari, neuronali e non, coinvolte nell’infezione ed i meccanismi molecolari responsabili del danno cerebrale. MATERIALI E METODI Scopo del presente lavoro è stato quello di caratterizzare, mediante la tecnica del Western blot (WB), l’espressione della 5-lipossigenasi (5-LOX) - un enzima-chiave nella patogenesi delle infezioni dei mammiferi - nel tessuto cerebrale di 8 stenelle striate, 2 delle quali non presentavano alcuna evidenza morfologica di neuropatie centrali, mentre le rimanenti 6 risultavano affette da encefaliti/meningo-encefaliti di variabile entità, eziologicamente riconducibili a DMV 1 animale), a T. gondii (4 animali), oppure a B. ceti (1 animale). Il programma “ImageJ” è stato utilizzato per l’analisi densitometrica dell’intensità delle bande ottenute applicando la tecnica del WB. 238 RISULTATI E CONCLUSIONI Tutti i 6 individui affetti da encefalite/meningo-encefalite, con particolare riferimento all’esemplare infetto ad opera di B. ceti, hanno mostrato un’intensità delle suddette bande di grado più marcato rispetto ai 2 individui che non presentavano lesioni cerebrali. Seppur preliminare, riteniamo comunque interessante il dato relativo ai maggiori livelli di espressione della 5-LOX osservati nel cervello di tutte le 6 stenelle con encefalite/ meningo-encefalite. Tale enzima, infatti, è considerato un “marker” di neurodegenerazione sia nell’uomo che in adeguati modelli sperimentali animali (1). In conclusione, si sottolinea l’opportunità di ulteriori studi sull’argomento. BIBLIOGRAFIA 1. Chu, J., Giannopoulos, P.F., Ceballos-Diaz, C., Golde, T.E., Pratico, D., 2012. Adeno-associated virus mediated brain delivery of 5-lipoxygenase modulates the AD-like phenotype of APP mice. Molecular Neurodegeneration 7,1.doi:10.1186/1750-1326-7-1. 2. Di Guardo, G., Mazzariol, S., Fernández, A., 2011. Biologically threatened dolphins and whales. Environmental Microbiology 13, 2833-2834. 3. Van Bressem, M.-F., Raga, J.-A., Di Guardo, G., Jepson, P.D., Duignan, P.J., Siebert, U., Barrett, T., Santos, M.C., Moreno, I.B., Siciliano, S., Aguilar, A., Van Waerebeek, K., 2009. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Diseases of Aquatic Organisms 86, 143-157. Lavoro eseguito nell’ambito del Progetto di Ricerca “Contaminanti ambientali e relativi effetti sul sistema nervoso centrale e sul sistema immunitario nei cetacei spiaggiati, le sentinelle del mare”, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Responsabile scientifico: Prof. Giovanni DI GUARDO). 239 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PROFILI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN sTAFILOCOCCHI coagulasi positivi ISOLATI DA MASTITE OVINA IN ALLEVAMENTI SICILIANI: RISULTATI PRELIMINARI Emanuele M.C., Agnello S., Bosco R., Piraino C., Vicari D., Scatassa L. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo Keywords: antimicrobial resistance, mastitis, S. aureus Abstract Antimicrobial agents are commonly used in dairy farm to control bacterial infections in lactating sheep. Antimicrobial resistance of clinical Staphylococcus ( N. 95 S. aureus and N. 3 S. intermedius ) isolated from ovine mastitis and intended to produce vaccines was investigated by disk diffusion method. 12 antibiotics among those used in livestock were tested. All the strains were susceptible to vancomycin, enrofloxacin, gentamycin and cefotaxime. 16 (16,3%) out of 98 strains showed resistance to two of the antimicrobials tested. The highest resistance rate was found against penicillin group (37,8%) and tetraciclyne (21,4%). The finding of high antibiotic resistance to penicillin and tetracycline is likely to be related to the selective pressure exerted by the antimicrobial treatment. Preliminary data on a monitoring project are reported. vancomicina (VA 30µg). I controlli di qualità sono stati effettuati con il ceppo di riferimento S. aureus ATCC® 25923. A partire da colture pure degli isolati in agar sangue, sono state preparate le sospensioni in soluzione fisiologica, di concentrazione pari a 0,5 dello standard McFarland. Le sospensioni sono state seminate entro 15 minuti tramite l’ausilio di un tampone sulla superficie di piastre di Mueller-Hinton agar. Una volta posti i dischetti di antibiotici sulla superficie dell’agar, le piastre sono state incubate a 35°C±1°C in aerobiosi per 24 ore. La lettura delle prove è stata eseguita manualmente tramite un calibro e per l’interpretazione delle misure degli aloni d’inibizione sono state utilizzate le tabelle del CLSI (2), determinando la categoria di appartenenza (Sensibile-Intermedio-Resistente). I ceppi che presentavano aloni d’inibizione borderline ed espressioni eterogenee di resistenza per l’oxacillina sono stati testati con i dischetti di cefoxitina (FOX 30µg). Introduzione Le mastiti stafilococciche rappresentano dal punto di vista sanitario ed economico una delle problematiche più insidiose, sia per le forme acute che per le forme subcliniche, responsabili di alterazioni quantitative e qualitative della produzione lattea, con conseguenti ripercussioni a livello della filiera lattierocasearia. I trattamenti antibiotici sono frequentemente impiegati e rappresentano un fattore di rischio per l’instaurarsi di resistenze batteriche multiple, a causa della pressione selettiva esercitata (1). Il presente lavoro riporta i dati preliminari di un’indagine sulla presenza e sulla diffusione di resistenze negli allevamenti ovini siciliani nei riguardi alcune molecole antibiotiche comunemente usate in zootecnia. Risultati e discussione Tutti gli stipiti sono risultati sensibili alla vancomicina, al cefotaxime all’enrofloxacina ed alla gentamicina.Le percentuali di resistenza più elevate, superiori a quelle riportate da altri Autori (6), sono state riscontrate per le tetracicline (21,4%) e per le penicilline (37,8%). Il 16% dei ceppi è risultato resistente ad almeno 2 diversi gruppi di antibiotici, penicilline e tetracicline. E’ stata riscontrata la presenza di resistenza all’eritromicina (4/98), in associazione con betalattamici e penicillina. (tabella 1). L’emergenza di tali resistenze potrebbe essere spiegata considerando l’uso diffuso di altre molecole appartenenti al gruppo dei macrolidi, come la tilosina, per il controllo dell’agalassia contagiosa. Per quanto riguarda l’oxacillina, non sono state rilevate resistenze fenotipiche, in quanto tutti i ceppi che esibivano resistenza, spesso con aloni borderline, sono risultati pienamente sensibili alle prove di conferma. Le frequenze e le tipologie di resistenza riscontrate sono probabilmente ascrivibili alla pressione selettiva esercitata dall’impiego diffuso di tetracicline e penicilline negli allevamenti zootecnici. Il rischio di diffusione e trasmissione di stipiti multiresistenti e le conseguenti implicazioni nella sanità pubblica, anche considerando la possibilità di fallimenti dei trattamenti terapeutici, richiedono l’attivazione di programmi sistematici di monitoraggio e sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dei ceppi batterici isolati da animali, al fine di ottenere dati sulla situazione epidemiologica del territorio siciliano e valutare il trend di resistenza nel tempo. La presente indagine è stata realizzata nell’ambito delle fasi preparatorie del progetto di Ricerca Corrente RC IZS SI 03/2009 (“Trend di antibiotico-resistenza nella filiera lattiero-casearia: studio dei profili genotipici e fenotipici di stafilococchi coagulasi positivi e negativi”). Materiali e Metodi Sono stati esaminati 98 stipiti (n. 95 Staphylococcus aureus, e n. 3 S. intermedius) provenienti da latte ovino, tamponi cutanei e mammari, collezionati negli anni 2002-2004 da 72 aziende delle province AG, CL, EN, PA, TP ed utilizzati per la preparazione di vaccino stabulogeno. Dopo l’esame colturale gli isolati sono stati identificati sulla base della morfologia delle colonie, emolisi, esame microscopico, test della catalasi, produzione di coagulasi e fermentazione del mannitolo. Le prove di sensibilità “in vitro” sono state eseguite con la metodica della diffusione in agar (Kirby-Bauer), utilizzando i seguenti antibiotici (Oxoid): amoxicillina/ac clavulanico (AMC 30µg), ampicillina (AMP 10µg), cefotaxime (CTX 30µg), clindamicina (DA 2µg), enrofloxacina (ENR 5µg), eritromicina (E 15µg), gentamicina (CN 10µg), ossitetraciclina (OT 30µg), oxacillina (OX 1µg), penicillina (P 10 UI), tetraciclina (TE 30µg), 240 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Bibliografia 1. Aarestrup F.M. (2005) Veterinary drug usage and antimicrobial resistance in bacteria of animal origin; Basic Clin Pharmacol Toxicol 96 (4):271-281 2. CLSI 2008- Performance Standards for Antimicrobial Disk and Dilution Susceptibility Tests for Bacteria Isolated from Animals; Approved Standard-third edition. CLSI Document M31-A3, Wayne, Pennsylvania, USA 3. Erskine R.J, Walker R.D., Bolin C.A., Bartlett P.C., While D.G. 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Tabella 1-Dati complessivi ceppi 2002-2004 N. ceppi R S Tot= 98 %R %S OX AMP AMC 8 37 14 90 61 84 P 37 61 TE 21 77 8,2 37,8 14,3 37,8 21,4 91,8 62,2 85,7 62,2 78,6 VA 0 98 E 4 94 ENR CN CTX 0 0 0 98 98 98 0 4,1 0 100 95,9 100 241 0 100 OT DA 21 2 77 96 0 21,4 2 100 78,6 98 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Determinazione di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) in Molluschi (Mytilus galloprovincialis) e Pesci (Trachurus trachurus) prelevati nell’area marina di taranto Esposito M.1, Urbani V. 1, Marigliano L.1, Seccia G.1, Casamassima F.2, Gesualdo G. 2, Mambelli P. 2, Nardelli V.2 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, via Salute, 2 - 80055 Portici Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, via Manfredonia, 20 - 71121 Foggia Keywords: PAHs, mussel, fish SUMMARY Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are ubiquitous environmental contaminants classified as carcinogenic. The Taranto’s sea is one of the most important mussel farming area in Italy but it is located near a great industrial pole identified as pollution source. A monitoring study of PAHs was carried out on mussel and fish samples, coming from Taranto’s sea (Mar Piccolo and Mar Grande) in the period between 2012-2013. The PAH concentration was determined by an HPLC-FLD method and the results were evaluated according to the maximum levels fixed by EU Commission for food products. Low levels of PAHs were found in mussel, none exceeding the maximum limits while in the fish, concentrations were always below the LOQ. The degree of food contamination in this area resulted very low and as such also the environmental pollution. INTRODUZIONE Gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) sono composti generati da processi di combustione incompleta di sostanze organiche durante lavorazioni industriali e attività civili. Le principali fonti di questi inquinanti sono il traffico autoveicolare ma anche navale, i sistemi di riscaldamento domestico e di cottura quali barbecue e affumicatura, ma il contributo più importante alla diffusione di IPA è fornito dagli impianti industriali del settore petrolchimico e siderurgico, dagli impianti di produzione di energia termoelettrica nonché da processi di incenerimento. Nell’ambiente, gli IPA risultano principalmente adsorbiti al particolato atmosferico, per cui sulla base della riconosciuta attività cancerogena per l’uomo del benzo[a]pirene (BaP) con il decreto legislativo 3 Agosto 2007, n. 152 sono stati fissati i valori obiettivo per il benzo[a]pirene (1 ng/m3), riferiti al tenore totale di inquinante presente nelle polveri PM10 (1). In considerazione della loro e sulla base dell’azione sinergica dimostrata (2), l’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato, come probabili (classe 2A) o possibili (classe 2B) cancerogeni per l’uomo, alcuni IPA. Pertanto, la Commissione Europea ha fissato dei tenori massimi per il BaP e per la somma di quattro IPA in alcuni prodotti alimentari tra cui i molluschi bivalvi (3). Riguardo alla loro produzione e diffusione, la zona marina di Taranto rappresenta un’area di elevato interesse ambientale, per la presenza di numerose e rilevanti fonti industriali di emissione di idrocarburi policiclici aromatici, tra cui spicca l’impianto siderurgico a ciclo integrale più grande d’Europa. L’emissione totale di IPA della provincia di Taranto è stimata essere circa il 75% dell’emissione dell’intera regione Puglia e il 23% dell’emissione nazionale (4). Taranto rappresenta anche una delle più importanti aree di molluschicoltura in Italia, e quindi la determinazione dei livelli di IPA nei mitili può costituire un valido sistema sia per la valutazione dell’inquinamento ambientale che della contaminazione degli alimenti, a garanzia e tutela della salute dei consumatori. Pertanto, oltre al monitoraggio ambientale garantito dagli Enti preposti, gli organismi di controllo hanno avviato un Piano di Monitoraggio anche per gli alimenti prodotti nell’area citata. In questo lavoro sono riportati i dati relativi alla determinazione di sei IPA, tra cui i quattro normati, in prodotti della pesca e mitili raccolti in alcuni siti dell’area marina di Taranto. MATERIALI E METODI L’indagine è stata effettuata su un totale di 39 campioni tra mitili (Mytilus galloprovincialis) e suri (Trachurus trachurus) prelevati dai Servizi Veterinari delle ASL di competenza territoriale, nel periodo compreso fra ottobre 2012 e luglio 2013. I campioni di pesci (n=5) sono rappresentativi del pescato giornaliero mentre i campioni di mitili (n=34) sono stati prelevati presso impianti di molluschicoltura, situati nell’area del golfo di Taranto. In Figura 1 sono evidenziate le aree di prelievo ossia: Mar Grande Nord Tarantola (14), Mar Piccolo Secondo Seno (13 ), Mar Grande Sud Tarantola (5), Mar Grande Lungomare (2), Mar Grande S. Vito (5), ed in parentesi è indicata la numerosità campionaria. Figura 1 – Aree di prelievo Tutti i campioni pervenuti presso l’Istituto Zooprofilattico della Puglia e Basilicata, sede di Foggia, sono stati sottoposti all’iniziale fase di pretrattamento e successivamente inviati all’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno di Portici, dove sono stati conservati a -20°C fino all’esecuzione delle analisi. Per la determinazione degli IPA è stato utilizzato un metodo di analisi in HPLC con rivelazione in fluorescenza (5), validato secondo i criteri di performance stabiliti dal Regolamento CE 836/2011 (6) e accreditato dall’Ente Accredia. Reagenti e materiali di riferimento I solventi cicloesano, etanolo 98% e acetonitrile (ACN) tutti di grado HPLC e i reattivi potassio idrossido (KOH) e sodio solfato anidro (Na2SO4) sono stati forniti dalla Ditta Carlo Erba (Milano, Italia) mentre l’acqua ultrapura è stata prodotta in laboratorio mediante un sistema Milli-Q (Millipore Corp., Bedford, MA). La cartucce Sep-Pak (500 mg/3 ml) Vac Silica sono state fornite dalla Waters (Milford, MA). Le soluzioni dei materiali di riferimento di benzo[a]anthracene (BaA), chrysene (Chr), benzo[b]fluoranthene (BbF), benzo[k] fluoranthene (BkF), benzo[a]pyrene (BaP), dibenzo[a,h] 242 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 anthracene (dBahA) standard a 10 µg/ml sono prodotte dalla Ditta Dr. Ehrenstorfer (Ausburg, Germany). Da queste soluzioni madre, per diluizione con ACN, è stata preparata la soluzione di lavoro a 0,1 µg/mL dei sei IPA. Procedimento Per la saponificazione, a 2 g di campione si aggiungono 10 ml di KOH 2N in etanolo, e si lasciano in bagnomaria a 80 °C per 2h. Il campione viene portato a temperatura ambiente, si aggiungono 10 mL di acqua ultrapura e si procede all’estrazione, ripetuta per tre volte, con l’aggiunta di 20 mL di cicloesano e successivo passaggio in centrifuga a 3000rcf per 5 minuti a 4°C. Si riuniscono le fasi organiche (circa 60 ml), e si filtrano su filtro di carta contenente solfato di sodio anidro. La soluzione si riduce a piccolo volume (circa 0,2 mL) mediante evaporatore rotante a 40°C. Si riprende il residuo con 3 mL ACN, si carica su Sep-Pak cartuccia pre-attivata con 3 mL ACN e si eluisce con 3 mL ACN. L’eluato viene portato a secco sotto flusso d’azoto alla temperatura di 50°C e quindi ripreso con 1 mL di ACN. L’analisi strumentale è stata effettuata utilizzando un sistema HPLC Waters con rivelatore FLD gestito dal software Empower. Per la separazione cromatografica è stata utilizzata una colonna Envirosep PP 125´3.2mm´5µm (Phenomenex), munita di precolonna C18 e termostatata a T = 25°± 2°C, secondo un programma di eluizione in gradiente con fase mobile costituita da Acqua e ACN a un flusso di 0,5 mL/min, con volume di iniezione di 50 µL. La rivelazione è stata eseguita in fluorescenza alle lunghezze d’onda di eccitazione λecc=294nm e di emissione λem=404nm. La determinazione quantitativa è stata effettuata mediante la tecnica della standard esterno, allestendo per ciascuna seduta analitica le rette di taratura mediante soluzioni di materiali di riferimento degli IPA a concentrazioni comprese fra 0,005 a 0,020 µg/mL. Validazione Il metodo sviluppato è stato ottimizzato e validato secondo i criteri di prestazione previsti dal Regolamento CE 836/2011. Il limite di quantificazione (LOQ) corrispondente a una concentrazione di 0,5 µg/kg è stato determinato per ciascun analita utilizzando un campione esente da contaminazione e fortificato con la miscela dei sei standard. La precisione del metodo è stata valutata attraverso il calcolo del coefficiente di Horrat per ciascun IPA alla concentrazione di 5,0 µg/kg, in condizioni di ripetibilità (r) e riproducibilità (R). In particolare, per lo studio di ripetibilità, sono stati analizzati cinque replicati di bianchi campione a due livelli di fortificazione (2,0 – 5,0 µg/kg), utilizzando la miscela dei sei standard alla concentrazione di 0,1 µg/mL. Per valutare la riproducibilità intralaboratorio, le sedute analitiche di precisione sono state eseguite sullo stesso campione, in giorni diversi, con operatori diversi, con lotti diversi di solventi e reattivi, in modo che la variabilità dei risultati fosse influenzata dal maggior numero di fattori possibili. Per l’accuratezza è stato calcolato il recupero medio per tutti i singoli IPA analizzati e le relative percentuali di recupero ottenute, rientrano nell’intervallo di accettabilità previsto dal Reg. 836/2011 (50-120%). La specificità è stata determinata verificando l’assenza di interferenti significativi, nell’intervallo di tolleranza massima pari a ± 2,5%, per le tecniche HPLC per i tempi di ritenzione degli analiti. RISULTATI E CONCLUSIONI Le concentrazioni di IPA determinate nei campioni di mitili analizzati sono riportate in tabella 1, espresse in µg/kg come media, valore minimo e massimo. I livelli di Benzo[a]pirene sono compresi tra il valore di LOQ (0,5 µg/kg) e 4,0 µg/kg, valore più alto riscontrato nel punto Lungomare presso il sito “Mare Grande Nord”. Il BaP è risultato presente in quasi tutti i campioni di mitili prelevati sia nella zona Nord che nella zona Sud del Mar Grande, mentre nel Mar Piccolo i valori riscontrati sono inferiori al LOQ. L’andamento dei dati conseguiti relativamente agli altri IPA, è sovrapponibile e confrontabile a quello del BaP. Tra i due IPA attualmente non normati, ma oggetto ugualmente della nostra indagine, il dBahA è risultato assente nella quasi totalità dei campioni mentre il BkF è presente in concentrazioni dello stesso ordine di grandezza degli altri analiti. In nessun campione di mitili i valori di benzo[a]pirene e della somma dei quattro IPA, sono risultati superiori ai tenori massimi fissati. Media Mediana Max Minimo B[a]A Chry 2,8 3,2 4,8 <0,5 2,3 2,1 4,2 <0,5 B[b] F 1,8 1,9 2,8 <0,5 B[k] F 1,2 0,8 4,0 <0,5 B[a]P dbB[ah]A sum 0,9 1,0 1,2 <0,5 4,2 3,6 12,4 <0,5 2,8 3,2 4,8 <0.5 Tabella 1. Livelli di IPA in µg/kg nei campioni di mitili (n=34) I valori di IPA e in particolare di BaP riscontrati nei mitili oggetto del presente lavoro, sono risultati inferiori a quelli riportati da Perugini (7) su mitili raccolti nel mare Adriatico e confrontabili con quelli riscontrati da Storelli (8) su campioni di mitili prelevati nell’area marina di Taranto. Per quanto concerne invece la presenza di IPA nei pesci, per i quali non esistono limiti normativi, le concentrazioni rilevate sono tutte inferiori al LOQ, a conferma di una scarsa contaminazione, attribuibile anche alla rapida metabolizzazione di tali contaminanti nel pesce fresco, senza conseguente accumulo nel muscolo. Al fine di confrontare i risultati conseguiti in questo studio mediante analisi in HPLC, gli stessi campioni sono stati analizzati anche in GC-MS/MS, previa purificazione con SPE-MIP. I dati conseguiti sono il risultato di un’indagine preliminare. In conclusione, se da un lato i dati ottenuti nel presente monitoraggio risultano inferiori ai limiti previsti dalle normative sugli alimenti, dall’altro lato hanno fornito una importante valutazione dell’inquinamento ambientale da IPA nell’area marina di Taranto, in quanto le matrici analizzate sono utili bio-indicatori per monitorare l’ esposizione umana. BIBLIOGRAFIA 1) Decreto legislativo 3 Agosto 2007, n. 152 (attuazione della Direttiva 2004/107/CE) G.U. 213 del 13/09/2007 2) Hermann, M. (1981). Synergistic effects of individual polycyclic aromatic hydrocarbons on the mutagenicity of their mixtures. Mutation Research, 90(4),399–409. 3) Regolamento della Commissione (EU) 835/2011 del 19 Agosto 2011. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 215/4 del 20/8/2011 4) ISPRA - Emissioni disaggregate a livello regionale, per macrosettore, per il 1990, 1995, 2000 e 2005: http://www. sinanet.apat.it/it/inventaria/disaggregazione_prov2005/3 5) Regolamento della Commissione (EU) 836/2011 del 19 Agosto 2011. Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea L 215/9 del 20/8/2011 6) Perugini M., Visciano P., Giammarino A., Manera M., Di Nardo W., Amorena M. 2007 Polycyclic aromatic hydrocarbons in marine organisms from the Adriatic Sea, Italy. Chemosphere 66: 1904-1910 7) Storelli MM, Marcotrigiano GO. Polycyclic aromatic hydrocarbons in mussels (Mytilus galloprovincialis) from the Ionian Sea, Italy. J Food Prot. 2001 Mar;64(3):405-9. 243 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 APPLICAZIONE DEL TRIAGE IN UN ISTITUTO ZOOPROFILATTICO – ANALISI, ENTRATA IN PRODUZIONE E RISULTATI PRELIMINARI Faccenda L., Pecorelli I., Berretta C., Biasini G., Capuccella M., Costarelli S., Olivieri E., Saccoccini R., Tonazzini S., Cenci T., Mingolla A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia Key words: triage, laboratorio analisi, Istituti Zooprofilattici ABSTRACT At Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche (IZSUM) emerged the need of a tool with features similar to the triage, commonly used to sort the patients of first aid unit and to assign to the samples in the reception a priority grade different form the time of arrival. The aim of this work is to describe the different stages that led to create a decision tree to be used in the reception, to codify workroom behavior and to start the production of a new function integrated with the IT system SIGLA 4.0. In addition, preliminary figures for the first three months of activity (June - August 2013) will be presented. INTRODUZIONE Il triage è un sistema di classificazione del livello di urgenza che viene comunemente utilizzato per smistare i pazienti del pronto soccorso ospedalieri ed in tutte quelle situazioni nelle quali non è possibile trattare simultaneamente un elevato numero di pazienti. Il grado di urgenza è determinato dai sintomi e dal quadro clinico del soggetto e classificato con un codice colore assegnato all’arrivo, dopo una prima valutazione da parte di personale professionale specificatamente formato allo scopo (1). Nel 2010 dai laboratori dell’ IZSUM nasceva l’esigenza di avere a disposizione uno strumento analogo al triage, che permettesse di attribuire ai campioni in accettazione un livello di priorità diverso dal semplice ordine di arrivo, determinato dall’ effettiva urgenza del responso analitico. Questo avrebbe permesso ai laboratori di conoscere con precisione il livello di urgenza di qualsiasi campione da analizzare, con conseguente adozione di comportamenti differenti nell’ordine di esecuzione dell’attività analitica e maggiore garanzia all’utente di rispetto dei tempi di risposta. Per realizzare questo strumento era necessario trasferire la logica del triage in un ambito in cui non era mai stato applicato. Ciò significava innanzitutto stabilire le modalità di applicazione ed i criteri per l’assegnazione delle priorità (diagramma di flusso) e, sulla base di queste, realizzare le modifiche al sistema informativo sanitario (SIGLA), affinché i campioni venissero accettati ed analizzati secondo la logica del triage. Per raggiungere questo obiettivo nel 2011 veniva costituito un gruppo di lavoro rappresentato da laboratoristi, informatici, responsabili delle accettazioni, responsabili della qualità e amministratore del sistema informativo sanitario, coordinati da Direttore Sanitario. Il presente lavoro ha come obiettivo principale quello di illustrare le varie fasi che il gruppo di lavoro ha seguito, dall’analisi alla realizzazione dell’applicativo. Inoltre vengono presentati alcuni dati preliminari relativi ai primi tre mesi di attività del triage nella sua versione definitiva. MATERIALI E METODI Qui di seguito vengono riportate le 4 fasi che hanno caratterizzato l’attività svolta. 1 - Valutazione delle esigenze e definizione dei comportamenti da adottare in accettazione ed in laboratorio: la prima attività del gruppo di lavoro ha riguardato la stesura del diagramma decisionale (Fig.1), cioè le indicazioni sulla base delle quali l’operatore dell’accettazione deve assegnare un codice di priorità. Contestualmente si è definito il comportamento del laboratorio in caso di conferimento di campioni con diverso codice di urgenza (Fig. 2). 2 - Analisi e realizzazione delle modifiche del sistema informativo SIGLA: sulla base dello studio effettuato nella prima fase, sono state analizzate le modifiche necessarie da apportare al sistema informativo SIGLA (2). La Ditta Produttrice (Krene S.r.l) ha modificato i moduli di accettazione campione e di presa in carico dell’esame da parte del laboratorio. In particolare nel modulo di accettazione e assegnazione esami operatori è stato inserito un radio group colorato per definire le diverse classi di urgenza: rosso, giallo, verde e bianco (in ordine di urgenza decrescente). Grazie a questo strumento l’operatore dell’accettazione, inserendo il codice corretto, attribuisce il codice di priorità previsto dal diagramma di flusso. Il livello di urgenza del campione viene anche riportato nel foglio di accompagnamento dei campioni al laboratorio, sotto forma di bollino del colore corrispondente al codice di priorità. Inoltre, la registrazione di una richiesta caratterizzata da un codice giallo o rosso comporta l’inoltro agli indirizzi dei responsabili di laboratorio di un messaggio mail di notifica dell’avvenuta accettazione di un campione per il quale si richiedono esami urgenti. Al fine di agevolare la messa in produzione dei campioni, in fase di produzione (laboratorio) nella maschera di assegnazione esami ad operatore è riportato il codice assegnato e le accettazioni vengono visualizzate in ordine di priorità. 3 - Fase di sperimentazione e criticità riscontrate: una volta installate le modifiche necessarie all’applicazione del triage, è iniziata una fase sperimentale in cui sono state coinvolte tutte le accettazioni dell’IZSUM e due laboratori della sede centrale (L. Contaminanti ambientali e L. Sierologia), che per la particolare natura delle analisi che svolgono potevano essere considerati laboratori pilota. Alla fine della fase di sperimentazione le criticità riscontrate hanno evidenziato: - errori di attribuzione dei codici di priorità in fase di accettazione: da ricondursi alla scarsa confidenza con la nuova funzione; - mancata attribuzione di codici bianchi: il sistema prevedeva l’attribuzione di default dei codici verdi, mentre per alcuni campioni (ricerche) il codice corretto è il bianco che consente di non considerare il tempo massimo di risposta; - necessità di cambiare la priorità in corso di analisi: quando il campione che è stato accettato con codice non prioritario diventa positivo in corso d’opera e necessita di ulteriori determinazioni analitiche da effettuare in altri laboratori, il responsabile del laboratorio dovrebbe essere avvertito della nuova urgenza che il campione ha assunto. 4 - Risoluzione delle criticità ed entrata in produzione del 244 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 triage modificato: sono state implementate alcune modifiche per risolvere il problema della mancata attribuzione dei codici bianchi e per la gestione del campione diventato urgente in corso d’opera. In particolare è stato aggiunto l’attributo “ricerca” al quesito diagnostico (motivo del prelievo) in modo che il sistema attribuisca alle accettazioni registrate con questa tipologia di quesiti il codice bianco di default. Per le altre accettazioni non urgenti invece, il codice attribuito automaticamente continua ad essere il verde. Per quanto riguarda il cambiamento dell’urgenza di un campione accettato senza priorità, la modifica in SIGLA permette al primo laboratorista di marcare l’urgenza del campione che deve essere inviato ad un altro laboratorio. Contestualmente alla marcatura dell’urgenza, il sistema invia una mail di segnalazione con oggetto “esami urgenti” al responsabile del laboratorio di destinazione del campione. Dal 1 giugno 2013, contestualmente all’entrata in produzione di SIGLA 4.0, le nuove funzionalità del triage vengono utilizzate nei moduli di accettazione e di produzione. RISULTATI E CONCLUSIONI: la versione definitiva del triage è attiva da un periodo troppo limitato per permettere una valutazione conclusiva della sua reale efficacia. Tuttavia, si può già affermare che le modifiche tecniche apportate in corso di sperimentazione hanno reso la funzione triage (integrata solo nella versione di SIGLA 4.0. dell’IZSUM), attinente e funzionale ad una realtà quale quella che si riscontra negli Istituti Zooprofilattici. Per quanto riguarda l’analisi dei dati del periodo (giugno-agosto 2013), una prima rappresentazione dell’attività mostra che su 157.863 analisi svolte i codici attribuiti sono così distribuiti: verdi 95%, bianchi 3.3.%, gialli 1.6% e rossi 0.1%. Si è inoltre cercato di valutare il rispetto del diagramma decisionale in accettazione (da cui deriva la corretta attribuzione del codice di priorità) e l’impatto della nuova funzione sui tempi di risposta in laboratorio. Da una prima analisi è emerso che le diverse sedi accettanti hanno un comportamento non ancora completamente uniforme, soprattutto nell’attribuzione dei codici gialli. Per quanto riguarda i tempi di risposta, i primi dati evidenziano che rientrano nei tempi stabiliti il 98% delle analisi con codice rosso ed il 98.2% di quelle con codice verde, mentre i codici gialli conformi ai tempi di risposta sono l’88.8%. In conclusione si può affermare che, dal punto di vista tecnico, la funzione del triage è ormai entrata nella prassi operativa delle accettazioni e dei laboratori e che non rappresenta più una criticità. Per quanto riguarda invece l’aspetto organizzativo, le criticità riscontate nell’attribuzione dei codici triage, evidenziano la necessità di rivedere insieme alle accettazioni l’approccio all’albero decisionale, in modo da rendere uniforme il comportamento di tutte le sedi accettanti. Inoltre, nei mesi futuri sarà fondamentale il monitoraggio costante dei dati, come è prassi per tutte le nuove funzionalità che modificano l’approccio alla gestione dei campioni. BIBLIOGRAFIA Kenneth V. I., John C. M., 2007, Triage in Medicine, 1. Part I: concept, history and types, Annals of emergency Medicine, Volume 49, p. 275-281 2. Nappo C., Pizzoni E., Manai R., Izzo P., Desantis E, Virdis A., Cenni G., Faccenda L., 2012, Utilizzo ed evoluzione di un sistema informativo per la gestione dei laboratori di analisi (SIGLA): Atti XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V., Sorrento, p. 36-37 Fig. 1: diagramma di flusso per l’attribuzione del codice triage Campione in accettazione Rosso SI Sospetto pericolo grave per la salute pubblica O Sospetto malattie a rapida diffusione SI NO Impatto mediatico SI Sospetto pericolo per la salute pubblica E matrice o analita/microrganismo ad alta deperibilità NO NO Prodotto in prossimità di scadenza O Sospetto pericolo per la salute pubblica/salute animale O Matrici deperibili per analisi microbiologiche O Accordi formalizzati col Cliente SI Giallo Verde NO SI Sequestro/Vincolo sanitario SI NO NO Allerta NO Campione per Ricerca IZSUM Bianco SI Fig. 2: comportamento del laboratorio in base ai diversi codici di urgenza Codice Significato del codice Cosa comporta per il laboratorio Rosso EMERGENZA Le attività di laboratorio in corso della linea analitica interessata vengono immediatamente interrotte per iniziare a processare il campione con codice rosso. Giallo Verde Bianco URGENZA URGENZA MINORE CAMPIONI DELLA RICERCA Il laboratorio interessato prende in carico il campione non appena terminate le attività analitiche in corso nella linea analitica interessata I campioni processati dal laboratorio interessato in ordine di accettazione, in assenza di campioni con codice rosso o giallo Autogestione del laboratorio, i campioni vengono gestiti come da accordi con il responsabile della Ricerca 245 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CASE REPORT: TUBERCOLOSI DA MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. HOMINISSUIS IN UN CANE DI RAZZA BASSET HOUND Ferraro G.1, Sandri C.2, Masserdotti C.3, Varello K.1, Zoppi S.1, Goria M.1, Perosino M.1, Dondo A.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino; 2 Med. Vet. Libero professionista, Vicenza; 3 Laboratorio Veterinario San Marco, Padova Keywords: tubercolosi aviare, M. avium subsp. hominissuis, Basset Hound SUMMARY We describe an integrated diagnostic pathway applied to diagnose a generalized avian tuberculosis in a Basset Hound dog. Certain breeds of dog, such as Basset Hound, appear to be predisposed to Mycobacterium avium infection, although the basis of this breed is unclear. Rapid diagnoses followed by an early and appropriate treatment are very important to improve the life expectancy of the animal affected by mycobacteriosis, as well as to reduce the potential zoonotic transmission of these microorganisms. INTRODUZIONE Mycobacterium avium subsp. hominissuis (MAH) è compreso nel Mycobacterium avium complex (MAC), un complesso di microrganismi a crescita lenta, con differenti gradi di patogenicità, spettro d’ospite e diffusione ambientale. Generalmente i cani sono poco sensibili all’infezione da parte di MAC, tuttavia alcune razze (Schnauzer nani, Basset Hound) sembrano essere maggiormente predisposte all’infezione. La malattia sembra essere dovuta a un deficit del sistema immunitario cellulo-mediato dell’ospite (1). Con la depressione del sistema immunitario, i micobatteri sopravvivono nel corpo dell’animale ospite e si moltiplicano nelle sue cellule istiocito-macrofagiche per l’incapacità dei fagociti di eliminarli. Comunemente l’infezione da MAC si manifesta con lesioni focali: gastroenteriche, respiratorie o cutanee, ma eccezionalmente può provocare anche una forma d’infezione disseminata con prognosi generalmente infausta. A oggi, molti aspetti legati all’infezione da MAH nel cane sono poco conosciuti. Una diagnosi e un trattamento precoce risultano essere molto importanti sia per migliorare le prospettive di vita dell’animale affetto da micobatteriosi sia per le implicazioni legate al potenziale zoonotico riconosciuto a questi microrganismi (MAC). Nel presente lavoro sono descritti i diversi aspetti clinici e diagnostici utilizzati per formulare una diagnosi di tubercolosi aviare generalizzata in un cane di razza Basset Hound. Il quadro clinico riferito era legato ad un grave deperimento organico associato ad aumento di volume di diversi distretti linfonodali, pertanto l’animale veniva sottoposto a una serie di esami e in particolare tramite l’esame citologico veniva emessa una diagnosi di micobatteriosi. E’ pertanto stata pianificata l’asportazione chirurgica di un linfonodo interessato per effettuare la diagnosi eziologica differenziale con l’applicazione di un protocollo diagnostico integrato basato su esami istolopatologici, batteriologici e biomolecolari. Inoltre sul ceppo isolato, al fine di individuare un protocollo terapeutico mirato, è stato eseguito un antibiogramma specifico per micobatteri. MATERIALI E METODI: Caso clinico e campionamento: un cane di razza Basset Hound (età 11 mesi, maschio intero) veniva presentato alla visita clinica per abbattimento, anoressia, dimagrimento e zoppia migrante. Il proprietario riferiva che il cane proveniva da un allevamento privato con annessa stabulazione di animali da cortile e che presentava tale condizione, seppur in modo intermittente, da diversi mesi. Ripetuti trattamenti con enrofloxacina portavano a transitori, parziali miglioramenti. Successivamente il quadro clinico si è complicato e il soggetto presentava a visita clinica dispnea, tachipnea, soffio labiale, respiro superficiale con 57 atti respiratori/minuto. Nell’approccio clinico è stata ripetuta una radiografia al torace con rilievo di versamento pleurico ed effettuata una TAC total body. Campioni linfonodali prescapolari (destro e sinistro), retromandibolare sinistro e popliteo destro sono stati prelevati mediante ago infissione per l’esecuzione dell’esame citologico a livello linfonodale; successivamente si è proceduto a biopsia escissionale del linfonodo popliteo destro per approfondimenti batteriologici. Il linfonodo, asportato in toto, seguendo le normali regole di asepsi chirurgica, è stato sezionato a metà: una parte posta a secco in un contenitore sterile e congelato immediatamente per l’esecuzione del protocollo microbiologico e biomolecolare per micobatteriosi; una parte fissata in soluzione di formaldeide al 4% per l’esame istologico. Esame citologico: eseguito su campioni linfonodali dopo fissazione all’aria e colorazione con metodica di Wright –Giemsa. Esame istopatologico: La porzione di linfonodo fissata è stata sottoposta alle procedure standard di inclusione in paraffina ed al taglio al microtomo di sezioni di 4±2 μ di spessore. Parte delle stesse è stata destinata alla colorazione con Ematossilina-Eosina (EE) e parte alla colorazione Ziehl Neelsen (ZN). I preparati istologici sono stati esaminati al microscopio ottico a ingrandimenti crescenti (10x, 20x, 40x). E’ stata eseguita colorazione specifica che ha previsto il passaggio a freddo in fucsina fenicata di Ziehl Neelsen (Bio-Optica Milano S.p.A.), previo trattamento delle sezioni con acido periodico 1% p/v. Per valutare l’idoneità della colorazione è stato utilizzato un linfonodo bovino confermato positivo all’esame colturale per M. bovis. I preparati istologici sono stati esaminati nell’intera sezione a ingrandimento 40x e valutati come positivi in base alla presenza di uno o più batteri alcool-acido resistenti. Esame batteriologico: il linfonodo è stato accuratamente privato di tessuto adiposo e connettivale prima di procedere con le fasi successive per l’esame colturale. Previo sminuzzamento, l’omogeneizzazione del campione avveniva in Stomacher: l’omogenato veniva suddiviso in due aliquote per essere sottoposto a due differenti metodi di decontaminazione: idrossido di sodio 2% e acido esadecilpiridinio 1,5% rispettivamente. Ciascuna aliquota decontaminata, dopo concentrazione in centrifuga, veniva seminata su una batteria di terreni selettivi che prevedeva: Stonebrink, Lowenstein Jensen Medium, Lowenstein Jensen w/o glicerina. L’incubazione avveniva per i primi 15 giorni a 37°C in atmosfera modificata con l’aggiunta di 5% CO2 e per il restante periodo a 37°C in atmosfera normale. Al fine di aumentare le probabilità d’isolamento di micobatteri a lenta crescita, l’esame batteriologico si considerava concluso a 60 giorni. Antibiogramma: la metodica consiste nella preparazione di una 246 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 sospensione batterica a densità nota (1x10^5 UFC/ml) secondo quanto riportato sulla norma CLSI M24-A (1) e all’inoculo di 50 µl di sospensione batterica in 10 ml di brodo Mueller-Hinton con OADC che viene successivamente dispensato in ogni pozzetto (100µl /pozzetto). Per permettere la lettura dell’antibiogramma senza l’ausilio di strumenti ottici, vengono aggiunti 10 µl /pozzetto di Alamar blue, un prodotto in grado di rendere visibile la crescita batterica. Per evitare l’evaporazione dell’inoculo, le piastre vengono ricoperte da un foglio plastico adesivo. Le piastre così preparate vengono incubate per 7 giorni a 37°C, fino a quando il pozzetto del controllo positivo non ha presentato una crescita visibile e si osserva un viraggio del colore da blu a fucsia. Le molecole testate sono contenute nel pannello commerciale SLOMYCO (Sensititre®, Trek Diagnostic Systems, Cleveland, Ohio, USA): streptomicina (0,5-64 µg/ml), ethionamide (0,3-20 µg/ml), etambutolo (0,5-16 µg/ml), amikacina (1-64 µg/ml), ciprofloxacina (0,12-16 µg/ml), rifampicina (0,12-8 µg/ml), moxifloxacina (0,12-8 µg/ml) e claritromicina (0,06-64 µg/ml). I valori di MIC sono stati determinati per ciascun antibiotico testato sulla base del primo pozzetto che mantiene la colorazione blu, ciò indica la più bassa concentrazione di antibiotico in grado di inibire la crescita del ceppo batterico in esame. L’interpretazione delle MIC è stata effettuata in accordo con quanto riportato in bibliografia (2,5,8), tuttavia il dato di MIC per MAC interpretabile è, in particolare, quello relativo alla claritromicina . Identificazione e tipizzazione molecolare: il ceppo isolato è stato identificato e tipizzato per via molecolare. Previa inattivazione, il DNA è stato estratto mediante trattamento termico e analizzato per l’identificazione di specie mediante Multiplex PCR, variazione “in house” del metodo descritto da Kulski et al. (4) e da Sinclair et al. (6). Il ceppo, identificato in questo modo come M. avium, è stato quindi sottoposto ad analisi per la presenza della regione IS901 (143 paia di basi) e della regione IS1245 (472 paia di basi) al fine della differenziazione di sottospecie in M. avium subsp. avium / M. avium subsp. hominissuis (7-3). RISULTATI E CONCLUSIONI All’esame clinico il soggetto si presentava cachettico con tonicità muscolare, stato d’idratazione, mucose apparenti, caratteri del polso e del respiro nella norma. Si riscontrava ipertermia (39,8°C) e linfoadenomegalia generalizzata, più pronunciata a livello di linfonodi sottomandibolari e prescapolari, con dolorabilità alla palpazione. In considerazione del quadro clinico si decideva di eseguire un esame citologico a livello di linfonodi prescapolare, retromandibolare e popliteo. L’esame evidenziava l’esfoliazione, su fondo diffusamente detritico modicamente ematico, di elementi linfoidi polimorfi, dominati da piccoli linfociti maturi od in maturazione, associati a massiccia componente infiammatoria, rappresentata da granulociti neutrofili segmentati e da macrofagi, singoli od in aggregati di dimensioni variabili con aspetto epitelioide. La componente macrofagica manifestava frequente attività di fagocitosi di batteri bastoncellari a profilo acromatico, morfologicamente riferibili ad agenti del genere Mycobacterium spp. Il quadro citologico imponeva pertanto una diagnosi differenziale per stabilire l’esatta eziologia. Si procedeva quindi all’asportazione chirurgica di un linfonodo popliteo al fine di applicare un protocollo diagnostico integrato per identificare e caratterizzare l’agente eziologico. Con il peggioramento del quadro clinico, l’esame tomografico e radiologico eseguito rilevava a livello toracico la presenza di abbondante versamento pleurico bilaterale (figura 1). Il quadro istopatologico riferiva che la normale architettura del linfonodo appariva quasi completamente alterata da un diffuso infiltrato di cellule epitelioidi e macrofagi con foci di granulociti neutrofili. Si osservavano inoltre aree di fibrosi. A livello intracellulare erano presenti numerosi bastoncelli alcool-acido resistenti positivi alla ZN confermando un quadro compatibile con linfadenite granulomatosa diffusa da micobatteri. Per definire le possibilità di eseguire una terapia mirata e per avere elementi in riferimento alla prognosi dell’animale si procedeva ad esami batteriologici che evidenziavano la crescita di colonie batteriche acido-alcool resistenti. Il ceppo, mediante tecniche molecolari, veniva identificato come M. avium e successivamente tipizzato come Mycobacterium avium subsp. hominissuis per la presenza della sequenza IS1245 e l’assenza dell’elemento di inserzione IS901(3) (figura 2). Al fine di realizzare il possibile trattamento terapeutico veniva eseguito un antibiogramma e il ceppo risultava sensibile alla Claritromicina e Moxifloxacina. Il trattamento farmacologico con la due molecole individuate portava ad un netto miglioramento, dopo pochi giorni, delle condizioni generali, aumento dell’appetito e diminuzione graduale del versamento pleurico. Il presente lavoro rappresenta pertanto un contributo per affrontare, in modo integrato nei diversi aspetti clinici, laboratoristici e terapeutici, patologie a carattere zoonotico da M. avium che sempre più frequentemente sono diagnosticate nell’uomo e negli animali, compresi gli animali d’affezione che rappresentano un possibile rischio di infezione. Figura 1 - Proiezione radiografica LL torace, dove si nota versamento pleurico Figura 2 - Simplex PCR per IS901 e IS1245 del ceppo isolato. In posizione 1 ceppo M. avium; in posizione 2 ceppo di riferimento MAA, in posizione 3 ceppo di riferimento MAH, in posizione 4 controllo negativo 247 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. Campora L, Corazza M, Zullino C, Ebani VV, Abramo F, 2011. Mycobacterium avium subspecies hominissuis disseminated infection in a Basset Hound dog. J Vet Diagn Invest.; 23(5):1083-7 2. Deshpande D, Srivastava S, Meek C, Leff R, Hall GS, Gumbo T., 2010. Moxifloxacin pharmacokinetics/pharmacodynamics and optimal dose and susceptibility breakpoint identification for treatment of disseminated Mycobacterium avium infection. Antimicrob Agents Chemother. 54(6):2534-9 3. Guerrero C, Bernasconi C, Burki D, Bodmer T, Telenti A, 1995. 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Key words: Stenurus globicephalae; Crassicauda grampicola; Grampus griseus Abstract Stenurus globicephalae (Nematoda: Pseudalidae) and Crassicauda grampicola (Nematoda: Spirurida) were found in the pterygoid sinuses of two Risso’s dolphins, Grampus griseus (G. Cuvier, 1812), stranded on the coast of Tuscany in 2012. The gross lesions of two animals showed catarrhal sinusitis of paranasal sinuses, thickening and hyperaemia of meninges. These lesions were linked to the presence of these parasites. S. globicephalae has been already reported in Risso’s dolphin intestine as accidental event. The present report confirms the presence of this parasite in the pterygoid sinuses of this marine mammal. Pterygoid parasitism can be an important factor in natural mortality because of proximity of the ear and the brain. The presence of these two parasites could have contributed to the stranding of the two Risso’s dolphins. Introduzione In generale la presenza di parassiti in cetacei spiaggiati è rilevamento frequente e non viene attribuita ad essa un ruolo determinante nella morte dell’animale (2). Gravi lesioni o mortalità nei cetacei possono essere spiegate in presenza solo di determinate condizioni: patogenicità del parassita, alta carica parassitaria, stato di salute dell’ospite e competizione con altri patogeni (2). I grampi, Grampus griseus (G. Cuvier, 1812), sono cetacei odontoceti distribuiti in tutto il mondo nelle aree temperate e tropicali incluso il mar Mediterraneo. Non esistono però stime sulla popolazione presente in Italia (10). Alcuni parassiti che infestano G. griseus possono avere gravi effetti sulla salute di questi animali (1). Uno di questi è Crassicauda grampicola (Nematoda: Spirurida) con localizzazione a livello dei seni pterigoidei e dei condotti uditivi di G. griseus. Questo parassita causa erosioni dell’osso pterigoideo e per la sua localizzazione in prossimità dell’orecchio e del cervello è stato ipotizzato come causa di mortalità (9). La stenurosi, malattia causata da Stenurus spp. (Nematoda, Pseudaliidae) è un’altra parassitosi ritenuta causa di mortalità nei delfini (7, 12). In genere, le forme adulte degli Pseudaliidi provocano infiammazioni granulomatose nei polmoni dei cetacei (broncopolmonite verminosa) e le larve focolai di polmonite purulenta acuta o subacuta. Per quanto riguarda le specie di Stenurus che si localizzano nei polmoni, nei seni aerei (S. globicephalae) e nel sistema uditivo, queste determinano lievi risposte infiammatorie nei bronchi e bronchioli, lievi infiammazioni croniche non purulente con ispessimento della mucosa dei seni e raramente sinusiti purulente a livello sia dei seni craniali sia dell’orecchio medio (3, 12). In particolare questi parassiti, spesso presenti in ampio numero, sono stati associati con l’ostruzione dei dotti uditivi e con lesioni ossee, giustificando l’ipotesi che tale parassitosi possa rappresentare 248 una causa potenziale di spiaggiamento degli Odontoceti (7, 12). Nel presente studio viene descritta l’infestazione da C. grampicola e S. globicephalae in due esemplari G. griseus sia dal punto di vista anatomopatologico che parassitologico Figura1: Grampus griseus Materiali e metodi In data 15 aprile 2012, sulla spiaggia di Viareggio (LU) (coordinate geografiche 43,885 N 10,229 E) sono stati rinvenuti due esemplari di grampo. Un soggetto era ancora in vita ma in gravissimo stato di sofferenza, pertanto si è resa necessaria l’eutanasia effettuata dal Servizio veterinario della USL 12 Versilia. Sugli animali è stato effettuato l’esame necroscopico in accordo al protocollo previsto dalla Ricerca corrente 2010 (IZS PLV 16/10RC). Per entrambi i soggetti è stata compilata la relativa scheda di segnalamento. Sono stati effettuati prelievi da organi e tessuti per indagini istologiche, microbiologiche, virologiche, parassitologiche, tossicologiche e genetiche. I parassiti raccolti e conservati in alcool sono stati esaminati al microscopio ottico (Axioskop 2, ZEISS) previa chiarificazione in lattofenolo. L’identificazione è stata effettuata confrontando le chiavi morfometriche disponibili (4, 12). Per l’esame istologico, porzioni dei principali organi sono state fissate in formalina al 10 %, incluse in paraffina, sezionate a 4 μm e colorati con ematossilina-eosina. Figura 2: encefalo e seni pterigoidei Risultati L’esemplare deceduto (G1) presentava uno stato di nutrizione scarso, con un peso e una lunghezza rispettivamente di 300 kg e 320 cm e uno stato di conservazione pari a 2 (6) (Fig. 249 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 1). L’esemplare soppresso (G2) presentava buono stato di nutrizione (peso 400 kg, lunghezza 305 cm, blubber 2,8 cm) ed entrambi erano di sesso femminile (Fig. 1). All’esame anatomopatologico, entrambi i soggetti presentavano una sinusite catarrale associata ad infestazione da nematodi a livelli dei seni paranasali pterigoidei (Fig. 2), con contestuali ispessimento ed iperemia delle meningi e plessi corioidei che apparivano altresì edematosi (Fig. 2). Inoltre erano evidenti quadri infiammatori dell’apparato gastrenterico e dell’apparato genitale questi ultimi caratterizzati da fenomeni erosivo-ulcerativi. Infine a livello del sistema nervoso centrale (SNC) si notava la presenza di estese aree di fibrosi meningea multifocale con occasionali macrofagi. Gli ulteriori rilievi necroscopici sono indicati in Tabella 1. I nematodi localizzati nei seni sono stati identificati come C. grampicola e S. globicephalae. Le crassicaude studiate avevano una lunghezza tra i 12 e 19 cm e le femmine erano caratterizzate da una estremità posteriore lunga mediamente 2 mm e delimitata da una caratteristica strozzatura, in corrispondenza della quale si trovava l’apertura vulvare. I nematodi appartenenti al genere S. globicephalae misuravano tra 3,5 e 5 cm; i maschi erano caratterizzati da una piccola borsa caudale con raggi corti e tozzi e una coppia di spicoli, lunghi 139-145 μm, curvati e con estremità prossimali appuntite. Le femmine terminavano con una estremità tronca, l’apertura vulvare sita a breve distanza da quella anale (59 μm) presentava una dilatazione cuticolare discoide (Fig. 3) Figura 3: estremità posteriori di S. globicephalae Conclusioni S. globicephalae è riportato in diverse specie di cetacei tra cui Globicephala sp., Pseudorca crassidens, Peponocephala electra (8, 11, 12). Nei grampi, S. globicephalae è già stato riportato in letteratura da Fernández e collaboratori (2003) in un soggetto spiaggiato lungo le coste Spagnole (5). In quell’occasione S. globicephalae è stato rinvenuto a livello intestinale. Il sito di infestazione era stato considerato accidentale in quanto se il parassita è molto abbondante a livello dei seni può essere ingerito accidentalmente dall’ospite (5). Il ritrovamento di S. globicephalae nei due grampi esaminati conferma l’infestazione e la localizzazione per la prima volta di questo parassita a livello dei seni pterigoidei di G. griseus. La patogenicità di Crassicauda spp. a carico dei nervi e dei seni craniali con erosione della parete ossea nel grampo (9, 13) giustificherebbe l’origine delle lesioni osservate a livello del SNC. In conclusione, non è da escludere che la congiunta infestazione da S. globicephalae e C. grampicola abbiano contribuito allo spiaggiamento dei due animali. Bibliografia 1. 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Zylber M.I., Failla G., La Bas A. 2002 Stenurus globicephalae Baylis et Daubney, 1925 (Nematoda: Pseudaliidae) from a false killer whale, Pseudorca crassidiens (Cetacea : Delphinidae), stranded on the Coast of Uruguay. Mem. Inst. Oswalo Cruz, Rio de Janeiro, 97 (2): 221-225 13. Zucca P, Di Guardo G, Pozzi-Mucelli R, Scaravelli D, Francese M. 2004. Use of computer tomography for imaging of Crassicauda grampicola in a Risso’s dolphin (Grampus griseus). J Zoo Wildl Med., 35 (3): 391-4. 250 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella n 1: Lesioni anatomopatologiche nel grampo deceduto (G1) e nel grampo soppresso (G2) Grampus griseus (G1) Grampus griseus (G2) Organi e tessuti Lesioni Lesioni Cute e annessi cutanei Elementi parassitari (Pennella sp.), edema gelatinoso della fascia superficiale, banda iperemica nello spessore del blubber Ndr Muscolatura assiale Marcata atrofia Ndr Cavità addominale Formazioni nodulari riferibili a larve merocercoidi di cestodi a carico della sierosa e dei mesi, neoformazione cistica peduncolata a carico dell’omento Apparato respiratorio Sinusite catarrale parassitaria, degenerazione cistica grave della tonsilla laringea, edema polmonite fibrinosa, linfadenopatia Apparato gastroenterico Gastroenterite catarrale diffusa acuta, fegato e pancres diffusamente iperemici Gastroenterite catarrale diffusa grave con meteorismo, fegato e pancres diffusamente iperemici Milza Diffusa iperemia con numerose milze accessorie Diffusa iperemia Tessuti linfoidi Linfonodi aumentati di volume, iperemici ed edematosi Linfonodi aumentati di volume, iperemici ed edematosi SNC Aree di ispessimento biancastro del tessuto meningeo alternate ad aree iperemiche, plessi corioidei diffusamente iperemici ed edematosi Aree di ispessimento biancastro del tessuto meningeo alternate ad aree iperemiche, plessi corioidei diffusamente iperemici ed edematosi Apparato genitale Utero dilatato e flaccido, edema grave e diffuso Utero dilatato e flaccido, edema grave e diffuso dell’endometrio, di colore rosso-violaceo, dell’endometrio di colore rosso-violaceo, cervice lesione ulcerativa con fondo verdastro in vagina pervia con fuoriuscita di materiale in vagina 251 Modico versamento siero-emorragico, numerose cisti riferibili a larve merocercoidi di cestodi Sinusite catarrale parassitaria, noduli polmonari XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI EFFETTUATI SU ALIMENTI DI ORIGINE VEGETALE PRESSO L’IZS PLV NEL PERIODO 2009-2012 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1. Determinazioni e norme di riferimento Gruppo Galleggiante Crisafulli A., Vencia W., Decastelli L., Abete M.C., Brusa F., Pistone G., Ferrari A., Ercolini C., Caramelli M., Chiavacci L., Barbaro A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Key words: vegetables, contaminant, pathogen Abstract Since 2008 (GU 197 of August 23, 2008) Italian Ministry of Health officially charged II.ZZ.SS. of the official control of foodstuffs of vegetable origin, for chemical, microbiological and radioactive analyses. The present work presents the results of analyses carried out at the IZS PLV in the frame of official control activity on vegetable foodstuffs, in the period 2009-2012. 704 samples were analysed and a total of 5085 tests were performed. Among samples, fresh-cut ready-to-eat vegetables were frequently collected (48.9%) followed by vegetable and fruit preparations (21.9%); fresh fruits, vegetables and frozen vegetables were less frequently (1.1%) delivered to laboratory for analyses. High percentage (91.4%) of required analyses were represented by microbiological investigations, while only 1.7% were virological and chemical. In 4 samples (1 basil and 3 fresh-cut ready-to-eat vegetables) pathogen or potentially pathogen bacteria were isolated. Introduzione I prodotti di origine vegetale sono, nell’immaginario collettivo, correlati all’ambiente naturale, all’idea di campagna incontaminata e pertanto godono presso il consumatore di una maggiore fiducia rispetto agli alimenti di origine animale. Negli ultimi anni il consumo dei vegetali di IV gamma è aumentato per la loro praticità di utilizzo. Infatti, come prodotti pronti al consumo si prestano ai ritmi di lavoro e ai nuovi stili di vita, permettendo un notevole risparmio di tempo (5) I vegetali di IV gamma si distinguono dai prodotti freschi in quanto devono essere conservati a temperature basse (0-4°C); sono imballati in contenitori dotati di specifiche caratteristiche negli scambi gassosi; presentano una shelflife compresa tra i 5 e gli 8 giorni; presentano caratteristiche microbiologiche definite per legge. Il Reg. CE 2073/2005 e ss.mm.ii. stabilisce per tali prodotti dei limiti microbiologici che mirano a valutare l’igiene di processo di lavorazione del prodotto e i criteri di sicurezza alimentare. La destinazione al consumo diretto, rendono sicurezza e igiene requisiti qualitativi fondamentali dei prodotti di IV gamma e un fattore determinante per la commercializzazione. Nel documento ”Microbiological hazard in fresh fruit and vegetables”, pubblicato da WHO e FAO nel 2008 vengono identificati differenti livelli di priorità rispetto al rischio di contaminazione dei prodotti vegetali. Il livello 1 di priorità è rappresentato dalle verdure a foglia larga; il livello 2 di priorità dai frutti di bosco, cipolle, meloni e semi germogliati e il livello 3 di priorità è rappresentato da ortaggi poco implicati in episodi tossinfettivi (6). Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento di epidemie dovute al consumo di prodotti di origine vegetale: il “European Union Summary Report on trends and sources of zoonoses, zoonotic agents and food borne outbreaks 2009” riporta che 43 (4.4%) delle epidemie occorse era dovuta al consumo di frutta e vegetali in particolare lamponi surgelati contaminati da Norovirus (3); nel maggio 2011 in Germania è esplosa un’epidemia causata dal consumo di germogli di soia contaminati da E. coli O104:H4 che ha provocato la morte di oltre 50 persone (2); nel settembre 2011 negli USA un’epidemia di listeriosi dovuta al consumo di meloni cantalupo contaminati ha registrato 29 morti. Inoltre, la recente epidemia di epatite A dovuta al consumo di frutti di bosco surgelati contaminati (7) ha innalzato il livello di guardia su questa tipologia di prodotti. Il rischio non è legato solo alla contaminazione batterica e virale, ma anche chimica in quanto i raccolti agricoli possono essere esposti a sostanze tossiche legate alla contaminazione dell’acqua e all’utilizzo improprio di fitofarmaci. Il Decreto del Ministero della Salute del 27 febbraio 2008 (GU 197 del 23 agosto 2008) ha ufficialmente demandato agli II.ZZ.SS. il controllo ufficiale degli alimenti di origine vegetale non trasformati per le analisi chimiche, microbiologiche e radioattive, indicando i tempi per l’adeguamento di strutture e risorse strumentali e per la programmazione del piano di controllo. Con il presente lavoro si descrivono i risultati delle analisi effettuate presso l’IZS PLV nell’ambito del controllo ufficiale sugli alimenti di origine vegetale nel periodo 2009-2012. Materiali e Metodi I campioni sono stati prelevati nel periodo 2009-2012 presso esercizi di commercializzazione presenti sul territorio di competenza dell’IZS PLV. L’attività di prelievo è stata compiuta dai Servizi Veterinari (SVet), dai Servizi Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) e dai Nuclei Antisofisticazione e Sanità (NAS). Sono stati campionati anche prodotti all’importazione (PIF). Presso i laboratori dell’IZS PLV sono state eseguite analisi batteriologiche per la ricerca e il conteggio di patogeni e germi indicatori; analisi per muffe, lieviti e filth test (queste ultime eseguite su campioni indipendenti o contestualmente ad alcune analisi batteriologiche). Su alcune tipologie di prodotti il set analitico prevedeva la ricerca di virus enterici quali Epatite A e Norovirus. Le analisi chimiche sono state dirette ai metalli pesanti (Pb, Cd, Cr, As, Hg), alcuni campioni sono stati analizzati per Sudan. La maggior parte delle metodiche utilizzate sono validate e accreditate (ACCREDIA) e condotte in accordo alle norme ISO, per altre determinazioni sono stati impiegati metodi che hanno seguito un protocollo di validazione interno. La successiva tabella 1 riporta il quadro riepilogativo. 252 Determinazione Anaerobi solfito riduttori B. cereus Ca mpylobacter termofili Ca rica mesofi la Cl . botulinum Cl . perfringens Co liformi E. coli O157 e altri STEC Analisi batteri ologiche E. coli �-glucuronodasi positivi Enterobatteri L. monocytogen es Salmonella sp p Stafilococchi coagulasi positivi Y. enterocolitica Arsenico Ca dmio Cro mo Analisi chimiche Mercurio Piombo Sudan Analisi virologiche Epatite A No rovirus Filth test Altre an alisi Lieviti e Muffe Aw pH sulle produzioni per i noti rischi di accumulo dei metalli pesanti nell’organismo e per gli effetti cancerogeni e genotossici del sudan che è stato bandito dalla Decisione CE 402/2005. Norma di riferimento ISO 15213 :2003 ISO 7932:2004 ISO 10272 -1:2006 ISO 4833:2003 CNRB POMIAC ISO 7937:2005 ISO 4832:2006 ISO 13136 :2011; AFNOR BIO 12/8-07/00; EU-RL POMIZA ISO 16649 -2:2001 ISO 21528 -2:2004 Tabella 2. Campioni prelevati e analisi eseguite Tipo campione Erbe aromatiche fresche % % campioni N. anali si N. sul sul ca mpioni analisi totale totale 32 4,5 204 4,0 Erbe aromatiche secche Frutta fresca Frutta secca essiccata o to stata ISO 11290 -1/-2 qualitativo e quantitativo, PCR AFNOR BRD 07/10 -04/05, ELFA AFNOR BIO 12/11-03/04 7,8 493 9,7 1 0,1 7 0,1 10 1,4 36 0,7 Legumi radici e tuberi non p reparati 1 0,1 2 0,0 Ortaggi a bulbo non preparati 2 0,3 39 0,8 154 21,9 685 13,5 85 12,1 685 13,5 48,9 2 .852 56,1 Ortaggi e frutta prepa rati ISO 6579, PCR AFNOR BRD 07/06-07/04,AFNOR ABI 29/01-09/07, ELFA AFNOR BIO 12/10-09/02 ISO 6888- 2:1999/Amd 1:2003 ISO 10273 :2003 Metodo inte rno - AAS Metodo inte rno - ICP-MS Metodo inte rno - ICP-MS Metodo inte rno - DMA8 0 Metodo inte rno - ICP-MS Metodo inte rno - HPLC Metodo inte rno: RTHemine sted PCR Draft CEN/TC275 WG6 N 465 AOAC 955.46; 960.51; 974.33 ISO 21527 -1/-2:2008 ISO 21807 :2004 MF HPB - 03 55 Spezie Vegetali di IV gamma Vegetali surgelati Verdure a foglia non preparate Totale 344 6 0,9 37 0,7 13 1,8 45 0,9 100,0 5 .085 100,0 704 Tabella 3. Tipologie di analisi eseguite Gruppo N. analisi Analisi batteriologiche Altre a nalisi * Analisi chimiche Analisi virologiche Totale 4.647 353 60 25 5.085 % analisi sul totale 9 1,4 6,9 1,2 0,5 10 0,0 * Lieviti , Muffe, Filth test, Aw e pH Risultati e conclusioni Nel periodo 2009-2012 sono stati analizzati 704 campioni di origine vegetale sui quali sono state eseguite 50.085 analisi. I prodotti prelevati con maggiore frequenza sono stati i vegetali di IV gamma (344/704; 48,9%) seguiti da ortaggi e frutta preparati (154/704; 21,9%); frutta fresca, legumi e vegetali surgelati sono stati prelevati meno frequentemente (8/704, 1,1%) (dati in tabella 2). I dati riportati nella successiva tabella 3 evidenziano che il 91,4% delle analisi effettuate sono batteriologiche. Il numero di determinazioni chimiche e virologiche è invece molto basso, rispettivamente 1,2% e 0,5%. Le determinazioni batteriologiche eseguite su un totale di 623 campioni hanno evidenziato 4 campioni non conformi (1 basilico fresco e 3 vegetali di IV gamma) rispettivamente per S. Singapore, S. Blockley, L. monocytogenes e Y. enterocolitica biotipo 1A non patogena. Tali risultati (0,6% di campioni non conformi), fotografando un periodo temporale di 4 anni, mostrano che questa tipologia di prodotti gode di una buona sicurezza dal punto di vista batteriologico. I dati sulle analisi virologiche, 23 campioni analizzati in 4 anni suggeriscono di aumentare, alla luce delle recenti allerte, il livello di attenzione per questi rischi noti da sempre ma, fino ad ora, poco considerati nei piani di campionamento nazionale e regionali Per quanto riguarda le analisi chimiche (32 campioni analizzati) occorre ricordare che nel periodo considerato sono stati ricercati presso l’IZS PLV solo metalli pesanti e sudan; i risultati seppur favorevoli suggeriscono di mantenere un adeguato controllo Bibliografia 1) AIT Austrian Institute of Technology GmbH; Food of plant origin: production methods and microbiological hazards linked to food-borne disease. Reference: CFT/EFSA/BIOHAZ/2012/01 Lot 1 (Food of plant origin with high water content such as fruits, vegetables, juices and herbs). Supporting Publications 2013: EN-402. [253 pp.] 2) European Food Safety Authority; Urgent advice on the public health risk of Shiga-toxin producing Escherichia coli in fresh vegetables. EFSA Journal 2011; 9(6):2274. [50 pp.] doi:10.2903/j.efsa.2011.2274 3) European Food Safety Authority, European Centre for Disease Prevention and Control; The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2009; EFSA Journal 2011; 9(3):2090. [378pp.] doi:10.2903/j.efsa.2011.2090 4) Eurobarometro Speciale 354, Rischi associati agli alimenti. Sondaggio commissionato dall’“Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare”. Novembre 2010. 5) Lunati Fabio. Il mercato dei prodotti di “quarta gamma” in Italia. Informatore fitopatologico - giugno 2007 6) Microbiological hazards in fresh fruits and vegetables Food and Agriculture Organization of the United Nations World Health Organization 2008 7) Rapid outbreak assessment-update. Outbreak of HAV infection in Italy and Ireland, 09 July 2013. European Centre for Disease Prevention and Control, Stockholm, 2013 253 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SALMONELLA SPP. E LISTERIA MONOCYTOGENES IN prodotti a base di carne: Risultati dei controlli EFFETTUATI in PiemontE nel biennio 2011-2012 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino monocytogenes di questi 215 campioni (72,6%) con entrambi i metodi e 81 (27,4%) con metodica quantitativa. Complessivamente i campioni non conformi sono stati 41; 32 (10,8%) per L. monocytogenes analizzati con entrambe le metodiche (31/215 positivi solo all’analisi qualitativa ed 1/215 positivo ad entrambe) e 9 (3,2%) per Salmonella spp. (tabella 1). Key words: Listeria monocytogenes, Salmonella spp., meat products Tabella 1. Risultati prodotti a base di carne biennio 2011-2012 Galleggiante Crisafulli A., Bianchi D.M., Decastelli L., Monfardini S., Brusa F., Pistone G., Chiavacci L., Barbaro A. Abstract Regulation EC 2073/2005 amended by Regulation EC 1441/2007 lays down microbiological criteria for food, aimed to define the acceptability of a product or a process; among these, food safety criteria such as the detection of Salmonella spp. and the detection and enumeration of L. monocytogenes are included. This study shows the results of official sampling carried out to investigate the presence of L. monocytogenes and Salmonella spp., in meat products, in the period 2011-2012. Samples were collected by Piedmontese Veterinary Services and analyzed by Food Control Laboratories of Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Totally, 277 samples were analyzed for Salmonella spp. and 9 (3.2%) resulted non-compliant; 296 samples were tested for L. monocytogenes and in 32 (10.8%) L. monocytogenes was detected. L’obiettivo del lavoro è mostrare i risultati delle analisi eseguite per L. monocytogenes e Salmonella spp., sui prodotti a base di carne prelevati nell’ambito del controllo ufficiale in Piemonte nel periodo 2011-2012. Introduzione La produzione di carne è una delle principali attività in Europa e costituisce uno dei motori trainanti dell’industria alimentare italiana. Le principali tipologie di prodotti a base di carne sono quelli a base di maiale (48,7%), di pollame (23,6%) e di carne bovina (23,3%). I prodotti a base di carne rappresentano un substrato ideale per la crescita di diversi batteri patogeni. Fattori intrinseci come il pH e l’Aw influenzano la crescita e la sopravvivenza di tali microrganismi, che possono contaminare la carne attraverso le varie fasi della filiera produttiva (5). Batteri come L. monocytogenes, grazie alla capacità di formare biofilm sui piani di lavoro e sulle attrezzature, aumentano il rischio di contaminazioni crociate. A livello comunitario, il report EFSA 2011 riporta che le infezioni da Listeria nell’uomo continuano a diminuire (-7,8% rispetto al 2010), con 1.476 casi confermati. In Italia sono stati confermati 83 casi rispetto ai 95 del 2010. Nel 2011 è stato condotto uno studio di prevalenza di L. monocytogenes in talune categorie di prodotti pronti al consumo; il 2,1% di campioni di prodotti a base di carne prelevati negli esercizi di vendita sono risultati non conformi all’analisi qualitativa. Tuttavia il limite UE per la sicurezza alimentare (100 UFC/g) è stato superato solo nello 0,4% dei prodotti a base di carne (2). Sempre il report EFSA 2011 conferma la salmonellosi ancora la seconda malattia zoonotica segnalata nell’uomo nel 2011, con 95.548 casi. Salmonella spp. è stata riscontrata con maggior frequenza nella carne di pollo fresca, così come nella carne di pollo macinata e nei preparati a base di carne di pollo (1). Il Reg. CE 2073/2005 (3) integrato dal Reg. CE 1441/2007 (4) demanda ai produttori la responsabilità di fornire elementi utili a prevedere il comportamento di microrganismi potenzialmente patogeni e stabilisce per tali prodotti come criterio d’igiene di processo di lavorazione del prodotto la ricerca di Salmonella spp. e come criteri di sicurezza alimentare la ricerca di Salmonella spp. e la ricerca o il conteggio di L. monocytogenes (categoria alimentare 1.2, 1.3). Ricerca di L. monocytogenes Per quanto riguarda L. monocytogenes, il protocollo della regione Piemonte prevede che debbano essere eseguite entrambe le analisi (valutazione qualitativa della presenza del microrganismo e conteggio) se al momento del prelievo non è possibile accertare che il produttore sia in grado di dimostrare che il prodotto non supererà il limite di 100 UFC/g durante la shelf life. Se il campione non rappresenta terreno favorevole per la crescita di L. monocytogenes durante il periodo di conservabilità, si esegue l’analisi quantitativa. L’isolamento e l’identificazione di L. monocytogenes sono stati eseguiti come previsto dal Regolamento CE 1441/2007 secondo metodiche in accordo con le norme UNI EN ISO 11290-1:1996 e UNI EN ISO 11290-1:1996/Amendment 1:2004. Sui campioni si è inoltre proceduto alla numerazione di L. monocytogenes, secondo la norma UNI EN ISO 112902:1998/Amendment 1:2004. Materiali e metodi Nel biennio 2011-2012 sono stati prelevati, presso esercizi commerciali di piccole, medie e grandi dimensioni dai Servizi Veterinari e dai Servizi Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN) della regione Piemonte campioni di prodotti a base di carne per essere sottoposti alla ricerca di Salmonella spp. e alla ricerca e conteggio di L. monocytogenes. I prelievi sono stati eseguiti secondo le procedure previste nei piani di campionamento ufficiali, prevedendo 4 o 5 aliquote, ciascuna formata da una unità campionaria. Le analisi sono state eseguite presso i Laboratori Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Ricerca di Salmonella spp. Per i campioni sottoposti all’analisi per Salmonella spp., sono state utilizzate metodiche basate sul riferimento della norma ISO 6579: 2002/Corr. 2004. I campioni positivi sono stati avviati alla tipizzazione sierologica e le Salmonelle risultate appartenenti al sierotipo S. Typhimurium sono state inviate al Laboratorio Nazionale di Riferimento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Padova) per la fagotipizzazione. In questo lavoro il risultato considerato ai fini della classificazione del campione come conforme o non conforme è stato il risultato della prima analisi prescindendo, per L. monocytogenes dal tipo di analisi eseguita. Determinazioni L. monocytogenes Salmonella spp. N. campioni N. campioni % campi oni analizzati non conformi non conformi 296 32 10,8 277 9 3,2 Le successive tabelle 2 e 3 mostrano in dettaglio i risultati per le determinazioni considerate. Tabella 2. Biennio 2011-2012: campioni analizzati per L. monocytogenes Tipo campione Salame Prosciutto cotto Altri prodotti a base di carne Mortadella Prosciutto crudo Pancetta affumicata Bresaola N. campioni N. campioni % campioni analizzati non conformi non conformi 17,9 151 27 63 47 15 9 6 5 1 3 0 0 1 0 1,6 6,4 0,0 0,0 16,7 0,0 Tabella 3. Biennio 2011-2012: campioni analizzati per Salmonella spp. Tipo campione Salame Altri prodotti a base di carne * N. campioni N. campioni % campioni analizzati non conformi non conformi 136 8 5,9 57 1 1,7 Wurstel di pollame 48 Prosciutto cotto 28 Prosciutto crudo 8 * bresaola, mortadella, arrosto di tacchino, speck 0 0 0 0,0 0,0 0,0 Il prodotto maggiormente contaminato è risultato essere il salame (35/41; 85,4%): in particolare 27 campioni per L. monocytogenes (17,9%) e 8 per Salmonella spp. (5,9%). Tutti gli isolati di Salmonella sono stati sottoposti a sierotipizzazione con i seguenti risultati: S. Typhimurium (N=3); S. Typhimurium variante monofasica 1,4,[5],12:I:-. (N=5); S. Nchanga (N=1). La fagotipizzazione di S. Typhimurium ha evidenziato 1 fagotipo DT110 e 1 U302 mentre per un ceppo non è stato possibile stabilirlo. I nostri dati confermano che i prodotti a base di carne non sono quindi esenti da questi importanti rischi microbiologici. Occorre ricordare che la qualità dei prodotti a base di carne dipende dalla qualità delle materie prime utilizzate, dall’efficienza della tipologia di processo produttivo, dalla corretta conservazione del prodotto finito durante le varie fasi di deposito, trasporto e commercializzazione. Poiché sono prodotti trasformati, più di altri possono rappresentare un ottimo substrato per lo sviluppo di microrganismi anche patogeni. Alle ditte produttrici, il cosiddetto “Pacchetto igiene”, fornisce tutti gli strumenti per un’idonea gestione del rischio e in particolare all’Operatore del Settore Alimentare (OSA) affida la garanzia del rispetto dei requisiti di sicurezza per gli alimenti in regime di autocontrollo e l’obbligo d’informazione ai consumatori e alle autorità circa il rischio rilevato. Il fatto che il 72,6% di campioni siano stati analizzati per L. monocytogenes con entrambe le metodiche evidenzia come elemento di criticità la difficoltà a reperire in fase di prelievo le informazioni fondamentali che devono permettere la scelta dell’analisi appropriata. La scelta delle materie prime, il rispetto delle buone pratiche di produzione, adeguati programmi di pulizia e sanificazione e un attento controllo delle temperature di stoccaggio, sono azioni fondamentali nel prevenire la contaminazione del prodotto al fine di garantire il consumatore finale. Bibliografia 1. EFSA, (European Food Safety Authority), ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), 2013. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2011; EFSA Journal 2013,11(4):3129, 250pp. doi:10.2903/j.efsa.2013.3129. 2. European Food Safety Authority; 2013. Analysis of the baseline survey on the prevalence of Listeria monocytogenes in certain ready-to-eat (RTE) foods in the EU, 2010-2011 Part A: Listeria monocytogenes prevalence estimates. EFSA Journal 2013;11(6):3241, 75 pp. doi:10.2903/j. efsa.2013.3241 3. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 dicembre 2005: Reg. (CE) 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. 4. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 7 dicembre 2007: Reg. (CE) 1441/2007 della Commissione del 5 dicembre 2007 che modifica il Reg. (CE) 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. 5. Mataragas, M., Drosinos, E.H., Siana, P., Skandamis, P., Metaxopoulos, I., 2006. Determination of the growth limits and kinetic behavior of Listeria monocytogenes in a sliced cooked cured meat product: validation of the predictive growth model under constant and dynamic temperature storage conditions. Journal of Food Protection 69, 1312– 1321. Risultati e conclusioni Nel biennio 2011/2012 sono stati analizzati 277 campioni di prodotti a base di carne per Salmonella spp. e 296 per L. 254 255 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RICERCA DI RESIDUI DI AVERMECTINE E MILBEMICINE IN TESSUTI E LATTE: CONFRONTO TRA DIVERSE FASI STAZIONARIE PER LA PURIFICAZIONE DEL CAMPIONE XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 2 – Tempo di ritenzione degli analiti Tempo di ritenzione (min) ANALITA 7,4 EPRINOMECTINA 14,3 MOXIDECTINA 16,8 EMAMECTINA 19,8 ABAMECTINA 22,6 DORAMECTINA 27,2 IVERMECTINA Gamba V.1), Abete M.C.2), Borra A.1), Massafra S.2), Giomi A.2), Stella P.2), Dusi G.1), Gili M.2) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, Via Bianchi 7, 25124 Brescia 2) Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, 10154 Torino 1) Key words: avermectine, tessuti e latte, purificazione SPE SUMMARY Avermectins and milbemycins are antiparasitic agents widely used as veterinary drugs. The European Community established maximum residues limits (MRLs) in some foods and imposed their residue control to Member States. To detect their residues in foods of animal origin, liquid chromatography coupled to fluorimetric detection (HPLCFLD) proved to be effective due to its high sensitivity, good reproducibility and low cost. Most of Istituti Zooprofilattici Sperimentali use this analytical technique and related sample preparation methods for official analysis of avermectins and milbemycins. However it has been discovered a critical factor in SPE (solid phase extraction) purification step, which can be a source of serious risk for the analytical results: some lots of amino columns causing a total loss of ivermectin. The aim of this work is to compare the performances of anion-exchange cartridges with both silica and polymeric supports obtained from different firms. INTRODUZIONE Le avermectine e le milbemicine sono lattoni macrociclici, isolati da Streptomyces avermitilis e dotati di potente attività insetticida, acaricida ed antielmintica: appartengono a questa classe abamectina, eprinomectina, doramectina, emamectina e ivermectina, mentre la moxidectina è una milbemicina. Tali farmaci sono usati in medicina veterinaria per il trattamento sia di animali di allevamento che di animali da compagnia. A causa della tossicità mostrata ad alti dosaggi, l’Unione Europea, mediante il Regolamento 2010/37/EC, ha stabilito per queste sostanze dei limiti massimi residuali (LMR) in tessuti e latte ed ha imposto agli Stati Membri l’obbligo di inserire tale ricerca tra i controlli ufficiali previsti dal Piano Nazionale Residui (PNR) ed effettuati dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II.ZZ.SS.). Grazie alla elevata sensibilità, alla buona riproducibilità e al basso costo, la cromatografia liquida con rivelatore fluorimetrico (HPLC-FLD) risulta la tecnica strumentale ottimale per la ricerca e la determinazione quantitativa di avermectine e milbemicine (1,2); infatti le tecniche immunochimiche ELISA non sono in grado di rilevare tutti gli analiti, mentre le tecniche HPLC con rivelatore a spettrometria di massa tandem (LC-MS/MS) sono molto più costose. Recentemente è stato pubblicato uno studio relativo allo sviluppo e validazione di un metodo per la ricerca di avermectine (ivermectina, doramectina, abamectina, emamectina, eprinomectina) e milbemicine (moxidectina) in fegato, muscolo e latte mediante HPLC-FLD idoneo alla esecuzione di analisi sia di screening che di conferma nell’ambito dei controlli ufficiali (3). Durante le prove di trasferimento del metodo ad altri laboratori della Rete II.ZZ.SS. è emerso che un punto critico nella preparazione del campione è rappresentato dalla fase di purificazione SPE. Con alcuni lotti di colonnine SPE amminiche si verificava la perdita pressoché totale della ivermectina; è stata avanzata l’ipotesi che il problema fosse correlato alla presenza nella fase stazionaria silicea di metalli in grado di dare origine a chelati con il macrolattone. Per i laboratori che eseguono controlli ufficiali nell’ambito della sicurezza alimentare è di primaria importanza che il metodo di analisi utilizzato sia robusto, al fine di contenere i tempi di risposta. Il presente lavoro descrive i risultati di uno studio comparativo effettuato su colonnine SPE a scambio anionico di diverse ditte e con fase stazionaria sia silicea che polimerica. MATERIALI E METODI La procedura di analisi prevede le seguenti fasi: a) omogeneizzazione e pesata (5 g di tessuto e latte); b) estrazione con 2x10 ml di acetonitrile e 5 g di sodio solfato anidro in agitatore ad inversione per 10’; c) sgrassatura (2x5 ml di n-esano); d) evaporazione (10 ml di estratto sono evaporati in corrente di azoto a 60°C ed il residuo è sciolto in 200 ml di acqua + 2.5 ml di etile acetato); e) purificazione mediante filtrazione su colonnine SPE amminiche (500 mg); f) concentrazione (evaporazione in corrente di azoto a 55°C); g) derivatizzazione mediante aggiunta sequenziale di 400 ml di acetonitrile, 100 ml di miscela 1-metilimidazolo / acetonitrile (1 + 1 v/v), 50 ml di trietilamina, 150 ml di miscela anidride trifluoroacetica / acetonitrile (1 + 2 v/v), 50 ml di acido trifluoroacetico e incubazione in stufa a 70°C per 30 minuti; h) analisi strumentale HPLC-FLD condotta secondo le condizioni analitiche riportate in tabella 1. L’ordine di eluizione degli analiti è riportato in tabella 2. Tabella 1 – Condizioni analitiche HPLC 256 Colonna Precolonna Temperatura forno Volume di iniezione Flusso Stop time Detector FLD Gain Eluenti Programma di eluizione a gradiente Phenomenex LUNA C8(2) (150 x 4.6 mm i.d., 3 mm) RP-18 (4 x 3 mm i.d., 5 mm) 30°C 20 mL 0.8 mL/min 30 minuti λecc = 365 nm, λemis = 470 nm 16 A = acqua B = acetonitrile Tempo (min) %A %B 0.00 10 90 10.00 10 90 13.00 5 95 26.00 5 95 27.00 10 90 30.00 10 90 Durante lo studio comparativo sono state confrontate colonnine SPE a scambio anionico di differenti ditte (tab. 3). Per ogni tipologia di colonne oltre al recupero è stata verificata la specificità, testando in parallelo campioni bianchi e i corrispondenti fortificati per ognuna delle matrici. Per eliminare variabili legate alla fase di estrazione e sgrassatura e focalizzare l’attenzione sulle prestazioni delle cartucce SPE, l’aggiunta degli analiti è stata effettuata sull’estratto prima del caricamento in colonna. Tabella 3 – Tipologie colonne SPE confrontate TIPOLOGIA FASE Quantità Phenomenex Strata NH2 Silicea 500 mg J. T. Baker NH2 Silicea 500 mg Biotage IST NH2 Silicea 500 mg M.N. Chromabond NH2 Silicea 500 mg Agela Cleanert NH2 Silicea 500 mg Phenomenex Strata X-AW polimerica 200 mg Phenomenex Strata X-AW polimerica 500 mg RISULTATI E CONCLUSIONI Durante lo studio comparativo sono state confrontate dapprima colonnine SPE Phenomenex Strata NH2 di lotti diversi; come evidenziato in Figura 1, le prestazioni sono notevolmente lottodipendenti, in alcuni casi con perdita totale della ivermectina. Figura 1: cromatogrammi di estratti di fegato purificati su lotti diversi di colonne Phenomenex NH2. Analogo comportamento si rileva con le cartucce J.T. Baker NH2. Nella fase successiva, sulla matrice fegato sono state testate in parallelo colonne SPE amminiche a base silicea di differenti ditte (Biotage IST NH2, M.N. Chromabond NH2 e Agela Cleanert NH2) e SPE a scambio anionico debole su fase stazionaria polimerica rispettivamente da 500 e 200 mg (Phenomenex Strata X-AW). La scelta della fase stazionaria polimerica deriva dalla considerazione che essa dovrebbe esser esente da metalli; tuttavia le colonne a base polimerica richiedono una attenta valutazione, in quanto lo scambiatore anionico è coperto da brevetto e non è noto se sia un gruppo amminico; inoltre va verificata la prassi generale secondo cui è sufficiente una quantità di fase stazionaria minore rispetto alla silicea per ottenere risultati equiparabili, per cui è stata fatta anche una prova comparativa tra cartucce 200 mg e 500 mg. Da queste prove è emerso che le prestazioni migliori in termini di recupero e ripetibilità si hanno con le SPE amminiche a base silicea IST Biotage 500 mg e con le SPE a base polimerica Phenomenex Strata X-AW 200 mg. Infine, in una prova più ampia comprendente le varie matrici e specie sono state confrontate le prestazioni di queste due tipologie di colonne (IST 500 mg e Strata X-AW 200 mg). Per quanto concerne la specificità, le colonnine a base silicea IST Biotage 500 mg si sono rivelate nettamente migliori per la matrice fegato e muscolo, come evidenziato in FIGURA 2, mentre sono equiparabili per la matrice latte (FIGURA 3): i cromatogrammi degli estratti di fegato e muscolo purificati su cartucce Strata X-AW presentano un fondo molto più elevato soprattutto nei primi 10 minuti di corsa, sebbene non si rilevino picchi di interferenti che potrebbero mascherare il segnale della eprinomectina. Si rileva che le provette dell’estratto derivatizzato per fegato e muscolo presentano una colorazione più brunastra e opaca quando si utilizza le cartucce Strata X-AW rispetto alle IST. Figura 2: cromatogrammi di estratti di fegato bianchi purificati rispettivamente su IST e Strata X-AW. 257 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 3: cromatogrammi di estratti di latte bianchi purificati rispettivamente su IST e Strata X-AW Relativamente al recupero e alla ripetibilità, certamente il confronto non è semplice, in quanto una variabile significativa è rappresentata dalla fase di derivatizzazione che segue la purificazione. In generale si nota che la ripetibilità tra repliche è buona per tutte le matrici (CV% < 15). I valori di recupero di prove eseguite per la matrice fegato sono simili per le diverse specie considerate (bovino, suino, pollo e coniglio) e non indicano significative differenze tra le tipologie di colonnine. Analogo comportamento è stato riscontrato per la matrice muscolo. I valori di recupero per la matrice latte sono simili per le diverse specie considerate (bovino, ovicaprino e bufalino) e non indicano significative differenze tra le tipologie di colonnine. BIBLIOGRAFIA 1)Danaher M., O’Keeffe M., Glennon J.D., Howells L. (2001) Development and optimisation o fan improbe derivatisation procedure for the determination of avermectins and milbemycins in bovine liver. Analyst, 126, 576-580 2)Danaher M., Howells L., Crooks S.R., Cerkvenik-Flajs V., O’Keeffe M. (2006) Review of methodology for the determination of macrocyclic lactone residues in biological matrices. J. Of Chromatogr. B, 544, 175-203 3)Galarini R., Saluti G., Moretti S., Giusepponi D., Dusi G. (2013) Determination of macrocyclic lactones in food and feed Food Add. and Contam., 2, 2-12 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RILEVAMENTO DI LARVE DI TOXOCARA SPP. IN MUSCOLI DI CORVIDI SOTTOPOSTI A DIGESTIONE ARTIFICIALE PER LA RICERCA DI TRICHINELLA SPP. Garbarino C.1, Rubini S.2, Merialdi G.3, Merenda M.4, Bolognesi E.2, Licata E.5, Genchi C.6, Marucci G.7, Pozio E. 7 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini” 1 Sezione di Piacenza; 2Sezione di Ferrara; 3 Sezione di Bologna;; 4Sezione di Parma; 5 Regione Emilia Romagna, Bologna; 6 Università degli studi, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano; 7 Istituto Superiore di Sanità, Roma Key words: Toxocara spp., Trichinella spp., Corvidae. ABSTRACT In the Emilia Romagna region (Northern Italy), birds of the family Corvidae have been considered as “indicator” species for Trichinella pseudospiralis to recognize pig herd as Trichinella free. From 2011 to 2013, about 1,000 Corvidae were submitted for Trichinella testing by artificial muscle digestion on pooled samples (3 - 10 animals) and 28 of them (most European magpie, Pica pica) from Ferrara, Parma and Piacenza provinces, were positive for nematode larvae identified as Toxocara spp. or Toxocara cati by PCR and sequencing of specific molecular markers. Corvidae roaming on soil contaminated by dog and cat faeces, can ingest Toxocara embrionated eggs and larvae can invade their muscle tissues. The high prevalence of Toxocara spp. larvae in magpies stresses the need to provide a correct larva identification at the species or genus level to avoid the report of false Trichinella spp. larvae causing an unnecessary alarm for the veterinary and public health services. INTRODUZIONE Il monitoraggio nella fauna selvatica delle patologie trasmissibili agli animali domestici e all’uomo è essenziale per la valutazione del rischio. In zone in cui coabitano animali selvatici ed allevamenti di suini candidati alla qualifica di “azienda esente da Trichinella”, il Regolamento comunitario (Reg. CE 2075/2005) (3) prevede, accanto alla soddisfazione di altri requisiti, il monitoraggio di questo parassita in animali selvatici individuati come indicatori. Dal 2006, la Regione Emilia Romagna ha individuato nell’ambito del Piano di controllo della fauna selvatica quali animali indicatori i corvidi (cornacchia grigia, Corvus cornix corona; gazza, Pica pica) e la volpe (Vulpes vulpes). Le larve di Trichinella spp. sono ricercate nel tessuto muscolare mediante digestione artificiale. Successivamente le larve di nematodi isolate devono essere identificate a livello di specie o di genere per la valutazione del rischio. MATERIALI E METODI In Emilia Romagna circa 1.000 corvidi sono annualmente sottoposti alla ricerca di larve di Trichinella spp. tramite digestione artificiale. Le carcasse degli uccelli provengono dall’attività venatoria, da piani provinciali di controllo autorizzati , o da soggetti rinvenuti morti sul territorio. La ricerca di larve di Trichinella spp. viene effettuata secondo quanto indicato nell’Allegato I Capitolo I e nell’allegato III del Regolamento CE n°2075/2005. Prelievo del muscolo: sono stati prelevati i muscoli del capo (collo e masticatori) e, se non veniva raggiunto il peso di almeno 10 g, ulteriori porzioni di tessuto muscolare sono state prelevate da altri distretti. Il test è stato effettuato su pool di tessuto muscolare proveniente da 3 - 10 animali. In caso di esito positivo, è stato effettuato un esame sui singoli animali 258 per verificare il numero di animali infestati. Digestione artificiale: i muscoli sono stati sminuzzati e sottoposti all’azione di una soluzione di acido cloridrico e pepsina mantenuta in agitazione a 45°C per 30 minuti. Lettura: il sedimento del liquido di digestione è stato sottoposto ad osservazione allo stereomicroscopio entro 30 minuti. Tipizzazione delle larve: Le larve reperite sono state conservate in alcool etilico a 70-90% per l’identificazione della specie o del genere presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). L’identificazione delle larve è stata effettuata mediante PCR e sequenziamento di marcatori molecolari specifici (12S mtDNA; COI, 18S rDNA e ITS1) (1). RISULTATI E CONCLUSIONI Tra maggio e settembre 2011, in 4 comuni della provincia di Piacenza, sono state rilevate larve di nematodi in 4 pool di muscoli di cornacchie su 14 esaminati. Le larve sono state identificate come Toxocara cati. Nei primi 7 mesi del 2013 in provincia di Ferrara, in 17 comuni, larve di nematodi sono state reperite in 23 pool di gazze (solo in un pool oltre ai muscoli delle gazze vi erano i muscoli di una cornacchia) su 28 esaminati. Tutte le larve sono state identificate come Toxocara spp. Nel mese di aprile 2013, un pool esaminato, costituito da corvi (Corvus frugilegus) provenienti dalla provincia di Parma è risultato positivo per larve di Toxocara spp. L’isolamento mediante digestione artificiale di tessuto muscolare di larve di nematodi diverse da quelle del genere Trichinella mette in evidenza la necessità di una corretta identificazione delle larve per non creare falsi allarmi. Trichinella pseudospiralis è l’unica specie del genere Trichinella in grado di infettare gli uccelli oltre ai mammiferi, tuttavia questo parassita è stato isolato dagli uccelli naturalmente infetti solo sette volte a livello mondiale (2). In Italia, questo parassita è stato isolato nelle Marche da due uccelli notturni carnivori, in Friuli da cinghiali d’allevamento, in Emilia Romagna da un cinghiale oggetto di attività venatoria e in Toscana da una volpe e da un cinghiale anch’esso proveniente dall’attività venatoria. L’elevata prevalenza di Toxocara spp. nelle gazze ed in alcuni corvi è compatibile con le abitudini alimentari di questi animali onnivori che possono svolgere il ruolo di ospiti paratenici di Toxocara spp. Le larve rinvenute nel tessuto muscolare possono avere tre diverse origini: 1. ingestione di uova embrionate eliminate nell’ambiente dagli ospiti definitivi (cani o gatti) da cui fuoriescono le larve che migrano nei tessuti dell’ospite (larva migrans viscerale) (4); 2. ingestione di piccoli roditori già ospiti paratenici di Toxocara spp.; e 3. contaminazione del tessuto muscolare con larve presenti in altri distretti (ad esempio il fegato) a causa dell’azione traumatica di proiettili. Le dimensioni delle larve di Toxocara spp. sono inferiori rispetto a quelle di Trichinella spp. ed anche la morfologia delle due 259 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 3. Larva di Trichinella spp. al microscopico ottico. larve è differente: le larve di Toxocara spp. mostrano maggior dimorfismo tra l’estremità cervicale e caudale ed in particolare quest’ultima (Figura 1 e 2) si assottiglia maggiormente rispetto alle larve di Trichinella spp. (Figura 3). Tuttavia apprezzare queste differenze richiede specifica attrezzatura ed esperienza e l’identificazione su base morfologica deve essere successivamente confermata mediante analisi molecolare (ad esempio PCR) e sequenziamento di marcatori molecolari specifici. In relazione all’alta prevalenza di larve di Toxocara spp. nei corvidi, si sottolinea l’importanza di inviare comunque le larve al Laboratorio di riferimento (ISS), come previsto dal Regolamento, per arrivare ad una corretta identificazione delle stesse a livello di specie o genere, ed evitare inutili allarmismi. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DIAGNOSI DI LABORATORIO DELLA LEPTOSPIROSI IN FAUNA DOMESTICA E SELVATICA DEL TERRITORIO PALERMITANO Gargano V., Vesco G., Sciacca C., Arnone M., Lo Giudice V., Villari S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” - via Gino Marinuzzi, 3 90129 Palermo, Italy Keywords: Leptospirosis, MAT, PCR Figura 1. Larva di Toxocara cati al microscopio ottico. BIBLIOGRAFIA 1. Marucci G., Interisano M., La Rosa G., Pozio E., (2013) Molecular identification of nematode larvae different from those of Trichinella genus detected by muscle digestion – 117- 120, Veterinary Parasitology. 2. Pozio E., Zarlenga D.S., (2013). New pieces of the Trichinella puzzle .New. Int. J. Parasitol. (in press) 3. Regolamento (CE) n. N. 2075/2005 della Commissione del 5 Dicembre 2005 che definisce norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relative alla presenza di Trichine nelle carni. GU CE L 338 del 22.12.2005 . 4 Soulsby: (1982) 7th edition Helminths, Arthropods and protozoa of domesticated animals – 152-155 Figura 2. Larva di Toxocara cati al microscopio ottico. 260 SUMMARY Leptospirosis is caused by pathogenic spirochetes belonging to genus Leptospira, responsible for a worldwide zoonosis with humans as occasional hosts in a cycle involving wild and domestic animals. The main reservoirs are rodents; they excrete leptospires by urine, contaminating hydric environment and transmitting the disease to other animals or humans. Leptospirosis is mainly diagnosed by serological tests, but antibodies are detected quite late, more than one week after the onset of symptoms. Bacteriological diagnosis is complex because it requires fresh tissue or urine samples and a long time of incubation, thus inducing a late result (several weeks). Nevertheless, early PCR bacterial DNA detection on biological samplings tends to replace serological tests. So far, leptospirosis remains a major public health issue in many developing Countries, and it is expected to become even more serious due to: rapid urbanization (slums), global warming, and extreme climatic events (floods). Introduzione Gli agenti eziologici delle leptospirosi sono i batteri appartenenti all’ordine Spirochetales, ed in particolare Leptospira interrogans, di cui si conoscono più di 200 sierovarianti raggruppate in 23 sierogruppi di parentela antigenica. Tra le varianti che più frequentemente colpiscono l’uomo e l’animale vi sono: L. interrogans var. icterohaemorragiae, canicola, autumnalis, hebdominis, australis, pomona e hardjo. La leptospirosi è una patologia a diffusione mondiale che colpisce molte specie animali. Nelle aree in cui la leptospirosi è endemica la maggior parte delle infezioni decorre in forma subclinica o comunque in forma troppo lieve per essere diagnosticata: ciò dipende dalla sierovariante coinvolta nell’infezione. La Leptospira sopravvive per settimane o mesi negli ambienti umidi, ma non nei climi secchi; la malattia può essere trasmessa per contatto diretto con urine o tessuti di animali infetti, o indirettamente attraverso la contaminazione ambientale di acque e terreni, specie in presenza di acqua stagnante. I batteri sono capaci di penetrare attraverso soluzioni di continuo di mucose e cute e di replicarsi nel sangue, nell’epitelio dei tubuli renali e nel fegato, causando lesioni in molti organi parenchimatosi, in particolare rene e fegato, (1). Si tratta di una malattia diffusa in tutto il mondo, in aree urbane come in zone rurali, in aree sviluppate come in aree in via di sviluppo, con l’unica eccezione delle regioni polari. Per via del rischio professionale è una malattia che colpisce prevalentemente gli adulti, anche se sembra essere in aumento nei bambini nelle città. Dal punto di vista della sanità pubblica veterinaria, l’incidenza della leptospirosi in specie domestiche e selvatiche in Sicilia non è nota. Sporadicamente si presentano focolai di infezione negli allevamenti, e titoli significativi sono stati rilevati anche in assenza di manifestazioni cliniche, indicando che l’infezione è diffusa ma sottostimata. Per quanto concerne la fauna selvatica, un’evidenza che riguarda la diffusione di questa zoonosi è data dalla maggior incidenza di questa sindrome riscontrata in tarda estate-autunno, in concomitanza con l’attività venatoria e l’aumento delle piogge. Alla luce di quanto premesso, lo scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare la presenza di tale infezione nella fauna selvatica e cittadina del Palermitano per evidenziare il possibile ruolo dei selvatici nella sua diffusione (2, 3). A tale scopo, è stata messo a punto anche un sistema di diagnosi molecolare tramite Real-Time PCR, da eseguire su reperti autoptici e su campioni di urine laddove non fosse possibile effettuare l’esame colturale ed i test sierologici di Microscopic Agglutination test (MAT), già validamente applicati presso i nostri laboratori. A tale scopo è stata scelto come target il gene lipL32, che codifica per una proteina della membrana esterna presente solo nei ceppi patogeni (4). Materiali e Metodi Esame Sierologico MAT Questo test si fonda sulla reazione di agglutinazione del complesso antigene anticorpo per la cui visualizzazione si rende necessario l’utilizzo del microscopio in campo oscuro, dato il ridotto diametro delle leptospire. La prova è specifica per la sierovariante di Leptospira spp. e per quelle ad essa correlate antigenicamente (sierogruppo). Il siero in esame è direttamente messo a contatto con colture vive di Leptospira spp, coltivate in terreno E.M.J.H. (Ellinghausen-McCulloghJohnson-Harris) a 30°C per 4-8 giorni, costituite da ceppi tipizzati da laboratori di referenza nazionale o internazionale e rappresentativi degli 8 sierogruppi di rilevanza veterinaria presenti in Italia (v. tabella 1). Tabella 1 - Sierogruppi di L. interrogans impiegati nei test sierologici Specie Sierogruppo Sierovariante L. interrogans Australis Bratislava L. borgpetersenii Ballum Ballum L. interrogans Canicola Canicola L. kirschneri Grippotyphosa Grippotyphosa L. interrogans Icterohaemorrhagiae Copenhageni L. interrogans Pomona Pomona L. interrogans Sejroe Hardjo L. borgpetersenii Tarassovi Tarassovi Il metodo si articola in due parti: Screening e Titolazione. Screening: pari volumi del campione sierologico (previamente diluito) e degli antigeni vengono messi a contatto su piastra, che una volta agitata viene incubata a 30±2 °C per 2 – 4 ore. Titolazione: i campioni risultati positivi allo screening vengono diluiti scalarmente e messi in contatto, nelle stesse condizioni della prima parte della prova, con il/gli antigene/i nei confronti del/i quale/i è stata evidenziata la reazione. In entrambe viene valutata l’entità della reazione considerando sia le 261 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 leptospire agglutinate (per confronto con controlli realizzati con ciascun antigene messo in contatto con il rispettivo antisiero omologo), sia la densità delle leptospire libere (per confronto con controlli allestiti con i soli antigeni diluiti). Su ogni piastra vengono allestiti i seguenti controlli: 1. controllo di lettura (50% agglutinazione): 50 μl di ogni antigene e 150 μl di soluzione fisiologica; 2. controllo degli antigeni (0% agglutinazione): 100 μl di ciascun antigene più 100 μl di sol. fisiologica; 3. controllo negativo: 100 μl di ciascun antigene più 100 μl di un siero negativo; 4. controllo positivo: 100 μl di ciascun antigene più 100 μl del rispettivo antisiero omologo. Esame Colturale: I materiali da sottoporre a coltura devono essere prelevati asetticamente; sia i tessuti che i fluidi devono pervenire in laboratorio tempestivamente per evitare l’autolisi tissutale e lo sviluppo di una flora batterica contaminante. Per una migliore conservazione del campione è opportuno utilizzare terreno di coltura liquido contenente 1% di sieroalbumina bovina con aggiunta di 100-200 microgrammi/ ml di 5-flurouracile, da utilizzare come mezzo di trasporto. Il rene è l’organo di elezione del patogene e quindi il miglior candidato per l’esecuzione dell’esame colturale, ma possono essere utilizzate anche le urine. URINE: idealmente le urine devono arrivare in laboratorio in tempi brevissimi ed essere seminate in terreno colturale immediatamente, per evitare variazioni del pH che potrebbero pregiudicare la sopravvivenza delle Leptospire. Le urine possono essere seminate tal quali o dopo filtrazione (con filtri per siringhe da 0,45 µm), e/o dopo l’aggiunta di neomicina e 5-fluorouracile per ridurre la presenza di contaminanti. RENE: con l’aiuto di un bisturi sterile si rimuove la capsula esterna, si seziona il rene longitudinalmente e si preleva un piccolo frammento dalla zona midollare, del peso di circa 10 g. Il frammento di tessuto viene omogeneizzato in circa 50 ml di soluzione salina, e dopo l’opportuna diluizione viene seminato su terreno specifico. Le colture così ottenute vengono incubate in termostato a 30°C per 16-26 settimane. Il tempo di incubazione richiesto varia in base al tipo di serovar ed al numero di organismi presenti nel campione, ma tutte le colture devono essere trasferite in terreno fresco ad intervalli regolari di un mese. Le leptospire in coltura vengono esaminate ogni 1-2 settimane al microscopio in campo oscuro e sono identificate sulla base della loro tipica morfologia e motilità. Diagnosi Molecolare: Per la diagnosi molecolare di leptospirosi è stata messa a punto un test di Real-Time PCR con sonda ad idrolisi, scegliendo come target il gene lipL32, che codifica per una proteina della membrana esterna del batterio presente esclusivamente in specie patogene (5). Le sequenze dei primers e della sonda sono riportate in tabella 2. Tabella 2 Sequenze nucleotidiche dei primers e della sonda ad idrolisi per l’amplificazione del gene lipL32 Oligonucleotide Sequenza 5’-3’ Primer F GGTCTTTACACAATTTCTTTCACT Primer R TGGGAAAAGCAGACCAACAGA Sonda AAGTGAAAGGATCTTTCGTTGTTGC Come controllo positivo è stato utilizzato il DNA estratto da un ceppo di riferimento certificato fornito dal Royal Tropical Institute di Amsterdam e mantenuto in coltura presso i nostri laboratori. Il DNA di Leptospira è stato standardizzato alla concentrazione di 1 x 106 GE/μl; per valutare la sensibilità della metodica è stato determinato il LOD (Limit Of Detection), allestendo delle diluizioni seriali in base 10 di tale soluzione. La diagnosi molecolare tramite PCR Real-Time è stata eseguita su tutti i reperti autoptici pervenuti in laboratorio, secondo il protocollo mostrato in tabella 3. Tabella 3 Protocollo PCR Real-Time Master Mix Concentrazione per ciascuna reazione Ready Master Mix 5X 1X Primers Forward lipL32 20mM Primers revers lipL32 20mM Bibliografia 1. Adler B, de la Peña Moctezuma A. Leptospira and leptospirosis. Vet Microbiol. 2010 Jan 27;140(34):287-96. doi: 10.1016/j.vetmic.2009.03.012. Epub 2009 Mar 13. Review. 2. Andalusia, Spain. Millán J, Candela MG, López-Bao JV, Pereira M, Jiménez MA, León-Vizcaíno L. Leptospirosis in wild and domestic carnivores in natural areas in Vector Borne Zoonotic Dis. 2009 Oct;9(5):549-54. doi: 10.1089/ vbz.2008.0081 3. Bengis RG, Leighton FA, Fischer JR, Artois M, Mörner T, Tate CM. The role of wildlife in emerging and re-emerging zoonoses. Rev Sci Tech. 2004 Aug;23(2):497-511. Review. 4. Musso D, La Scola B. Laboratory diagnosis of leptospirosis: A challenge. J Microbiol Immunol Infect. 2013 Aug;46(4):24552. doi: 10.1016/j.jmii.2013.03.001. Epub 2013 Apr 29. 5. Stoddard RA. Detection of Pathogenic Leptospira spp. Through Real-Time PCR (qPCR) Targeting the LipL32 Gene Methods Mol Biol. 2013;943:257-66. doi: 10.1007/978-160327-353-4_17. 0.4 mM 0.4mM Sonde ad isrolisi 10mM 0.2 mM DNA 10 ng Fino a volume finale di 25 microlitri H2O XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Il programma di amplificazione prevede, dopo 5 min di denaturazione iniziale, 40 cicli di amplificazione (95°C per 20 sec e 60°C per 1 min). Come controllo interno di amplificazione è stato usato usato il Kit QuantiFast Phatogenn PCR (QIAGEN). Risultati e Conclusioni Durante l’anno 2012 e il primo semestre 2013 sono stati analizzati (presso l’IZS Sicilia, Area Diagnostica Sierologica, laboratorio di Sierologia Generale) tramite test MAT un totale di nr. 7277 sieri, 14 dei quali sono risultati positivi: nr. 11 sieri bovini (per la sierovariante hardjo) e nr. 3 sieri canini (due per la sierovariante copenhageni e uno per canicola). Per quanto riguarda l’isolamento colturale sono stati eseguiti un totale di nr. 120 esami, nessuno dei quali ha dato esito positivo. La diagnosi molecolare è stata eseguita su tutti i reperti autoptici ed i campioni di urine pervenuti in laboratorio per i quali non è stato possibile eseguire l’esame colturale, a causa della cattiva o non idonea conservazione del campione. In particolare, sono stati sottoposti a PCR Real-Time nr. 50 campioni di DNA proveniente da organi pervenuti in laboratorio in avanzato stato di deterioramento; tutti i campioni analizzati sono risultati negativi. La diagnosi molecolare è stata eseguita, inoltre, su reperti autoptici provenienti da diversi esemplari di fauna selvatica e cittadina ritrovati nel territorio Palermitano, per un totale di nr. 123 campioni di rene di canide e nr. 26 campioni di rene di ratto. Tra questi, sono risultati positivi un campione appartenente alla specie Vulpes vulpes ed uno appartenente alla specie Rattus rattus. Tra gli obiettivi futuri del nostro laboratorio vi è quello di riuscire ad eseguire questo tipo di analisi specificamente sugli organi e sulle urine degli animali positivi al test sierologico. La presenza di specie patogene di Leptospira nel, seppur esiguo, campione preso in esame lascia ipotizzare un possibile ruolo della fauna selvatica e cittadina nella diffusione di tale patologia, che negli ultimi anni è stata considerata una zoonosi riemergente a causa della confluenza di persone ed animali nello stesso ambiente ed alla maggiore densità degli allevamenti, ma anche della maggiore incidenza di disastri naturali dovuti al surriscaldamento globale, con espansione della zona climatica tropicale e subtropicale. 262 263 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Sviluppo di marcatori mitocondriali per l’identificazione di specie dalle matrici di esche avvelenate: un contributo alle indagini forensi nei reati contro gli animali. Garofalo L.1, Fanelli R.1, Fico R.2, Lorenzini R.1 Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana, Via Tancia, 21 - 02100 Rieti; 2 Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana, Viale Europa, 30 - 58100 Grosseto 1 Keywords: identificazione di specie, esche avvelenate, genetica forense SUMMARY European laws prohibit or restrict the use of poisoned baits. However, their laying still represents a serious threat for wild and domestic animals. A conspicuous number of poisoned animals are delivered yearly to “Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria”, together with poisoned baits found on the crime scene. Tissues that make up the baits and food ingested by the victims are analysed to search for both toxic and species composition. We designed new primer sets to amplify and sequence small mitochondrial DNA segments from degraded samples: four fragments in the 12S of different species and two additional markers specific to mammals (CytB) and birds (ND6). All the sequences obtained from reference samples correctly identified the species. Genetic results can link an alleged poisoner to the offence, and by delineating the perpetrator’s “modus operandi” one can narrow the investigation. The new markers were successfully used in 18 forensic cases during 2013. INTRODUZIONE L’utilizzo di esche e bocconi avvelenati è proibito o regolamentato da leggi nazionali ed europee. Ciononostante, questa pratica illegale continua ad essere diffusa in numerosi paesi, Italia compresa. Il rilascio di esche avvelenate in natura costituisce una seria minaccia per la fauna selvatica, mentre nelle aree urbane è altamente pericoloso per animali da compagnia, nonché per l’uomo (in particolare per i bambini). Ogni anno vengono conferiti presso il “Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria” numerosi animali avvelenati, insieme ad esche ritrovate sulla scena del crimine o, in generale, sul territorio. Le esche ed i contenuti stomacali, questi ultimi prelevati durante la necroscopia delle vittime, vengono analizzati alla ricerca di sostanze tossiche e inoltre, quando possibile, viene condotta una tipizzazione del DNA delle specie che compongono la matrice organica dei bocconi. Il DNA estratto dalle esche e dai contenuti stomacali è spesso poco e di scarsa qualità, per questo l’identificazione di specie non può essere condotta con i marcatori generalmente impiegati per il DNA barcoding (2,3). Esso si basa, infatti, sul sequenziamento di frammenti mitocondriali (mt) lunghi almeno 600 paia di basi (bp), i quali sono difficilmente amplificabili a partire dall’esiguo materiale biologico rintracciabile nei reperti forensi. Nel presente lavoro l’identificazione di specie è stata condotta utilizzando un nuovo set di primer disegnati per amplificare e sequenziare piccoli segmenti di DNA a partire da campioni fortemente degradati. MATERIALI E METODI L’estrazione del DNA è stata condotta su varie matrici biologiche utilizzando il DNA IQTM Casework Sample Kit e il Maxwell 16 LEV System (Promega). I campioni di riferimento su cui testare inizialmente i nuovi primer sono stati scelti in modo da coprire la gamma di specie più frequentemente analizzate dal nostro Laboratorio di Genetica nel periodo 2009-2012: Bos taurus, Sus scrofa, Ovis aries, Cervus elaphus, Capreolus capreolus, Hystrix cristata, Equus caballus, Canis lupus, Felis catus, Lepus europaeus, Vulpes vulpes, più altre meno comuni. Tutte queste specie sono state incluse nei diversi allineamenti creati per disegnare primer universali per l’identificazione di specie. A questo scopo, sono state individuate all’interno del DNA mitocondriale le regioni più informative, cioè quelle in cui la variabilità inter-specifica fosse massimizzata. Al contrario, i siti adatti all’annealing dei primer sono stati scelti cercando i tratti di DNA maggiormente conservati tra le specie considerate. Le sequenze sono state allineate tramite il programma di allineamento multiplo incluso nel pacchetto Vector NTI versione 9.1 (Invitrogen). Proprietà e compatibilità dei primer disegnati (es. temperatura di melting, stabilità al 3’, autocomplementarietà, %GC, ecc.) sono state verificate con il programma Primer3 versione 0.4.0. (4). Alla fase di disegno dei primer è seguita la messa a punto dei diversi protocolli di amplificazione (disponibili su richiesta). La dimensione dei frammenti amplificati è stata controllata tramite elettroforesi su gel di agarosio. In ogni sessione di PCR sono stati introdotti controlli negativi di estrazione ed amplificazione. I prodotti di PCR sono stati purificati con il QIAquick PCR Purification Kit (Qiagen). La reazione di sequenza è stata condotta con il BigDye Terminator v. 3.1 Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems), seguendo le procedure standard per il sequenziamento con un ABI Prism 3130-Avant Genetic Analyzer (Applied Biosystems). La reazione di sequenza è stata purificata con l’ Agencourt CleanSEQ Dye Terminator Removal Kit (Beckman Coulter). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fig. 1 – Posizione approssimativa dei 5 primer disegnati per amplificare frammenti di diversa lunghezza nel 12S. 4 ° fram .: 4 2 7 b p FWD 3 FWD 1 3 fram .: 3 2 7 b p ° 2 ° fram .: 2 6 7 b p FWD 2 FWD 1 1 ° fram .: 2 3 1 b p R E V1 R E V2 R E V2 R E V1 1 2 S 2° MARCATORE: un segmento di 483 bp nel gene CytB, specifico per i mammiferi. In questa coppia di primer, il forward è situato nel tRNAGlu (che negli uccelli non fiancheggia il CytB, Fig.2a e b), mentre il reverse è localizzato in una regione conservata del gene CytB. Il frammento così ottenuto è di 483 bp, e contiene una variabilità inter-specifica sufficiente per l’identificazione delle diverse specie di mammiferi. 3° MARCATORE: un segmento di 387 bp nel gene ND6, specifico per gli uccelli. Nella molecola circolare di mtDNA dei mammiferi il gene ND6 viene direttamente dopo il gene ND5 ed è seguito dal tRNAGlu (Fig.2a). Al contrario, il gene ND6 nel mtDNA degli uccelli è fiancheggiato a sinistra dal tRNAPro e a destra dal tRNAGlu (Fig.2b). Abbiamo quindi posizionato il forward di questa coppia di primer nel tRNAPro ed il reverse all’interno del gene ND6. In tal modo, solo il DNA di specie aviarie viene amplificato con questo marcatore, producendo un frammento di 387 bp su gel. Utilizzando questi primer, abbiamo amplificato e sequenziato campioni di riferimento appartenenti a: Passeriformes, Columbiformes, Anseriformes, Strigiformes, Accipitriformes, Falconiformes e Galliformes. Tutte le sequenze ottenute con i tre diversi marcatori hanno correttamente identificato le specie dei campioni di riferimento. Le sequenze sono state inoltre confrontate con quelle depositate in database online, quali ad esempio GenBank (http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi). In conclusione, proponiamo qui una nuova combinazione di marcatori genetici universali e specifici per scopi forensi. Nei casi di avvelenamento i risultati derivanti dall’identificazione di specie possono permettere di collegare un presunto colpevole al crimine. Per esempio, dimostrare che il contenuto gastrico delle vittime o l’esca avvelenata contiene carne appartenente a specie animali possedute anche dal sospettato, oppure se la carne utilizzata per veicolare il tossico appartiene ad un animale imparentato con individui della stessa specie posseduti dal sospettato, diviene un elemento basilare per restringere il campo delle indagini ed arrivare alla soluzione del caso. I nuovi marcatori sono stati impiegati con successo in 18 casi forensi analizzati nei primi mesi del 2013. Le metodologie sviluppate per contrastare il fenomeno degli avvelenamenti sono state applicate in altre indagini riguardanti crimini contro la fauna selvatica (es. commercio illegale di specie protette, bracconaggio, ecc.), nonché in analisi volte ad accertare reati ai danni di specie domestiche (1). BIBLIOGRAFIA 1. Fanelli R., Garofalo L., Fico R., Lorenzini R. (2013). Illegal slaughter of domestic mammals unveiled by the forensic analysis of mixed DNA traces. 87th Annual Meeting of the German Society of Mammalogy. Prague, 8-12 September 2013. 2. Hebert P.D.N., Cywinska A.., Ball S.L., deWaard J.R. (2003). Biological identifications through DNA barcodes. Proc R Soc Lond B, 270: 313–321. 3. Hebert P.D.N., Stoeckle M.Y., Zemlak T.S., Francis C.M. (2004). Identification of Birds through DNA Barcodes. PLoS Biol, 2(10): e312. 4. Untergrasser A., Cutcutache I., Kõressaar T., Ye J., Faircloth B.C., Remm M., Rozen S.G. (2012) Primer3 - new capabilities and interfaces. Nucleic Acids Res 40(15):e115. RISULTATI E CONCLUSIONI I bocconi avvelenati sono generalmente preparati con carne di mammiferi o anche di uccelli; per tale motivo abbiamo ideato un primo marcatore di screening che permetta di identificare entrambe le categorie nei campioni incogniti. Per confermare i risultati ottenuti con questa prima assegnazione, abbiamo poi creato due ulteriori marcatori specifici, che amplifichino selettivamente una classe oppure l’altra, sfruttando il differente ordine di alcuni geni e RNA transfer nel mtDNA di mammiferi e uccelli. 1° MARCATORE: quattro segmenti nel gene 12S di mammiferi e uccelli. La lunghezza del gene ribosomale 12S varia dalle 950 alle 990 bp a seconda della specie esaminata. Le coppie di primer sono state disegnate in modo da amplificare quattro frammenti di dimensioni diverse all’interno della seconda parte del gene, la più informativa (Fig.1). 264 Fig. 2 – Differente organizzazione dei geni nella molecola mitocondriale di mammiferi (a) e uccelli (b). 265 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 UNA SCELTA DA CONDIVIDERE: PIANO DI MONITORAGGIO REGIONALE DELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA Garofalo F. 1, Pesce A. 1, De Marco G. 1, Romano M. 1, Salzano C. 1, De Felice A.1, Guarino A. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione Diagnostica di Caserta; 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sede Centrale Portici; Key words: catering, food safety, monitoring plan Figura 1 266 % campioni positivi 5,1 2,6 RISTORAZIONE COLLETTIVA i ut to r orid ol fit ri s tte ba En te ro b ac te ria E. ce ae co li us H7 7: ce re O 15 co li E. B. es en la el yt og oc lm on m on sp p. RISTORAZIONE PUBBLICA Sa Materiali e Metodi Nel primo semestre dell’anno 2013 sono stati prelevati dai Servizi Veterinari della ASL di Caserta 77 campioni, di cui 38 presso ristorazione collettiva (mense scolastiche, ospedaliere, case circondariali, etc.) e 39 presso ristorazione pubblica (ristoranti, agriturismi, bar, etc.), inviati presso il nostro laboratorio per effettuare un totale di 301 analisi. Le matrici prelevate erano le più varie, raggruppate per classi in prodotti crudi, prodotti lattierocaseari e di pasticceria e prodotti di gastronomia cotti (preparazioni e piatti composti). Per ogni campione è stata richiesta la determinazione di un unico parametro tra i seguenti: ricerca di Listeria monocytogenes, Salmonella spp. ed E. coli O157:H7, numerazione di Enterobacteriaceae, E. coli, Bacillus cereus e Anaerobi solfitoriduttori. I campioni che prevedevano la ricerca della Listeria monocytogenes, Salmonella spp. ed Escherichia coli O157:H7 food. Horizontal method for the enumeration of presumptive Bacillus cereus. Colony count technique at 30°C. 6) Anonymous 2005. UNI EN ISO 11290-1:2005 Microbiology of food. Horizontal method for the detection and enumeration of Listeria monocytogenes. Part 1:Detection method 7) Anonymous 2008. UNI EN ISO 6579:2008 Microbiology of food. Horizontal method for the detection of Salmonella spp. 8) EFSA, (European Food Safety Authority), ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), 2013.The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2011; EFSA Journal 2013,11(4):3129, 250 pp. doi:10.2903/j. efsa.2013.3129. 9) Regione Campania. 2011. Piano Regionale Integrato 20112013. Bollettino Ufficiale Regione Campania (BURC) n. 54 Risultati e Conclusioni Tra i 77 campioni analizzati nel primo semestre dell’anno 2013, nei 38 prelevati dalla ristorazione collettiva non è stata riscontrata alcuna non conformità. Invece per quanto riguarda i 39 campioni provenienti dalla ristorazione pubblica è stata riscontrata positività per Escherichia coli in 1 campione di pesce cotto, e positività per le Enterobacteriacee in 2 campioni di preparato di suino e bovino, pari al 7,7 % dei 39 campioni prelevati in questo ambito. (fig. 1) A fronte di un dato nazionale di 3887 casi di tossinfezioni alimentari nel nostro paese nell’anno 2011 (8), con trend in ascesa rispetto all’anno precedente, appare confortante il dato di totale conformità emerso dalle analisi relative ai campioni prelevati nei centri di ristorazione collettiva, soprattutto tenendo presente che si è trattato, in massima parte, di prelievi presso mense scolastiche ed ospedaliere. Anche le 3 positività riscontrate nella ristorazione pubblica sono comunque esigue e da ricondurre probabilmente alla preparazione delle pietanze, in quanto sono state rilevate in piatti elaborati e manipolati, in cui è maggiormente possibile la contaminazione da parte dei germi testimoni di igiene del processo. Si tratta comunque di dati preliminari, ma è importante che l’Autorità Sanitaria abbia preso coscienza dell’importanza di tenere sotto controllo il compartimento della ristorazione, in modo da poter evidenziare in maniera tempestiva un eventuale calo delle condizioni igienico-sanitarie di questo settore e prevenire focolai di tossinfezioni alimentari. er ia Introduzione La ristorazione nelle collettività, nella società moderna, riveste una crescente importanza per una coesistenza di fattori tra i quali l’età e la tipologia degli utenti del servizio, il numero di pasti preparati/ somministrati e il conseguente potenziale ampio coinvolgimento di utenti in episodi di infezione o intossicazione alimentare. La necessità di allestire un certo numero di pasti in anticipo rispetto al momento della somministrazione rende maggiormente possibili e frequenti le contaminazioni dei germi patogeni e alterativi degli alimenti ed esige elevate garanzie di sicurezza igienico-sanitaria. Vista la peculiarità dell’utenza coinvolta in refezioni scolastiche, ospedaliere e carcerarie, nonché il gran numero di attività di ristorazione pubblica presenti nel nostro territorio, la Regione Campania ha previsto nel Piano Regionale Integrato dei Controlli 2011-2013 un monitoraggio sui requisiti microbiologici dei pasti prodotti in questo settore (9). sono stati analizzati con metodo qualitativo con eventuale isolamento e identificazione del microrganismo, quelli con richiesta Enterobacteriaceae, Escherichia coli ed Anaerobi solfito-riduttori sono stati analizzati con il metodo quantitativo per inclusione ed infine i campioni con richiesta Bacillus cereus sono stati effettuati sempre con metodo quantitativo ma per spatolamento. Anche per le metodiche quantitative, a seconda della ISO di riferimento, per ogni germe è previsto isolamento ed identificazione biochimica. Tutti i metodi sono stati effettuati come metodica ISO accreditata presso il nostro laboratorio (1,2,3,4,5,6,7). Li st Abstract Food safety is essential in mass catering due to the enormous amount of meals served each day and for typology consumers that often consist of children, elderly and hospitalized people. Campania Region has implemented a plan for microbiological monitoring of meals served in mass catering. A total of 77 samples were collected: 38 from school, hospital and prison canteens and 39 from other recreational catering (f.e. restaurant, bar, pub, etc.). Each sample was analyzed using standards methods to demonstrate the presence of Listeria monocytogenes, Salmonella spp., Enterobacteriaceae, E. coli, E. coli O157:H7, Bacillus cereus and anaerobic sulfite-reducing bacteria. The data obtained reveal no safety risks for consumers of canteens, since samples analyzed are full negative. Instead in food collected from recreational catering we observe three positives samples: one shows the presence of E.coli and two of Enterobacteriacee. These results suggest unhygienic food handling and processing. Bibliografia 1) Anonymous 2001 UNI EN ISO 16649-2:2001 Microbiology of food. Horizontal method for the enumeration of β-glucoronidasepositive. Escherichia coli. Part 2: colony count technique at 44°C using 5-bromo-chloro-3-indolyl β-D-glucoronide. 2) Anonymous 2003 UNI EN ISO 15213:2003 Microbiology of food. Horizontal method for the enumeration of sulfite reducing bacteria growing under anaerobic conditions. 3) Anonymous 2003. UNI EN ISO 16654:2003 Microbiology of food. Horizontal method for the detection of Escherichia coliO157 4) Anonymous 2004. UNI EN ISO 21528-2:2004 Microbiology of food. Horizontal method for the detection o and enumeration of Enterobacteriaceae. Part 2:Colony count method 5) Anonymous 2005 UNI EN ISO 7932:2005 Microbiology of 267 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BRUCELLA CETI: BIOTIPIZZAZIONE E GENOTIPIZZAZIONE TRAMITE MLVA-16 MLST E SNPs WGS mentre ben 431 polimorfismi di cui 122 inserzioni/delezioni sono stati ritrovati nei rimanenti 28 scaffold. Garofolo G.1, Di Giannatale E.1, Ancora M.1, Marcacci M.1, Cammà C. 1, Orsini M.2, Persiani T.1, Marotta F.1, Zilli K.1 Discussione In questo studio sono state approfondite le indagini diagnostiche su due focolai di brucellosi in delfini provenienti dal mare Ionio settentrionale. L’attività del nostro laboratorio si è basata sulla conferma di un sospetto diagnostico attraverso metodologie classiche e metodologie molecolari sia tradizionali come la PCR e la RFLP sia estremamente innovative come la MLST, MLVA e gli SNPs WGS. Le metodologie microbiologiche classiche, se da una parte si basano su protocolli standardizzati, richiedono tempo di esecuzione lunghi e personale estremamente specializzato; inoltre, nel caso dei mammiferi marini, i risultati potrebbero essere inconcludenti. Infatti, negli anni si è dimostrato che alcune caratteristiche fenotipiche non sono riscontrabili su colture primarie e possono dare risultati atipici. E’ quindi un dato di fatto come la biotipizzazione debba essere supportata dalla tipizzazione molecolare. L’analisi della RFLP ha evidenziato un profilo caratteristico delle Brucelle marine, non assimilabile a quelle terrestri (B. melitensis, B. abortus etc.). Purtroppo l’analisi RFLP rimane inadeguata e puramente indicativa e non conclusiva. I nostri risultati indicano come con la PCR bruce-ladder si giunga ai medesimi risultati ottenuti con RFLP, con il vantaggio, però, di una maggiore facilità d’esecuzione e interpretazione dei dati con la PCR. L’attribuzione di specie è stata ottenuta attraverso l’analisi MLST, metodo che si basa sul sequenziamento di nove geni differenti; l’ampio pannello d’informazioni che se ne ottengono permette di assegnare qualsivoglia ceppo sia alle specie classiche sia a eventuali specie rare o sconosciute. L’analisi filogenetica ha permesso di identificare i ceppi come B. ceti con ST26, cluster A. Inoltre la MLVA ha consentito di ricostruire i focolai inserendoli in un contesto globale e suggerendo una connessione epidemiologica tra i due casi e una relazione tra gli animali che probabilmente appartenevano allo stesso branco. Un ulteriore prova è il fatto che gli animali sono stati rinvenuti a meno di 50 km di distanza sebbene con 8 mesi di differenza. L’albero filogenetico ha difatti dimostrato che 5 sub cluster per il ST26 con il sub cluster U contente i soli ceppi studiati provenienti dal mar Mediterraneo. I rimanenti sub cluster sono provenienti da isolati di mammiferi marini dell’oceano Atlantico. Le analisi degli SNPs, sebbene siano una sovrastima delle reali differenze, in quanto gli scaffold ottenuti presentano un certo grado di ridondanza, dimostrano come questa metodologia sia in grado di ritrovare eventi mutazionali per ceppi che si poteva pensare essere semplici cloni. Il nostro report fa altresì notare come la brucellosi dei mammiferi marini sia stata letteralmente sottostimata per ben 20 anni; è quindi necessario avere un approccio sistematico per la ricerca della Brucella da cetacei, anche se, l’avanzato stato di decomposizione che generalmente questi animali presentano al momento dell’esame, potrebbe portare a isolamenti inconcludenti. La soluzione di tale problema potrebbe concorrere l’utilizzo di metodi di biologia molecolare come la PCR real-time. La recente emergenza di spiaggiamenti in Italia, con più di 130 casi segnalati in soli tre mesi del 2013, evidenzia come gli spiaggiamenti di mammiferi marini sia un problema emergente. Le moderne attività umane con il conseguente rilascio nell’ambiente di inquinanti quali diossine e PCB agiscono sull’ecosistema dei cetacei sia direttamente, sia indirettamente attraverso la contaminazione delle loro risorse alimentari. Queste condizioni possono aumentare la suscettibilità a rischi specifici e aspecifici con conseguente aumento di focolai infettivi. Bisogna ricordare come la brucellosi sia una malattia cronica che è in grado di attendere molto tempo nell’ospite prima di causare gravi complicazioni. Questo studio sebbene non sia il primo segnalamento assoluto in Italia, è Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise .Centro di Referenza Nazionale e OIE per la Brucellosi, Teramo, Italia 2 CRS4 - Laboratorio di Bioinformatica, Parco Tecnologico Polaris, Pula, Italia 1 Key words: Brucella ceti, delfini, MLVA, MLST, SNPs WGS, zoonosi Abstract Brucella ceti has been copiously studied in the last twenty years to figure out the infection in dolphins and to demonstrate its zoonotic potentiality. Here we shown the genotyping of two B. ceti strains isolated from stranded striped dolphins (Stenella coeruleoalba) at the southern Apulia coastline. B. ceti isolates were both conventional typed and genotyped through MLST, MLVA and SNPs WGS methodologies to infer correlation and phylogeny from the South Mediterranean sea. The wide ST26 from MLST was found, and MLVA assigned the strains to a novel genotype within the cluster A and unique representative of a Mediterranean sub cluster. Nevertheless several SNPs separated the two strains. This investigation underlines the capability of using MLST, MLVA and SNPs WGS for the epidemiological investigation of marine mammals Brucellae and demonstrated that the outbreaks studied were epidemiological linked. Introduzione Gli spiaggiamenti in Italia sono sistematicamente monitorati dal 1986 attraverso un network attivo che riporta e segnala questi fenomeni in un sistema online interamente gratuito (http :/ / mammiferimarini.unipv.it /). La banca dati è, inoltre, interamente basata su software open source e, a fronte di 4.396 registrazioni riportate, i primi casi di brucellosi sono stati segnalati nel 2012. Brucella è batterio capace di infettare molti mammiferi terrestri ed acquatici. La sua presenza è considerata abbastanza comune nell’ecosfera dei mammiferi marini, ad oggi, si riconoscono due specie: Brucella ceti tipica dei cetacei e B. pinnepidealis, tipica dei pinnipedi. Tuttavia la prevalenza della brucellosi nell’ecosistema marino non è nota poiché è impensabile attuare un sistema di monitoraggio sistematico data la vastità delle aree geografiche entro le quali si muovono questi animali selvatici. Nel 2009 sulla costa settentrionale del nord della Puglia avvenne lo spiaggiamento di nove capodogli (Physeter macrocephalus);evento che sensibilizzò in maniera importante l’opinione pubblica italiana tanto da indurre le autorità competenti a creare un gruppo multidisciplinare “ad hoc” per eseguire tutte le indagini post-mortem. Anche per questo, l’attività diagnostica per i mammiferi marini degli IIZZSS ha introdotto la ricerca routinaria di Brucella. Questo ha portato all’isolamento di ceppi riconducibili al genere Brucella che sono pervenuti presso il laboratorio di riferimento nazionale e OIE per la brucellosi. Il nostro studio riporta l’attività d’identificazione e di tipizzazione di due isolati sospetti, provenienti da delfini spiaggiati lungo la costa pugliese nel corso del 2012, proponendo un approccio sistematico rivolto a identificare e caratterizzare isolati di Brucella da mammiferi marini. La diagnosi convenzionale, affiancata a nuovi metodi molecolari, ha consentito di identificarne la specie di appartenenza e di comprenderne la filogenesi, mentre l’analisi dei frammenti VNTR con lo studio dei polimorfismi nucleotidici (SNPs WGS) ha permesso di ottenere una valutazione epidemiologica estremamente raffinata dei focolai. Materiali e metodi B. ceti e biotipizzazione Due ceppi di Brucella sono stati isolati da stenelle spiaggiate e morte sulla costa pugliese in Italia nel corso del 2012. Il primo delfino è spiaggiato a marzo 2012 a Gallipoli loc. Lido Pizzo (LE) sul mare Ionio (Mediterraneo meridionale), mentre il secondo delfino è stato ritrovato a novembre 2012 a Porto Cesareo loc. Bacino Grande (LE) sul mare Ionio (Mediterraneo meridionale). Gli isolamenti sono stati ottenuti dal cervello e dalla milza nel primo caso (id ceppo 10759) e dal solo cervello nel secondo caso (id ceppo 28753). I ceppi isolati sono stati caratterizzati con i test biochimici e fenotipici secondo le procedure OIE (OIE, 2012). Saggi molecolari L’estrazione del DNA è stata ottenuta utilizzando il kit Istagene Matrix (Bio-Rad). L’assegnazione della specie è stata eseguita con la PCR multiplex Bruce-ladder PCR[1], mentre la RFLP per i geni omp2a e omp2b si è limitata agli enzimi PstI e HinfII (Promega Corporation, Madison, Wisconsin) secondo la metodologia precedentemente pubblicata [2]. MLST, MLVA e SNPs WGS Gli isolati sono stati genotipizzati utilizzando lo schema a 9 geni per la MLST[3] e il pannello a 16 loci per la MLVA utilizzando la metodologia dell’elettroforesi capillare [4]. I dati ottenuti dall’analisi MLST sono stati confrontati con i profili presenti in GeneBanck. L’analisi di clusterizzazione MLVA è stata ottenuta con l’algoritmo goeBURST implementato in PHILOViZ analizzando i nostri risultati con i profili MLVA del cluster A presenti sul database internazionale (http://mlva.u-psud.fr/). Si è deciso di definire sub cluster quando uno o più isolati indipendenti condivideva 13 o più loci MLVA. Ad ogni sub cluster è stato assegnato il nome del genotipo fondatore del gruppo per goeBURST, seguito dalla parola “sub cluster”. Il sequenziamento è stato compiuto mediante Ion Torrent PGM system con il chip 314 con librerie create con il kit Ion Plus Fragment Library (Life Technologies). L’analisi dei polimorfismi fra i due isolati è stata condotta con gli applicativi mpileup e bcftools del pacchetto samtools. Le varianti sono state confermate mediante “visual inspection” dei file di allineamento effettuata con il visualizzatore TABLET. La nomenclatura dei genotipi si rifà per MLST a Whatmore et al. (2007), per MLVA-11 si riferisce alla banca dati internazionale, mentre per MLVA-16 è qui, arbitrariamente assegnata, con lettere dalla A alla U. Risultati Le colture primarie si sono rilevate di forma circolare con profilo convesso regolare, del diametro di 0,5-10 mm con caratteristiche fenotipiche e biochimiche riportate in tabella 1. I profili di restrizione RFLP confermano i risultati di Cloeckaert et al. (2001) con il pattern Omp2b N (K) (Tabella 1). La Bruce-ladder PCR assegna i due isolati al genere di Brucella dei mammiferi marini (B. ceti o B. pinnepedialis). La MLST assegna i ceppi alla specie B. ceti Sequence type 26 (ST26). MLVA-16 rivela un profilo nuovo, mentre l’analisi dei cluster evidenzia 5 sub clusters con GtU sub cluster proprio degli isolati studiati (figura 1). Infine le analisi dei genomi hanno permesso la ricostruzione di 42 scaffold per i due isolati con un’omologia nucleotidica del 100% per 14 scaffold 268 un primo studio che valuta in maniera appropriata la relazione genetica tra ceppi di B. ceti isolati nel mare Mediterraneo. Si sottolinea come in questi 8 mesi nessuna variazione genetica è stata rilevata nei ceppi tra due focolai per MLVA e MLST mentre qualche centinaia di polimorfismi sono stati rilevati da SNPs WGS. Il nostro studio conferma la potenza di MLVA-16 per valutare epidemiologicamente i focolai e apre nuove valutazioni per l’uso di SNPs WGS. Tuttavia sono necessari ulteriori studi dal Mar Mediterraneo per comprendere a pieno l’evoluzione molecolare di Brucella in questo bacino marino. Bibliografia 1. López-Goñi, I., et al., Evaluation of a multiplex PCR assay (Bruce-ladder) for molecular typing of all Brucella species, including the vaccine strains. Journal of clinical microbiology, 2008. 46(10): p. 34843487. 2. Cloeckaert, A., et al., Restriction site polymorphism of the genes encoding the major 25 kDa and 36 kDa outer-membrane proteins of Brucella. Microbiology, 1995. 141 ( Pt 9): p. 2111-21. 3. Whatmore, A.M., L.L. Perrett, and A.P. MacMillan, Characterisation of the genetic diversity of Brucella by multilocus sequencing. BMC Microbiol, 2007. 7: p. 34. 4. Garofolo, G., M. Ancora, and E. Di Giannatale, MLVA16 loci panel on Brucella spp. using multiplex PCR and multicolor capillary electrophoresis. J Microbiol Methods, 2013 92(2): p. 103-7. Figura 1: Analisi dei cluster MLVA Tabella 1: Profilo biochimico e biomolecolare 269 TEST Lisi con fagi Tb-Wb-Iz-R/C Ossidasi/Catalasi/Ureasi Produzione di H2S Crescita su Agar-tionina Crescita su Agar-tionina Agglutinazione anti-A Agglutinazione anti-M Agglutinazione anti-R RFLP Omp2b Profilo MLVA Sequence type MLST Whole Genome Sequencing B. ceti ID 10759 e ID 28753 -/+/+/+/+/+ + + + N(K) 2-5-8-13-2-2-4-2-6-12-9-914-6-7-3 ST26 122 indel/309 SNPs XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SPIROCERCA LUPI: UN PARASSITA RARO O UNA PARASSITOSI OCCULTA? DESCRIZIONE DI UNA CASO DI ANEURISMA AORTICO NELLA VOLPE IDENTIFICAZIONE DEL PROFILO ENTEROTOSSICO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO SENSIBILI (MSSA) E STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO RESISTENTI (MRSA) ISOLATI DA LATTE BOVINO Gavaudan S. 1; Morandi F.2; Tomasi V.3; Angelico G.1; Graziosi T.1; Moscatelli F.1; Fioranelli F.3 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, via salvemini 1, 06100 Perugia; 2 Parco Nazionale dei Monti Sibillini, piazza del forno, 62039 Visso (MC). 3 Veterinario libero professionista. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana Centro di Referenza Nazionale per l’ Antibioticoresistenza Keywords: Spirocerca lupi; ecopathology; aortic aneurism SUMMARY in this work a case report of a parasitic borne aortic aneurysm in red fox (Vulpes vulpes) is presented. In the report, the body of young adult red fox, male, was found in the Sibillini Mountains National Park (Marche region, Italy). At necropsy an aneurysm was found and the rupture of thoracic aorta results in mediastinic hemorrhage as certain cause of acute death. Spirocercosis is a parasitic diseases probably low reported and low detected for its not obvious symptoms. Probably the disease, for its cycle, is more common in wild canids and felids than in domestics, however it could be more common than meets the eyes and so, it will be taken into account for the possible serious complications associated with. Introduzione La spirocercosi, malattia parassitaria causata da Spirocerca lupi (Spirurida; Nematoda), ha una distribuzione mondiale, particolarmente in aree temperate e tropicali; in italia è segnalata in meridione e nelle Isole (2). Il Ciclo biologico prevede diversi Ospiti Definitivi tra cui il cane, la volpe, il lupo e altri canidi e felidi selvatici mentre gli Ospiti Intermedi sono i coleotteri coprofagi. Una grande varietà di Ospiti Paratenici (rettili, uccelli, roditori) svolgono un ruolo essenziale per raggiungere l’ospite definitivo e completare il ciclo parassitario attraverso la predazione. Il nematode adulto nell’ospite definitivo emette uova larvate attraverso una sacca cistica aperta nel lume dello stomaco. Possono essere presenti lesioni gravi causate dalla migrazione larvale (L3) attraverso l’aorta e l’esofago. Tali lesioni sono rappresentate dall’aneurisma aortico, dalla calcificaazione della parete della stessa arteria, dalla spondilite vertebrale toracica, dalla trasformazione sarcomatosa delle lesioni esofagee (1). Il ciclo parassitario può facilmente compiersi in ambiente silvestre mentre è più raramente osservabile negli animali domestici dove la malattia parassitaria può decorrere in maniera paucisintomatica. Materiali e metodi L’esemplare in questione, Volpe rossa (Vulpes vulpes) giovane maschio adulto, in buono stato di nutrizione, è stato ritrovato morto in un’area isolata del Parco Nazionale dei Monti Sibillini a ca. 1200m slm (N 47°56’32’’-E13°11’54’’). Alla necroscopia è stato osservato un imponente emotorace (foto 1) il cui coagulo era localizzato nel mediastino dorsale e causato dalla rottura dell’aneurisma dell’aorta toracica (foto 2), ca. 2-3 cm posteriormente all’arco aortico. Sono stati osservati inoltre alcuni noduli granulomatosi (foto 3) delle dimensioni di 1-4 cm di diametro nello spessore della mucosa dello stomaco sul cui lume sono stati rilevati uno o più piccoli orifici (ca. 0,5-1 mm di diametro). Al loro interno erano presenti alcuni nematodi di colore grigio-rossastro di ca. 4-8 cm di lunghezza morfologicamente identificati come Spirocerca lupi. La causa della morte è stata attribuita all’emorragia acuta a seguito della rottura di un aneurisma aortico di origine parassitaria. RISULTATI E CONCLUSIONI La rilevanza del presente caso è dovuta essenzialmente a due differenti aspetti: - Il parassita non è segnalato in questa area ma la sua presenza potrebbe essere sottostimata, in particolare nel cane; la predazione, comportamento abituale nei carnivori selvatici può essere occasionale nella dieta degli animali d’affezione. - La volpe e altre specie di carnivori selvatici sono ospiti definitivi noti di S.lupi, ma a differenza del cane, nella volpe e nei selvatici non ci sono segnalazioni di decessi causati dal cedimento della parete aneurismatica. Foto 2: aneurisma aortico Foto 1: emorragia mediastinica Foto 3: granuloma gastrico BIBLIOGRAFIA - Van der Merwe LL et al.. Spirocerca lupi infection in the dog: a review. Vet J. 2008 Jun;176(3):294-309. - Ferrantelli V. et al.. Spirocerca lupi isolated from gastric lesions in foxes (Vulpes vulpes) in Sicily (Italy). Polish J. of Vet. Sci., 2010: 13-3; 465-471 270 Giacinti G., Sagrafoli D., Giangolini G., Rosa G., Tammaro A., Bovi E., Marri N., Carfora V., Franco A., Amatiste S. Key words: Staphilococcal enterotoxins, mecA, bovine milk SUMMARY Staphylococcus aureus is one of the most important foodborne pathogens and its pathogenicity is related to the production of staphyloccocal enterotoxins (SEs). The use of antibiotics in veterinary practices, could determine the selection of antibioticresistant clones of S. aureus, including methicillin-resistant S. aureus The aim of this research was to determine the prevalence of enerotoxin genes (sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei, sej, sep, ser) in MRSA e MSSA isolated from 75 individual bovine milk from seven different farms. The isolates positive to SEs genes were tested for the presence of staphylococcal enterotoxins (SEASED) by using the reversed passive latex agglutination method. Of 75 isolates examined, 20 (22,7 %) were found to be positive for SEs genes, while SEs were observed in only one strain. Seh was most commonly detected in MRSA isolates. INTRODUZIONE S. aureus produce un’ampia varietà di tossine extracellulari e fattori di virulenza responsabili di diverse patologie sia nell’uomo che negli animali. Nella bovina da latte è il principale agente eziologico di infezione intramammaria di tipo contagioso mostrando particolare resistenza alle terapie farmacologiche. La patogenicità di alcuni isolati microbici è notevolmente aumentata per acquisizione di geni di resistenza nei confronti di molecole antibiotiche. Negli ultimi anni, alcuni cloni di MRSA si sono diffusi tra gli allevamenti di animali zootecnici e negli animali da compagnia (1, 2). Recentemente in Italia sono stati isolati numerosi ceppi di MRSA da campioni di latte bovino e da prodotti lattiero-caseari (3, 4). Tra i diversi fattori di virulenza le enterotossine stafilococciche (SEs) sono causa di tossinfezione alimentare nell’uomo; nella bovina da latte contribuiscono ad aumentare la persistenza del patogeno nella ghiandola mammaria incrementandone la patogenicità (18). Ad oggi, sono state sierologicamente identificate 23 SEs sulla base di sequenze genetiche omologhe. Tutte le SEs agiscono come superantigeni, ma solo per alcune di esse (sea-sei, ser, ses, set) è stata dimostrata attività emetica (5). I geni codificanti le SEs sono localizzati su elementi genetici accessori prevalentemente mobili (6), quali plasmidi, profagi, isole di patogenicità (SaPIs), isola genomica nSa o in prossimità della cassetta cromosomica staphylococcal chromosomal cassette (SCC). Tali elementi mobili non sono uniformemente distribuiti fra isolati di S. aureus mostrando una grande variabilità genetica dovuta probabilmente a trasferimento orizzontale. La maggior parte dei geni codificanti le SEs sono collocati sulle isole di patogenicità (SaPIs). I geni sea sep, sek e seq sono associati a batteriofagi (7), mentre sed, sej , e ser sono trasportate da diversi plasmidi (8). Il gene seh è inserito insieme ad una trasposasi in prossimità della cassetta cromosomica SCC (9). Lo scopo di questo lavoro è stato di studiare il profilo enterotossico da un punto di vista fenotipico e genotipico di S. aureus meticillino resistente e S. aureus meticillino sensibile isolati da latte bovino proveniente da allevamenti della regione Lazio. MATERIALI E METODI Durante il periodo 2011-2012, sono stati collezionati 75 S. aureus isolati da campioni di latte individuale bovino provenienti da 7 allevamenti ubicati nella regione Lazio, risultati positivi a MRSA. Dei 75 S. aureus, 13 sono stati identificati fenotipicamente come MSSA e 62 identificati fentotipicamente come MRSA e confermati per la presenza del gene mecA mediante PCR. Gli isolati sono stati sottoposti a Multiplex-PCR (M-PCR) per il rilevamento dei geni codificanti le enterotossine stafilococciche (sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei, sej, sep, ser) secondo il protocollo messo a punto dal Laboratorio Comunitario di Riferimento (EU-RL CPS) (10-11). Sugli isolati positivi alla presenza dei geni sea, seb, sec e sed è stata determinata l’espressione in vitro delle enterotossine A, B, C, D mediante test di agglutinazione passiva inversa al lattice (RPLA) utilizzando il kit SET-RPLA (TD 9000, Oxoid, U.K.). RISULTATI E CONCLUSIONI La distribuzione degli isolati MRSA e MSSA nei sette allevamenti esaminati in questo studio è riportata in tabella 1. La presenza di geni enterotossici è stata riscontrata in 3 aziende (75%). Complessivamente, dai 75 S. aureus testati, la positività è stata osservata in 20 (26,6%) isolati. In particolare il 22,7% (n°17) dei ceppi è risultato positivo per il gene seh, mentre nei restanti 3 isolati, uno presentava geni codificanti per le SEA, SED, SER, SEJ, un secondo per SEB e un terzo per SEG, SEI. Tabella 1: distribuzione degli MRSA e MSSA nei 7 allevamenti studiati e relativi isolati codificanti SEs Allevamento n°MSSA n°MRSA Totale isolati A B C D E F G Totale 1 1 3 33 5 2 11 7 62 2 3 35 7 2 17 9 75 2 2 6 2 13 N° isolati pos. a geni codificanti SEs 2 6 12 20 L’espressione in vitro delle enterossine stafilococciche, mediante test di agglutinazione (RPLA) è stata osservata in un solo isolato (SEB) corrispondente al 5% del totale di S. aureus positivi ai geni codificanti le SEs. Il test fenotipico non ha evidenziato la produzione di ESA ESD in isolati con presenza dei relativi geni 271 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 codificanti. Questi risultati differiscono da quanto emerso da un nostro precedente lavoro (12), nel quale le SEs furono prodotte dal 28,4% degli isolati distribuiti nel 39,2% degli allevamenti controllati. Occorre comunque sottolineare che esiste un’ ampia variabilità geografica e di allevamento del profilo enterotossico di S. aureus provenienti da mastiti bovine. (12, 13, 14, 15). In questo studio (tabella 2), sono emerse differenze tra MRSA e MSSA, dove la presenza del gene seh è stata rilevata solo in isolati meticillino resistenti (27,4%). In particolare tale gene è stato identificato in 3 allevamenti dei 7 studiati e ritrovato in tutti i ceppi di S. aureus positivi al gene mecA isolati dalle tre aziende, non risultando, invece, presente in MSSA co-presenti. Rispetto a quanto osservato da altri autori (13, 14, 15, 16) in S. aureus isolato da latte di bovine infette il numero di isolati positivi al gene seh da noi trovato è risultato maggiore. In un recente lavoro (17) effettuato su ceppi di MRSA ST398 isolati da latte bovino non fu osservata la produzione di tossine stafilococciche, anche se il profilo dei geni enterotossici non fu investigato. Noto et al 2006 (9), ipotizzano che la presenza del gene seh in alcuni ceppi di MRSA con SCCmec tipo IV potrebbe stabilizzare l’integrazione cromosomica del SCCmec impedendone la sua escissione, alterando così il meccanismo di trasferimento orizzontale del gene. Questo suggerisce, inoltre, che l’acquisizione di un ulteriore fattore di virulenza è in grado di promuovere il mantenimento del fenotipo meticillino-resistente (9). Tabella 2: distribuzione dei geni codificanti le SEs tra gli isolati di MRSA e MSSA (n° e %) N° (%) Geni codificanti SEs sea sed ser sej seb seg sei seh negativi Totale MRSA 17 (27,4%) 45 (72,6%) 62 MSSA 1 (7,7%) 1 (7,7%) 1 (7,7%) 10 (76,9%) 13 L’importanza della capacità enterotossica di S. aureus e di MRSA nella patogenesi della mastite risulta ancora poco chiara, tuttavia l’attività superantigenica delle tossine enterotossiche sembra indurre una immunosoppressione nelle bovine da latte (18). Sulla base dei risultati emersi appare necessario effettuare ulteriori indagini per valutare i rischi associati alla diffusione di MRSA in ambiente zootecnico, come potenziale agente zoonosico, nonché come potenziale causa di tossinfezione alimentare. Sono inoltre necessari approfondimenti al fine di comprendere l’ origine clonale di MSSA e MRSA. Bibliografia 1-Walther B., Friedrich A.W., Brunneberg L., Wieler L.H., Lubke-Becker A.. 2006. Methicillin-resistant S. aureus (MRSA) in veterinary medicine: a new emerging pathogen. Berlin und Munchener Tierarztliche Wochenschrift, vol 119,n°5-6, pp222232. 2- Pan A., Battisti A., Zoncada A., Bernieri F., Boldini M., Franco A., Giorni M., Iurescia M., Lorenzotti S., Martinetti M., Monaci M., Pantosti A., 2009. Community-acquired Methicillin Resistant S.aureus ST398 infection, Italy. Emerging Infections Diseases. Vol, 15. 3- Normanno G., Corrente M., Calandra L, Dambrosio A., Quaglia Nc., Parisi A., Greco G., Bellacicco AL., Virgilio S., Celano GV., 2007. S.aureus (MRSA) in foods of animal origin product in Italy. Int.J.Food Microbiol., 117:219-222. 4- Giacinti G., Tammaro A., Sagrafoli D., Proietti A., Veschetti M.C., Bicocchi R., Franco A., Carratù D., Battisti A., Cordaro G., Amatiste S. 2011. Indagine per S. aureus e S.aureus meticillinoresistente (MRSA) in latte crudo di massa bovino di allevamenti della Regione Lazio. Sidilv 2011. 5- Fraser, J.D., Proft, T., 2008. The bacterial superantigen and superantigen-like proteins. Immunological Reviews 225, 226243. 6- Malachowa, N., DeLeo, F., 2010. Mobile genetic elements of Staphylococcus aureus. Cellular and Molecular Life Sciences 67, 3057-3071. 7- Baba, T., Takeuchi, F., Kuroda, M., Yuzawa, H., Aoki, K., Oguchi, A., Nagai, Y., Iwama, N., Asano, K., Naimi, T., Kuroda, H., Cui, L., Yamamoto, K., Hiramatsu, K., 2002. Genome and virulence determinants of high virulence communityacquired MRSA. Lancet 359, 1819-1827. 8- Omoe, K., Hu, D.L., Takahashi-Omoe, H., Nakane, A., Shinagawa, K., 2003. Identification and characterization of a new staphylococcal enterotoxin-related putative toxin encoded by two kinds of plasmids. Infection and Immunity 71, 6088-6094. 9- Noto, M.J., Archer, G.L., 2006. A subset of Staphylococcus aureus strains harboring Staphylococcal Cassette Chromosome mec (SCCmec) type IV is deficient in CcrAB-mediated SCCmec excision. Antimicrobial Agents and Chemotherapy 50, 2782-2788. 10-Detection of genes encoding staphylococcal enterotoxins. Multiplex PCR for sea to see and ser. Method of the EU-RL CPS, Version 1, October 2009. 11-Detection of genes encoding staphylococcal enterotoxins. Multiplex PCR for seg to sej and sep. Method of the EU-RL CPS, Version 1, October 2009. 12-G.Giacinti, A.Tammaro, L.Gemma, G.L. Signoretti, S.Amatiste.2008. Produzione di enterotossine da Staphylococcus aureus isolati da latte di capezzolo bovino. X Congresso Nazionale SIDILV. 13-Omoe K, Machik OI, Shimoda Y, Dong-Liang H, Ueda S (2002) Detection of seg, seh and sei genes in Staphylococcus aureus isolates and determination of the enterotoxin productivities of S. aureus isolates harboring seg, seh or sei genes. J Clin Microbiol 40: 857-862. 14-Larsen HD, Aarestrup FM, Jensen NE (2002) Geographical variation in the presence of genes encoding superantigenic exotoxins and beta-hemolysin among Staphylococcus aureus isolated from bovine mastitis in Europe and USA. Vet Microbiol 85: 61-67. 15-Akineden Ö, Annemüller C, Hassan AA , Lämmler C, Wolter W, Zschöck M (2001) Toxin Genes and Other Characteristics of Staphylococcus aureus Isolates from Milk of Cows with mastitis. Clin Diagn lab Immunolo 89: 59-64. 16- A. Bendahou, M. Abid, N. Bouteldoun, D. Catelejine, M. Lebbadi, 2009. Enterotoxigenic coagulase positive Staphylococcus in milk and milk products, lben and jben, in northern Morocco. J Infect Developing Countries: 3 (3): 169-176. 17- A. Feßler, C. Scott, K. Kadlec, R. Ehricht, S. Monecke, S. Schwarz, 2010. Characterization of methicillin-resistant Staphylococcus aureus ST398 from cases of bovine mastitis. Antimicrob Chemother 2010; 65: 619–625 18-Ferens W. A, W. C. Davis, M. J. Hamilton, Y. Park, C. F. Deobald, L. Fox, G.bohach. 1998 Activation of bovine lymphocyte subpopulations by staphylococcal enterotoxin C. Infect. Immun.66:573-580. 272 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALUTAZIONE DELL’INCIDENZA DI AVVELENAMENTI DA CUMARINICI NELLA REGIONE SICILIA MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA AD ALTA PRESSIONE (HPLC/DAD) Giangrosso G.1, 2, Migliazzo A.1, Vella A.1, Cicero A.1, Ferrantelli V.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” Palermo; 2 Università degli studi di Messina Key words: cumarinici, avvelenamento, HPLC/DAD SUMMARY The poisoning of animals is a growing phenomenon that in recent times has assumed proportions of very high concern on the national territory. In our work we evaluated the incidence of poisoning caused by coumarin in Sicily in the period 2010-2012 using the High Pressure Liquid Chromatography method (HPLC/DAD). The “cumarinici” (warfarin, dicumerol, bromadiolone, etc.) are direct inhibitors of vitamin K, needed for the hepatic production of prothrombin (Factor II), an important component of blood involved in the coagulation process. INTRODUZIONE L’avvelenamento degli animali è un fenomeno in continua crescita che in tempi recenti ha assunto proporzioni estremamente preoccupanti su tutto il territorio nazionale. Sono migliaia gli animali domestici che ogni anno muoiono a causa dell’ingestione di bocconi avvelenati e le cause più diffuse sono da rintracciare, in particolare, nel controllo della gestione della fauna selvatica, nei dissidi che si sviluppano all’interno dei condomini, nel disturbo reale o spesso solo ipotetico causato dagli animali e, da ultimo, nell’intimidazione criminosa. I veleni più usati fino a poco tempo fa erano il cianuro e la stricnina, attualmente di non facile reperibilità. Oggi invece si fa ricorso a prodotti tossici per uso agricolo, come gli antiparassitari, i rodenticidi, gli antilumaca, i diserbanti, etc. Tali prodotti risultano essere di facile reperibilità e di estrema efficacia procurando, purtroppo al soggetto colpito, una morte lenta e dolorosa. Nel nostro lavoro abbiamo voluto valutare l’incidenza, nella regione Sicilia, degli avvelenamenti causati da cumarinici nel triennio 2010-2012. I cumarinici (warfarin, dicumarolo, bromadiolone, etc.) sono inibitori diretti della vitamina K, necessaria per la produzione epatica di protrombina (Fattore II), componente importante della coagulazione del sangue (1) e (2). Altri fattori direttamente coinvolti con la vitamina K sono i fattori VII (protrombina acceleratore siero di conversione), IX (tromboplastina componente del plasma) e X (Stuart-Prower factor). Tali fattori vengono attivati dalle modificazioni posttraduzionali che consistono nella carbossilazione di alcuni residui di acido glutammico al fine di generare l’acido γ-carbossiglutammico. Durante la reazione di carbossilazione la vitamina K, che fissa e poi cede la molecola di CO2, viene trasformata in vitamina K epossido che viene poi riconvertita nella forma precedente tramite una specifica riduttasi. Questo enzima è il bersaglio dell’azione degli anticoagulanti, i quali ne determinano l’inibizione. Quando questa cascata è inibita, il risultato è un fallimento nella coagulazione del sangue. Affinché compaiano gli effetti anticoagulanti del farmaco è necessario che il pool della vitamina K venga in buona parte trasformato in epossido. Solo allora, infatti, i fattori della coagulazione prodotti non verranno resi attivi e non saranno in grado di esplicare la propria azione. Inoltre alcuni fattori della coagulazione hanno un’emivita di alcuni giorni: si dovrà attendere che vengano naturalmente consumati o degradati per raggiungere un’azione farmacologica completa. È per tali ragioni che gli effetti del farmaco iniziano a comparire dopo 8-12 ore dall’assunzione e raggiungono il massimo effetto dopo 48-72 ore. Il quadro clinico che compare è quello che consegue a una grave perdita di sangue. Purtroppo la sindrome emorragica non ha sempre una localizzazione precisa ed evidenziabile con facilità; di conseguenza ci si deve spesso basare su sintomi indiretti come: forte depressione del sensorio, anoressia, astenia, pallore delle mucose, dispnea, tosse, ipotermia o al contrario febbre (conseguente a cospicue emorragie interne), incapacità a mantenere la stazione quadrupedale e atassia, sino al manifestarsi in alcuni casi di vere e proprie convulsioni (dovute ad emorragie intracraniche). A volte invece le emorragie si rendono da subito ben evidenti e allora si può osservare melena, epistassi, ematuria, sanguinamento gengivale, copiose perdite di sangue da piccole ferite, che si arrestano con difficoltà, emorragie interne (emartro, emotorace o emoperitoneo). MATERIALI E METODI I campioni analizzati erano rappresentati dal fegato, dai reni, dallo stomaco e dal suo contenuto, di carcasse di animali, nonché dalle esche rinvenute nei pressi degli animali deceduti, inviate dai Servizi Veterinari Ufficiali, da veterinari libero professionisti e dalle forze dell’ordine (Carabinieri, N.A.S., ecc). Per la ricerca dei cumarinici la metodica utilizzata è quella della cromatografia liquida ad alta pressione (HPLC) e le misurazioni sono state effettuate tramite sistema binario in gradiente Agilent modello 1200 HPLC-DAD. La metodica di estrazione consiste nel pesare 5 gr di campione in provette falcon da 50 ml, aggiungere 40 ml di una soluzione Metanolo/TEA/NaOH (800ml/200ml/2ml), vortexare per circa un minuto, porre in bagno ultrasuoni per 10 minuti, centrifugare per 10 minuti a 3000 rpm e filtrare tramite filtri da 0,45 µm in vials da 1 ml. Il campione così preparato viene iniettato nel sistema binario in gradiente Agilent modello 1200 HPLC-DAD. Le condizione cromatografiche sono: - Velocità di flusso: 0.7 ml/min; - Lunghezze d’onda: 260 e 303 nm; -Tempo analisi: 15 min; -Fase mobile: Tampone acetato pH 5/Metanolo 70/30 e Acetonitrile. La corsa cromatografica segue un andamento in gradiente riportato nella tab. 1. 273 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tab. 1 Step Tempo (min) Flusso (ml/min) 0 0 0.7 Eluente A (Tampone acetato) 15% 1 6 0.7 70% 30% 2 13 1 70% 30% 3 14 0.7 15% 85% 4 15 0.7 15% 85% Eluente B (Acetonitrile) 85% RISULTATI Nei grafici successivi vengono riportati i risultati per provincia delle 433 carcasse pervenute presso i laboratori dell’Area di Chimica e Tecnologie Alimentari dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Sicilia nel triennio 2010-2012: DISCUSSIONE Il codice penale in particolare l’art 544 bis stabilisce che “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”. La legge 189 del 2004, annoverando nel concetto di animale qualsiasi essere vivente appartenente al genere animale senza distinzione tra quelli di affezione e quelli che non lo sono, permette l’applicazione della disposizione vietante il maltrattamento di animali non solo nei confronti degli animali domestici, bensì anche ad altri animali compresi i volatili, spesso oggetto di avvelenamento. Inoltre, secondo l’art. 674 C.P. “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di uso altrui, cose atte ad offendere le persone è punito con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino a € 206. L’offesa recata alle persone può dunque consistere sia in una lesione fisica, si pensi all’eventualità che ad ingerire il veleno sia un bambino, sia in un danno morale, come la perdita del proprio animale domestico. Non può non rilevarsi come nonostante l’aumento dell’attenzione tanto della popolazione, quanto delle istituzioni al fenomeno dell’avvelenamento questo è, e continua ad essere un problema irrisolto che necessita di un costante monitoraggio. Dai risultati ottenuti emerge una scarsa incidenza di avvelenamenti da cumarinici (6% sul totale dei campioni analizzati). C’è da dire però, che il loro meccanismo d’azione più prolungato rispetto alle altre molecole, permette un tempestivo intervento da parte del veterinario con maggiori possibilità di evitare la morte dell’animale, giustificando così il minore riscontro. Questi dati dimostrano in modo inequivocabile come nonostante diverse restrizioni di utilizzo e vendita delle varie sostanze, è ancora possibile riuscire a reperirle con una certa facilità. Conoscere il tipo di molecola impiegata negli episodi di avvelenamento è importante per diversi motivi, tra cui avere una mappatura dei principi attivi più utilizzati che consente un controllo più preciso da parte delle Forze dell’Ordine deputate al monitoraggio del fenomeno. Inoltre conoscere il tipo di molecola consente in base alla casistica e alla sintomatologia di poter intervenire tempestivamente nei casi in cui è possibile sfruttare il fattore tempo quando un animale è ancora in vita. Dall’attività di ricerca svolta emerge un quadro preoccupante riguardo al fenomeno dell’avvelenamento, soprattutto perché dimostra come questo non sia appartenente al passato ma molto attuale e presente sul nostro territorio. L’uccisione di animali per mezzo dei bocconi/esche avvelenate è una barbara attività, figlia di una ancestrale concezione di controllo del territorio; tale modalità, in aggiunta alle implicazioni morali facilmente intuibili, non è assolutamente selettiva e determina la dispersione di pericolose sostanze tossiche nell’ambiente responsabili di gravi fenomeni a carico della popolazione domestica e selvatica. Quando le esche vengono posizionate nell’ambiente urbano, il rischio si estende anche alla fascia di popolazione rappresentata dai bambini. BIBLIOGRAFIA (1) Donoco, E., Haft, J.I., 1976. Thrombosis, Platelets, Anticoagulation, and Acetylsalicylic Acid, Vol. 2. Stratton International Medical Book Corporation. New York, NY, 200pp; 2) Seegars, W.H., Walz, D.A., 1986. Prothrombin and Other Vitamin K Proteins, Vol. I. CRC Press, Inc., Boca Raton, FL, 181pp; 274 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DETECTION OF COCCIDIOSTATS AT CARRY-OVER IN FEED: RESULTS OF A SURVEY PERFORMED IN THE PERIOD 2011-2012 IN PIEDMONT REGION Gili M., Stella P., Ostorero F., Abete M.C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, 10154 Torino Key words: coccidiostatici, carry-ver, mangimi SUMMARY During the production of feed containing coccidiostats as additives, unavoidable carry-over of the coccidiostats from target to non-target feed occur when the same production lines are used. In the EU, the use of these substances is under regulation (Reg 2011/574/CE, which sets maximum levels for these coccidiostats for unavoidable carry-over in feed), but residues are found in meat and eggs because cross-contamination or misuse on farm. So, animals feedstuffs must be controlled. Having an LC-MS/MS method developed and validated according to Reg. 2004/882/EC criteria in our laboratories, that allows the identification and quantitative determination of eight coccidiostats (robenidine, nicarbazin, diclazuril, lasalocid, monensin, narasin, salinomycin and maduramycin) in feed at carry-over levels, was launched a monitoring plan to trial. This survey provides a collection of 400 samples feed in Piedmont region during the period from January 2011 to December 2012. INTRODUZIONE I coccidiostatici sono farmaci utilizzati negli allevamenti di diverse specie di animali da reddito per contrastare l’insorgenza della coccidiosi, malattia parassitaria causata da protozoi del genere Eimeria appartenenti alla classe Sporozoa. Il Reg. 2003/1831/EC autorizza l’utilizzo come additivi nei mangimi dei seguenti coccidiostatici: alofuginone bromidrato, decochinato, diclazuril, lasalocid sodico, maduramicina ammonio, monesin sodico, narasin sodico, nicarbazina, robenidina cloridrato, salinomicina sodica, semduramicina sodica. Poiché queste sostanze, anche a causa della elevata elettrostaticità della molecola, sono tra i principali responsabili di fenomeni di carryover, l’Unione Europea ha emanato prima la Direttiva 2009/8/ EC (1) , seguita poi dal Reg. 2011/574/EC, che definisce i tenori massimi di coccidiostatici presenti per effetto di carryover inevitabile in mangimi destinati a specie non bersaglio. La “cross-contaminazione” o “carry-over” si verifica quando quantità di farmaco molto inferiori alla dose terapeutica, rimaste nell’impianto di lavorazione per una insufficiente procedura di bonifica dopo la produzione di un lotto di mangime medicato, contaminano un mangime “bianco”. Il fenomeno può esser causato da diversi fattori, sia in PRODUZIONE (produzione simultanea di mangimi medicati e non, scarsa pulizia attrezzature e locali, emissione di polveri e liquidi, mancata separazione di zone di stoccaggio, caratteristiche fisiche delle sostanze, uso di premiscele in polvere anziché granulari), sia in ALLEVAMENTO (mangimi medicati e bianchi nello stesso silos, scarsa pulizia di attrezzature, mangiatoie o erogatori acqua, contaminazione fra sacchi o recipienti aperti). Come conseguenza si può avere presenza di residui del farmaco > LMR in alimenti di origine animale. Il rischio maggiore si ha con mangimi per animali in fase di finissaggio e mangimi per animali da produzione diretta (uova e latte). Al fine di un costante monitoraggio, il Piano Nazionale di vigilanza e controlli sanitari sull’Alimentazione Animale (PNAA) prevede la ricerca di coccidiostatici non solo per la verifica della conformità al dichiarato ma anche a livello di contaminazione crociata in mangimi destinati a specie non bersaglio. Nel 2010 presso il nostro laboratorio è stato sviluppato e validato un metodo multiresiduo quantitativo per la ricerca di coccidiostatici in alimenti ad uso zootecnico a livello di carry-over (robenidina, nicarbazina, diclazuril, lasalocid, monensin, narasin, salinomycina e maduramycina) mediante LC-MS/MS idoneo alla esecuzione di analisi sia di screening che di conferma nell’ambito dei controlli ufficiali. In seguito, nel periodo 20112012 questo metodo è stato utilizzato per l’esecuzione di controlli ufficiali. Nel presente lavoro sono riportati i risultati dei controlli effettuati nel biennio 201-2012 in Piemonte per la ricerca di coccidiostatici al livello di contaminazione crociata. MATERIALI E METODI L’attività di prelievo campioni è stata effettuata dai Servizi Veterinari delle AA.SS.LL. del Piemonte, nell’ambito del PNAA e di un extrapiano regionale. Tutti i campioni prima dell’analisi sono stati accuratamente macinati per avere uniformità di distribuzione dell’analita nel campione; sono stati quindi analizzati presso il Laboratorio Ricerca Residui dell’IZS PLV con un metodo multiresiduo quantitativo per la ricerca di coccidiostatici in alimenti ad uso zootecnico a livello di carry-over sviluppato dal Centro di Referenza per l’Alimentazione Animale (C.Re.A.A.) e validato in conformità ai criteri del Reg. 2004/882/EC. Questo metodo, basato sulla Cromatografia Liquida accoppiata alla Spettrometria di Massa tandem (LC-MS/MS), consente di identificare e quantificare 8 degli 11 coccidiostatici autorizzati (robenidina, nicarbazina, diclazuril, lasalocid, monensin, narasin, salinomycina e maduramycina) in mangimi a livello di carry-over, cioè a partire da concentrazioni di 0.250 mg/ kg per robenidina, nicarbazina, lasalocid, monensin, narasin, salinomycina e di 0.005 mg/kg per diclazuril e maduramicina. RISULTATI E DISCUSSIONE Il metodo sviluppato e validato risulta idoneo all’esecuzione di analisi sia di screening che di conferma, in quanto consente l a separazione, identificazione e quantificazione degli analiti (fig. 1). Il laboratorio IZS PLV ha partecipato nel 2012 a un proficiency test organizzato dal laboratorio di riferimento europeo EURL Feed Additives JRC- Geel con esito soddisfacente (tabella 1). Nel periodo 2001-2012 sono stati analizzati 400 campioni di mangimi completi per diverse specie animali (bovino, suino, ovicaprino, equino, volatili, conigli): 358 campioni sono risultati negativi, 26 campioni sultano contenere basse concentrazioni di coccidiostatici (inferiori al limite massimo) e 14 campioni sono risultati non conformi. 275 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 I valori riscontrati nei campioni non conformi sono comparabili con un fenomeno di carry over inevitabile. Gli analiti che si riscontrano con maggior frequenza sono la robenidina, la nicarbazina e gli ionofori (monensin, salinomicina, maduramicina e narasin). Certamente il numero di campioni esaminati è rappresentativo per avere una “fotografia” della realtà produttiva e della efficacia delle bonifiche di processo attuate in produzione per evitare il fenomeno del carry over. Da segnalare che, in alcuni casi, sono state riscontrate criticità nel campionamento: 1) In alcuni casi era richiesto un coccidiostatico in un mangime che in etichetta dichiarava un altro principio attivo con pari funzione e a volte appartenente alla stessa famiglia (es RICHIESTO: lasalocid, DICHIARATO: monensin): si rileva una incongruenza poiché l’efficacia delle procedure di bonifica tra cicli di lavorazione dovrebbe esser verificata solo nel passaggio a mangimi bianchi. 2) Si sono verificati casi di prelievo del campione in mangiatoia senza campione in contraddittorio; in queste condizioni non si può verificare se la causa è da ricercare nelle procedure di bonifica tra cicli di lavorazione in stabilimento o in errori a livello di allevamento. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1: risultati del proficiency test 2012 Analita Concentrazione (mg/kg) n. di laboratori % di risultati soddisfacenti Monensin Lasalocid Salinomicina Narasina Diclazuril 1.09 1.19 0.66 0.68 0.010 29 29 29 29 29 67 62 73 57 63 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Directive 2009/8/CE, Off. J. Eur. Communities L40/19 (2009) 2. REG. 2004/882/EC, Off. J. Eur. Communities L191/1 (2004) 3. W.J.Youden, E.H.Steiner, Statistical Manual of AOAC, Association of Official Analytical Chemist, 33, 1975 4. Proceeding of 6TH MS-Pharmaday Milan 2010 Figura 1: cromatogrammi di estratti di mangime drogato con tutti gli analiti MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS (MAP): VALUTAZIONI PRELIMINARI SU PROTOCOLLO DIAGNOSTICO POST MORTEM IN BOVINI MACELLATI DI ALLEVAMENTI INFETTI Giorgi I., Goria M., Romano A., Garrone A., Bozzetta E., Varello K., Dondo A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Key words: Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, cattle, standardized sampling ABSTRACT Faeces, portions of intestine and gut-associated lymph nodes were collected at slaughter from 49 dairy cattle from paratuberculosis infected herds and processed for MAP detection (culture, PCR, histopathology). All of intestinal tracts were positive for MAP. Based on these results it’s advisable to analyze multiple intestinal tracts and lymph nodes to detect infected animal. Moreover, 15 cattle positive for MAP in tissue, resulted negative in faeces. Different factors, such as low shedder condition, intermittent faecal excretion or early stage of infection could affect the performance of MAP detection on faeces. A standardized sampling protocol on slaughtered animals of infected herds could increase the diagnostic success on suspected animals. It could also be useful to discover infected animals, which were negative for in vita tests. Better information about health status of the herd could advise to perform an appropriate prevention and a correct management in the infected herds. INTRODUZIONE Mycobacterium avium subspecie paratuberculosis (MAP) è l’agente eziologico della paratubercolosi, una malattia infettiva che provoca diarrea cronica nei ruminanti domestici e selvatici. L’infezione avviene prevalentemente per via oro-fecale, segue poi un lungo periodo di incubazione. Nei bovini la manifestazione clinica avviene di norma dopo i 2 anni di età: esordisce con diarrea incoercibile, che porta a dimagrimento e decadimento delle condizioni generali (1). Le lesioni a livello intestinale sono rappresentate da ispessimento della mucosa intestinale, che assume un aspetto cerebroide. I linfonodi interessati appaiono aumentati di volume ed edematosi. (2) Questa malattia è una tra le più difficili da eradicare in allevamento, principalmente a causa della presenza di animali eliminatori non clinicamente manifesti. I Test diagnostici in vita disponibili (Elisa, colturale, PCR) non sempre riescono ad individuare gli animali infetti a causa della loro bassa specificità diagnostica. (3) La paratubercolosi negli allevamenti delle bovine da latte sta assumendo una importanza sempre maggiore a livello internazionale, soprattutto a causa delle restrizioni commerciali che attualmente sono in vigore in paesi con mercato emergente (India e Cina). Per questo motivo nella U.E. alcuni paesi hanno iniziato ad adottare dei piani obbligatori o volontari per il controllo e riduzione della malattia. In Italia è attivo in Lombardia un piano volontario per il controllo e la certificazione della paratubercolosi bovina, con allo studio la possibilità di essere esteso a tutto il territorio nazionale (4). In questo scenario è quindi importante disporre di protocolli diagnostici il più possibile accurati e sensibili per formulare la diagnosi anche in modo precoce. A tal fine sono stati effettuati test colturali, biomolecolari e istologici su tessuti intestinali e su feci di bovini macellati. Con l’esecuzione del protocollo diagnostico messo a punto è stata valutata nei diversi tratti dell’apparato gastroenterico la presenza di MAP e delle lesioni istopatologiche correlate. 276 Contemporaneamente i risultati sono stati messi in relazione con gli esiti degli esami colturali e biomolecolari eseguiti a partire dal materiale fecale prelevato dall’intestino degli stessi animali. Il lavoro rappresenta un contributo per la valutazione di un set di esami post mortem standardizzati, anche nell’ottica di un miglioramento nella gestione e controllo della paratubercolosi in allevamento. MATERIALI E METODI Campionamento: sono stati analizzati 218 campioni di organi appartenenti a 49 animali macellati. Gli organi prelevati in sede di macellazione sono stati: linfonodi meseraici, piccolo intestino, valvola ileo-ciecale, intestino cieco, intestino retto. Contestualmente dai 49 animali è stato eseguito un prelievo di feci dall’ultimo tratto dell’intestino. Esame colturale: Le feci e i tessuti prelevati sono stati sottoposti a decontaminazione con HPC 0,75% e seminati su diversi terreni antibiotati all‘uovo di herrold‘s (HEYM), in base ai protocolli del manuale OIE 2008 (7). Le colture venivano controllate con cadenza trisettimanale per 4 mesi. In caso di crescita di batteri alcol-acido resistenti si procedeva all’identificazione con tecnica PCR. Diagnostica molecolare: il protocollo prevede due amplificazioni successive che amplificano la sequenza d‘inserzione IS900 specifica per MAP utilizzando nel primo step la coppia di primer denominati P90 (5‘-GAAGGGTGTTCGGGGCCGTCGCTTAGG-3‘) e P91 (5‘-GGCGTTGAGGTCGATCGCCCACGTGAC-3‘), da cui si ottiene un amplicone specifico di circa 400 bp. Al fine di aumentare la sensibilità del saggio è stato disegnato il primer pEmiNPTBC-f (5‘-TGGGTTGATCTGGACAATGACGGTTAC-3‘), interno alla sequenza nucleotidica definita dai primers p90 e p91, da utilizzare nel secondo step da cui si ottiene un amplicone specifico della lunghezza di 229 bp. (5) Diagnostica Istopatologica: i tessuti fissati sono stati sottoposti alle procedure standard di inclusione in paraffina ed al taglio al microtomo di sezioni di 4±2 μ di spessore. Sui preparati è stata eseguita colorazione con Ematossilina-Eosina (EE) e colorazione di Ziehl Neelsen (ZN). RISULTATI E DISCUSSIONE Su 34/49 capi (69,4%), con il protocollo messo a punto, è stata rilevata la positività per MAP ad uno degli esami eseguiti per tratto intestinale o in un linfonodo. Nel grafico 1 viene mostrata la positività per MAP per singolo organo (espressa in percentuale) dei 34 capi con almeno un test positivo. In particolare 26 capi (76%) erano positivi al colturale per almeno un organo, 32 (94,1%) alla PCR e 17 (50%) all’esame istologico(isto). Gli esami colturali e biomolecolari eseguiti dai campioni fecali prelevati dall’intestino degli stessi 34 animali sono risultati negativi in 15 casi (44,1%). Nel grafico 2 sono mostrate le percentuali di positività per MAP nei diversi organi dei 15 animali con esami negativi sulle feci. 277 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Grafico 1 – percentuale di positività per MAP e lesioni istopatologiche, per organo e per tipologia di esame, nei capi positivi. (batt: esame colturale PCR: heminested PCR, isto: esame istologico) modo indiretto, informazioni per una ricerca mirata delle possibili fonti di contaminazione (acquisto di animali, gruppi di animali, figli di positivi, ecc) al fine della migliore messa a punto di misure di prevenzione tempestive e adeguate. Grafico 2 – percentuale di positività per MAP e lesioni istopatologiche, per organo e per tipologia di esame, nei capi con feci negative. (batt: esame colturale PCR: heminested PCR, isto: esame istologico) I linfonodi meseraici, il piccolo intestino e la valvola ileocecale sono stati gli organi in cui è stato rilevato il maggior numero di lesioni istologiche specifiche, mentre l’isolamento di MAP è avvenuto più frequentemente dal retto, cieco e piccolo intestino. La percentuale di positività alla PCR non ha evidenziato differenze significative nei vari organi. Analizzando i risultati ottenuti risulta quindi utile effettuare un campionamento policostituito nei vari distretti intestinali (tessuti e linfonodi meseraici), al fine di aumentare la possibilità di successo diagnostico. L’assenza di MAP nelle feci nei 15 animali in cui sono state evidenziate lesioni istopatologiche specifiche o in cui è stata rilevata la presenza di MAP potrebbe essere così spiegata: presenza di animali infetti con escrezione fecale paucibacillare o intermittente, animali in fase iniziale d‘infezione con escrezione di MAP nelle feci ancora non presente. A supporto di questa ultima ipotesi l’organo che ha presentato il maggior numero di lesioni istologiche nel campionamento eseguito è stato il piccolo intestino, che, come noto, è il sito di infezione primario di MAP (6). In 15 capi dei 49 animali inseriti nello studio non sono stati rilevati MAP o lesioni specifiche nei tessuti e sono risultati negativi anche gli esami effettuati dalle feci. Questo risultato, seppure ottenuto su un esiguo numero di campioni, ci consente comunque di considerare il protocollo diagnostico dotato di buona sensibilità per la rilevazione di animali paratubercolotici con escrezione attiva. I risultati del lavoro permettono di evidenziare i possibili benefici che si potrebbero ottenere con l’esecuzione di campionamenti policostituiti standardizzati al macello di tessuti di animali provenienti da allevamenti infetti.Infatti l’adozione di esami post mortem può essere utile, in particolare, per svelare la presenza in allevamento di animali infetti non eliminatori o negativi all’esame colturale dalle feci. La possibilità di identificare i falsi negativi è molto importante, nell’ottica di una valutazione della diffusione reale nell’allevamento, soprattutto considerando le basse sensibilità dei test in vita ad oggi disponibili. Inoltre, in caso di macellazione diagnostica di animali positivi ai test in vita, gli esami post mortem possono confermare l’infezione: ad esempio confermando le positività all’Elisa escludendo che si tratti di una risposta aspecifica, oppure nel caso di positività per MAP in vita con esame batteriologico o PCR da feci dando la possibilità di verificare l’eventualità che si tratti di un transito passivo. Questo tipo di approccio permetterebbe una migliore comprensione delle dinamiche di trasmissione e mantenimento della paratubercolosi in un allevamento infetto e fornirebbe, in XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DIAGNOSI DI LABORATORIO DI TOXOPLASMOSI SU UN ASINO Giunta R.P., Salvaggio A., Alfonzetti A., Aparo A., Bauso R., Conti R., Marino A.M.F. Centro di Referenza Nazionale per la Toxoplasmosi - Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Catania Key words: Donkey, Toxoplasma gondii, Nested-PCR SUMMARY The present work reasons about some sample’s positivity for Toxoplasma gondii, either in circulating antibody form, both as bradyzoites in tissue, in the Equidae’s. family Horses and donkeys in fact have always been considered “resistant” (1-2) to Toxoplasma gondii infection, but resistance refers to the lack of pathological manifestations (3). The donkey examined was found positive to equine infectious anemia, a condition that could have led to the exacerbation of the disease, resulting in positive serology. The importance of the results of this investigation come along to the phenomenology of Catania, as it is known there is a high consumption of horse meat. Si ringrazia il Centro di Referenza Nazionale per la Paratubercolosi (IZSLER) per il prezioso contributo e supporto fornito per la realizzazione del lavoro. Ricerca realizzata con fondi erogati dal Ministero della Salute nell’ambito del programma ricerca corrente 2010 (Progetto IZSPLV 10/08 RC). BIBLIOGRAFIA 1.Arrigoni N., Alborali L., Bertoletti I., Boldini M., Fabbi M., Invernizzi A., Losini I., Luini M., Monaci C., Rosignoli C., Sacchi C.,Tamba M., Belletti G.L. 2006. Indagine sulla prevalenza di Paratubercolosi negli allevamenti bovini da latte della Lombardia. Atti del XXXIX Congresso Nazionale della S.I.B. Buiatria 1 pp 7-12 2.Antognoli M.A., Garry F.B., Hirst H.L., Lombard J.E., Dennis M.M., Gould D.H., Salman M.D. 2008. Characterization of Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis disseminated infection in dairy cattle and its association with antemortem test results. Veterinary Microbiology 127 pp 300–308 3.Crossley BM, Zagmutt-Vergara FJ, Fyock TL, Whitlock RH, Gardner IA., 2005. Fecal shedding of Mycobacterium a vium subsp. Paratuberculosis by dairy cows. Vet Microbiol 107 pp 257-63 4.Ddg 18 luglio 2013n.6845 Piano regionale di contrllo e certificazione nei confronti della paratubercolosi bovina. Bollettino ufficiale Regione Lombardia. serie ordinaria num 30, pp 42-51 5.Garrone A., Fulghesu L., Benedetto A., Soncin A.R., Carlino F., Dondo A., Goria M., osservazioni preliminari per la ricerca di m. avium subsp. paratuberculosis in campioni fecali di bovino mediante l’allestimento in house di un metodo heminested pcr Atti del X Convegno nazionale SIDILV 2008 p 191 6.Dennis D.M, Antognoli M.C.,Garry F.B.,Hirsc H.L,. Lombard J.E, Goulda D.H. 2008 Association of severity of enteric granulomatous inflammation with disseminated Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis infection and antemortem test results for paratuberculosis in dairy cows. Veterinary Microbiology 131, Pp 154–1636 7.OIE Terrestrial Manual 2008 pp 277-281 278 INTRODUZIONE La toxoplasmosi negli equidi decorre, nella stragrande maggioranza dei casi, in maniera asintomatica, anche se sono stati descritti episodicamente febbre, encefalite, atassia e degenerazione retinica. Vari studi a carattere sierologico condotti sui cavalli in diversi Paesi del mondo hanno evidenziato un ampio intervallo di positività, che va dall’ 1% al 37%, a seconda della zona geografica e del metodo utilizzato. Per quanto riguarda gli asini i dati sierologici sono ancora incompleti, ma le positività risultano essere anche più elevate, con un massimo del 62% in Turchia. A queste positività però, anche se a titoli elevati, non corrispondono forme sintomatologiche evidenti. Il presente caso descrive le positività per Toxoplasma gondii rilevate agli esami di laboratorio su di un asino di razza ragusana, di sesso femminile e dell’età di circa 17 anni, macellato in seguito ad una precedente positività per Anemia Infettiva Equina (AIE) evidenziata durante gli esami di routine previsti dalla normativa vigente per gli equidi riproduttori. Il soggetto alla visita ispettiva ante-mortem mostrava ottundimento del sensorio, atassia locomotoria, difficoltà al mantenimento della stazione quadrupedale e cachessia (fig.1). Il quadro sintomatologico naturalmente era complicato dalla sovrapposizione delle due patologie concomitanti. Fig 1 Il soggetto si mostra cachettico e con difficoltà motorie Erano evidenti inoltre diverse lesioni traumatiche sulla superficie del corpo e nel sottocute, legate presumibilmente alla mancanza di coordinamento nei movimenti. ( Fig 2) Fig 2 Carcassa con evidenti ecchimosi nel sottocute Durante la macellazione dell’animale, avvenuta nel rispetto della normativa vigente, sono stati eseguiti diversi campionamenti di sangue ed organi per l’esecuzione degli esami di laboratorio da parte del Ce.Tox, Centro di Referenza Nazionale per la Toxoplasmosi ubicato presso l’IZS della Sicilia Area Catania. Sul sangue in toto è stato eseguito un esame sierologico mediante l’impiego della metodica IFI per la diagnosi di Toxoplasma gondii, mentre i restanti campioni (sangue con EDTA, occhio, tronco encefalico, muscolo, diaframma e cuore) sono stati sottoposti ad esame biomolecolare, mediante l’impiego della Nested-PCR, come previsto dall’OIE Manual of Diagnostic Test and Vaccines for Terrestrial Animals (4) per la diagnosi di Toxoplasma gondii. MATERIALI E METODI Sul siero prelevato è stata effettuata una sierodiagnosi per toxoplasmosi mediante una metodica di immunofluorescenza indiretta. A tal fine sono stati impiegati dei vetrini a 12 pozzetti, prodotti dalla ditta “Fuller Laboratories”, e sensibilizzati con tachizoiti di T. gondii RH strain, secondo quanto previsto dal Manuale OIE. Si è proceduto seguendo il protocollo previsto dallo stesso Manuale “Protocol for the IFA test”, pur applicando le varianti previste per specie diverse. E’ stato, inoltre, utilizzato un coniugato specie-specifico (anticorpi anti -IgG) marcato con FITC della stessa ditta. Il siero è stato saggiato dalla prima diluizione di 1:16 sino alla diluizione di 1:128. Il mezzo di montaggio dei vetrini conteneva il 50% di glicerolo in PBS. Per quanto riguarda gli esami biomolecolari, l’occhio, il tronco encefalico, il muscolo striato, il diaframma ed il muscolo cardiaco, insieme ai campioni di sangue in toto con EDTA, sono stati sottoposti a ricerca del DNA di Toxoplasma gondii mediante tecnica Nested PCR, seguendo anche in questo caso le indicazioni dettate dal Manual of Diagnostic Test and Vaccines 279 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 for Terrestrial Animals, O.I.E. ed. 2008, “Toxoplasmosis” Cap. 2.9.10. B 1.c. L’estrazione del Dna ha seguito le modalità operative descritte nel Kit dell’Invitrogen PureLink™ Genomic DNA, utilizzando colonnine di affinità. Il Kit prevede prima dell’estrazione una fase di preparazione del campione durante la quale vengono digeriti i tessuti. La durata della digestione varia da poche ore a tutta la notte, a seconda della consistenza del campione. Si passa quindi alla fase di estrazione vera e propria ottenendo il DNA che verrà successivamente amplificato con un kit taq polymerase (Euroclone). La prima amplificazione viene condotta usando i primers P1 (Toxo Burg First Forward) e P4 ( Toxo Burg Nested Reverse) per ottenere un amplificato di 194 bp, la seconda amplificazione “nested” con i primers P2 (Toxo Burg Nested Forward) e P3 (Toxo Burg Nested Reverse) da cui si ottiene un frammento di 97bp (5-6). Nella fase successiva si passa alla lettura degli amplificati ottenuti, caricandoli su di un gel di agarosio al 2% insieme ad un controllo positivo ATCC50838 coltivato su cellule Human Foreskin Fetal e ad un controllo negativo. In aggiunta viene adoperato come marcatore molecolare un ladder 100 bp per segnalare l’altezza della banda positiva di riferimento di 97bp (fig 3). Fig 3: i campioni positivi su gel d’agarosio confrontati con K+ e ladder 100 bp RISULTATI E CONCLUSIONI All’osservazione al microscopio a fluorescenza il siero in esame è risultato positivo alla prima diluizione (1:16) e debolmente positivo alla seconda (1:32), mentre i campioni saggiati mediante Nested PCR hanno dato i risultati descritti in tabella 1. Tab 1: Campioni saggiati, Metodiche utilizzate e risultati ottenuti, Riferimenti bibliografici Emosiero IFAT pos. 1:16 Manuale OIE Sangue in toto con EDTA PCR pos. Manuale OIE PCR pos. Turner and Savva,1991 PCR pos. Turner and Savva,1991 Muscolo striato PCR pos. Turner and Savva,1991 Diaframma PCR pos. Munday,USA Muscolo cardiaco PCR pos. Turner and Savva, 1991 Occhio Tronco encefalico In bibliografia viene riportato che gli equidi sono considerati essere poco sensibili agli effetti patogeni del Toxoplasma gondii, (3-4); che la siero-prevalenza varia in base all’età (massima positività dopo i 10 anni, a causa del prolungato contatto con le oocisti infettanti), all’area geografica (gli ambienti costieri favoriscono l’infezione), alle condizioni igieniche ed alla conduzione dell’allevamento (Riemann et al.,1975). Considerata l’alta prevalenza e la scarsa sintomatologia, è quindi necessario considerare gli equidi come un’importante fonte di trasmissione della toxoplasmosi all’uomo, sia attraverso il consumo di carni poco cotte, sia attraverso il consumo di latte di asina non pastorizzato (7-8). A sostegno di ciò riportiamo come la suscettibilità degli equidi al toxoplasma sia stata dimostrata sin dal 1954 (Hasegawa et al.,1954), e come nella review di P. Tassi si riferisca il caso di ponies trattati con corticosteroidi e successivamente inoculati con milioni di tachizoiti senza che abbiano manifestato alcuna sintomatologia clinica se non piressia. Di contro le abitudini alimentari della popolazione di numerose regioni italiane, dove la carne di cavallo e di asina viene consumata in quantità sempre maggiori e la caratteristica inoltre di venire consumata “al sangue” impedendo in tal modo che avvenga la distruzione di eventuali cisti, per la qual cosa sarebbe necessario raggiungere una temperatura interna di almeno 67°C (9), fanno in modo che il consumo di equidi rappresenti sempre di più un serio problema di sanità pubblica e rende necessario un aumento dei controlli sulle carni e sul latte a motivo dei rischi che la toxoplasmosi può rappresentare specialmente per alcune fasce di popolazione. BIBLIOGRAFIA 1) Sonia BoughattasRamzi Bergaoui, Rym Essid1, Karim Aounand Aida Bouratbine*” Seroprevalence of Toxoplasma gondii infection among horses in Tunisia” 2) Seroprevalence of Toxoplasmosis in Donkeys in Eastern Turkey Balkaya, I.,1 Babur, C.,2 Celebi, B.2 and Utuk, A. E, Israel Journal of Veterinary Medicine Vol. 66 (2) June 2011 3) P.Tassi “Toxoplasma gondii infection in horses”. A review, Parassitologia 2007, vol. 49, n o 1-2, pp 7-15 4) Manual of Diagnostic Test and Vaccines for Terrestrial Animals - O.I.E. ed. 2008, “Toxoplasmosis” Cap. 2.9.10. B1.c. 5) J. L. Burg, C. M. Grover, P. Pouletty and J. C. Boothroyd (1989) “Direct and sensitive detection of a pathogenic protozoan, Toxoplasma gondii, by polymerase chain reaction”. Journal of Clinical Microbiol., 27 (8): 1787 6) J.P.Dubey,P.Thulliez,S.romand,O.C.H. Kwok, S.K.Shen, H.R. Gamble ”Serologic prevalence of toxoplasma gondii in horses slaughtered for food in North America”-Vetrinary Parasitology 86(1999)235-238 7) HP Riemann, ME Meyer, JH Theis, G Kelso Toxoplasmosis in an infant fed unpasteurized goat milk J Pediatr. 1975 Oct;87(4):573-6. 8) D. Hill and J. P. Dubey “Toxoplasma gondii: transmission, diagnosis and prevention”- Clin Microbiol Infect 2002; 8: 634– 640 9) Muriel Cornet-“Toxoplasmosis and horse meat,France”Emerging Infectious Diseases,vol 17.n°7 july 2011 280 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 EFFETTI DELL’ IRRAGGIAMENTO CON RAGGI X DI BASSA ENERGIA SULLA SOPRAVVIVENZA DI SALMONELLA SPP. Goffredo E., Azzarito L., Mangiacotti M., Altieri P., Chiaravalle A.E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata, Foggia Key words: irraggiamento, Salmonella spp, dosimetria SUMMARY The research studied, in vitro and on poultry meat, sensitivity of three serotypes Salmonella spp. to x-rays irradiation, calculating the D10 values. For each test, broth culture or spiked meat sample were irradiated and analyzed with mini-MRSV MPN method, to evaluate the bacteria count, at the same time with non-irradiated samples.The doses of radiation were 0.1 and 0.5 kGy. For D10 calculation, data from each test were Log transformed and the microbial charge reduction evaluated; the regression analysis (Eq.1°) was then applied comparing the reductions of charge against x-ray doses.The D10 resulted as the reciprocal of the inverse of the slope (b) (D10 =-1/b).The D10 were between 0,12-0,2, for the strains in broth-culture and 0,22-0,3 in meet. At the same time we defined primarily the dosimetric system to quantify x-ray dose, and, secondarily, validated Electron Spin Resonance method to the detection of x-ray treatment on turkey meat. For the dosimetric system (alanine-pellet and ESR spectrometer), we determined the calibration curve in dose.The ERS method results fit for purpose with LOQ =0.5 kGy and a good robustness. INTRODUZIONE Le radiazioni ionizzanti rappresentano senz’altro la nuova frontiera delle tecniche di lavorazione e conservazione degli alimenti. Tale tecnologia agendo sugli acidi nucleici cellulari, è utilizzabile oltre che per bloccare i processi germinativi in taluni vegetali, per ridurre le cariche microbiche di microrganismi commensali o patogeni, rallentando i processi alterativi e risanando gli alimenti, senza modificarne sostanzialmente le caratteristiche organolettiche. Scopo della presente ricerca è stato studiare in vitro e su matrice carne di pollame la sensibilità di Salmonella spp. all’irraggiamento con raggi-x, con definizione della dose D10. Contemporaneamente si intendeva individuare il sistema dosimetrico da adottare per la quantificazione del trattamento radiante ed estendere, validandolo, il metodo di Risonanza Elettronica di Spin (ESR) al rivelamento dell’avvenuto irraggiamento della matrice carne di pollame. MATERIALI E METODI Per lo studio della sensibilità in vitro a raggi-x sono state utilizzate brodo-colture in TSB di S.Typhimurium ATCC14018 e di ceppi di campo di S.Typhimurium e S.Senftenberg, a concentrazione di 104-105 UFC/ml. Per le prove su carne di pollo, il campione è stato preparato contaminando 25g di carne di pollo macinata, esente da Salmonella spp. con 1 ml di una brodo-coltura di Salmonella spp., distribuita omogeneamente nel campione, in modo da ottenere una carica di circa 104 UFC/g. Per ciascuna prova si procedeva ad irraggiamento della brodo coltura (15ml) o del campione di carne contaminato (25g), e subito dopo alla determinazione della carica batterica su brodo-colture o campioni, irraggiati e non irraggiati (controllo); tutte le prove erano effettuate in triplo. Si sono utilizzate dosi di irraggiamento di 0,5 kGy e 0,1 kGy. L’irraggiamento dei campioni è stato eseguito con irraggiatore a raggi-x Rad Source Inc. RS-2400 (150 kV,45 mA) preceduto dalla caratterizzazione dosimetrica dell’irraggiatore: per il sistema dosimetrico scelto, costituito da pellet ad alanina e spettrometro ESR (4), si è proceduto a determinare la curva di taratura in dose. Non essendo disponibili in commercio set di riferimento (pellet) per raggi-x, è stato necessario valutare il fattore di correzione rispetto ai dosimetri dello stesso tipo, ma tarati con sorgente a C0-60, si è poi caratterizzata la distribuzione della dose all’interno delle due tipologie di porta campioni usate. Per determinare le cariche batteriche, si è utilizzato il metodo mini-MRSV MPN (3), calcolando il numero MPN mediante software “MPN calculator” disponibile on line http:/www.wiwiss.fuberlin.de/institute/iso/mitarbeiter/wilrich/ index.html. Preventivamente sono stati determinati la deviazione standard di ripetibilità e la sua capacità di recupero rispetto al metodo di conta in piastra per inclusione, utilizzando TSA, sia partendo da brodo colture non irraggiate che irraggiate. Il confronto fra i due metodi è stato effettuato applicando analisi di regressione lineare (eq.1°grado). Inoltre per 20 prove, si è valutato il comportamento dei batteri rimasti vitali: su brodo colture irraggiate e conservate a 5±3°C, è stata determinata la carica di Salmonella spp. in triplo ad intervalli di 7±1 giorni. Contestualmente è stata verificata la validità del metodo fisico di conferma (ESR), per evidenziare l’avvenuto trattamento radiante su carne di tacchino. Per calcolare la dose D10 si è proceduto, dopo trasformazione logaritmica dei dati, alla determinazione per ogni prova della riduzione di carica microbica dovuta all’irraggiamento, (Log(N/N0)=LogN-LogN0 con N=carica dopo irraggiamento N0=carica iniziale); si è poi applicata l’analisi di regressione (eq.1°grado) confrontando le riduzioni di carica in funzione della dose di raggi-x. La dose D10 è stata calcolata come il reciproco dell’inverso del coefficiente angolare (b) ottenuto con l’equazione di regressione (D10=- 1/b) (8). Per le elaborazioni statistiche sono stati utilizzati i programmi Excell e Analyse-it. Il confronto fra rette di regressione è stato effettuato con tests di parallelismo. Le curve di riduzione di carica in funzione della dose sono state costruite anche utilizzando il programma DMFIT (1). RISULTATI E CONCLUSIONI Le radiazioni ionizzanti, ed in particolare i raggi-x, si stanno diffondendo nei paesi emergenti, Cina in testa (5), mentre in Europa rimangono valide le disposizioni delle Direttive 2/99 e 3/99, anche se le Scientific Opinion sulla sicurezza e i rischi microbiologici e sui rischi chimici e lo Statment del 2011 sembrano aprire la strada ad una legislazione più permissiva. In particolare la tecnologia a raggi-x è destinata ad ampia diffusione, grazie alle nuove tecnologie disponibili (9,6,7). In tale ottica i risultati ottenuti con questo studio, per quanto parziali e bisognosi di ulteriori approfondimenti, possono essere contributo valido alle conoscenze sull’argomento. Lo studio di caratterizzazione dosimetrica ha consentito di estendere il campo di utilizzo dei dosimetri ad alanina agli irraggiatori a raggi x a bassa energia, in linea con quanto riportato in letteratura 281 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 (4): in assenza di sistemi di riferimento tarati con raggi-x è stato determinato il fattore di correzione da applicare XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Grafico 2 Prove su carne ceppo S.Senftemberg 1 Grafico 1 – Curve di taratura irraggiate a diverse qualità di energia (Co-60 e RX) Lin ear fit (-0.1835 0,5 -3.294x) 95% CI R² = 0, 79 0 D10=0,304 Log(N/N0) -0,5 -1 -1,5 -2 -2,5 -3 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 dose KGy (F=1,4), utilizzando come riferimento dosimetri ad alanina tarati contro radiazioni a sorgente a C0-60 (Graf.1). Il metodo ERS applicato alle carni di tacchino (Fig.1) è risultato in grado di rilevare trattamenti ionizzanti anche a basse dosi (LOQ=0,5 kGy) e di essere “robusto” (variazioni<2). Figura 1 – Spettro ESR di un dosimetro irraggiato a 0,5 kGy Ampiezza picco-picco Tali risultati sono probabilmente da correlare alla maggior capacità di recupero del metodo mini-MRSV MPN e al tipo di radiazioni utilizzate. Anche Jeong (9), ritiene che i valori di D10, da lui ottenuti in studi con raggi-x su E.coli O157:H7 e risultati 3.4 volte più bassi rispetto ad altri studi, debbano ascriversi alla diversa fonte di radiazioni. Al contrario altri studi, condotti con raggi-x (6,7) riportano D10 per S.Enteritidis e S.Typhimurium, più alti di quelli da noi ottenuti. I controlli su brodo-colture irraggiate indicano una riduzione della carica microbica a partire dal 7°giorno di conservazione a 5±°C. Science 83, 320-327. 3.Fravalo P., Hascoet Y., Le Fellic M., Quegumer S., Petton J. and Salvat G., 2003.Convenient method for rapid and quantitative assessment of Salmonella enterica contamination: the mini-MSRV MPN technique. J. of Rapid Methods and Automation in Microbiology 11,81-88. 4.Hayes R. B., Haskell E. H., Wieser A., Romanyukha A. A., Hardy B. L., Barrus J. K., 2000. Assessment of an alanine EPR dosimetry technique with enhanced precision and accuracy. Nuclear Instrument and methods in Physics Research A 440, 453-461. 5.Kume T., Futura M., Todoriki S., Uenoyama N., Kobayashi Y., 2009. Status of food irradiation in the world. Radiation Physics and Chemistry 78, 222-226. 6.Mahmoud B. S.M. 2010b. Effect of X-ray radiation on Escherichia coli O157:H7, Listeria monocytogenes, Salmonella enterica and Shigella flexneri inoculated on shredded iceberg lettuce. Food Microbiology 27, 109-114. 7.Moosekian S. R., Jeong S., Marks B. P., Ryser E. T., Grafico 3 6 SFMC (Carne,MPN, S.Senfenberg ) 5 4 3 Il metodo mini-MSRV MPN, pur mostrando una precisione minore rispetto al metodo di conta in piastra (deviazione standard di ripetibilità 0,43 contro 0,16 per il metodo conta in piastra) è risultato di pratico utilizzo, soprattutto quando utilizzato su campioni di carne, permettendo la differenziazione fra Salmonella spp. e batteri contaminanti. Inoltre il suo recupero, decisamente migliore (40%) rispetto al metodo di conta in piastra, permette di svelare cariche microbiche più basse e microrganismi danneggiati, incapaci di crescere su terreni solidi. Riguardo ai risultati ottenuti nelle prove di irraggiamento (vedi tab.1, graf.2, graf.3) i D10 ottenuti su brodocolture risultano inferiori rispetto a quelli riscontrati da altri autori (8). Anche i D10 ottenuti su carne, significativamente più alti di quelli ottenuti su brodo-colture, rimangono più bassi di quelli riscontrati in letteratura (2). Tabella 1 – I valori di D10 contrassegnati con lettere maiuscole diverse sono statisticamente differenti (P>0,95) Matrice/Sierotipo Brodocolture S.Typhimurium ATCC14018 Brodocolture/ceppi S.Senftenberg Brodocolture/ceppi S.Typhimurium Carne S.Typhimurium ATCC14018 Carne S.Senftenberg /2672 Carne S.Typhimurium/4477 D10 IC95% R2 n.prove (in triplo) 0,12 A 0,111 0,123 0,99 11 0,2 0,16 0,268 0,8 10 0,14 A 0,113 0,167 0,79 16 0,24 C 0,181 0,345 0,84 12 0,3 C 0,223 0,479 0,79 12 0,22 C 0,181 0,285 0,91 12 B logc Log MPN 2 Fit 1 1 0 0 0,2 0,4 0,6 dose KGy Stando ai nostri risultati, per la riduzione di 5 Log di Salmonella, parametro di rifermento per l’efficacia dei trattamenti di sanificazione, sarebbe sufficiente l’applicazione di una dose di 1,5 kGy, di gran lunga inferiore a quella applicata per la decontaminazione di pollame (5-7 kGy). Benchè sia chiaro che le dosi da impiegare a livello industriale debbano tener conto di molti altri fattori, ci sembra ci siano margini per una riduzione della dose di irraggiamento da utilizzare nella pratica, come indicato anche nella già citata Scientific Opinion dell’EFSA. Sicuramente dovranno essere approfonditi gli studi su matrice carnea continuando ad utilizzare le basse dosi da noi utilizzate nel presente studio, insieme a dosi più alte per confermare i valori di D10 da noi ottenuti, e soprattutto valutare se l’ipotesi di una riduzione proporzionale delle cariche di Salmonella spp. all’aumentare delle dosi di irraggiamento sia effettivamente applicabile. BIBLIOGRAFIA 1.Baranyi, J. e Roberts, T.A.,1994. A dynamic approach to predicting bacterial growth in food. Int. J. Food Microbiol. 23, 277-294. 2.Cabeza M.C., de la Hoz L., Velasco R., Cambero M.I., Ordonez J.A.,2009. Safety and quality of ready-to-eat dry fermented sausages subjected to E-bean radiation. Meat 282 283 2012. X-ray irradiation as a microbial intervention strategy for food. Annu Rev Food Sci Technology 3, 493-510. 8.Sherry A. E., Patterson M.F. and Madden R.H., 2004. Comparison of 40 Salmonella enterica serovars injured by thermal, high-pressure and irradiation stress. Journal of Applied Microbiology, 96, 887–893. 9.Jeong S., Marks B. P., Moosekian S. R., 2010. Inactivation of Escherichia coli O157H7 on lettuce, using low-energy X-ray irradiation. Journal of Food Protection 73, 547-551. 10.Wieser A., Girzikowsky R., 1996. A Unique Calibration Curve for Alanine EPR Dosimetry System. Appl. Radiat. Isot. No. 11/12, 1269-1275. Ringraziamenti: si ringraziano per la preziosa collaborazione i Sig. Di Donna A., D’attoli L., Faleo S., Selicato P.,Giunta R., Mantuano A., Rignanese L. Ricerca svolta con fondi RC Ministero della Salute IZSPB 02/09 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SORVEGLIANZA PER EMOPLASMI FELINI IN SUD ITALIA 2007-2011 Greco G.1, Ventrella G.1, Lorusso E.1, Decaro N. 1, Martella V.1, Valentini L. 2, Buonavoglia C. 1 Dipartimento di Medicina Veterinaria, Valenzano, Università di Bari; 2 Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti di organi, Bari, Università di Bari 1 Key words: micoplasmi emotropici, anemia felina, Mycoplasma haemofelis (Mhf), Candidatus Mycoplasma haemominutum (CMhm) e Candidatus Mycoplasma turicensis (CMt), Italia SUMMARY The prevalence of feline haemoplasma infections in blood samples collected from cats in southern Italy between 2007 and 2011 was evaluated. A convenience-sample of 314 cats (136 healthy; 178 non-healthy;) was screened by polymerase chain reaction using several sets of primers. The overall prevalence of Haemoplasma infections was 18,0% in the samples collection examined in this study. The prevalence was 9,5% for ‘Candidatus Mycoplasma haemominutum’, 6,5% for Mycoplasma haemofelis and 2% for ‘Candidatus Mycoplasma turicensis’. Interestingly, the prevalence was significantly higher in symptomatic (28%) rather than in healthy animals (6%). Also, freeranging male individuals older than 2 years were more exposed to risks of infection by these pathogens. These findings indicate that haemoplasma infections are common in Italy. INTRODUZIONE Con il nome comune di emoplasmi felini si fa riferimento a tre specie di batteri, Mycoplasma haemofelis (Mhf), Candidatus Mycoplasma haemominutum (CMhm) e Candidatus Mycoplasma turicensis (CMt), recentemente incluse nel genere Mycoplasma, che si caratterizzano per la proprietà di parassitare i globuli rossi dell’ospite. Tra gli emoplasmi, Mhf è considerato patogeno primario, capace di causare anemia emolitica grave, talvolta leucopenia e trombocitopenia, e ittero. Questa specie a pieno titolo è considerata l’agente dell’anemia infettiva felina, mentre le altre specie, cMhm e cMt, sono considerate patogeni opportunisti (5). L’infezione da emoplasmi è cosmopolita (4,5). Studi epidemiologici sono stati condotti anche in Italia settentrionale dove è stata osservata una prevalenza del 5,9% per Mhf, del 17,3% per CMhm, e pari a 1,3% per CMt (1). Nel Sud Italia non sono note informazioni ufficiali sull’argomento. Il presente studio ha lo scopo di documentare l’infezione da emoplasmi nella popolazione felina di Puglia. MATERIALI E METODI Tra il 2007 e il 2011 sono stati collezionati 314 campioni ematici. I campioni provenivano in parte da gatti di proprietà condotti in ambulatori veterinari, da gatti sia di proprietà e sia stanziali (di quartiere / cortile) afferiti all’Ospedale Veterinario della ex-Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari, Sezione di Clinica Ostetrica, al fine di essere sottoposti a sterilizzazione. Nello studio sono stati inclusi, inoltre, campioni prelevati da animali con patologie che richiedevano un diagnostico differenziale nei confronti dei principali agenti di anemia e malattie sistemiche di natura virale e batterica afferiti alla sezione di Malattie Infettive del Dipartimento di Medicina Veterinaria. Contestualmente al prelievo ematico, per ogni gatto sono stati annotati i dati relativi al segnalamento (età, razza, sesso) e alla provenienza, i dati anamnestici (ambiente, coabitazione, protocolli vaccinali) e i rilievi clinici (stato di salute, segni clinici particolari). Dei 314 animali oggetto dello studio, 159 erano femmine e 155 maschi. L’età è stata registrata per tutti i soggetti sottoposti a campionamento: 144 gatti erano di età compresa tra 0.6 e 1 anno (a), 120 di età compresa tra 2 e 3 anni (b), 21 di età compresa tra 4 e 6 anni (c), 29 di età compresa tra 7 e 9 anni (d). Sulla base dello stato di salute rilevato al momento del prelievo, 136 gatti sono stati classificati come sani (H) e, pertanto considerati gruppo di controllo, e 178 come affetti da patologie diverse (U). Nel dettaglio sono stati osservati sintomi quali: gengiviti e stomatiti, disoressia, dimagrimento, anemia, linfadenopatia e ittero. Dall’analisi dello stile di vita è emerso che, dei 220 gatti di proprietà, 76 vivevano in casa (indoor - I) di cui 41 gatti non coabitanti con nessun altra tipologia di animale. I restanti 144 gatti di proprietà (mix - M) avevano la possibilità di accedere all’esterno; 94 gatti, per la maggior parte afferiti alla sezione di Clinica Ostetrica ai fini della sterilizzazione, erano gatti stanziali (outdoor - O). Tutti i 314 campioni sono stati esaminati per la ricerca e l’identificazione dei tre emoplasmi felini Mhf, CMhm e CMt, mediante l’impiego di metodiche di biologia molecolare. Dai campioni di sangue si è proceduto ad estrarre il DNA utilizzando il kit commerciale QIAmp DNA Blood Mini Kit, Qiagen, USA. Per la ricerca di Mhf e CMhm è stata utilizzata una PCR one step basata sulla amplificazione della sequenza nucleotidica del gene 16S dell’RNA ribosomiale secondo quanto già riportato (6). Una seconda PCR è stata utilizzata per la ricerca e la identificazione di CMt (3). Lo stato di batteriemia rilevato nella popolazione oggetto di studio è stato confrontato con i fattori di rischio quali età, sesso, stile di vita e stato di salute degli animali al momento della visita. I dati sono stati inseriti in un database Excel (Microsoft Windows versione 2007). Le differenze tra le proporzioni sono state determinate utilizzando il Test del chi-quadro, mentre i fattori di rischio, ove possibile, sono stati analizzati con il calcolo dell’Odds Ratio con intervallo di confidenza al 95%. È stato considerato significativo un p-value minore di 0.05. RISULTATI E CONCLUSIONI La PCR condotta per la ricerca di Mhf e CMhm ha prodotto amplificati delle dimensioni attese di 273 bp/202 bp specifici, rispettivamente, per Mhf e CMhm in 52 (16.6%) campioni su un totale di 314. Nel dettaglio 22 sono stati identificati come infetti da Mhf, e 34 campioni sono stati identificati come infetti da CMhm. In aggiunta, 4 campioni sono risultati coinfetti da Mhf e CMhm (grafico 1). La PCR condotta per la ricerca di CMt ha prodotto un ampli- 284 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ficato delle dimensioni attese di 136 bp in 6 (2,3 %) campioni sul totale di 314. Nel dettaglio 5 campioni sono stati identificati come infetti da CMt mentre un campione è risultato contemporaneamente infetto anche da Mhf e CMhm (Grafico 1). Questo è il primo studio che descrive la presenza e la prevalenza dell’infezione da Mhf, cMhm e cMt, nella popolazione felina di Puglia e, parzialmente, Basilicata. Il 18% dei gatti è risultato batteriemico a causa dell’infezione sostenuta da cMhm (9,5% della popolazione), da Mhf (6,5%) e da cMt (2%). Lo studio ha rilevato un’associazione significativa tra lo stato di batteriemia e l’età degli animali. Dall’analisi del chi-quadro (χ2= 4,7, p = 0.02) è emerso che i gatti di età superiore ad un anno hanno una probabilità 4,7 volte maggiore rispetto agli animali di età inferiore di essere infetti da emoplasmi. Il dato è in linea con quanto emerso da studi precedenti condotti in Giappone e Stati Uniti (4,5). Anche l’associazione tra lo stato di infezione e il sesso degli animali è risultata molto significativa (χ2= 7.5, p= 0.006). Dall’analisi dell’Odds Ratio (OR = 2.40; IC95% = [1.3-4.4]) è emerso che i gatti maschi hanno un rischio da 1,4 fino a 4,4 volte maggiore rispetto alle gatte di contrarre l’infezione. Il dato è in accordo con i segni riportati in precedenza (4,5). L’associazione tra lo stato di infezione e lo stile di vita “outdoor” è risultata significativa (χ2= 12.4, p = 0.0004). Dall’analisi dell’Odds Ratio (OR = 7.1; IC95% = [2.16-23.56]) appare evidente che i gatti che hanno uno stile di vita libero contro quelli a vita unicamente indoor hanno un rischio maggiore di 7 volte di contrarre l’infezione, in accordo con quanto emerso da studi condotti in Giappone, Irlanda, Canada e Regno Unito (2,4,5). L’associazione tra lo stato di infezione e lo stato clinico è risultata significativa (chi-quadro = 23,1, p=1,51458E-06; OR = 6.1; IC95% = [2.8-13.4]). Quindi, nella popolazione felina pugliese l’infezione è risultata associata a malattia. Infatti, nel gruppo di controllo solo il 6% è risultato batteriemico contro il 28% dei gatti sintomatici, in accordo con quanto osservato in USA (4). In conclusione, l’anemia è un problema comunemente riconosciuto nel gatto e può essere sospettata quando un gatto presenta letargia, disidratazione, pelo opaco, riduzione dell’appetito e mucose pallide. Sebbene tra i determinanti di anemia per il gatto vi siano cause tossiche, mediche e metaboliche, anche le malattie infettive possono spesso esserne la causa. La presenza di emoplasmi nel 18% della popolazione felina pugliese con punte del 28 % nei gatti sintomatici, supporta il potenziale patogeno di questi agenti e sottolinea la necessità di includere la diagnosi di emoplasmi nell’algoritmo diagnostico delle anemie feline in Puglia. 6-Tanahara M, Miyamoto S, Nishio T, Yoshii Y, Sakuma M, Sakata Y, et al. An epidemiological survey of feline hemoplasma infection in Japan. J Vet Med Sci. 2010; 72 (12): 1575 – 81. 7-Watanabe M, Hisasue M, Souma T, Yamada T e Tsuchiya R. Molecular detection of Mycoplasma haemofelis and ‘Candidatus Mycoplasma haemominutum’. Infection in cats by PCR using whole blood without DNA extraction. J. Vet. Med. Sc. , 2008; vol. 70(10): 1095 – 1099. 8-Willi B, Boretti FS, Meli ML, Bernasconi MV, Casati S, Hegglin D, et al. Real-time PCR investigation of potential vectors, reservoirs and shedding patterns of feline hemotropic mycoplasmas. Appl. Environ. Microbiol. 2007; 73: 3798 – 802. Grafico 1. Prevalenza delle diverse specie di emoplasmi nella popolazione infetta. Legenda: le aree di sovrapposizione corrispondono alle coinfezioni. BIBLIOGRAFIA 1-Gentilini F, Novacco M, Turba ME, Willi B, Bacci ML, Hofmann-Lehmann R. Use of combined conventional and realtime PCR to determine the epidemiology of feline haemoplasma infections in northern Italy. J. Feline. Med. Surg. 2009; 11: 277 – 85. 2-Juvet F, Lappin MR, Brennan S, Mooney CT. Prevalence of selected infectious agents in cats in Ireland. J. Feline. Med. Surg. 2010; 12 (6) 476 – 82. 3-Peters IR, Helps CR, Willi B, Hofmann-Lehmann R, 4-4-Tasker S. The prevalence of three species of feline haemoplasmas in samples submitted to a diagnostics service as determined by three novel real-time duplex PCR assays, Vet. Microbiol. 2008; 1; 126 (1-3): 142 – 50. 5-Sykes JE. Feline hemotropic mycoplasma., J. Vet. Emerg. Crit. Care (San Antonio). 2010; 20 (1): 62 – 9. 285 2% 5% XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALUTAZIONE DELL’INTERFERENZA DELLA SINDROME ENTEROPATICA SULLA QUALITA’ DELLE CARCASSE SUINE AL MACELLO Grindatto A.1, Careddu M.E. 1, Burzio G.2, Tron S. 2, Gambino F.3, Apicella M. 3, Varello K.4, Meistro S. 4, Monnier M.5, Goria M.5, Decastelli L. 6, Ru G.7 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Sezione di Cuneo; 2 ASL TO3; 3 ASL CN1; 4 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Istopatologia; 5 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Biotecnologie; 6 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta –Controllo alimenti; Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta- Biostatistica, epidemiologia e analisi del rischio 1 7 Keywords: heavy swine, carcass quality, entheropathy SUMMARY Salmonella spp, Brachyspira hyodienteriae, Brachyspira pilosicoli and Lawsonia intracellularis are relevant pathogens for heavy pig breeding. They can cause both clinical and subclinical forms that result in decrease of daily weight gain and feed conversion rate and, consistently, in delay of production cycle. Longer cycles imply higher production costs due to veterinary, feed and management expenses. Aim of this work is to assess the diffusion of these pathogens and their impact on carcass quality. INTRODUZIONE Le patologie enteriche, tra cui le infezioni da Salmonella spp, Lawsonia intracellularis, Brachyspira hyodisenteriae e Brachyspira pilosicoli, sono un problema fondamentale per l’allevamento del suino pesante poiché, riducendo l’incremento ponderale giornaliero e l’indice di conversione dell’alimento, determinano non solo un aumento delle spese veterinarie, ma anche l’incremento dei costi legati alla gestione degli animali. Le patologie enteriche del suino si presentano in forma clinica (1), o più frequentemente, in forma subclinica, esitando in una diminuzione delle performances produttive degli animali. In un contesto caratterizzato dal costante aumento dei costi, soprattutto di quelli legati all’alimentazione, la massimizzazione delle rese di ciclo ed il miglioramento qualitativo delle carcasse, diventano un obiettivo irrinunciabile. Scopo di questo lavoro è quantificare impatto e rilevanza sulla qualità delle carcassa delle forme enteriche sub-cliniche determinate da Salmonella spp, Lawsonia intracellularis, Brachyspira hyodisenteriae e Brachyspira pilosicoli. MATERIALI E METODI Campionamento. Il campionamento è stato effettuato in 2 macelli piemontesi che utilizzano il sistema Fat-O-Meater per la classificazione delle carcasse. Poiché dalla bibliografia emergono dati eterogenei sulla diffusione di Salmonella spp, Lawsonia intracellularis, Brachyspira hyodisenteriae e Brachyspira pilosicoli, è stato effettuato un campionamento multistadio: il primo stadio a livello di partita per svelare la presenza dell’infezione nella singola azienda; il secondo a livello di popolazione per stimare la prevalenza degli allevamenti in cui è presente l’infezione. Per ogni azienda sono stati campionati 20 animali, numero in grado di rivelare l’infezione in azienda quando è colpito almeno il 15% dei capi. Sono state invece campionate 64 aziende per stimare, con un errore massimo dell’11% la prevalenza nei 500 allevamenti che riforniscono i macelli . Per ogni animale (1280 suini pesanti) sono stati prelevati linfonodi ileocecali, feci contenute nel cieco e nell’ileo e porzioni di ileo e cieco. Isolamento di Salmonella spp. L’isolamento di Salmonella spp dai linfonodi ileocecali è stato effettuato secondo l’allegato D alla norma ISO 6579:2002. La sierotipizzazione degli isolati è stata effettuata con metodo Kauffmann-White. Isolamento di Brachyspira spp. L’isolamento di Brachyspira spp è stato effettuato a partire dalla semina delle feci aderenti alla mucosa del cieco su SVC (Spectinomicina Vancomicina Colistina) incubato in anaerobiosi con AnaeroGen (Oxoid, Uk) per 5/7 giorni a 41°C. Eventuali patine emolitiche sono state sottoposte a colorazione con safranina. Dopo un secondo trapianto su SVC, le colonie sospette (spirochete gram negative) sono state sottoposte a PCR con kit commerciale (ADIAVET® Brachy, Adiagène SA). Ricerca di Lawsonia intracellularis. La ricerca di Lawsonia intracellularis è stata effettuata a partire da feci dell’ileo con NestedPCR. Dopo l’estrazione del DNA genomico (kit QIAmp DNA Stool Mini Kit ,Qiagen), è stata effettuata l’amplificazione del DNA in 2 step, seguita dalla rivelazione del prodotto di amplificazione (amplicone 319 bp) con elettroforesi su gel di agarosio. Analisi statistica. Obiettivo dell’analisi statistica è verificare il ruolo di alcuni fattori di rischio (infezione da Salmonella spp. e Lawsonia intracellularis) nel determinare la qualità (classificazione SEUROP) delle carcasse di ogni partita. Le variabili valutate sono: dimensione della partita, esiti ricerca di Lawsonia intracellularis e Salmonella spp e qualità delle carcasse espressa come proporzione di capi della partita inclusi in ciascuno dei sei livelli (s,e,u,r,o,p) della classificazione. A ogni partita sono stati abbinati 2 indici: SEU e QUAL. L’indice SEU (range 0.06-1.00) è costruito dalla somma delle proporzioni dei capi appartenenti alle categorie s, e ed u; l’indice QUAL è invece ottenuto, dopo aver assegnato a ogni livello di qualità uno score decrescente (s=6, p=1), come media ponderata utilizzando come pesi i valori della distribuzione delle proporzioni di soggetti inclusi in ogni categoria. SEU e QUAL sono fortemente correlati (β=0.48, P=0.000). La diffusione dei due microrganismi è stata valutata in termini di presenza o assenza di almeno un capo positivo nella partita. Per descrivere le variabili utilizzate e per verificare in modo esplorativo le loro relazioni sono stati prodotti boxplot e diagrammi di dispersione. Le relazioni tra le variabili dipendenti (SEU e QUAL) e quelle indipendenti sono state studiate attraverso modelli di regressione lineare. Le operazioni di verifica, manipolazione e di elaborazione 286 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 statistica per la produzione di grafici o per la costruzione dei modelli sono state effettuate con il software statistico dedicato STATA 11.1. Esame istopatologico. Sono stati sottoposti ad esame istologico ileo e colon di 74 suini positivi all’isolamento di Salmonella spp e/o Brachyspira spp e/o Lawsonia intracellularis. I campioni sono stati fissati in formalina, processati e inclusi in paraffina. Le sezioni (4±2 μm), sottoposte alla colorazione con ematossilina, sono state esaminate al microscopio ottico. RISULTATI E CONCLUSIONI Ricerca di Salmonella spp, Brachyspira spp e Lawsonia intracellularis. L’84,4%(73,1- 92.2, IC 95%) delle 31 partite esaminate per Salmonella spp è risultato positivo (almeno un capo positivo). Sono stati isolati 10 sierotipi diversi tra cui, con maggiore frequenza, Salmonella Afula (isolato 17 volte) e Salmonella Eingedi (17), spesso determinanti coinfezione nello stesso animale (15 casi). E’ stato identificato il sierotipo Salmonella Typhimurium in una sola azienda (2 capi). Per quanto riguarda Brachyspira spp, l’esito positivo dell’isolamento non è stato confermato dalla PCR, pertanto poiché dal solo fenotipo della colonia non è possibile l’identificazione univoca di tale microorganismo, si è deciso di non considerarlo nel prosieguo dell’analisi statistica. Infine, il 26,6%(16,3-39,1, IC 95%) delle 64 partite sottoposte ad analisi sono risultate positive per Lawsonia intracellularis. Come in Jacobson et al. (1) è stata rilevata la compresenza di più patogeni nella stessa partita. Analisi statisitica. Sono stati prodotti modelli univariati e multivariati di regressione lineare usando alternativamente come variabile dipendente gli indici SEU e QUAL e come covariante la numerosità di partita e il grado di infezione da Salmonella spp/Lawsonia intracellularis. Valutazione dell’associazione con l’indice di qualità delle carcasse SEU. La dimensione della partita nel modello univariato risulta avere un β pari a -0.0003 (P=0.294) con una varianza spiegata dal modello inferiore al 2%. Nel caso della potenziale associazione con la presenza e grado di infezione da Salmonella spp .(N=31), il β era pari a 0.006 (P=0.574) e la varianza all’1.1%. Per Lawsonia intracellularis (N=64), il β era pari a 0.014 (P=0.481) e la varianza all’0.8%. Valutazione dell’associazione con l’indice di qualità delle carcasse QUAL. La dimensione della partita nel modello univariato risultava avere un β pari a -0.0005 (P=0.318) con una varianza spiegata dal modello inferiore al 2%. Nel caso della potenziale associazione con la presenza e grado di infezione da Salmonella spp. (N=31), il β era pari a 0.01 (P=0.645) e la varianza all’0.7%. Per Lawsonia intracellularis (N=64), il β era pari a 0.037 (P=0.349)e la varianza all’1.4%. Per entrambi gli indici i modelli multivariati non identificano alcun effetto statisticamente significativo. Esame istopatologico. Tutti i campioni analizzati presentano lesioni infiammatorie aspecifiche con diverso grado di gravità prevalentemente a livello dell’ileo. Un solo capo presenta lesioni tipicamente imputabili a Lawsonia intracellularis (iperplasia delle cripte con marcata proliferazione di cellule epiteliali immature, assenza di goblet cells e presenza di cellule infiammatorie e materiale di desquamazione all’interno). La presenza di un solo soggetto con lesioni tipiche potrebbe far ipotizzare che l’infezione da Lawsonia intracellularis, rilevata dalla PCR, abbia determinato prevalentemente forme di moderata gravità o comunque in fase iniziale, difficilmente riscontrabili dalla valutazione istologica. Pur non avendo evidenziato una relazione tra infezione da Salmonella spp e Lawsonia intracellularis e la qualità della carcassa, la nostra indagine ha confermato la diffusione di questi patogeni sul territorio. Sarebbe quindi auspicabile procedere ad ulteriori approfondimenti, coinvolgendo un numero maggiore di aziende, per quantificare gli effetti di queste patologie sull’allevamento del suino pesante piemontese. Si potrebbero così individuare soluzioni efficaci per diminuire i danni arrecati all’allevatore da questi patogeni e, allo stesso tempo, per promuovere la sicurezza e la qualità delle produzioni per il consumatore. BIBLIOGRAFIA 1. Jacobson M, Hardaf Segerstad C, Gunnarsson A, Fellstrom C, de Verdier Klingerberg K, Wallgren P, JensenWaern M. (2003). Diarrhoea in the growing pig- a comparison of clinical, morphological and microbial findings between animals from good and poor performance herds. Research in Veterinary Science, 74: 163-169 2. Jacobson M, Fellström C, Jensen-Waern M.(2010). Porcine proliferative enteropathy: An important disease with questions remaining to be solved. The Veterinary Journal 184:264-268. 3. Ladinig A, Sommerfeld-Stur I, Weissenbo H.(2009). Comparative evaluation of diagnostic methods for Lawsonia intracellularis infection in pigs, with emphasis on cases lacking characteristic lesions.J. Comp. Path. 140:140-8. 287 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ORDINANZA MINISTERIALE 18 DICEMBRE 2008: ATTIVITA’ DI SORVEGLIANZA DELLA SEZIONE DI CUNEO DELL’IZS DEL PIEMONTE LIGURIA E VALLE D’AOSTA Grindatto A. 1, Pistone G.1, Rutigliano B.1, Lotti R.1, Caracciolo F.1, Fioravanti F.2, Leporati M.3, Capra P.3, Gili M.2, Biolatti P.G.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta - Sezione di Cuneo 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Torino 3 Centro Regionale antidoping “A.Bertinaria” – Orbassano (TO) Keywords OM 18th December 2008, animal poisoning, bait SUMMARY Poisoning of domestic and wild animals is a widespread public health issue. As a matter of fact the presence of toxic substances in the environment could result in accidental human ingestion and environmental contamination. The Ordinanza Ministeriale 18th December 2008 charge the ASL and the IZS net with official diagnosis of animal poisoning, with detection of toxic molecules employed and with monitoring of the phenomenon diffusion. Here follow the results of the surveillance activity of the Sezione di Cuneo of the Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. INTRODUZIONE L’uccisione di animali mediante utilizzo di esche e bocconi avvelenati è un fenomeno diffuso sia in ambito urbano che extraurbano. Vengono colpiti non solo gli animali domestici e sinantropi, ma anche le specie selvatiche tra cui quelle a rischio di estinzione. La presenza di veleni e sostanze tossiche sul territorio, inoltre, rappresenta un grave rischio anche per l’uomo ed in particolare per i bambini (1), sia direttamente con l’ingestione accidentale che indirettamente, nella misura in cui queste molecole possono contaminare la catena alimentare o diffondere nelle acque. Per tutelare gli animali domestici e selvatici, l’uomo e l’ambiente sono state pertanto redatte l’Ordinanza Ministeriale (OM) del 18 dicembre 2008 (2) e le successive modifiche (OM 19 marzo 2009 (3), OM 14 gennaio 2010 (4), OM 10 febbraio 2012(5)) che stabiliscono alcune norme per l’impiego delle molecole utilizzate per contrastare gli animali nocivi e per la sorveglianza dell’uso doloso di sostanze tossiche e veleni. In particolare, il medico veterinario che sospetti l’avvelenamento doloso di un animale domestico o selvatico è tenuto a comunicare il fatto al sindaco e al servizio veterinario della ASL territorialmente competente. Inoltre, in caso di decesso dell’animale, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di competenza territoriale è tenuto ad effettuare la necroscopia e le necessarie analisi tossicologiche il cui esito sarà comunicato entro 30 giorni al medico veterinario autore della segnalazione, all’ASL e all’autorità giudiziaria. La rete degli Istituti Zooprofilattici ha infatti il compito di confermare o escludere il sospetto avvelenamento, identificare le molecole responsabili e raccogliere ed analizzare i dati che consentano alle Province ed alle Regioni di redigere e aggiornare annualmente le mappe epidemiologiche del fenomeno. La Struttura Semplice di Patologia e Benessere animale della Sezione di Cuneo dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLVA) è organizzata per adempiere alle indicazioni di legge e offrire all’utenza, in collaborazione con il Centro Regionale Antidoping (CAD), specifici servizi diagnostici e di indagine tossicologica. Vengono di seguito riportati i risultati ottenuti dalla sorveglianza effettuata dal 1 gennaio 2009 al 31 agosto 2013. MATERIALI E METODI Gli animali deceduti in seguito a sospetto avvelenamento sono stati sottoposti ad esame necroscopico e a tutte le indagini collaterali necessarie ad effettuare una corretta diagnosi differenziale (esami batteriologici, virologici, istologici). La ricerca delle sostanze tossiche è stata effettuata su pool di organi (fegato, rene) e sul contenuto gastrico o del gozzo quando presente. Sono inoltre state analizzate le esche raccolte nell’ambiente su cui è stata direttamente effettuata la ricerca di sostanze tossiche. Sulle presunte esche e sui materiali derivanti dall’esame autoptico vengono eseguiti due screening mediante tecniche di cromatografia- spettrometria di massa: - Determinazione mediante GC-MS Full Scan di Metaldeide, Stricnina, Glicole monoetilenico, pesticidi organoclorurati, organofosforati, carbammati, piretroidi e relativi agenti sinergizzanti. - Determinazione mediante LC-MS/MS con ionizzazione ESI (ioni negativi) di α-cloralosio e di rodentici anticoagulanti derivati della 4-idrossicumarina e dell’indandione. Ove necessaria viene applicata alle matrici da analizzare la metodica QuEChERS di estrazione/purificazione. RISULTATI E CONCLUSIONI Il grafico in figura 1 illustra la tipologia di campioni analizzati presso i laboratori della Sezione di Cuneo dell’IZSPLVA e del dell’U.O. Tossicologia e Ricerca anabolizzanti, con la collaborazione della S.S. Ricerca Residui. In particolare, sono stati sottoposti ad analisi 75 animali deceduti in seguito a sospetto avvelenamento e 14 esche. La specie animale maggiormente coinvolta risulta essere il cane (48,32%), seguita dal gatto (21,35%) e dal piccione (10,11%). L’interessamento degli animali selvatici sembrerebbe marginale, ma il fenomeno potrebbe essere sottovalutato considerato il minor controllo attuabile su queste specie. Il 62,92% (56) dei campioni analizzati è risultato positivo per almeno una sostanza tossica, mentre sul 30,34% (27) non è stato possibile individuare alcuna molecola. Per il 6,74% dei casi non è stato ritenuto opportuno condurre prove tossicologiche perché l’esame necroscopico e le indagini collaterali hanno permesso di collegare la morte dell’animale ad altre cause. In 34 dei 56 campioni positivi è stata isolata una sola sostanza tossica. Nei restanti casi sono state individuate negli organi di un solo animale più molecole, anche appartenenti a classi differenti fino ad un massimo di 4 diverse molecole individuate nel caso di 2 cani deceduti in seguito ad avvelenamento. 288 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L’utilizzo di cocktail di molecole tossiche conferma la natura dolosa degli avvelenamenti e allo stesso tempo configura un rischio maggiore per la popolazione umana nella misura in cui la compresenza di più molecole tossiche potrebbe determinare una sintomatologia più e più grave difficile da interpretare per il medico. Le sostanze tossiche più utilizzate (figura 2) sono risultati essere i rodentici anticoagulanti di prima,seconda e terza generazione (71,26%), seguiti dai rodenticidi non anticoagulanti (a-cloralosio, 16,09%) e dalla metaldeide (9,19%). Marginale l’utilizzo di organofosforici ed organoclorurati, tra i quali è da segnalare l’utilizzo (2 casi) dell’Endosulfan molecola messa al bando in Europa già dal 2005 (6) e a livello mondiale nel 2011 (Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti) in ragione della sua tossicità acuta, della sua capacità di bioaccumularsi e della sua pericolosità per il sistema endocrino (7). I dati raccolti nell’ambito della sorveglianza disposta dall’OM del 18 dicembre 2008 rivelano la diffusione del fenomeno degli avvelenamenti a carico degli animali domestici e non sul territorio della provincia di Cuneo. In seguito alla rilevazione di molecole tossiche, la pronta denuncia alle autorità giudiziarie e sanitarie competenti ha efficacemente contribuito all’organizzazione di un adeguato sistema di prevenzione. Risulta tuttavia opportuno continuare ed eventualmente implementare l’attività di sorveglianza per meglio caratterizzare il rischio connesso alla presenza di veleni e sostanze tossiche nell’ambiente, al fine di tutelare la salute degli animali e dell’uomo. FIGURA 1: Tipo di campione CANE GATTO ESCA COLOMBO SELVATICI ASINO FIGURA 2: Sostanze tossiche utilizzate BIBLIOGRAFIA 1. Watt B.E., Proudfoot A.T., Bradberry S.M., Vale J.A. (2005). Anticoagulant rodenticides. Toxicol Rev ; 24(4): 259-269 2. OM 18 dicembre 2008 3. OM 19 marzo 2009 4. OM 14 gennaio 2010 5. OM 10 febbraio 2012 6. Decisione della Commissione Europea 2005/864 7. Mrema E.J., Rubino F.M., Brambilla G., Moretto A., Tsatsakis A.M., Colosso C. (2013). Persistent organochlorinated pesticides and mechanisms of their toxicity. Toxicology 307: 74-88 289 Rodenti ci di non anti coagul anti Rodenti ci di anti coagul anti Or ganof osf or i ci Metal dei de Or ganocl or ur ati XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALIDAZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO DI UN SALAME ITALIANO TRADIZIONALE. CONTROLLO DI SALMONELLA Grisenti M. S., Frustoli M. A., Passera E., Dondi S., Barbuti S. SSICA - Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari – Azienda Speciale CCIAA – Parma Key words: Salmonella, Italian salami, Process validation Abstract A validation study was performed on the manufacturing process of Italian salami, produced with and without starter cultures, in order to assess its efficiency in inactivating Salmonella. Sausage dough was divided in two batches; only the first batch was inoculated with a starter culture. Of the each batch was subsequently divided into three parts: one inoculated with a mix of Salmonella and the other two non-inoculated and used as control. Of the latter one was ripened at SSICA and one at a plant. At fixed times, microbiological and physico-chemical analyses were performed. On the inoculated salami, Salmonella were evaluated by direct counting on selective media. No growth was observed for the pathogen investigated and in addition, after 60 days’ ripening, 3.2 Log cfu/g and 2.6 Log cfu/g reductions were observed in salami with or without starter respectively. These reductions, associated with a constant control of fresh meat, might give sufficient guarantees of safety in the finished product. Introduzione I prodotti carnei fermentati sono generalmente considerati prodotti a basso rischio, ma la sopravvivenza di microrganismi patogeni non può essere esclusa. Alcuni casi eclatanti registrati negli ultimi anni continuano a porre l’accento sul possibile collegamento tra salami tradizionali ed insorgenza di tossinfezioni (3). In particolare grande attenzione è stata rivolta alla possibile sopravvivenza di Salmonella in salami stagionati (2). Il “Gentile” è un salame tradizionale italiano ottenuto da un’antica ricetta con l’impasto di carni suine fresche, condite con sale, aromi naturali e conservanti (E 252-E 250). Il salame, del peso fresco di circa 1-1,5 kg, viene sottoposto ad asciugatura e stagionatura a 12-15°C per un minimo di 30 giorni. Alla fine della stagionatura (con un calo peso minimo del 30%) si ottiene un prodotto irregolarmente affusolato, con diametro di 6-7 cm. In linea con le esigenze di sicurezza e qualità igienica, con i livelli di riduzione standard per i patogeni pubblicati dalle agenzie internazionali e i limiti previsti nei Regolamenti EU 2073/2005 e 852/2005, lo scopo di questo lavoro è stato quello di caratterizzare e validare il processo produttivo di salami tradizionali, prodotti con e senza l’impiego di starter, per verificarne l’efficacia a inattivare microrganismi patogeni quali Salmonella mediante “Microbial Challenge Testing” di processo. Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto in collaborazione con un’azienda del settore, su salami tipo Gentile. L’impasto è stato preparato secondo la ricetta tradizionale (magro suino 72%, grasso suino 25%, sale 3,4%, zucchero 0,10%, pepe 0,05%, aglio 0,015% e potassio nitrato120 ppm) ed è stato suddiviso in due aliquote, una (60 Kg) utilizzata tal quale, e l’altra (60 Kg) addizionata con uno starter tecnologico (Staphylococcus xylosus e Lactobacillus plantarum). Un terzo di entrambe le aliquote è stato insaccato presso l’azienda (controlli aziendali AZ), gli impasti rimasti sono stati inviati refrigerati alla SSICA e, nella stessa giornata di lavo- razione, ulteriormente suddivisi in due aliquote da 20 kg ciascuna. Una parte è stata insaccata tal quale (controllo SSICA), ed i restanti 20 Kg sono stati inoculati (105 ufc/g) con una miscela composta da tre ceppi di Salmonella: S. Manhattan rif. 180073 e S. enterica subsp. enterica rif. 49769 (collezione IZSLER di Parma) e S. Typhimurium ATCC14028. I salami appartenenti alle diverse aliquote sono stati sottoposti ad asciugamento, stufatura e stagionatura presso la SSICA così come presso l’AZ utilizzando gli stessi parametri tecnologici. In totale per ogni tipologia di salame (con e senza starter) sono stati ricavati 40 salami di controllo e 22 salami contaminati con la miscela di Salmonella. Per ogni tipologia di salame, sono stati prelevati ai tempi prestabiliti di 0, 4, 11, 20, 40, e 64 giorni di stagionatura quattro salami di controllo (2 SSICA e 2 AZ) che sono stati sottoposti ad analisi chimico-fisiche e microbiologiche. Ad ogni tempo sono stati inoltre prelevati 3 salami inoculati per il conteggio di Salmonella e di batteri lattici. Sui controlli sono state eseguite le seguenti analisi microbiologiche: Carica microbica aerobi, Batteri lattici, Stafilococchi coagulasi negativi SCN, Stafilococchi coagulasi positivi SCP, Enterobacteriaceae, Enterococcus, Salmonella. Sugli stessi campioni si sono eseguite misure di pH e di attività dell’acqua (aw); sui salami in corso di stagionatura è stato rilevato il calo peso. Risultati e Conclusioni L’evoluzione dei parametri chimico-fisici, ha dimostrato una buona sovrapponibilità delle produzioni ottenute nei due differenti ambienti di lavorazione (SSICA e AZ). Il valore di pH misurato negli impasti è risultato mediamente di 5,9 ed ha raggiunto un valore minimo di 5,2 dopo 5 giorni nei salami prodotti con starter e dopo 10 giorni in quelli senza starter, per poi risalire progressivamente nel corso della maturazione fino ad assestarsi su valori compresi tra 5,5 (SSICA) e 5,6 (AZ). La diminuzione dell’aw nei salami di controllo SSICA è risultata, nei primi 20 giorni di osservazione, in linea con i valori registrati per la produzione AZ, scadenza alla quale è stato registrato un valore di 0,93 rispetto allo 0,96 dell’impasto iniziale. I dati relativi alle scadenze successive mostrano una disidratazione leggermente maggiore per i salami stagionati in SSICA che hanno raggiunto, al quarantesimo giorno, valori di 0,88 rispetto allo 0,90 osservato in AZ e, al sessantesimo, valori di 0,83 rispetto allo 0,85 della produzione AZ. Il calo peso % registrato per i salami AZ e SSICA ha avuto un andamento analogo nel corso di tutto il periodo di osservazione. A 10 giorni dall’inizio della lavorazione è stato registrato un calo del 22%. A venti giorni il calo era mediamente del 27% fino a raggiungere il 35% al trentesimo giorno e il 38% al quarantesimo che rappresenta il tempo ottimale di commercializzazione. Le determinazioni eseguite a 50 e 60 giorni hanno riguardato esclusivamente salami SSICA, per i quali la stagionatura è stata prolungata di 20 giorni con un calo peso finale del 43%. L’andamento dei principali gruppi microbici (media di 4 determinazioni ± dev. st.) registrato nel corso della stagionatura dei salami prodotti con e senza l’aggiunta di colture starter è 290 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 riportato rispettivamente nelle Tabelle 1 e 2. Produzione con starter - I salami, analizzati al momento dell’insacco, presentavano una CMA di 6,40 Log ufc/g costituita da batteri lattici e SCN, rappresentativi della coltura starter che è stata addizionata all’impasto. Gli enterobatteri erano presenti ad un livello medio di circa 3 Log ufc/g. Salmonella spp. è risultata assente. L’evoluzione dei batteri lattici nel corso della stagionatura ha fatto registrare un aumento progressivo nei primi 4 giorni, in coincidenza con il raggiungimento del minimo di pH, scadenza alla quale hanno raggiunto una concentrazione pari a 8,8 Log ufc/g. Il livello è rimasto pressoché invariato durante tutte le fasi successive della stagionatura. Gli SCN si sono mantenuti, nel corso di tutto il periodo di maturazione, sui livelli di circa 6 Log ufc/g inizialmente riscontrati. Gli enterococchi ad ogni scadenza sono risultati presenti ad un livello di circa 2 Log ufc/g. Gli enterobatteri hanno subito invece una diminuzione progressiva, fino a raggiungere, a partire dal ventesimo giorno, livelli inferiori al limite analitico. Tab.1 Analisi microbiologiche eseguite sui salami con starter. Valori espressi come Log ufc/g. Giorni di Analisi microbiologiche stagionatura Batteri lattici SCN Enterobatteri 0 6,27 ± 0,08 6,27 ± 0,06 3,02 ± 0,06 4 8,96 ± 0,11 6,11 ± 0,16 1,82 ± 0,24 11 8,61 ± 0,22 5,90 ± 0,17 1,22 ± 0,45 20 8,55 ± 0,42 5,87 ± 0,39 0,70 ± 0,00 40 9,08 ± 0,15 5,20 ± 0,59 0,70 ± 0,00 64 8,07 ± 0,16 5,47 ± 1,03 0,70 ± 0,00 Salmonella in salame gentile prodotto con e senza starter L’inoculo iniziale di Salmonella è risultato di 5,21 ± 0,07 Log ufc/g nell’impasto con starter e di 5,18 ± 0,09 Log ufc/g in quello senza starter. In entrambe le produzioni, durante i 60 giorni di osservazione non si è registrato alcun accrescimento del patogeno. La concentrazione di Salmonella è progressivamente diminuita facendo registrare al ventesimo giorno, una riduzione di circa 1 Log nella produzione con starter, ed una riduzione di 0,82 in quella senza starter. La discesa è stata, per entrambe le linee di produzione, progressiva e lineare nel corso di tutto il processo produttivo. Al quarantesimo giorno, in corrispondenza di un calo peso del 37,5%, le riduzioni decimali osservate sono state, in entrambe le tipologie di salame, pari ad 1,5 Log ufc/g. Al termine della stagionatura (sessantesimo giorno), in corrispondenza di un calo peso del 43%, sono stati registrati valori medi per Salmonella di 1,97 ± 0,15 Log ufc/g nei salami con starter e di 2,59 ± 0,45 Log ufc/g nei salami senza starter, corrispondenti rispettivamente a 3,2 e 2,6 riduzioni decimali a prova del fatto che, come affermato anche da altri autori (1), l’utilizzo di colture starter fornisce un maggior livello di sicurezza rispetto ai prodotti carnei soggetti a fermentazione naturale. In entrambe le produzioni i batteri lattici, pur partendo da concentrazioni differenti (circa 6 Log ufc/g e circa 4 Log ufc/g) hanno raggiunto il livello di circa 8,5 Log ufc/g entro i primi 5 giorni di osservazione, a dimostrazione dell’instaurarsi di un corretto processo di fermentazione in entrambe le linee considerate, livello che si è mantenuto fino al termine della stagionatura, sia nei salami a fermentazione naturale, che guidata. Fig. 1 Andamento di Salmonella in salami prodotti senza (A) e con (B) starter. Produzione senza starter - Le analisi eseguite sull’impasto hanno evidenziato un livello di CMA di circa 5 Log ufc/g prevalentemente costituita da batteri lattici seguiti da SCN ed enterobatteri. Salmonella spp. è risultata assente in 25 g in tutti i campioni. Nei primi 4 giorni di stagionatura, la CMA ha raggiunto livelli di 8,5 Log ufc/g che ha mantenuto nel corso di tutto il periodo di maturazione. La principale componente della flora microbica, a partire dal quarto giorno, era rappresentata dai batteri lattici che si sono sviluppati fino a valori di 8,37 Log ufc/g e sono rimasti a tali livelli fino alla fine della stagionatura. Gli SCN sono progressivamente aumentati fino a raggiungere al ventesimo giorno 6 Log ufc/g. Gli enterobatteri hanno subito una diminuzione progressiva nel corso della stagionatura, fino ad arrivare, al termine della stessa, a livelli prossimi al limite analitico. Tab. 2 Analisi microbiologiche eseguite sui salami senza starter. Valori espressi come Log ufc/g. Giorni di Analisi microbiologiche stagionatura Batteri lattici SCN Enterobatteri 0 4,30 ± 0,61 3,91 ± 0,43 3,45 ± 0,09 4 8,37 ± 0,44 4,92 ± 0,37 2,79 ±1,41 11 8,51 ± 0,06 5,74 ± 0,42 2,49 ±1,75 20 8,17 ± 0,22 5,88 ± 0,60 1,37 ±1,34 40 8,56 ± 0,40 5,64 ± 0,38 0,70 ± 0,00 64 8,06 ± 0,26 6,04 ± 0,52 0,94 ± 0,48 291 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Conclusioni Il presente lavoro fornisce dati scientifici riguardo l’evoluzione di Salmonella in salame tipo “Gentile” a fermentazione guidata e naturale. In entrambe le linee considerate non è stato registrato alcun accrescimento del patogeno ma una progressiva inattivazione. Anche se il numero di riduzioni decimali ottenute alla fine del processo produttivo commerciale, indicato mediamente intorno al 40° giorno, non supera 1,5 Log ufc/g, tale dato potrebbe essere sufficiente a garantire la produzione considerando che la contaminazione naturale della materia prima generalmente non supera le 10 ufc/g. Pertanto, in accordo con i risultati ottenuti nel presente studio, è stato dimostrato che durante la maturazione di salami tipo “Gentile” le fasi di fermentazione e di stagionatura inducono una significativa inattivazione di Salmonella. Tali risultati sono stati raggiunti in entrambe le produzioni sia con che senza starter. Bibliografia 1. Berry E. D., Liewen M. B., Mandigo W., Hutkins W., 1990, Inhibition of Listeria monocytogenes by bacteriocin-producing Pediococcus during the manufacture of fermented semidry sausage, J. Food Protect., 53, 194 – 197. 2. Mataragas M., Skandamis P.N., Drosinos E.H., 2008. Risk profiles of pork and poultry meat and risk ratings of various pathogen/product combinations, Int. J. Food Microbiol., 126, 1 – 12. 3. Scavia G., Ciaravino G., Luzzi I., Lenglet A., Ricci A., Barco L., Pavan A., Zaffanella F., Dionisi A. M., 2013, www.eurosurveillance.org, Euro Surveill., 18. Ringraziamenti Indagine realizzata nell’ambito del programma scientifico di CIRAL (Consorzio Italiano per la Ricerca sulla sicurezza e qualità Alimentare) al quale la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari aderisce. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 STUDIO PRELIMINARE PER L’UTILIZZO DELL’IMMUBLOT COME METODO DI CONFERMA PER LA RICERCA DI ALLERGENI Guglielmetti C., Mazza M., Buonincontro G., Fragassi S., Vencia W., Acutis P.L., Decastelli L. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, 10154 Torino Keywords: allergeni, β-lattoglobulina, western blot SUMMARY (max 1000 caratteri spazi inclusi) Food allergy is an adverse health effect arising from a specific immune response that occurs reproducibly on exposure to a given food (NIAID). Currently the detection of allergens is performed by screening methods (ELISA or PCR). In this work we developed a western blot (WB) protocol to detect β-lactoglobulin in food, in order to confirm positive samples. For the development of the WB, we worked on extraction of β-lactoglobulin and identification of optimal concentrations of antibodies and solutions. Fresh milk from different species (cow, sheep, goat, donkey) was analyzed. For the comparison between species have been set up a parallel SDS-PAGE and a Native-PAGE. As expected, and as already reported in literature, the various species have different electrophoretic pattern. To check the sensitivity of the primary antibody of bovine milk, starting from 10 µg of total protein were loaded. The antibody used in WB was sensitive, recognizing 1 ng of total protein loaded. INTRODUZIONE L’allergia rappresenta una reazione avversa dell’organismo ad alcuni alimenti che determina l’attivazione del sistema immunitario. La reazione avversa può manifestarsi anche in risposta all’esposizione a tracce di proteine allergeniche (1). Uno studio condotto dal National Institutes of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) ha definito che negli Stati Uniti le allergie alimentari colpiscono l’1-2% della popolazione. Il numero di casi di allergia alimentare varia in funzione dell’età, dell’area geografica considerata, dal tipo di dieta e da altri numerosi fattori che rendono difficile una stima certa della prevalenza delle allergie alimentari (2,3). Le allergie sono più diffuse tra i bambini, anche se spesso tali patologie si risolvono con l’età adulta. A livello europeo le percentuali sono sovrapponibili a quelle riscontrate negli Stati Uniti (4). Al fine di prevenire severe reazioni allergiche nei soggetti sensibilizzati, il legislatore comunitario ha emanato una normativa sull’etichettatura dei prodotti alimentari, recepita a livello nazionale, che richiede di indicare il dettaglio dei singoli costituenti e di specificare la presenza di allergeni, come riportato nell’allegato alla direttiva stessa (Direttiva 2003/89/CE, D. Lgs 114/2006). Inoltre nell’allegato II (UE) del Reg. 1169/2011, che sarà applicato a partire dal 14 dicembre 2014, sono indicate le 14 sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze. I principali alimenti che contengono proteine allergeniche sono: latte, uova, arachidi, crostacei, pesce, soia, frutta a guscio e cereali contenenti glutine (grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati (1). Il latte è un alimento che determina numerose reazioni avverse soprattutto in età pediatrica. Attualmente la ricerca degli allergeni negli alimenti viene condotta con metodica ELISA ricercando direttamente una frazione proteica o indirettamente tramite la rilevazione del DNA 292 codificante la proteina allergenica (PCR). Inoltre, non esistono dei metodi di secondo livello consolidati per la conferma dei campioni positivi in prima istanza. L’obiettivo di questo studio è stato quello di mettere a punto un protocollo di Western Blot (WB) che confermasse la presenza di latte (β-lattoglobulina) in alimenti risultati positivi ai test di screening (metodo ELISA). MATERIALI E METODI Nella prima fase di messa a punto del Western Blot (WB) l’estrazione da latte in polvere (controllo positivo) e da farina (controllo negativo) è stata effettuata utilizzando i reagenti del kit ELISA (RidaScreen Fast ß-Lactoglobulin) secondo le istruzioni riportate dal produttore. Gli estratti sono stati quindi diluiti in Laemmli buffer a pH differenti, al fine di individuare quello più idoneo per il campione in esame. Si è proceduto quindi con l’elettroforesi denaturante (SDS-PAGE) su gel di poliacrilamide al 12% e successivo blottaggio su membrana in PVDF. Per la saturazione è stata utilizzata una soluzione di TBS pH7,4 + BSA 1% + Tween20 0,03%. L’anticorpo primario (rabbit anti-bovine β-lactoglobulin. Bethyl Laboratories) è stato testato da 1:20000 a 1:50000, overnight a 4°C. Per i lavaggi è stata utilizzata una soluzione di TBS pH7,4 + Tween20 0,05%. Sono stati testati diversi anticorpi secondari anti-rabbit coniugati con AP, incubati 1h a temperatura ambiente. Le immagini sono state poi acquisite su lastra fotografica Nella seconda fase si è passati a lavorare su latte fresco (bovino, ovino, caprino, asinino) l’estrazione è stata condotta come segue (5): • Centrifugazione 13000 rpm 1h 4°C • Rimozione della frazione superiore (contenente grassi e caseina) • Quantificazione con metodo Bradford Per il confronto tra le specie sono state allestite parallelamente una SDS-PAGE ed una Native-PAGE. Prima del caricamento in SDS-PAGE10 µg di campione sono stati equilibrati in 10 mM Tris-HCl, 5% SDS, pH 7.6, glicerolo e blu di bromofenolo, senza riscaldare per conservare la struttura. Per la NATIVEPAGE si è proceduto nello stesso modo ma senza SDS nella soluzione di equilibrazione e nel tampone Tris-Glicina per la corsa elettroforetica. Per verificare la sensibilità dell’anticorpo primario sono state caricate su un gel di acrilamide al 14% diluizioni scalari in base 10 di latte bovino, partendo da 10 µg di proteine totali. SDS-PAGE e WB sono state condotte come riportato sopra. RISULTATI Nella fase di messa a punto del WB sono state individuate le concentrazioni d’uso degli anticorpi (1:50000 per l’Ab primario, 1:5000 per il secondario), tempi di incubazione delle diverse fasi e le soluzioni più adatte per lavaggi e saturazione. I campioni di latte fresco provenienti dalle diverse specie 293 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 confrontati in SDS-PAGE e Native-PAGE mostrano pattern elettroforetici distinguibili. (Figura 1) Il segnale è visibile fino al lane n°5 (1:10000), corrispondente quindi ad 1 nanogrammo di proteine totali caricate. (Figura 2) Figura 1: WB di confronto dopo SDS-PAGE (A) e Native-Page (B) su estratti da latte fresco di diverse specie: bovino (1), ovino (2), caprino (3), asinino (4). Per tutti i campioni sono stati caricati 10 µg di proteine totali. L’Ab primario riconosce tutte le specie seppur con diversa sensibilità. I pattern elettroforetici permettono di identificare la specie di provenienza del latte. Figura 2: WB su diluzioni scalari in base 10 di estratto di latte fresco bovino, partendo da 10 µg di proteine totali (1). L’Ab primario riconosce la beta-lattoglobulina fino al lane 5, corrispondente ad 1 ng di proteine totali. BIBLIOGRAFIA 1. Scott H. Sicherer, Hugh A. Sampson.Food allergy. Original Research Article 2010. Food Allergy.J Allergy ClinImmun, Volume 125, Issue 2, Supplement 2, February 2010, pp S116-S125 2. Scott H. Sicherer. Epidemiology of food allergy, 2011. J Allergy ClinImmun, Volume 127, n° 3, pages 594-602. 3. NIAID-Sponsored Expert Panel. Guidelines for the Diagnosis and Management of Food Allergy in the United States: Report of the NIAID-Sponsored Expert Panel. 2010. J Allergy Clin Immun, Volume 126, Issue 6, Supplement, December 2010, pp S1-S58. 4. Roberto J. Rona, Thomas Keil, Colin Summers, David Gislason, LaurianZuidmeer, Eva Sodergren, Sigurveig T. Sigurdardottir, Titia Lindner, Klaus Goldhahn, Jorgen Dahlstrom, Doreen McBride, Charlotte Madsen. The prevalence of food allergy: A meta-analysis Original Research ArticleJ Allergy ClinImmun, Volume 120, Issue 3, September 2007, Pages 638-646. 5. W L Chen, M T Hwang, C Y Liau, J C Ho, K C Hong, S J T Mao.Beta-lactoglobulin is a thermal marker in processed milk as studied by electrophoresis and circular dichroic spectra. Journal of Dairy Science 06/2005; 88(5):161830. 6. MirjanaPesic , MiroljubBarac , MiroslavVrvic , Nikola Ristic , OgnjenMacej , SladjanaStanojevic. Qualitative and quantitative analysis of bovine milk adulteration in caprineand ovine milks using native-PAGE. Food Chemistry 125 (2011) 1443–1449 DISCUSSIONE Nel WB l’utilizzo dei reagenti del kit ELISA (RidaScreen Fast ß-Lactoglobulin) si è rivelato poco adatto in quanto probabilmente interferisce e le bande visualizzate risultano diffuse. Nella NATIVE-PAGE il bovino presenta due bande quasi sovrapposte intorno a 18-20 kDa, probabilmente si tratta delle due isoforme A e B della ß-lattoglobulina. In SDS-PAGE, nel bovino e nell’ovino sono visibili sia la forma dimerica (~35 kDa) sia la monomerica (~15 kDa). Le varie specie, come previsto e come già riportato in letteratura per bovino e capra (6) hanno pattern elettroforetico differente, permettendo di distinguerle mediante WB a differenza di quanto accade in ELISA. L’anticorpo utilizzato in WB si è dimostrato sensibile, pertanto perfezionando il protocollo di estrazione su matrici quali biscotti o farine, sarà possibile validare il protocollo ed utilizzare la metodica per confermare i campioni positivi con il metodo ELISA. 294 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINE PRELIMINARE SULLA CONTAMINAZIONE DA RADIONUCLIDI BETA EMITTENTI (90Sr) NEI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE Iammarino M., Dell’Oro D., Bortone N., Mangiacotti M., Chiaravalle A.E. Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico Veterinario Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata - Foggia Key words: 90Sr, radionuclides, beta emitters SUMMARY Sr is a pure β-emitter, produced in nuclear fission processes and it is one of the most hazardous pollutants since its long physical and biological half-life (28.8 years). The accidental ingestion of contaminated food leads to a rapid absorption of the radioisotope that is deposited in bones where it is retained. 90 Sr beta particle emission can cause severe damage to bone and bone marrow, so it is very important to control the radiocontamination level in the environment and in foods. Two radiochemical procedures by liquid scintillation counting (LSC) for the monitoring of 90Sr in products of animal origin (milk, meats, seafood, cheeses, wheat and derived products) after achieving of 90Y secular equilibrium condition, were validated. In order to assess the reliability of the analytical procedures for routine analyses of 90Sr, 152 samples of milk, dairy products, meats and seafood, of different origin, were analysed demonstrating a 90Sr contamination very lower than legal limits. 90 INTRODUZIONE Lo Stronzio-90 (90Sr) è un prodotto di fissione dell’Uranio-235. È un pericoloso radionuclide in quanto caratterizzato da un tempo di dimezzamento di 28.5 anni. In questo intervallo di tempo è in grado di emettere particelle beta, con un’energia massima di 546 keV decedendo in Yttrio 90 (90Y), anch’esso beta emettitore (energia massima 2284 keV) con tempo di dimezzamento di 64.1 ore [3]. Nel momento in cui viene raggiunto l’equilibrio secolare tra 90Sr e 90Y la concentrazione di attività dello stronzio può essere valutata misurando quella dell’ittrio, corrispondente a quella dell’isotopo progenitore. Lo 90Sr costituisce un rischio serio per la sicurezza alimentare in quanto, possedendo una buona similarità con alcuni importanti elementi biologici come potassio e calcio, può essere facilmente assimilato dall’uomo attraverso l’ingestione di diversi prodotti agroalimentari. Una volta assorbito, questo radionuclide può depositarsi nel tessuto osseo [4]. La Legislazione Europea [1] prevede l’esecuzione di un elevato numero di controlli su diverse tipologie di matrice (latte e prodotti lattiero-caseari, prodotti per l’infanzia, ecc.) e per ognuna di queste matrici sono previsti dei limiti massimi per la radiocontaminazione da 90Sr. Negli ultimi anni diversi metodi per la determinazione di 90Sr in campioni alimentari sono stati proposti [2]; tuttavia, questi metodi possono risentire di varie problematiche analitiche quali la scarsa sensibilità e/o la presenza di interferenze spettrali; inoltre, non sono mai state definite e sviluppate le necessarie procedure di validazione. In questo lavoro viene presentata l’attività svolta negli ultimi anni presso il Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel settore Zootecnico-Veterinario. Due metodi radiochimici per la determinazione di 90Sr nei più importanti prodotti alimentari di origine animale, ovvero latte, prodotti carnei, ittici e lattiero-caseari, ed in altre matrici controllo particolarmente significative quali acqua, cereali e derivati, sono stati sviluppati, validati ed accreditati. La tecnica analitica impiegata è stata la scintillazione liquida (LSC); tale tecnica consente di determinare le concentrazioni di attività di 90Sr dopo opportuno trattamento del campione (differenziato per matrici liquide e solide) e raggiungimento dell’equilibrio secolare 90Sr / 90Y. L’attendibilità di queste metodiche analitiche è stata verificata mediante procedure di validazione implementate seguendo un protocollo sviluppato in-house che consente di determinare le più importanti performances analitiche in accordo con gli attuali riferimenti legislativi. MATERIALI E METODI Matrici liquide. Il latte viene trattato con una particolare resina cationica (Dowex), in grado di trattenere lo 90Sr a pH 8.5. Dopo separazione del surnatante e lavaggi ripetuti della resina con acqua distillata, la stessa viene posta in una colonna cromatografica e lo 90Sr eventualmente presente viene eluito mediante lento gocciolamento di HNO3 3M e acqua distillata. L’eluato viene portato a secco su piastra riscaldante ed il residuo viene lasciato a temperatura ambiente per due settimane, tempo necessario per il raggiungimento dell’equilibrio secolare 90Sr / 90Y. Raggiunto l’equilibrio, il residuo viene disciolto e portato a volume (200 mL) con HCl 0.1M; il pH viene corretto a 1.0 e si procede con la separazione dell’90Y. Tale passaggio viene ottenuto mediante complessazione con HDEHP (acido bis(2-etilesil)fosforico) ovvero aggiungendo 200 mL di una soluzione di HDEHP al 5% in toluene ed agitando vigorosamente e trattenendo la fase organica che viene quindi lavata con HCl 0.1M. L’estrazione finale dell’90Y dalla soluzione si ottiene mediante separazione liquido-liquido con due aliquote da 150 mL di HNO3 3 M. L’90Y estratto nella fase acida viene precipitato come ossalato aggiungendo acido ossalico all’8%, correggendo il pH a 2.5 mediante aggiunta di NH4OH al 15% e riscaldando la soluzione fino ad ottenere un cospicuo precipitato bianco ed una soluzione limpida. Il precipitato viene filtrato, disciolto in una miscela HNO3 / H2O2, portato a secco totale, quindi ridisciolto con HCl ed essiccato nuovamente. Il residuo finale viene ripreso con 8 mL di acido cloridrico 0.1 N, trasferito in vial di scinitillazione dove viene aggiunto il cocktail di scintillazione (Ultima Gold AB, Perkin Elmer). La lettura LSC viene effettuata mediante scintillatore liquido ad ultra basso fondo (Wallac 1220 Quantuls – Perkin Elmer) impostato con un tempo di conteggio di 1000 minuti. Per verificare l’affidabilità del metodo allo scopo preposto sono state eseguite prove di validazione. Tre sorgenti di Stronzio-90 di attività pari a 1 Bq sono state trattate con la stessa procedura dei campioni per valutare l’efficienza di conteggio. Quindi sono state effettuate prove di ripetibilità intermedia su sei campioni fortificati a due livelli di concentrazione di attività pari a 0.5 e 1.0 Bq L-1 (due operatori diversi, identica procedura ed identico materiale di prova). La selettività del metodo è stata verificata mediante misure ripetute su un campione di latte fortificato con una sorgente di stronzio-90 alla concentrazione di attività pari a 1.0 Bq L-1. Sulla base della forma dello spettro β, dei conteggi totali e della legge di decadimento del radionuclide stesso 295 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 si è confermata la sola presenza di ittrio-90. L’accuratezza del metodo è stata ulteriormente verificata analizzando un materiale di riferimento certificato (latte in polvere, IAEA-152) contaminato da stronzio-90 in seguito all’incidente nucleare di Chernobyl. Matrici solide. Il campione viene incenerito in muffola. Le ceneri vengono disciolte in una miscela HNO3 8M / HF al 50%. Viene effettuata una lisciviazione della miscela a 300°C, quindi una filtrazione e l’aggiunta di acido ossalico anidro e sodio acetato. L’aggiunta di acido ossalico, e la successiva correzione del pH a 4.5 mediante aggiunta di NH4OH al 30%, consente di precipitare lo stronzio presente nel campione come ossalato e separarlo dalla maggior parte degli altri metalli. Il precipitato viene quindi disciolto con una miscela H2O2 / HNO3 8M e la soluzione viene portata a secco totale. Il residuo viene disciolto in HCl 0.5 M e si aggiungono altri 4 volumi di H2O. Il 210Pb ed il 210Bi rappresentano degli importanti interferenti radiometrici e, pertanto, è necessaria la loro rimozione mediante aggiunta di 1 mL dei rispettivi standard 10000 ppm e circa 50 mg di sodio solfuro. Il precipitato formatosi viene rimosso mediante filtrazione con carta bibula, il pH del filtrato viene corretto ad 1.0 in quanto solo a questo valore di pH è possibile rimuovere l’90Y già presente mediante complessazione con HDEHP. La complessazione si ottiene mediante doppia aggiunta di una soluzione di HDEHP al 20% in toluene, agitazione ed eliminazione della fase organica. La fase acida viene portata a volume (200 mL) con HCl 0.1M e posta a temperatura ambiente fino al raggiungimento dell’equilibrio secolare 90Sr / 90Y (min. 15 gg). Una volta raggiunto l’equilibrio secolare, si procede con la separazione dell’90Y e la determinazione radiochimica così come descritto per le matrici liquide. La validazione del metodo è stata implementata effettuando misure ripetute su un campione di muscolo bovino fortificato. Considerando la forma dello spettro β ed i conteggi totali è stata verificata la selettività del metodo, mentre, effettuando il conteggio di tre sorgenti di attività pari a 1.5, 95.48 e 494,40 Bq è stata valutata la linearità strumentale. L’accuratezza è stata verificata elaborando i dati ottenuti dalle analisi di campioni fortificati a due livelli di concentrazione di attività pari a 0,5 e 1.0 Bq kg-1; infine, operando in condizioni di major changes, è stata testata la robustezza del metodo, ovvero analizzando diverse tipologie di muscolo (bovino e suino), prodotti ittici (pangasio, tonno e cozze), formaggi (a lunga e media stagionatura, mozzarella e ricotta), grano, pane e pasta, fortificati ad una concentrazione di attività pari a 0.5 Bq kg-1 e verificando, mediante ANOVA test, l’omogeneità dei dati ottenuti per tutte le tipologie di matrice. Anche per le matrici solide l’accuratezza del metodo è stata ulteriormente verificata analizzando un materiale di riferimento certificato (coriandolo, IAEA-156) contaminato da stronzio-90 in seguito all’incidente nucleare di Chernobyl. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 buona discriminazione delle sorgenti di emissione. La tecnica LSC fornisce, inoltre, efficienze di conteggio delle sorgenti comprese tra l’80% ed il 90% per i beta emettitori, tali valori risultano più elevati rispetto alle tecniche tradizionali. In tabella 1 sono riassunti i principali parametri di validazione ottenuti, suddivisi per matrici liquide e solide. I metodi sono stati utilizzati nell’ambito dei controlli ufficiali conducendo un monitoraggio su 152 campioni di diversa specie e tipologia di cui: 93 campioni di latte, 21 campioni di formaggio, 36 campioni di carne e 2 prodotti ittici. I risultati ottenuti sono riportati in tabella 2. Le concentrazioni di 90Sr rilevate sono tutte ben al di sotto dei limiti di legge stabiliti in caso di incidente nucleare. La quantità di elementi radioattivi rilevati negli alimenti di origine animale dipendono strettamente dal loro metabolismo nell’organismo ed in particolare dal rapporto Sr/Ca. Nei campioni di latte le concentrazioni di 90Sr sono al di sotto di 1 Bq L-1. Solo un campione di latte ovino presenta una concentrazione di 1,10 ± 0,41 Bq L-1 ed in generale i campioni di latte di origine ovina mostrano un livello di contaminazione leggermente superiore a quelli caprini e vaccini. Nei prodotti lattiero caseari esaminati é stata sempre riscontrata la presenza di 90Sr a concentrazioni di attivitá superiori al Detection Limit (< 0,003 Bq kg-1). Due campioni di formaggi pecorini ed un campione di formaggio caprino hanno fatto registrare concentrazioni di attivitá > 1 Bq kg-1 (1,29 ± 0,41 Bq kg-1; 1,74 ± 0,55 Bq kg-1; 1,14 ± 0,34 Bq kg-1). I livelli di contaminazione riscontrati nei campioni di muscolo e di prodotti ittici risultano piú bassi e confrontabili tra loro (< ¸0,5 Bq kg-1). In conclusione i valori ottenuti risultano di due ordini di grandezza piú bassi dei limiti di legge stabiliti nei casi di emergenza radioattiva e pur non destando preoccupazioni di carattere sanitario confermano l’importanza dei controlli sulla radiocontaminazione, soprattutto nelle matrici in cui tale radionuclide tende ad accumularsi. BIBLIOGRAFIA 1.European Commission, 1989. Regulation (EURATOM) No. 2218/1989. 18 July 1989. Official Journal of the European Union. L211: 1–3. 2.Heilgest M, 1999. Use of extraction chromatography, ion chromatography and liquid scintillation spectrometry for rapid determination of strontium-89 and strontium-90 in food in cases of increased release of radionuclides. Journal of radioanalytical and nuclear chemistry, 245(2): 249-254. 3.Stamoulis KC, Ioannides KG, Karamanis DT, Patiris DC, 2007. Rapid screening of 90Sr activity in water and milk samples using Cherenkov radiation. Journal of environmental radioactivity, 93:144-156. 4.Torres JM, Tent J, Llaurado M, Rauret G, 2002. A rapid method for 90Sr determination in the presence of 137Cs in environmental samples. Journal of environmental radioactivity, 59:113-125. Tabella 1 – Principali parametri di validazione Matrici liquide Livello di additivazione Matrici solide Livello di additivazione 0.5 Bq L-1 1.0 Bq L-1 0.5 Bq L-1 1.0 Bq L-1 Concentrazione di attivitá media (n=6) ± SD 0.58 ± 0.07 0.99 ± 0.13 0.46 ± 0.06 0.89 ± 0.13 CV% 12 % 13% 14% 15% Recupero medio 116 % 99% 92% 89% Parametro Efficienza di conteggio Robustezza (campo di applicazione) 0,87 0,89 Latte, acqua Carni, prodotti lattiero caseari, prodotti ittici, grano e derivati Tabella 2 – Risultati dell’indagine preliminare RISULTATI E CONCLUSIONI Rispetto ai metodi ufficiali, quelli sviluppati per la determinazione dello stronzio-90 nelle più importanti matrici agro-alimentari, mediante scintillazione liquida, risultano meno laboriosi e più efficaci. Questo è possibile grazie ad una specifica serie di precipitazioni e purificazioni che garantiscono una buona separazione radiochimica dello 90Sr da altri isotopi ed interferenti. Per poter confermare la presenza del radioisotopo con i metodi tradizionali è necessario effettuare misure ripetute, a distanza di giorni, per verificare il decadimento del segnale. Al contrario, il metodo in scintillazione liquida consente di registrare spettri sia di particelle alfa che beta con 296 Matrice Latte Prodotti lattiero caseari Muscolo Prodotti ittici Tipologia N. campioni Caprino Ovino Bovino Caprino Ovino 37 41 15 9 5 90 Sr media (Bq L-1) (Bq kg-1) 0.16 0.28 0.04 0.56 0.99 90 Sr range (Bq L-1) (Bq kg-1) < 0.003 - 0.36 0.03 – 1.10 < 0.003 – 0.09 0.23 - 1.14 0.40 – 1.74 Bovino 7 0.08 0.02 - 0.22 Caprino Ovino Bovino Tonno Gamberetti 10 16 10 1 1 0.08 0.13 0.07 0.03 0.04 <0.008 - 0.16 <0.003 - 0.43 <0.003 - 0.17 - 297 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Valutazione della presenza di Ocratossina A lungo la filiera produttiva della liquirizia (Glycyrrhiza glabra) Imbimbo S., Arace O., Castellano V., Soprano V., Esposito M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, via Salute, 2 - 80055 Portici Keywords: ochratoxin, licorice, immunoaffinity SUMMARY Liquorice of Calabria DOP is produced from the extract of the Glycyrrhiza glabra roots. For the quality and food safety a control of chain production is of great importance, especially in relation to the possibility of contamination by fungal strains. In fact, fresh roots have a high moisture content that facilitates the development of fungal flora, particularly Aspergillus and Penicillium, producers of mycotoxins including ochratoxin. On the basis of the evidence of nephrotoxicity and carcinogenicity (IARC, 1993; EFSA, 2006) the EU Regulation 105/2010 has set maximum levels for Ochatoxin A in those products which contribute significantly to the exposure of the human population, including liquorice. In this study, samples of licorice collected at various stages of the production chain, were analysed for the OTA content. The results helped to identify some critical points during the production process which, properly controlled, could help to bring down the mycotoxin contamination. INTRODUZIONE La liquirizia riveste una importanza commerciale notevole per il nostro paese, in particolare per la Calabria dove è concentrata la quasi totalità della produzione e della lavorazione nazionale della “Liquirizia di Calabria DOP” proveniente dalla Glycirrhiza glabra, pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Leguminose. La liquirizia è un integratore alimentare usato come ingrediente in molti infusi per le sue proprietà farmaceutiche, due delle più importante di queste sono la sua azione espettorante e la capacità di incrementare la pressione sanguigna. Ai fini della qualità e della sicurezza alimentare il controllo dei processi di lavorazione assume grande rilievo, soprattutto in relazione alla possibilità di contaminazione da ceppi fungini. Infatti, la radice di liquirizia, alla raccolta, ha un elevato contenuto in umidità che favorisce il rapido sviluppo di una flora fungina, con la comparsa di miceli dei generi Aspergillus e Penicillium, produttori di micotossine, in particolare dell’Ocratossina A (OTA), metabolita secondario dei generi Penicillium verrucosum e Aspergillus ochraceus, ma anche di A. carbonarius e A. niger(1). L’OTA è formata da una frazione cumarinica legata ad una molecola di L-β-fenilalanina tramite un legame. Le evidenze di nefrotossicità e carcinogenicità (IARC, 1993) hanno portato l’EFSA(1) a stabilire una dose settimanale tollerabile (TWI) di OTA pari a 120 ng/kg di peso corporeo e la Commissione . Sulla base di questo valore il Regolamento UE 105/2010(2) ha fissato dei tenori massimi per l’OTA in quei prodotti che contribuiscono in maniera significativa all’esposizione della popolazione umana in generale, tra questi le spezie e la liquirizia. Per quest’ultima i limiti massimi sono stati fissati rispettivamente in 20 µg/kg per la radice di liquirizia, ingrediente per infusioni a base di erbe e in 80 µg/kg per l’estratto di liquirizia, usato nei prodotti alimentari, soprattutto nelle bevande e nella confetteria. Non sono contemplati dalla normativa i prodotti di confetteria malgrado alcuni lavori abbiano dimostrato la possibilità di una loro contaminazione a livelli anche abbastanza elevati(3,4,5). D’altro canto sono sempre numerose le allerte che la Comunità Europea ha emesso dal 2010 ad oggi mediante il Rasff- Rapid Alert System for Food and Feed (Sistema Rapido di Allerta di comunicazione dei rischi sanitari per alimenti e mangimi) (6) per la presenza di Ocratossina A in alimenti tra cui i prodotti derivati dalla liquirizia, In questo lavoro è stata determinata la presenza di Ocratossina A in campioni di liquirizia prelevati in vari stadi della filiera produttiva, dalla materia prima al prodotto finito in commercio, allo scopo di valutare il grado di contaminazione e quindi di valutare eventuali punti critici durante il processo di lavorazione che, adeguatamente controllati, potrebbero consentire di abbattere fortemente i livelli di contaminazione da micotossine. MATERIALI E METODI L’indagine è stata effettuata su 29 campioni, di cui 13 forniti direttamente da un’azienda produttrice di liquirizia, e 16 reperiti sul mercato presso rivendite al dettaglio: - n. 5 campioni di radici di liquirizia fresca provenienti dalla raccolta in campo e che non avevano subito ancora alcun processo di trattamento; - n. 3 campioni di pasta nera densa semilavorata, intermedio di lavorazione ottenuto da varie fasi di lavorazione che prevedono lavaggio, sfibramento, macinazione e pressatura delle radici fresche, e successiva chiarificazione e concentrazione dell’estratto di liquirizia - n. 7 campioni di radici di liquirizia provenienti solo dal processo di lavaggio per eliminare i residui di terra ed essiccamento e pronte per essere consumate tal quali; - n. 1 campione di preparato per liquori a base di liquirizia; - n. 1 campione di liquore a base di liquirizia; - n. 12 campioni di caramelle alla liquirizia (spezzatine ecc.). I campioni sono stati analizzati mediante analisi in HPLC-FLD previa estrazione mediante PBS e purificazione su colonne di immunoaffinità. Reagenti e materiali di riferimento Acetonitrile grado HPLC, Metanolo grado HPLC, Acido Acetico Glaciale (SIGMA-ALDRICH) Acqua ultrapura: ottenuta mediante impianto Milli-Q Plus Millipore PBS: tampone fosfato ottenuto utilizzando bicarbonato di sodio anidro, sodio idrogeno fosfato anidro, potassio diidrogeno fosfato, cloruro di sodio e cloruro di potassio TWEEN 20 Soluzione di materiale di riferimento di OTA a 10 mg/Kg in aceto nitrile (STANDARD BIOPURE – ORSELL) Soluzione di lavoro a 1 mg/Kg è preparata in acetonitrile e va conservata a -18°C Apparecchiature Colonne di immunoaffinità per Ocratossina A (OCRAPEP della R-BIOPHARM) Colonna per HPLC: Colonna Synergi Polar-Rp 80 Å 250x 4.6 mm (PHENOMENEX) con relativa precolonna C18 Sistema HPLC AGILENT TECHNOLOGIES costituito da pompa, comparto termostatato colonna, iniettore automatico, rivelatore FLD Procedimento Pesare 10 g di campione omogeneizzato, porli in una bottiglia di vetro da 250 ml e aggiungere 100 ml di una soluzione acquosa 298 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 all’1% di bicarbonato di sodio. Omogeneizzare per 2 minuti ad alta velocità con omogeneizzatore Ultra Turrax. Centrifugare l’estratto a 4000 rpm per 10 minuti. Diluire 5 ml di estratto, in una provetta di vetro da 20 ml, con 10 ml di PBS. Far passare il filtrato diluito (equivalente a 0.5 g di campione) attraverso le colonnine di immunoaffinità ad un flusso di circa 2 ml per minuto (è preferibile lasciar passare il filtrato sulle colonnine per gravità). La colonna di immunoaffinità contiene una sospensione in gel di anticorpi monoclonali legati covalentemente a un supporto solido. L’anticorpo è specifico per l’Ocratossina A. L’ OTA presente nel campione è trattenuta dall’anticorpo contenuto nella sospensione in gel. La colonna viene quindi lavata con 20 ml di una soluzione di TWEEN 20 al 10% in PBS ad un flusso di circa 2 ml per minuto, per eliminare ogni materiale non legato. L’OT A legata viene rilasciata dall’anticorpo a seguito dell’eluizione con 1,5 ml di una soluzione di Metanolo e Acido Acetico Glaciale 98:2 v/v ad un flusso di circa 1 goccia al secondo dopo aver effettuato ma manovra di back-flushing. Successivamente si aggiunge 1,5 ml di acqua Ultra pura MilliQ. Raccogliere l’eluato in un cilindro graduato della capacità di 10 ml per verificare che il volume finale dell’eluato sia di 3 ml. 100 µl dell’eluato finale vengono poi iniettati in una colonna Synergi Polar-Rp 80 Å 250×4.6 mm (Phenomenex) munita di precolonna C18 e termostata a 40°C, con un programma di eluizione in isocratica con fase mobile costituita da Acqua/Acetonitrile/Acido Acetico Glaciale (53/46/1, v/v/v). La rivelazione è condotta in fluorescenza alle lunghezze d’onda di eccitazione λeccitazione = 333 nm e di emissione λemissione = 460 nm. La determinazione quantitativa dell’OTA è effettuata mediante la tecnica della standardizzazione esterna, allestendo la retta di taratura mediante soluzioni di materiali di riferimento a concentrazioni crescenti. Il LOQ (Limite di Quantificazione) è stato calcolato fortificando un campione di radici di liquirizia esente da contaminazione (bianco) al livello di 2.0 µg/kg, aggiungendo 20 µl del materiale di riferimento a 1 mg/kg a 10 g di campione. Il LOD (Limite di Rilevabilità), invece è risultato essere di 0,5 µg/kg. La specificità è stata valutata verificando l’assenza di interferenti nel cromatogramma ai valori dei tempi di ritenzione del picco di Ocratossina A. La linearità del metodo è stata verificata nell’intervallo 0.3125 µg/kg-40 µg/kg corrispondenti a concentrazioni su matrice comprese tra 2 e 256 µg/kg. Il valore di R2 è risultato superiore a 0.999. L’accuratezza del metodo è stata valutata mediante analisi di campioni fortificati a 2 µg/kg e 20 µg/kg, ottenendo un recupero medio tra 92 e 93%, in tutti i casi le percentuali di recupero ottenute rientravano l’intervallo di 70-110%. RISULTATI E CONCLUSIONI I risultati delle determinazioni di Ocratossina A sono stati valutati alla luce dei limiti massimi stabiliti dalla normativa comunitaria. Per quanto riguarda la materia prima, costituita dalle radici fresche, soltanto due campioni su cinque hanno mostrato la presenza di OTA; in uno il livello determinato, pari a 20,9 µg/kg, era superiore al tenore massimo consentito, anche se calcolando l’incertezza di misura associata al risultato, il valore diventava conforme. Nell’altro campione, la concentrazione misurata era di 8.7 µg/kg . Un dato molto interessante, invece, è stato quello riguardante la contaminazione presente nelle radici secche al naturale: i campioni di radici prelevate e fornite direttamente dalla fabbrica, non presentavano nessuna contaminazione; mentre le radici reperite sul mercato presentavano una diffusa presenza di Ocratossina A, sebbene a valori inferiori al limite massimo tollerabile. In tutti i campioni di pasta di liquirizia semilavorata l’Ocratossina A è risultata inferiore al LOQ (Limite di Quantificazione). Molto variabili infine i livelli di contaminazione da OTA nei prodotti di confetteria: infatti, sui 12 campioni di caramelle analizzati, 2 campioni hanno mostrato livelli molto alti di OTA pari a 126 e 147 µg/kg e 2 con valori < LOQ mentre in 8 campioni il livello riscontrato variava da 2.2 a 24.3 µg/kg. Nella tabella 1 si riportano, di tutti i campioni analizzati, provenienza, matrice, contenuto in Ocratossina A espressi in µg/kg. TABELLA 1: Concentrazioni di Ocratossina A in µg/kg nei campioni analizzati PROVENIENZA Fabbrica Fabbrica Fabbrica Fabbrica Fabbrica Mercato Mercato Mercato Mercato Fabbrica Fabbrica Fabbrica Fabbrica Fabbrica Fabbrica Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Mercato Fabbrica Fabbrica MATRICE Radici fresche Radici fresche Radici fresche Radici fresche Radici fresche Radici secche Radici secche Radici secche Radici secche Radici secche Radici secche Radici secche Pasta semilavorata Pasta semilavorata Pasta semilavorata Preparato per liquori Liquore Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle Caramelle OTA 8.67 < LOQ < LOD < LOQ 20.9 < LOD 11.7 8.2 6.55 < LOD < LOD < LOD < LOD < LOD < LOD 18 < LOQ 147 7 4.56 8.6 21.7 < LOD 5.56 2.38 24.34 126.52 < LOQ 2.18 L’esame dei dati ottenuti dall’analisi di tutti i campioni conferma che la contaminazione da Ocratossina A nella liquirizia avvenga già a livello della raccolta delle radici fresche e che tracce più o meno forti di micotossina si ritrovano anche nei prodotti finiti. Infatti sia le radici essiccate consumate tal quali che i vari prodotti di confetteria mostrano concentrazioni variabili di ocratossina, in alcuni casi molto vicini al limite massimo definito per l’estratto. BIBLIOGRAFIA 1) Esteban A., Abarca, M.L., Bragulat, M.R., Cabañes, F.J., 2006. Effect of water activity on ochtratoxin A production by Aspergillus niger aggregate species. International Journal of Food Microbiology 108, 188-195 2) Opinion of the scientific panel on contaminants in the food chain on a request from the Commission related to ochratoxin A in food. The EFSA Journal (2006) 365; 1-56 3) Regolamento (CE) N. 105/2010 della Commissione del 5 febbraio 2010 recante modifica del regolamento (CE) 1881/2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari G.U. L 35 del 06/02/2010 4) Ariño A., Herrera M., Estopañan G., Juan T. (2007) High levels of ochratoxin A in licorice and derived products. International Journal of Food Microbiology 114; 366–369 5) Bresch, H., Urbanek, M., Nusser, M. (2000) Ochratoxin A in food containing liquorice. Nahrung 44, 276–278. 6) Herrera M., Herrera A., Ariño A. (2009) Estimation of dietary intake of ochratoxin A from liquorice confectionery. Food and Chemical Toxicology 47; 2002–2006 7) https://webgate.ec.europa.eu/rasff-window/portal/ RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) 299 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Mycobacterium bovis NELL’UOMO NELL’ITALIA NORD OCCIDENTALE: CONFRONTO TRA I CEPPI NELL’INDAGINE EPIDEMIOLOGICA Irico L.¹, Ferraro G.¹, D’Errico V.¹, Mondo A.², Turchi A.², Goria M.¹, Zoppi S.¹, Chiavacci L.¹, Dondo A.¹ ¹ Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ²Clinica delle Malattie Infettive, Università degli Studi di Torino, Ospedale Amedeo di Savoia Key words: M.bovis, Tubercolosi, Zoonosi. ABSTRACT Mycobacterium bovis is the mainly agent of bovine tuberculosis, an infection disease with zoonotic potential. Human transmission is prevalent due to the consumption of infected unpasteurised milk and other dairy products or to the direct contact with infected animals, mainly in countries in which there is lack of control policies. Isolation for the diagnosis is usually completed by molecular characterization of strains. The aim of this paper was to compare 34 human strains of M.bovis collected from 2001 to 2011 by evaluating genotypic affinities with those isolated in livestock. Affinity was found in 12 out of 25 total VNTR profiles of 14 different Spoligotyping. Four of these were ascertained cases of zoonotic transmission. It results that M. bovis is a potential problem in humans and a complete epidemiological investigation with a cooperation between Veterinary and hospital Services is important with attention direct to the professionals that are frequently in contact with livestock. INTRODUZIONE La tubercolosi bovina è una malattia infettiva d’interesse mondiale a carattere diffusivo causata da Mycobacterium bovis e caratterizzata prevalentemente da forme respiratorie a evoluzione cronica e progressiva. M. bovis ha un ampio spettro d’ospite e può essere causa di malattia nei mammiferi (domestici e selvatici) tra cui l’uomo. L’agente causale fa parte del gruppo Mycobacterium tuberculosis complex, che include tra gli altri anche M. tuberculosis, principale agente causale della tubercolosi umana e M. microti, tipico dei roditori e diffuso nei selvatici. Le frequenti movimentazioni del bestiame ne facilitano la diffusione (4). Tra gli animali la principale forma di contagio è rappresentata dall’inalazione di aerosol contenente l’agente patogeno; i polmoni e i rispettivi linfonodi sono quindi gli organi prevalentemente colpiti dalle lesioni. Occasionalmente il micobatterio può sfruttare altre vie di contagio, per esempio quella digerente (in questo caso è colpito il tratto gastrointestinale) o la forma congenita. L’infezione può diffondere anche per via sistemica, colpendo altri distretti. La trasmissione all’uomo di M. bovis avviene prevalentemente per via alimentare (attraverso il consumo di latte non pastorizzato) o per contatto diretto con gli animali infetti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove non sono sistematicamente applicate misure di controllo nelle popolazioni animali sensibili (4). Da molti decenni nei Paesi dell’Unione Europea sono stati adottati piani di profilassi che, ad oggi, fanno capo alla normativa comunitaria (Direttiva 64/432/CEE, in Italia recepita dal D. Lgs 196/99 e successive modifiche). Ciononostante lo stato sanitario a livello europeo è disomogeneo, in molti Paesi persistono esigue percentuali di allevamenti infetti. In tali circostanze il rischio zoonosico è circoscritto per lo più alle categorie professionali impiegate nel settore, e in particolare a veterinari buiatri, allevatori, macellatori, addetti e tecnici degli allevamenti (6). La difficoltà nell’eradicazione della malattia è dovuta, in parte, al lungo periodo d’incubazione e in parte al decorso, per lo più lento e cronico, entrambi fattori che non sempre permettono un’identificazione clinica e diagnostica immediata. Inoltre, va detto che l’infezione nell’uomo causata da M. bovis non è di per sé distinguibile, né clinicamente, né dal punto di vista patologico, da un’infezione da M. tuberculosis (4). Per questi motivi, risulta di fondamentale importanza la collaborazione tra i Servizi Veterinari (SV) ed i Servizi di Igiene e Sanità Pubblica (SISP) delle Aziende Sanitarie Locali, al fine di scambiare reciprocamente informazioni utili a completare l’indagine epidemiologica in corso di un focolaio di Tubercolosi bovina o in seguito a identificazione di M. tuberculosis complex nell’uomo. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV) ha implementato, sin dal 2002 un DataBase (DB) in ambiente Microsoft Access (2000), con lo scopo di gestire i focolai di tubercolosi bovina integrando anche le informazioni ottenute dalle indagini molecolari che ordinariamente affiancano l’isolamento di M. bovis negli animali e in taluni casi anche nell’uomo (genotipizzazione dei ceppi isolati mediante identificazione dello Spoligotyping del locus DR, VNTR-ETR,QUBs MIRU). In questo lavoro sono riportati i risultati delle caratterizzazioni molecolari dei ceppi di M. bovis isolati nell’uomo in Piemonte dal 2001 al 2011 e sono state valutate le affinità genotipiche con i ceppi bovini isolati nelle tre regioni di competenza IZSPLV nello stesso periodo e disponibili nel DB. MATERIALI E METODI I ceppi erano stati isolati nel periodo dal 2001 al 2011 presso diverse Aziende Ospedaliere del Piemonte e riferiti all’Ospedale Amedeo di Savoia. La caratterizzazione molecolare dei ceppi M. bovis, è stata effettuata con la determinazione dello spoligotipo del locus DR e con l’analisi dei VNTR-ETR (A, B, C, D, E); per i ceppi di origine umana la tipizzazione è stata eseguita anche con l’analisi di QUBs (11a, 11b, 26, 1895, 15, 3232) e MIRU 26 (5). I risultati delle analisi molecolari effettuate presso l’IZSPLV su 34 ceppi umani di M. bovis sono stati quindi informatizzati e successivamente estratti dal DB, per essere elaborati con Excel (Microsoft Office 2003) e messi a confronto con quelli bovini isolati dal 2001 al 2011 già presenti nel DB che raccoglie i dati riguardanti gli isolamenti effettuati nel corso delle procedure di eradicazione. RISULTATI E CONCLUSIONI L’età media dei pazienti è di 55,6 anni (+/-22,3 ds), con un caso in un paziente di 3 anni (età minima) e 5 casi in pazienti 300 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 di 83 anni (età massima). Sei di questi pazienti (età compresa tra 24 e 36 anni) provenivano da Paesi extraeuropei, in particolare da zone ad elevato rischio di Tubercolosi. Nella Tabella 1 sono riportati i 13 Spoligotipi riscontrati ed i 25 diversi profili ottenuti dell’analisi dei VNTR associati al numero di pazienti in cui sono stati rispettivamente rilevati. Nell’ultima riga in Tabella 1 il codice alfanumerico dello Spoligotyping, secondo la codifica internazione della banca dati internazionale collocato sul portale online www.mbovis. org, non è riportato perché tale ceppo non risulta ancora codificato. Le caratterizzazioni in Spoligotipo e VNTR dei ceppi umani sono state confrontate con quelle dei ceppi bovini a disposizione nel DB; nello specifico vi è il numero delle diverse aziende in cui è stato isolato il ceppo umano su uno o più capi. . La Tabella 2 riporta, a latere del profilo dei ceppi isolati nell’uomo, il numero di ceppi bovini e il numero di pazienti con provenienza da aree considerate a rischio infezione di M.bovis in cui è stato riscontrato il medesimo profilo Tabella 2 Tabella 1 SPOLIGO SB0120 VNTR diversi VNTR OMOLOGHI con ceppi bovini VNTR riscontrati SOLO NELL’UOMO Provenienza da aree a rischio SB0120 11 8 3 1 SB0125 1 0 1 1 SB0134 1 1 0 0 SB0140 2 0 2 1 SB0340 1 0 1 1 SB0841 1 1 0 0 SB0866 1 0 1 0 SB0867 1 0 1 0 SB0930 1 0 1 1 SB1142 1 0 1 1 SB1169 1 0 1 0 SB1542 1 0 1 0 SB1584 1 1 0 0 5,26,27 1 - - - VNTR N° PAZIENTI AZIENDE in cui è stato riscontrato il ceppo 25613 1 0 35533 1 8 44523 2 0 44534 1 8 45533 5 61 52533 1 1 54533 1 21 54534 4 83 54535 1 2 PAZIENTE QUB 3232 QUB 11a QUB 11b QUB 15 QUB 26 QUB1895 MIRU 26 55513 1 0 1 6 11 3 2 5 4 5 2 7 11 3 3 5 4 5 55534 1 9 SB0125 54433 1 0 SB0134 54534 2 28 46533 1 0 75633 1 0 SB0340 15333 1 0 SB0841 45533 1 5 SB0866 52444 1 0 SB0867 55332 1 0 SB0930 44433 1 0 SB1142 64432 1 0 SB1169 55523 1 0 SB1542 54534 1 0 SB1584 45533 1 2 5,26,27 45523 1 - SB0140 Spoligo tipo Lo studio più approfondito sui marker genetici, quali QUBs e MIRU, consente di approfondire la differenziazione evidenziando meglio differenze tra ceppi, apparentemente omologhi (stessi Spoligotipo e VNTR). Un esempio è riportato in Tabella 3: per lo stesso profilo (Spoligotipo e VNTR), in questo caso un ceppo SB0120-44523 presenta differenze all’analisi molecolare più approfondita. Tabella 3 – ceppi isolati in due pazienti con stesso profilo SB0120 – 45523 ma con QUBs e MIRU differenti Il riscontro di pazienti in cui è stato isolato M. bovis, è comunque indicativo di un problema presente, seppur marginale. Inoltre la diagnosi di M. bovis verosimilmente è sottostimata, considerando che non sempre gli approfondimenti diagnostici effettuati nei presidi ospedalieri, identificano M. tb complex a livello di specie. Il Database sviluppato è d’indubbia utilità nel confronto dei ceppi di natura umana e bovina al fine di stabilire relazioni di tipo epidemiologico e facilitare la comprensione dell’origine dell’infezione sia nell’uomo sia nelle aziende. In Regione Piemonte sono stati 4 i casi accertati di contagio diretto allevatore-bovino. In questi casi, le indagini genetiche di approfondimento hanno permesso di riscontrare una perfetta omologia tra il ceppo isolato nei pazienti, ed il ceppo isolato nei capi all’interno dell’azienda di cui loro stessi erano proprietari (3). Tali episodi confermano l’importanza di mantenere una fonte di comunicazione e di collaborazione continua tra i Servizi Veterinari ed i SISP, al fine di effettuare un’indagine epidemiologica completa e sistematica, sia in campo, sia attraverso l’utilizzo delle banche dati informatizzate 301 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 (ARVET e Banca Dati Nazionale) e del Database in continuo aggiornamento. L’informatizzazione dei risultati diagnostici e degli approfondimenti genetici effettuati sui ceppi isolati costituiscono un’importante aspetto integrativo delle indagini epidemiologiche effettuate dai Servizi Veterinari e dall’Osservatorio Epidemiologico Regionale. L’integrazione, inoltre, con la caratterizzazione molecolare, permette di individuare le eventuali correlazioni riscontrate tra i profili dei ceppi umani e bovini, evidenziando così la trasmissione interspecifica. Le ulteriori indagini dei marker specifici quali QUBs e MIRU, applicabili sia nei casi di infezione uomo-bovino che tra gli animali, potrebbero risultare importanti a scopo epidemiologico, nell’indagine, per esempio, sull’origine e la diffusione dei ceppi stessi. Queste azioni si dimostrano un consistente sostegno per migliorare le azioni della Sanità Pubblica sia per la prevenzione della malattia, sia per il raggiungimento dell’obiettivo dell’eradicazione della tubercolosi dagli allevamenti bovini in Piemonte. BIBLIOGRAFIA (1) Chiavacci L., Barbaro A. (2009) Osservatorio epidemiologico regionale: organizzazione e valutazione dei dati finalizzate alla riprogrammazione degli interventi. Medicina Veterinaria Preventiva, N. 30 (Numero monografico sulla Tubercolosi); pag 18-26. (2) Giuliani A., Talone T. et al. L’impegno dell’Unione Europea nell’eradicazione della tubercolosi bovina. (3) Goria M., Garrone A. et al. (2009). La tubercolosi da M. bovis nell’uomo: il risvolto zoonosico della malattia e i riscontri raccolti in Piemonte. Medicina Veterinaria Preventiva, numero 30 (Numero monografico sulla Tubercolosi); pag. 50-58. (4) Michel A.L., Muller B., Van Helden P.D. (2010). Mycobacterium bovis at the animal-human interface: A problem or not? Veterinary Microbiology 140, 371-381. (5) Roring S. et al. 2002 - Development of variable numbers of tandem typing of Mycobacterium bovis :comparison of results with those obtained by using existing exact tandem repeats and spoligotyping . J. Clin. Microbiol. 40(6), 2126-2133 (6) Torres-Gonzales P., Soberanis- Ramos O. et al. (2013). Prevalence of latent and active Tuberculosis among dairy farm workers exposes to cattle infected by Mycobacterium bovis. PLOS Neglected Tropical Diseases, Vol 7 (4). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PROGETTO PILOTA DI SORVEGLIANZA SULLA MORTALITA’ DEGLI ALVEARI: RISULTATI PRELIMINARI IN PIEMONTE Irico L., D’Errico V., Caruso C., Vitale N., Radaelli M.C., Romano A., Mogliotti P., Masoero L., Goria M., Chiavacci L., Dondo A., Possidente R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino; Key words: Varroasis, Colony mortality, Piedmont ABSTRACT Beekeeping in Italy is a practice of ancient tradition, as the advantageous climatic conditions and the productivity of local breed Apis mellifera ligustica have made this activity popular. Nevertheless, environmental and human factors such as pollution, habitat destruction and frequent use of pesticide could threaten honeybee survival. In order to monitoring honeybee pathologies as varroasis and mortality of apiaries a pilot surveillance study was carried out by the French Agency for Food, Environmental and Occupational Health Safety, in Europe. This work shows data on Piedmont monitoring. Varroasis is present in 12 of 15 sampled apiary, with a variable mean prevalence among colonies (from <2% to >5%). Colony losses were higher after winter (13 of total colonies dead). Further studies, would be useful to define the total diffusion of honeybee pathologies in Piedmont and to evaluate mortality in relation of this parasite and other environmental causes of colonies depopulation. INTRODUZIONE L’Apicoltura è una pratica diffusa a livello mondiale, di fondamentale importanza per la produzione del miele e dei suoi derivati per il ruolo che le api hanno nell’impollinazione delle piante, sia spontanee che coltivate. L’Italia vanta una vasta tradizione apistica, derivante sia dalle favorevoli condizioni climatiche che dall’elevata attitudine produttiva della specie nativa (Apis mellifera ligustica). Nonostante ciò, la mortalità degli apiari negli ultimi tempi tende ad essere in aumento (1), con il rischio di ripercuotersi negativamente sugli ecosistemi; tra le cause più comuni vi sono i principi attivi utilizzati in agricoltura, soprattutto nelle aree ad intensa attività agricola (con concentrazioni ambientali elevate nel periodo primaverile - estivo) e le diverse patologie che colpiscono le colonie stesse (problema rilevabile per lo più in tarda estate ed al termine dell’inverno successivo). Nel 2012, la French Agency for Food, Environmental and Occupational Health Safety (ANSES) ha stilato un progetto pilota con l’intento di armonizzare procedure di sorveglianza attiva per consentire stime affidabili delle perdite di colonie nei paesi europei. Nello specifico, gli obiettivi del progetto consistono nell’individuare il tasso di mortalità stagionale negli apiari campionati e la prevalenza delle principali patologie delle api. In particolare, è stato chiesto di valutare il tasso d’infestazione da Varroa destructor, valutare la prevalenza clinica stagionale delle principali malattie delle api, tra cui peste americana (Paenibacillus larvae), peste europea (Melissococcus plutonius), nosemiasi (Nosema apis e Nosema ceranae), valutare il tasso di infezioni delle tre virosi principali (virus della paralisi acuta - ABPV, virus della paralisi cronica - CBPV, virus delle ali deformi - DWV), nonché la ricerca di eventuali parassiti esotici (Aethina tumida - SHB, Tropilelaps spp.). In questo lavoro sono presentati i primi risultati ottenuti 302 attraverso un campionamento effettuato in apiari della Regione Piemonte, in seguito ad una selezione, secondo indicazioni dell’Unione Europea, che ha portato a valutare sia il grado d’infestazione di varroasi, che la mortalità stagionale delle colonie. MATERIALI E METODI Sono stati campionati un numero di 15 apiari, opportunamente identificati, su un totale di 5000 apiari presenti sull’intero territorio piemontese (4). Durante la prima visita autunnale sono state selezionate per ogni apiario, un numero variabile di colonie da ispezionare, in modo da poter ottenere una prevalenza del 20%. Le colonie selezionate sono state esaminate per l’intera durata del progetto che prevede complessivamente tre momenti diversi di campionamento: il primo campionamento è stato effettuato tra il 15 ottobre e il 15 novembre; il secondo, coincidente con la ripresa dell’attività dell’apiario, è stato effettuato nella primavera del 2013; l’ultimo campionamento corrispondeva al pieno periodo produttivo ed è stato pertanto effettuato entro il 15 luglio. Per la rilevazione e registrazione dei dati, sono state utilizzate le schede predisposte dal Centro di Referenza Europeo, che hanno permesso la raccolta di informazioni riguardanti l’apicoltore, la georeferenziazione e la gestione dell’apiario (migrazione stagionale, acquisti, spostamenti, stato sanitario, trattamenti). Durante la prima visita, in tutti gli apiari è stato effettuato un campionamento sistematico di 300 api per ogni colonia individuata, al fine di identificare l’infestazione da Varroa spp. Le api sono state prelevate e raccolte in contenitori idonei (barattoli di plastica di 200 ml o buste ermetiche) ed inviate alla S.S. Diagnostica Generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta (IZSPLV). Il conteggio delle varroe è stato effettuato manualmente, previo distacco delle stesse mediante lavaggio con soluzione alcoolica. Gli esiti sono stati inseriti nel Sistema Informativo di Gestione Laboratori dell’IZS e successivamente elaborati mediante file Excel (Microsoft Office 2003). Ulteriori prelievi sono stati effettuati, in tutti e tre gli accessi solo in caso di sospetto clinico di malattie diverse da Varroasi ed esaminati mediante ricerca di DNA con RRT PCR. Nel secondo e nel terzo campionamento è stato inoltre valutato, in base alle indicazioni del protocollo, il tasso di mortalità invernale (colonie selezionate morte tra il primo e il secondo ingresso) e stagionale (colonie selezionate morte tra il secondo e il terzo ingresso) degli apiari. RISULTATI E CONCLUSIONI La maggior parte degli apicoltori coinvolti nel piano ha un’età compresa tra i 45 ed i 65 anni (circa l’80%). Il 13% ha più di 65 anni mentre uno solo ha l’età compresa tra i 39 ed i 45 anni. Circa il 43% è un allevatore professionista a tempo pieno, uno solo degli intervistati pratica l’apicoltura part-time, mentre il restante 50% è costituito per lo più da hobbisti. L’attività migratoria è praticata nel 13% dei casi e gli spostamenti avvengono sul 303 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 territorio regionale o in regioni limitrofe. La specie più allevata è A. mellifera ligustica (72%), seguita da A. mellifera carnica (14%), A. mellifera mellifera (7%) e da ibridi (7%); in un caso mancano informazioni al riguardo. Tutti gli intervistati praticano l’apicoltura per la produzione del miele. Per ognuno dei 15 apiari selezionati sono state casualmente campionate da 2 (valore minimo) a 14 colonie (valore massimo); la media e la mediana dei campionamenti sono state rispettivamente 8,9 (± 3,6) e 10 colonie per apiario. Ricerca di Varroasi. Durante la visita invernale sono state campionate 38228 api (in media 285.3 capi per colonia). Nella Tabella 1 sono riportati i campioni sistematici (SYS) effettuati negli apiari piemontesi, compreso il numero di colonie per apiario infestate; gli apiari infestati da Varroa destructor sono 12; di cui 11 (73,3%) con almeno la metà delle colonie campionate infestate. In tre apiari non è stata rilevata infestazione. Si può dire in questo caso che l’apiario è considerato negativo. Tabella1 – Infestazione di Varroa spp. nelle diverse colonie. APIARIO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 COLONIE CAMPIONATE 10 14 10 12 11 10 10 5 2 8 11 12 6 2 11 TOTALE COLONIE INFESTATE 0 0 8 5 11 10 5 5 2 4 11 10 5 0 10 trattamento immediato) al fine di non perdere la colonia. Dai risultati nel grafico è quindi importante valutare la prevalenza del parassita soprattutto al fine di salvaguardare la sopravvivenza dell’apiario che, in taluni casi, rischia di essere compromessa. In solo due apiari sono state riscontrate altre patologie. In particolare, mediante metodiche biomolecolari è stata rilevata la presenza di DWV (apiari numero 9 e numero 11), e in un solo caso coinfezione ABPV e CBPV (apiario numero 11). Il reale impatto che tali agenti eziologici hanno sulla mortalità della colonia è ancora oggetto di discussione; tuttavia, possono essere causa di gravi danni soprattutto in contemporanea presenza di Varroa destructor (2, 5). A causa del limitato numero di campioni rimane comunque difficile stabilire un’associazione tra il parassita e la presenza di agenti virali. Mortalità degli apiari. Nei campioni selezionati i dati riguardanti la mortalità sono riassunti in Tabella 2; 7 apiari hanno subito perdite di colonie tra il primo ingresso (autunno 2012) ed il secondo (primavera 2013), con un tasso di mortalità invernale variabile tra l’8,3% ed il 50% (in quest’ultimo caso le colonie iniziali erano soltanto due ed una media di 1,8 colonie perse per apiario. Grafico 1 – Prevalenza media nelle singole colonie, per apiario. INFESTAZIONE 2-5% INFESTAZIONE >5% 12 10 8 COLONIE 6 INFESTATE 4 2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 APIARIO Dai dati emerge che la presenza di varroe nelle colonie infestate è eterogenea con un range di infestazione che varia dallo 0.17% fino al 7.90%, con un’infestazione talvolta superiore alla soglia critica del 5%. Secondo gli aggiornamenti forniti dall’Unità Operativa Apicoltura (IZSLT) (6), la determinazione della percentuale di varroasi aiuta a definire la tempestività del trattamento (<2% attento monitoraggio, 2 – 5% trattamento in tempi ristretti, >5% BIBLIOGRAFIA (1) Commissione Europea (2010). Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio relativa alla salute delle api. Bruxelles. (2) Contessi A. (2009). Le Api. Biologia, allevamento, prodotti. Edagricole. (3) Formato G. (2009). Aggiornamenti sui fenomeni di spopolamento e morte degli alveari in Italia. Argomenti, numero 4 (Dicembre). (4) French Agency for Food, Environmental and Occupational Health Safety (2012). Protocollo per il progetto pilota UE finalizzato alla sorveglianza della mortalità nelle colonie di api mellifere. (5) Genersch E. (2010). Honey bee pathology: current threats to honey bees and beekeeping. Appl. Microbiol. Biotechnol 87:87-97. (6) Guido G. (2011-2013). 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INFESTAZIONE <2% XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 APIARIO COLONIE 1° VISITA COLONIE 2° VISITA COLONIE 3° VISITA 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 10 14 10 12 11 10 10 5 2 8 11 12 6 2 11 10 14 10 10 9 8 10 5 1 8 10 11 6 2 7 10 14 10 10 9 8 10 5 1 8 9 11 6 2 7 TASSO TASSO MORTALITA' MORTALITA' STAGIONALE INVERNALE % % 0 0 0 16,7 18,2 20 0 0 50 0 9,09 8,3 0 0 36,4 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 10 0 0 0 0 Le colonie che non hanno superato l’inverno sono state in totale 13 e presentavano alla prima visita un’infestazione variabile di varroasi (da <2% a >5%). In un solo apiario l’infestazione era decisamente elevata (due colonie con >18%) e questo potrebbe dimostrare un effettivo e grave indebolimento delle api stesse. Due delle colonie perse erano invece negative alla ricerca dell’acaro al primo ingresso. La mortalità stagionale, valutata osservando le perdite tra secondo e terzo ingresso (estate 2013) evidenzia una situazione favorevole, infatti, è stata persa una sola colonia nell’apiario numero 11. In base ai primi dati ottenuti, risulta che il protocollo di campionamento è stato utile a dimostrare la presenza di varroasi nel territorio, con una prevalenza media variabile tra le colonie. Vista la diffusione dell’apicoltura e il numero elevato di apiari presenti nella nostra Regione, un’indagine approfondita, aumentando il campione in esame, potrebbe essere utile a fornire maggiori informazioni riguardo sia la diffusione della malattia, sia un’eventuale correlazione tra quest’ultima e la mortalità degli apiari, fenomeno, tra l’altro, in aumento, considerando le più svariate cause di spopolamento degli alveari, tra le quali, oltre le patologie, vi sono anche l’inquinamento agricolo da fitofarmaci, errori di gestione, cambiamenti climatici. 304 305 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINI NEUROPATOLOGICHE IN CETACEI SPIAGGIATI LUNGO LE COSTE LIGURI (2007-2012) Iulini B.1, Giorda F.1, Pautasso A.1, Pintore M.D.1, Tittarelli C.1, Romano A.1, Goria M.1, Serracca L.1, Grattarola C.1, Dondo A.1, Di Guardo G.2, Mignone W.1, Casalone C.1 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate - Università degli studi di Teramo, Viale Crucioli 122 - 64100 Teramo Key words: spiaggiamento, lesioni neuropatologiche, cetacei SUMMARY Aquatic mammals could act as reservoirs for potentially zoonotic and emerging infectious pathogens. This report summarizes the neuropathological findings detected in cetaceans stranded along the Ligurian Sea coast in the period 2007-2012. Post mortem examinations were performed on 40 cetaceans. Histological, immunohistochemical, biomolecular and microbiological investigations were conducted on the central nervous system (CNS) sampled from 24 well preserved carcasses. Analysis showed inflammatory lesions in 12 cases; 1 sample was unsuitable for analysis due to autolysis and no histological lesions were found in the remaining cetaceans. Investigations for the presence of pathological prion protein (PrPSc) were negative in all cases. This report testifies that the CNS sampling should be performed routinely during the necropsy since it can provide relevant scientific data on cetacean health and conservation status. INTRODUZIONE Lo spiaggiamento dei cetacei è un evento noto in tutto il mondo. Approfondirne le cause di morte consente di ottenere importanti informazioni sullo stato di conservazione e di salute di questi animali, in quanto permette di accedere ad una preziosa fonte di dati scientifici e biologici. Le cause responsabili degli spiaggiamenti di delfini e balene, sia singoli sia di massa, sono multiple, tra le più importanti si annoverano: biotossine algali, incidenti con natanti, intrappolamenti nelle reti da pesca, esposizione a contaminanti ambientali, emaciazione e malattie infettive. I mammiferi marini possono fungere da reservoirs di agenti patogeni responsabili di zoonosi e di infezioni emergenti in grado potenzialmente sia di causare epidemie letali tra le popolazioni di cetacei sia di costituire un problema di sanità pubblica, rappresentando una minaccia alla salute dell’uomo (4). Nei periodi compresi tra il 1990 e il 1992 e tra il 2006 e il 2008 nel Mar Mediterraneo sono avvenuti due imponenti spiaggiamenti di massa di stenelle (Stenella coeruleoalba) causati da due ceppi di Dolphin Morbillivirus (DMV) altamente correlati tra loro (1, 3). Questi virus sono riconosciuti essere degli agenti infettivi di rilevante importanza e preoccupazione per le popolazioni di cetacei. La letteratura riporta inoltre casi di coinfezione con Toxoplasma gondi, un patogeno che dopo essere stato considerato a lungo soltanto un oppurtunista per i mammiferi marini, viene oggi annoverato anche come agente di infezione primaria (2). Lo scopo del presente lavoro consiste nel descrivere le lesioni neuropatologiche osservate negli esemplari spiaggiati lungo le coste del mar Ligure dall’anno 2007 all’anno 2012. MATERIALI E METODI Durante il periodo 2007-2012 si sono spiaggiati lungo le coste della regione Liguria 40 mammiferi marini in totale, come mostrato in tabella 1. Trentotto di questi esemplari erano delfini e più precisamente, 33 stenelle (Stenella coeruleoalba), 4 tursiopi (Tursiops truncatus), 2 balenottere comuni (Balenottera physalis) ed un soggetto di cui non è stato possibile identificare la specie poiché in stato di mummificazione. Tabella 1 – Mammiferi marini spiaggiati in Liguria (20072012) SPECIE N Stenella 33 Tursiope 4 Balenottera comune 2 Cetaceo non identificato 1 TOT 40 ID Meningite linfocitica Vasculite linfocitica x x 3 Grafico 1- Risultati delle analisi istologiche N° animali 14 Manicotti perivascolari Noduli gliali / gliosi Necrosi neuronale / neuronofagia x x x x x 4 x x x x 5 x x x x 6 x x x 7 x x 9 x x 10 x x x 11 x x x 12 x x x x x BIBLIOGRAFIA 1. Di Guardo G., Marruchella G., Agrimi U., Kennedy S. (2005) Morbillivirus infections in aquatic mammals: A brief overview. Journal of Veterinary Medicine A (Physiology, Pathology and Clinical Medicine) 52, 88-93. 2. Di Guardo G, Di Francesco CE, Eleni C, Cocumelli C, Scholl F, Casalone C, Peletto S, Mignone W, Tittarelli C, Di Nocera F, Leonardi L, Fernández A, Marcer F, Mazzariol S. Morbillivirus infection in cetaceans stranded along the Italian coastline: pathological, immunohistochemical and biomolecular findings. Res Vet Sci. 2013 Feb;94(1):132-7. 3. Raga J.-A., Banyard A., Domingo M., Corteyn M., Van Bressem M.-F., Fernández M., Aznar F.-J., Barrett T. (2008) Dolphin morbillivirus epizootic resurgence, Mediterranean Sea. Emerging Infectious Diseases 14, 471-473. 4. Van Bressem MF, Raga JA, Di Guardo G, Jepson PD, Duignan PJ, Siebert U, Barrett T, Santos MC, Moreno IB, Siciliano S, Aguilar A, Van Waerebeek K. Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Dis Aquat Organ. 2009 Sep 23;86(2):143-57. Review. 4 2 0 Assenza di lesioni x x 8 N° animali Lesioni infiammatorie Cisti toxoplasmiche x x 10 6 Malacia con gitter cells xx con neutrofili 12 8 Edema x 2 RISULTATI E CONCLUSIONI I risultati del presente lavoro (grafico 1) mostrano che 12 soggetti presentavano all’esame neuropatologico lesioni infiammatorie localizzate o diffuse (dettagliate in Tabella 2); in 11 soggetti non è stata rinvenuta alcuna lesione istologica ed un soggetto è risultato non idoneo per marcata autolisi. neuropatologiche, ha messo in evidenza la presenza di lesioni istologiche aspecifiche in molti encefali esaminati, anche in assenza di positività per Morbillivirus e Toxoplasma gondi. I risultati di questo lavoro dimostrano che il campionamento del sistema nervoso centrale (SNC) dovrebbe essere un fatto imprescindibile durante la conduzione di un esame necroscopico, in quanto in grado di fornire rilevanti informazioni scientifiche sullo stato di salute e di conservazione di questi animali. Per comprendere integralmente le ragioni di questi spiaggiamenti ulteriori indagini sarebbero necessarie, soprattutto nei casi in cui non è stato possibile risalire alla causa di morte con le metodiche utilizzate. I mammiferi marini sono considerati delle specie sentinella sia per l’ecosistema sia per la salute pubblica, condividendo con l’uomo lo stesso ambiente e pertanto risulta fondamentale monitorare il loro stato di salute Tabella 2 – Risultati degli encefali con lesioni istologiche 1 Presso la sezione di Imperia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è stato condotto un esame necroscopico completo su 25 cetacei; 24 di questi soggetti si presentavano in buono stato di conservazione ed è stato pertanto possibile prelevarne l’encefalo per effettuare indagini istologiche (HE), immunoistochimiche (IHC) biomolecolari e microbiologiche. Inoltre è stato eseguito l’esame immunoistochimico per la ricerca della proteina prionica patologica (PrPSc) su tutti i casi. 306 Le lesioni infiammatorie erano rappresentate da meningite, vasculite, manicotti perivascolari caratterizzati da cellule mononucleate e gliosi. In 4 casi si sono evidenziate aree malaciche con presenza di gitter cells, ed un soggetto di questi presentava anche numerosi neutrofili. Nove esemplari sono risultati positivi al test della PCR per la presenza di Toxoplasma gondi, 6 di questi mostravano lesioni neuropatologiche aspecifiche e 2 soggetti presentavano cisti parassitarie; l’esame immunoistochimico per Toxoplasma gondi condotto su questi ultimi ha confermato le positività ottenute. Due animali con lesioni neuropatologiche sono risultati positivi all’IHC e al RTPCR per Morbillivirus. In 1 di questi 2 soggetti è stata inoltre osservata una coinfezione con Toxoplasma gondi. L’esame batteriologico non ha permesso di isolare alcun batterio, Brucella spp. incluso. L’esame immunoistochimico per la presenza della PrPsc è risultato negativo in tutti i campioni. Il presente studio, focalizzato sulla descrizione delle lesioni Autolisi 307 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE PROTEOMICA DI BRUCELLA SUIS PER L’IDENTIFICAZIONE DI TARGET ANTIGENICI PROTEICI DA IMPIEGARE AD USO DIAGNOSTICO Krasteva I. 1, Travaglini D. 1, Smith D.G.E. 2, Inglis N. 2, Tittarelli M. 1 & Sacchini F. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, via Campo Boario 64100, Teramo 2 Moredun Research Institute, Pentlands Science Park, Penicuik, Mid Lothian, UK XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 immunogenicità è già stata descritta in letteratura per altre Brucelle diverse da B. suis (1, 4, 6) Ulteriori studi sono ora necessari per valutare l’utilizzo delle proteine target identificate, come antigeni ricombinanti per lo sviluppo di nuovi test diagnostici per la diagnosi di B. suis. Tabella 1. Localizzazione cellulare delle proteine identificate secondo il software PSORTb Version 3.00. Key words: Brucella suis; proteomic; mass spectrometry SUMMARY Porcine brucellosis is a disease caused by Brucella suis affecting domestic and feral pigs but it can also induce pathology in humans. Currently available serological tests are based on Brucella S-LPS but cross-reaction with S-LPS of Y. enterocolitica O:9 results in false positive serological reaction. As a consequence, results interpretation, based on serology only, may be very challenging and research of new candidate diagnostic antigens, distinct from LPS, is necessary. In order to identify non cross-reacting protein antigens, we characterized the enriched cell envelop fraction of B. suis bv. 1 and 3 and of Y. enterocolitica O:9 using SDSPAGE analysis combined with LC-ESI-MS/MS. 103 proteins for B. suis bv.1, 114 proteins for B. suis bv. 3 and 82 proteins for Y. enterocolitica O:9 were identified. Among them, 3 proteins (Omp25, Omp28, GroES) were selected as candidate targets specific for Brucella, since they are common to 2 B. suis and not to Y. enterocolitica. INTRODUZIONE La Brucellosi suina è una zoonosi causata dalla Brucella suis biovar 1, 2 e 3, tra le quali le biovarianti 1 e 3 sono particolarmente patogene per l’uomo (2, 9). Sebbene la lotta alla Brucellosi sia da anni una delle priorità veterinarie nazionali, il quadro epidemiologico di Brucella suis è piuttosto incompleto, non solo nel territorio italiano ma nell’intera Unione Europea, anche a causa dell’assenza di piani di sorveglianza. Inoltre, le metodiche indirette per la diagnosi sierologica di brucellosi, normalmente impiegate nella specie bovina e ovi-caprina (Siero agglutinazione rapida, Fissazione del Complemento ed ELISA), presentano notevoli problematiche quando applicate alla specie suina. Ad oggi, nessuno dei test sierologici convenzionali, suggeriti dall’OIE, si è dimostrato completamente affidabile per l’individuazione dei singoli soggetti positivi. Pertanto, tali test sono efficaci quando utilizzati nello screening di massa per l’identificazione degli allevamenti infetti mentre presentano problemi di specificità quando impiegati per l’identificazione del singolo capo positivo. Tale limite è dovuto principalmente al fatto che metodi indiretti impiegati per la diagnosi di B. suis si basano sulla determinazione di anticorpi diretti contro componenti della membrana esterna, tra i quali l’antigene lipopolisaccaridico (LPS) rappresenta la componente quali-quantitativa più importante (3). Tuttavia, tale componente è sostanzialmente simile a quella presente in vari batteri Gram negativi, primi fra tutti Yersinia enterocolitica O:9, ampiamente diffusa negli allevamenti suini e causa di cross reattività sierologiche e pertanto di falsi positivi (7, 9). Da qui la necessità di indirizzare ricerche verso l’identificazione di antigeni più specifici. Possibili alternative all’s-LPS sono rappresentate dalle proteine della membrana più esterna (OMP) e dalle proteine citoplasmatiche. In tale contesto si colloca il presente studio il cui obiettivo è stato quello di caratterizzare una frazione arricchita di proteine di membrana e citoplasmatiche di B. suis e Y. enterocolitica al fine di identificare target antigenici proteici (non cross-reattivi) da impiegare ad uso diagnostico. MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto su 2 ceppi di Brucella suis – B. suis bv. 1 (NCTC 10316, ceppo 1330), B. suis bv. 3 (NCTC 10511, ceppo 686) e un ceppo di Y. enterocolitica O:9 (NCTC 11174). La frazione arricchita di proteine di membrana e citoplasmatiche, purificate in seguito ad applicazione del metodo descritto da Connolly et al. (5), sono state separate mediante SDS-PAGE e successivamente sottoposte ad analisi mediante spettrometria di massa (LC-ESI-MS/MS). I dati grezzi ottenuti dall’analisi spettrometrica di massa sono stati caricati sulla piattaforma informatica MASCOT e mediante l’algoritmo di ricerca della piattaforma è stata eseguita un’analisi crociata con il database contenente le sequenze genomiche note di B. suis e Y. enterocolotica. I dati MS/MS sono stati interpretati e presentati secondo linee guida pubblicate (10). Per valutare e confrontare la localizzazione cellulare delle proteine identificate per i due ceppi di B. suis e per il ceppo di Y. enterocolitica è stato utilizzato il software PSORTb version 3.0. Inoltre, le proteine individuate sono state analizzate mediante il software Basic Local Alignment Search Tool (NCBI BLASTP, versione 2.2.27), al fine di verificare eventuali omologie delle sequenze proteiche identificate tra i 2 ceppi di B. suis e tra le B. suis e la Y. enterocolitica. RISULTATI E CONCLUSIONI Le analisi delle proteine di membrana condotte mediante LCESI-MS/MS hanno permesso di identificare 103 proteine per B. suis 1330 biovar 1, 114 proteine di B. suis 686 biovar 3 e 82 proteine di Y. enterocolitica O:9. Lo studio della localizzazione cellulare delle proteine identificate mediante software PSORTb ha evidenziato una distribuzione molto simile per le due B. suis mentre la maggiore differenza con Y. enterocolitica si osserva per “Uknown proteins” e “Outer membrane proteins” (Tab.1). Per tutti i ceppi analizzati circa il 50% delle proteine identificate sono state classificate come citosoliche (Tab.1). Di tutte le proteine identificate, 56 sono risultate comuni ai 2 ceppi di B. suis mentre un totale di 39 proteine sono risultate comuni ai due ceppi di B. suis e a Y. enterocolitica. In particolare 36 proteine sono presenti in B. suis 1330 e 25 in B. suis 686, mentre 22 proteine di Y. enterocolitica O:9 sono rinvenibili in entrambi i ceppi di B. suis. Delle proteine identificate, 13 sono descritte in letteratura come immunogene e tra queste, 10 sono risultate immunogene per B. suis 686 bv. 3; 10 sono risultate immunogene per B. suis 1330 bv. 1 (Tab.2). Sette proteine sono comuni alle 2 Brucelle e 4 di queste sono comuni anche a Y. enterocolitica. Le 3 proteine comuni alle 2 Brucelle e non a Y. enterocolitica sono: omp25 gene product, omp28 gene product and groES gene product. In un precedente studio è stato dimostrato che Omp28 gene product (Tab. 2, ID prot. 2), anche nota come Bp 26, è una proteina presente in B. melitensis, B. ovis, B. suis e B. canis ma non in Y. enterocolitica (8). Per quanto riguarda le altre 2 proteine, la omp25 (Tab. 2, ID prot. 1) e la chaperonin groES (Tab. 2, ID prot. 3), la loro 308 Protein localisation Unknown % (n. of proteins) Periplasmic % (n. of proteins) B.suis 1330 bv.1 19% (20) 9%(9) B.suis 686 bv.3 17% (19) 10% (11) Y.enterocolitica 6% (5) 6% (5) Outer membrane % (n. of proteins) 11% (11) 11% (13) 27% (22) Cytoplasmic membrane % (n. of proteins) 6% (6) 5% (6) 13% (11) 1% (1) 1% (1) no 54% (56) 56% (64) 48% (39) Extracellular % (n. of proteins) Cytoplasmic % (n. of proteins) BIBLIOGRAFIA 1. Al Dahouk S, Nöckler K, Scholz HC, Tomaso H, Bogumil R, Neubauer H, 2006. Immunoproteomic characterization of Brucella abortus 1119-3 preparations used for the serodiagnosis of Brucella infections. J Immunol Methods;309(1-2):34-47. 2. Billard E, Dornand J, Gross A, 2007. Interaction of Brucella suis and Brucella abortus rough strains with human dendritic cells. Infect and Immun:75(12):5916–5923. 3. 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Protein identification B. suis 686 bv.3 B. suis 1330 bv.1 EEY32365 NP_697715 outer-membrane immunogenic protein omp25 gene product √ √ EEY33103 NP_698471 EEY30875 |NP_699397 NP_698249 EEY33617 EEY33510 NP_697653.1| EEY33241 NP_698612 EEY31096 NP_699613 NP_697090 EEY32546 EEY30874 NP_699396 periplasmic immunogenic protein omp28 gene product chaperonin groES gene product rplL gene product surface antigen hsp70-like protein omp2b gene product outer membrane protein 31b omp31-1 gene product outer-membrane immunogenic protein omp31-2 gene product hypothetical protein immunogenic membrane protein yajC chaperonin groEL gene product DNA-directed RNA polymerase subunit alpha rpoA gene product √ √ np √ √ np √ √ np √ √ √ √ √ np np √ √ √ √ np EEY32855 NP_698213 309 √ √ √ Yersinia enterocolitica Aminoacid Accession n. Coverage % np np np np np np ADZ41620 ADZ41941 ADZ43440 ADZ42802 ADZ43507 ADZ41474 ADZ41594 22 34 37 23 19 67 87 ADZ40874 96 ADZ44110 99 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RILIEVI ANATOMOPATOLOGICI IN CASO DI AVVELENAMENTO DOLOSO NELLE PROVINCE DI FIRENZE, PRATO E PISTOIA Lombardo A.1, Ambrogi C.2, Corrias F. 1, Ragona G.1, Fico R.3, Brajon G.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Sezione di Firenze 2 Corpo Forestale dello Stato – UTB di Lucca 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria 1 Key words: poisoning, necropsy, pathological lesions SUMMARY From January 2010 to December 2012, 117 carcasses from Florence, Prato and Pistoia were necropsied and found positive at toxicological tests (zinc phosphide, anticoagulants, metaldehyde, organophosphate, organochlorine and carbamates pesticides, strychnine). The aim of this study was to trace back the lesions linked to the most common baits detected. The observed pathological lesions were non pathognomonic; however, the authors concluded that: 1) pulmonary and gastrointestinal hemorrhages seem to be consistent with poisoning; 2) hemorrhagic gastroenteritis may differentiate zinc phosphide and anticoagulant poisonings; 3) pulmonary edema was not observed in anticoagulant poisoning; 4) spleen congestion is rare in pesticides poisoning; 5) the presence of the bait in the stomach allows an easier diagnosis; 6) a standard classification of the lesions is essential to collect data leading to the right toxicological diagnostic pathway. laboratorio, indicando gli organi colpiti e il tipo di lesione riscontrata. Qualora ritenuti opportuni, sono stati svolti esami batteriologici, virologici ed istopatologici volti ad escludere la presenza di altre patologie concomitanti. In base all’anamnesi riferita e alle lesioni riscontrate è stato effettuato il prelievo delle matrici idonee e in quantità sufficiente per la ricerca del veleno con le metodiche in uso presso i nostri laboratori (2). Le lesioni anatomopatologiche osservate sono state classificate attraverso un glossario che comprende ulteriori descrizioni del quadro anatomo-patologico (tabella 1). Tabella 1 – Classificazione delle lesioni anatomo-patologiche osservate in 117 casi (2010-2012) Classificazione della lesione Congestione viscerale INTRODUZIONE L’uso di esche e bocconi avvelenati è un fenomeno piuttosto comune in Italia. In Toscana, dal 2004 al 2009 sono stati segnalati 2683 casi di sospetto avvelenamento e/o di esche avvelenate con 1527 conferme (56,9%) (2). l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale è dal 2001 l’Ente preposto allo svolgimento degli accertamenti di laboratorio (3,4,5). La diagnosi di avvelenamento presenta alcune difficoltà per il numero elevato di veleni reperibili sul mercato che hanno diverse azioni sul bersaglio. Una corretta valutazione anamnestica, clinica e anatomopatologica rappresenta dunque il presupposto per orientare in maniera efficace le successive analisi chimico-tossicologiche di conferma. Tuttavia, i sintomi clinici e le lesioni anatomo-patologiche causate dai diversi veleni, spesso usati in associazione, ostacolano il percorso diagnostico. Inoltre, la natura di alcune molecole e il loro comportamento tossicocinetico (rapido metabolismo, azione lenta, emesi che fa smarrire l’eventuale esca ingerita ecc.) complicano ulteriormente il percorso diagnostico. Infine, i dati presenti in letteratura riguardanti le lesioni anatomopatologiche nei casi di avvelenamento acuto sono spesso frammentari e aspecifici (1,7). Scopo del presente lavoro è definire una metodologia di classificazione delle lesioni anatomopatologiche negli animali avvelenati e utilizzarle per la diagnosi differenziale tra i vari tipi di veleni da confermare attraverso le analisi chimico-tossicologiche. MATERIALI E METODI Sono stati inclusi nello studio 117 animali deceduti nelle provincie di Firenze, Prato e Pistoia (51 cani, 49 gatti, 2 volpi, 3 piccioni, 10 storni, 1 cinghiale, 1 istrice) con diagnosi accertata di avvelenamento, nel periodo compreso tra Gennaio 2010 e Dicembre 2012. Le carcasse sono pervenute ai nostri laboratori corredate di scheda anamnestica e di segnalamento, ai sensi della normativa vigente (3,4,5). Le carcasse sono state sottoposte a necroscopia diagnostica secondo le procedure in uso presso il Cianosi delle mucose apparenti Petecchie e soffusioni sottocutanee Emoperitoneo, emopericardio, emotorace Emorragie dell’apparato respiratorio Edema polmonare Gastro-enterite emorragica Lesioni pancreatiche Lesioni renali Lesioni epatiche Lesioni spleniche Ulteriore descrizione del quadro antomo-patologico RISULTATI Tutti gli animali pervenuti si presentavano in buone condizioni generali e la morte è risultata un evento improvviso e non ascrivibile a stati patologici pregressi. Ogni animale reclutato nello studio è risultato positivo ad un solo tipo di veleno. In tabella 2 si osserva che le lesioni riscontrate sono sovrapponibili negli otto tipi di veleni rilevati (fosfuro di zinco, metaldeide, anticoagulanti, pesticidi organoclorurati, organofosforici e carbamati, stricnina). Solo nel 40,2% dei casi, nel contenuto gastrico, era presente il veleno macroscopicamente evidente (cfr. metaldeide di colore bluastro o fosfuro di zinco in polvere nera). Tabella 2 – Frequenza delle lesioni per tipologia di veleno rilevato (numero casi e percentuale) Tipologia a tossico PZn MET AC Numero casi 59 25 16 Congestione viscerale Cianosi mucose apparenti Petecchie/ soffusioni sottocutanee Emoperitoneo/ emopericardio/ emotorace Emorragie all'apparato respiratorio Edema polmonare Gastro-enterite emorragica 19 (32,2%) 5 (20,0%) 4 (25,0%) 5 (8,5%) 1 (4,0%) 0 12 (20,3%) 4 (16,0%) 39 (66,1%) Lesioni pancreatiche Quadro congestizio sistemico osservabile in tutti gli organi e visceri Soffusioni e petecchie pleuriche, emorragie polmonari parenchimali, emorragie tracheo-bronchiali. Pancreatite, congestione e petecchie. Congestione renale, petecchie del bacinetto, glomerulonefrite, nefrite interstiziale, sclerosi e altre nefropatie non indagate istologicamente. Congestione, epatomegalia, steatosi, focolai di necrosi, angiocolite. Congestione splenica, splenomegalia, infarti Sangue ipocoagulabile Svuotamento delle cavità cardiache e dei grossi vasi, mancanza di coaguli, eccessivo sanguinamento da tagli autoptici Anomalie del contenuto gastrico e intestinale Presenza di esche ancora riconoscibili, granulazioni di colore, aspetto o odore caratteristico nel contenuto gastrico, dell’ingluvie o intestinale. OC OF CA STR TOT 5 5 4 3 117 3 (60,0%) 4 (80,0%) 3 (75,0%) 1 (33,3%) 39 (33,3%) 1 (20,0%) 1 (20,0%) 1 (25,0%) 0 9 (7,7%) 1 (6,3%) 1 (20,0%) 0 0 0 18 (15,4%) 5 (20,0%) 7 (43,8%) 1 (20,0%) 0 0 1 (33,3%) 53 (45,3%) 59 (100%) 15 (60,0%) 16 (100%) 4 (80,0%) 0 1 (25,0%) 1 (33,3%) 96 (82,1%) 12 (20,3%) 59 (100%) 1 (4,0%) 15 (60,0%) 39 (66,1%) 3 (60,0%) 1 (25,0%) 2 (50,0%) 2 (66,7%) 15 (12,8%) 88 (75,2%) 2 (40,0%) 2 (40,0%) 2 (50,0%) 1 (33,3%) 60 (51,3%) 1 (6,3%) 4 (25,0%) 2 (40,0%) 2 (40,0%) 1 (20,0%) 1 (20,0%) 3 (75,0%) 3 (75,0%) 2 (8,0%) 1 (6,3%) 0 0 0 0 13 (11,1%) 0 2 (12,5%) 0 0 0 0 15 (12,8%) 10 (40,0%) 1 (6,3%) 3 (60,0%) 2 (40,0%) 3 (75,0%) 0 47 (40,2%) 3 (18,8%) 1 (20,0%) 4 (80,0%) 13 (52,0%) 1 (6,3%) Lesioni epatiche 31 (52,5%) 10 (16,9%) 13 (52,0%) 4 (16,0%) Lesioni spleniche 10 (16,9%) Lesioni renali - Le frequenze osservate per associazione tra tipo di veleno rilevato nelle matrici analizzate e classificazione della lesione anatomopatologica sono state confrontate per identificare, dove possibile, un panel di lesioni caratterizzante ogni tipo di veleno. 310 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Sangue 13 ipocoagulabile (22,2%) Anomalie contenuto gastrico 28 (45,7%) 0 0 0 0 0 51 (43,6%) 24 (20,5%) PZn=fosfuro di zinco; MET=metaldeide; AC=anticoagulanti; OC=pesticidi organoclorurati; OF=pesticidi organofosforici; CA= pesticidi carbamati; STR=stricnina. a DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Il limitato numero di osservazioni non consente una valutazione statistica dei risultati. Infatti, dall’indagine effettuata è possibile evidenziare alcune lesioni differenziali che saranno verificate su una casistica più ampia. Fra le lesioni tipiche riscontrate le emorragie dell’apparato respiratorio (96%) e le gastroenteriti emorragiche (88%) sono quelle maggiormente rappresentate. In assenza di queste lesioni una diagnosi di avvelenamento si può ritenere poco probabile. Le emorragie dell’apparato respiratorio sono state osservate nel 100% dei casi di avvelenamento sia da fosfuro di zinco che da anticoagulanti. L’ipocoagulabilità del sangue è presente soltanto in queste due tipologie di avvelenamento, sebbene alcuni Autori la associno anche alla stricnina (1); quest’ultimo aspetto non è valutabile a causa della ristretta casistica osservata per questo veleno. L’azione emorragica del fosfuro di zinco è probabilmente dovuta all’attività endotelio-tossica delle fosfine che si liberano con l’acidità gastrica. Infatti, la gastroenterite emorragica è presente in tutti i casi di avvelenamento da fosfuro di zinco, ma solo nel 18,8% di quelli da anticoagulanti; questa lesione potrebbe essere considerata un possibile parametro differenziale tra i due veleni. Altri caratteri differenziali, riportati in letteratura come tipici dell’avvelenamento da anticoagulanti (emorragie nelle cavità sierose, nel sottocute e della compagine muscolo-tendinea) (1,2) sembrano essere meno discriminanti. L’edema polmonare, ampiamente documentato in letteratura (1,2,6,7), non è mai stato riscontrato nei 16 casi di avvelenamento da anticoagulanti ed è poco frequente nei 25 casi di avvelenamento da metaldeide (4,0%). Si conferma quanto riportato in letteratura riguardo agli avvelenamenti da pesticidi, laddove i quadri anatomopatologici sono simili tra loro, ad eccezione di una maggior frequenza di petecchie e soffiusioni sottocutanee in corso di avvelenamento da organoclorurati. Le lesioni spleniche non sono mai state osservate in corso di avvelenamento da pesticidi e stricnina come pure la congestione splenica che è descritta in corso di avvelenamento da organoclorurati (1); occorre pertanto un campionamento più ampio per poter meglio indagare quest’associazione e stabilirne il valore diagnostico. Com’è noto, un elemento differenziale molto utile è la presenza di parti di esca nel materiale gastrico o nell’intestino: tale reperto permette la visualizzazione diretta del veleno e orienta facilmente le successive analisi. In accordo con altri autori (7), il reperto di esche ancora riconoscibili o di altre colorazioni anomale del materiale gastrico è stato registrato nel 40% dei casi, è influenzato dalla fisiopatologia dell’animale avvelenato (emesi o peristalsi accentuate) e dalle caratteristiche di alcune sostanze ad azione ritardata, come gli anticoagulanti. In conclusione, l’esame anatomopatologico in caso di sospetto avvelenamento acuto rappresenta un utile strumento per la diagnosi differenziale di morte e per orientare le successive analisi chimico tossicologiche. Le osservazioni preliminari di questo lavoro consentono al momento di formulare le seguenti conclusioni: 1) in assenza di emorragie dell’apparato respiratorio e gastroenterite emorragica la diagnosi di avvelenamento è poco probabile; 2) la gastroenterite emorragica rappresenta un parametro differenziale tra avvelenamento da fosfuro di zinco ed anticoagulanti; 3) l’edema polmonare non è stato accertato in caso di avvelenamento da anticoagulanti; 4) la presenza di lesioni spleniche non è comune in corso di avvelenamento da pesticidi; 5) il reperto di esche nello stomaco facilita la diagnosi differenziale; 6) è necessario adottare un sistema di classificazione omogeneo delle lesioni anatomopatologiche al fine di raccogliere più dati utilizzabili per il percorso diagnostico chimico tossicologico. BIBLIOGRAFIA 1.AA.VV. (2010). Manuale operativo per la gestione veternaria di casi di sospetto avvelenamento di animali selvaitici e domenstici. A cura del centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria, IZSLT. 2.Corrias F. (2009). L’avvelenamento doloso degli animali. Regione Toscana: Dalla salute degli animali, alimenti sicuri per i cittadini. Attività del sistema veterinario regionale. pag.60-62. 3.Legge 39/2001 della Regione Toscana, in materia di uso e detenzione di esche e bocconi avvelenati. 4.ORDINANZA 18 dicembre 2008. Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati. 5.ORDINANZA 10 gennaio 2012. Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati. 6.Mengozzi G. e Soldani G. (2010). Tossicologia veterinaria. Idelson-Gnocchi. 7.Zoppi S., Bergagna S., Rossi F. et al. (2009). L’esame necroscopico come screening per la diagnosi di avvelenamento acuto negli animali: correlazioni tra quadri anatomopatologici e determinazioni tossicologiche. Atti convegno SiDiLV, pag. 45-46. 311 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 A SURVEY FOR YESSOTOXIN IN SHELLFISH FARMED AND MARKETED IN THE SARDINIA REGION IN 2013 Lorenzoni G., Arras I., Sanna G., Mudadu A., Muzzigoni C., Tedde G., Santucciu C., Nicolussi P., Marongiu E., Virgilio S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Via Duca degli Abruzzi, 8 – 07100 Sassari Key words: shellfish, yessotoxin, Sardinia SUMMARY In this paper we report the results of Yessotoxin (YTX) survey carried out by mouse bioassays (MBA) (1), on 638 samples of bivalve molluscs farmed and marketed in Sardinia region from January to August 2013. A number of 5 samples were found positive for mouse tests, however, only 3 were confirmed by liquid chromatography–mass spectrometry (LC–MS/MS) by National Laboratory Reference (NLR) for marine biotoxins of Cesenatico. Positivity for Yessotoxin in bivalve molluscs was noticed for the first time in Sardinia in April 2013. INTRODUCTION Lipophilic marine biotoxins can be accumulated, under specific conditions, in different molluscan shellfish presenting a health risk to humans if shellfish contaminated are consumed. To protect public health, monitoring programmes for marine biotoxins have been established in many countries for detecting the presence of these compounds in shellfish tissues. The lipophilic toxin group includes the classic diarrheic shellfish poisoning toxins (DSP): okadaic acid (OA) and dinophysistoxins (DTXs); as well as pectenotoxins (PTXs), yessotoxins (YTXs) and azaspiracids (AZAs) (1). Yessotoxin (YTX) and their analogues are a group of structurally related polyether toxins produced by the dinoflagellates Protoceratium reticulatum, Lingulodinium polyedrum, and Gonyaulax spinifera. The bivalve molluscs, can accumulate high quantities of YTX due to their filtering feeding nature. Low concentrations of cells are enough to produce the accumulation of high quantities of toxin in shellfish. YTX has been associated with diarrhoetic shellfish poisoning (DSP) because it was simultaneously extracted with DSP toxins (11). Recent evidences suggest that YTX, unlike okadaic acid and dinophysistoxin, does not cause diarrhoea or inhibition of protein phosphatases, hence, it should be excluded from the DSP toxin group. No human cases of intoxication have been reported to date, thus, symptoms of intoxication produced by YTX in humans are unknown. Toxicological studies carried out in rodents showed that YTX is highly toxic if injected intraperitoneally to mouse (5). Following injection of lethal doses of YTX in mice observed symptoms were: restless, dyspnea, jumping, shivering and cramps. Electron microscopy studies revealed that the toxin produces damage in the cardiac muscle, as well as in the liver and pancreas. YTX is not lethal to mice after oral administration. Neither diarrhoea nor digestive organ damage have been observed (3). YTX was first isolated in 1986 in Mutsu Bay, Japan (4) from the digestive gland of Patinopecten yessoensis, a scallop that gave its name to the toxin. YTX was identified in Mytilus galloprovincialis from the Adriatic Sea in Italy (2) and often, along the Adriatic coast, farming areas are closed in certain periods of the year due to the presence of YTX beyond the limits. The Regulation (EC) No 853/2004 established the maximum levels of some marine biotoxins in molluscs for human consumption (7). Actually the official method accepted to detect YTX is still the mouse bioassay (MBA) (8). Recently the Commission Regulation (EU) No 15/2011 of 10 January 2011 amended the previous Regulation (EC) No 2074/2005 as regards recognised testing methods for detecting marine biotoxins in live bivalve molluscs and established that a liquid chromatography–mass spectrometry (LC–MS/MS) method will be applied as the reference method. However, to allow Member States to adapt their methods to the chemical method, the biological methods should continue to be used for a limited period of time (until 31 December 2014) (9). Commission Regulation (EU) No 786/2013 of 16th of August 2013 amending Annex III to Regulation (EC) No 853/2004 of the European Parliament and of the Council as regards the permitted limits of yessotoxins in live bivalve molluscs. The limit for yessotoxins was increased from 1 milligram to 3,75 milligrams of yessotoxin equivalent per kilogram (10). The objectives of our paper was to report the activities contemplated in the Regional Plans in Sardinia (6) to verify the respect of biotoxicological requirements for the YTX indicated in the Reg. CE n 853/04, in a representative bivalve mollusc sample collected in breeding areas and retailed in Sardinia. MATERIALS AND METHODS A plan of sanitary control of production and marketing of molluscs, and of periodic monitoring of shellfish farming areas is in force in Sardinia Region. All activities are coordinated by the Prevention Department of the Region of Sardinia and implemented by Veterinary Services of Aziende Sanitarie Locali (ASLs), Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna (IZS) and Department of botany and plant ecology at the University of Sassari. The Regional Plan, for regarding the monitoring, provides a) the control of potentially toxic algae eventually present in breeding waters, b) detection and quantification of toxin in bivalve molluscs live in breeding, c) sampling almost every 15 days both water and molluscs. Frequency change according to periodic risks evaluation related to the presence of harmful algal species and toxin levels observed in shellfish. Samples, weight 4 kg, were made up of several ‘elementary samples’, coming from every single point of the monitoring station. In particular, in case of breeding areas that use complete water column, sampling was performed at 3 depth levels (bottom, middle and 50 cm from the surface) while, in case of long line rows, samples were taken from several points. Samples from monitoring stations were properly identified, refrigerated delivered to the Laboratory and analyzed within 24 hours of collection. For potentially toxic algae monitoring, samples have been collected by a special net equipped with a binder goblet drawn from the bottom to the surface to be representative of the water column and to provide information about presence of toxigenic species and population trends. Regarding the sanitary control, the main objective of the Regional Plan is verification of compliance with microbiological and chemical requirements both in production and marketing (6). A total amount of 638 bivalve mollusc samples was analysed for the lipophilic toxins presence by using the MBA (AESAN EU – RL MB Lipophilic toxins Version 5 June 2009) (1) from January to August 2013. 312 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Briefly, the lipid extracts preparation from molluscs for MBA: the homogenate (100 g) of mussels was mixed with 300 ml of acetone in Ultra-Turrax, filtered on filter paper and re-extracted with 200 ml of acetone. The acetone supernatants were mixed then evaporated, yielding a residue. The residue, recovered with 30 ml of dichloromethane and 60 ml of methanol (60% v/v) was subjected to partition by the separating funnel; the methanol phase was stored and the dichloromethane phase was re-extracted twice with 60 ml of methanol (60% v/v). For both extracts, solvent is evaporated and the resultant residue suspended in aqueous solution of 1% Tween 60. One ml of each extract was injected intraperitoneally into albino mice swiss strain weighing between 19 g and 21 g for the dichloromethane extract (investigation of OA-toxins group, PTX group and AZA group); the death of 2 out of 3 injected mice, within a 24 hours observation period, constitutes a positive result. In the case of the methanolic extract (investigation of YTX group), the death of 2 out of 3 injected mice, within a 6 hours observation period, constitutes a positive result for the presence of YTXs (1). RESULTS AND CONCLUSIONS Table 1 shows the number of mollusc samples analyzed for Lipophilic biotoxins from January to August 2013, relating to each ASL, number of samples analyzed in Monitoring and Sanitary Control, their positivity for YTX, number of negative samples and the percentage of positivity. Table 1 – Lipophilic biotoxins biotoxicological determination in bivalve molluscs by MBA collected by ASLs of Sardinia from January to August 2013 (Monitoring and Sanitary Control) A.S.L.s n. n. n.San. n. n. N° tot. Monit. Contr YTX pos. neg. samp. samp. samp. samp. samp. 1 Sassari 2 Olbia 3 Nuoro 4 Lanusei 5 Oristano 6 Sanluri 7.Carbonia 8 Cagliari Total samples % pos./tot. 4 191 7 55 110 8 21 242 638 0 175 0 45 98 0 6 205 529 4 16 7 10 12 8 15 37 109 0 3 0 0 0 0 1 1 5 4 188 7 55 110 8 20 241 633 0.8% - - - - Table 2 shows for each YTX positive sample, sample type, identification number, origin, date of sampling, time of death of mice and YTX concentration in mg/kg edible part analyzed by method LC-MS/MS. Table 2 – Positive results of YTX in bivalve molluscs analysed by MBA and LC-MS/MS analysis Type of samples and identification number Mussels 32378 Mussels 32517 Mussels 34069 Mussels 36814 Mussels 38826 Origin and sampling date Olbia 03/04/2013 Carbonia 03/04/2013 Olbia 08/04/2013 Cagliari 17/04/2013 Olbia 22/04/2013 Mouse test and time of death (limit 6 hours) Mg of YTX/ kg e.p. (limit 1 mg/kg) ‹ 6 hours 1,53 ‹ 6 hours 1,37 ‹ 6 hours 1,03 ‹ 6 hours 0,97 ‹ 6 hours 0,77 We analyzed 638 bivalve mollusc samples, 5 of them were positive for mouse test, they were sent to the National Reference Laboratory for marine biotoxins for confirmation with LC-MS/MS method. As showed in Table 2, only 3 of the positive samples at mouse tests have exceeded the limit of 1 mg / kg of edible portion. The Regulation (EC) 15/2011 indicates the LC-MS/MS method as reference method for the detection of marine Lipophilic biotoxins. Positivity for Yessotoxin in bivalve molluscs was noticed for the first time in Sardinia in April 2013. European Food Safety Authority (EFSA) adopted an Opinion of the Scientific Panel on Contaminants in the Food chain on a request from the European Commission on marine biotoxins in shellfish for yessotoxin group. According to that Opinion, in a serie of acute toxicity studies following oral administration of yessotoxins, no lethality and no clinical signs of toxicity were observed. In addition, EFSA concluded that shellfish should not contain more than 3,75 milligrams of yessotoxin equivalent for kilogram. That level is above the current limit indicated in the Regulation (EC) No 853/2004. The Commission Regulation (EU) No 786/2013 of 16th of August 2013 is in force from 6th of September 2013. consequently, according with the current legislation, today, the samples analyzed in April 2013 would be negatives and were compliant with this low. REFERENCES 1. 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Yessotoxins, a group of marine polyether toxins: an overview. Mar. Drugs 6, 73–102. 6. Piano regionale per la vigilanza ed il controllo sanitario della produzione e commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi e per il monitoraggio periodico delle zone di produzione e di stabulazione di molluschi bivalvi vivi, Anno 2011, (Regione Autonoma della Sardegna Direzione generale della Sanità- Prot. del 18/02/2011 nr. 0004212/Det/111) 7. Regulation 853/2004/EC 8. Regulation 2074/2005/EC 9. Regulation 15/2011/EU. 10 Regulation (EU) No 786/2013 of 16 August 2013 11. Visciano P., Schirone M., Tofolo R., Berti M., Luciani M. Ferri N., Suzzi G. 2013 Detection of yessotoxin by three different methods in Mytilis galloprovincialis of Adriatic Sea, Italy. Chemosphere 90, 1077-1082. 313 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINE SIEROLOGICA SU FEBBRE Q NELL’UOMO IN CATEGORIE A RISCHIO Lucchese L.(1), Raoult D.(3), Marangon S.(1), Mion M.(1), Giurisato I.(1), Barberio A.(4), Lonardi U.(2), Natale A.(1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro, (PD); 2 Studio Lonardi, Medicina del Lavoro, Padova; 3 Faculté de Médecine, Unité des Rickettsies, WHO Collaborative Center for Rickettsial Reference and Research, Marseille, France; 4 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Vicenza. 1 Key words: Q fever, serology, human ABSTRACT Due to the increasing number of confirmed Q fever human cases in EU, the EFSA has focused the attention on the risk assessment related to human infection. Even if the human infection can occur following several situations that involve proximity between humans and animals, Q fever mainly remain an occupationally linked disease (2). During an IZSVe course on Q fever in 2011, a serological and epidemiological survey was performed on 74 volunteers, veterinarians and laboratory biologists. Four veterinarians resulted positive and one of them was classified as recent infection. All of them had been exposed to risk factors. Two subjects reported chronic health problems or fever, but for none of them the Coxiella burnetii infection was taken into account during the differential diagnosis. INTRODUZIONE Nell’aprile 2011 l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in collaborazione con la Società Italiana di Buiatria, ha organizzato un corso di formazione per 80 biologi e veterinari riguardante gli aspetti zoonosici e zootecnici della Febbre Q. In tale occasione, è stata data la possibilità ai partecipanti di verificare il proprio stato immunologico effettuando un prelievo di sangue gratuito per la determinazione degli anticorpi verso C. burnetii (Cb). Ai volontari che hanno aderito all’iniziativa è stato anche chiesto di compilare un questionario per la raccolta di dati anamnestici ed epidemiologici che consentisse una valutazione degli esiti in relazione ai principali fattori di rischio legati alla Febbre Q nell’uomo. MATERIALI E METODI Prelievi e analisi: Tramite l’attività di prelievo sono stati raccolti 74 campioni di sangue, prontamente sierati e aliquotati per le successive analisi sierologiche. Presso l’IZSVe è stato effettuato sui campioni il test di Fissazione del Complemento (FdC), già in uso presso l’Istituto per la diagnosi di Febbre Q nelle specie animali. Un’aliquota di siero è stata inviata a Marsiglia, presso la Faculté de Médecine, Unité des Rickettsies, WHO Collaborative Center for Rickettsial Reference and Research, dove i campioni sono stati analizzati con test di screening in ELISA (Ig totali) e confermati mediante immunofluorescenza (IFAT) specifica per IgG, IgM ed IgA dirette verso la fase I e II dell’antigene. I campioni positivi alla diluizione 1:50 in ELISA sono stati classificati come campioni a reattività non significativa, mentre quelli positivi alla diluizione ≥1:100 sono stati successivamente testati con l’IFAT. La metodica IFAT in uso presso l’Istituto di Marsiglia consente la classificazione dei soggetti in fase acuta e cronica, nella maggior parte dei casi anche sulla base di un singolo prelievo (1, 3). Questionario epidemiologico: Il questionario fornito agli aderenti all’iniziativa è stato redatto seguendo le indicazioni sui fattori di rischi legati a Febbre Q pubblicate dall’EFSA (2). In particolare le informazioni raccolte (tab. 1) hanno riguardato, oltre ai dati anagrafici, la frequenza e le modalità di contatto con animali e materiali a rischio, con vettori, la tipologia e l’ambiente di lavoro, l’anamnesi di forme cliniche riconducibili a Febbre Q nell’uomo. Il questionario è stato redatto tenendo conto che i partecipanti erano veterinari e biologi e rappresentavano già di per sé categorie professionali a rischio. RISULTATI E CONCLUSIONI Rispetto al totale di 74 sieri testati, 25 sono risultati reattivi alla prova ELISA alla diluizione 1:50, titolo considerato non significativo dal punto di vista epidemiologico. Di questi, quattro (campioni 21, 27, 33, 36) sono stati confermati all’IFAT in fase I e II e due (27, 33) sono risultati positivi anche all’FdC (tab. 2). I campioni 21, 27 e 36 sono stati classificati come infezioni pregresse, mentre il n. 33 come infezione recente. Il questionario ha consentito di ottenere le seguenti informazioni sui quattro soggetti positivi: • Soggetto 21: uomo, 53 anni, veterinario del SSN, residente nella regione Veneto. Proprietario di cani, lavora in allevamenti di bovini e cavalli, in ambienti polverosi. Mai stato morso da zecche, ma ha avuto contatti con cani infestati. Consumo saltuario di prodotti crudi a rischio. A volte a contatto con materiali a rischio anche legati a parti/aborti nelle specie domestiche e di allevamento (ruminanti, suini). Segnala di essere stato interessato da polmoniti atipiche e di soffrire di problemi cronici tra quelli indicati nel questionario (non specificato). • Soggetto 27: uomo, 49 anni, veterinario libero professionista, abita in area rurale nella regione Veneto. Possiede cani e gatti e lavora a contatto con bovini, ovini e suini. Riporta di aver subito morsi da zecche e di avere contatti con ovini infestati. Entra spesso in contatto con materiali a rischio, spesso legati a parti/aborti in specie quali bovini, ovi-caprini e suini. Consumo saltuario di prodotti crudi a rischio. Non segnala di aver avuto forme cliniche riconducibili a infezione da Cb. • Soggetto 33: uomo, 28 anni, veterinario libero professionista, vive in area urbana del Veneto. Possiede gatti ed entra spesso in contatto con animali domestici, a volte con animali da allevamento e selvatici. Non riporta morsi da zecche, ma entra spesso in contatto con camosci e caprioli infestati. Lavora sia sul campo sia in laboratorio, a volte in ambienti polverosi e a contatto con materiali a rischio, anche legati a parti/ 314 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 aborti di bovini, ovi-caprini, cani, gatti. Riporta di essere stato interessato da sindromi febbrili atipiche e di avere avuto un contatto recente con un gregge caprino infetto da Cb. • Soggetto 36: uomo, 45 anni, veterinario libero professionista, vive in area urbana in Friuli-Venezia Giulia. Possiede un cane e un coniglio e alleva volatili da cortile (polli, anatre, oche). Per lavoro entra in contatto cani, gatti, bovini, suini, caprini. Riporta di essere stato morso da zecche in Friuli Venezia Giulia diversi anni prima; contatto con cani infestati. Consumo saltuario di prodotti crudi a rischio. Lavora spesso in ambienti polverosi, a contatto con materiali a rischio spesso legati a parti/aborti di bovini o ovi-caprini. Non segnala di aver avuto forme cliniche riconducibili a infezione da Cb. Nessuno dei soggetti positivi era mai stato sottoposto ad accertamenti diagnostici che comprendessero Cb. Per quanto riguarda le analisi sierologiche, la FdC si è dimostrata essere una metodica specifica: pur individuando meno sieropositivi rispetto all’IFAT, ha mostrato concordanza nell’identificare i due soggetti con titoli più elevati. I quattro soggetti positivi esercitano la professione veterinaria in condizioni che facilitano il contatto con fattori di rischio. I ruminanti, in particolare gli ovi-caprini, sono riconosciuti essere il serbatoio principale della Febbre Q e la principale fonte d’infezione per l’uomo (2). Dato che l’infezione può essere mediata da vettori (zecche) ma più frequentemente avviene per inalazione di aerosol, il contatto con ruminanti rappresenta una condizione di rischio soprattutto durante i parti dei soggetti infetti, che possono emettere nell’ambiente grandi quantità di Cb tramite secrezioni vaginali e invogli fetali. Sulla contaminazione ambientale influisce inoltre, soprattutto per gli ovini, l’eliminazione del batterio attraverso le feci. La possibilità d’infezione tramite consumo di latte crudo è ancora in fase di discussione (2), ma l’eliminazione di Cb nel latte è stata ampiamente dimostrata, così come esiste la possibilità di contaminazione fecale delle carni. E’ da sottolineare che nessuno dei soggetti positivi ha manifestato sintomi di gravità tale da richiedere ospedalizzazione, né indagini approfondite. Per tale motivo, pur essendo esposti al rischio d’infezione e avendo in due casi contratto patologie potenzialmente riconducibili a Febbre Q, non sono stati eseguiti test diagnostici per Cb. BIBLIOGRAFIA 1. Dupont HT, Thition X, Raoult D (1994) Q fever serology: cutoff determination for microimmumofluorescence. Clinical and Vaccine Immunology. 1 (2):189-196. 2. EFSA (2010) Scientific Opinion on Q fever. EFSA Journal; 8 (5):1595. 3. Raoult D, Parola P (2007) Rickettsial Diseases. Chap. 21 “Clinical aspects, diagnosis and treatment of Q Fever”. 291-301. Tab. 1 – Informazioni raccolte tramite il questionario epidemiologico • • • • • • • • • • • • • • • • Età Sesso Luogo di residenza Professione Modalità/frequenza di contatto con animali domestici/d’allevamento/selvatici Pratica di attività sportive con animali/caccia Anamnesi di morsi da zecche Contatto con animali infestati da zecche Consumo di alimenti crudi (carne, latte) o prodotti a base di latte crudo Ambiente di lavoro (all’aperto, polveroso, laboratorio) Frequenza di contatto con materiali potenzialmente a rischio (paglia, fieno, lana grezza, pelli, deiezioni animali, latte crudo, carni crude) Frequenza di contatto con secrezioni vaginali, invogli fetali a seguito di parti/aborti con indicazione delle specie Anamnesi di sindromi febbrili, polmoniti, epatiti, endocarditi atipiche con o senza accertamenti per C. burnetii Problemi epatici, cardiaci, intestinali, articolari cronici o di affaticamento cronico Anamnesi di aborto spontaneo Accertamenti diagnostici specifici per la ricerca di C. burnetii Tab. 2 – Esiti dei campioni di siero risultati positivi alla prova IFAT CAMPIONE 21 IgG 1:200 IFAT FASE II IgM neg IgA neg IgG 1:100 IFAT FASE I IgM neg IgA neg FdC neg 27 1:800 neg 1:50 1:400 neg 1:25 1:10 33 36 1:800 1:400 1:400 neg 1:00 neg 1:400 1:200 1:200 neg 1:50 neg 1:80 neg 315 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SVILUPPO DI UNA ELETTROFORESI SU GEL IN GRADIENTE DENATURANTE (DGGE) PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE DI MYCOPLASMI Macaluso G., Puleio R., Ciprì V., Tamburello A., Loria G.R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo Key words: 16S rDNA, DGGE, Mycoplasma SUMMARY Denaturing gradient gel electrophoresis (DGGE) is based on the prevention of migration of DNA fragments following strand separation caused by chemical denaturants. The objective of this study was to develop and validate a new diagnostic test based on PCR of the 16S rRNA gene with Mycoplasma-specific primers and separation of the PCR product according to primary sequence using DGGE. The development of a PCR DGGE offers advantages of a rapid identification of many Mycoplasma species for which no specific PCR is yet available, enables the differentiation of different mycoplasma species of veterinary significance and represents a significant improvement from conventional culture and serological tests in term of specificity and time consumption. INTRODUZIONE I micoplasmi appartengono alla classe Mollicutes e sono tra i più piccoli microrganismi a vita libera in grado di autoreplicazione. I micoplasmi sono batteri altamente esigenti, difficili da coltivare e a crescita lenta. Molte specie sono agenti patogeni di importanza veterinaria che causano infezioni respiratorie, mastiti, congiuntiviti, artriti, e occasionalmente aborto. L’identificazione dei micoplasmi come agenti eziologici della malattia è spesso ostacolata dalla mancanza di test diagnostici rapidi e dalla similarità delle patologie cliniche che essi causano. Recentemente, la PCR è stata introdotta quale metodo di routine per la diagnosi di laboratorio di alcuni micoplasmi veterinari. La differenziazione dei micoplasmi mediante PCR basata sull’impiego di primers specifici, è stata limitata in quanto vi è una bassa variazione interspecifica nel 16S DNA ribosomiale (rDNA). Ad oggi, non esiste un singolo test generico che permetta l’identificazione dei micoplasmi a livello di specie. La Denaturing Gradient Gel Electrophoresis (DGGE) può teoricamente identificare mutazioni di singole basi del DNA (1). La DGGE si basa sull’elettroforesi di frammenti di DNA (regioni del gene 16S) precedentemente amplificati mediante PCR, su un gel di poliacrilammide contenente un gradiente crescente di sostanze denaturanti (urea e formammide). La separazione dei frammenti è basata sulla ridotta mobilità elettroforetica che hanno le molecole di DNA parzialmente denaturate rispetto al DNA a doppia elica. Migrando lungo il gel, i frammenti di dsDNA incontrano condizioni denaturanti sempre maggiori, fino a che esse non causano l’apertura del doppio filamento. La transizione da doppio filamento a filamenti parzialmente denaturati avviene in un range molto stretto; questo determina l’arresto della molecola sul gel in corrispondenza del suo specifico dominio di melting. Sequenze differenti hanno domini di melting differenti ed arresteranno la loro corsa in posizioni diverse sul gel. In questo modo è possibile separare frammenti di identica lunghezza, che differiscono per la sequenza di basi. Scopo di questo studio è stato quello di sviluppare una PCR DGGE per rilevare e differenziare diversi micoplasmi di importanza veterinaria utilizzando primers micoplasmaspecifici e valutare la sua specificità e la sensibilità rispetto ai test convenzionali e la sua eventuale applicabilità nelle infezioni miste. MATERIALI E METODI Estrazione del DNA e 16S PCR Sono stati selezionati 5 campioni positivi all’esame colturale e alla PCR classica per M. agalactiae, M. bovis, M. gallinaceum, M. gallinarum, M mycoides scelti tra i ceppi in collezione presso il laboratorio e 4 ceppi di riferimento richiesti presso il Public Health England Colture Collection, M. synoviae NCTC 10124, M. meleagridis NTCT 10153, M. iowae NCTC 10185, M. gallisepticum NCTC 10115 Il DNA di micoplasma è stato estratto da un’aliquota di 1 ml di colture in fase stazionaria utilizzando il PrepMan Ultra Sample Preparation Reagent kit secondo le istruzioni d’uso (Applied Biosystems). Il DNA dei tamponi e tessuti è stato estratto utilizzando il Genelute genomic DNA kit secondo le istruzioni d’uso (Sigma). Il DNA estratto è stato quindi sottoposto a dosaggio spettrofotometrico (NanoDrop2000c Thermoscientific) per valutarne la concentrazione e la purezza tramite il rapporto OD260/OD280. L’amplificazione della regione V3 del gene 16S RNA è stata eseguita secondo il metodo di Muyzer et al. (1993) (3) con piccole modifiche utilizzando il primer batterico universale GC341F(5CGCCCGCCGCGCGCGGCGGGCGGGGCGG GGGCACGGGGGGCCTACGGGAGGCAGCAG) e il primer mollicutes-specifico R543 (5-ACCTATGTATTACCGCG). Per la reazione di PCR, 1 µl di lisato è stato aggiunto come templato ad una mix di reazione di 49 µl realizzata impiegando l’AmpliTaqGoldDNA Polymerase secondo le istruzioni d’uso (Applied Biosystem) . Un termociclatore a gradiente termico (CFX96 ™, Biorad) è stato utilizzato per testare un range di temperature di annealing per assicurarne la specificità. Per tutti gli esperimenti è stata settata una temperatura di annealing di 56 ° C. Le condizioni termiche sono state le seguenti: denaturazione a 94 °C per 5 min, seguita da 30 cicli di95 °C per 1 min, 56 °C per 45 s and 72 °C per 1 min, e uno step di estensione finale di 72 °C per 10 min. (2) L’esito della PCR è stato controllato mediante elettroforesi su gel d’agarosio al 2% seguita dalla visualizzazione al transilluminatore mediante colorazione con GelRedTM Nucleic Acid Gel Stain XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L’elettroforesi è stata eseguita a 100 V ad una temperatura di 58 ° C per 18 h. I gel sono stati poi colorati con SBYR Gold (Cambridge BioScience) in TAE 1X per 30 min a 37 ° C, decolorati in acqua distillata e visualizzati mediante transilluminatore a raggi UV. RISULTATI E CONCLUSIONI I membri appartenenti alla specie Mycoplasma, potrebbero essere amplificati utilizzando il primer Mycoplasma-specifico R543 e il primer universale GC341. Tutte le specie di Mycoplasma analizzate hanno prodotto un amplicone di circa 340 bp (Figura 1). Figura 1: Elettroforesi dei prodotti di PCR L’analisi DGGE ha consentito la rilevazione e la differenziazione delle specie di Mycoplasma da ospiti differenti. Per alcune di queste specie di Mycoplasma non è disponibile alcun test diagnostico basato sul DNA e molte sono stati finora identificabili solo attraverso lunghe colture o test sierologici. La metodica DGGE consente significativi miglioramenti rispetto a metodiche biomolecolari che richiedono l’impiego di primers Mycoplasma-specifici, inoltre permettono di identificare infezioni miste, che sarebbero difficili da rilevare con i metodi convenzionali. In conclusione, la DGGE permette la rapida rilevazione e differenziazione delle specie di Mycoplasma e può essere utilizzata per diagnosticare infezioni direttamente da tessuti o da isolati colturali. E ‘in grado di rilevare colture miste o anche nuove specie di Mollicutes ed è adatta per un uso routinario nei laboratori diagnostici. BIBLIOGRAFIA 1. Garcia, M., M. W. Jackwood, M. Head, S. Levisohn, and S. H. Kleven. 1996. Use of species-specific oligonucleotide probes to detect Mycoplasma gallisepticum, M. synoviae, and M. iowae PCR amplification products. J. Vet. Diagn. Investig. 8:56–63. 2. McAuliffe L., Ellis R.J., Lawes J.R., Ayling R.D. and Nicholas R.A.J.. 2005. 16S rDNA PCR and denaturing gradient gel electrophoresis; a single generic test for detecting and differentiating Mycoplasma species. Journal of Medical Microbiology , 54, 731–739 Sebbene sono state trovate alcune bande non specifiche a 55 ° C, l’aumento della temperatura di annealing a 56 ° C ha assicurato che i primers amplificassero solo DNA di mollicutes. Questi prodotti sono stati sottoposti a DGGE in gruppi in base all’ ospite animale. Nella maggior parte dei casi si è visualizzata una sola banda, dovuta alla mancata variazione interspecifica nella sequenza amplificata. La presenza di più bande può essere motivata dalla presenza di più di un operone 16S rDNA e dalle differenze di sequenza tra le copie. La migrazione delle bande mediante gel è funzione del comportamento di melting degli ampliconi nel gradiente chimico utilizzato (Figura 2). 3. Muyzer, G., de Waal, E. C. & Uitterlinden, A. G. (1993). Profiling of complex microbial populations by denaturing gradient gel electrophoresis analysis of polymerase chain reaction-amplified genes coding for 16S rRNA. Appl Environ Microbiol 59, 695–700. Figura 2: DGGE delle specie di Mycoplasmi saggiati DGGE La DGGE è stata eseguita utilizzando il DCode™ Universal Mutation System (Biorad). I campioni (20 ul) sono stati caricati su un gel 10% di poliacrilamide / bis (30: 1) con gradiente di denaturazione 30-60% [dove 100% è 7 M urea e 40% (v / v) formammide deionizzata] in buffer TAE 1X (Severn Biotech). 316 317 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 GENETIC ASSESSMENT THROUGHOUT MT-DNA SEQUENCING FROM WILD POPULATIONS OF SICILIAN ROCK PARTRIDGE AS PRELIMINARY STEP FOR SPECIES CONSERVATION Macaluso G.1,; Puleio R.1 ; Manno C.1; Reale S.1; Lo Valvo M.2; Vitale F.1; Loria G.R.1 1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia , Palermo 2) Dipartimento di Biologia Ambientale e Biodiversità, Università egli Studi di Palermo Key words: Alectoris graeca, mtDNA control-region, Sicily SUMMARY Mediterranean rock partridge (Alectoris graeca) populations are declining throughout their range due to habitat changes and overhunting. Massive restocking with captive-reared birds belonging exotic similar species, may lead to risk of genetic pollution. The aim of this work was to develop and validate an effective molecular assay based on mitochondrial DNA (mtDNA) sequencing to assess the genetic differentiation and the possible presence of hybrids in clinical specimens of Alectoris populations collected in Sicily. In the study, sequence analysis of 450 nucleotides from the mtDNA, has resulted as a sensitive method for typing recognized organic samples (fecal samples, feathers, muscles) collected in the wild and related to Sicilian rock partridges in order to investigate phylogeography and current population genetic structure in the region. The final aim of the study is to know and improve the distribution of autochthonous couples and delete genetic pollution constituted by hybrids. (A. chukar, A. greca graeca). Tale fatto ha rappresentato un serio rischio di generare individui ibridi, derivati dall’accoppiamento con i soggetti locali, con conseguente inquinamento genetico della biodiversità autoctona. L’Alectoris chukar (Coturnice asiatica) è la specie più frequentemente identificata nel genoma di coturnici ibridi in Italia (1). Nell’ambito di un progetto di conservazione finanziato dalla Commissione Europea (“Urgent actions for the conservation of the “Alectoris greca whitakeri” - Codice progetto: LIFE09 NAT/IT/000099”), volto a migliorare le condizioni ambientali necessarie alla conservazione della coturnice di Sicilia si è indagato sullo stato di salute genetica della specie endemica tramite metodi di laboratorio specifici. A tal scopo è stata messa a punto una metodica di Biologia Molecolare al fine di caratterizzare i geni della sequenza della regione controllo del DNA mitocondriale polimorfico (mtDNA-CR) (2,3). I risultati delle analisi avevano lo scopo di caratterizzare i soggetti che vivono nelle aree identificate dal progetto (la ZPS di Castellammare del Golfo, TP) per selezionare soggetti con profilo genetico wild-type. INTRODUZIONE La Coturnice siciliana (Alectoris graeca whitakeri, Schiebel, 1934) è una delle specie selvatiche siciliane a maggior rischio estinzione e per tal motivo inserita nell’allegato I di tutela della Direttiva Europea 2009/147/CE, ritenuta quindi specie ad alta “priorita’” per quanto riguarda interventi di conservazione (Figura 1) MATERIALI E METODI Le attività hanno previsto una costante e periodica attività di campo dal 12 settembre 2011 al 12 maggio 2012: in totale sono stati eseguiti oltre 20 sopralluoghi nell’area protetta (M. Inici, M. Cofano, M. Sparagio e Capo San Vito), con l’obiettivo di raccogliere campioni clinici utili alla valutazione della purezza genetica dei soggetti ancora presenti in queste montagne ormai considerate areali relitti della specie. I campioni clinici raccolti, per le problematiche severe sulla cattura e/o campionamento riguardanti le specie protette, sono stati costituiti principalmente da campioni di feci (n° 252) e piume (n°44). In alcuni casi è stato possibile recuperare carcasse fresche o congelate e quindi tessuto muscolare proveniente da soggetti recuperati nell’ambiente dalle guardie forestali e/o cacciatori. Per campioni diversi da quella che è la specie autoctona, da impiegare come controllo, si è provveduto a richiedere campioni ad altri Istituti Zooprofilattici, tra cui ringraziamo l’Università di Palermo e l’IZS delle Venezie. La regione considerata per lo screening è stata il D-loop (mitochondrial control-region, mtDNA CR), una sequenza genica mitocondriale di circa 1155bp che, nonostante sia altamente conservata per struttura, dimensioni ed organizzazione, mostra una notevole variabilità interspecie che la rendono altamente polimorfica. Le procedure di sequenziamento per l’identificazione genetica di specie, sono derivate da metodiche pubblicate in precedenza (1,2) integrate ed ottimizzate per lo scopo del progetto. Le prove di amplificazione hanno dimostrato che i migliori risultati per lo scopo previsto dal progetto (e con le matrici Figura 1: Esemplare di coturnice sicula La drammatica diminuzione del numero di soggetti presenti in Sicilia è probabilmente legata alla progressiva urbanizzazione di aree endemiche ed all’agricoltura intensiva che lasciano sempre meno spazio alle condizioni naturali necessarie alla sopravvivenza e nidificazione della coturnice. Negli ultimi anni inoltre, a scopo venatorio, sono state effettuate ripetute immissioni di specie del medesimo genere dell’Alectoris graeca 318 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 biologiche disponibili), si ottengono utilizzando una reazione di amplificazione seminested PCR del gene D-Loop del DNA mitocondriale (1) che aumenta l’efficienza di amplificazione della sequenza dell’mtDNA CR, con un miglioramento della sensibilità e specificità delle analisi. I primers impiegati sono PHDL5’ AGGACTACGGCTTGAAAAGC-3’ H1321 5 ’ TAGYAAGGTTAGGACTRAGTCTT – 3’ SEMD467 5’ - CCTCGGTCAGGCACATCC - 3’ SEMD621 5’ AACCTGTGAAGAAGCCCCAGA – 3’, Le prove di amplificazione sono state eseguite mediante una first PCR, utilizzando l’AmpliTaqGoldDNA Polymerase (Applied Biosystem con la coppia di primers (PHDL/H1321) secondo il seguente profilo termico: 3 min a 94°C seguiti da 30 cicli di 1 min a 94°C, 2 min a 55°C, 1 min a 72°C e infine 7 min a 72°C. Una ramp del 50% è stata inserita tra l’annealing e l’estention ad ogni ciclo di amplificazione. I prodotti della first PCR sono stati riamplificati mediante una semi nested PCR (snPCR) usando le coppie di primers PHDL-SEMD621 che amplificano la regione CRI di 621bp e SEMD467-H1321 che amplificano la regione CRII di 689bp. Si è utilizzato lo stesso profilo termico della first PCR, tranne che per la temperatura di annealing pari a 60°C. Per verificare l’avvenuta amplificazione del DNA è stata condotta l’elettroforesi su gel d’agarosio dei prodotti ottenuti. I prodotti di PCR sono stati purificati e sottoposti ad una reazione di sequenza, mediante l’impiego di un sequenziatore ABI PRISM 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems®) impiegando il metodo BigDye adoperando come 5 ’ innesco uno dei primer di sequenza SEQD83 TATATTTATATGCCCCATATATATG-3’ SEQD484 5’-GGATGTGCCTGACCGAGG-3’ SEQD604 5’-GGGGCTTCTTCACAGGTT-3’ SEQD1120 5’-AATAGTATTTGTTTGTGGGG-3’ (Barbanera F. e Guerrini M., 2009). Le sequenze in formato FASTA così ottenute, sono state allineate alle sequenze depositate in GenBank, utilizzando il software BLAST (http:// blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi) per l’interrogazione del database. RISULTATI E CONCLUSIONI Dalle prove di estrazione mediante appositi kit, che utilizzano colonnine di affinità specifiche e valutazione della concentrazione del DNA si è osservato che le matrici biologiche più idonee allo scopo del progetto sono campioni di piume. Circa il 60% dei campioni fecali, come prevedibile, ha mostrato un grado di contaminazione e degradazione, limitando marcatamente l’estrazione di quantità sufficienti di DNA. Una buona percentuale (quasi il 60%) dei campioni hanno dato un esito positivo alla snPCR D-Loop: 30/44 campioni di piume, mentre i risultati sulle feci ha identificato come positivi n° 141/252 campioni di feci (per oltre l’80% rappresentate da campioni freschi). Il 100 % dei campioni di tessuto muscolare esaminato ha dato esito positivo per A.graeca whitakeri. Si riportano nella Tabella 1 gli esiti delle analisi effettuate complessivamente, aggiornate al Maggio 2012 Matrice Tot campioni PCR D-loop POSITIVI PCR D-loop NEGATIVI Feci 252 141 111 Piume 44 30 14 Tessuto Muscolare 14 14 0 310 185/310 125/310 TOTALE Tabella 1: Esiti delle analisi PCR D-Loop Le sequenze dei campioni positivi alla PCR-D-loop (183/310), analizzate attraverso il programma BLAST non hanno evidenziato la presenza di linee genetiche esotiche, rilevando un maggiore livello di sovrapposizione con la sequenza Alectoris graeca (isolate Italy, Sicily) mitochondrial D-loop DNA (emb AJ222731.1). Le indagini genetiche sinora svolte su questo limitato, ma pur sempre significativo campione di popolazione di coturnice di Sicilia, hanno confermato la presenza della sottospecie endemica in assenza di eventuali inquinamenti genetici sospettati a causa dell’introduzione negli anni passati di taxa non autoctoni. L’applicazione seguente allo studio della variabilità di sequenza è utile per la definizione delle specie e del grado di ibridizzazione tra quelle native e di nuova immissione. E’ importante sottolineare che, rispetto a quanto pubblicato ad oggi, il metodo ha dovuto subire delle modifiche con un miglioramento delle sensibilità e specificità. Inoltre l’applicazione del test su campioni che non necessitano la cattura e/o traumi alle specie oggetto di indagine, rappresenta un strumento utile per future applicazioni su altre popolazioni relitte di particolare importanza ecologica e nella difesa delle biodiversità. BIBLIOGRAFIA 1. Filippo Barbanera, Monica Guerrini, Aleem A. Khan, Panicos Panayides, Pantelis Hadjigerou, Christos Sokos, Sundev Gombobaatar, Sarah Samadi, Bakht Y. Khan, Sergio Tofanelli, Giorgio Paoli, Fernando Dini, 2009 - Human-mediated introgression of exotic chukar (Alectoris chukar, Galliformes) genes from East Asia into native Mediterranean partridges. Biol Invasions 11:333–348;. 2. Randi E., Lucchini V., 1998 - Organization and Evolution of the Mitochondrial DNA Control Region in the Avian Genus Alectoris. Journal of Molecular Evolution, 47, 449-462 3. Randi, E., Tabarroni, C., Rimondi, S., Lucchini, V., Sfougaris, A., 2003 - Phylogeography of the Rock Partridge (Alectoris graeca). Molecular Ecology 12, 2201-2214; Studio prodotto con il contributo della Commissione Europea: “Urgent actions for the conservation of the “Alectoris greca whitakeri” - Codice progetto: LIFE09 NAT/IT/000099” 319 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PIANO DI SELEZIONE GENETICA PER LA RESISTENZA ALLE ENCEFALOPATIE SPONGIFORMI TRASMISSIBILI DEGLI OVINI NELLA REGIONE SICILIA: EFFICACE STRUMENTO DI CONTROLLO. Figura 2 – Istogramma rappresentante il numero campionario analizzato e suddiviso per genotipi. Macrì D. 1, Bivona M. 1, Buttitta O. 1, Galante A.1, Randazzo V.1, Calderone S.1, Vitale F.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Key words: scrapie, genotyping, Plan selection. SUMMARY Scrapie is an infectious disease of sheep and goats belonging to the group of transmissible spongiform encephalopathies (TSE). In order to limit the spread of scrapie, the European Union has adopted measures based on programs to select populations genetically resistant to TSE. In Italy the preparation of specific dialing plans is delegated to the regional level, in accordance with the scheme of the national selection of DM 17/12/2004. The objective of this work is to show, through Rt-PCR, the genotype distribution of scrapie in 2013, and consider the numerical variation of the analyzed samples after the entry into force of the new Regulation. INTRODUZIONE La scrapie è una malattia infettiva degli ovi-caprini appartenente al gruppo delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE), anche note come malattie da prioni. Il lungo periodo d’incubazione, comune a tutte le TSE, che spesso corrisponde o supera la vita commerciale degli ovini e l’assenza di un test diagnostico ante-mortem, rendono inefficaci gli interventi di controllo e gestione tradizionalmente adottati nei confronti degli agenti di malattie infettive. L’Unione Europea ha adottato misure di controllo della scrapie negli ovini, con l’emissione del Regolamento 999/2001/ CE, che reca disposizioni per l’ eradicazione di alcune TSE. L’introduzione del Piano di selezione genetica, in Italia, ha luogo con l’emissione del Decreto Ministeriale del 17/12/2004. La predisposizione di specifici piani di selezione viene demandata a livello regionale in conformità allo schema di selezione nazionale, del D.M. sopracitato. Le autorità regionali competenti devono quindi, nel redigere il piano, attenersi ai requisiti minimi previsti nello schema del piano nazionale. L’adesione è obbligatoria dal 2005 solo per i greggi ad elevato merito genetico. Nella Regione Sicilia il Decreto Assessoriale (D.A. 3/2013) emanato il 4 gennaio 2013, prevede l’obbligatorietà al piano, oltre che per gli allevamenti suddetti nel piano nazionale, anche degli allevamenti commerciali con capi di numero superiore ai 200. Obiettivo del presente lavoro è evidenziare, tramite RT-PCR, la distribuzione genotipica di scrapie nel 2013 e valutare la variazione numerica dei campioni analizzati, successivamente all’entrata in vigore della sopracitata normativa. MATERIALI E METODI Nel primo semestre 2013, come contemplato nel Decreto Assessoriale (D.A. n 0003/2013) sono stati saggiati un numero campionario di 2000 ovini di sesso maschile provenienti dal territorio siciliano. Per l’indagine molecolare RT-PCR sono stati analizzati campioni ematici, previa estrazione del DNA genomico con l’impiego del Kit “Illustra blood genomicPrep “ (GE Healthcare) seguendo il protocollo della ditta fornitrice. La reazione di PCR prevede l’impiego di primers localizzati nell’intorno della mutazione in esame, oltre a due sonde fluorescenti, uno per l’allele wild-type e l’altra specifica per l’allele mutato. L’analisi della fluorescenza, per lettura in tempo reale, permette di discriminare i tre possibili genotipi (soggetto omozigote normale, soggetto eterozigote, soggetto omozigote mutato). RISULTATI E DISCUSSIONI In Figura 1 sono mostrati il numero di campioni ovini analizzati, tramite approccio molecolare, da Gennaio 2012 a Giugno 2013. Come è possibile notare, i dati ottenuti nel I semestre 2013, incrementano notevolmente rispetto al numero campionario, pervenuto in laboratorio, nell’anno 2012. Figura 1 – campioni analizzati nel I e II semestre 2012 e nel I semestre 2013. In Figura 2 sono mostrati i genotipi, rilevati tramite approccio molecolare, nella popolazione ovina oggetto di studio (2000 campioni). Come è possibile osservare il genotipo ARR/ARQ, considerato un genotipo di scarsa suscettibilità alla scrapie, ha mostrato un numero campionario più elevato rispetto ad altri genotipi. I dati ottenuti nel I semestre 2013 evidenziano come il 40% dei campioni analizzati presentino genotipi suscettibili alla patologia neurodegenerativa (figura 3). Figura 3 – Grafico a torta rappresentante le % di genotipi suscettibili e resistenti alla scrapie. Tale studio ha dimostrato un incremento notevole del numero di campioni genotipizzati nell’anno 2013, rispetto il 2012, successivamente all’entrata in vigore del “Piano di selezione genetica del Regione Sicilia”. Inoltre si è rilevata, tramite approccio molecolare, la distribuzione genotipica della scrapie nel territorio siciliano, e come siano presenti genotipi considerati di suscettibilità alla patologia. L’alta percentuale di genotipi suscettibili (40%) sottolinea l’importanza e l’utilità del Piano di selezione genetica, come efficace strumento di controllo ed eradicazione della patologia neurodegeneratica, scrapie. BIBLIOGRAFIA Reg. CE n. 999 22.05.01: “Eradicazione delle encefalopatie spongiformi trasmissibili negli ovini e caprini e le regole per il commercio di ovini e caprini e di embrioni vivi”; Decreto Ministeriale del 17.12.2004: “Piano nazionale di selezione genetica per la resistenza alle encefalopatie spongiformi negli ovini”; L’incremento numerico, riscontrato nel 2013 rispetto l’anno 2012, è attribuibile all’entrata in vigore del Decreto Assessoriale n. 3 del 4 Gennaio 2013, il quale rende obbligatorio il Piano di selezione genetica per la resistenza alle encefalopatie spongiformi in tutti gli allevamenti aventi un patrimonio zootecnico superiore ai 200 capi e in tutti gli allevamenti iscritti al libro genealogico o ad elevato merito genetico. Si riscontra, infatti, nel solo I semestre del 2013 un incremento del 20,35% popolazione ovina genotipizzata, rispetto l’intero anno 2012. 320 Decreto Assessoriale n. 3 del 04.01.2013:” Piano di selezione genetica per la resistenza alle encefalopatie spongiformi trasmissibili degli ovini, controllo animali con identificazione controllata”. 321 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALIDAZIONE DI UN METODO DI PROVA IN REAL TIME PCR: DETERMINAZIONE DEI POLIMORFISMI A SINGOLO NUCLEOTIDE (SNPS) NEI CODONI 136, 154 E 171, MARCATORI DELLA SUSCETTIBILITÀ ALLA SCRAPIE NELLA SPECIE OVINA Macrì D. 1, Bivona M. 1, Buttitta O. 1, Lo Verde V.1, Acutis P.2, Chetta M.1, Muzzupappa C.3, Reale S.1, Vitale F.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, ”A. Mirri” Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, 3 Real Gene S.R.L. 1 2 Keywords: Prion, Scrapie, RT-PCR. SUMMARY Prion diseases are transmissible spongiform encephalopathies in humans and animals, including scrapie in sheep. The infectious agent is generally recognised as a misfolded isoform of the host encoded prion protein. Although scrapie is an infectious disease, susceptibility/resistance in sheep is influenced by polymorphism of the Prp gene, which encodes the PrPc. Following EU decision 2003/100/EC Member States may implement breeding programmes to increase genetic resistance to scrapie in sheep populations.The objective of this study was to validate a test method in Real Time PCR, in order to identify single nucleotide polymorphisms in codons 136, 154 and 171, and then to evaluate the susceptibility to SCRAPIE, in the sheep population. INTRODUZIONE La principale differenza della proteina prionica wild-type (PrP) con quella della scrapie, è di natura conformazionale, in quanto la proteina prionica “cellulare” PrPC, pur possedendo la stessa struttura primaria di quella “patologica” PrPSc, ne differisce per struttura secondaria e terziaria. Infatti, nella PrPC la configurazione spaziale delle catene polipeptidiche è ad “α-eliche”, mentre modificazioni post-traslazionali, nonché l’acquisizione di una strutture a “foglietti-β”, conferiscono patogenicità alla proteina prionica. (figura 1). (Fig. 1) Conversione post-traslazionale della PrP “normale” o “cellulare” (PrPC), con prevalente struttura a “alfa-eliche”, in PrP “patologica” (PrPSc), con prevalente struttura a “fogliettibeta”.(Cold Spring Harbor Laboratory Press, 1999). ne di diversi aminoacidi. In particolare, il codone 136 del gene PrP può codificare rispettivamente per Alanina (A) o per Valina (V); il codone 154 per Arginina (R) o Istidina (H); mentre il codone 171 per Arginina (R), Glutamina (Q) o Istidina (H) (3). Il genotipo VRQ/VRQ è associato alla massima suscettibilità per lo scrapie, mentre il genotipo ARR/ARR è associato alla maggiore resistenza. Tutto ciò ha portato la Commissione Europea ad emanare una direttiva (2003/100/EC) volta ad incentivare gli Stati membri ad attuare piani di selezione genetica, negli allevamenti di ovini, basati sul test di genotipizzazione del gene PrP, al fine di aumentare la frequenza dell’ allele di resistenza ARR. L’obiettivo di tale studio è stato quello di validare un metodo di prova in Real Time PCR, al fine di identificare i polimorfismi a singolo nucleotide nei codoni 136, 154 e 171, e valutare quindi, la suscettibilità alle Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile, nella popolazione ovina. MATERIALI E METODI Il kit diagnostico “Scrapie Genotype Plus”, della ditta Real Gene, è impiegato per il saggio in Real Time PCR. Il protocollo di amplificazione per la determinazione degli alleli è stato ottimizzato e standardizzato, al fine di lavorare, alle medesime condizioni, i codoni oggetto di studio (4). Il protocollo di Real Time PCR utilizzato è riportato in tabella 1, permettendo di definire il risultato dell’analisi al 35° ciclo, dopo circa un’ora di corsa dello strumento. Al protocollo previsto dal kit, infatti, è stato aggiunto un ulteriore ciclo iniziale di 2 minuti a 50 °C, al fine di favorire l’inattivazione termica dei frammenti nucleotidici contenenti uracile, possibilmente presenti, lasciando inalterato il modello di DNA bersaglio. Tabella 1 – protocollo di Real Time PCR utilizzato Da tutti gli studi finora effettuati è emerso che la Scrapie è una malattia infettiva, ma la sua manifestazione negli ovicaprini è controllata da fattori genetici. In particolare, la sua incidenza nella pecora è essenzialmente legata alle mutazioni dei codoni in posizione 136, 154, 171, che si traducono nella codificazio- produttrice. Per la validazione del metodo di prova sono stati valutati i seguenti indici di prestazione: sensibilità, specificità, accuratezza e concordanza (Kappa), secondo la “Procedure per la validazione dei metodi interni in accordo con i requisiti prescritti dalla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 p.ti 5.4.3. – 5.4.4. – 5.4.5.. La discriminazione allelica è stata eseguita analizzando contemporaneamente con ogni codone due sonde oligonucleotidiche specifiche per ciascun polimorfismo (SNP). Ogni sonda è marcata al terminale 5’ con fluoroforo specifico (VIC o FAM), mentre al 3’ con un gruppo MGB (Minor Groove Binder) che funge da quencher. Le differenze di degradazione delle sonde durante l’amplificazione, dovute alla diversa complementarietà delle sonde, può essere letta in fluorescenza determinando quale sostituzione aminoacidica è presente. Combinando i risultati ottenuti per ogni codone si arriva a determinare il genotipo del campione in esame. Per la verifica degli indici di validazione sono stati analizzati 40 campioni di sangue in EDTA; le prove sono state condotte in doppio, variando l’operatore per tutte le fasi previste. Inoltre i saggi sono stati eseguiti su due diversi termociclatori Real Time PCR. Gli stessi campioni sono stati inviati alla Struttura Semplice Genetica e Immunobiochimica, del Centro di Referenza per le Encefalopatie Animali (CEA) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. I campioni inviati sono stati processati con il metodo del pirosequenziamento. RISULTATI E DISCUSSIONI Il kit utilizzato ha permesso di analizzare, all’interno della stessa corsa di RT-PCR più polimorfismi. L’utilizzo di un protocollo di amplificazione comune a tutti i codoni contribuisce alla semplificazione del flusso di lavoro in laboratorio. I dati di concordanza intra e inter laboratorio unitamente agli indici di validazione, ottenuti con la partecipazione ai Ring Test nazionali, organizzati dall’Istituto Superiore Sanità di Roma, confermano l’elevato grado di attendibilità e di robustezza della metodica. In tabella 2 è possibile osservare gli indici di validazione ottenuti con diverse metodiche diagnostiche e come questi risultino sovrapponibili. I risultati ottenuti negli anni di impiego del kit hanno mostrato un trend positivo dei risultati attesi (figura 2). Tabella 2 - Recupero dei dati relativi agli indici di validazione Sensibilità: 100% Specificità: 100% STEP FASE TEMPO Temp. N° CICLI Accuratezza: 100% 1 UNG Glicosilase 2’ 50°C 1 Concordanza (Kappa): 1.00 (95% IC:0.98-1.00) 2 Denaturazione iniziale 10’ 95°C 1 3 Denaturazione 15’’ 95°C 4 Polimerizzazione 1’ 60°C 40 La preparazione dei campioni ematici e l’allestimento del saggio sono stati effettuati secondo le indicazioni della ditta produttrice. L’estrazione del DNA dei campioni è stato effettuato con il kit “Illustra blood genomicPrep mini spin kit” prodotto dalla ditta GE Healthcare, secondo le modalità indicate dalla ditta 322 323 Figura 2 – Andamento dei risultati attesi negli anni d’impiego del Kit. Tale lavoro ha consentito di validare un metodo di prova in RTPCR al fine di identificare i polimorfismi a singolo nucleotide nei codoni 136, 154 e 171, e valutare quindi, la suscettibilità alle Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile, nella popolazione ovina. BIBLIOGRAFIA 1. Agrimi U, Conte M, Morelli L, Di Bari MA, Di Guardo G, Ligios C, Antonucci G, Aufiero GM, Pozzato N, Mutinelli F, Nonno R, Vaccari G. Animal transmissible spongiform encephalopathies and genetics. Vet Res Commun 27(Suppl 1):31-8, 2003; 2. Di Guardo G, Marcato PS. Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili. In: Marcato PS “Patologia Sistematica Veterinaria”, Bologna, Edagricole-Il Sole 24 Ore, 1302-11, 2002; 3. Belt, P. B., Muileman, I. H., Schreuder, B. E., Bos-de Ruijter, J., Gielkens, A. L. & Smits, M. A. (1995). Identification of five allelic variants of the sheep PrP gene and their association with natural scrapie. J Gen Virol 76, 509–517. 4. Westaway D, Zuliani V, Copper CM, Da Costa M, Neuman S, Jenny AL, Detwiler L, Prusiner SB. Homozygosity for prion protein alleles encoding glutamine-171 renders sheep susceptible to natural scrapie. Genes Dev 8(8): 959-69, 1994 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SENSIBILITA’ AGLI ANTIMICROBICI DI BRACHYSPIRA HYODYSENTERIAE IN ITALIA DAL 2005 AL 2013 Magistrali C.F.1, Cucco L. 1, Scoccia E. 1, Tartaglia M. 1, Luppi A. 2, Bonilauri P. 2 , Biasi G. 2, Merialdi G. 2, Maresca C. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria Marche- Perugia Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia e Emilia Romagna 1 2 Key words: B. hyodysenteriae, sensibilità, antimicrobici Abstract A broth microdilution method was used to determine the antimicrobial susceptibility of 206 Brachyspira hyodysenteriae isolated from Italian pig herds between 2005 and 2013. The antimicrobials tested were tiamulin, lyncomycin and tylosin, and the MIC values were interpreted using epidemiological and clinical cut-off. The vast majority of the isolates (91% to tiamulin, 98% to lyncomycin and 99%, to tylosin) showed MIC values above the epidemiological cut off, indicating a previous exposure to antimicrobials. Moreover, most isolates (98%) were resistant to tylosin, about half (56%) to lyncomycin and roughly a third (34%) to tiamulin. Furthermore, a significant increase of resistant isolates was seen for both lyncomycin and tiamulin from 2008 to 2013. A non-negligible proportion of isolates (56%) showed multiple resistances to all the tested antibiotics, and a significant increase of this percentage was observed in 2011 and 2013 compared to 2008. Introduzione Brachyspira hyodysenteriae, un spirocheta anaerobia, è l’agente eziologico della Dissenteria emorragica del suino (SD). Questa malattia enterica, endemica negli allevamenti italiani, si manifesta prevalentemente nelle fasi di magronaggio ed ingrasso ed è caratterizzata da una diarrea mucoemorragica con esiti gravi ed impatto economico rilevante. Tradizionalmente, il controllo della SD si è basato sull’impiego di antimicrobici, e in particolare di tilosina, tiamulina, lincomicina, carbadox e dimetridazolo. Questi ultimi due, sulla base di norme comunitarie, non sono oggi più utilizzabili. Inoltre, nel corso degli ultimi anni è stata segnalata la comparsa di ceppi a ridotta sensibilità nei confronti degli antibiotici (1; 2). Anche in Italia questo fenomeno è stato descritto da tempo (3). La ridotta sensibilità ai trattamenti antibatterici ha creato difficoltà nella gestione dei focolai di dissenteria suina, tanto che questa può essere considerata una malattia emergente. Scopo di questo lavoro è stato confrontare la sensibilità di B. hyodysenteriae nei confronti di tilosina, tiamulina e lincomicina. Gli isolati provenivano da casi di dissenteria suina verificatesi in allevamenti italiani dal 2005 al 2013. Materiali e metodi Isolati: sono stati valutati 206 isolati di B. hyodysenteriae provenienti da focolai di dissenteria suina in Italia dal 2005 al 2013. Gli isolati sono stati mantenuti in Microbank (Prolab Diagnostic, Richmond hill, Canada) a -80°C fino al momento dell’analisi. In seguito, i ceppi sono stati seminati in Agar sangue al 5% sangue di montone, e incubati in anaerobiosi a 42°C per 3-5 giorni. Dopo l’incubazione, la purezza del ceppo è stata verificata mediante microscopia ottica. Metodo di diluizione in brodo: il metodo è stato effettuato sulla base di quanto già descritto da Rohde (4). In breve, ciascun isolato è stato seminato su Anaerobe Fastidious Agar (LAB-M Ltd, UK) in anaerobiosi a 42°C per 72 ore. Dopo un controllo di purezza in microscopia, il ceppo è stato sospeso in BHI, ad una concentrazione di 108 ufc/ml circa. 300 l della sospensione sono stati quindi aggiunti a 30 mL di BHI+ calf fetal serum (BioWhittaker, Walkersville, MD, USA) , fino ad ottenere una concentrazione di 106 ufc/ml circa. 0,5 ml di questa sospensione sono stati seminati in ciascun pozzetto di piastra VetMIC Brachy (SVA, Uppsala, Sweden) e incubati in anaerobiosi a 37°C per 4 giorni con agitazione continua. Un ceppo di Brachyspira hyodysenteriae (ATCC 27164, B78) è stato impiegato come controllo. Le concentrazioni testate sono state le seguenti: tiamulina: 0,063 mg/ml; 0,125 mg/ml; 0,25 mg/ml; 0,5 mg/ml, 1 mg/ml; 2 mg/ml; 4 mg/ml; 8 mg/ml; Lincomicina: 0,5 mg/ml, 1 mg/ml; 2 mg/ml; 4 mg/ml; 8 mg/ml; 16 mg/ml; 32 mg/ml; 64 mg/ml; Tilosina: 2 mg/ml; 4 mg/ml; 8 mg/ml; 16 mg/ml; 32 mg/ ml; 64 mg/ml; 128mg/ml. La lettura è avvenuta tramite visore ottico; la minima concentrazione inibente (MIC) è stata definita sulla base della diluizione di antimicrobico più bassa in grado di inibire la crescita batterica. Interpretazione dei risultati: I breakpoint clinici per l’interpretazione dei dati di MIC per B. hyodysenteriae sono stati proposti da Ronne e Szancer nel 1990 (5): sulla base di questi, è possibile suddividere gli stipiti in tre categorie: resistente, intermedio e sensibile (R;I;S). : tiamulina (S: ≤1mg/ ml, I: >1-≤4mg/ml; R:>4mg/ml), tilosina (S: ≤1mg/ml; I: >1≤4mg/ml; R:>4mg/ml) e lincomicina (S: ≤ 4mg/ml, I: >4-≤32mg/ ml; R>32) mg/ml. Sono stati infine classificati ceppi multiresistenti quelli che si presentavano non sensibili (resistenti od intermedi) a tutti e tre gli antimicrobici. I cut-off epidemiologici per l’interpretazione dei dati di MIC sono stati calcolati sulla base di quanto proposto da Pringle (6), come segue: lincomicina: >1mg/ml; tiamulina: >0,25; mg/ ml; tilosina: >16mg/ml. Elaborazione statistica: la valutazione dell’andamento di ceppi isolati negli anni (dal 2008 al 2013) è stata effettuata con il χ2 for trend prendendo come riferimento sempre il 2008 e considerando significativo un p-value≤0,05. Per evidenziare la forza dell’associazione sono stati calcolati gli Odds Ratio (OR) con i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC95%). Risultati e conclusioni I risultati ottenuti per ciascuna molecola sono indicati in tabella 1. Osservando le distribuzioni delle MIC dei diversi antibiotici è evidente come la maggior parte degli isolati si collochi al di sopra dei cut-off epidemiologici indicati da Pringle (6). In dettaglio, si collocano al di sopra di questo valore il 91% degli isolati per quanto riguarda la tiamulina, il 98% per tilosina e il 99% per lincomicina. Questo indica una precedente esposizione all’antimicrobico dell’isolato o la presenza di reazioni crociate con altri antimicrobici utilizzati in campo. Per quanto riguarda gli esiti di tiamulina, lincomicina e tilosina, sulla 324 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 base dei breakpoint clinici (4) è possibile discriminare gli isolati in tre distinte popolazioni, sensibili, resistenti ed intermedi. Sulla base di questa classificazione, 202/206 isolati, pari al 98%, sono risultati resistenti alla tilosina, 70/206, pari al 34% alla tiamulina, e 114/204, pari al 56% alla lincomicina. Analizzando i risultati in base all’anno di isolamento, e suddividendo gli isolati in sensibili e non sensibili (resistenti ed intermedi), è possibile osservare per tiamulina un trend tra gli anni significativo (p-value=0,0328),evidenziando un aumento di campioni non sensibili negli anni 2011 (OR=8,4), 2012 (OR=4,65) e 2013 (OR=4,44) rispetto al 2008. Un andamento analogo è stato osservato per lincomicina, per i ceppi resistenti (p-value=0,0276), pur non evidenziando nessun anno statisticamente significativo. La stessa elaborazione non è stata possibile per tilosina, per la mancanza di stipiti sensibili per tre anni consecutivi. Infine, 110/205 ceppi, corrispondenti al 54% degli isolati, sono risultati multiresistenti; l’andamento negli anni (grafico 1), valutato attraverso il χ2 for trend (p-value=0,0039), è risultato in aumento: in particolare, risulta una differenza statisticamente significativa per il 2011 (OR=8,4) e il 2013 (OR=4,32) rispetto al 2008 (tabella 2). I livelli di sensibilità rilevati attraverso gli stipiti conferiti passivamente ai laboratori possono non descrivere in modo accurato la situazione di campo: infatti, questi campioni derivano generalmente da casi di particolare gravità o non rispondenti ai trattamenti. Nonostante questo, i dati confermano quanto rilevato in altri paesi europei, vale a dire un progressivo calo della sensibilità di B.hyodysenteriae nei confronti degli antibiotici tradizionalmente impiegati nel controllo della dissenteria suina. In questa situazione, l’impiego prudente degli antibiotici, dove ancora utilizzabili, appare non procrastinabile, mentre appare urgente individuare a strategie alternative per il controllo di questa patologia. Bibliografia 1 Karlsson M, Aspán A, Landén A, Franklin A. (2004) Further characterization of porcine Brachyspira hyodysenteriae isolates with decreased susceptibility to tiamulin. J Med Microbiol. 53:281-5 2 Hidalgo Á, Carvajal A, Vester B, Pringle M, Naharro G, Rubio P. (2011). Trends towards lower antimicrobial susceptibility and characterization of acquired resistance among clinical isolates of Brachyspira hyodysenteriae in Spain. Antimicrob Agents Chemother. 55:3330-7. 3 Bonilauri P., Merialdi G., Calzolari M., Luppi A., Dottori M. (2004) “Incremento del riscontro di ceppi multiresistenti di B. hyodysenteriae in allevamenti suini del nord Italia”. Atti della Società Italiana di patologia e allevamento del suino, XX Meeting Annuale, Salsomaggiore Terme. 181-186 4 Rohde J., Kessler M., Baums C.G., Amtsberg G. (2004) “Comparison of methods for antimicrobial susceptibility testing and MIC values for pleuromutilin drugs for Brachyspira hyodysenteriae isolated in Germany”. Vet. Microbiol. 102, 25-32. 5 Ronne H., Szancer J. (1990) “In vitro susceptibility of Danish field isolates of Treponema hyodysenteriae to chemiotherapeutics”. In: Proceedings of the International Pig Veterinary Society Congress, Lausanne, Switzerland, 126. 6 Pringle M, Landén A, Unnerstad HE, Molander B, Bengtsson B (2012) Antimicrobial susceptibility of porcine Brachyspira hyodysenteriae and Brachyspira pilosicoli isolated in Sweden between 1990 and 2010. Acta Vet Scand.;54:54. Tabella 1: valori di Minima concentrazione inibente (MIC) suddivisi per antibiotici. E’ indicato il numero di ceppi testati che presentava quel determinato valore, espresso in mg/ml. Sono sottolineate le concentrazioni effettivamente testate per ciascuna molecola. Tiamulina Lincomicina Tilosina 0,031 0,063 11 0,125 8 0,25 18 0,5 24 2 1 30 5 2 32 2 2 4 13 11 1 8 70 21 1 16 32 64 128 26 0 24 1 114 4 197 Grafico 1: andamento dei ceppi multiresistenti nel periodo considerato Tabella 2: OR di stipiti multiresistenti isolati negli anni 2008-2013 ANNO 2008 2009 2010 2011 2012 2013 OR 1 7,5 7,5 8,4 3,94 4,32 IC 95% 0,24-9,26 0,67-84,10 1,23-57,15 0,94-16,43 1-18,60 325 P-VALUE 0,6602 0,0543 0,0091 0,0422 0,0320 Totale 206 205 206 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CLOSTRIDIUM DIFFICILE NELLA FILIERA DEL VITELLO A CARNE BIANCA Magistrali C.F.1, Cucco L. 1, Felici A. 1, Dettori A. 1, Filippini G. 1, Broccatelli S. 1, Bano L.2, Pezzotti G. 1 1 2 Istituto Zooprofilatico Sperimentale Umbria Marche- Perugia Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie - Treviso Key words: vitello, Clostridium difficile, prevalenza Abstract Aim of this work is described prevalence and risk factors of C.difficile infection in veal calves in Italy. The animals, introduced into six herds belonging to two companies at 25 days of age, were sampled three times: at 0-16, 90-120 days and at 150 days after introduction. At every sampling moment, faecal samples were taken and the presence of diarrhoea was recorded. Cecal contents and carcasses sponges were taken at slaughter. C. difficile was isolated at least once from 87 out of 420 calves (20.7%). The overall prevalence at the first sampling was 20,24%: in company A 29. 58% and 7.78% in company B. A correlation with age and shedding was found: the OR ranged from 2.79 for 36-45 days to 4.57 for 13-28 days. No cecal contents or carcass sponges were positive at slaughter, excluding a prevalence of infection higher than 3,5%. Finally, the presence of diarrhoea at first sampling was significantly associated with the infection (OR 3.26). Introduzione Clostridium difficile è responsabile della CDI, Clostridium difficile infection, associata nell’uomo ad una serie di manifestazioni cliniche differenti e considerata la causa principale di diarrea nel mondo occidentale (1). La CDI è tradizionalmente considerata come una malattia nosocomiale, che si manifesta tipicamente in soggetti anziani, ospedalizzati e che hanno subito un trattamento antibiotico. Tuttavia, nel corso degli ultimi 10 anni, si è assistito ad un aumento di segnalazioni di casi senza esposizione ai fattori di rischio, in pazienti della comunità: la malattia così contraddistinta è stata denominata community acquired-Clostridium difficile disease (CA-CDI) (2). Contemporaneamente sono emersi alcuni ribotipi ipervirulenti, quali lo 027 e il 078 (3). E’ stata quindi formulata l’ipotesi che la CA-CDI riconosca un reservoir negli animali domestici, supportata dalla diffusa presenza del ribotipo 078 in alcune specie, quali il suino e il bovino (4). Scopo di questo lavoro è stato studiare la prevalenza di C. difficile in allevamenti italiani di vitello a carne bianca, dall’introduzione in azienda fino al macello. Sono state inoltre valutate l’età e la presenza di diarrea come fattori di rischio per l’infezione. Materiali e metodi Allevamenti: il lavoro è stato condotto in sei allevamenti afferenti a due aziende distinte: l’azienda A ha ospitato in media 6700 vitelli nel periodo del lavoro, mentre l’azienda B 3800. I vitelli, di provenienza multipla, venivano introdotti ad un’età media di 25 giorni circa, e stabulati prima individualmente in gabbiette e poi, a circa 2 mesi di età, in piccoli gruppi di 4-7 animali. L’alimentazione differiva nelle due aziende: in entrambi si utilizzavano sostituti del latte, ma nell’azienda A si utilizzavano mais granella e mais ceroso, mentre nell’azienda B insilato di mais e paglia. In tutte e due le aziende, gli animali venivano abbattuti a 180-190 giorni di età in due macelli di grosse dimensioni. Campionamento: il lavoro è stato condotto da febbraio 2012 a ottobre 2012. Complessivamente, sono stati prelevati 420 vitelli, di cui 240 dall’azienda A e 180 dalla B. I vitelli, contrassegnati individualmente, sono stati sottoposti a tre campionamenti di feci individuali: a 0-16, 90-120 e 150 giorni circa dopo l’introduzione in azienda. Contemporaneamente, era registrata l’eventuale presenza di diarrea. Infine è stato eseguito un campionamento al macello, stratificato sulla base dell’allevamento di origine degli animali, calcolando una prevalenza attesa del 3,5% L.C. 95% e una precisione del 3%. Al macello sono stati prelevati il contenuto ciecale e un tampone carcassa utilizzando spugnette preumidificate e campionando collo, punta del petto, linea alba e inguine, sulla base sella procedura ISO 17604:2003. Coltura: 1g di feci o di contenuto ciecale è stato coltivato seguendo il protocollo di Arroyo (5) modificato: in breve, i campioni erano seminati in TCCFB, cycloserine-cefoxitin frucose broth, addizionato con lo 0,1% di taurocolato di sodio, e incubati a 37% in anaerobiosi (5%H2-5%CO2-90%N2) per 7-10 giorni. Dopo l’incubazione, 2mL di ciascun brodo era trattato con 2mL di etanolo al 96% e mantenuto a temperatura ambiente per un’ora, quindi centrifugato a 3800 x g per 10 minuti, e il pellet seminato su ASEC, agar sangue addizionato con il 5% di sangue equino e 0,1% di esculina. Le piastre venivano quindi incubate a 37°C per 24-48 hrs in anaerobiosi. In seguito, le colonie sospette, individuate sulla base della morfologia, del caratteristico odore e dal colore nero al trans illuminatore, venivano isolate su Agar sangue addizionato con il 5% di sangue ovino e quindi confermate come C. difficile dopo colorazione di Gram, test biochimico (Rapid ID32 A, Biomerieux) e infine PCR diretta al gene housekeeping tpi (6). Analisi statistica E’ stata effettuata un’analisi descrittiva dei dati distribuendo le variabili nel tempo e nelle due aziende.Al primo prelievo è stata calcolata la prevalenza, con un livello di confidenza del 95% (L.C. 95%), e relativi intervalli (I.C. 95%) sul totale dei campioni e distintamente per l’azienda A e l’azienda B.Tramite l’analisi univariata è stata valutata la differenza tra le prevalenze delle due aziende.Inoltre è stata valutata l’associazione tra la presenza di C. difficile e i fattori di rischio (età dei vitelli, categorizzate in classi e diarrea), attraverso il calcolo degli Odds Ratio (OR) e i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC95%), considerando significativo un p-value ≤0,05. Risultati e conclusioni C. difficile è stato isolato almeno una volta da 87 /420 animali inclusi nello studio, corrispondenti al 20,7%. La prevalenza di C. difficile al primo prelievo complessivamente è stata del 20,24% (I.C. 95%: 16,79%-24,07%). Distinguendo i dati nelle due filiere, si osserva come la prevalenza di C. difficile al primo prelievo nell’azienda A si riveli del 29,58% (I.C. 95%: 24,36%35,25%), mentre nella B si è attestata al 7,78% (I.C. 95%: 326 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 4,81%-11,93%). Questa difformità registrata non deve stupire, infatti i dati di prevalenza di C. difficile nei vitelli riportati in letteratura sono molto variabili tra il 7 e il 60%. Molteplici fattori sono stati chiamati in causa per spiegare questa variabilità, tra cui i differenti sistemi di produzione, i momenti di prelievo e metodi per evidenziare l’infezione (6,7). Nel nostro caso, sia i momenti di prelievo che i metodi impiegati sono stati gli stessi e quindi è possibile attribuire la difformità riscontrata ad un effettiva diversa diffusione del batterio nelle due filiere. Nel presente lavoro, la probabilità di eliminare C. difficile con le feci al primo prelievo era quasi 5 volte più elevata per i vitelli allevati nell’azienda A rispetto alla B (OR 4,98; limite inferiore 95% 2,70; limite superiore 95%: 9,18). E’ possibile che questa differenza di prevalenza sia legata ad una diversa contaminazione iniziale degli animali, che provenivano in entrambi i casi da fonti multiple. Un’altra ipotesi è che le condizioni di allevamento in cui si trovavano i vitelli della filiera A possano avere favorito l’infezione da C. difficile. Numerosi fattori gestionali possono avere contribuito a questa discrepanza, tra cui le pratiche igieniche, l’alimentazione, e infine i diversi trattamenti antibiotici utilizzati nella filiera A e in quella B, o negli allevamenti d’origine. Nessun campione prelevato a 150 giorni o al macello (contenuto ciecale o spugnetta da carcassa) ha invece fornito esito positivo. Sulla base di questo lavoro, quindi, l’ipotesi di una trasmissione foodborne dell’infezione non può essere confermata, anche se permangono dei rischi ipotetici per il personale di stalla. I dati relativi a ciascun momento del campionamento sono indicati in tabella 1 e grafico 1. Uno dei tre vitelli che eliminavano a 90-120 giorni, era positivo anche al prelievo precedente. La maggior parte dei vitelli è risultata positiva al primo prelievo, in prossimità della introduzione in azienda. Questo andamento può essere legato alla presenza di diversi fattori: è possibile che le caratteristiche delle aziende in esame, in particolare la presenza di pavimento grigliato o il cambiamento della dieta, rispetto a quelle di provenienza, abbiano favorito il ridursi progressivo della prevalenza. E’ anche possibile ipotizzare una maggiore sensibilità all’infezione in animali giovani, già osservata in altre specie (8,9). Valutando il momento in cui è stato effettuato il primo prelievo, è stato infatti possibile stabilire un’associazione indirettamente proporzionale tra l’età degli animali e l’eliminazione di C.difficile (tabella 2). E’ quindi possibile confermare l’età come fattore di rischio per l’infezione nel vitello, come già rilevato da altri autori (6,7,10). Infine, nel corso del presente lavoro, la presenza di diarrea al primo campionamento si è rivelata significantemente associata alla escrezione di C. difficile nelle feci (Tabella 2). Il ruolo di C. difficile come agente di diarrea nel vitello è oggetto di dibattito in letteratura (6,7,11); è possibile d’altra parte che l’associazione da noi osservata sia da attribuirsi a ragioni diverse ad un suo ruolo eziologico; è ipotizzabile, ad esempio, che l’escrezione di questo batterio aumenti durante un episodio diarroico. In conclusione, nel corso di questo lavoro l’infezione di C. difficile nella filiera del vitello a carne bianca è apparsa localizzata nelle prime fasi dopo il ristallo, e associata alla giovane età e alla presenza di diarrea. Bibliografia 1. Bauer M. P. Kuijper E. J. Van Dissel J. T. European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases (ESCMID): treatment guidance document for Clostridium difficile infection (CDI) Clinical Microbiology and Infection. 2009;15(12): 1067– 1079. 2. Keessen EC, Gaastra W, Lipman LJ. Clostridium difficile infection in humans and animals, differences and similarities. Vet Microbiol. 2011 Dec 15;153(3-4):205-17. doi: 10.1016/j. vetmic.2011.03.020. Epub 2011 Mar 26. 3. Jones AM, Kuijper EJ, Wilcox MH. Clostridium difficile: a European perspective. J Infect. 2013 Feb;66(2):115-28. 4. Bauer MP, Notermans DW, van Benthem BH, Brazier JS, Wilcox MH, Rupnik M, Monnet DL, van Dissel JT, Kuijper EJ; ECDIS Study Group. Clostridium difficile infection in Europe: a hospital-based survey. Lancet. 2011 Jan 1;377(9759):63-73. 5. International Standard Organization (ISO) ISO 17604:2003, Microbiology of food and animal feeding stuffs – Carcass sampling for microbiological analysis. 6. Arroyo LG, Rousseau J, Willey BM, Low DE, Staempfli H, McGeer A, Weese JS.Use of a selective enrichment broth to recover Clostridium difficile from stool swabs stored under different conditions. J Clin Microbiol. 2005 Oct;43(10):5341-3. 7 Lemee, L. et al. Multiplex PCR targeting tpi (triose phosphate isomerase), tcdA (toxin A), and tcdB (toxin B) genes for toxigenic culture of Clostridium difficile. J. Clin. Microbiol. 2004: 42, 5710-5714. 8. Zidaric V, Pardon B, Dos Vultos T, Deprez P, Brouwer MS, Roberts AP, Henriques AO, Rupnik M. Different antibiotic resistance and sporulation properties within multiclonal Clostridium difficile PCR ribotypes 078, 126, and 033 in a single calf farm. Appl Environ Microbiol. 2012 Dec;78(24):8515-22 9. Rodriguez-Palacios A, Koohmaraie M, LeJeune JT. Prevalence, enumeration, and antimicrobial agent resistance of Clostridium difficile in cattle at harvest in the United States.. J Food Prot. 2011 Oct;74(10):1618-24. 10. Zidaric V, Zemljic M, Janezic S, Kocuvan A, Rupnik M. High diversity of Clostridium difficile genotypes isolated from a single poultry farm producing replacement laying hens.Anaerobe. 2008 Dec;14(6):325-7. 11. Costa MC, Stämpfli HR, Arroyo LG, Pearl DL, Weese JS. Epidemiology of Clostridium difficile on a veal farm: prevalence, molecular characterization and tetracycline resistance. Vet Microbiol. 2011 Sep 28;152(3-4):379-84. 12. Hammitt MC, Bueschel DM, Keel MK, Glock RD, Cuneo P, DeYoung DW, Reggiardo C, Trinh HT, Songer JG. A possible role for Clostridium difficile in the etiology of calf enteritis.Vet Microbiol. 2008 Mar18;127(3-4):343-52. Tabella 1: risultati suddivisi per filiera di appartenenza e momento di prelievo. Filiera A+B Giorni 0-16 90-120 150 Totale Campionati 420 416 313 1159 pos 85 3 0 88 Filiera A % pos 20,23 0,72 0 7,59 Campionati 240 238 169 647 327 pos 71 2 0 73 Filiera B % pos 29,58 0,84 0 11,28 Campionati 180 178 144 502 pos 14 1 0 15 % pos 7,77 0,56 0 2,98 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI DI CLOSTRIDIUM DIFFICILE NELLA FILIERA DEL VITELLO A CARNE BIANCA Tabella 2. fattori di rischio valutati e relativi OR. Diarrea Età al prelievo Fattori di rischio XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 OR Limite inferiore 95% Limite superiore 95% P-value 46-90 giorni 1 - - - 13-28 giorni 4,57 1,98 10,53 0,000 29-35 giorni 4,16 1,79 9,69 0,001 36-45 giorni 2,79 1,17 6,67 0,021 Assenza 1 - - - Presenza 3,26 1,97 5,40 0,000 Figura 1: numero di prelievi per momento di prelievo, suddivisi in base all’esito Magistrali C.F.1, Cucco L. 1, Maresca C. 1, Tartaglia M. 1, Filippini G. 1, Broccatelli S. 1, Bano L.2, Drigo I. 2, Pezzotti G. 1 1 2 Istituto Zooprofilatico Sperimentale Umbria Marche- Perugia Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie - Treviso Key words: vitello, Clostridium difficile, prevalenza Abstract Aim of this work is to describe ribotypes, virulence determinants and antibiotic sensitivity of C. difficile isolates from veal calves in Italy. The work has been carried out on 80 isolates from six herds, belonging to two large companies in Northern Italy. Isolates were typed for ribotype, virulence determinants and finally for antibiotic sensitivity using a E-test method. 76/80 isolates belong to 4 ribotypes only, and 54% of them to 078. Genes codifying for the major toxins were found: in particular, Tox B was very common, with 91% of the isolates positive for this virulent factor. The profile shown by the 078 isolates (43/43) was ToxA/ToxB/binary toxin/ 39 bp deletion of tcdC. These isolates were resistant to 5/6 tested antimicrobials and, more generally, an association between resistance and ribotype was shown. These findings support the hypothesis that calves, among other animal species, could act as a reservoir for hyper virulent strains of C. difficile. Introduzione Clostridium difficile è un batterio gram positivo, sporigeno ed anaerobio oggi considerato come una delle cause più frequenti di infezioni nosocomiali (1). Tradizionalmente, la popolazione a rischio è costituita da soggetti anziani, ospedalizzati e che avevano subito un trattamento antibiotico. Tuttavia, nel corso degli ultimi 10 anni, si è assistito ad un aumento di segnalazioni di casi senza esposizione ai fattori di rischio, in pazienti della comunità, correlata alla comparsa di alcuni ribotipi ipervirulenti, quali lo 027 e il 078 (2). Il ribotipo 078 è considerato dominante in alcune specie di animali domestici, quali il suino e il bovino (3): di conseguenza, è stato ipotizzato un ruolo da reservoir di queste specie. In un altro lavoro, abbiamo riportato la prevalenza di C. difficile in allevamenti della filiera del vitello a carne bianca in Italia: le informazioni relative al ribotipo, tossinotipo e antibiotico resistenza in questa categoria produttiva sono tuttavia ancora lacunose. Scopo di questo lavoro è stato caratterizzare isolati di C. difficile in allevamenti italiani di vitello a carne bianca, valutandone l’appartenenza ai diversi ribotipi, la presenza di geni codificanti per le principali tossine ed infine la sensibilità agli antimicrobici. Materiali e metodi Isolati: nel corso del presente lavoro, sono stati esaminati 79 stipiti di C. difficile, da altrettanti vitelli. Questi isolati corrispondevano a quelli ottenuti in un precedente lavoro sulla prevalenza di C. difficile nella filiera del vitello a carne bianca. Il lavoro, condotto da febbraio 2012 a ottobre 2012, ha interessato sei allevamenti afferenti a due filiere: la filiera A ha ospitato in media 6700 vitelli nel periodo del lavoro, mentre la filiera B 3800. In entrambe le filiere, nel periodo del lavoro sono stati utilizzati antibiotici per metafilassi o terapia in tutti gli animali sottoposti a prelievo. Sono stati utilizzati aminoglicosidi, beta lattamici, chinoloni, florfenicolo, lincosamidi , macrolidi, 328 polimixine, sulfamidici e tetraciciline, in percentuali variabili. In particolare, tutti gli animali hanno ricevuto un trattamento con sulfamidici e tetracicline, mentre l’impiego di beta lattamici e delle polimixine era diffuso nella filiera A, quello dei chinoloni e dei macrolidi nella filiera B. 1 g di feci o di contenuto ciecale è stato coltivato seguendo il protocollo di Arroyo (4), modificato; per informazioni dettagliate relative all’isolamento dei ceppi si rimanda al lavoro indicato. PCR-ribotipizzazione. La ribotipizzazione è stata eseguita come descritto da Bidet et al. (5). Tale metodica ha previsto l’amplificazione dello spazio intergenico tra l’rDNA 16S e 23S attraverso l’utilizzo di specifici primers e la separazione dei vari frammenti in gel di agarosio. Rilevazione dei geni codificanti le tossine. la presenza dei geni tcdA e tcdB è stata evidenziata mediante il metodo descritto da Lemee et al. (6) mentre per la rilevazione dei geni codificanti la tossina binari è stato adottato il protocollo proposto da Stubbs et al. (7) Analisi del gene regolatore tcdC. Per la rilevazione delle eventuali delezioni a carico del gene tcdC è stato utilizzato il protocollo descritto da Antikainen et al. (8) Sensibilità agli antimicrobici: 82 isolati sono stati sottoposti a test per la valutazione della sensibilità ad Ampicillina, Clindamicina, Cloramfenicolo, Enrofloxacin, Eritromicina e Tetraciclina, utilizzando il metodo E-test (Biomerieux), su piastre di Agar Brucella (Becton Dickinson) addizionato con sangue lisato di cavallo al 5%. Le piastre sono state incubate in condizioni di anaerobiosi (H2-CO2-N2, 5,5 e 90%) per 48 ore, e successivamente lette ad occhio nudo. Bacteroides fragilis (ATCC 25285) è stato usato come controllo di qualità, verificando che i risultati si collocassero negli intervalli indicati dalle norme M11-A6 (9). I breakpoint per l’interpretazione dei risultati sono stati derivati dallo stesso documento o, quando non presenti, derivati da pubblicazioni (10). Sono stati giudicali come multi resistenti gli stipiti che presentavano resistenza a 3 o più antimicrobici. Risultati e conclusioni I dati relativi alla distribuzione dei diversi ribotipi all’interno delle due filiere sono indicati in tabella 2. Sono stati rilevati 8 ribotipi differenti, dei quali 5 erano presenti in entrambe le filiere. Per quanto riguarda la diffusione dei ribotipi, questa è apparsa simile, ad eccezione del ribotipo 033, isolato da cinque soggetti nella filiera B, e solo una volta nella filiera A. 76/80 isolati appartengono a soli quattro ribotipi, 078, 012, 126 e 033. In particolare, si è osservata una prevalenza del ribotipo 078, isolato nel 54% dei casi: il ribotipo 078 è riconosciuto come ribotipo dominante in molte specie animali, tra cui il bovino. I ribotipi 078, 012 e 126 sono inoltre compresi nell’elenco dei ribotipi più comunemente isolati negli ospedali europei, sulla base di un recente lavoro (3). In particolare, il ribotipo 078 è considerato emergente in Europa, ed è stato isolato da circa 329 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 un terzo dei casi di CDI nell’uomo (3). Per quanto riguarda la distribuzione dei geni codificanti per le principali tossine, questa è indicata in tabella 3: 73/80 stipiti, e tutti quelli appartenenti ai ribotipi 078, 012 e 126, sono risultati positivi per ToxB, che rappresenta il principale marker di patogenicità. L’analisi per la ricerca della delezione 39 bp di tcdC, che conferisce maggiore patogenicità, legata ad un aumento della produzione di tossine, ha rivelato la sua presenza in 62 isolati . Quest’ultima era prevalente dei ribotipi 078 (43/43), 033 (6/6) e 126 (11/11), mentre i ceppi appartenenti al ribotipo 012, TV43 e TV42 non presentavano delezioni del gene regolatore tcdC. Il Per quanto riguarda la sensibilità agli antimicrobici, le MIC90 registrate per clindamicina, eritromicina e tetraciclina si collocavano a valori >256 mg/ml, quello di ampicillina a 4 mg/ml, cloramfenicolo a 8 mg/ml e infine enrofloxacin a >32 mg/ml. Analizzando i dati sulla base dei breakpoint riportati in letteratura, il 27% degli stipiti è risultato sensibile ad ampicillina, il 6% a clindamicina, il 95% a cloramfenicolo, il 5% ad eritromicina e il 2% a tetraciclina. La distribuzione delle sensibilità sembra essere correlata al ribotipo: infatti, il profilo di resistenze più comune registrato per 078 è stato: clindamicina/cloramfenicolo/enrofloxacin/eritromicina/ tetraciclina. La quasi totalità degli isolati appartenenti al ribotipo 012 (14/15) è risultata resistente ad ampicillina, mentre gli unici sei isolati sensibili alla eritromicina appartenevano al ribotipo 033. La presenza di antibiotico resistenza nei ceppi di C. difficile isolati dal vitello è stata segnalata da diversi autori e sembra essere correlata con l’impiego di antimicrobici in allevamento. Negli allevamenti oggetto di studio, il diffuso utilizzo di antimicrobici può avere determinato un vantaggio selettivo per gli stipiti resistenti. Concludendo, nel presente lavoro si è descritta la presenza di ceppi dotati di numerosi determinanti di virulenza e resistenti agli antimicrobici nella filiera del vitello a carne bianca in Italia. Sulla base di questi dati è quindi possibile sospettare un possibile ruolo del vitello a carne bianca come reservoir di ceppi ipervirulenti. Bibliografia 1. Keessen EC, Gaastra W, Lipman LJ. Clostridium difficile infection in humans and animals, differences and similarities. Vet Microbiol. 2011 Dec 15;153(3-4):205-17. doi: 10.1016/j. vetmic.2011.03.020. Epub 2011 Mar 26. 2. Jones AM, Kuijper EJ, Wilcox MH. Clostridium difficile: a European perspective. J Infect. 2013 Feb;66(2):115-28. 3. Bauer MP, Notermans DW, van Benthem BH, Brazier JS, Wilcox MH, Rupnik M, Monnet DL, van Dissel JT, Kuijper EJ; ECDIS Study Group. Clostridium difficile infection in Europe: a hospital-based survey. Lancet. 2011;377(9759):63-73. 4. Arroyo LG, Rousseau J, Willey BM, Low DE, Staempfli H, McGeer A, Weese JS.Use of a selective enrichment broth to recover Clostridium difficile from stool swabs stored under different conditions. J Clin Microbiol. 2005 Oct;43(10):5341-3. 5. Bidet, P., Barbut, F., Lalande, V., Burghoffer, B. & Petit, J. C. Development of a new PCR-ribotyping method for Clostridium difficile based on ribosomal RNA gene sequencing. FEMS XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Microbiol. Lett. 1999; 175, 261-266. 6.Lemee, L. et al. Multiplex PCR targeting tpi (triose phosphate isomerase), tcdA (toxin A), and tcdB (toxin B) genes for toxigenic culture of Clostridium difficile. J. Clin. Microbiol. 2004: 42, 5710-5714. 7. Stubbs, S. et al. Production of actin-specific ADPribosyltransferase (binary toxin) by strains of Clostridium difficile. FEMS Microbiol. Lett.2000; 186, 307-312. 8. Antikainen, J. et al. Detection of virulence genes of Clostridium difficile by multiplex PCR. APMIS 2009; 117, 607-613. 9. Clinical and Laboratory Standards Institute (CLSI). Methods for antimicrobial susceptibility testiting of anaerobic bacteria; approved standard-Sixth edition M11-A6 6th ed. Wayne, PA: CLSI; 2004. 10. Peláez T, Alcalá L, Blanco JL, Alvarez-Pérez S, Marín M, Martín-López A, Catalán P, Reigadas E, García ME, Bouza E. (2013) Characterization of swine isolates of Clostridium difficile in Spain: A potential source of epidemic multidrug resistant strains? Anaerobe: 45-9. Tabella 1. distribuzione dei diversi ribotipi, suddivisi per filiera. Ribotipo RT-078 Filiera A Filiera B Totale N % N. % N. % 37 56,0% 6 42,9% 43 53,8% RT-012 14 21,2% 1 7,1% 15 18 8% RT-126 11 16,7% 1 7,1% 12 15,0% RT-033 1 1,5% 5 35,7% 6 7,5% TV40 1 1,5% - - 1 1,2% TV41 1 1,5% - - 1 1,2% TV42 - - 1 7,1% 1 1,2% TV43 1 1,5% - - 1 1,2% Totale 66 100% 14 100% 80 100,0% Tabella 2: distribuzione dei geni codificanti per le principali tossine, distinte per ribotipo 330 Ribotipo Totale Tox A Tox B CDT RT-078 43 43 43 43 RT-012 15 15 15 3 RT-126 12 - 12 12 RT-033 6 6 - 6 TV40 1 - - - TV41 1 1 1 1 TV42 1 1 1 - TV43 1 1 1 - Total 80 66 73 65 SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA DEI MICRORGANISMI PATOGENI DI INTERESSE ALIMENTARE Malanga M. 1, Bertasi B.1, Pavoni E.1, Losio M. N.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Via Bianchi, 9 – 25124 Brescia Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare 1 Key words: food-borne pathogens, vegetables, PCR SUMMARY The main goal of this work was to standardize common procedures of pathogens isolation and detection in raw and ready to eat (RTE) vegetables, and to activate a dynamic system able to collect the informations regarding the characteristics of isolated strains. These informations are an important tool to track the microorganisms in food and to compare food strains with human strains, isolated in case of human disease. The work is focused not only on bacterial strains, but also on viral strains, widely recognized as one of the most important causes of human gastroenteritis. INTRODUZIONE L’analisi del rischio è ampiamente riconosciuta come la principale metodologia alla base della messa a punto di standard di sicurezza alimentare. Ciò è ovviamente condizionato da una corretta valutazione del rischio che tenga conto dei pericoli riconosciuti a livello di tutte le fasi della catena alimentare. I metodi colturali utilizzati in ambito microbiologico non sono infatti caratterizzati da un livello di sensibilità tale da poter consentire di stabilire livelli di attenzione; di contro, va sottolineato come i metodi molecolari in uso, a causa di un’elevata variabilità e di una scarsità di metodiche validate, producano frequentemente risultati poco confrontabili e quindi inutilizzabili in ambito di analisi del rischio. Tali problematiche, seppure vere per tutti i patogeni di natura batterica, sono ancora più accentuate per i virus, data la completa assenza di metodi di riferimento (eccezion fatta per la ISO-TS 15216/2 (1)) e la loro scarsa capacità di replicare in colture cellulari. Una corretta valutazione epidemiologica della circolazione dei patogeni non può prescindere da una caratterizzazione degli stessi che si limiti alle tradizionali valutazioni di ordine biochimico e morfologico; attualmente, esistono altri approcci, che consentono una più fine caratterizzazione su base molecolare. Tali metodi, tuttavia, producono risultati non sempre confrontabili con quelli prodotti da altri metodi simili e con quelli relativi ad informazioni di ordine fenotipico. Pertanto, è rilevante poter disporre di un sistema in grado di organizzare tutte le informazioni connesse ad ogni singolo ceppo e di stabilire, sulla base della tecnica molecolare impiegata, le percentuali di similitudine tra i diversi ceppi. Quest’ ultimo approccio, che si basa sul confronto dei dati di ribotipizzazione automatica (2) e di Pulsed Field Gel Electrophoresis (PFGE) (3 ) permette di ideare un nuovo sistema dinamico in grado di fornire utili e dettagliate informazioni sulla tipizzazione dei ceppi. In questo contesto sono stati presi in considerazione i prodotti vegetali di I e di IV gamma che, a causa della loro facile deperibilità e della potenziale presenza di microrganismi patogeni, potrebbero rappresentare un rischio per il consumatore. La vita commerciale dei prodotti di IV gamma dipende dalle caratteristiche organolettiche dei diversi vegetali, ma anche dal sistema di produzione, dalla loro conservazione e dalla gestione del prodotto da parte del consumatore. Una shelflife media per le insalate è dell’ordine di una settimana. In generale, la microbiologia e la fisiologia di questi prodotti portano ad escludere tentativi di prolungamento della shelf-life oltre i limiti accettabili, al fine di evitare fenomeni di deperimento o di sviluppo dei patogeni oltre i limiti consentiti. Scopo di questo studio è stato quello di verificare la presenza dei principali patogeni alimentari (Salmonella spp., L. monocytogenes, E.coli O157:H7, Campylobacter jejuni, coli e lari, Y. Enterocolitica, Norovirus, Enterovirus, virus dell’epatite A-HAV) in prodotti vegetali di I e IV gamma disponibili sul mercato italiano, al fine di valutare il rischio sanitario associato al loro consumo. MATERIALI E METODI Nel periodo tra gennaio 2010 e febbraio 2012 è stato eseguito un piano di monitoraggio sulle matrici vegetali, svolgendo analisi per i principali patogeni batterici. Le analisi sono state eseguite presso L’istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER) di Brescia, laboratorio di Microbiologia e Virologia degli Alimenti. In totale, sono stati analizzati 399 campioni di cui 193 di I gamma e 206 di IV gamma. Di questi, 399 sono stati analizzati per la presenza di virus enterici e parassiti, mentre 354 per i microrganismi batterici. Le analisi virali sono state eseguite secondo metodiche biomolecolari e, per quanto riguarda i batteri, sono state svolte in parallelo anche quelle di microbiologia tradizionale (in accordo alle norme ISO in vigore). RISULTATI E CONCLUSIONI Su 399 campioni analizzati per contaminazioni virali, 12 campioni sono risultati positivi per HAV (3%), 9 per Enterovirus (2,3%), 1 per Calicivirus (0,3%), 6 per Rotavirus (1,5%), e 2 per HEV (0,5%). Inoltre, 2 campioni sono risultati positivi in PCR per Toxoplasma gondii (0,5%) ed 1 per Cryptosporidum parvum (0,3%) (Tabella 1). Il campione positivo in PCR Real time per Listeria monocytogenes, non è stato confermato in coltura. Viceversa, Y. Enterocolitica, negativa tramite PCR real time, è stata rilevata in 10 campioni con i metodi culturali tradizionali (Tabella 2). 331 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1 - risultati analisi virologiche e batteriologiche mediante PCR e PCR Real time (*) POSITIVI IN PCR NEGATIVI IN PCR ANALIZZATI 12 (3%) 387 399 HAV Enterovirus 9 (2,3%) 390 399 Calicivirus 1 (0,3%) 398 399 Norov GI – GII* 0 399 399 Rotavirus 6 (1,5%) 333 399 HEV 2 (0,5%) 397 399 Toxoplasma gondii 2 (0,5%) 397 399 C. parvum 1 (0,3%) 398 399 Y. Enterocolitica* 0 354 354 L.Monocytogenes* 1 (0,3%) 353 354 Salmonella spp* 0 354 354 Campylobacter* 0 354 354 E.Coli O157:H7* 0 354 354 Tabella 2 – risultati delle analisi batteriologiche eseguite mediante metodi ISO POSITIVI NEGATIVI ANALIZZATI Y. Enterocolitica (ISO 10273:2003) 10 (3,7%) 261 271 Y. Intermedia (ISO 10273:2003) 1 (0,4%) 270 271 L. Monocytogenes (ISO 11290 parte 1:2004) 0 271 271 0 271 271 0 271 271 0 221 221 Salmonella spp (ISO 6579: 2002) Campylobacter termotolleranti (ISO 10272 1:2006) E. Coli O157:H7 (ISO 16654) Uno degli obiettivi del lavoro è stato quello di verificare l’applicabilità, nello screening di campioni alimentari di origine vegetale, di metodi biomolecolari. Il disegno sperimentale ha avuto come obiettivo l’osservazione del processo produttivo dei prodotti vegetali RTE (IV gamma), eseguendo le analisi microbiologiche sia sui lotti di I gamma che sui lotti trasformati in IV gamma. Le analisi eseguite con metodi molecolari hanno dimostrato una maggiore contaminazione nei prodotti di I gamma (23 campioni) di cui 9 solo per HAV, 6 per Enterovirus, 3 per Rotavirus, 2 di HEV, 2 di Toxoplasma Gondii e 1 di L. monocytogenes. Per quel che riguarda la IV gamma sono stati ritrovati 11 campioni positivi , 3 in HAV, 3 in Enterovirus, 3 in Rotavirus, 1 in Calicivirus e 1 in C.Parvum (Tabella 3). Questo dato risulta in linea con le aspettative, dal momento che le matrici di I gamma sono vendute senza fasi di processamento dopo la raccolta (4). Al contrario, la positività degli 11 campioni di IV gamma ha indotto a considerare che nei sistemi di individuazione e gestione del rischio da parte delle aziende produttrici (HACCP-Hazard Analysis and Critical Control Point), vi siano ancora carenze da correggere e superare, soprattutto nella fase di lavaggio e mondatura. Un obiettivo del lavoro è stato quello di verificare il grado di contaminazione dei prodotti vegetali attraverso un cospicuo campionamento: i lotti analizzati hanno evidenziato una qualità igienico-sanitaria medio-alta degli stessi. Questo risultato deve comunque essere interpretato anche in relazione alle aziende coinvolte nello studio, che spesso si sono presentate come leader del settore dei vegetali freschi. Altre aziende, seppur di piccole-medie dimensioni, hanno dimostrato comunque una qualità elevata dei loro prodotti. Non tutte le positività in Real-Time PCR sono state confermate con i metodi colturali tradizionali. In generale, i metodi molecolari sono caratterizzati da una maggiore sensibilità. Tuttavia, poiché non danno informazioni circa la vitalità dei microrganismi, necessitano di conferma mediante metodi colturali tradizionali, che permettono al contrario, di isolare il microrganismo vivo e vitale. I dati ottenuti, saranno impiegati per l’attivazione dell’analisi del rischio associate ad alimenti di origine vegetale. Inoltre, l’attivazione di piani di controllo finalizzati, contribuisce a definire meglio i livelli di esposizione ai maggiori contaminanti microbiologici a cui la popolazione è esposta. Queste informazioni saranno quindi utilizzate allo scopo di dare sempre maggiori garanzie di “sicurezza alimentare” attraverso l’attuazione di tutte le misure in grado di impedire o ridurre il verificarsi di condizioni di esposizione a livelli di rischio inaccettabili. Attualmente sono in corso, le analisi dei profili di fingerprinting della ribotipizzazione e della PFGE, al fine di implementare i dati di filogenesi ed i dendogrammi riferibili ai campioni contaminati con i patogeni maggiormente ricorrenti. BIBLIOGRAFIA Tabella 3-distribuzione dei campioni positivi per tipologia di matrice HAV Campioni I Gamma 9 Campioni IV Gamma 3 Enterovirus) 6 3 Calicivirus 0 1 Rotavirus 3 3 HEV 2 0 Toxoplasma gondii 2 0 L.Monocytogenes 1 0 C. parvum 0 1 j 332 1. ISO-TS 15216/2. Microbiology of food and animal feed – Horizontal method for determination of hepatitis A virus and norovirus in food using real time PCR. Part 2: method for qualitative detection. 2. Ryu C.S., Czajka J.W., Sakamoto M., Benno Y. “Characterization of the Lactobacillus casei group and the Lactobacillus acidophilus group by automated ribotipyping”. Microbiol Immunol 45(4) 271-275 (2001). 3. One day (24 – 48 h) Standardized laboratory Protocol for Molecular Subtyping of Escherichia Coli O157:H7, Salmonella Sonnei, and Shighella flexnery by Pulsed Field gel Electrophoresis (PFGE): NulseNet USA. ( h t t p : / / w w w. p u l s e n e t i n t e r n a t i o n a l . o r g / SiteCollectionDocuments/pfge/5%201PNetStand E Coli whith Sflexneri. pdf) 4. Warriner K, Ibrahim F, Dickinson M, Wright C and Waites WM, 2003. Internalization of human pathogens within growing salad vegetables. Biotechnol Genet Eng Rev, 20, 117-134. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ZANZARE ESOTICHE (AEDES) NEI PORTI PUGLIESI: RISULTATI PRELIMINARI DI UNO STUDIO PILOTA Mancini G.1, Chiocco D.1, Galante D.1, Palmisano L.2, Raele D.1, Nardella La Porta C.1, Schino G.1, Cafiero M.A.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Entomologia Sanitaria, Via Manfredonia, 20 - 71121 Foggia 2 Ufficio di Sanità Marittima e Aerea di Bari, Unità di Taranto, Ufficio periferico del Ministero della Salute, Porto Mercantile 74123 Taranto Key words: invasive mosquitoes, seaports, traffics SUMMARY People’s increased mobility and international trade play important roles in the dissemination of vectors and their pathogens. Taranto and Bari seaports (Italy, Apulia region) were surveyed for mosquitoes. A questionnaire was used to gather baseline informations on traffics (passenger and commercial). A total of 570 mosquitoes were collected. All of them were endemic and locally common, with a prevalence of Culex pipiens and Aedes albopictus. Imported tyres and ornamental plants from Asia were registered at these sites. Mosquitoes surveillance at ports in Italy is an important tool in our ability to deal swiftly with invasions of aedinae mosquitoes. INTRODUZIONE Il fenomeno delle invasioni da parte di organismi biologici alloctoni è in costante espansione, per via della movimentazione globale di merci e persone e per i cambiamenti climatici. Nel caso di zanzare esotiche del genere Aedes (Ae.), esso può rappresentare un serio problema sanitario per le popolazioni animali e l’uomo, con ragguardevoli costi economici e sociali. Capaci di spostarsi passivamente anche molto lontano dai paesi di origine, attraverso il traffico di alcune merci (pneumatici e piante ornamentali), numerose specie sono caratterizzate da spiccata attività ematofaga, antropofilia e competenza nei confronti di diversi virus zoonotici (Febbre Gialla, Dengue, Chikungunya) originari di Paesi tropicali che però, in era di globalizzazione, sempre più spesso sono segnalati in territorio europeo, al pari dei loro vettori. Ne è un esempio la zanzara asiatica Ae. albopictus ormai presente in alte densità in molti Paesi, Italia inclusa, dove a partire dal momento del suo primo ingresso (Porto di Genova) nel 1990 con l’importazione di pneumatici usati, in poco più di un ventennio ha invaso la maggior parte delle città italiane. In Emilia Romagna nel 2007, essa ha contribuito al primo outbreak europeo di focolaio autoctono di una patologia tropicale (Chikungunya) trasmessa da vettori, passando da “fastidioso” insetto a pericoloso vettore di Arbovirus. Nell’occasione, il rilevamento del virus in popolazioni locali di Ae. albopictus (1) ha confermato il ruolo di questo culicide come principale vettore della malattia. Altre specie del genere Aedes, tuttavia, sono state occasionalmente registrate in diversi paesi Europei: Ae. japonicus in Francia e Belgio, Ae. atropalpus in Olanda e in Italia, Ae. aegypti in Olanda e Portogallo, Ae. koreicus recentemente in Nord Italia (2). Anche se, in alcuni di questi casi, gli interventi messi in atto hanno permesso di eradicare i focolai, il rischio di importare nuove popolazioni è alto, soprattutto in Italia, dove condizioni geografiche, paesaggistiche, ambientali e climatiche di molte regioni risultano particolarmente favorevoli a tali vettori. Il territorio pugliese appare particolarmente vulnerabile per la presenza di molte di queste caratteristiche (posizione, clima, sviluppo costiero, ecc.) e di numerosi porti. Anche se, attualmente, tra i culicidi del genere Aedes è registrata in Puglia la sola specie Ae. albopictus, con importanti livelli di infestazione in numerose città costiere (Cafiero, dati IZSPB), temuto è l’ingresso di Ae. aegypti (3), già segnalata nei porti pugliesi di Bari e Taranto, nel periodo successivo al primo conflitto mondiale (4). Porti e aeroporti rappresentano la principale via di entrata di vettori e patogeni esotici, come evidenziato da diversi organismi scientifici anche in Italia, che raccomandano azioni di sorveglianza e controllo sempre più mirate (5). Sulla base di queste considerazioni è stato intrapreso uno studio (2012-2013) epidemiologico sui culicidi esotici in alcuni porti e aeroporti pugliesi, finalizzato alla conoscenza dei principali fattori di rischio correlati all’introduzione di zanzare Aedes e di cui si riportano i risultati preliminari relativi alle sedi portuali. MATERIALI E METODI - Aree di studio - Bari Porto (BA) (latitudine 41°08’17’’ longitudine 16°50’40’’) situato a nord-ovest della omonima città vecchia è uno scalo polivalente per navi commerciali (cargo, portacointainers), passeggeri (traghetti e navi da crociera) e in misura ridotta per pescherecci, navi militari, rimorchiatori. E’ lo scalo commerciale meridionale più importante nei rapporti con i mercati balcanici e del Medio Oriente. Taranto Porto (TA) (latitudine 40°27’N longitudine 17°12’E) situato nell’omonimo golfo è un porto naturale che consta di una rada grande (Mar Grande) e una interna minore (Mar Piccolo), sede quest’ultima della Marina Militare. In prossimità della rotta Suez-Gibilterra e in posizione strategica rispetto alle rotte principali Oriente-Occidente, si estende per 350.000 km2 ed è essenzialmente un porto mercantile (commerciale, industriale, area Terminal Cointainer) con parte delle banchine in concessione a Industrie Siderurgiche ILVA S.p.A, Raffinerie ENI S.p.A., Cementificio Cementir. E’ tra i maggiori di Italia e Europa per traffico di merci gestito. - Questionari - Redatti un questionario generale (Q.G.) e uno di approfondimento (Q.A.). Il Q.G. si prefiggeva di acquisire informazioni (organizzazione, struttura del traffico, tratte, tipologie di merci importate e loro provenienza, ecc.) utili ad avere un quadro conoscitivo delle predette realtà portuali ed è stato sottoposto alle rispettive Autorità Portuali e alla Dogana (Direzione Interregionale delle Dogane per la Puglia, Molise e Basilicata - D.I.D.P.M.B). Il Q.A. intendeva acquisire specifiche info (tipo di trasporto e imballaggio, quantità importate, certificazioni, ecc.) sull’importazione di merci epidemiologicamente rilevanti ai fini dell’introduzione di culicidi esotici, quali “pneumatici” e “piante ornamentali” ed è stato sottoposto al D.I.D.P.M.B. e, limitatamente alla merce “piante ornamentali”, anche a Osservatorio Fitosanitario 333 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Regionale (O.F.R.). - Monitoraggio entomologico - Sopralluoghi con Veterinari PIF, tecnici dell’USMAF e membri della Capitaneria di Porto: - Culicidi adulti: selezionato 1 sito in ciascun porto per il posizionamento di 2 trappole (1 BG-Sentinel® e 1 CDC Miniature light-trap) per un totale di 4 trappole, attive da luglio a ottobre 2012/2013 per 5 giorni consecutivi (lun.ven.) a settimana. Le raccolte, suddivise in base a luogo, data, tipologia di trappola, erano trasportate in contenitori refrigerati (+4oC) presso l’ IZSPB di Foggia. L’identificazione è avvenuta in base alle chiavi morfologiche di Severini F. et al. (6). Gli esemplari identificati sono stati conservati a -80°C per la ricerca di patogeni tramite PCR. - Stadi preimaginali: individuati 2 siti nel porto di Bari (approdo navi merci/containers) e 1 sito a Taranto (approdo navi merci) per posizionamento di 15 ovitrappole/sito, recuperate settimanalmente da Luglio ad Agosto (2012), per un totale di 120 bicchieri/BA e 60bicchieri/TA. RISULTATI E CONCLUSIONI L’analisi dei questionari ha consentito di ottenere le seguenti informazioni: Bari Porto Rotte: Mediterraneo (cargo, portacointainers, traghetti, crociera, militari, pescherecci), Atlantico-europee (cargo, crociera, militari, pescherecci), extraeuropee con Asia, Africa, America (cargo, crociera, militari). Traffico passeggeri (2010,2011); poco meno di 2 milioni (soprattutto da/verso l’opposta sponda Adriatica) di cui un quarto croceristi; traffico merci (2010,2011): circa 5 milioni di tonnellate, per metà merci rinfuse solide (cereali quasi per la metà) e per metà merci in cointainers. Pneumatici (2012): nuovi (119.600 pezzi) da Turchia, Cina e Serbia che giungono con navi containers/cargo sfusi e/o con imballaggi in plastica. Piante, incluse le ornamentali (2012): giungono in casse di legno in cointainers (318 t.) da Asia (Cina, Taiwan) e Albania; quasi tutte sono destinate a vivai pugliesi. Taranto Porto - Rotte:Mediterraneo (cargo, portacointainers, poche altre varie), Atlantico-europee (cargo e portacointainers, poche altre varie), extraeuropee con Asia, Africa, America (cargo e portacointainers, militari). Traffico passeggeri (2012): poco rilevante (5 navi da crociera, 500 crocieristi in totale). Traffico merci: circa 35/40/35 milioni di tonnellate per gli anni 2010/2011/2012 rispettivamente, di cui 20% in contenitori. Trattasi per lo più di merci rinfuse per siderurgia, raffinerie, cementifici. Pneumatici (2012):nuovi (2.161t.) da Asia (Cina, India, Tailandia, Taiwan, Corea, Arabia, Giappone, Israele) che giungono sfusi e/o con imballaggi in plastica. Piante (449t.), incluse le ornamentali da Asia (Cina, Tailandia, Taiwan); parte è destinata a vivai pugliesi. Ai fini dello sdoganamento, i controlli sulle merci riguardano esclusivamente la regolarità della fornitura e, limitatamente alle piante, la ricerca di fitopatogeni. Catture entomologiche - risultati relativi ad anno 2012: Catturati in totale 570 culicidi adulti di cui 235 nel porto di Bari e 335 nel porto di Taranto. Gli esemplari catturati sono risultati appartenenti a 4 generi diversi tra cui Aedes (40/570) (BA 13/40; TA 27/40), Culex (517/570) (BA 214/517; TA 303/517), Culiseta (4/570) (BA 4/4; TA 0/4), Ochlerotatus (1/570) (BA 0/1; TA 1/1) e a 4 specie differenti rappresentate da Aedes albopictus (40/570), Culiseta longiareolata (4/570), Ochlerotatus caspius (1/570) e Culex pipiens “zanzara comune” (488/570) (BA 195/488; TA 293/488). Per 8/570 esemplari è stato possibile definire solo la sottofamiglia Culicinae e 29/570 Culex spp. Sono in corso analisi molecolari per la ricerca di patogeni. Ovitrappole: recuperate in totale 50 bacchette (20/50BA e 30/50TA) di cui 18/50 positive (07/18BA e 11/18TA), appartenenti a 3 differenti raccolte. Studi epidemiologici hanno dimostrato che, in tutti i paesi Europei, il primo ingresso di Ae. albopictus e di altre specie di zanzare Aedes è avvenuto con l’importazione da Paesi asiatici di pneumatici usati e piante ornamentali (Agavacaee, Bromeliacaee) infestate. Le informazioni rilevate dalla nostra indagine evidenziano che questa tipologia di merci entra dall’Asia anche nei porti di Bari e Taranto. Manca, inoltre, l’evidenza di controlli e disinfestazioni nei confronti di questi insetti, sia prima dell’ imbarco che a destinazione (Italia). Tali informazioni, indispensabili per valutare il rischio di introduzione di vettori esotici in un territorio, ci consentono di affermare che la Puglia è esposta a tale evento. E la importazione di soli pneumatici nuovi e provvisti di imballaggi in plastica, non elimina certo il rischio; non è escluso, infatti, che la merce in attesa di essere imbarcata, permanga all’aperto senza coperture protettive, con la possibilità che femmine di Aedes possano ovodeporre prima delle operazioni di imballaggio e imbarco e essere così trasferite passivamente in nuovi territori. Tra i due porti monitorati, quello di Taranto sembra più esposto a tale rischio, sia per la maggiore quantità di prodotto importato, sia per il numero superiore di Paesi asiatici da cui importa. Il rischio di introduzione di questi vettori con navi passeggeri, sembrerebbe ridotto nel Porto di Taranto, essenzialmente commerciale; in quello di Bari, che movimenta passeggeri e loro mezzi soprattutto verso/da i Paesi della opposta sponda adriatica, potrebbe essere particolarmente facilitato lo scambio di popolazioni di Ae. albopictus. Relativamente al monitoraggio entomologico, come prevedibile, i risultati hanno confermato la presenza, in entrambi i porti, di zanzare esotiche Aedes, limitatamente però alla specie Ae. albopictus (uova e adulti). Tale insetto, rilevato sia nella città che nel porto di Bari alcuni anni fa (Romi e Otranto, com. pers.), per la prima volta viene segnalato anche nel porto di Taranto e si conferma capace di riprodursi anche in habitats portuali. Il lavoro di trappollaggio è stato il frutto di un ovvio compromesso tra le esigenze di ricerca e quelle più strettamente pratiche e di gestione sicura dello strumentario, giustificando, in parte, il ridotto numero di trappole utilizzate. Nel monitoraggio con ovitrappole, difficoltà sono state riscontrate nella fase di recupero. Molti barattoli, infatti, risultavano spostati, dispersi e capovolti per la continua movimentazione di mezzi legata alle molteplici attività portuali, ma senza dubbio sono da ricercare altri elementi di disturbo. La carenza di personale dedicato e in loco, che quotidianamente accertasse il regolare posizionamento delle ovitrappole, ci ha indotto ad interrompere questo tipo di monitoraggio, pur nella consapevolezza che, lo stesso, permetterebbe di diagnosticare precocemente l’eventuale insediamento in area portuale di ulteriori specie di zanzare Aedes. In considerazione del rischio sanitario correlato all’introduzione di alcune merci, sarebbe importante obbligare il paese esportatore ad effettuare e certificare su questi prodotti, controlli e disinfestazioni nei confronti di insetti vettori; in mancanza, tali operazioni dovrebbero essere previste all’arrivo del carico nei porti. Tutto ciò, tuttavia, presuppone in primo luogo la conoscenza e il mantenimento di un livello alto di attenzione al problema da parte di 334 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 diverse Istituzioni e Ministeri che dovrebbero interagire con il Ministero della Salute per l’individuazione e adozione delle opportune strategie. È infatti necessaria la mobilitazione di diverse competenze attuabile attraverso la collaborazione interprofessionale (fitopatologi, entomologi, personale di dogana, ecc.). Nella nostra esperienza, la collaborazione tra Istituto Zooprofilattico e varie Istituzioni operanti in area portuale ha favorito un costruttivo confronto e reso possibile l’individuazione e applicazione di interventi migliorativi e può essere considerata il punto di forza di questo progetto pilota. Nel pianificare gli interventi di lotta al vettore, la sorveglianza nei porti, così come negli aeroporti, appare un anello imprescindibile nella catena dei controlli da attuare per prevenire l’entrata e la diffusione di zanzare esotiche. Fondi Ministero della Salute, Ricerca Corrente 2010. Si ringraziano i Dott. Romi R. e Toma L. (Istituto Superiore di Sanità, DMIPI) per i numerosi suggerimenti forniti nel corso della ricerca. BIBLIOGRAFIA 1 Dottori M. et. al., (2008). Primo focolaio europeo autoctono di malattia tropicale trasmessa da vettori in Romagna. Praxis Vet. Vol IXXX n 1/2008: 2-9. 2 Medlock J. et al., (2012). A review on the invasive mosquitoes in Europe: ecology, public health risks and control options. Vector borne & Zoonotic Diseases, 6: 435-447. 3 Toma L. et al., (2011). Aedes aegypti: risk of introduction in Italy and strategy to detect the possible re-introduction. Veterinaria Italiana. Collana di monografie. Monografia 23, 18-26. 4 La Face L., Raffaele G. (1928). Sulla presenza della Stegomyia fasciata nell’Italia meridionale e nella Sicilia. Il Policlinico, sezione pratica, XXXV, 43, 2095. 5 Romi R. et al., (2009). Linee guida per controllo di Culicidi potenziali vettori di arbovirus in Italia. Rapp. ISTISAN 09/11,52 p. 6 Severini F. et al., (2009). Le zanzare italiane: generalità e identificazione degli adulti (Diptera, Culicidae). Fragmenta Entomologica, 41: 213-372. 335 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BATTERI LATTICI CON ATTIVITA’ ANTIBATTERICA ISOLATI DA FORMAGGI TRADIZIONALI SICILIANI Mancuso I.1, Carrozzo A.1, Ducato B.1, Todaro M. 2, Miraglia V.1, Macaluso G.1, Fiorenza G.1, Scatassa M.L.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” - Palermo 2 Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali – Università di Palermo Key words: Sicilian cheeses, lactic acid bacteria, bacteriocins SUMMARY The study was conducted on typical Sicilian cheeses made from raw cow milk (Caciocavallo Palermitano) and sheep milk (Vastedda della valle del Belice PDO e Pecorino PDO). Genotypic identification of the LAB isolates was carried out by 16S/23S rRNA sequencing. a total of 400 bacteria strains were isolated and genotypically identified as Lactobacillus spp., Lactoccoccus spp., Pediococcus spp., Leuconostoc spp., Enterococcus spp. and Streptococcus spp. Evaluation of bacteriocin-producing LAB was investigated in vitro using the “spot on the lawn” method (2) aganist Listeria monocytogenes, Staphylococcus aureus, Salmonella enteritidis and Escherichia coli. Results showed a predominance of LAB showing inhibition alone against Listeria monocytogenes. INTRODUZIONE La Sicilia vanta un ricco patrimonio di prodotti lattierocaseari tradizionali (DA 28 dicembre 1998 n. 4492) alcuni dei quali certificati DOP, caratterizzati da processi produttivi che prevedono l’utilizzo di latte crudo, caglio artigianale ed attrezzature in legno. Le tecnologie e gli ambienti di lavorazione contribuiscono alla selezione di una ricca e variegata microflora lattica autoctona che oltre a svolgere un ruolo pro-caseario per la produzione del formaggio esercita attività biocompetitiva nei confronti di eventuali microrganismi patogeni presenti (4) con favorevoli ricadute sulla sicurezza alimentare del prodotto finito. L’attività biocompetitiva si esplica anche grazie alla capacità di alcuni batteri lattici (LAB) di produrre batteriocine, molecole proteiche dotate di attività inibitoria nei confronti di microrganismi batterici, tra cui alcuni patogeni d’interesse nell’ambito della sicurezza alimentare. Scopo del presente lavoro è stato quello di isolare e genotipizzare LAB provenenti dai processi produttivi di formaggi tradizionali e DOP siciliani e ne è stata testata, in vitro, la capacità di inibire la crescita di alcuni patogeni. MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto su due formaggi DOP ovini a latte crudo, Pecorino Siciliano e Vastedda della valle del Belìce e su un formaggio bovino a latte crudo e a pasta filata, il “Caciocavallo Palermitano”. La ricerca della flora lattica è stata effettuata su campioni prelevati da 42 forme di “Caciocavallo Palermitano”, 14 Vastedda della valle del Belìce, 23 pecorini siciliani e su 11 campioni prelevati dalla superficie dei tini in legno, sette dei quali utilizzati per la produzione di “Caciocavallo Palermitano” e 4 per la Vastedda della valle del Belìce. Il campionamento della superficie dei tini in legno è stato eseguito con un metodo “non distruttivo” che prevedeva la “spazzolatura” della superficie e la raccolta del materiale risultante mediante garze sterili. Sono state utilizzate apposite “forme” in plastica preventivamente disinfettate atte a delimitare un’area di cm 10x10 comprendente sia il fondo che la parete del tino. La superficie del tino veniva strofinata con uno spazzolino sterile preventivamente inumidito con il terreno di trasporto (SSP + Tween 80) ed il materiale “spazzolato” dalla superficie veniva raccolto con una garza sterile immessa poi nel terreno di trasporto. Per l’isolamento della microflora lattica è stata utilizzata la metodica riportata dai Rapporti ISTISAN 08/36 (1). Per la ricerca dei Lattobacilli veniva utilizzato MRS agar acidificato (37°C in microaerofilia per 48h) e per i Lattococchi M17agar. (aerobiosi 30°C per 72h, ricerca dei cocchi mesofili, e 44°C per 48h, cocchi termofili). I ceppi lattici isolati risultati Gram positivi, catalasi e ossidasi negativi, sono stati crioconservati a -80°C in MRS broth + glicerolo all’80% oppure, per la conservazione a breve termine, mantenuti in piastre di MRS agar o in tubi con brodo MRS a temperatura di refrigerazione (4°C) ed identificati genotipicamente mediante PCR. L’amplificazione di una porzione di circa 350-bp del 16S rRNA è stata realizzata utilizzando i primer ITS For [5’-GTC GTA ACA AGG TAG CCG TA -3’] e ITS Rev [5’-GCC AAG GCA TCC ACC -3’], disegnati su regioni conservate del cistrone ribosomale eubatterico. Gli ampliconi sono stati separati su gel d’agarosio al 1,5% (p/v), contenente 1X Sybr Green in tampone Tris-Borato-EDTA 0,5X. I prodotti di amplificazione risultati positivi sono stati sottoposti a reazione di sequenza, mediante sequenziatore ABI PRISM 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems®). Le sequenze in formato FASTA così ottenute, sono state allineate alle sequenze depositate in GenBank, utilizzando il software BLAST (http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/Blast.cgi)per ’interrogazione del database. La capacità biocompetitiva di 400 LAB nei confronti dei principali patogeni alimentari è stata valutata in vitro utilizzando la metodica “spot on the lawn” descritta da Lewus (1991) (2, 3). I microrganismi utilizzati per la prova sono stati: Listeria monocytogenes ATCC 7644, Salmonella enteritidis ATCC 13076, E.coli ATCC 25922 e Staphylococcus aureus ATCC 25923; 200 LAB sono stati testati contro un ceppo di Staphylococcus aureus C.I.P. produttore enterotossina B. I ceppi crioconservati a -80°C sono stati scongelati in frigorifero a 4°C per 24h e rivitalizzati in 5 ml di MRS broth incubato a 37°C per 72h in CO2. Dopo incubazione, 2 µl di ciascuna brodocoltura sono stati seminati su piastre di TSA + 0.5% di estratto di lievito ed incubate in anaerobiosi a 30°C per 24h; in ciascuna piastra sono stati seminati più ceppi lattici da testare fino ad un massimo di otto. Dopo 24h dalla semina dei LAB sono state allestite le colture dei 4 microrganismi patogeni. 1 ml della diluizione corrispondente alla concentrazione di 105-106 ufc/ml di ciascun patogeno è stata trasferita in una provetta contenente 9 ml di BHI +1 % di agar; circa 8 ml di questa sospensione batterica sono stati distribuiti sulle piastre precedentemente seminate con i ceppi lattici da testare, quindi incubate a 30°C in anaerobiosi per 24h. La comparsa di una zona chiarificata intorno al sito di inoculo del batterio lattico (>3 mm) indicava l’inibizione della crescita del patogeno testato da attribuire verosimilmente alla capacità del LAB di produrre batteriocine (2). Dopo aver eliminato dal data-set le specie con un numero di osservazioni inferiori a 336 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 5, i dati sono stati elaborati con l’analisi di varianza per dati categorici (CATMOD software SAS vs 9.2) dove le variabili dipendenti sono state la produzione di “batteriocina” (intesa come presenza/assenza di alone inibitorio) e “la tipologia di latte” (latte bovino/ovino) mentre la variabile indipendente era il genotipo LAB rilevato. RISULTATI E CONCLUSIONI Fra i 400 ceppi di LAB testati (tabella 1) i generi maggiormente rappresentati sono stati Lactobacillus casei (78) Enterococcus faecium (72) e Lactobacillus rhamnosus (41). In totale il 46,5% dei LAB ha mostrato capacità biocompetitiva, inibendo la crescita di almeno uno dei microrganismi patogeni testati (tabella 1). In tabella 2 sono riportati i risultati aggregati e distinti in base alla provenienza dei LAB isolati: formaggi o superficie dei tini in legno. Su 316 ceppi isolati da formaggio il 40% mostrava attività antibatterica, percentuale che si presentava superiore nei LAB isolati dalle superfici dei tini. In quest’ultimo caso su 83 ceppi isolati complessivamente il 70% mostrava attività biocompetitiva. Enteococcus faecium e Lactobacillus rhamnosus si confermano per entrambe le tipologie di matrici i generi LAB maggiormente rappresentativi; mentre Lb. casei è stato isolato unicamente dalle matrici “lattiero-casearie”, mai dai tini. Tra i patogeni testati Listeria monocytogenes è stato quello più sensibile all’attività antibatterica dei LAB, su 186 ceppi in grado di produrre batteriocine: 150 erano attivi verso Listeria monocytogenes, 15 nei confronti di Staph.aureus e 2 anche nei confronti del ceppo di Staph.aureus enterotossigeno; 8 nei confronti di Salmonella enteritidis infine nessun ceppo lattico ha inibito la crescita di E.coli. 13 ceppi lattici (6 Lb. casei; 3 Ped.acidilactici; 2 Lc. rhamnosus; 1 Ped.lolii; 1 Leuconostoc mesenteroides) hanno mostrato effetto inibente verso più di un patogeno. L’analisi statistica dei dati ha evidenziato relazioni significative fra l’attività antibatterica (inibizione della crescita del patogeno) ed il genotipo isolato (tabella 3), al contrario la specie di provenienza del latte non ha influenzato significativamente la capacità dei LAB di produrre batteriocine. Tabella 3-attività antibatterica dei LAB identificati Specie LAB Tabella 1- attività antibatterica dei LAB isolati Specie LAB LAB isolati Filiera produttiva* latte a latte bovino ovino 61 17 40 32 attività antibatterica % attività antibatterica (µ ± s.e.) Lactobacillus brevis 84,61 ± 13,44 Enterococcus faecalis 81,81 ± 14,61 Lactobacillus plantarum 77,78 ± 16,15 Streptococcus thermophilus 66,67 ± 14 Lactobacillus rhamnosus 57,14 ± 6,92 Lactococcus lactis 53,33 ± 12,51 Pediococcus lolii 53,33 ± 12,51 Pediococcus acidilactici 50 ± 8,.85 Enterococcus faecium 48,28 ± 5,20 Lb. casei Ec. faecium 78 72 Lb. rhamnosus 41 35 6 23 Lactobacillus casei 44,11 ± 4,.80 Pd.pentasaceus Pd.acidilactici 39 30 23 22 16 8 10 15 Leuconostoc mesenteroides 42,86 ± 18,31 Streptococcus macedonicus 39,13 ± 10,10 Str macedonicus 23 19 4 9 Lactobacillus delbrueckii 37,5 ± 12,11 Pd. lolii Lb. delbrueckii Ec. faecalis Lb. brevis 15 15 11 11 15 12 9 5 8 6 9 9 Pediococcus pentosaceus 23,80 ± 7,48 3 2 6 Enterococcus spp. 20 ± 21,68 Lactobacillus fermentum 16,67 ± 14 Str.thermophilus 12 6 6 8 Lactobacillus buchneri 0 ± 21,67 Lb. fermentum Lc lactis Lb plantarum Lb buchneri Ln mesenteroides Ec. hirae 12 10 6 5 5 4 10 6 5 5 3 2 2 4 1 2 7 4 2 2 2 2 Enterococcus.spp. 3 2 1 1 Ln. lactis Ec. durans Lb. sakei Lc.pseudomesenter. 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Str. gallolyticus 1 1 Str. vestibularis 1 1 Str. infantarius 1 TOTALE 400 32 36 1 1 BIBLIOGRAFIA 1. Aureli P, Fiore A, Scalfaro C, Franciosa G (2008) Metodi microbiologici tradizionali e metodi molecolari per l’analisi degli integratori alimentari a base di o con probiotici per uso umano. Rapporti ISTISAN 08/36. 2. Fiore A, Vilmercati A, Anniballi F, De Medici D (2011) Valutazione dell’attività antibatterica delle batteriocine nei confronti di patogeni alimentari. Rapporti ISTISAN 12/54 3. Lewus C.B, Montville T.J (1991) Detection of bacteriocins produced by lactic acid bacteria. International Journal of Microbiological methods13,145-150 4. Scatassa M.L, Di Noto A.M, Cardamone C, Sciortino S, Todaro M, Caracappa S (2009) Vastedda della valle del Belìce cheese: experimental contamination with Salmonella and Listeria spp. Atti XVII International Congresso FeME S P Rum: 298-299 Lavoro eseguito fondi del Min. Salute RF 2008 ”Messa a punto di metodi di biocompetizione e di decontaminazione per aumentare la sicurezza degli alimenti e dei processi.” 1 286 114 186 (46,5%) * formaggi + superfici tino legno 337 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 da formaggi alone Lb. casei Ec. faecium Pd.pentasaceus Lb. rhamnosus Pd. acidilactici Str. macedonicus Lb. delbrueckii Pd. lolii Lb. fermentum Ec. faecalis Lb. brevis Lb. plantarum Lb buchneri Ln. mesenteroides Ec. hirae Str. thermophilus Lc. lactis Ec. durans Lb. sakei Ln. lactis Str. gallolyticus Str. infantarius Str. infantarius Enterococcus. spp. Ln. pseudomesenteroides 78 58 37 28 23 17 14 11 10 6 6 6 5 4 3 3 3 1 1 1 1 32 25 9 14 8 4 6 7 0 6 5 4 0 2 1 2 2 1 0 0 1 TOTALE 316 Specie LAB da TINI formaggi BOVINI alone alone 4 3 1 3 4 3 4 5 1 3 1 2 2 4 3 6 6 5 5 1 3 1 1 1 1 1 8 1 9 4 1 58 Tabella 2- specie di LAB isolati dalle diverse matrici e relativa attività antibatterica (alone) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Sezione Diagnostica di Pavia, Centro di Referenza Nazionale per le Clamidiosi animali, Pavia 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, S.S. Laboratorio Specialistico Diagnostica Molecolare Virologica e Ovocoltura,Torino 1 Key words: clamidie, PCR real-time, specie aviarie 1 1 40 (68%) STUDIO RETROSPETTIVO SULLA PRESENZA DI CLAMIDIE ATIPICHE IN CAMPIONI DI SPECIE AVIARIE Manfredini A.1, Bellotti M.1, Labalestra I.1, Petasecca D.1, Mandola M.L.2, Rizzo F.2, Prati P.1, Fabbi M.1, Magnino S.1, Vicari N.1 1 1 2 1 338 da TINI formaggi OVINI 10 2 11 4 2 1 4 1 129 (40%) XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 1 1 25 18 (72%) SUMMARY Following a recent revision, the family of Chlamydiaceae consists of the single genus Chlamydia, which currently includes nine species. Nonetheless, in recent years, diagnostic tests for the detection of chlamydiae infecting birds (pigeons, poultry and wild birds) in Italy, France and Germany have led to the detection of microorganisms that do not belong to any known chlamydial species. Recently, two different real-time PCRs specific for the novel chlamydiae infecting poultry (ACC) and pigeons (ACP) have been developed. This communication presents the results of a retrospective survey that aimed at identifying novel chlamydial agents in Chlamydiaceae-positive samples from birds submitted between 2009 and 2013 to the National Reference Laboratory for Animal Chlamydioses. Out of 36 samples, 8 (7 from pigeons and 1 from a magpie) tested positive at the real-time PCR specific for the novel chlamydiae infecting pigeons. INTRODUZIONE La famiglia delle Chlamydiaceae, secondo una recente revisione tassonomica (1), si compone dell’unico genere Chlamydia, che comprende attualmente nove specie. Si tratta di microorganismi intracellulari obbligati con un ciclo riproduttivo bifasico caratterizzato dall’alternanza di corpi reticolari non infettanti (fase replicativa intracellulare) e corpi elementari infettanti (fase extracellulare). Tuttavia, negli ultimi anni le indagini diagnostiche per la ricerca di Chlamydia in specie aviarie (piccioni, pollame e avifauna selvatica) eseguite in Italia, Francia e Germania hanno prodotto una serie di risultati non conclusivi, con rilevamento di un microorganismo che sembra non appartenere a nessuna delle specie di Chlamydia finora conosciute. Questa situazione, nota peraltro già dal 2009 (2, 3, 4), ha trovato conferma anche in un recente studio effettuato su 300 tamponi fecali di piccione dal quale è emerso inaspettatamente che il 19,5% di tutti i campioni positivi per Chlamydiaceae risultava infetto da organismi non classificati (5). Per meglio comprendere l’identità e il ruolo di questi nuovi microorganismi, sono stati condotti studi molecolari che tramite l’analisi filogenetica del gene codificante il 16S RNA ribosomale, del gene ompA e di quattro loci genomici housekeeping (gatA, hflX, enoA e gidA) hanno confermato che i nuovi microorganismi segregano in maniera separata rispetto alle specie di clamidia conosciute (6, 7). Questi dati sono stati confermati anche da un recente studio condotto su 11 ceppi di clamidie isolate da piccione e da pollo. L’analisi filogenetica descritta in precedenza, ha confermato la segregazione in due differenti cladi. Inoltre, l’intero genoma di due ceppi rappresentativi delle due cladi è stato interamente sequenziato. L’analisi comparativa del genoma ha confermato l’appartenenza di questi microorganismi al genere Chlamydia e la loro posizione filogenetica separata rispetto alle altre specie conosciute. Questi risultati hanno indotto gli autori a proporre il riconoscimento di due nuove specie (dati inviati per la pubblicazione). Sono state sviluppate, inoltre, due differenti PCR real-time specifiche per le nuove clamidie infettanti il pollame e i piccioni (6, 7). Il presente lavoro riferisce i risultati di uno studio diagnostico retrospettivo che si è avvalso delle due PCR real-time sopra citate con la finalità di identificare i nuovi microorganismi nei campioni pervenuti tra il 2009 e il 2013 al Centro di Referenza Nazionale per le Clamidiosi animali, e già risultati positivi per Chlamydiaceae ma negativi per le specie di Chlamydia conosciute. MATERIALI E METODI I 36 DNA analizzati in questo studio sono stati estratti tra il 2009 e il 2013 da campioni appartenenti a differenti specie aviarie sia d’affezione sia selvatiche. Le matrici erano visceri, feci e tamponi. Gli estratti sono stati nuovamente amplificati mediante PCR real-time Chlamydiaceae-specifica con target 23S (8) e PCR real-time C. psittaci-specifica con target ompA (9), e analizzati con PCR-RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism) con target 16S (10). Infine tutti i campioni confermati positivi sono stati analizzati mediante le PCR real-time specifiche per le clamidie atipiche individuate nei piccioni (atypical pigeon Chlamydiaceae, ACP) e nel pollame (atypical chicken Chlamydiaceae, ACC) (6, 7). RISULTATI E CONCLUSIONI Dei 36 DNA analizzati, solo 24 hanno dato esito positivo alla PCR real-time Chlamydiaceae-specifica. La mancata amplificazione dei restanti 12 campioni potrebbe essere dovuta all’avvenuta degradazione del DNA. Nessuna positività è stata ottenuta con la PCR real-time C. psittaci-specifica. Inoltre, l’analisi mediante la PCR-RFLP non ha permesso di rilevare C. psittaci, la clamidia generalmente rilevata nelle specie aviarie. Soltanto 8 dei 24 campioni risultati positivi alla PCR realtime Chlamydiaceae-specifica hanno dato esito positivo alla PCR real-time ACP. Gli otto campioni appartenevano a sette piccioni e a una gazza. Nessuno dei 24 campioni esaminati è invece risultato positivo alla PCR real-time ACC. Rimane ancora non risolta l’identità dei microorganismi appartenenti alla famiglia delle Chlamydiaceae rilevati nei campioni provenienti dalle altre specie aviarie (canarino, cinciallegra, cornacchia grigia, gabbiano reale, germano reale, piro-piro culbianco) (Tabella 1). In conclusione, il riscontro di questi nuovi membri della famiglia 339 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Chlamydiaceae solleva la questione della loro importanza epidemiologica e possibile ruolo come agenti patogeni. In futuro sarebbe opportuno estendere le indagini nei volatili domestici e selvatici con il fine di isolare e meglio caratterizzare questi nuovi microorganismi emergenti. Tabella 1: riepilogo dei risultati ottenuti # ID 1 63635 2 66103 3 48558 4 205315 5 155757/1 6 97352/5 7 100776 8 127625 9 136027 10 14520/2 11 189538/1 12 214137/1 13 214137/2 14 214137/3 15 105952/1 16 105952/2 17 105952/3 18 110219/1 19 110219/2 20 110244/1 21 110244/2 22 198786/1 23 198786/2 24 225270 25 22151 26 43160 27 52496 28 305141 29 75363 30 75369 31 97203/1 32 97203/2 33 112019 34 196900 35 222823/1 36 222823/2 Anno 2009 2009 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2010 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2012 2012 2012 2012 2013 2013 2013 2013 2013 2013 2013 2013 PCR real- PCR realPCRPCR real- PCR realtime 23S time ompA RFLP 16S time ACP time ACC + + Cornacchia grigia + + Cornacchia grigia + + + Piccione + + + Gazza + + + Piccione + Cornacchia grigia + + Cornacchia grigia + + Piccione + + Cornacchia grigia Piccione + + Canarino + + Gazza + + Gazza + + Gazza Piccione Piccione Piccione Beccaccia Beccaccia + + Gabbiano reale Gabbiano reale + + Germano reale + + Germano reale Gabbiano reale + + + Piccione + + + Piccione Piccione Coturnice + + + Piccione Piccione + + + Piccione + + + Piccione + + Cinciallegra + + Piro-piro culbianco + + Germano reale + + Germano reale Specie BIBLIOGRAFIA 1) Kuo C.C., Stephens R.S., Bavoil P.M. & Kaltenboeck B. (2011). Genus Chlamydia Jones, Rake & Stearns 1945, 55. In: Bergey’s Manual of Systematic Bacteriology, Second Edition, Vol. 4, Krieg N.R., Staley J.T., Brown D.R., Hedlund B.P., Paster B.J., Ward N.L., Ludwig W. & Whitman W.B., eds. Springer, Heidelberg, pp. 846–865. 2) Vicari N., Laroucau K., Vorimore F., Barbieri I., Sachse K., Hotzel H., Fabbi M., Labalestra I., Magnino S. Analisi molecolare di clamidie isolate da intestino e tamponi cloacali di piccioni catturati nelle città di Milano e Ferrara. XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Parma, 30 settembre - 2 ottobre 2009 3) Laroucau, K., F. Vorimore, R. Aaziz, A. Berndt, E. Schubert, and K. Sachse. 2009. Isolation of a new chlamydial agent from infected domestic poultry coincided with cases of atypical pneumonia among slaughterhouse workers in France. Infect. Genet. Evol. 9:1240-1247. 4) Rizzo F., Vicari N., Ameri M., Renna G., Labalestra I., Robetto S., Orusa R., Mandola ML. Isolamento da gazza di un nuovo microrganismo appartenente alla famiglia delle Chlamydiaceae. XIII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Trani, 12-14 Ottobre 2011. P.56-57 5) Sachse K, Kuehlewind S, Ruettger A, Schubert E, Rohde G. 2012. More than classical Chlamydia psittaci in urban pigeons. Vet Microbiol. 15;157(3-4):476-80. 6) Zocevic A, Vorimore F, Marhold C, Horvatek D, Wang D, Slavec B, Prentza Z, Stavianis G, Prukner-Radovcic E, Dovc A, Siarkou VI, Laroucau K. 2012. Molecular characterization of atypical Chlamydia and evidence of their dissemination in different European and Asian chicken flocks by specific real-time PCR. Environ Microbiol. 2012 Aug;14(8):2212-22 7) Zocevic A, Vorimore F, Vicari N, Gasparini J, Jacquin L, Sachse K, Magnino S, Laroucau K. A real-time PCR assay for the detection of atypical strains of Chlamydiaceae from pigeons. PLoS One. 2013;8(3):e58741 8) Ehricht R., Slickers P., Goellner S., Hotzel H., Sachse K. 2006. Optimized DNA microarray assay allows detection and genotyping of single PCR-amplifiable target copies. Mol Cell Probes 20, 60-63. 9) Ossewaarde J.M., Meijer A. 1999. Molecular evidence for the existence of additional members of the order Chlamydiales. Microbiology 145, 411-417. 10)Pantchev A, Sting R, Bauerfeind R, Tyczka J, Sachse K. 2010. Detection of all Chlamydophila and Chlamydia spp. of veterinary interest using species-specific real-time PCR assays. Comp Immunol Microbiol Infect Dis. 2010 33(6):473-84. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 EFFETTI DELLA RIMOZIONE DEL SIERO FETALE BOVINO NELLA COLTIVAZIONE DI IBRIDOMI: UTILIZZO DI TERRENI SERUM-FREE Manna L., Armillotta G., Di Febo T., Luciani M., Ciarelli A., Di Ventura M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Via Campo Boario – 64100 Teramo Key words: monoclonal antibodies; serum-free media; foetal bovine serum SUMMARY Four murine hybridoma cell lines were adapted to multiply under serum free (SF) conditions using DMEM medium containing decreasing amount of foetal bovine serum (FBS). Two SF media were tested: Nutridoma SP (Roche) (M1) and Ex-Cell 610 HSF (Sigma) (M2). Cell multiplication, vitality and antibody (Ab) production were evaluated against cell cultivated in DMEM containing 10% FBS (M3). Clone C4B showed the best percentage of viable cells, proliferative capacity and Ab productivity in M3. Clone 10C2G5 cultivated in M1 showed a better vitality than those cultivated in M2; there were no significant differences with cells cultivated in M3. Ab production in SF media was comparable to that of cells cultivated in M3. M2 was appropriate for cell multiplication of clone 6C5F4C7 but not for Ab production, better Ab productivity was obtained with M1. Clone 2D10G11 showed the best vitality in M3 but among SF media M2 was the best. Ab productivity in M3 and M2 were comparable. INTRODUZIONE La coltivazione di ibridomi secernenti anticorpi monoclonali (MAbs) prevede l’utilizzo di terreni addizionati di siero fetale bovino (FBS) che fornisce fattori indispensabili di crescita e differenziamento cellulare (1). Tuttavia l’uso di FBS è sempre più criticato per diverse ragioni, sia di natura tecnica che etica. Tra i principali svantaggi dell’uso di FBS vi sono la composizione non definita e variabile nei diversi lotti in commercio, gli alti costi di produzione e la presenza di un’elevata concentrazione proteica che interferisce nei successivi processi di purificazione dei prodotti secreti dalle cellule nel mezzo di coltura. Vi sono, inoltre, anche motivazioni etiche (2) alla limitazione dell’uso di FBS per le modalità di raccolta del sangue dai feti di vacche gravide macellate per la produzione di carne. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare e comparare gli effetti della coltivazione in terreno addizionato con FBS rispetto alla coltivazione in terreni serum free sulla crescita e sulla produzione di MAbs in differenti linee di ibridoma. MATERIALI E METODI Linee cellulari di ibridoma Sono state utilizzate quattro linee cellulari di ibridoma, che producono rispettivamente anticorpi specifici per: IgG bovine (clone C4B), IgG suine (clone 10C2G5), Bluetongue Virus (BTV) (clone 6C5F4C7), African Horse Sickness Virus (AHSV) (clone 2D10G11). Tutte le linee di ibridoma sono state ottenute dalla fusione tra cellule di mieloma SP2/0Ag14 e splenociti murini (3). Terreni di coltura e condizioni di crescita cellulare Ciascuna linea di ibridoma è stata coltivata in terreno 340 DMEM contenente 10% di FBS (Sigma), glutammina 2 mM, anfotericina-penicillina-streptomicina 100x (Sigma), gentamicina 50 mg/ml (Sigma), nistatina 10000 UI/ml (Sigma) (M3) per ottenere un lotto di surnatante colturale di controllo. Parallelamente i cloni sono stati adattati a concentrazioni decrescenti di FBS (10%, 5%, 2,5%, 1%) (4) e quindi alla crescita in sospensione utilizzando come supporto di crescita flasks da 25-75-175-525 cm2. I cloni sono stati coltivati per tutta la fase di adattamento in termostato a 37°C in condizioni di umidità controllata (90%) e con il 5% di CO2. Durante la fase di adattamento le cellule sono state mantenute alla stessa concentrazione di siero per almeno due passaggi cellulari. Al termine di questa fase gli ibridomi sono stati coltivati in completa assenza di siero nei due terreni serum free: Ex-cell HSF 610 (Sigma) (M1) e Nutridoma SP (Roche) (M2). Ad ogni passaggio cellulare sono stati determinati, tramite contacellule automatico (Countess® Automated Cell Counter), il numero di cellule/ml e la percentuale di vitalità cellulare. I cloni adattati al terreno Ex-cell HSF 610 sono stati coltivati in termostato a 37°C in condizioni di umidità controllata (90%) e con il 5% di CO2, quelli adattati al terreno Nutridoma SP con una percentuale di CO2 del 7,5%. Per quanto riguarda il terreno Ex-cell HSF 610, i passaggi cellulari sono stati effettuati mantenendo una densità di cellule di 3-5 x 105 cellule/ml. Dopo il completo adattamento le cellule sono state passate ogni 3-4 giorni ad una densità di 2 x 105 cellule/ml. Per quanto riguarda il terreno Nutridoma SP, i passaggi dei cloni adattati sono stati effettuati mantenendo sempre una densità di cellule di 1-2 x 105 cellule/ml. Alla fine della fase di coltura, è stato raccolto circa 1 litro di surnatante per ciascuna tipologia di terreno e per ciascun clone. Tutti i surnatanti, compreso quello di controllo, sono stati centrifugati a 400 g per 10’ a + 4°C per due volte, filtrati con filtri da 0.22 µm e purificati mediante cromatografia di affinità con proteina A al fine di valutare la resa in IgG ottenuta per ciascun terreno. I purificati ottenuti sono stati titolati in ELISA indiretta utilizzando micropiastre attivate con 10 µg/ml del relativo antigene in tampone carbonato bicarbonato 0,05M, pH 9.6; le diluizioni sono state effettuate per raddoppio a partire dalla concentrazione di 100 μg IgG/ ml fino alla concentrazione di 0.003 μg IgG/ml. Il grado di purezza dei purificati è stato inoltre valutato in SDS-PAGE dopo colorazione dei gel con Silver stain. RISULTATI E CONCLUSIONI Il clone C4B ha mostrato la maggiore percentuale di vitalità cellulare (95.5%), il maggior numero di cellule/ml (1.34 x 106) e la maggiore resa in IgG in M3; tra i due terreni SF testati, M1 ha determinato percentuali di vitalità e numero di cellule maggiori rispetto al terreno M2 (vitalità 90.9%; 1.02 x 106 cellule/ml) (Grafico 1). 341 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Grafico 1 – Clone C4B XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 La resa in IgG (mg/L di surnatante) dei 4 cloni coltivati nei 3 terreni è indicata in Tabella 1. Tabella 1 Resa in IgG (mg/L surnatante) Clone La vitalità del clone 10C2G5 in M1 è risultata simile a quella in M3 (78-79%), mentre con il terreno M2 è stata ottenuta una vitalità inferiore (69%); per quanto riguarda il numero di cellule/ ml, M1 e M2 hanno mostrato valori simili (0.71-0.75 x 106), mentre il numero più elevato è stato ottenuto con M3 (1.04 x 106) (Grafico 2). La resa in IgG è stata simile per i tre terreni. Grafico 2 – Clone 10C2G5 Nutridoma SP Ex-Cell HSF 610 DMEM 10%FBS (M1) (M2) (M3) C4B 17 18 67 10C2G5 2 1 3 6C5F4C7 26 2 9 2D10G11 2 16 17 in uso, che possono aumentare il segnale di fondo nei test immunoenzimatici. In conclusione, l’utilizzo di terreni SF rappresenta una valida alternativa per la produzione di MAbs caratterizzati da un elevato grado di purezza che consente di eliminare le interferenze aspecifiche nei test diagnostici e, non da ultimo, comporterebbe una riduzione dell’utilizzo degli animali per la produzione dell’ FBS. BIBLIOGRAFIA 1.Eagle H., 1955. 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Tabella 2 Titolo in ELISA indiretta (μg IgG/ml) Nutridoma SP Ex-Cell HSF 610 DMEM 10%FBS (M1) (M2) (M3) Per quanto riguarda i parametri di crescita cellulare del clone 6C5F4C7, i migliori risultati sono stati ottenuti con il terreno M2 (vitalità 85.3%; 1.17 x 106 cellule/ml) (Grafico 3), tuttavia la resa in IgG è stata significativamente più elevata in M1. Grafico 3 – Clone 6C5F4C7 C4B 6.25 6.25 1.56 10C2G5 100 0.39 1.56 6C5F4C7 0.19 0.19 1.56 2D10G11 6.25 50 50 I risultati ottenuti mostrano che tutti i cloni testati sono in grado di crescere in assenza di FBS nei due terreni SF utilizzati. È da sottolineare che parametri ottimali di crescita cellulare non sempre portano ad una maggiore produzione di IgG, come nel caso dei cloni 6C5F4C7 e 2D10G11 (Tabella 3). Tabella 3 In ultimo, per il clone 2D10G11 il terreno di crescita ottimale è risultato M3 (vitalità 87.1%; 0.82 x 106 cellule/ml); tra i due terreni SF testati, il migliore è risultato M2 (vitalità 83.0%; 0.51 x 106 cellule/ml) (Grafico 4); M2 e M3 hanno fornito la maggiore produttività in IgG. Grafico 4 – Clone 2D10G11 N° cellule Resa mg/L x 106 / ml surnatante Clone Terreno Vitalità % M1 75,6 0,69 2 2D10G11 M2 83 0,51 16 M3 87,1 0,82 17 M1 81,2 1,02 26 6C5F4C7 M2 85,3 1,17 2 M3 83,4 0,99 9 Pertanto sarà necessario individuare per ogni linea di ibridoma il terreno SF che fornisca la maggiore resa anticorpale. L’analisi in SDS-PAGE dei purificati dei MAbs ottenuti con terreni SF evidenzia un maggiore grado di purezza rispetto a quelli prodotti in terreni addizionati con FBS (dati non mostrati). Le IgG presenti nel siero fetale bovino rimangono, infatti, come contaminanti anche dopo la purificazione, determinando in alcuni casi interazioni di legame aspecifiche con gli antigeni 342 343 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 IL VIRUS DELLA BLUETONGUE RIAPPARE IN SARDEGNA: CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E FILOGENESI DEI CEPPI COINVOLTI 1 1 Marcacci M., 1Marini V., 1Spedicato M., 1Carvelli A., 2Puggioni G., 1Lorusso A., 1Savini G. Laboratorio di Referenza OIE per la Bluetongue, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise ‘G. Caporale”, Teramo; 2Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pregreffi”, Sassari. Keywords: Bluetongue virus, Sardinia, Phylogenetic Analysis Introduzione La febbre catarrale degli ovini, più comunemente conosciuta come Bluetongue (BT), è una malattia infettiva, non contagiosa, dei ruminanti caratterizzata da infiammazione, congestione, edema a carico della regione della testa, emorragie ed ulcere delle mucose (10). L’agente eziologico della malattia è il virus Bluetongue (BTV) appartenente alla famiglia Reoviridae, genere Orbivirus, del quale si conoscono 24 sierotipi con patogenicità variabile (11). Sono stati recentemente identificati due nuovi sierotipi, 25 e 26 (4, 9). BTV è trasmesso da insetti vettori del genere Culicoides e la distribuzione della malattia è limitata alle aree geografiche in cui esistono le condizioni climatiche ed ambientali idonee al loro ciclo vitale (5). Il genoma virale è costituito da 10 segmenti (da Seg-1 a Seg-10) di RNA lineare a doppio filamento di circa 19.200 paia di basi che codificano per 7 proteine strutturali e 4 proteine non strutturali (11,13,16). La prima evidenza di circolazione virale in Europa risale al 1998; da allora sono state registrate almeno 11 diverse incursioni a carico dei sierotipi BTV-1, 2, 4, 6, 8, 9, 11 e 16. Per la sua caratteristica localizzazione al centro del bacino del Mediterraneo, la regione Sardegna è storicamente una delle principali vie di ingresso dei virus dal Nord-Africa in Europa e rappresenta, di fatto, un caso unico in cui è stata dimostrata la circolazione simultanea di diversi sierotipi BTV (BTV-1, 2, 4, 8 e 16). Nell’autunno 2012 in Sardegna sono stati registrati nuovi focolai di BT. In poche settimane l’infezione si è diffusa dalla parte orientale dell’isola a tutta la zona meridionale. A Marzo 2013 risultavano infetti 488 greggi (14.826 pecore su un totale di 135.000 capi, l’11% della popolazione suscettibile presente nella zona) con sintomatologia clinica evidente e il 6.8% di questi (9.238 pecore) è morto a causa della malattia. I sierotipi BTV-1 e BTV-4 sono risultati responsabili dei nuovi focolai sia singolarmente che associati. La circolazione di BTV1 era stata dimostrata sia nel 2011 che nel 2012 attraverso sieroconversione di 4 animali sentinella; al contrario, l’ultima segnalazione per il sierotipo BTV-4 era stata effettuata nel 2010 mentre non era stata registrata alcuna circolazione virale negli anni 2011 e 2012 a ridosso dei nuovi focolai. Materiali e Metodi 665 campioni di sangue e 442 campioni di milza prelevati da animali infetti o morti sono stati conferiti al Laboratorio di Referenza OIE per BT presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” di Teramo. Tutti i campioni sono stati testati per la ricerca diretta del virus BTV sia mediante il metodo classico di isolamento virale (14) che mediante un saggio molecolare di Real-time RT-PCR (qRT-PCR) (7). La sierotipizzazione è stata effettuata sui campioni positivi per BTV mediante il kit TaqVet European BTV Typing kit (LSI-Laboratoire Service International Lissieu, France). Le curve di crescita dei due nuovi ceppi isolati BTV1 (BTV-1 SAD2012) e BTV-4 (BTV-4 SAD2012) sono state confrontate con quelle dei ceppi dello stesso sierotipo isolati in Sardegna negli anni precedenti (BTV-1 SAD2006 e BTV4 SAD2003) (8). L’analisi statistica e il relativo grafico sono stati prodotti mediante il software Prism paackage (GraphPad Software Inc., La Jolla, CA). Sono stati inoltre sequenziati il segmento 5 (Seg-5, 1769 bp) e il segmento 10 (Seg-10, 822 bp) che codificano rispettivamente per la proteina NS1 e la proteina NS3/3a. Il sequenziamento è stato effettuato dopo estrazione dell’ RNA virale dei due ceppi BTV-1 SAD2012 e BTV-4 SAD2012 direttamente dai campioni di campo (sangue e milza) e amplificazione dei due geni (Seg-5 e Seg-10) mediante utilizzo del kit One-Step RT-PCR (Qiagen) e primers specifici (8). Le sequenze nucleotidiche così ottenute sono state assemblate con il software DNAstar package (DNAStar Inc., Madison, WI, USA) e confrontate con sequenze omologhe depositate nel database di Genbank. L’analisi filogenetica condotta con il metodo Maximum Composite Likelihood è stata eseguita utilizzando il software MEGA version 4 (15). Tutti i dati relativi alle vaccinazioni effettuate per BTV sono stati recuperati dal Sistema Informativo Italiano per la Bluetongue, gestito dal Laboratorio di Referenza OIE per BT e analizzati mediante software Microsoft Office Excel. I dati sulle popolazioni di ruminanti in Provincia di Cagliari e Carbonia-Iglesias sono stati recuperati dalla Banca Dati Nazionale. Risultati Segni clinici caratteristici dell’infezione a carico del virus Bluetongue (BTV) sono stati inizialmente descritti nella provincia di Ogliastra, nella parte est della Sardegna. In poche settimane l’infezione si è diffusa in tutta la zona meridionale dell’isola coinvolgendo soprattutto la provincia di Cagliari e di CarboniaIglesias. Dei 655 campioni di sangue analizzati mediante test Real-time RT-PCR, l’86% è risultato positivo per BTV-1, l’11% per BTV-4 e il 3% per entrambi i sierotipi. Analogamente, dei 442 campioni di milza esaminati, l’86% è risultato positivo per BTV-1, il 9% per BTV-4 e il 5% per entrambi i sierotipi. Nei campioni in cui è stata riscontrata la presenza contemporanea dei due sierotipi BTV-1 e BTV-4 non è stato possibile gli stipiti virali singolarmente. Dal grafico relativo alla curva di crescita dei 4 ceppi BTV (BTV-1 SAD2012, BTV-4 SAD2012, BTV1 SAD2006 e BTV-4 SAD2003) si evince che non ci sono differenze significative di crescita su cellule CPT-Tert nei diversi time points nelle ore successive l’infezione. Le sequenze nucleotidiche del Seg-5 (KC896850, KC896851) e del Seg-10 (KC896852, KC896853) rispettivamente dei due ceppi BTV1 SAD2012 e BTV-4 SAD2012 mostrano una percentuale di similarità del 99%. Dall’analisi filogenetica condotta sul Seg-5 si evidenzia che entrambi i ceppi, BTV-1 SAD2012 e BTV-4 SAD2012, si collocano all’interno dello stesso cluster, formando un gruppo monofiletico con le sequenze omologhe dei ceppi BTV-1 FRA2007/01 (JX861492, 99%), BTV-1 FRA2008/24 (JX861502, 99%), BTV-1 SAD2010 (KC896845, 99%), BTV-1 344 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SAD2006 (KC896844, 99%) e con le sequenze omologhe dei ceppi di BTV-1 e BTV-4 che hanno recentemente circolato in Nord-Africa come il BTV-4 TUN2009 (KC896847, 99%), BTV4 TUN2007 (KC896846, 99%) BTV-1 ALG2007 (KC896848, 99%) e BTV-1 MOR2007 (KC896849, 99%). Tali sequenze inoltre differiscono da quelle omologhe del Seg-5 dei ceppi BTV-4 responsabili del focolaio registrato in Marocco nel 2004, in Spagna negli anni 2003-2005 e in Sardegna nel 2003. L’analisi filogenetica condotta utilizzando il Seg-10, mostra che la sequenza nucleotidica dei nuovi ceppi isolati in Sardegna segrega con le sequenze omologhe dei ceppi BTV-1, 2 e 4 che hanno circolato nel bacino del Mediterraneo a partire dal 2000 suggerendo un’apparente segregazione regione-specifica almeno per questo segmento. Discussione Nel 2012 BTV è ricomparso in Sardegna provocando 9.238 morti e 14.826 casi clinici. BTV-1 e BTV-4 sono i sierotipi responsabili dei nuovi focolai. BTV-1 è il sierotipo maggiormente coinvolto la cui presenza è stata diagnosticata in circa l’86% dei campioni testati. La Sardegna è stata scenario di focolai di BTV sostenuti dai sierotipi BTV-2 (2000), BTV-4 (2003), BTV-16 (2003), BTV-1 (2006 E 2010) e BTV8 (2009). Fatta eccezione per BTV-8, tutti i focolai BTV sono esplosi nella parte meridionale dell’isola mostrando un significativo legame con la circolazione degli stessi ceppi in Nord-Africa. La ricorrenza di questi focolai invita a porre molte domande, soprattutto riguardo la loro origine. E’ importante, di fatto, riuscire a capire se si tratta degli stessi ceppi che hanno circolato in precedenza sul territorio o se ci troviamo di fronte all’introduzione di nuovi ceppi BTV. Il ceppo BTV1 SAD2012 è in grado di provocare negli ovini segni clinici gravi, in maniera analoga ai ceppi BTV-1 responsabili dei primi focolai sardi (2006 e 2010); presenta, inoltre, dopo confronto delle sequenze nucleotidiche dei segmenti genici Seg-5 e Seg-10 con le rispettive sequenze omologhe dei ceppi BTV-1 SAD2006 e BTV-1 SAD2010, il 99% di similarità. Se si considera, invece, la localizzazione geografica dei primi casi clinici osservati nei tre diversi focolai provocati dal sierotipo BTV-1 e segnalati sempre a sud dell’isola e la segregazione all’interno dello stesso cluster filogenetico delle sequenze Seg-5 e Seg-10 dei ceppi BTV-1 che hanno circolato nel Sud-Europa e nel bacino del Mediterraneo, non si può escludere che la sorgente di infezione per questi ceppi sia nord-africana come già accaduto e confermato per il ceppo BTV responsabile del focolaio del 2006 (3,6). Più sorprendenti ed interessanti sono invece le conclusioni che si possono trarre sull’origine del ceppo BTV-4 SAD2012. Sulla base dell’allineamento delle sequenze nucleotidiche del Seg5, il ceppo BTV-4 SAD2012 si localizza all’interno dello stesso cluster in cui si trovano anche il ceppo BTV-1 SAD2012 e altri ceppi del sierotipo BTV-1 che hanno circolato recentemente nel bacino del Mediterraneo; è possibile, quindi, avanzare l’ipotesi che si tratti di un ceppo BTV-1/4 riassortante. Negli anni passati, è già stata dimostrata la presenza di almeno due gruppi separati e non correlati di ceppi BTV-1 e BTV-4 che hanno circolato nel Mediterraneo e nel sud dell’Europa: il primo gruppo includeva, tra gli altri, ceppi BTV-1 GRE2001 e BTV-4 GRE1999-15 di chiara provenienza orientale; il secondo, invece, comprendeva ceppi BTV-1 ALG2006 e BTV4 SPA2004 di origine occidentale (2,3,12). Questo studio dimostra la presenza di un terzo, nuovo gruppo di ceppi BTV-4 che condivide, per quanto concerne la sequenza del Seg-5, un elevato grado di similarità con il ceppo BTV-1, la cui presenza è stata recentemente riscontrata nel bacino del Mediterraneo. Il nuovo ceppo riassortante BTV-1/4 differisce, poi, chiaramente, sia dai ceppi omologhi, responsabili delle incursioni fra gli anni 2003 e 2005 in Sardegna, Marocco e Spagna, sia dal primo ceppo BTV-4 isolato in Grecia nel 1999. Dall’analisi filogenetica condotta utilizzando il Seg-10 emerge, inoltre, che i sierotipi BTV-2, BTV-4 e BTV-1, con l’eccezione dei due ceppi BTV-1 2000 e BTV-4 1999 isolati in Grecia, hanno questo segmento genico estremamente conservato. Ciò conferma che i ceppi BTV-1 SAD2012 e BTV4 SAD2012 sono strettamente correlati con gli altri ceppi BTV1 e BTV-4 recentemente isolati in Algeria, Tunisia, Marocco, Italia, Portogallo, Francia e Spagna e che pertanto possono rappresentare un singolo lineage sulla base di informazioni fornite da analisi effettuate su un singolo segmento genico. Se si considera, infine, il fatto che il Seg-5 del sierotipo BTV-1 è stato trovato per la prima volta in un ceppo BTV-4 isolato in Tunisia nel 2007, l’origine nord-africana del ceppo BTV4 SAD2012 potrebbe essere considerata conclusiva. Più difficile, invece, sembra poter risalire all’origine del ceppo riassortante. Potrebbe derivare, ad esempio, da una coinfezione dei sierotipi BTV-1 e BTV-4. Il riassortimento tra ceppi vaccinali e è già stato dimostrato (1) e, di fatto, l’utilizzo combinato di ceppi vaccinali vivi attenuati (MLVs) potrebbe aver di gran lunga favorito questo tipo di fenomeno. In Tunisia vaccini MLVs per i sierotipi BTV-1 e BTV-4 non sono stati utilizzati in combinazione prima del 2010 mentre in Marocco questi venivano impiegati già a partire dal 2005. La presenza contemporanea dei due sierotipi, come è stato riscontrato nel focolaio BT del 2012, potrebbe quindi aver dato origine al nuovo ceppo riassortante BTV-1/4 con un potenziale fenotipo alterato rispetto al ceppo parentale (8). Rispetto al ceppo BTV4 isolato nel 2003, il Seg-5 non fornisce alcun vantaggio nel meccanismo replicativo al nuovo ceppo BTV-4 SAD2012 (8). Il fatto che i due ceppi BTV-1 SAD2012 e BTV-4 SAD2012 non si siano propagati in cellule di mammifero al primo tentativo conferma l’ipotesi che si tratti di ceppi di campo ed esclude una derivazione in toto da ceppi vaccinali dovuti all’utilizzo in passato di vaccini vivi attenuati. In Italia il vaccino MLVs (BTV-1) non è stato più utilizzato a partire dal 2010 ed è stato sostituito da un vaccino inattivato che risulta più sicuro ma che richiede costanti richiami. Dal 2008, in Italia la percentuali di animali vaccinati si è drasticamente ridotta, soprattutto in Sardegna. I nuovi focolai del 2012 sono probabilmente una conseguenza della insufficiente strategia di prevenzione adottata negli ultimi anni. BTV continua ancora a circolare in Sardegna e in Nord-Africa con gravi ripercussioni economiche per il settore. Sarebbe quindi auspicabile che le autorità competenti rafforzassero il programma di monitoraggio e le strategie di vaccinazione. 345 1. Batten, C. A., Maan, S., Shaw, A. E., Maan, N. S., and Mertens, P. P., 2008. A European field strain of bluetongue virus derived from two parental vaccine strains by genome segment reassortment. Virus Res. 137(1), 56-63. 2. Breard, E., Sailleau, C., Nomikou, K., Hamblin, C., Mertens, P. P., Mellor, P. 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XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MONITORAGGIO DELLE CROSS CONTAMINAZIONI DA PAT NEI LABORATORI CHE ESEGUONO LE ANALISI UFFICIALI NEI MANGIMI Marchis D.1), Amato G.1), Benedetto A.1), Brusa B.1), Abete M.C.1) 1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, 10154 Torino Key words: cross contamination, PAT, mangimi SUMMARY Several potential sources of cross contamination by processed animal proteins (PAP) exist within a laboratory environment. Among them we have: manipulation of material (sample collection, transportation, grinding...), use of contaminated equipment (unclean milling devices, vials, spatula...) and ambient contamination. Simple measures according to GLP standards can drastically reduce this risk. As a result of efficient counter measures, the risk for laboratory cross contamination can be reduced but never eliminated. Ambient or environmental air contamination still remain hard to eliminate and therefore needs monitoring. Il nostro laboratorio, quale Laboratorio Nazionale di Riferimento delle proteine animali trasformate, ha poi proseguito lo studio per ulteriori 5 mesi per valutare le eventuali contaminazioni dopo la manipolazione e analisi di campioni positivi. Per questa seconda parte dello studio il laboratorio ha effettuato un primo monitoraggio dopo un periodo di tempo pari a 3 mesi, in cui sono state analizzate 32 farine di pesce, ed un secondo monitoraggio dopo la preparazione del Proficiency Test (PT) annuale, per il quale sono stati preparati e quindi manipolati 150 campioni positivi. INTRODUZIONE Nell’ambiente di lavoro dei laboratori che eseguono le analisi ufficiali sui mangimi esistono differenti fonti di contaminazione da proteine animali trasformate (PAT). Tra le possibili cause di contaminazione possiamo trovare: la manipolazione dei materiali (trasporto, stoccaggio, macinazione) l’uso di oggetti e/o equipaggiamenti poco puliti (attrezzatura da laboratorio, vetreria) e la contaminazione vera e propria. Come risulta da alcuni studi statistici il rischio di cross contaminazione in laboratorio può essere ridotto drasticamente, adottando dei semplici accorgimenti e un monitoraggio mensile, ma mai eliminato del tutto. Lo studio è stato eseguito seguendo le linee guida fornite dall’EURL-AP. RISULTATI E CONCLUSIONI Nella tabella 1 sono riportati i risultati ottenuti dai 5 laboratori della rete nazionale dopo un anno di studio. Come si può notare sono stati trovati frammenti ossei in due dei cinque laboratori che hanno partecipato allo studio, e più precisamente nella zona della pesata e a livello della cappa. Nel laboratorio 3, dove è stato rilevato un frammento osseo, è stata riscontrata anche una fibra muscolare, entrambi nella zona della pesata. Nel laboratorio 1 si sono riscontrate due fibre muscolari, entrambe nella zona della cappa. Negli altri laboratori, invece, si sono evidenziate fibre tessili, fibre vegetali e capelli, quindi non è stato rilevato nulla di significativo ai fini delle analisi. MATERIALI E METODI Per effettuare il monitoraggio sono stati utilizzati: - Vetrini ad orologio - Pennelli - Vetrini portaoggetto - Vetrini coprioggetto Innanzitutto sono stati individuati i punti del laboratorio considerati a rischio o maggiormente esposti a contaminazione, ovvero: - punto 1: zona della pesata - punto 2: zona della macinazione - punto 3: zona della preparazione e lettura dei vetrini - punto 4: cappa (zona dove avviene la fase di estrazione dei mangimi) A livello di questi “punti chiave” sono stati collocati i vetrini ad orologio opportunamente identificati e lasciati lì per un periodo pari a 30 giorni. Il materiale che si è depostitato sul vetrino ad orologio durante i 30 giorni è stato raccolto con un pennello pulito, trasferito su un vetrino portaoggetto, coperto da un vetrino coprioggetto, e osservato al microscopio ottico (usando come mezzo di montaggio il glicerolo). Alla prima parte dello studio hanno partecipato 5 laboratori della rete nazionale che per 12 mesi hanno monitorato il proprio ambiente di lavoro. Tabella 1 – Risultati di 5 laboratori sullo studio delle cross contaminazioni Frammenti Fibre Fibre ossei muscolari tessili Capelli Fibre vegetali Lab 1 0 2 0 0 2 Lab 2 0 0 0 1 3 Lab 3 1 1 2 0 1 Lab 4 0 0 3 0 0 Lab 5 2 0 25 4 25 Nella tabella 2 sono riportati i risultati ottenuti dal monitoraggio effettuato dall’NRL dopo l’analisi dei campioni positivi. Si può notare che dopo il primo periodo di monitoraggio durante il quale sono state analizzate in laboratorio 32 farine di pesce, si sono riscontrate due fibre muscolari, una nella zona della cappa e una nella zona della pesata. Dopo la manipolazione dei 150 campioni positivi preparati per il RT si sono riscontrate invece 6 fibre muscolari, tutte a livello della cappa. Si sono evidenziate, inoltre, fibre tessili, fibre vegetali e minerali, in numero maggiore nella zona della pesata. 347 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 2 – Risultati dell’NRL sullo studio delle cross contaminazioni Frammenti Fibre Fibre Fibre Minerali ossei muscolari tessili vegetali 0 2 12 19 5 Lettura dopo 32 mpositivi Lettura 0 dopo 150 positivi 6 32 28 13 Dai dati raccolti possiamo concludere che le zone più a rischio di contaminazione risultino essere la zona della cappa, dove si sono riscontrate la maggior parte di fibre muscolari, e la zone della pesata. La cappa risulta essere una zona particolarmente a rischio poiché è dove avviene la fase di estrazione e di asciugatura del sedimento; inoltre il ricircolo della cappa potrebbe contribuire al trasporto di particelle volatili come le fibre muscolari. Anche la zona della pesata è uno dei punti maggiormente esposti a contaminazione perchè durante la pesata è facile che il materiale polverulento vada ad “inquinare” l’ambiente di lavoro circostante. Il riscontro in un laboratorio solo di fibre muscolari e nessun frammento osseo si può spiegare tenendo conto della volatilità delle fibre muscolari, che quindi costituiscono un rischio maggiore di contaminazione rispetto ai frammenti ossei. Risulta perciò indispensabile un’accurata pulizia delle zone del laboratorio considerate a rischio per ridurre al minimo il rischio di cross contaminazioni. E’ importante sottolineare, inoltre, che il non riscontro di frammenti ossei e fibre muscolari non corrisponda ad una contaminazione pari a zero, benchè indichi un ambiente di lavoro dove la probabilità di contaminazione è molto bassa (ma non nulla). Durante lo studio sono emerse alcune criticità relative allo studio stesso. Un passaggio critico per la valutazione delle contaminazioni si è rivelato essere il trasferimento del materiale sul vetrino effettuato con il pennello, poichè a questo livello potrebbero rimanere intrappolati frammenti ossei e fibre muscolari. Per studi futuri, in alternativa ai pennelli, potrebbero essere usate delle cartine ottiche per ridurre al minimo la perdita di particelle utili all’indagine. I dati acquisiti risultano ancora insufficienti per una elaborazione statistica a causa dei pochi laboratori della rete nazionale che hanno aderito allo studio. Mancano inoltre alcune informazioni importanti come il numero di campioni che transita all’interno di ciascun laboratorio, poichè un numero elevato di campioni all’interno del laboratorio aumenta la possibilità di contaminazione. Lo studio dovrebbe poi essere più mirato, si dovrebbe cioè porre maggiore attenzione a quei laboratori che vengono a contatto piu’ spesso con campioni positivi (es. analisi su farine di pesce). L’intenzione dell’NRL è quella di proseguire lo studio e, tenendo conto di queste criticità, implementare il monitoraggio avendo cura di acquisire dati sempre più precisi e mirati. BIBLIOGRAFIA 1) Araujo Rennan G.O. et al, Food Chem., 101:397-400, 2007. 2) Jiang Y. Et al, Neurotoxology, 28:126-135, 2007. 3) La Pera L. et al, Chirotti Editori, pp. 257, 2005. 4) Reg. EC 767/2009 5) Zatta P. et al, Brain Research Bullettin, 62:15-28, 2003. 6) Reg. EC 152/2009 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SORVEGLIANZA MORTALITA’ API 2012/2013: RISULTATI UMBRI Maresca C. 1, Dettori A. 1, Scoccia E. 1, Valentini A.1, Ghittino C. 1, Macellari P. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia 2 USL Umbria 1, Perugia Key words: Umbria, sorveglianza, api SUMMARY The objectives of the UE pilot surveillance project are to harmonize active surveillance procedures that will allow an accurate estimation of colony losses within and throughout participating European countries. An active surveillance based on visits was carried out at specific period by trained bee inspectors on a representative sample of apiaries. Five apiaries were randomly selected in Umbria Region. During the first visit one systematic sampling of 300 honeybee per examined hive was collected, additional symptomatic samplings in every hive with symptoms either on adult bees or on brood during visits 1, 2 and 3 were collected. The varroa mites were counted on the samples of internal honeybees, based on the OIE diagnosis method. The average rate of varroa mites per colony ranged from 1 to 28 varroa mites per 100 bees. The rate of varroa average for all 5 apiaries was 5%. Only one apiary has reported symptoms such as honeybees with deformed wings and cannibalism on larvae/pupae. INTRODUZIONE L’ambiente naturale, le condizioni climatiche e geografiche hanno da sempre favorito in Umbria l’attività apistica. Il ruolo delle api per l’ambiente è fondamentale perché favorisce la biodiversità ed è necessario nell’opera di impollinazione delle colture (1). Nell’ultimo decennio in cui si è assistito al fenomeno dello spopolamento degli alveari che ha interessato numerosi paesi europei in particolare dell’Europa occidentale (2, 6), la salute delle api è stata oggetto di maggiore osservazione. La moria delle api è un fenomeno che si è verificato già dal 2003 ed è stato definito in USA (7) come Colony Collapse Disorder (CCD) per il quale pare siano coinvolti numerosi fattori che possono agire sinergicamente come virus, batteri, parassiti, l’impiego di fitofarmaci, la riduzione della biodiversità (carenze nutrizionali) e variazioni climatiche. In tutta Europa l’apicoltura è una attività ampiamente praticata, nell’UE si contano circa 700.000 apicoltori, il 97% di questi sono rappresentati da apicoltori non professionisti che detengono il 67% degli alveari dell’UE (3). L’Unione Europea ha messo a punto un Piano di sorveglianza comunitario che ha coinvolto 17 Stati membri tra cui l’Italia con obiettivi specifici di valutare il tasso di mortalità invernale e stagionale e la prevalenza delle principali patologie delle api attraverso protocolli di campionamento ed analisi standardizzati con la finalità di ottenere dati comparabili tra i diversi Stati. Lo scopo di questo lavoro è stato analizzare la situazione degli apiari in Umbria, coinvolti nel piano di sorveglianza, ed esaminare le criticità emerse. MATERIALI E METODI Il Progetto pilota di sorveglianza europeo prevedeva l’ispezione di un numero stabilito di aziende apistiche per Regione 348 attraverso una estrazione random degli apiari e delle colonie presenti. Per l’Umbria era prevista la visita e il campionamenti di cinque apiari. Per ciascun apiario da campionare era prevista una selezione in maniera casuale delle colonie in base al numero totale di colonie presenti per individuare una prevalenza del 20%. La sorveglianza attiva sugli apiari implicava visite a scadenze fisse: la prima visita doveva essere effettuata tra settembre e ottobre 2012 prima del periodo invernale la seconda tra febbraiomarzo e aprile 2013 alla fine del periodo di svernamento e la terza visita era da effettuarsi nel corso della stagione attiva nell’ estate 2013 (4). Durante i sopralluoghi è stata compilata una scheda con i dati relativi all’apicoltore, all’apiario visitato, all’attività svolta sulle colonie nel 2012, all’ambiente circostante e la descrizione dei sintomi clinici e disturbi presenti nelle colonie esaminate. L’ispezione prevedeva inoltre l’annotazione delle condizioni sanitarie delle colonie, eventuali malattie, trattamenti anti varroa effettuati riferiti alla stagione 2012. Le finalità del campionamento erano individuare il tasso di infestazione delle api adulte da Varroa destructor e determinare i livelli di infezione del Virus della paralisi acuta delle api (ABPV) e del Virus delle ali deformi (DWV). Le matrici da campionare erano costituite da 300 api vive per la conta delle varroe e per le virosi e in caso di sospetto di malattia era previsto un campionamento di api vive malate, favo di covata, eventuali parassiti (coleotteri e acari diversi da varroa) e se presenti un campione di api morte. In laboratorio è stata effettuata la conta delle varroe ed espresso il livello di infestazione come tasso medio di varroa su 100 api per ogni colonia campionata. RISULTATI E CONCLUSIONI Sono state 5 le aziende apistiche (figura 1) sottoposte da parte dei Servizi Veterinari della Regione Umbria alla prima visita del periodo invernale prevista dal Piano di sorveglianza. Tutti gli apicoltori coinvolti nel progetto avevano un numero di apiari uguale o superiore a 2, con un numero di colonie variabile da 40 a 120. Due degli apicoltori coinvolti svolgevano l’attività parttime e 3 come hobby. Tutti appartenevano ad una associazione di apicoltori tranne uno per il quale non era stato specificato, 4 di loro non effettuavano nomadismo, 1 lo effettuava fuori regione. Il numero di colonie ispezionate è stato di 40 su un totale di 89 colonie distribuite nei 5 apiari sottoposti al controllo (tabella 1). Per ogni colonia è stato raccolto un campione di 300 api. Tutti gli apiari controllati avevano almeno due colonie infestate da varroa. Il tasso medio di varroa per colonia registrato variava da un minimo di 1 a un massimo di 28 varroe ogni 100 api. Il tasso di varroa medio per le colonie di tutti gli apiari è stato circa del 5% (figura 2), più elevato rispetto, per esempio, a quello registrato nella Regione Lazio con un valore del 3,43% (5). 349 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 E’ risultato del 62,5% (25/40) il rapporto tra il numero di colonie infestate da V. destructor durante la prima visita e il numero totale di colonie monitorate per apiario. Attraverso l’osservazione interna delle colonie, da un solo apiario sono stati diagnosticati i seguenti sintomi: presenza di varroa in fase foretica (n=6 su 10 colonie ispezionate), api con ali deformate o atrofizzate (n=4 su 10), segni di cannibalismo su larve o pupe (n=1 su 10). Gli stessi disturbi presenti al momento della visita erano stati registrati per quell’apiario nel corso della stagione 2012. Nel corso della seconda e terza visita non sono state rilevate anomalie nei 5 apiari sottoposti al controllo. La difficoltà iniziale è stata quella di reperire la lista di tutti gli apiari presenti nel territorio regionale a causa dell’incompleto aggiornamento dei dati dell’anagrafe nazionale. L’anagrafe apistica nazionale è stata istituita con il Decreto del 4 dicembre 2009 (disposizioni per l’anagrafe apistica nazionale GU n. 93 del 22-4-2010); le finalità dell’istituzione dell’anagrafe sono la tutela della salute delle api, la valorizzazione del patrimonio apistico, la tutela del consumatore e dei prodotti derivati dalle api, la farmacosorveglianza. L’anagrafe apistica nazionale attualmente non è però entrata a pieno regime, la bozza del Manuale Operativo contenete le procedure di attuazione del Decreto sull’anagrafe apistica non è stata ancora ultimata. Per ottenere i nominativi degli apicoltori umbri ci si è avvalsi perciò dell’anagrafe apistica regionale degli apicoltori. La costituzione di una anagrafe apistica nazionale efficace ed efficiente basata su dati standardizzati è quindi necessaria non solo per conoscere il patrimonio apistico presente in un territorio ma anche per poter adottare gli adempimenti previsti dal Regolamento di polizia veterinaria (DPR 320/54) che disciplina la lotta alle malattie delle api. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA DEL KIT BOVIGAM®2 Tabella 1: distribuzione per azienda degli apiari, colonie totali e campionate Apiari totali Colonie totali Colonie apiario campione Colonie ispezionate Azienda 1 3 100 15 10 Azienda 2 2 40 17 10 Azienda 3 3 120 45 8 Azienda 4 4 51 6 6 Azienda 5 2 45 6 6 Azienda Figura 2: distribuzione percentuale negli apiari controllati del tasso medio di varroa per 100 api e valore medio BIBLIOGRAFIA Figura 1: georeferenziazione degli apiari controllati in Umbria 1. Aspetti igienico-sanitari in apicoltura, (2010). Quaderni di zooprofilassi numero 5, terza edizione. 2. OPERA Research Centre Bee health in Europe – Facts and figures, (2013) Compendium of the latest information on bee health in Europe. 3. COMMISSIONE EUROPEA, Bruxelles, 6.12.2010 Comunicazione della commissione europea al Parlamento europeo e al consiglio relativa alla salute delle api. 4. European Union Reference Laboratory for honeybee health. (2011) Guidelines for a pilot surveillance project on honeybee colony losses. 5. Giovanni Formato (2013) Il piano di sorveglianza del Ministero della Salute. Risultati nella Regione Lazio http://www.izslt.it/apicoltura/progetto-pilota-disorveglianza-sulla-salute-delle-api/ 6. EFSA report: Hendrikx P., Chauzat M.P., Debin M., Neuman P., Fries I., Ritter W., Brown M., Mutinelli F., Le Conte Y., Gregorc A. (2009). Bee Mortality and Bee Surveillance in Europe CFP/EFSA/AMU/2008/02. 7. Hayes, J. (2007) Colony collapse disorder - Research update. American Bee Journal, 147, 1023 1025. 350 Marineo S.1, Mossi P.2, Crucitti D.1, Vargetto D.1, Giarratana R.1 and Caracappa S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia- Dipartimento Sanità Animale Interprovinciale 2 Prionics AG, Switzerland Keywords: Mycobacterium bovis, Bovigam, Interferon gamma assay ABSTRACT Bovine Tuberculosis (Tb) is a respiratory disease caused by the bacterium Mycobacterium bovis. It is a major infectious disease spread worldwide in domestic animals and in certain wildlife populations. Symptoms may include physical weakness, anorexia, emaciation, enlargement of lymph nodes. Tuberculosis is an important zoonosis and presents a serious health risk to humans. The bacterium can be spread from animals to humans through aerosols or through the consumption of unpasteurized milk or dairy products from infected cows. In this work the results obtained with the new version of Bovigam 1 are compared with those obtained with the new version Bovigam 2. La tubercolosi bovina causata da Mycobacterium bovis è una malattia cronica infettiva con distribuzione mondiale e rappresenta un’importante barriera per il commercio degli animali con significative perdite economiche. La tubercolosi è inoltre una malattia zoonosica quindi rappresenta un grave rischio anche per l’uomo. Il test cutaneo (intradermoreazione) che si basa sull’ipersensibilità di tipo ritardato è la metodica più comunemente utilizzata per identificare la tubercolosi nei bovini [1]. L’interpretazione è basata sull’osservazione dell’ispessimento cutaneo sia in assenza che in presenza di segni clinici. Altre prove diagnostiche utilizzate per la conferma della tubercolosi ci sono il test IFN-γ, l’osservazione degli animali in sede di macellazione e l’isolamento colturale (Ordinanza Ministeriale 14 Novembre 2006). Il test IFN-γ si basa sul principio secondo il quale i linfociti Th1 presenti nei campioni di sangue intero sensibilizzati con l’antigene (proteina purificata tubercolina derivata PPD) producono l’IFN-γ al contrario dei linfociti mai venuti in contatto con Mycobacterium. Il test è in grado di dimostrare quindi la reattività immunitaria cellulo-mediata (CMI). La quantità di IFN-γ prodotto dai linfociti stimolati è quantizzabile attraverso un test ELISA eseguibile o immediatamente dopo la sensibilizzazione o in un secondo momento venendo così incontro alle esigenze e alle priorità del laboratorio. Fig. 1 Principio del test BOVIGAM. Nella prima fase il sangue intero in vitro viene incubato per 24h per indurre la produzione di IFN-γ, nella seconda la produzione di IFN-γ viene rilevata mediante un test ELISA a sandwich. Il test BOVIGAM® IFN-γ viene utilizzato in molti paesi [2,3] nei programmi di controllo della tubercolosi bovina [4]. Il saggio del l’IFN-γ offre una maggiore sensibilità e la possibilità di una rapida ripetizione del test. Inoltre, utilizzando il saggio IFN-γ non è richiesta una seconda visita del veterinario in azienda e il tipo di tecnica utilizzata rende l›interpretazione del risultato meno soggettiva Al test BOVIGAM®1 sono state apportate delle modifiche tra cui l’utilizzo di una serie di peptidi stimolanti che offrono un’elevata flessibilità nell’applicazione del test che hanno portato al BOVIGAM®2. Nella nuova versione, inoltre, i tempi di esecuzione del test sono stati accorciati e la procedura semplificata in quanto durante l›esecuzione del test ELISA non è necessario aggiungere il cromogeno (piochè già presente con l›enzima substrato) e una delle fasi di lavaggio è stata eliminata. Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare l’efficienza della nuova versione del kit BOVIGAM® al fine di potere effettuare analisi diagnostiche che possano essere affidabili e tempestive. Presso i laboratori diagnostici dell›Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia sono stati analizzati 53 sieri provenienti da tre allevamenti di cui due con capi positivi al test cutaneo. Alcuni dei capi positivi, durante l’esame post mortem hanno mostrato lesioni riferibili alla tubercolosi ed è stato inoltre possibile l’isolamento con la successiva spoligotipizzazione che ha confermato la presenza dello spoligotipo SB0120, il più diffuso tra i bovini siciliani [5]. Il terzo allevamento non ha mai manifestato positività all’intradermoreazione. Tutti i sieri sono stati saggiati sia con il kit BOVIGAM®1 che con il kit BOVIGAM®2 seguendo in entrambi i casi i protocolli forniti dalla casa produttrice. Il confronto tra i risultati ottenuti con le due versioni è schematizzato nella tab 1. 351 BOVIGAM®1 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BOVIGAM®2 + + 15 0 3 35 Tab 1 Riepilogo dei risultati positivi e negativi ottenuti con le due metodiche a confronto. Dei 53 sieri analizzati 15 sono risultati positivi con entrambi i kit utilizzati e 35 sono risultati negativi con entrambe le metodiche utilizzate. Nessuno dei sieri è risultato positivo con il kit BOVIGAM®1 e negativo con la nuova versione, ma 3 sieri identificati come negativi con la vecchia versione del kit si sono rivelati positivi con la nuova versione dimostrando la maggiore sensibilità del kit BOVIGAM®2. La nuova versione del kit BOVIGAM® ha quindi dimostrato una maggiore sensibilità e una maggiore semplicità del protocollo di utilizzo. Test sempre più sensibili possono essere validi alleati nella strategia attualmente utilizzata per l’eradicazione di questa patologia. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Monaghan M.L., M.L. Doherty, J.D. Collins, J.F. Kazda, P.J. Quinn (1994) The tuberculin test Veterinary Microbiology, Volume 40, Issues 1–2, May 1994, Pages 111–124 2. Acevedo P., Romero B., Vicente J., Caracappa S., Galluzzo P., Marineo S., Vicari D., Torina A., Casal C., de la Fuente J., Gortazar C. (2013) Tuberculosis epidemiology in islands: insularity, hosts and trade. PLoS One. 2013 Jul 29;8(7):e71074 3. de la Rua-Domenech R., Goodchild A.T., Vordermeier H.M., Hewinson R.G., Christiansen K.H., Clifton-Hadley R.S. (2006) Ante mortem diagnosis of tuberculosis in cattle: a review of the tuberculin tests, gamma-interferon assay and other ancillary diagnostic techniques. Res Vet Sci. 2006 Oct;81(2):190-210 4. Vordermeier M., Whelan A., Ewer K., Goodchild T., Clifton- Hadley R., Williams J., Hewinson R.G. (2006) The BOVIGAM® assay as ancillary test to the Tuberculin skin test. Government Veterinary Journal; 16(1):72-80 5. Schiller I., Vordermeier H.M., Waters W.R., Whelan A.O., Gormley E., Buddle B.M., Palmer M., Thacker T., McNair J., Welsh M., Hewinson R.G., Oesch B. (2010) Bovine tuberculosis: Effect of the tuberculin skin test on in vitro interferon gamma responses Veterinary Immunology and Immunopathology, 136:1-11 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 NESTED- PCR PER LA DIAGNOSI DI TOXOPLASMA GONDII Marino A.M.F., Alfonzetti T., Puglisi M.L., Aparo A., Vitale F., Reale S. Centro di Referenza Nazionale per la Toxoplasmosi - Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Catania Keywords: Toxoplasma gondii, Nested-PCR, Gene B1 ABSTRACT Authors describe the Nested-PCR method for Toxoplasma gondii diagnosis of biological samples and foodstuffs derived from susceptible animal species, with reference to the Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals OIE ed. 2008 “Toxoplasmosis”, Section 2.9.10. B 1.c. The method includes a step of extraction of DNA and subsequent amplification by Nested-PCR (1). The amplified genomic region is a part of the gene B1 Locus AF179871. Before the extraction step, the sample is digested and pretreated according to a procedure variable in relation to the matrix in question. The method was validated by calculating the sensitivity, specificity and accuracy, and using dilutions of the positive control purchased from the ATCC, cells grown on Human Fetal Foreskin. The drafting of a protocol for rapid and reliable diagnosis from edible and biological matrices is explained by the need to ensure, through the laboratory, surveillance towards a neglected zoonoses. INTRODUZIONE La Toxoplasmosi appartiene al gruppo delle zoonosi neglette. L’EFSA ha ribadito, nei report sulle zoonosi degli ultimi anni, la necessità di approfondire la conoscenza sui livelli di prevalenza in ambito zootecnico e sui livelli di infestazione da cisti parassitarie delle carni degli animali macellati. La disponibilità di un metodo diagnostico rapido e validato costituisce un presupposto fondamentale per approfondire lo studio sulla malattia. MATERIALI E METODI I campioni biologici ed alimentari possono essere rappresentati da tessuti o da sangue intero di specie animali recettive. Estrazione del DNA L’estrazione del DNA è stata condotta seguendo le modalità previste dalle istruzioni del Kit dell’Invitrogen PureLink™ Genomic DNA che fa uso di colonnine di affinità. Tali istruzioni prevedono, prima della fase di estrazione, di operare una fase di preparazione del campione, nel corso della quale vengono digeriti i tessuti così da facilitarne le successive fasi d’analisi. La durata della digestione varia da poche ore a tutta la notte, secondo la consistenza del campione. Nel caso in cui la matrice in esame sia rappresentata da tessuto muscolare o da organi (fegato, cuore, ecc.), per aumentare la probabilità di evidenziare i bradizoiti nelle cisti è opportuno processare una quantità di campione che sia più rappresentativa possibile e sottoporla a digestione per una notte. A seguito della fase di pretrattamento le matrici da esaminare vengono ridotte in forma di omogenato. Successivamente il campione è digerito con 200 µl di tampone di lisi contenente sali cautropici e la proteinasi K, utile per eliminare le contaminazione derivate dalla presenza 352 di proteine inquinanti, e incubato a 55°C fino a completa lisi e dissoluzione della sua parte corpuscolata. La miscela è in seguito caricata nella colonnina di affinità e fatta passare, per centrifugazione, attraverso la colonnina di silice a cui si lega il DNA. Il DNA bloccato sul filtro viene lavato per due volte con gli opportuni tamponi di lavaggio e centrifugato fino ad asciugatura. Viene quindi eluito con il tampone di eluizione e recuperato per centrifugazione. La presenza del DNA così estratto dal campione è verificata tramite elettroforesi su gel di agarosio all’1% e successiva lettura della corsa su gel mediante acquisitore di immagini. La concentrazione è valutata attraverso il confronto con bande di peso molecolare noto contenute nel marcatore λHind III, cioè DNA del fago λ digerito con Hind III. Amplificazione Nested – PCR La scelta della regione di amplificazione si è basata sul lavoro di Burg et al (1989) (3) a cui fa riferimento il anche il Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals – O.I.E.- ed. 2008, “Toxoplasmosis” Cap. 2.9.10. B 1.c. La metodica Nested-PCR prevede due successive amplificazioni di una regione del gene B1 LOCUS AF179871. Il target scelto è stato individuato nella sequenza ripetitiva B1, che è presente nel genoma di T. gondii in 35 copie aumentando così la sensibilità e la specificità della PCR (4) (5). La prima amplificazione “first” è condotta con i primers P1 (Toxo Burg First Forward) e P4 (Toxo Burg Nested Reverse) per dare un amplificato di 194bp, e la seconda amplificazione “nested” con i primers P2 (Toxo Burg Nested Forward) e P3 (Toxo Burg Nested Reverse) ottenendo un frammento di 97 bp (Tabb. 1 e 2). Tabella 1 – Sequenza parziale gene B1 661cttcaagcagcgtattgtcgagtagatcagaaaggaactg catccgttcatgagtataagaaaaaaatgtgggaatgaaagag acgctaatgtgtttgcataggttgcagtcactgacgagctccc ctctgctggcgaaaagtgaaattctgagtatctgtgcaacttt ggtgtattcgcagattggtcgcctgcaatcgatagttgacacg aacgctttaaagaacaggagaagaag 900 Il programma di amplificazione per la PCR First prevede una fase di denaturazione a 94°C per 5 minuti. Successivamente i campioni sono sottoposti a 35 cicli di amplificazione così costituiti: denaturazione 95°C per 50 secondi, annealing 53°C per 50 secondi e polimerizzazione 72°C per 60 secondi, e la polimerizzazione finale a 72°C per 4 min. Il programma di amplificazione per la PCR_Nested prevede una fase di denaturazione a 95°C per 3 minuti. 353 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 2 – Sequenza primers utilizzati per la Nested - PCR saggiare 50 campioni a valore noto, realmente positivi, ottenuti dal ceppo di riferimento certificato ATCC50838 e campioni realmente negativi. Inoltre è stato valutato il limite di rivelabilità (LOD) del metodo che è identificato come la più alta diluizione alla quale tutti i replicati hanno dato esito positivo alla PCR. Il LOD corrispondente alla concentrazione di analita più bassa in riscontro della quale tutti i replicati (100%) sottoposti a Nested-PCR danno esito positivo. Per calcolare il LOD è stata effettuata l’estrazione del campione positivo noto (contenente l’analita in esame) e quindi sono state eseguite opportune diluizioni scalari in base 10 del genoma estratto. Per la prova è stato predisposto anche un controllo negativo. Primers First PCR: frammento di 194 bp Toxo Burg First Forward 5’-ggaactgcatccgttcatgag da 694 a 714 P1 Toxo Burg First Reverse 5’- gaccacgaacgctttaaaga da 887 a 868 P4 (3’- ctggtgcttgcgaaatttct ) Sequenza complementare Burg Primers Nested PCR: frammento di 97 bp Toxo Burg Nested Forward 5’- tgcataggttgcagtcactg da 757 a 776 P2 Toxo Burg Nested Reverse 5’- ggtgtattcgcagattggtcgcc da 853 a 831 P3 (3’- ccacataagcgtctaaccagcgg) Sequenza complementare Burg I campioni vengono quindi sottoposti a 30 cicli di amplificazione così costituiti: denaturazione 95°C per 45 secondi, annealing 58°C per 30 secondi e polimerizzazione 72°C per 60 secondi, e la polimerizzazione finale a 72°C per 5 min. La rilevazione dei prodotti della PCR è ottenuta mediante la corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2%. Foto 1. Foto 1 – Elettroforesi su gel di agarosio del prodotto di amplificazione di 97bp ottenuto mediante Nested- PCR. 97bp p Validazione del metodo Per la validazione del metodo si è fatto riferimento al calcolo della sensibilità, specificità ed accuratezza. Questi valori descrivono la capacità del metodo nell’individuare correttamente, rispettivamente, un campione positivo ed un campione negativo. Per calcolare tali parametri si è stabilito di RISULTATI E CONCLUSIONI Gli autori hanno ottimizzato e validato una tecnica di biologia molecolare, basata sulla PCR qualitativa, applicabile a diverse matrici sia biologiche che alimentari. Il lavoro ha prodotto dati sull’applicazione del metodo Nested-PCR su campioni veri positivi e veri negativi. Ogni prova è stata ripetuta tre volte, da tre operatori, per confermare e validare i risultati elaborati da ogni campione. E’ stato raggiunto l’obiettivo di ottimizzare la classica PCR qualitativa, mirata all’amplificazione del gene B1, modificata dall’introduzione di una PCR Nested come indicato nel Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals – O.I.E.- ed. 2008. Dall’osservanza del protocollo di validazione, si è riscontrato un valore di sensibilità, specificità e accuratezza del 100% ed un LOD pari a 0,001pg/µl. Il limite di rilevabilità calcolato, corrisponde a 10-4 pg/µl, riconducibile ad una sensibilità del 70%, partendo da uno standard di 10pg/ µl fino ad una diluizioni 10-5. L’attività svolta ha prodotto uno strumento analitico a servizio della sanità pubblica e veterinaria che sempre maggiori attenzioni dovranno riservare alla Toxoplasmosi nel nostro Paese. BIBLIOGRAFIA 1) Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals – O.I.E.- ed. 2008, “Toxoplasmosis” Cap. 2.9.10. B 1.c. 2) J.G. Montoya, O. Liesenfeld, (2004) “Toxoplasmosis” Lancet vol.363: 1965-76. 3)J. L. Burg, C. M. Grover, P. Pouletty and J. C. Boothroyd (1989) “Direct and sensitive detection of apathogenic protozoan, Toxoplasma gondii, by polymerase chain reaction”. Journal of Clinical Microbiol., 27 (8): 1787. 4) J.T. Ellis, (1998) “Polymerase chain reaction approches for the detection of Neospora caninum and Toxoplasma gondii” International Journal for Parasitology 28 (1998) 1053- 1060. 5) Benjamin Edvinsson, et al. (2004) “DNA extraction and PCR assays for detection of Toxoplasma gondii” APMIS 112:342- 8, Cdc toxoplasmosis. 354 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L’IMPORTANZA DI UN CAMPIONAMENTO STATISTICAMENTE SIGNIFICATIVO PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BATTERICA DA UTILIZZARE NELL’ALLESTIMENTO DI UN VACCINO STABULOGENO PER LA PROFILASSI DI MASTITI OVINE E CAPRINE Marogna G., Barbato A., Fiori A., Carboni G.A., Schianchi G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”. Keywords: prevalenza, incidenza, intervallo di confidenza. Summary Milk sampling representativity is an essential prerequisite for proper microorganism identification and isolation in flock specific bacterial vaccine production. The possibility of performing a representative sampling comes from an evaluation of the alleged prevalence of the disease. Nonetheless, etiological diagnosis of small ruminant mastitis is particularly difficult, due to the absence of pathognomonic signs and to the large number of bacterial species responsible of mammary infections often simultaneously present in the flock. For this reason a standardized method of milk sampling is required in order to allow the production of effective flock specific bacterial vaccine against small ruminant mastitis. Introduzione Le mastopatie infettive batteriche sono il principale problema sanitario nell’allevamento degli ovini e dei caprini da latte. Queste patologie si contrastano con terapie antibiotiche e con profilassi vaccinali e sanitarie. Il recente indirizzo dato dalle autorità sanitarie mondiali è quello di abbattere drasticamente il ricorso all’utilizzo degli antibiotici e di incrementare l’uso dei vaccini. I vaccini stabulogeni prodotti dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna assolvono pienamente a questo compito. La profilassi vaccinale delle mastopatie degli ovini e dei caprini viene garantita allestendo stabulogeni a partire da diverse specie batteriche regolarmente isolate da latte e correttamente inviate alle Produzioni dai laboratori di Diagnostica dell’Istituto. Per garantire il successo della vaccinazione con stabulogeno è fondamentale che a monte, cioè prima dell’allestimento del vaccino, venga correttamente individuato il principale agente patogeno responsabile di mastite. Questo è un punto di criticità fondamentale. Esiste la possibilità che un campionamento di latte poco rappresentativo possa portare all’identificazione e alla scelta di un microrganismo sbagliato. Le conseguenze di questi campionamenti possono inficiare l’immunizzazione verso il patogeno più importante e contribuire alla sua diffusione. Paradossalmente questi avvenimenti contribuiscono ad amplificare anche le argomentazioni dei detrattori all’uso dei vaccini stabulogeni, che trovano nella presunta assenza di efficacia di alcune profilassi, giustificazione alle loro tesi. Ricordiamo che gli IZS sono autorizzati in esclusiva alla produzione dei vaccini stabulogeni con D.M. n. 287 del 17 marzo del 1994 e che questo prevede testualmente “ … la richiesta di preparazione (del vaccino) deve essere compilata dal veterinario d’intesa con il laboratorista dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale che ha emesso la diagnosi di laboratorio …”. In questa suddivisione dei compiti, è il veterinario di campo che, dopo aver visitato i greggi, stabilisce la prevalenza presunta della malattia e, verificata la numerosità del campione, stabilisce il numero congruo e significativo di prelievi da inviare al laboratorio di Diagnostica. La Diagnostica processa i campioni e consegna il ceppo alla Produzione, ma non può intervenire sul campionamento. Deve essere chiaro che ogni campionamento deve tener conto della consistenza del gregge o della numerosità degli animali con sintomatologia clinica o comunque di un gruppo di animali con specifiche caratteristiche. I capi prelevati infatti, devono essere sempre proporzionali e significativi al campione da analizzare, in caso contrario il rischio di formulare diagnosi discutibili è molto alto, a maggior ragione quando si tratta di mastiti dei piccoli ruminanti, patologie per le quali non esistono segni patognomonici e che possono essere provocate da un numero elevato di specie batteriche spesso contemporaneamente presenti nel gregge. Nelle nostre ricerche abbiamo eseguito dei campionamenti che prevedevano prelievi di latte di tutti i capi in produzione presenti in greggi con ricorrenti problemi di mastite e i risultati ai batteriologici hanno confermato quanta eterogeneità possa esserci nella popolazione batterica isolata. All’interno di ogni singolo gregge infatti, abbiamo isolato ed identificato germi molto diversi sia come specie che potere patogeno. Inoltre, anche all’interno di una stessa specie batterica abbiamo verificato come spesso si registri una elevata eterogeneità come: sierotipo, pulsotipo o risposta all’antibiogramma. Conseguenza intuitiva è che un campionamento troppo limitato ci avrebbe privato del quadro di insieme rendendoci difficile se non impossibile l’individuazione del patogeno più importante e l’allestimento di un vaccino efficace. Alla luce della nostra esperienza (siamo l’IZS leader in Italia nella produzione degli stabulogeni per la profilassi delle mastopatie batteriche degli ovini e dei caprini) abbiamo verificato come i migliori risultati vaccinali si ottengano solo quando si instaura una armonica collaborazione fra tutte le componenti tecniche: veterinario clinico e prelevatore, veterinario laboratorista responsabile di Diagnostica e veterinario responsabile della Produzione; è per questo motivo che sentiamo l’esigenza di promuovere metodi univoci e condivisi di campionamento che possano consentire l’allestimento di stabulogeni sempre più efficaci. Materiali e Metodi Prelievi di latte su tutto l’effettivo in lattazione dei greggi problema ed esame clinico sistematico. Semina latte su terreni colturali diversi, prima identificazione biochimica degli isolati e conferma con apposite PCR-RFLP per gli Staphylococcus e PCR per Streptococcus e Enterococcus. Antibiogrammi. Analisi dei risultati, stima dell’eterogeneità delle specie e dei ceppi isolati e confronto con le tabelle che consentono il campionamento significativo del gregge. Risultati I risultati principali ottenuti negli allevamenti ovini e caprini esaminati, nonché il dettaglio dei materiali e metodi su indicati possono essere desunti dai due lavori pubblicati: Marogna G., Rolesu S., Lollai S., Tola S., Leori S.G. - Clinical findings in sheep farms affected by recurrent bacterial mastitis. – Small Ruminant Research – 88 (2010) 119-125. e Marogna G., Pilo C., Vidili A., Tola S., Schianchi G., Leori S.G. - Comparison of clinical findings, microbiological results, and farming parameters 355 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 in goat herds affected by recurrent infectious mastitis - Small Ruminant Research - 102 (2012) 74-83. Discussione Il metodo corretto per eseguire il campionamento dal quale individuare il batterio da utilizzare per l’allestimento di un vaccino stabulogeno non può prescindere dalla stima della frequenza della mastite in una popolazione, considerandone l’incidenza e la prevalenza. E’ quindi fondamentale per una corretta diagnosi il ruolo del veterinario di campo che questa stima deve obbligatoriamente eseguire prima di effettuare il campionamento. L’intervallo di confidenza fornisce informazioni riguardo alla precisione dei valori ottenuti attraverso lo studio del campione. Ad esempio, un intervallo di confidenza del 95% comprende un intervallo di valori che tiene conto della variabilità del campione, in modo tale che si può confidare, con un margine di certezza ragionevole (appunto il 95%) , che XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 quell’intervallo contenga il valore vero dell’intera popolazione che non si ha modo di esaminare. L’intervallo di confidenza rappresenta un parametro di fondamentale importanza soprattutto negli studi epidemiologici in cui la variabilità del campione (molto spesso dovuta al fatto che il campione è piccolo) può rendere aleatoria l’interpretazione dei risultati. Non possiamo prescindere da questo postulato quando si vuole allestire un vaccino stabulogeno che possa avere la giusta efficacia, questo molto prima di affrontare argomenti riguardanti: immunologia, potere patogeno, adiuvanti, tecnica e sito di inoculo, calendario delle vaccinazioni ecc. Per questi motivi riteniamo auspicabile che nella pratica di campo, prima di eseguire i prelievi di latte mastitico, ci si avvalga di apposite tabelle di riferimento che consentono il corretto campionamento. Tabella 1. Numerosità del campione (Confidenza al 95% e 99%). Numerosità della popolazione 30 60 100 300 500 1000 5000 10000 Prevalenza presunta della malattia (Rapporto ammalati / totale della popolazione) 0.05 0.10 0.25 0.01 29 57 95 189 224 258 289 294 30 59 99 235 300 367 438 448 23 37 44 53 55 57 58 58 27 47 59 77 82 86 89 89 18 23 25 27 28 28 28 28 A sinistra numerosità del campione per ottenere confidenza del 95% A destra numerosità del campione per ottenere confidenza del 99% 356 23 31 35 41 42 43 44 44 8 10 10 10 10 10 10 10 0.50 12 14 15 16 16 16 16 16 4 4 4 4 4 4 4 4 6 6 7 7 7 7 7 7 EDEMA MALIGNO IN BUFALE (BUBALUS BUBALIS) AL POST-PARTUM Martucciello A.1, Marianelli C.2, Grassi C.3, Armas F.2, Alfano D.1, Guarino A.4, De Carlo E.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sezione Diagnostica di Salerno-Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline, Salerno; 2Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Roma; 3Veterinario Libero Professionista, 4Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Direzione, Portici. 1 Key words: buffalo (Bubalus bubalis), Clostridium septicum, edema maligno Abstract In this report we describe four rare cases of postparturient malignant edema with vulvovaginitis and myositis in water buffaloes (Bubalus bubalis) by Clostridium septicum. Four buffaloes showed swelling of perineal and perivulvar areas, fever and agalactia after calving. Two of them dead within 24 h from calving. Large Gram-positive rods, some with sub terminal spores, were isolated from exudate samples taken from the vulva. C. septicum was identificated as the etiological agent by culture examination and nucleotide sequence analysis of the 16S-23S rDNA spacer region. All animals were primiparous. We think that Clostridium infection might be related to trauma during the birth process. It represents the first report in this species. Introduzione Clostridi sono bacilli Gram-positivi, anaerobi, molto diffusi che causano gravi patologie e morte in uomini ed animali. C. septicum penetra attraverso lesioni di continuo della cute e delle mucose e si sviluppa in ambiente anaerobio causando mionecrosi (edema maligno, gangrena) e determinando rapidamente la morte. Questo microrganismo è stato descritto come causa di edema maligno in bovini (6,10), pecore e suini (4) ed altre specie, e di “braxy”- una grave abomasite caratterizzata da infiammazione suppurativa, edema ed enfisema - in vitelli ed agnelli (1). Nei ruminanti, la via d’ingresso del C. septicum è costituita da ferite, determinate ad esempio in seguito ad incidenti, perforazione della mucosa delle prime vie digerenti, lacerazioni della mucosa che possono verificarsi durante il parto, ferite per interventi chirurgici (asportazione delle corna, castrazione, amputazione della coda, ecc), perforazioni dell’ago in occasione della somministrazione parenterale di farmaci quando le norme igieniche non vengono rispettate. La contaminazione può avvenire direttamente dall’ambiente o attraverso le feci. Quindi, la mucosa lesionata potrebbe consentire l’accesso del C. septicum ai tessuti interni, mentre le emorragie dei tessuti profondi creano le condizioni anaerobie utili alla proliferazione dei microrganismi. C. septicum è un batterio mobile, ciò gli consente di diffondere rapidamente lungo i piani fasciali dei muscoli con progressivo danneggiamento dei tessuti muscolari e connettivi circostanti e turbe del movimento con risentimento generale. Quindi il decorso della malattia è acuto/peracuto, con segni clinici evidenti entro le 24 h, ed esito letale in 1-5 giorni dall’istaurarsi della lesione. C. septicum produce alfa tossina, la più importante tossina di questo microrganismo, che ha azione necrotizzante ed emolitica con conseguente aumento della permeabilità capillare. L’alfa tossina causa rapida mionecrosi, emorragia interstiziale, ed edema quando inoculato nel topo (5) e collasso micro vascolare (3). C. septicum, inoltre, produce una beta tossina (con attività citolitica), una gamma tossina e una delta tossina (con attività ialuronidasica ed emolitica rispettivamente), una neuraminidasi ed una emoagglutinina, una chitinasi, una lipasi, ed una sialidasi (9); le quali, seppur non letali, contribuiscono alla patogenensi del C. septicum facilitando l’invasione tissutale e la mionecrosi, e riducendo il flusso sanguigno microvascolare. Questo studio descrive 4 casi di edema maligno postpartum causati da C. septicum in bufali (Bubalus bubalis) e rappresenta la prima segnalazione in questa specie. Materiali e metodi Nel mese di gennaio 2013 in un’ azienda bufalina di 1000 capi locata in provincia di Salerno, quattro bufale primipare presentavano, all’esame clinico eseguito a 12 ore dal parto, febbre ed agalassia. La vulva si mostrava massicciamente gonfia, tesa, calda e dolente alla palpazione, indicando la presenza di gas ed edema. Dopo 24 ore dal parto l’edema si era esteso al sottocutaneo circostante e ai muscoli scheletrici di una sola gamba con conseguente trascinamento dell’arto interessato. Due soggetti sono morti dopo 24 ore dal parto. I due soggetti sopravvissuti sono stati trattati a 24 h postpartum con lavaggio e curettage con acqua ossigenata miscelata a betadine della zona interessata, e con somministrazione IM di ketoprofene al 10% (3mg/Kg) die per 3 giorni e sulfadiazinatrimethoprim (1 ml/10 Kg) die per 10 giorni. Successivamente al trattamento gli animali presentavano buone condizioni generali, necrosi dei tessuti superficiali nelle zone interessate all’edema, con perdita abbondante di tessuto seguita da cicatrizzazione per seconda intenzione. L’area interessata dalla necrosi aveva raggiunto i 30 cm2 di diametro. Prima del trattamento i due soggetti sono stati sottoposti a prelievo sterile di campioni di essudato e di tessuto dall’area edematosa di vulva e coscia. I campioni sono stati trasportati presso il laboratorio a temperatura refrigerata nel più breve tempo possibile. Quindi, sono stati sottoposti ad esame batteriologico e molecolare. I campioni sono stati seminati su agar sangue al 5% e su MacConkey agar ed incubati a 37°C for 48-72 h, sia in aerobiosi che anaerobiosi. Le colonie sono state identificate con tecnica biochimica (Vitek 2 Biomereux) e con indagine biomolecolare. Si è proceduto all’estrazione del DNA con QIAamp DNA Mini Kit (Qiagen) seguendo il protocollo allegato ed il DNA estratto è stato sottoposto a saggio PCR. Una coppia di primer (Fw 5’-CGG CTG GAT CAC CTC CTT TC-3’ e Rev 5’-ATC ACG TCC TTC ATC GGC TC-3’) è stata disegnata per amplificare speficatamente la regione conservata del rDNA 16S-23S del Clostridium di 460 bp. La sequenza del C. septicum disponibile in banca data (accession n° AB040716, http://www.ncbi. nlm.nih.gov) è stata utilizzata come sequenza di riferimento. Il saggio di amplificazione è stato eseguito in un volume totale di 25 microlitri utilizzando la GoTaq Green Master Mix (Promega Corporation, Madison, WI) e seguendo le istruzioni del produttore. Il profilo di amplificazione era il seguente: 2 min a 94 ° C, seguita da 30 cicli di 30 secondi a 94 ° C, 30 sec a 58 357 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ° C e 30 secondi a 72 ° C. Dopo l’amplificazione, i prodotti della reazione sono stati analizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio 2%, colorati con gel rosso Nucleic Acid Stain (Biotium Inc., Hayward, CA) e fotografati. Risultati e conclusioni Le colonie cresciute in condizioni di anaerobiosi si presentavano emolitiche. Bacilli Gram-positivi tipici del genere Clostridium (7) sono stati visualizzati al microscopio (7). La presenza di colonie di C. septicum è stata confermata dall’analisi biochimica e molecolare (Figura 1). Nessun altro clostridio era stato isolato, né altri germi con valenza patogena. Figura 1. Sequenza nucleotidica della regione spaziatrice del rDNA 16S-23S dell’isolato E’ stato dimostrato che la sequenza della regione spaziatrice del rDNA 16S-23S può essere usata per identificare e differenziare i clostridi patogeni (C. chauvoei, C. septicum, C. novyi e C. sordellii) (8). Tale regione infatti varia nelle diverse specie soprattutto per la sua lunghezza, dovuta alla presenza di sequenze di inserzione, rappresentate principalmente dai geni tRNA. Nel C. septicum essa si differenzia soprattutto per la presenza di una inserzione di 71 bp. L’analisi della sequenza nucleotidica della regione spaziatrice del nostro isolato ha evidenziato la presenza della sequenza di inserzione di 71 bp, come sopra in Figura. L’interrogazione della banca dati per la ricerca di somiglianze mediante l’algoritmo Blast (http://blast. ncbi.nlm.nih.gov/ Blast.cgi) ha confermato l’isolato come C. septicum con una identità del 100%. Il ceppo di C. septicum è stato successivamente sottoposto ad antibiogramma al fine di verificare la sensibilità agli antibiotici in uso secondo la tecnica di diffusione di Kirby-Bauer in agar Muller Hinton (7). L’isolato presentava sensibilità ad ampicillina, penicillina, cefalessina, eritromicina, flumequina, lincomicina in associazione con spectinomicina, marbofloxacina, rifampicina, ed sensibilità intermedia ad amoxicillina, acido nalidixico, apramicina, kanamicina, lincomicina, norfloxacina, spiramicina. In contrasto, dimostrava resistenza a cefalochina, colistina, gentamicina, neomicina, ossitetraciclina, tetraciclina, tilosina, sulfametossazolo in associazione con trimetoprim. I risultati erano simili a quelli presenti in letteratura (2). Anche questi dati confermano l’eccellente attività in vitro della penicillina, che risulta essere l’antibiotico di prima scelta, mentre cefalessina e rifampicina possono essere usati come seconda scelta. Una rapida diagnosi ed una terapia aggressiva con alte dosi dell’ appropriato antibiotico sono fondamentali nella gestione di un infezione da C. septicum e possono determinare la guarigione e sopravvivenza dei soggetti malati. Pertanto, nella prevenzione dell’edema maligno è molto importante evitare l’introduzione dei germi attraverso ferite, quindi è bene porre molta cura nei casi in cui si creano soluzioni di continuo di cute e mucose. Buona pratica potrebbe essere quella di utilizzare lettiera di buona qualità evitandola comunque nella zona post-partum ed in infermeria, sostituendola con altri tipi di lettiera ad esempio con materassini, da gestire secondo severe norme igieniche. Bisogna tener presente, inoltre, che i Clostridi sono maggiormente presenti in terreni alluvionali, scarsamente drenati e paludosi (4) e quindi l’incidenza della malattia è maggiore nei periodi di piogge intense. In conclusione, questo studio riporta quattro casi di edema maligno post-parto. Il quadro clinico, così come i risultati microbiologici e molecolari, confermano la diagnosi di infezione da C. septicum. La terapia con antibiotici, praticata ai due soggetti sopravvissuti, ha evitato complicanze batteriche secondarie, mentre risolutiva è stata la resezione chirurgica del tessuto necrotico che ha creato un ambiente aerobio sfavorevole allo sviluppo dei batteri anaerobi. Bibliografia 1.Eustis S.L., Bergeland M.E., 1981. Suppurative abomasitis associated with Clostridium septicum infection. Journal of the American veterinary medical Association 178 (7), 732-734. 2.Gabay E.L., Rolfe R.D., Finegold S.M., 1981. Susceptibility of Clostridium septicum to 23 antimicrobial agents. Antimicrobial Agents and Chemotherapy 20 (6), 852-853. 3.Hickey M.H., Kwan R.Y.Q., Awad M.M., Kennedy C.L., Young L.F., Hall P., Cordner L.M., Lyras D., Emmins J.J., Rood J.I., 2008. Molecular and cellular basis of microvascular perfusion deficits induced by Clostridium perfrigens and Clostridium septicum. PLoS Pathogens 4, e1000045. 4.Hungerford, T.G. (Ed.), 1990. Disease of Livestock. McGraw-Hill Book Company, Australia, pp. 35-710. 5.Kennedy C.L., Krejany E.O:, Young L.F., O’Connor J.R., Awad M.M., Boyd R.L., Emmins J.J., Lyras D., Rood J.I., 2005 The α-toxin of Clostridium septicum is essential for virulence. Molecular Microbiology 57 (5), 1357-1366. 6.Odani J.S., Blanchard P.C., Adaska J.M., Moeller R.B., Uzal F.A., 2009. Malignant edema in postpartum dairy cattle. Journal Veterinary Diagnostic Investigation 21, 920-924. 7.Quinn P.J., Carter M.E., Markey B., Carter G.R., 1994. Clinical Veterinary Microbiology. Ed. Mosby-Year Book Europe Limited, London, pp. 95-208. 8. Sasaki Y., Yamamoto K., Kojima A., Norimatsu M., Tamura Y., 2000. Rapid identification and differentiation of pathogenic clostridia in gas gangrene by polymerase chain reaction based on the 16S-23S rDNA spacer region. Research in Veterinary Science 69 (3), 289-294. 9.Tweten R.K., 2001. Clostridium perfrigens beta toxin and Clostridium septicum alpha toxin: their mechanism and possible role in pathogenesis. Veterinary Micorbiology 82, 1-9. 10.Wayt L.K., 1951. Parturient malignant edema in a cow. Journal of the American veterinary medical Association 119, 353-354. 358 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INTERVENTO MIRATO DI EDUCAZIONE SANITARIA IN UN’AREA A RISCHIO PER RECRUDESCENZA DELLA TUBERCOLOSI BOVINA Masala S.1, Ponti N.1, Marongiu E.1, Pintore A.1, Canu M.1, Lucariello S.1, Rolesu S.12, Coccollone A.12 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, via Duca degli Abruzzi 8, 07100 Sassari 2 Centro di Sorveglianza Epidemiologica, via XX Settembre 9, 09125 Cagliari Key words: health education, Mycobacterium bovis, SUMMARY The work explains the methods and tools notes prepared by researchers at the Institute Zooprofilattico of Sardinia in a health education intervention implemented in a risk area for the presence of Mycobacterium bovis. The analysis of the questionnaires - compiled by the target population - has provided the necessary information for the definition of educational messages inserted in the brochures, directed to children, adults and hunters. INTRODUZIONE Il primo passo per la messa in atto di un progetto educativo è quello di individuare i bisogni della popolazione a cui il progetto è rivolto. L’individuazione dei bisogni può avvenire attraverso diversi percorsi e nel nostro lavoro sono stati individuati attraverso interviste ai ragazzi in età scolare e alle loro famiglie. Nel 2011 l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ha effettuato un’indagine che ha preso in considerazione, fra gli altri aspetti, la percezione da parte della popolazione dei rischi legati all’alimentazione. Il campione proveniva da una sub-regione della Sardegna settentrionale, il Goceano, in cui negli anni 2007-2008 si è manifestata un’importante epidemia di Tubercolosi bovina. Attraverso l’indagine si è potuto valutare se il risalto che questa patologia ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa avesse in qualche modo modificato la percezione del rischio della popolazione di quest’area, rendendola consapevole dell’esistenza del pericolo legato alla presenza del Mycobacterium bovis. Il campione intervistato ha invece dimostrato di ignorare le problematiche connesse a importanti patologie certamente poco frequenti ma presenti nel territorio quali la tubercolosi, appunto, la trichinellosi e l’echinococcosi. (1). MATERIALI E METODI I risultati dell’indagine sulla percezione del rischio hanno portato il gruppo di lavoro a mettere in atto un programma di educazione sanitaria mirato alla diffusione dei risultati dell’indagine stessa e a colmare alcune lacune relative non solo alla gestione ma all’esistenza stessa del pericolo. Per questo motivo si è deciso di elaborare tre diversi opuscoli informativi rivolti, rispettivamente, ai bambini, agli adulti e ai cacciatori. Nel primo opuscolo sono stati trattati temi generali di igiene; visto che il contagio della tubercolosi dai bovini all’uomo avviene o per contatto diretto con animali infetti o col consumo di latte crudo da essi derivato, non ci è sembrato utile fornire ai bambini indicazioni più precise relativamente a questa patologia. Per lo stesso motivo, anche nell’opuscolo rivolto alla popolazione adulta, non si è parlato solo o in maniera particolarmente approfondita di tubercolosi. Relativamente a quest’ultima si è spiegato in modo semplice e sintetico di cosa si tratta, qual è l’agente causale, quali gli ospiti e le principali vie di infezione. Sono stati poi illustrati gli aspetti salienti dell’indagine. Nello specifico si è deciso di focalizzare l’attenzione sulla scarsa co- noscenza dei processi produttivi di quegli alimenti che gli intervistati hanno dichiarato di consumare abitualmente, quali l’utilizzo di latte crudo piuttosto che pastorizzato per la produzione dei formaggi tipici. Sono state inserite poi delle considerazione in cui si mette in evidenza che esistono dei pericoli, quali l’echinococcosi e la trichinelllosi, che gli intervistati hanno dimostrato di ignorare completamente. Il Mycobacterium bovis è stato isolato anche nei linfonodi di alcuni cinghiali abbattuti nel territorio già infetto per i bovini. Si è dunque ritenuto necessario dare ai cacciatori delle informazioni più precise rispetto a quelle fornite al resto della popolazione. È stato, anzitutto, spiegato qual è il possibile ruolo del cinghiale nella trasmissione della patologia. Sono state, poi, illustrate, anche attraverso delle immagini, la localizzazione, la forma, e le dimensioni tipiche delle lesioni tubercolari. Qualora tali lesioni siano evidenziate, è stato ribadito che dovrà essere cura del cacciatore contattare il veterinario ufficiale. Infine sono state riportate le principali pratiche igieniche da seguire, sempre, durante l’eviscerazione dei cinghiali. Nello specifico è stato raccomandato di: usare guanti protettivi; eseguire un’accurata pulizia e disinfezione dei coltelli e di tutti gli altri utensili utilizzati; fare attenzione alla presenza di eventuali tagli o ferite che potrebbero essere esposte al contatto diretto con la carcassa; lavare accuratamente mani e braccia dopo la manipolazione delle carcasse; non fumare durante le operazioni di eviscerazione; usare sempre idonei contenitori per la raccolta di sangue e visceri. RISULTATI E CONCLUSIONI L’obiettivo di una politica di sanità pubblica dovrebbe essere quello di promuovere il benessere sanitario individuale e collettivo garantendo a tutta la popolazione un accesso equo alle prestazioni, ai servizi e alle informazioni (2). Ma quali sono le informazioni di cui la popolazione ha bisogno? Spesso la scelta degli argomenti da trattare nelle campagne di formazione/informazione è legata all’incidenza, o al rischio di incidenza, di una patologia sulla popolazione o su una classe di cittadini verso i quali la campagna stessa sarà diretta. Il nostro lavoro si è basato prima su un’indagine sulla percezione del rischio e poi su una campagna di informazione nei confronti di un pericolo presente nel territorio ma non percepito come tale dalla popolazione locale. BIBLIOGRAFIA 1. Coccollone A., Marongiu A., Masala S., Fiori E., Canu M., Ponti N., Rolesu S. (2011) Indagine conoscitiva su abitudini alimentari e percezione del rischio nella popolazione del Goceano (sub-regione della Sardegna). Risultati preliminari. VI Workshop Nazionale di Epidemiologia Veterinaria, L’epidemiologia veterinaria nel contesto di “one world, one Health”, pag. 73 – 74 2. Domenighetti G. (2000) Per una politica di sanità pubblica centrata sui bisogni della popolazione e non su quelli dei servizi. Punto Omega n.2/3, Provincia autonoma di Trento 359 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 IDENTIFICAZIONE MEDIANTE TECNICHE DI PROTEOMICA DI UNA PROTEINA PLASMATICA QUALE POSSIBILE MARKER DI TRATTAMENTO ILLECITO NEI VITELLI DA CARNE Mazza M., Guglielmetti C., Pagano M., Nodari S., Carrella S., Sciuto S., Pezzolato M., Richelmi G.B., Baioni E., Acutis P.L., Bozzetta E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, 10154 Torino Keywords: dexamethasone, anabolic treatments, paraoxonase. ABSTRACT: Corticosteroids are illegally used in several countries as growth promoters in veal calves and beef cattle. Testing for abuse is based on direct detection of illicit compounds or metabolites, or indirect detection that identifies changes in biological pathways. This study describes a comparative proteomic approach, through twodimensional electrophoresis (2DE), to identify plasma protein markers indicative of dexamethasone administrations to veal calves. Twenty male Friesian veal calves were treated experimentally with dexamethasone both for anabolic and therapeutic purpose. Plasma samples were collected from each animal before and after treatment and then analyzed by 2DE. The comparison of the maps obtained from animals showed the disappearance of two spots identified as serum paraoxonase/arylesterase 1 precursor (PON1). Statistical analysis confirmed the specificity of this marker in detecting possible illegal treatment with corticosteroids. INTRODUZIONE: La Legislazione Comunitaria vieta i trattamenti delle specie di interesse zootecnico con sostanze ad effetto anabolizzante, pertanto in ognuno dei Paesi facenti parte dell’UE viene programmato annualmente un Piano Nazionale Residui. I controlli da parte delle Autorità Sanitarie sono effettuati sia a livello di stalla e sia al macello, ma in entrambi i casi i riscontri di positività sono improbabili dal momento che coloro che usano abitualmente farmaci vietati hanno acquisito negli anni capacità sempre maggiori nell’effettuare cocktail di principi attivi ad effetto anabolizzante a bassi dosaggi e di difficile riscontro alle analisi ufficiali. Dagli studi effettuati si sono riscontrati effetti genotossici e carcinogenici, pubertà anticipata, danni al sistema immunitario, alterazioni dell’embriogenesi. Considerati i rischi elevati per la salute pubblica, l’attenzione è stata focalizzata sulla necessità di ricercare metodi in grado di rilevare i trattamenti con sostanze anabolizzanti in maniera sensibile. Nonostante i progressi della chimica analitica, la sensibilità degli strumenti dedicati al ritrovamento di tali molecole non è riuscita a stare al passo con cocktail sempre più sofisticati. Per tale motivo si stanno studiando nuove tecniche che possano sopperire ai limiti delle metodiche di indagine applicate in routine. In questo ambito le tecniche basate sul rilievo di marker biologici di queste sostanze, come la proteomica e la metabolomica, offrono delle promettenti prospettive. In questo lavoro sono riportati i risultati di uno studio di proteomica al fine di ricercare nel plasma di vitelli trattati sperimentalmente con corticosteroidi marker proteici indicativi di trattamento illecito. MATERIALI E METODI: Lo studio è stato condotto su 20 vitelli di razza Frisona stabulati all’età di 15-35 giorni. Al sesto mese di età gli animali sono stati divisi casualmente in due gruppi e trattati sperimentalmente con desametasone: 10 animali per venti giorni consecutivi (0,4 mg/giorno per os) a scopo anabolizzante (gruppo 1); 10 animali per tre giorni consecutivi (2-4 mg/Kg per i.m.) cercando di simulare un trattamento terapeutico (gruppo 2). Campioni di plasma sono stati poi ottenuti da ciascun animale a tempi diversi (T1-T6, animali gruppo 1; T1-T4, animali gruppo 2) e conservati a 80 °C fino al momento delle analisi. I campioni ai tempi T1 e T4-T6 corrispondono ai prelievi eseguiti rispettivamente prima e dopo i trattamenti). Preparazione del campione: Prima della fase di preparazione, il contenuto proteico dei singoli campioni di plasma è stato determinatoquantificazione mediante “metodo Bradford” (Quick Start™ Bradford 1x Dye Reagent; Bio-Rad Laboratories). Un contenuto di , e sono stati utilizzat 360 µg/ml di proteine totali per campione è stato utilizzatodper l’e analisi bidimensionale. I campioni sono stati poi incubati a temperatura ambiente, per tutta la notte, in una soluzione tampone contenente: urea 7M, tiourea 2M, CHAPS 4%, DTT 50mM, EDTA 250mM e 0,1% di blu di bromofenolo. Prima di procedere al caricamento sulla strip per l’isoelettrofocalizzazione (IEF), i campioni sono stati centrifugati a 12 000 rpm per 5 minute, al fine di allontanare eventuali sostanze interferenti. Tutti i campioni selezionati sono stati analizzati in triplicato. Separazione delle proteine in prima dimensione mediante IEF: Prima di sottoporre il campione all’IEF, le IPG strip sono state reidratate per tutta la notte in un tampone contenente: urea 7M, tiourea 2M, CHAPS 2% DTT 10mM, 0,3% di anfoline a pH3-10, 0,3% di anfoline a pH 5-8, 0,3% di anfoline a pH 4-6 e 0,1% di una soluzione di blu di bromofenolo. Per queste analisi sono state utilizzate delle IPG di lunghezza pari a 18 cm e con un intervallo di pH non lineare compreso tra 3 e 10 (pH3-10NL). 150 µl di campione sono stati caricati sulla IPG strip mediante il sistema di caricamento con “cup loading”. Separazione delle proteine in seconda dimensione mediante SDS-PAGE: Dopo l’IEF, le IPG strip sono state poste sulla sommità dei gel di acrilammide con una concentrazione a gradiente compresa tra l’8% ed il 16%. I gel assemblati con le IPG strip sono stati inseriti nella camera per elettroforesi termostatata e la separazione è stata condotta applicando un valore di voltaggio proporzionale alle dimensioni e al numero dei gel. Fissaggio e colorazione dei gel: Terminata la corsa elettroforetica i gel sono stati fissati peo un’ora in una soluzione contenente 40% di metanolo e 10% di acido acetico. A questa fase è seguita la colorazione dei gel con colorazione con Blue Silver (1). Acquisizione delle immagini: Dopo una fase di decolorazione, le immagini dei gel sono stati acquisite mediante l’utilizzo di 360 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 un analizzatore e successivamente analizzate con il software “BioNumerics® 2D Gel Types” (Applied Maths). Attraverso questo tipo di analisi è stato condotto un confronto delle mappe proteiche ottenute dai campioni di plasma degli animali prima e dopo i trattamenti con desametasone per evidenziarne eventuali differenze in termini qualitativi e quantitativi. Analisi di spettrometria di massa: Gli spot di interesse sono stati prelevati direttamente dal gel dopo colorazione con Blue Silver. Dopo una fase di decolorazione, sono stati digeriti con tripsina ed i peptidi ottenuti sono stati analizzati mediante LC-MS/MS e identificati successivamente mediante software MASCOT® (Matrix Science UK). Western Blotting: Per confermare il risultato dell’identificazione effettuata mediante LC-MS/MS, è stato selezionato un campione di plasma al T1 ed al T6 prelevato da un animalo del gruppo 1. Dopo l’elettroforesi bidimensionalE, le proteine sono state trasferite su membrana di PVDF. L’immunorivelazione è stata condotta utilizzando un anticorpo policlonale anti-PON1 e successivamente un secondario anti-rabbit coniugato con fosfatasi alcalina. L’immagine è stata acquisita successivamente su lastra fotografica. Analisi statistica: Al fine di valutare la probabilità di associare la variazione di espressione dell’enzima paraoxonaei (PON1) agli animali del gruppo 1, è stato utilizzato il test esatto di Fisher, con un valore significativo di P<0-0,5. Figura 2: Analisi 2DE rappresentativa dei campioni di plasma ottenuti dagli animali del gruppo 2, prima (T1) e dopo (T4) il trattamento con desametasone. Figura 3. Analisi 2DE seguita da western blot di un campione di plasma ottenuto da un animale del gruppo 1 prima (T1) e dopo (T6) il trattamento con desametasone. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il confronto delle mappe ottenute dai campioni di plasma ha evidenziato nell’ultimo prelievo (T6) dei campioni trattati con desametasone a scopo anabolizzante (gruppo 1), la scomparsa di una coppia di spot proteici caratterizzati da un peso molecolare di circa 43 kDa ed un punto isoelettrico (p.I.) di 4.8, (figura 1) Figura 1: Analisi 2DE rappresentativa dei campioni di plasma ottenuti dagli animali del gruppo1, prima (T1) e dopo (T6) il trattamento con desametasone. Dall’analisi dei campioni prelevati dagli animali trattati a solo scopo terapico (gruppo 2), tala coppia di spot è risultata presente, seppur con un leggero indebolimento dell’isoforma caratterizzata da un p.I. più acido (figura 2, spot indicato dalla freccia). Le analisi di spettrometria di massa condotte sulla coppia di spot proteici hanno permesso di identificarli in due isoforme dell’enzima paraoxonasi/arilesterasi sierica (PON1). Le analisi di immunoblotting, condotte su un campione di plasma bovino prelevato al T1 ed al T6 (gruppo 1) utilizzando l’anticorpo policlonale anti-paraoxonasi1, hanno confermato l’identificazione ottenuta mediante LCMS/MS, mostrando reattività anticorpale al T1 e assenza di reattività al T6 (figura 3) Dal test esatto di Fisher è emersa inoltre una differenza statisticamente significativa nell’espressione dell’enzima PON1 tra i due gruppi di animali (N=20; p< 0.001). PON1, enzima sintetizzato dal fegato e rilasciato nel sangue, riveste un ruolo importante nel metabolismo dei lipidi (2). Studi in vitro hanno inoltre rivelato una forte inibizione della sua attività da parte del desametasone (3). Sebbene saranno necessari ulteriori studi per validare questo risultatoL l’assenza di variazione di questa proteina, nel gruppo degli animali trattati con desametasone a solo scopo terapeutico, suggerisce una buona specificità di tale marker nell’identificare un possibile trattamento illegale con corticosteroidi nei vitelli già a livello di stalla. BIBLIOGRAFIA 1.Candiano G., Bruschi M., Musante L., Santucci L., Ghiggeri G.M., Carnemolla B., Orecchia P., Zardi L., Righetti P.G. Blue silver: a very sensitive colloidal Coomassie G-250 staining for proteome analysis. Electrophoresis, 2004, 25 (9) :1327-33 2.Aviram M., Rosenblat M., Bisgaier C. Paraoxonase inhibits high density lipoprotein oxidation and preserves its functions. A possible peroxidative role for paraoxonase. J. Clin. Invest., 1998, 101:1581-90 3.Arslan M., Gencer N., Arslan O., Ozensoy Guler O. In vitro efficacy of some cattle drugs on bovine serum paraoxonase 1 (PON1) activity. J. Enzyme Inhib. Med. Chem., 2012, 27:72 361 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA SUINA SARDA STAGIONATA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST DI PROCESSO : Nota 1 - Studio preliminare di definizione standard di prodotto e di processo XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 FIG 2 Andamento dei valori di aw rilevati nel corso della stagionatura sulla salsiccia Controllo IZS, Salsiccia Controllo Azienda, Salsiccia Indagine Preliminare Mele P.1, Marongiu E.1, Piras G.1, Delogu A.1, Noli A.C.1, Coppa G.2 , Virgilio S.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna , Dipartimento igiene degli Alimenti - Sassari 2 Veterinario aziendale libero professionista 1 Key words: , Salsiccia, Standard di prodotto e di processo, Microbial Challenge Test SUMMARY In order to evaluate the growth and survival of Salmonella spp. strains in experimentally inoculated traditional sardinian pork fermented sausages, a Microbial Challenge Test for Salmonella spp. For this purpose a preliminary study was carried out to define standards of Sardinian ripened pork sausage and his manufacturing process. INTRODUZIONE Il Microbial Challenge Test (MCT) consente di stabilire se un prodotto alimentare è intrinsecamente resistente allo sviluppo di microrganismi potenzialmente patogeni e come, all’ottenimento di questo risultato concorrano, se correttamente attuate, le diverse fasi del processo produttivo. Fondamentale, in via preliminare, risulta inoltre la conoscenza di standard di prodotto e di processo acquisibili attraverso lo studio di differenti produzioni del prodotto in esame. La presente nota costituisce il parziale resoconto dell’indagine, ancora in corso di completamento, relativa alla definizione di tali standard sulla Salsiccia suina sarda stagionata e preliminare alla attuazione di MCT di processo con ceppi di Salmonella spp. MATERIALI E METODI Nell’ambito degli insaccati prodotti in Sardegna, la Salsiccia suina sarda stagionata (prodotto agroalimentare tradizionale, D.M. del 18/07/2000) è sicuramente quello più diffuso. Per la descrizione dettagliata del prodotto e del processo produttivo, attualmente in corso di pubblicazione, si rimanda alla consultazione di www.arsalimentaria.it.(1). Attraverso sopralluoghi in aziende ubicate nelle aree a maggiore vocazione produttiva, è stato effettuato il rilevamento di dati concernenti le caratteristiche del prodotto e dei relativi processi produttivi. A tale scopo sono state inizialmente individuate quattro aziende produttrici, per ciascuna delle quali sono stati analizzati tre lotti produttivi, mentre per il successivo allestimento del MCT, ci si è avvalsi della collaborazione e consulenza di una di esse. Sono state preparate contestualmente tre tipologie di salsicce: Controllo azienda (non contaminato) - - Controllo IZS (non contaminato) - Controllo SS (contaminato con una miscela di ceppi di Salmonella spp.) Su ogni lotto sono state monitorate la dinamica della componente microbica e le caratteristiche chimico-fisiche a partire dalla fase di preparazione dell’impasto fino al termine della fase di stagionatura. Il piano di campionamento ha previsto per ciascuna fase del processo produttivo l’esecuzione in triplo dei prelievi dell’impasto al tempo zero e alle 24 ore, della salsiccia al 5° giorno (pH minimo) e al 7° giorno della fase di asciugatura, e a 14, 21, 29, 35 giorni di stagionatura. Sono stati effettuati i seguenti accertamenti di laboratorio: Analisi microbiologiche – Carica microbica aerobia (Plate Count Agar 30°C/72 h); Salmonella in 25 g (ISO 6579:2002); Salmonella ufc/g (XLD Agar 37°C/24ore); Batteri lattici (ISO 15214:2008); Enterobacteriaceae (ISO 21528-2:2004); Stafilocchi/ Micrococchi (Mannitol Salt Agar, 30°C/72 ore); Enterococchi (Slanetz Bartley agar 42°C/48 ore) Stafilococchi coagulasi positivi (ISO 6888-2:2004) Analisi chimico-fisiche - aW è stata misurata a temperatura ambiente mediante l’utilizzo dell’apparecchio Hygrolab 2 (Rotonic ag) e del Software “Igro Software Quick” -pH è stato misurato per infissione (pHmetro Eutech Instruments PH700 e Elettrodo Double pore F Hamilton). Su ogni salsiccia sono state, inoltre, eseguite le seguenti determinazioni: - % Calo peso - % di sale e % di umidità relativa (determinati tramite Spettroscopia NIT (FoodScan™ Lab. FOSS Electric A/S Denmark) FIG 3 Andamento dei valori di % Umidità relativa rilevati nel corso della stagionatura sulla salsiccia Controllo IZS, Salsiccia Controllo Azienda, Salsiccia Indagine Preliminare FIG. 6 Andamento dello sviluppo della flora lattica e della Salmonella spp. nella Salsiccia Indagine Preliminare FIG 4 Andamento dei valori di % Sale rilevati nel corso della stagionatura sulla salsiccia Controllo IZS, Salsiccia Controllo Azienda, Salsiccia Indagine Preliminare RISULTATI E CONCLUSIONI L’indagine ha consentito di individuare tre varianti della Salsiccia suina sarda stagionata: classica, affumicata e con aceto o vino. È stata focalizzata l’attenzione sulla Salsiccia suina classica, di maggiore consumo e diffusione, rimandando la possibilità di estendere l’indagine sulle altre varianti ad un successivo studio. Le Figure 1, 2, 3, 4 e 5 riportano le rappresentazioni grafiche relative rispettivamente all’andamento del pH, aw, % Umidità Relativa, % Sale, % Calo peso ed evidenziano una chiara sovrapponibilità dell’andamento di questi parametri, determinati sui prodotti sperimentali, con quello derivante dall’indagine preliminare. FIG 1 Andamento dei valori di pH rilevati nel corso della stagionatura sulla Salsiccia Controllo IZS, Salsiccia Controllo Azienda, Salsiccia Indagine Preliminare 362 Considerazioni analoghe possono essere desunte da quanto rappresentato nelle figure 6, 7 e 8 i cui grafici riportano l’andamento, nel corso della maturazione del prodotto, della componente microbica della salsiccia suina sarda stagionata eseguita sui prodotti delle quattro aziende produttrici (Indagine preliminare), della salsiccia “controllo Azienda” e della salsiccia “controllo IZS”. Prodotti carnei fermentati analoghi descritti da altri autori riportano andamenti microbici simili (2, 3). Le differenze di andamento microbico, dovute all’eterogeneità delle specie coinvolte, rientrano nella variabilità attribuibile a ciascun processo di maturazione, particolarmente quando, come in questo caso, non vengono impiegate colture starter e l’eventuale presenza di ceppi autoctoni rende ancora più forte la relazione tra prodotto e area di produzione. La presente sperimentazione costituisce un primo passo nella definizione delle caratteristiche di qualità e sicurezza della Salsiccia suina sarda stagionata e di validazione del processo produttivo. FIG. 7 Andamento dello sviluppo della flora lattica e della Salmonella spp. nella Salsiccia Controllo Azienda FIG 5 Andamento dei valori di % Calo Peso rilevati nel corso della stagionatura sulla salsiccia Controllo IZS, Salsiccia Controllo Azienda, Salsiccia Indagine Preliminare FIG. 8 - Andamento dello sviluppo della flora lattica e della Salmonella spp. nella Salsiccia Controllo IZS 363 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Resta da approfondire il ruolo e la temporalità delle azioni sinergiche della sua complessa componente microbica in relazione a fenomeni di biocompetizione e in termini di produzione di sostanze ad azione antibatterica mirata verso i patogeni. Il lavoro di individuazione, selezione e caratterizzazione di questa flora microbica ad azione protettiva potrà essere di supporto per una corretta gestione delle produzioni, in quanto avrebbe una rilevante valenza nel limitare la possibilità di sviluppo di flora patogena indesiderata nel prodotto in particolare in quei casi, non rari, in cui per rispondere a esigenze produttive e commerciali, si assiste a un’immissione anticipata del prodotto nei circuiti commerciali, rispetto al tempo minimo di 21 giorni di maturazione previsto dal processo produttivo. Sarebbe infatti auspicabile poter disporre di starter microbici costituiti da flora lattica autoctona ad azione protettiva e nel XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 contempo capace di preservare le caratteristiche organolettiche tipiche che fanno della Salsiccia suina sarda stagionata l’insaccato “principe” dei prodotti della salumeria sarda. DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA SUINA SARDA STAGIONATA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST DI PROCESSO Nota 2 – Fase sperimentale BIBLIOGRAFIA 1. www.arsalimentaria.it 2. Daga E., Mannu L., Porcu S., Comunian R., Paba A. and Scintu M.F. (2007) Ital. J. Food Sci. 3: 297. 3. Talon R., Leroy S., Lebert I., Meat Science (2007), 77, 55 Mele P.1, Marongiu E.1, Piras G.1, Porqueddu G. 1, Terrosu G.1, Coppa G.2, Virgilio S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna , Dipartimento igiene degli Alimenti - Sassari 2 Veterinario aziendale libero professionista Key words: Salmonella spp, Microbial Challenge Test, Salsiccia Indagine realizzata nell’ambito del programma scientifico di CIRAL (Consorzio per la ricerca sulla sicurezza e qualità alimentare) al quale l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna aderisce. SUMMARY In order to evaluate the growth and survival of Salmonella spp. strains in experimentally inoculated traditional sardinian pork fermented sausages, a Microbial Challenge Test for Salmonella spp. were performed. The study show that the productive process and the intrinsic characteristics of the product contribute to decrease of Salmonella spp. from 1,6 Log cfu/g to 2,6 Log cfu/g. INTRODUZIONE I prodotti carnei fermentati sono considerati generalmente alimenti a basso rischio microbiologico. Di recente si sono tuttavia verificati alcuni casi di tossinfezione da Salmonella spp. a seguito del consumo di salami stagionati. (1, 2) L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di ottenere dati relativi alla dinamica del comportamento di Salmonella spp. durante il processo produttivo della Salsiccia suina sarda stagionata fino al termine della fase di stagionatura. E’ stato, a tale scopo, allestito un Microbial Challenge Test di processo utilizzando miscele di differenti ceppi di Salmonella spp., per verificare, nel corso della stagionatura, l’entità dell’abbattimento della concentrazione del microrganismo in relazione anche al ruolo svolto dalla componente microbica propria della matrice e alle caratteristiche chimico-fisiche. MATERIALI E METODI Per la realizzazione del Microbial Challenge Test di processo è stata selezionata una azienda produttrice che, per caratteristiche di conduzione e per motivi logistici, risultava essere la più idonea all’attuazione della fase sperimentale e le cui produzioni di salsicce, preliminarmente monitorate, hanno confermato la corrispondenza con standard di prodotto e processo precedentemente stabiliti (6). La preparazione e standardizzazione della sospensione batterica da utilizzare come inoculo nella sperimentazione è stata effettuata seguendo le indicazioni dei principali protocolli a valenza comunitaria e internazionale (1,5). Sulla base di queste linee guida sono stati utilizzati un ceppo di riferimento e due ceppi di campo. Più precisamente, sono stati rispettivamente impiegati Salmonella Typhimurium ATCC 14028 e Salmonella Manhattan IZSLER 180073/09 e Salmonella Enterica IZSLER 49769/10 isolati nel corso di episodi tossinfettivi dovuti a ingestione di alimenti carnei fermentati naturalmente contaminati (2). Il disegno sperimentale ha previsto la divisione dell’impasto, già addizionato di tutti gli ingredienti, in tre aliquote: l’aliquota 1, che è stata insaccata tal quale presso l’azienda produttrice (Controllo Azienda); l’aliquota 2, inviata presso i nostri laboratori, è stata insaccata tal quale (Controllo IZS); l’aliquota 3, sempre presso le nostre strutture in condizioni di sicurezza, è stata inoculata con la sospensione di salmonelle ed insaccata (Controllo SS). Le salsicce insaccate sono state stagionate secondo lo schema tempo/temperatura/UR% previsto (6). Il piano di campionamento adottato è risultato abbastanza articolato, per la temporalità, per il numero dei prelievi e per le diverse indagini microbiologiche, 364 chimico-fisiche e composizionali stabilite. Esso prevedeva prelievi dell’impasto al tempo zero e alle 24 ore, della salsiccia al 5° giorno (pH minimo) e al 7° giorno della fase di asciugatura, e a 14, 21, 29, 35 giorni della fase di stagionatura. Sulle tre tipologie di controllo, campionate in triplo, sono stati effettuati i seguenti accertamenti di laboratorio: Analisi microbiologiche – Carica microbica aerobia (Plate Count Agar 30°C/72 h); Salmonella in 25 g (ISO 6579:2002); Salmonella ufc/g (XLD Agar 37°C/24ore); Batteri lattici (ISO 15214:2008); Enterobacteriaceae (ISO 21528-2:2004); Stafilocchi/Micrococchi (Mannitol Salt Agar, 30°C/72 ore); Enterococchi (Slanetz Bartley agar 42°C/48 ore) Stafilococchi coagulasi positivi (ISO 6888-2:2004) Analisi chimico-fisiche - aW è stata misurata a temperatura ambiente mediante l’utilizzo dell’apparecchio Hygrolab 2 (Rotonic ag) e del Software “Igro Software Quick” -pH è stato misurato per infissione (pHmetro Eutech Instruments PH700 e Elettrodo Double pore F Hamilton). Su ogni salsiccia sono state, inoltre, eseguite le seguenti determinazioni: - % Calo peso - % di sale e % di umidità relativa (determinati tramite Spettroscopia NIT (FoodScan™ Lab. FOSS Electric A/S Denmark) RISULTATI E CONCLUSIONI La dinamica di evoluzione della componente microbica, dei dati chimico fisici e composizionali, rilevati sui campioni sperimentali, sono risultati in linea con gli standard di prodotto e di processo precedentemente definiti (6). Inoltre l’andamento, nel corso della maturazione del prodotto, della componente microbica della salsiccia (controllo Azienda) e della salsiccia (controllo IZS), sostanzialmente ricalcava gli andamenti riscontrati in prodotti carnei fermentati simili già descritti da altri autori, come indicato nelle figure 1 e 2 (8). FIG 1 Andamento dello sviluppo microbico nella salsiccia (Controllo Azienda) 365 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 FIG. 2 Andamento dello sviluppo microbico nella salsiccia (Controllo IZS) FIG. 4 - Andamento del contenuto di Salmonella spp. nella Salsiccia Controllo SS. Il modello log-lineare determinato dai dati sperimentali risulta essere: Log (ufc/gr)=6,621-0,075 x Tempo (giorni) [p(t student)=1,1x10-5] XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PERFORMANCE DI CAMPO DEL NUOVO TEST RAPIDO TSE “Prionics® - Check PrioSTRIP SR” Meloni D., Varello V., Loprevite D., Cavarretta M.C., Manzardo E., Nocilla L., Longo D., Bozzetta E. CEA, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Key words: scrapie, test rapidi, performance. Emerge, anche in questo caso, come le categorie dei batteri che giocano un ruolo determinante nella fermentazione della salsiccia e per le quali sono stati riscontrati in tutte le fasi del processo produttivo valori di cariche progressivamente in aumento, siano i batteri lattici e i Micrococchi catalasi positivi. I primi, come è noto, determinano l’acidificazione iniziale dell’impasto e, mediante l’attività proteolitica, caratterizzano il sapore del prodotto finito, mentre i cocchi catalasi positivi, con l’azione parzialmente neutralizzante del pH nelle fasi più inoltrate della maturazione, conferiscono stabilità del colore, prevengono la rancidità e consentono il rilascio di sostanze aromatiche. Inoltre, il valore finale dell’acidità delle salsicce (compreso tra 5,5 e 5,7) e le caratteristiche organolettiche finali possono essere state influenzate parzialmente anche dagli enterococchi fecali, riscontrati in forma discontinua su entrambi i controlli, mediante la produzione di ammoniaca e altre ammine (4). La Figura 3 riporta i risultati relativi al Microbial Challenge Test di processo nei confronti di Salmonella spp. oggetto di questo studio. La rappresentazione grafica in essa contenuta mostra l’andamento di questo batterio e dei batteri lattici in tutte le fasi del processo. Appare chiaro come l’attivo metabolismo di quest’ultimi, numericamente aumentati a partire dal 5° e 7° giorno del processo produttivo, corrispondente al termine della fase di asciugatura, determini il calo del pH, che, unitamente al calo dell’aw e dell’umidità, favorisce l’inizio del progressivo e irreversibile decremento di Salmonella spp. Il livello delle cariche microbiche di Salmonella spp., infatti, si riduce da un valore massimo iniziale di 5x107 ufc/g al valore di 1x105 ufc/g al 21° giorno, periodo in cui il prodotto inizia a essere immesso nel mercato, per raggiungere il valore minimo di 9x103 ufc/g al 35° giorno. FIG. 3 - Andamento dello sviluppo della flora lattica e di Salmonella spp. nella Salsiccia Controllo SS La Figura 4 mostra la linearità di tale decremento. L’esame dei dati acquisiti nel corso di questa sperimentazione e dell’indagine preliminare, sembrerebbe avvalorare l’ipotesi che nel corso del processo di maturazione della Salsiccia suina sarda stagionata l’eventuale presenza di naturale contaminazione da Salmonella spp., che non sia superiore a cariche di 10 1,5 ufc/g, potrebbe essere azzerata grazie alle caratteristiche intrinseche del prodotto e alla tecnologia stessa del processo produttivo. La riduzione logaritmica osservata, calcolata dalla differenza del Log iniziale e del Log al momento in cui il prodotto viene immesso in commercio, è risultata rispettivamente di 1,6 Log e 2,6 Log per il prodotto a 21 giorni e a 35 di maturazione. Questi risultati sembrano trovare conferma in letteratura (3). BIBLIOGRAFIA 1 AFSSA – Technical Guidance Document on shelf-life studies for Listeria monocytogenes in ready-to-eat foods 2. Carra E., et al. in “Salmonella enterica subsp. enterica serovar Manhattan in humans: a collection of strains makes the difference”, International symposium Salmonella and Salmonelosis, Giugno 2010 Saint-Malo (Francia) 3. Ellajosyula, K.R., Doores, S., Mills, E.W., Wilson, R.A.,Anantheswaran, R.e. and Knabel, S.J. (1998) Destruction of Escherichia coli 0157:H7 and Salmonella typhimurium in lebanon bologna by interaction of fermentation pH, heating temperature and time. Journal ofFood Protection 61, 152-157 4. Fadda S., Sanz Y., Vignolo G., Aristoy M.C. ,Oliver G., Tldra F. Appl.Environ.Microbioll., 65,578(1999) 5. Guidance Document on Listeria monocytogenes shelf-life studies for ready-to-eat foods, under Regulation (EC) No 2073/2005 of 15 November 2005 on microbiological criteria for foodstuffs 5. Luzzi I., Galetta P., Massari M., Rizzo C., Dionisi A. M., Filetici E., Cawthorne A., Tozzi A., Argentieri M., Bilei S., Busani L., Gnesivo C., Pendenza A., Piccoli A., Napoli P., Loffredo L.,. Trinito M.O, Santarelli E., Ciofi M. L. Atti, Euro Surveill., 12, E11 (2007) 6. Mele P., Marongiu E., Piras G., Delogu A., Noli A.C.,Coppa G. , Virgilio S.1Dinamica di comportamento di salmonella spp. Nella salsiccia suina sarda stagionata mediante microbial challenge test di processo : Nota 1 - Studio preliminare di definizione standard di prodotto e di processo 7. Pontello M., Sodano L., Nastasi A., Mammina C., Astuti M., Domenichini M., Belluzzi G., Soccini E., Silvestri M. G., Gatti M., Gerosa E., Montagna A., (1998) “A community-based outbreak of Salmonella enterica serotype Typhimurium associated with salami consumption in Northern Italy” Epidemiol. Infect., 120, 209 8. Talon R., Leroy S., Lebert I., (2007) Meat Science , 77, 55 Gli Autori ringraziano i Colleghi del Dipartimento di Igiene degli Alimenti per la collaborazione e l’azienda “La Genuina s.r.l. “ Ploaghe (Sassari) per la consulenza tecnologica e il supporto logistico fornito nel corso della sperimentazione. Indagine realizzata nell’ambito del programma scientifico di CIRAL (Consorzio per la ricerca sulla sicurezza e qualità alimentare) al quale l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna aderisce. 366 Abstract Annex X to Regulation (EC) No 999/2001 sets out a list of rapid tests approved for the monitoring of TSEs in bovine, ovine and caprine animals. In 2012, EFSA recommended that the test “Prionics® - Check PrioSTRIP SR” (visual reading protocol) could be considered suitable for approval as rapid test for detection of TSE in small ruminants’ Central Nervous System. The aim of this study was to check the performances of the “Prionics® - Check PrioSTRIP SR” using the “Idexx HerdCheck BSE-SCRAPIE Antigen Kit as reference test. Introduzione La scrapie è una Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile (EST), che colpisce ovini e caprini. é caratterizzata dall’accumulo nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) di un’isoforma anomala della proteina prionica naturale (PrPc) denominata PrPres (1). La sorveglianza attiva nei confronti della scrapie è stata introdotta in Italia nel 2002 (2). Parte integrante del programma di sorveglianza è rappresentata da una procedura di screening standardizzata. Per assicurarne l’uniformità di applicazione sono stati validati a livello comunitario negli anni diversi test diagnostici rapidi, valutandone le prestazioni in termini di accuratezza e sensibilità analitica sui piccoli ruminanti. Nel Maggio 2012 l’EFSA ha pubblicato un’Opinione sulla valutazione di nuovi test rapidi da utilizzare per il monitoraggio delle TSE in Europa (3); l’unico test che ha superato la valutazione e soddisfatto i requisiti previsti per la rilevazione di TSE nel SNC di piccoli ruminanti è stato il ““Prionics® Check PrioSTRIP SR” (protocollo di lettura visiva). L’elenco dei test rapidi per la sorveglianza delle TSE è stato modificato di conseguenza (4-5). I compiti istituzionali del CEA (Centro di Referenza Nazionale per lo studio e le ricerche sulle encefalopatie animali e neuropatologie comparate) prevedono tra l’altro attività quali l’impostazione e la realizzazione di studi di validazione dei test diagnostici; la valutazione delle prestazioni dei test rapidi approvati dall’EU. Scopo del lavoro è valutare la performance del test “Prionics® - Check PrioSTRIP SR” - (protocollo di lettura visiva), utilizzando come test di riferimento l’”Idexx HerdCheck BSESCRAPIE Antigen Kit” • diluizioni seriali 1:50, 1:100 e 1:200 del pool scrapie positivo. Il pool positivo è stato omogeneizzato con i buffer specifici, come da protocolli ufficiali dei due test, successivamente sono state allestite le diluizioni seriali. Sono stati utilizzati i test rapidi: • Prionics® - Check PrioSTRIP SR - protocollo di lettura visiva • Idexx HerdCheck BSE-SCRAPIE Antigen Kit Per garantire la comparazione dei risultati e ridurre le potenziali variabili, sia il campione positivo indiluito che le relative diluizioni sono stati analizzati in doppia replica nella medesima seduta di lavoro. Inoltre, i due test rapidi sono stati eseguiti nel corso della stessa giornata e dagli stessi operatori. Risultati Tabella 1. Esiti di ciascun test negativi negativi autolitici positivi iniziali reattivi IDEXX® HerdCheck BSE-Scrapie Antigen Kit 128/128 128/128 4/4 0 Prionics® - Check PrioSTRIP SR 128/128 128/128 1/4 0 Figura 1. lettura IDEXX® HerdCheck BSE-Scrapie Antigen Kit Materiali e metodi Sono stati analizzati: • 256 campioni negativi di tronco encefalico ovicaprino testati in routine nell’ambito della sorveglianza attiva della scrapie, il 50% dei quali presentava condizioni di autolisi; • un pool di campioni confermato positivo per scrapie classica proveniente da un focolaio italiano a forte segnale; 367 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 2. Prionics® - Check PrioSTRIP SR - lettura visiva Bibliografia 1. Prusiner SB: Science 1991, 252 (5012): 1515-22. 2. European Commission: In Off. J. Eur. Communities Vol. 147. Edited by: European Commission. Official Journal of European Communities; 2001: 1-40. 3. Scientific Opinion on the evaluation on the TSE rapid test submitted in the framework of the Commission Call for expression of interest 2007/S204-2473391. EFSA J. 2012; 10(5): 2660. 4. Reg. UE n° 1064/2012 della Commissione del 13 novembre 2012. GU UE L314/13 del 14/11/2012. 5. Reg. UE n° 630/2012 della Commissione del 28 giugno 2013. GU UE L179/60 del 29/06/2013. Conclusioni Non sono stati riscontrati problemi di specificità; diversamente, pur tenendo conto della piccola numerosità dei campioni positivi esaminati, emerge un’evidente differenza relativamente alla sensibilità analitica tra il test in esame e quello di riferimento: soltanto il campione non diluito è risultato positivo con il test “Prionics® - Check PrioSTRIP SR”; mentre l’IDEXX HerdCheck BSE-scrapie ha dato risultati positivi fino alla massima diluizione utilizzata (1:200). Si evidenzia inoltre l’obiettiva difficoltà pratica ed il negativo impatto sul layout del laboratorio operante in routine riferibile alla necessità cogente di procedere all’interpretazione visiva e contemporanea da parte di due lettori al fine di poter validare il risultato diagnostico delle prove. Considerando che l’obiettivo del CEA è quello di continuare a promuovere l’utilizzo dei migliori test rapidi disponibili sul mercato, è evidente come non possa essere ipotizzato un cambiamento del test rapido IDEXX HerdCheck BSE-scrapie Antigen EIA ® in uso attualmente sul territorio italiano a favore del test oggetto di valutazione. 368 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 LO SCREENING CON METODICHE IMMUNOCHIMICHE PER LA RICERCA DI TRATTAMENTO ILLECITO CON CORTICOSTEROIDI: UNA STATEGIA AFFIDABILE? Meloni D., Olivo F., Meistro S., Nocilla L., Manzardo E., Pitardi D., Pezzolato M., Bozzetta E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Centro di referenza nazionale per le Indagini Biologiche sugli Anabolizzanti animali, Torino Key words: urina, cortisonici, validazione ABSTRACT In the EU the use of glucocorticoids in livestock is indicated for therapeutic purpose only. At present, to monitor illegal use in live animals, urine is the recommended matrix. According to EU criteria, this matrix is mostly screened by immunoenzymatic methods. Here, the Authors evaluated the performance of a multiresidue screening ELISA kit applied by official laboratories in the detection of glucocorticoids in bovine urine. INTRODUZIONE I glucocorticoidi sono un gruppo di ormoni steroidei che comprende sia molecole naturali che sintetiche; cortisolo e cortisone rappresentano le più importanti molecole endogene, sono sintetizzate dalla corteccia surrenale e coinvolte nei processi di risposta allo stress, nelle infiammazioni e nel bilanciamento idroelettrico (1). I derivati sintetici come desametasone e prednisolone, invece, sono molto utilizzati in terapia veterinaria per le loro proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive e per i loro effetti sul metabolismo (1). Benché l’applicazione di queste molecole sia prevalentemente per scopi clinici e strettamente regolamentato in Unione Europea (2), i controlli ufficiali condotti in diversi Paesi Membri hanno mostrato la presenza di residui di tali farmaci in preparazioni illegali, nei mangimi, nei siti di inoculo, nelle urine e negli organi soprattutto di bovini da carne (4). I glucocorticoidi, infatti se somministrati a dosi molto inferiori a quelle impiegate in terapia, pur non potendo essere considerati veri “steroidi anabolizzanti”, possono causare un miglioramento delle caratteristiche generali delle carcasse e un significativo incremento di alcuni gruppi muscolari oltre che prolungare l’azione di alcuni promotori di crescita (5). La ricerca di queste molecole rimane quindi un aspetto importante al fine di tutelare il benessere animale, rivelare alcune pratiche illecite e proteggere il consumatore. Dal 2012 i glucocorticoidi nel Piano Nazionale Residui (PNR) appartengono al gruppo B2f, tale documento prevede la loro ricerca in animali vivi nelle matrice “urina”, oltre ai controlli da effettuare al macello sul fegato (6), In particolare l’iter diagnostico prevede il rilevamento dei campioni sospetti non conformi mediante metodiche immunochimiche di screening e l’identificazione di queste con tecniche spettrometriche di conferma (LC-MS/MS o GC-MS/MS). Caratteristiche di un metodo di screening sono rapidità (analisi e preparativa), bassi costi, affidabilità in termini di sensibilità e specificità, rilevazione multiresiduo, possibilità di automazione ed elevata produttività. Al fine di poter utilizzare un test di screening in routine, unico requisito previsto dalla Decisione 657/2002 è che la % di falsi negativi al livello di interesse sia ≤ 5%, mentre non viene data alcuna indicazione in proposito dei falsi positivi; anche se una percentuale > 10% vanificherebbe molti dei vantaggi di uno screening (7). Altro aspetto da considerare è la necessità di rilevare allo screening un numero sempre maggiore di residui, caratteristica comporta spesso la riduzione della specificità del kit e un aumento dei falsi non conformi. Questo fenomeno è dovuto principalmente alla differente cross-reattività dell’anticorpo per le molecole ricercate e al fatto che generalmente la validazione viene fatta sulla molecola a cross-reattività più bassa e per la quale vengono soddisfatti i criteri previsti dalla Decisione Europea. Il presente lavoro si propone di valutare le performance di un metodo immuno-enzimatico per la ricerca dei glucocorticoidi di sintesi nelle urine bovine, attualmente utilizzato per lo screening nella Regione Piemonte ed in particolare le cause dell’alta percentuale di campioni “sospetti non conformi” non identificati come tali in LC-MS, per determinare efficienza ed efficacia della tecnica quale strategia di controllo. MATERIALI E METODI METODICA DI SCREENING – Si è impiegato un ELISA competitivo indiretto (Tecna, Trieste), in base ai valori di crossreattività il test può essere impiegato per la determinazione di cinque corticosteroidi sintetici (desametasone, prednisolone, flumetasone, betametasone, triamcinolone). Il limite di rilevazione del kit in urina è dichiarato essere pari a 0.5 mg/Kg, anche se non viene specificato l’analita a cui fa riferimento (probabilmente desametasone). Il kit è fornito di tutti i reagenti necessari, tra i quali una serie di standard da utilizzare per la curva di calibrazione e corrispondenti ad una concentrazione in matrice da 0.25 a 12.5mg/Kg. Nel caso delle urine la preparazione del campione comprende una filtrazione e una diluizione. DATI DI VALIDAZIONE - Nelle prove di validazione è stata verificata la specificità e l’errore beta, oltre alla robustezza e ad altri parametri previsti in fase di pianificazione. Le molecole considerate sono state due, il betametasone e il prednisolone, che risultano a cross-reattività intermedia e bassa rispettivamente 70% e 20%. Sono stati analizzati 3 differenti gruppi di campioni: 20 urine negative e altrettante positivizzate con le due molecole. Per la prima non è stato possibile adottare un livello di fortificazione minore del livello di interesse (2 mg/Kg) mentre per la seconda si è dovuto adottare un livello di fortificazione maggiore (6 mg/ Kg). Ad entrambi i livelli e per entrambe le molecole è stata verificata l’assenza di falsi negativi, ma ai fini della applicabilità della metodica solo tre delle cinque molecole rilevabili secondo il produttore del kit sono state inserite nel campo di applicazione del metodo. I valori di CV % ottenuti dagli stessi dati per la verifica dell’errore beta sono risultati minori del 10% tanto per i campioni negativi che per quelli fortificati, inoltre anche il valore medio della risposta dei negativi è risultato molto alto (B/B0 medio = 90%) che presuppone una buona specificità nei confronti dei componenti della matrice e quindi una bassa variabilità da campione a campione. 369 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERISTICHE DEL METODO DI CONFERMA - Le analisi di conferma sono state effettuate mediante metodica LC-MS/ MS, il metodo è un multi-residuo che prevede una quantitativa su curva in matrice costruita con aree relative Ax/AIS. Lo standard interno impiegato è triamcinolone-d6 e gli analiti ricercati sono: desametasone, flumetasone, prednisone, prednisolone e 6α-metilprednisolone. La preparativa impiega 2 ml di urina e prevede una fase di deconiugazione e una di estrazione con solvente. APPLICAZIONE IN ROUTINE - Nella valutazione delle performance di un metodo oltre alla validazione può nel caso di uno screening qualitativo, essere utile il confronto con un altro metodo validato che utilizzi tecniche strumentali. E’ proprio da questa valutazione fatta durante l’applicazione in routine che è stata rilevata una percentuale di falsi positivi maggiore di quella ritenuta accettabile secondo la Linea Guida del gruppo IIZZSS (<10%). Il criterio impiegato nella valutazione dei positivi in routine si basa sull’utilizzo di un campione di urina positivizzato (POS) a 2 mg/Kg con betametasone e sulla base della sua risposta B/B0 (POS) andare a discriminare tra negativi o conformi nel caso B/ B0(x)<B/B0(POS) e sospetti positivi B/B0(x)≥B/B0 (POS). PROVE DI VERIFICA - Sono state effettuate delle prove analoghe a quelle condotte in validazione; stessi analiti considerati e stessi livelli di fortificazione, utilizzando però urine differenti provenienti da animali di controllo stabulati. Le prove hanno previsto l’utilizzo di 20 urine di animali non trattati, che sono state analizzate come tali (bianchi) e dopo positivizzazione con betametasone e prednisolone. Oltre ai campioni positivizzati sono stati considerati anche campioni caratterizzati in LC-MS e provenienti da animali sperimentali trattati con desametasone. RISULTATI Dalle analisi dei bianchi è emersa una elevata risposta in termini di B/B0 (medio = 69%) oltre ad un’elevata dispersione (CV% = 24%), valori che possono indicare una scarsa specificità del kit nei confronti delle interferenze da matrice. La stessa variabilità è stata riscontrata nell’analisi dei campioni positivizzati; betametasone (B/B0= 51%, CV% =17) e prednisolone (B/B0= 54%, CV% =19). Dai dati ottenuti, inoltre, è stato costruito un grafico della distribuzione di frequenze (Fig. 1) dove risulta evidente la sovrapposizione delle diverse popolazioni (positivi e negativi). Questa mancanza di specificità, non necessariamente imputabile alle caratteristiche del kit, non ha permesso di verificare la capacità di rilevazione (CC b) al livello d’interesse utilizzato in validazione, per entrambe le molecole considerate. Al fine di simulare le condizioni di routine, è stato stabilito come cut-off di seduta il valore più alto dei 20 positivizzati con betametasone e sulla base di questo sono stati calcolati; percentuale di falsi positivi, di falsi negativi, specificità e selettività. La stessa valutazione è stata fatta considerando valori di cut -off differenti; valore medio e valore più basso dei campioni positivizzati con betametasone. I dati ottenuti sono presentati nelle Tabelle 1. Nel caso del valore di cut-off più basso si sono evidenziati il 7% di falsi negativi e il 40% di falsi positivi, aumentando il valore di cut-off, come prevedibile, si è assistito ad un aumento dei falsi negativi e una diminuzione dei falsi positivi. Per quanto riguarda la valutazione dei campioni da animali trattati non sono emersi falsi negativi e sono risultati positivi i campioni con l’analita a concentrazioni comprese tra 1 mg/Kg e 2mg/Kg. Al fine di confermare l’elevato valore medio emerso dall’analisi dei campioni negativi, è stato inoltre valutato il contributo, all’incremento del segnale netto dovuto ai soli analiti, questi sono comunque risultati molto modesti e compresi tra 30-50%. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabelle 1a e 1b Parametri di performance ottenuti nello studio 1a) 1b) Figura 1. Distribuzione di frequenza (asse X) dei valori B/B0 (asse Y) frequenze campioni negativi e positivizzati CONCLUSIONI I risultati dello studio indicano come il test e la sua attuale applicazione non risponde alle prestazioni attese per un metodo di screening efficacie, e in particolare si prefigura indispensabile una fase di pretrattamento del campione, al fine di ottenere una maggiore purificazione dello stesso e quindi una riduzione dei falsi positivi. Obiettivo ottenibile con un’estrazione liquido/liquido e/o una purificazione su colonnine SPE che tra l’altro potrebbe permettere un abbassamento del livello d’interesse. La procedura di diluizione impiegata è infatti uno dei metodi per ridurre l’effetto matrice ma può portare a perdite in sensibilità o nella capacità di distinguere concentrazioni vicine. Per quanto riguarda la scelta del cut-off in routine, derivante dalla risposta (B/B0) di un campione positivizzato con betametasone a 2 mg/Kg, si evidenzia la sovrapposizione di questo livello d’interesse con la capacità di rilevazione (CCβ) obbligatoria per i metodi di screening rivolti verso i glucocorticoidi, da indicazioni del CRL (8) infatti un metodo di screening dovrebbe essere sviluppato su una concentrazione quanto più possibile inferiore a questa. Nella valutazione complessiva del sistema diagnostico vanno considerati anche i limiti del metodo di conferma che oltre a comprendere un numero ridotto di molecole endogene, presenta dei limiti di determinazione (LOD) molto vicini a quelli dello screening, determinando un possibile incremento di falsi positivi. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1.Nozaki, O. (2001). Review, Steroid analysis for medical diagnosis. Journal of Chromatography A, 935; 267-278. 2.European Commission. 2010. Commission Regulation (EC) 37/2010, of 22 December 2010 on pharmacologically active substances and their classification regarding maximum residue limits in food stuffs of animal origin. Off. J. Eur. Comm., L15; 1-72. 3.Courtheyn, D., Le Bizec, B., Brambilla, G., De Brabander, H.F., Cobbaert, E., Van de Wiele, M., Vercammen, J., De Wasch K. (2002). Recent developments in the use and abuse of growth promoters. Analytica Chimica Acta, 473; 71-82. 4.Cannizzo, F.T., Capra, P., Divari, S., Ciccotelli, V., Biolatti, B., Vincenti, M. (2011). Effects of low-dose dexamethasone and prednisolone long term administration in beef calf: Chemical and morphological investigation. Analytica Chimica Acta, 700; 95-104. 5.Italian Residue Control Plan (2013).The plan was drawn up according the Council Directive 96/23/EC. http:// pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/ PIR_LaStrutturaRegionale/PIR_AssessoratoSalute/PIR_ AreeTematiche/PIR_PianoNazionaleResidui/PNR%20 2013.pdf 6.Commission Decision 2002/657/EC. Implementing Council Directive 96/23/EC concerning the performance of analytical methods and the interpretation of results. Off. J. Eur. Commun. 12 August 2002. 7.Linea Guida per la validazione intra-laboratorio di Metodi di prova di Screening in accordo con la Decisione 2002/657/ CE Rev.1 -14/02/2008 Gruppo di Lavoro Settori Chimici II.ZZ.SS 8.Guidelines for the validation of Screening Methods (Initial Validation and Transfer) Community Reference Laboratories Residues (CRLs) 20/01/2010 370 371 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 GENOTIPIZZAZIONE DI STIPITI DI SALMONELLA TYPHIMURIUM E SALMONELLA ENTERICA 4,[5],12:i:- IN CINQUE EPISODI DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE Merla C.1a, Andreoli G.1a, Carra E.1b, Corpus F.1b, Morganti M.1c, D’incau M.1d, Dalla Valle C.2, Marone P.2, Colmegna S.1e, Fabbi M.1a 1d Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Sezione di: 1a Pavia, 1b Modena, 1c Parma, Brescia, 1e Milano - Centro di referenza nazionale per i rischi emergenti in sicurezza alimentare2Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia Struttura complessa di Microbiologia Virologia Key words: Salmonella Typhimurium, Monophasic, salami SUMMARY Salmonella enterica serovar Typhimurium (ST) and its Monophasic variant (STM) have emerged worldwide in the recent years representing the prevalent cause of gastroenteritis. The aim of this study was to characterize 16 ST and 18 STM strains collected from patients involved in five outbreaks occurred in November 2010 in the Northern Italy and from salami produced in the province of Pavia from September 2010 to December 2012. The strains were characterized by serotyping and performing PFGE and MLVA techniques. We found that all ST share the same PFGE and MLVA profile, demonstrating the correlation between the salami and the 5 outbreaks. The STM strains were discriminate into 4 PFGE profiles and into 7 MLVA profiles but only one MLVA profile was found also in human strains. INTRODUZIONE Salmonella enterica è uno dei patogeni più frequentemente isolati in caso di infezioni trasmesse da alimenti sia sporadiche che epidemiche. La specie S. enterica comprende 6 subspecie e più di 2500 sierotipi, determinati dall’antigene somatico (O) e dall’antigene flagellare (H). Il più comune serbatoio di Salmonella è il tratto intestinale di alcuni animali e il batterio può essere isolato da diversi alimenti di origine animale o vegetale che direttamente o indirettamente abbiano subito una contaminazione. La contaminazione spesso avviene quando i microrganismi sono introdotti in aree per la preparazione degli alimenti e trovano le condizioni ideali per mantenersi e moltiplicarsi. In Europa S. Typhimurium rappresenta uno dei serovars più frequentemente associati a tossinfezioni. Sebbene l’incidenza delle salmonellosi umane sia rimasta stabile negli ultimi anni, la presenza di nuovi stipiti di Salmonella enterica rappresenta un problema per la salute pubblica (1). A partire dagli anni ’90 si è assistito ad un aumento degli isolamenti di S. Typhimurium (sierotipo 4,[5],12:i:1,2) ed alla comparsa della sua Variante Monofasica (sierotipo 4,[5],12:i:-). Attualmente i due sierotipi sono i più frequentemente isolati in casi di salmonellosi umana (2). Lo scopo del presente lavoro è stato quello di caratterizzare ceppi di S. Typhimurium isolati in 4 focolai di tossinfezione verificatisi a Novembre 2010 nell’Oltrepo’ pavese (comune di Varzi) e in un focolaio nella provincia di Milano in cui gli alimenti contaminati e consumati dai pazienti erano insaccati stagionati (salami). L’obiettivo conseguente è stato quello di monitorare nel tempo i ceppi dei sierotipi S. Typhimurium e Variante Monofasica isolati da insaccati e di caratterizzarne gli stipiti. L’attenzione è stata rivolta soprattutto al controllo dei prodotti di 3 salumifici coinvolti negli episodi di tossinfezione per verificare una eventuale correlazione dei ceppi dei salami con i ceppi isolati da feci di pazienti coinvolti nelle tossinfezioni. MATERIALI E METODI Per il presente lavoro sono stati analizzati da Novembre 2010 a Dicembre 2012 234 campioni di salami a diverso stadio di stagionatura provenienti da produttori della provincia di Pavia e 11 carcasse suine. I campioni sono stati sottoposti ad analisi microbiologica per la ricerca di Salmonella spp. secondo il metodo ISO 6579:2002/Cor1:2004 (3). I 54 ceppi di Salmonella isolati sono stati sierotipizzati per gli antigeni O, H di fase 1 e H di fase 2 e i ceppi appartenenti ai sierotipi S. Typhimurium e Var. Monofasica sono stati caratterizzati. Per verificare la diversità genetica 34 stipiti appartenenti ai due sierotipi (25 isolati da salami, 7 da feci umane e 2 da tamponi di carcasse suine), sono stati sottoposti a genotipizzazione mediante il metodo Pulsed Field Gel Electrophoresis (PFGE) con l’enzima di restrizione Xba-I secondo il protocollo adottato da PulseNet (6) e il metodo Multi-Locus Variable-Number TandemRepeat Analysis (MLVA) basato sull’analisi di 5 loci genici: STTR9-STTR5-STTR6-STTR10pl-STTR3 secondo il protocollo già descritto precedentemente (7). I pulsotipi sono stati analizzati mediante software Bionumerics versione 6.6. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 I 4 ceppi di ST isolati da pazienti mostrano lo stesso profilo in PFGE e in MLVA di 12 ceppi isolati da salami di 3 produttori (produttore n.1, 2, 3). E’ stato possibile osservare che tutti i salami contaminati da ST sono stati prodotti tra il 21 Settembre e il 5 Ottobre 2010 e plausibilmente questi possono essere identificati come causa delle tossinfezioni verificatesi nel Novembre 2010 nell’Oltrepo’ Pavese e nella provincia di Milano. La contaminazione ha avuto origine probabilmente dal macello A e ceppi con lo stesso profilo PFGE e MLVA sono stati riscontrati nei salami dei produttori n.1, 2 e 3 afferenti a questo macello. Il produttore n.3 ha lavorato nello stesso giorno anche le carni del macello B determinando una contaminazione crociata, in seguito ad una disinfezione inappropriata in sede di lavorazione. Per il cluster familiare segnalato nella provincia di Milano è stata dimostrata la correlazione tra sintomatologia enterica ed il consumo di un salame prodotto il 21 settembre dal produttore n.3, acquistato dalla famiglia in gita nell’Oltrepo’ e risultato contaminato da un ceppo di S. Typhimurium con identico profilo PFGE e MLVA (indicato nella ultima riga della tabella). Tabella 2 – Distribuzione dei ceppi e provenienze Salmonella Typhimurium Variante Monofasica (STM) RISULTATI E CONCLUSIONI Dai 34 stipiti selezionati, i 7 ceppi di origine umana sono risultati essere 4 S. Typhimurium (ST) e 3 Var. Monofasica (STM), dagli altri 27 sono stati individuati 12 ST e 15 STM. I profili PFGE e MLVA sono indicati in tabella 1 per ST e in tabella 2 per STM. Tabella 1 – Distribuzione dei ceppi e provenienze Salmonella Typhimurium (ST) 372 Per quanto riguarda i ceppi identificati come S. Typhimurium Var. Monofasica si possono osservare 4 gruppi in PFGE e 7 gruppi in MLVA. Il gruppo più numeroso comprende 9 ceppi aventi lo stesso profilo PFGE e MLVA, 7 isolati da salami e 2 da tamponi su carcasse. I ceppi di questo gruppo sono attribuibili ai produttori n.2 e 6 e al macello A e si riferiscono al periodo compreso tra Aprile e Novembre 2012. L’ipotesi che facciamo è che la Monofasica abbia nel 2012 sostituito la ST nei prodotti di uno dei produttori (n.2) già coinvolti nei precedenti focolai di tossinfezione. Questo profilo non corrisponde a nessuno dei ceppi di origine umana ma rimane il dubbio circa una sua potenziale patogenicità. Il motivo della mancata segnalazione di tossinfezione ai servizi sanitari potrebbe essere la minore patogenicità del profilo in questione oppure una minore presenza quantitativa di Salmonella nei salami. Un altro consistente gruppo è composto da 4 ceppi, 3 di origine umana ed uno isolato da salame, che condividono lo stesso profilo PFGE e MLVA. In questo caso non è stato però possibile correlare l’episodio di tossinfezione all’alimento contaminato. E’ comunque interessante notare che uno stipite con lo stesso profilo e quindi con potenziale potere patogeno è stato ritrovato in un salame prodotto oltre un anno dopo. I rimanenti 5 ceppi mostrano ciascuno un profilo MLVA differente e tra questi 3 sono stati isolati da salami le cui carni provengono dai macelli B, C e D. I risultati ottenuti da questa indagine confermano quanto già osservato in altri studi dai quali emerge la predominanza di S. Typhimurium e l’aumento degli isolamenti della sua Variante Monofasica in Italia e in Europa. I due sierotipi risultano spesso multiresistenti (4,5). La PFGE è risultata utile nella caratterizzazione dei ceppi, evidenziando 5 gruppi, 4 associabili alle popolazioni presenti nel 2012 in 4 differenti macelli, ed uno responsabile dei casi di tossinfezione del Novembre 2010. La metodica MLVA ha confermato per ST i risultati della PFGE e ha evidenziato per STM una maggiore diversità genetica permettendo di correlare un ceppo da alimento ai 3 ceppi umani che non era stato possibile collegare a nessuna fonte di infezione nel 2010. Nel presente lavoro è stato inoltre possibile isolare ceppi di S. Typhimurium in salami stagionati a 120 giorni e ceppi appartenenti alla Variante Monofasica in salami stagionati a 60 giorni. In analogia con il piano di sorveglianza sulla prevalenza di Salmonella spp. in insaccati crudi di produzione regionale, attualmente in corso, i nostri risultati indicano che l’ insaccato è spesso veicolo di Salmonella spp. ed anche il consumo del prodotto stagionato può rappresentare comunque un rischio per il consumatore. La tecnica MLVA insieme ai metodi già utilizzati come la PFGE risulta uno strumento utile per comparare accuratamente e rapidamente ceppi isolati in caso di tossinfezioni alimentari e per condurre studi epidemiologici al fine di ridurre l’incidenza delle infezioni umane. BIBLIOGRAFIA 1. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2011, 2013. European Food Safety Authority, European Centre for Disease Prevention and Control European Food Safety Authority (EFSA), European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). 2. www.simi.iss.it/Enternet/Dati2_s.asp 3. ISO 6579:2002/Cor1:2004. 4. Kirchner M, Guerra B, Granier SA, Lucarelli C, Porrero MC, Jakubczak A, Threlfall EJ, Mevius DJ, 2010. Multiresistant Salmonella enterica serovar 4,[5],12:i:- in Europe: a new pandemic strain? Euro Surveillaince, (22):19580 5. Hauser E., Tietze E., Helmuth R., Junker E., Blank K., Prager R., Rabsch W., Appel B., Fruth A. and Malorny B., 2010. Pork Contaminated with Salmonella enterica Serovar 4,[5],12:i:−, an Emerging Health Risk for Humans. Appl. Environ. Microbiol. vol. 76 no.14:4601-4610. 6.http://www. pulsenetinternational.org/SiteCollectionDocuments/pfge/ 7. Lindstedt B.A., Vardund T., Aas L., Kapperud G., 2004. Multiple-Locus Variable-Number Tandem-Repeats Analysis of Salmonella enterica subsp. enterica serovar Typhimurim using PCR multiplex and multicolor capillary electrophoresis. Journal of Microbiological Methods, 59, 163-172. 373 Miceli I. 1, Vitale N.1, Marro S.2 , Monnier M.1, Zoppi S.1, Dondo A.1, Caruso C.1, Masoero L.1, Goria M.1, Faccenda M.3 1.Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 -10154 Torino 2.Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università degli Studi di Torino, Via Leonardo da Vinci 44 - 10095 Grugliasco (TO) 3.Veterinario libero professionista Key words: PRRS, RT-Nested PCR, saliva SUMMARY The Porcine Reproductive and Respiratory Syndrome (PRRS) is one of the most economically significant disease affecting pigs worldwide. Due to the devastating impact of PRRSV on swine production, a rapid, convenient, sensitive and reliable diagnostic method is required to monitor the disease. The selection of oral fluid as diagnostic specimen is likely to be a promising alternative to serum. The aim of this study was to evaluate oral fluid reliability in detection and diagnosis of PRRSV infection, by comparing it to one of most common specimen, as serum is. Both specimen types were analysed by mean of RT-nested PCR. Preliminary data reveal that diagnostic power of individual oral fluid and serum seems to be not significantly different. Nevertheless further studies are needed to clearly assess oral fluid potential performance as efficient, cost-effective diagnostic approach to PRRSV surveillance in swine herds. indaginosa, considerando anche che l ‘RNA è facilmente degradabile, da enzimi ubiquitari quali le RNAsi (8). Nel caso della matrice saliva utilizzata come campione per la ricerca di agenti eziologici, è pertanto necessario garantire adeguate condizioni di conservazione dell’RNA, dal momento del prelievo, fino all’arrivo in laboratorio. Obiettivo principale dello studio è valutare le potenzialità di campioni individuali di liquido salivare per rilevare la presenza di genoma virale di PRRSV, rispetto a campioni di siero dei medesimi soggetti, rapportandoli all’andamento della risposta anticorpale. A tal fine diverse condizioni di conservazione/ trasporto e diverse strategie di estrazione sono state considerate per la saliva, anche in combinazione con l’impiego di dispositivi specifici per acidi nucleici (FTA Cards) e kit commerciali ad hoc per la saliva, al fine definire un protocollo ottimale per preservare l’integrità dell’RNA genomico del virus. INTRODUZIONE La sindrome riproduttiva-respiratoria del suino (PRRS) è una malattia infettiva contagiosa, ad eziologia virale, causata da un virus ad RNA monofilamento, genere Arterivirus, famiglia Arterivirdae. La malattia è caratterizzata da un quadro clinico polimorfo, manifestandosi sia in forma acuta, (in grado di determinare mortalità considerevoli), che in forma cronica, con impatti significativi sulla produttività dell’allevamento. La suinicoltura in Piemonte, con un patrimonio di circa 11,5% dei capi presenti sul territorio nazionale, ha un ruolo preminente nell’economia del settore zootecnico. I dati disponibili sul territorio nazionale confermano l’ampia diffusione dell’infezione, indirettamente confermata dal frequente ricorso alla profilassi vaccinale. L’isolamento del PRRSV può essere effettuato a partire da diverse matrici biologiche, tra cui polmone, plasma, siero e cellule del sangue fino a 5 settimane post infezione (3,5). A causa dell’elevata contagiosità, il virus tende a diffondersi facilmente nell’ambiente attraverso le secrezioni nasali, le feci, l’urina, lo sperma, la placenta e i prodotti dell’aborto. Il controllo della PRRS in allevamento è un percorso complesso che si deve avvalere di diverse misure ed interventi oltre che strategie di management aziendale e che, a causa dell’elevato numero di campioni diagnostici necessari, risulta spesso oneroso. La scelta del fluido orale quale matrice diagnostica sembra oggi rappresentare una promettente alternativa al siero, più frequentemente utilizzato per la diagnosi di laboratorio (2). Il campione di saliva potrebbe essere considerato come un approccio non invasivo ed economico per la diagnosi, monitoraggio e sorveglianza di una vasta gamma di infezioni, causate da RNA-virus in veterinaria, come in medicina umana ad esempio per HIV e Epatite A (1,4). Tuttavia la saliva, per la funzione digestiva e protettiva (nei confronti di agenti esterni), espletata attraverso l’azione di diversi enzimi (proteasi e ribonucleasi), non rappresenta un ambiente favorevole alla sopravvivenza di molti microrganismi. Inoltre l’estrazione di RNA risulta essere una procedura laboratoristica MATERIALI E METODI Campionamento: Lo studio è stato condotto su un campione di 35 suini di 12 settimane di età, provenienti da un allevamento per magronaggio-ingrasso situato in provincia di Cuneo. Gli animali sono stati selezionati per la presenza dell’infezione, considerando che la circolazione virale nell’allevamento è comprovata da recente anamnesi patologica di infezione da PRRSV, supportata da evidenze virologiche e relativi problemi clinici in fase di accrescimento. Inoltre i soggetti campionati provenivano da 2 siti in cui i suini svezzati viremici mantengono la viremia. La numerosità campionaria è stata definita per consentire di ottenere un limite inferiore dell’IC95% pari a 75%, per una sensibilità diagnostica attesa pari a 95%, con un errore di ±5%. Il protocollo sperimentale prevedeva il prelievo di siero e saliva sui 35 capi ogni 2 settimane per un periodo di osservazione complessivo di 10 settimane (6 prelievi successivi in totale). Esame sierologico: Il siero è stato ottenuto per centrifugazione da sangue intero; la ricerca degli anticorpi verso PRRSV è stata effettuata mediante metodo ELISA utilizzando un kit commerciale (IDEXX PRRS X3® virus antibody test kit, Idexx Laboratories). Determinazione del virus PRRS mediante PCR: L’ estrazione di RNA genomico da siero è stata fatta con kit commerciale (E.Z.N.A. Viral RNA Kit, Omega Bio-tek), seguendo le istruzioni del produttore. Preliminarmente, per il campione saliva sono state condotte alcune valutazioni per definire le migliori condizioni di conservazione/trasporto. Sono stati applicati due diversi metodi di raccolta che prevedevano come supporto per la conservazione degli acidi nucleici, rispettivamente, l’utilizzo di uno stabilizzatore commerciale (RNAlater, Qiagen) da aggiungere al momento del prelievo al fine di ridurre il più possibile la degradazione dell’RNA, e le FTA Cards (Whataman, GE Healthcare Life Sciences). Diversi kit commerciali sono stati impiegati per le diverse condizioni di prelievo. I campioni di RNA sono stati amplificati mediante tecnica RT-nested PCR secondo Persia et al., modificata da Monnier et al. (6,7). 374 La sensibilità della matrice saliva è stata calcolata considerando il numero di capi positivi alla PCR sul totale dei capi esaminati per ogni prelievo. Tutte le elaborazioni statistiche sono state realizzate con il software SAS® v9.2. I dati ottenuti da siero e saliva sono stati esaminati con l’analisi della varianza per misure ripetute, utilizzando il tempo come misura ripetuta, le densità ottiche S/P dell’ELISA come variabile dipendente e la PCR saliva (positivo/negativo) come variabile indipendente. RISULTATI E CONCLUSIONI Sono stati eseguiti in totale 618 esami, 206 PCR su siero, 206 PCR su saliva e 206 sierologici in ELISA. Il metodo che ha fornito, in via preliminare, i migliori risultati per il campionamento e l’estrazione dell’RNA genomico nella saliva si è dimostrato essere quello che prevedeva l’utilizzo dello stabilizzatore RNAlater in associazione al kit di estrazione Rneasy micro kit (Qiagen). Questo kit permette l’estrazione di RNA presente in basse concentrazioni grazie all’utilizzo di un RNA carrier che si lega all’RNA per la presenza della coda polyA. In tabella 1 sono riportate le prestazioni delle matrici siero e saliva analizzate in PCR per i 35 suini esaminati. Se siero e saliva vengono valutati in parallelo come test indipendenti per la determinazione della presenza del genoma virale la capacità di rilevare l’infezione nell’animale aumenta, perché come mostra il grafico 1 la finestra diagnostica della saliva è più lunga del siero. Le medie delle DOS/P dei capi positivi alla saliva è 2.09(IC95%: 1.93-2.24), mentre quelle dei capi negativi è 2.10 (IC95%: 2.002.20). L’analisi della varianza sottolinea che non c’è differenza statisticamente significativa tra le due medie (test F 1.67, p=0.14). Questi risultati suggeriscono che la matrice saliva può essere utilizzata per monitorare l’infezione da PRRS, ma risulta comunque necessaria una ulteriore ottimizzazione e standardizzazione della metodica, agendo sulle fasi iniziali del protocollo analitico. L’affidabilità diagnostica aumenta se viene valutato in parallelo l’esito ottenuto dalla matrice siero. La matrice saliva inoltre si dimostra utile con l’impiego delle corde nei box come dispositivo di prelievo multiplo, che diventa così rappresentativo di un intero box di suini, offrendo un’ alternativa economica e vantaggiosa al siero per monitorare la circolazione virale all’interno di un gruppo. Tabella 1: Sensibilità della PCR per le matrici siero e saliva. MATRICI SALIVA SIERO PARALLELO CAPI POSITIVI 14/35 24/35 27/35 SENSIBILITA’ 40.0% 68.6% 77.1% IC95% 23.9-57.9 50.7-83.1 59.9-89.6 Grafico 1: percentuale di capi positivi della matrice siero e saliva per prelievo. saliva 80% siero 70% 60% % capi positivi Diagnosi di laboratorio di prrs: Valutazione delle performance analitiche della matrice saliva nei Suini in fase di magronaggio XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 50% 40% 30% 20% 10% 0% 22-nov-12 07-dic-12 19-dic-12 03-gen-13 prelievo 17-gen-13 31-gen-13 Grafico 2: Medie delle densità ottiche S/P per prelievo suddivisi per capi positivi e negativi alla matrice saliva alla PCR. negativi Saliva positivi 3.3 3 2.7 2.4 % capi positivi XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 2.1 1.8 1.5 1.2 0.9 0.6 0.3 0 22-nov-12 07-dic-12 19-dic-12 03-gen-13 17-gen-13 31-gen-13 prelievo BIBLIOGRAFIA 1. Amado LA, Villar LM, de Paula VS, Gaspar AM. Comparison between serum and saliva for the detection of hepatitis A virus RNA. J Virol Methods. 2008 Mar;148(1-2):74-80. 2. Chittick WA, Stensland WR, Prickett JR, Strait EL, Harmon K, Yoon KJ, Wang C, Zimmerman JJ. Comparison of RNA extraction and real-time reverse transcription polymerase chain reaction methods for the detection of Porcine reproductive and respiratory syndrome virus in porcine oral fluid specimens. J Vet Diagn Invest. 2011 Mar;23(2):248-53. 3. Christopher-Hennings J, Holler LD, Benfield DA, Nelson EA. Detection and duration of porcine reproductive and respiratory syndrome virus in semen, serum, peripheral blood mononuclear cells, and tissues from Yorkshire, Hampshire, and Landrace boars. J Vet Diagn Invest. 2001 Mar;13(2):133-42. 4. Holm-Hansen C, Nyombi B, Nyindo M. Saliva-based HIV testing among secondary school students in Tanzania using the OraQuick rapid HIV1/2 antibody assay. Ann N Y Acad Sci. 2007 Mar;1098:461-6. 5. Hu SP, Zhang Z, Liu YG, Tian ZJ, Wu DL, Cai XH, He XJ. Pathogenicity and distribution of highly pathogenic porcine reproductive and respiratory syndrome virus in pigs. Transbound Emerg Dis. 2013 Aug;60(4):3519. 6. Monnier M., Kobal F., Ghia C.A., Buonincontro G., Goria M. “Sindrome riproduttiva e respiratoria del suino: osservazioni preliminary per la ricerca del virus ceppo europeo nel siero mediante RT-Nested PCR” VII Congresso Nazionale SIDILV- Torino, 26-28 Ottobre 2005. 7. Persia D., Pacciarini M.L., Cordioli P. e Sala G. 2001. Evaluation of Three RT-PCR assays for the detection o veteporcine and respiratory syndrome virus (PRRSV) in diagnostic samples. Atti “X International symposium of rinary laboratory diagnosticians and OIE seminar on biotecnology. Salsomaggiore. 8. Prickett J, Simer R, Christopher-Hennings J, Yoon KJ, Evans RB, Zimmerman JJ. Detection of Porcine reproductive and respiratory syndrome virus infection in porcine oral fluid samples: a longitudinal study under experimental conditions. J VET Diagn Invest 2008 20: 156. 375 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DISEGNO E VALUTAZIONE DI UN METODO IN REAL-TIME PCR PER LA RICERCA DEI GENI CODIFICANTI LE VEROCITOTOSSINE DI TIPO 1 E 2 Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S. Laboratorio Europeo e Nazionale di Riferimento per Escherichia coli, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia Keywords: Escherichia coli, Verocytotoxin, Real Time PCR ABSTRACT Verocytotoxin(VT)-producing Escherichia coli (VTEC) are foodborne pathogens causing severe disease. Recently an international standard dedicated to the detection of these pathogens in food has been published, ISO/TS 13136:2012 consisting in a Real Time PCR-based method. The first step of the method involves the screening of food enrichment cultures for the presence of the main virulence genes of VTEC, namely VT-coding genes (vtx1 and vtx2). As the primers and probes indicated in the method for vtx detection are subjected to patents, we have deployed and evaluated new reagents. These reagents will be later on validated according to ISO16140:2003 in order to assess their equivalence to be used by the laboratories involved in the official control of foodstuffs without facing any patent issues. INTRODUZIONE Escherichia coli produttore di Verocitotossina (VTEC) è un patogeno zoonotico a trasmissione alimentare in grado di causare patologie gravi nell’uomo, quali la colite emorragica e la sindrome emolitico uremica. Nel 2012 è stato pubblicato uno standard internazionale per la ricerca dei VTEC negli alimenti, la ISO/TS 13136:2012, dal titolo: ”Microbiology of food and animal feed -- Real-time polymerase chain reaction (PCR)-based method for the detection of food-borne pathogens -- Horizontal method for the detection of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) and the determination of O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups” (2). Tale metodo si basa sullo screening mediante Real Time PCR di colture di arricchimento di alimenti, finalizzato alla identificazione della presenza dei principali geni di virulenza dei VTEC, ovvero i geni vtx codificanti le verocitotossine (VT). I campioni positivi vengono quindi saggiati per la presenza del gene eae codificante il fattore di adesione intimina, e i geni associati ai sierogruppi maggiormente coinvolti nelle infezioni umane gravi (O157, O111, O26, O103, and O145). Dai campioni positivi per i geni vtx viene tentato l’isolamento del ceppo VTEC. Gli oligonucleotidi e le sonde relative al saggio di Real Time PCR per l’identificazione dei geni vtx indicate nella ISO/TS 13136:2012 sono coperte da brevetto, e per il loro utilizzo è, in linea di principio, necessaria la negoziazione di licenze. Reagenti alternativi possono essere utilizzati per tale scopo, in seguito alla dimostrazione della loro equivalenza con quelli indicati nella ISO/TS 13136:2012. Pertanto, in qualità di Laboratorio Nazionale ed Europeo di Riferimento, abbiamo disegnato dei nuovi oligonucleotidi e sonde per l’identificazione dei geni vtx e ne abbiamo valutato l’efficienza al fine di disegnare uno studio di validazione in accordo alla ISO 16140:2003. La disponibilità di reattivi per la ricerca dei geni vtx non coperti da brevetto completerebbe l’offerta diagnostica, a fianco dei numerosi kit commerciali, assicurando la copertura analitica per tutti i laboratori coinvolti nel controllo degli alimenti e la tutela della salute. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 viene ottenuta mediante l’utilizzo di sonde specifiche per i due diversi geni, marcate con fluorofori differenti, in maniera tale da poter essere utilizzate contemporaneamente. L’allineamento delle sequenze dei geni vtx1 e vtx2 è riportato nella figura 1, insieme alla posizione dei primers e dei probes. Figura 1. Allineamento relativo alle porzioni delle sequenze dei geni vtx1 e vtx2 presenti nelle banche dati dell’NCBI su cui sono stati sviluppati gli oligonucleotidi e le sonde. La loro posizione è riportata schematicamente. MATERIALI E METODI Ceppi batterici I ceppi EDL933 e 031 sono stati utilizzati nelle reazioni di amplificazione dei geni vtx1 e vtx2. In particolare il ceppo EDL933 è considerato il ceppo prototipo per i geni di sottotipo vtx1a, mentre il ceppo 031 è considerato il ceppo di riferimento per i geni vtx2c (5). Il ceppo di Escherichia coli K12 DH5a è stato utilizzato per l’amplificazione dei plasmidi pGEM-T Easy contenenti le sequenze nucleotidiche di interesse relative ai geni vtx. Analisi di sequenza Sequenze relative ai geni vtx1 e vtx2 disponibili nelle banche dati genomiche dell’NCBI (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) sono state comparate mediante il software ClustalW. Real Time PCR Gli oligonucleotidi utilizzati in questo studio come primers e probe per le reazioni di Real Time PCR sono stati disegnati sulle sequenze di riferimento presenti in banca dati M19473 (sottotipo vtx1a) e L11079 (sottotipo vtx2c). I primers sviluppati ed utilizzati sono: stxAllFwd1 (CGDCTKATTRTTGARCRAAATAATTTATATGT) e stxAllRev1 (CCRCTRWRCKMCATYAAMKCCAGATA) mentre le sonde Taqman sono Stx1ProbeEURL_1(5’ 6FAMACCAGACAATGTAACCGCTGTTGT-3’ BHQ1) e Stx2ProbeEURL_1 (5’ ROXCGTTGTCATGGAAACCGTTGTCAC-BHQ2). Per le reazioni di Real Time PCR è stato utilizzato un termociclatore Rotorgene Corbet con il seguente profilo termico : 95°C 15 minuti, 45 cicli 95°C 15 secondi e 60°C un minuto. Preparazione di materiali di riferimento ad hoc Frammenti di 366 bp e 587 bp sono stati ottenuti mediante PCR convenzionale con primers specifici per i geni vtx1 (stxAllFwd1/ stx1R) (3) e vtx2 (LP43/LP44) (1) rispettivamente sui DNA estratti dai ceppi EDL933 per amplificare i geni di sottotipo vtx1a e 031 per amplificare i geni vtx2c. Tali prodotti sono stati clonati nel vettore plasmidico pGEM-T Easy. In seguito alla loro purificazione, i due plasmidi sono stati quantizzati ed opportunamente diluiti per costruire delle rette di calibrazione. RISULTATI E CONCLUSIONI Disegno di oligonucleotidi e di sonde per l’identificazione dei geni vtx1 e vtx2 Per il disegno dei nuovi reattivi, è stata utilizzata la stessa strategia alla base dello sviluppo dei reattivi riportati nella ISO/TS 13136, descritti da Perelle et al (2). Il disegno di oligonucleotidi degenerati, in grado di riconoscere i geni codificanti sia le verocitotossine di tipo 1 (VT1) che di tipo 2 (VT2), è stato condotto sulla base di un allineamento delle sequenze relative alle subunità A (Figura 1) dei geni codificanti le tossine VT1 (sottotipi vtx1a, vtx1c e vtx1d) e VT2 (sottotipi vtx2a, vtx2b, vtx2c). La discriminazione dei geni vtx1 e vtx2 376 B) sequenza target vtx2 Costruzione delle rette di calibrazione con i materiali di riferimento e determinazione delle performances. I plasmidi di riferimento contenenti i frammenti vtx1 e vtx2 sono stati diluiti in maniera scalare e soggetti ad amplificazione in cinque repliche alle seguenti concentrazioni: 1 copia/reazione, 10 copie/reazione, 100 copie/reazione, 1000 copie/reazione e 10000 copie/reazione. Un controllo negativo NTC (no template control) è stato incluso in ogni esperimento. Le curve di amplificazione sono state analizzate con il software che gestisce il termociclatore e che consente la costruzione di rette di calibrazione in cui il ciclo soglia (threshold cycle, CT) ottenuto in ciascuna reazione di amplificazione, che rappresenta un indice preciso della quantità di DNA inizialmente presente nella reazione, viene messo in relazione con le concentrazioni di DNA dei campioni utilizzati come standard. Il grafico che ne deriva presenta sull’asse delle ascisse il logaritmo della concentrazione delle diluizioni mentre sull’asse delle ordinate il CT. Dall’analisi del grafico è possibile ricavare determinati parametri, relativi all’efficienza della reazione di Real Time PCR, quali la pendenza M, l’efficienza ed il coefficiente di correlazione R2. Le curve di calibrazione ottenute sono di seguito riportate (Fig. 2) Figura 2. Curve di calibrazione ottenute per la sequenza target (A) vtx1 R2= 0,95863; M= -3,38039; Efficienza= 0,97617 e (B) vtx2 R2= 0,97357; M= -3,18327; Efficienza= 1,0613 Il coefficiente di correlazione (R2) è una misura di quanto i dati sperimentali seguono la linea di regressione ed il suo valore massimo è pari a 0,999. Nel caso della sequenza target vtx1 è stato ottenuto un valore pari a 0,95863 mentre per la sequenza target vtx2 un valore più alto e maggiormente vicino all’atteso (0,97357). Un altro parametro importante è la pendenza M (slope) della retta di regressione, che per ottenere risultati accurati e riproducibili deve essere più vicina possibile al 100% (identificato dal valore -3.32) ed entrambe le reazioni per le due sequenze target mostrano valori compatibili (Fig. 2). In ultimo abbiamo valutato l’efficienza della reazione di amplificazione, determinata dall’equazione E=10(-1/slope)-1. L’efficienza ottimale della PCR dovrebbe essere compresa nell’intervallo 90–100%, corrispondente all’intervallo −3.6 ≥ slope (M) ≥ −3.3. I nostri risultati mostrano che mentre per l’amplificazione dei geni vtx1 il valore di M era compreso nell’intervallo, l’amplificazione dei geni vtx2 ha restituito un valore di M pari a 3,18. Quest’ultimo risultato richiede che la reazione per l’amplificazione dei geni vtx2 debba essere ottimizzata al fine di portarne l’efficienza ai valori ottimali per l’esecuzione della validazione secondo la ISO 16140:2003. BIBLIOGRAFIA 1. Cebula TA, Payne WL, Feng P. Simultaneous identification of strains of Escherichia coli serotype O157:H7 and their Shiga-like toxin type by mismatch amplification mutation assay–multiplex PCR. J Clin Microbiol 1995;33:248-50 2. ISO/TS 13136:2012. Microbiology of food and animal feed -- Real-time polymerase chain reaction (PCR)-based method for the detection of food-borne pathogens -Horizontal method for the detection of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) and the determination of O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups 3. Paton AW, Paton JC. Multiplex PCR for direct detection of Shiga toxigenic Escherichia coli strains producing the novel subtilase cytotoxin. J Clin Microbiol. 2005 Jun;43(6):2944-7. 4. Perelle, S., Dilasser, F., Grout, J., Fach, P. Detection by 5’ nuclease PCR of Shiga-toxin producing Escherichia coli O26, O55, O91, O103, O111, O113, O145 and O157:H7, associated with the world’s most frequent clinical cases. Mol. Cell Probes 2004, 18, pp. 185-192 5. Scheutz F, Teel LD, Beutin L, Piérard D, Buvens G, Karch H, Mellmann A, Caprioli A, Tozzoli R, Morabito S, Strockbine NA, Melton-Celsa AR, Sanchez M, Persson S, O’Brien AD. Multicenter evaluation of a sequence-based protocol for subtyping Shiga toxins and standardizing Stx nomenclature. J Clin Microbiol. 2012 Sep;50(9):2951-63. A) sequenza target vtx1 377 ari ri: le m), io co he ub to he nt nd nd G: XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MOLECULAR AND MELISSOPALYNOLOGICAL ANALYSIS TO CHARACTERIZE HONEYS PRODUCED WITHIN THE MAJELLA NATURAL PROTECTED AREAS (CENTRAL ITALY) Milito M.1, Cersini A.1, Ciaschetti G.2, Giacomelli A.1, Di Santo M.2, Andrisano T.2, Puccica S.1, Antognetti V.1, Pietropaoli M.1, Pizzariello M.1, Marchesi U.1, Formato G.1, Amaddeo D. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana, Rome, Italy; 2 Ente Parco Nazionale della Majella, Sulmona, Italy Keywords: Melissopalynological analysis, molecular analysis, Majella Natural Park ABSTRACT In 2010 and 2011 the Majella Natural Protected Area realized, under the coordination of the Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, a study to characterize by molecular and melissopalynological analysis the honey produced within the Park. INTRODUZIONE Nel periodo 2010 – 2011, il Parco Nazionale della Majella, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, ha realizzato uno studio per caratterizzare dal punto di vista botanico i prodotti apistici della stessa area naturale attraverso: a) analisi sul polline per la creazione di una palinoteca e di una gene bank di riferimento con i pollini delle specie botaniche nettarifere e pollinifere caratteristiche del parco; b) riconoscimento, tramite analisi sia molecolari che melissopalinologiche, delle famiglie e dei generi botanici dei pollini che caratterizzano il campione; c) indagine sulle potenzialità delle analisi molecolari nel futuro riconoscimento delle specie, subspecie e varietà per la caratterizzazione dal punto di vista botanico e geografico il miele del Parco Nazionale della Majella. MATERIALI E METODI Materiali Sono stati esaminati i mieli e i pollini prodotti da 11 diverse postazioni del Parco (Cansano Le Piscine, Cansano Mandrie Chiare, Pettorano sul Gizio, Caramanico, S. Eufemia a Majella, Pescocostanzo, Roccamorice, Palena, Fara San Martino, Lama dei Peligni, Sulmona). All’interno di queste sono stati prelevati: a) 117 campioni di polline fresco per altrettante analisi palinologiche; b) 58 campioni di mieli in favo per 58 analisi melissopalinologiche al microscopio ottico e 522 analisi in PCR End point; c) 21 campioni di mieli in barattolo, per 21 analisi organolettiche, 21 analisi di umidità, 21 analisi melissopalinologiche al microscopio ottico, 630 analisi in PCR End point e 140 analisi in Real Time PCR. Per riconoscere l’origine botanica de miele si effettuano prima una analisi sensoriale e melissopalinologica (ed eventualmente quella della ricerca di alcune sostanze peculiari): confrontando così le caratteristiche organolettiche del miele con il suo spettro pollinico osservato al microscopio ottico. In una fase analitica successiva si passa alla tipizzazione biomolecolare in PCR solo di quei pollini la cui morfologia abbia dimostrato l’appartenenza a specie botaniche tipiche o esclusive dell’areale di origine del miele. Il flusso di lavoro ha previsto: a) il campionamento dei fiori delle specie botaniche nettariferee pollinifere, nelle 11 postazioni interessate; b) la creazione di una palinoteca di riferimento per la memorizzazione microscopica della morfologia pollinica di tali specie c) la creazione di una gene bank di riferimento per la memorizzazione del DNA pollinico di ciascuna specie e subspecie tipica d) le analisi melissopalinologica e molecolare sui campioni di miele. Analisi sul polline: allestimento palinoteca Il personale del Parco Nazionale della Majella ha campionato ed identificato le specie botaniche in fioritura di interesse apistico presenti in ciascuna delle 11 postazioni inviandone i fiori ai laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lazio e Toscana. Dagli stami di ogni fiore sono stati estratti due campioni di polline con l’aiuto di ago e specillo. Un campione è stato posizionato su vetrino, miscelato con una goccia di acqua distillata, asciugato e montato con vetrino coprioggetto mediante gelatina glicerinata per lo studio della morfologia pollinica al microscopio ottico. Ciascun vetrino così preparato è stato catalogato con l’esatto nome del genere, della specie ed eventualmente della subspecie In questo modo è stato possibile realizzare la palinoteca necessaria per lo studio e la memorizzazione, sia a livello morfologico che a livello genetico, delle molte forme polliniche presenti in ciascuna delle 11 postazioni studiate e rinvenibili anche nei mieli. . L’altro campione è stato inviato al reparto di Biotecnologie per l’estrazione del DNA e la caratterizzazione molecolare della specie/subspecie. Analisi melissopoalinologiche Da ogni campione di miele in barattolo e in favo sono stati prelevati 10 grammi di prodotto e miscelati accuratamente con 20 ml di acqua distillata. Il campione è stato centrifugato a 2500 rpm per 10 minuti, ed il pellet recuperato è stato nuovamente centrifugato per 5 minuti. Il sedimento è stato quindi posto ad asciugare ad una temperatura inferiore ai 40°C su un vetrino portaoggetto . sul quale è stato poi applicato un coprioggetto impiegando gelatina glicerinata. A questo punto è stata effettuata l’osservazione al microscopio ottico con obiettivo 100 X, contando fino a 500 pollini su cinque linee orizzontali, in modo da arrivare ad estrapolare le “classi di frequenza” per ogni tipo pollinico presente. Identificazione microscopica dei tipi pollinici Il riconoscimento delle forme polliniche è stato eseguito mediante lo studio della loro morfologia ed attraverso il confronto con i vetrini di riferimento della palinoteca del Parco Si è posta particolare attenzione alle forme caratteristiche del luogo associate con quelle comuni dello spettro polllinico di base. 378 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Analisi biomolecolari Estrazione DNA pollinico: il DNA pollinico è stato estratto dalle diverse tipologie di campioni di miele mediante l’Invisorb Spin Food® kit II (Invitek GmBH, Berlin, Germany). Controllo qualità e quantità del DNA estratto: la qualità e la quantità del DNA estratto è stata verificata sia spettrofotometricamente che in Real Time PCR specifiche per l’actina e l’RNA transfer leucina (tRNA-Leu) (1). Le master mix sono state effettuate con TaqManTM PCR Core Reagent kit (A. Biosystems, Branchburg, New Jersey, USA). Specifica identificazione dei Taxon in End point PCR: sui 21 campioni di miele in barattolo sono stati testati anche ulteriori protocolli molecolari basati sull’amplificazione e sequenziamento di specifici tag del cloroplaqsto: trnL, LoopP6 ed rbcl (2, 3 e 4). Quest’ultima strategia ha permesso di evidenziare solo le famiglie a cui appartengono i pollini senza arrivare a livello di genere essendo gli stessi tag cloroplastici estremamente conservati tra i generi di una stessa. Tutti i DNA estratti positivi per l’actina e il tRNA-Leu sono stati successivamente testati per la ricerca dei seguenti generi: Eucalyptus(1)-96bp), Hedysarum (primer home-made, 259bp), Hedera (primer home-made,102bp), Lavandula (1)-74bp), Onobrychis (primer home-made, 218bp), Satureja (primer home-made, 76bp), Taraxacum (primer home-made,351bp), Trifolium (1)-191bp), Robinia (1)-107bp). Le master mix per le PCR End point per i generi elencati sono sate ottenute con l’AmpliTaq GoldTM DNA Polymerase, A. Biosystems, Branchburg, New Jersey USA). RISULTATI E CONCLUSIONI Analisi sui mieli in barattolo e sui mieli in favo. Attualmente sono state eseguite sia le analisi microscopiche che biomolecolari sui 21 mieli in barattolo ed i 58 mieli in favo del Parco. Entrambe le tecniche hanno dimostrato la presenza di tre famiglie e generi: Fabaceae (generi Trifolium, Onobrychis, Hedysarum), Lamiaceae (genere Lavandula), Araliaceae (genere Hedera). Inoltre con le analisi biomolecolari è stata evidenziata anche la presenza di pollini appartenenti alle famiglie: Asteraceae (genere Taraxacum), Myrtaceae (genere Eucalyptus). Con le analisi melissopalinologiche effettuate presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lazio e Toscana a tutt’oggi è possibile rilevare una serie di famiglie e di generi che vengono riportati nella seguente tabella. Tabella n.1 Specie botaniche che potrebbero essere tipizzate per la caratterizzazione botanica e geografica dei mieli del Parco Nazionale della Majella Famiglia riconosciuta al microscopio Genere riconosciuto al microscopio Specie presente nel Parco Nazionale della Majella Fabaceae Onobrychis vicifolia, alba Fabaceae Trifolium repens, resupinatum, fragiferum, pratense, angustifolium, campestre, montanum, ochroleucum Fabaceae Melilotus altissimus, indicus, officinalis, sulcatus Fabaceae Vicia cracca, onobrychioides, sepium, tenuifolia, villosa, irsuta, hybrida, lutea, sativa Rosaceae Malus sylvestris Liliaceae Lilium bulbiferum subsp. croceum Asteraceae Centaurea tenoreana (endemica), ambigua Lamiaceae Thymus serpillum Lamiaceae Calamintha nepeta Lamiaceae Saturejia montana Campanulaceae Campanula fragilis Gentianaceae Gentiana lutea Per ogni famiglia e genere vengono mostrate le specie botaniche tipiche o endemiche delle postazioni esaminate nel Parco che potrebbero quindi essere candidate ad un’ulteriore tipizzazione a livello biomolecolare arrivando fino al livello di specie o di sub specie. La caratterizzazione molecolare sembrerebbe infatti molto utile per il conseguimento di un marchio qualità dell’alimento miele (es. Denominazione di Origine Protetta dei mieli del Parco) BIBLIOGRAFIA 1.I. Laube, H. Hird, P. Brodmann, S. Ullmann, M. Schöne-Michling, J. Chisholm, H. Broll (2010) Development of primer and probe sets for the detection of plant species in honey. Food Chemistry. 118: 979-986; 2.P. Taberlet, L. Gielly, G. Pautou, J. Bouvet (1991) Universal primers for amplification of three non-coding regions of chloroplast DNA. Plant Molecular Biology. 17: 1105-1109; 3. P. Taberlet, E. Coissac, F. Pompanon, L. Gielly, C. Miquel, A. Valentini, T. Vermat, G. Corthier, C. Brochmann, E. Willerslev (2007) Power and limitations of the chloroplast trnL (UAA) intron for plant DNA barcoding. Nucleic Acids Research. 35:3-10; 4.A. Ortola-Vidal, H. Schnerr, M. Rojmyr, F. Lysholm, A. Knight (2007) Quantitative identification of planta genera in food products using PCR and Pyrosequencing® technology. Food Control. 18: 921-927; 5.G. Pirone, G. Fiaschetti (2010) Il Parco Nazionale della Majella: aspetti della flora e della vegetazione. Atti 53° Convegno nazionale AAIG: 137-154; 6. Ministero delle politiche agricole Alimentari e Forestali – CRA Istituto Sperimentale per la zoologia Agraria-Sezione di Apicoltura, Roma (2007) I Mieli Regionali Italiani; 7.G. Ricciardelli D’Albore, F. Intoppa (2000). Fiori e Api. Calderini Edagricola. 379 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI DI UN TEST RFLP SU CEPPI VACCINALI DI CANINE DISTEMPER VIRUS IN ITALIA gene H del ceppo vaccinale del Vanguard 7 del sito di clivaggio per l’enzima PsiI. L’analisi delle sequenze nucleotidiche ha inoltre mostrato che il ceppo vaccinale Vanguard 7 ha un maggiore correlazione con i ceppi wild-type del gruppo America-2, rispetto al ceppo Snyder Hill dichiarato dal produttore o agli altri ceppi vaccinali oggetto di studio. Tutti gli altri ceppi vaccinali risultano correlati al gruppo America-1. Mira F., Purpari G., Gucciardi F., Di Bella S., Guercio A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Via G. Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo Key words: Canine Distemper Virus, PCR-RFLP, sequence analysis SUMMARY Canine Distemper (CD) is a highly contagious and multisystemic viral disease of domestic and wild carnivores. A published Restriction Fragment Length Polymorphism (RFLP) test, based on the presence of a PsiI cleavage site on hemagglutinin (H) gene, allows a rapid differentiation of all currently used vaccine strains by virulent field strains. The present study describes the results of this test carried out on different CD vaccines available in Italy in 2010. RFLP has also revealed that the CD strain present in the Vanguard (Pfizer Animal Health) vaccine reacts as a wild-type strain. Moreover, genetic analysis of H gene sequence has showed that Vanguard vaccine strain does not cluster in the group of vaccine strains (America-1), as expected based on the product description provided by the manufacturer, but it is more closely related to wild-type strains of the America-2 group. However, this protocol shows significant advantages to identify CD wild-type strains. INTRODUZIONE Il Cimurro è una malattia infettiva contagiosa che colpisce carnivori domestici e selvatici. Questa malattia è causata dal Canine Distemper Virus (CDV), un virus appartenente al genere Morbillivirus, della famiglia Paramyxoviridae. Da molti anni vengono impiegati vaccini vivi attenuati per il controllo della malattia, allestiti con i ceppi Onderstepoort, SnyderHill, Rockborn, Lederle e Convac. Studi filogenetici effettuati su questi ceppi vaccinali hanno messo in evidenza la loro appartenenza al lineage America-1 ed il raggruppamento di questi in un cluster distinto rispetto ai ceppi wild-type isolati appartenenti allo stesso lineage (2, 4). Nel corso di accertamenti di laboratorio eseguiti su animali recentemente vaccinati, il ceppo virale presente nel vaccino potrebbe interferire con la RT-PCR, portando a risultati diagnostici controversi. Analisi molecolari effettuate su casi clinici di cani recentemente vaccinati non hanno messo in relazione l’agente causale con alcuno dei ceppi vaccinali di uso corrente (4, 5), tuttavia casi di animali vaccinati in cui era possibile evidenziare il ceppo vaccinale per un breve periodo di tempo sono stati descritti (3). Al fine di escludere tali dati fuorvianti vari Autori hanno ritenuto opportuno valutare la possibilità di realizzare dei saggi biomolecolari in grado di discriminare i ceppi vaccinali da quelli di campo. Un test di RT-PCR associato ad una RFLP è stato messo a punto per la differenziazione tra virus wild-type e ceppi vaccinali (1). Il test è stato sviluppato sull’evidenza nucleotidica della presenza di un sito di clivaggio per l’enzima PsiI nel gene dell’emoagglutinina (H) caratteristico dei ceppi vaccinali di CDV e quindi in grado di differenziare questi dai ceppi di campo. Gli Autori del presente lavoro, durante l’esame di vaccini vivi attenuati per il CDV disponibili in commercio sul territorio nazionale, hanno messo in evidenza che il ceppo vaccinale presente nel vaccino Vanguard (Pfizer Animal Health, USA), con questo protocollo diagnostico, mostrava un profilo di restrizione uguale ai ceppi wild-type, contrariamente a quanto atteso per il ceppo vaccinale dichiarato. Questo studio riporta, quindi, l’esito dell’indagine effettuata su vaccini vivi attenuati verso il Cimurro commercializzati in Italia ed il risultato controverso mostrato dal ceppo vaccinale presente in uno di questi prodotti. MATERIALI E METODI Per il presente studio è stata testata una dose di cinque differenti vaccini per CDV in commercio in Italia nel 2010 (Tabella 1). I vaccini sono stati conservati alla temperatura raccomandata e sono stati ricostituiti secondo le indicazioni del produttore. L’RNA virale è stato estratto utilizzando il kit QIAamp® Viral RNA Mini Kit (QIAGEN) ed è stato conservato alla temperatura di -80°C. Come controllo positivo è stato utilizzato un ceppo CDV Bussell di riferimento, clone del ceppo vaccinale Onderstepoort adattato alla crescita nella linea cellulare VERO Orwell (African green monkey kidney). Sono state quindi ottimizzate una RTPCR One Step (QIAGEN, OneStep RT-PCR Kit) ed una PCRRFLP utilizzando l’enzima PsiI, secondo il protocollo suggerito da Demeter Z. et al. (1). I prodotti di amplificazione ottenuti dai ceppi vaccinali attraverso uno specifico set di primers (1), sono stati purificati utilizzando il kit illustraÔ GFX PCR DNA, Gel Band Purification (GE Healthcare) e sono stati sottoposti a sequenziamento dalla ditta BMR Genomics, Padova. Le sequenze nucleotidiche del gene dell’emoagglutinina (H) ottenute sono state allineate con quelle di altri ceppi CDV disponibili in GenBank. Tabella 1 – Vaccini oggetto di studio Ceppo Vaccinale Lotto Canigen Ceppi+L (Virbac Srl) Non dichiarato 2SB9 Duramune® Puppy DP+C (Fort Dodge) Ondestepoort 370AY9001 Eurican Tetra (Merial Tetra Spa) Non dichiarato L361281 Nobivac Ceppi (Intervet Italia Srl) Ondestepoort A227B01 Snyder-Hill L94377 Vaccino Vanguard 7 (Pfizer Animal Health) Figura 1 - RFLP del vaccino Vanguard 7 e del Ceppo CDV Bussell CONCLUSIONI Nel presente studio è stato applicato un metodo di PCRRFLP in grado di differenziare i ceppi vaccinali dai ceppi wildtype di cui si conosce la sequenza. Il metodo applicato ai ceppi vaccinali in commercio in Italia ha mostrato come il ceppo di CDV presente nel vaccino Vanguard produce un profilo di restrizione equiparabile ad un ceppo wild-type. Questo risultato era già stato segnalato in lotti differenti dello stesso vaccino distribuito in Ungheria (2). L’analisi di sequenza del gene H evidenzia come questo ceppo vaccinale sia maggiormente correlato a ceppi wild-type rispetto al ceppo dichiarato Snyder Hill o agli altri ceppi vaccinali in commercio, appartenenti al lineage America-1. Tale osservazione è stata riportata anche da altri gruppi di ricerca (2, 5, 6). Il presente lavoro è la prima segnalazione in Italia della presenza nel vaccino Vanguard in commercio in Italia di un ceppo differente da quello dichiarato e conferma la maggiore correlazione di questo ceppo vaccinale al gruppo America-2, come già evidenziato in Nord America ed in Ungheria. Pertanto, in caso di animali vaccinati con questo vaccino, non è possibile discriminare mediante tale protocollo di RT-PCR e RFLP la presenza di genoma virale appartenente al ceppo wild-type da quello di origine vaccinale. Per ovviare a questo limite è possibile ricorrere al sequenziamento degli amplificati ottenuti e alla loro comparazione con sequenze note di CDV disponibili in GenBank, considerato che anche le sequenze del ceppo utilizzato nel vaccino Vanguard sono depositate, con i seguenti numeri di accesso: EF095750 (H gene), EU072198 (F gene), EU072199 (M gene), EU072200 (N gene) e EU072201 (P gene). Risulta inoltre utile, ai fini diagnostici, conoscere la storia vaccinale del soggetto al momento dell’esecuzione dei tests di biologia molecolare. Sebbene la tecnica RFLP proposta da Demeter et al. (1), presenti dei limiti, la stessa mostra significativi vantaggi rispetto ad altri metodi diagnostici e risulta utile quale prova di screening per evidenziare ed identificare i ceppi wild-type di CDV circolati nel territorio. BIBLIOGRAFIA 1. Demeter Z., Lakatos B., Palade E.A., Kozma T., Forga´ch P., Rusva M. (2007). Genetic diversity of Hungarian canine distemper virus strains. Vet. Microbiol. 122: 258–269. 2. Demeter Z., Palade E.A., Hornyák A., Rusvai M. (2010). Controversial results of the genetic analysis of a canine distemper vaccine strain. Vet Microbiol. 142(3-4) :420-6. 3. Greene C.E., Appel M.J. (2006). Canine distemper. In: Greene, C.E. (Ed.), Infectious Diseases of the Dog and Cat. 3rd ed. Saunders-Elsevier, pp.25–41. 4. Martella V., Elia G., Lucente M.S., Decaro N., Lorusso E., Ba´nyai K., Blixenkrone-Møller M., Lan N.T., Yamaguchi R., Cirone F., Carmichael L.E., Buonavoglia C. (2007). Genotyping canine distemper virus (CDV) by a hemi-nested multiplex PCR provides a rapid approach for investigation of CDV outbreaks. Vet. Microbiol. 122: 32–42. 5. Pardo D.R., Johnson G.C., Kleiboeker S.B. (2005). Phylogenetic Characterization of canine distemper viruses detected in naturally infected dogs in North America. J. Clin. Microbiol. 43: 5009–5017. 6. Radtanakatikanon A., Keawcharoen J., Charoenvisal N.T., Poovorawan Y., Prompetchara E., Yamaguchi R., Techangamsuwan S. (2013). Genotypic lineages and restriction fragment length polymorphism of canine distemper virus isolates in Thailand. Vet Microbiol. 166(12): 76-83. RISULTATI L’RT-PCR One Step ha mostrato per tutti i campioni in esame il prodotto di amplificazione di 1110 bp atteso. L’RFLP ha evidenziato un prodotto di digestione costituito da due differenti bande di 816 bp e di 294 bp per il controllo positivo e per tutti i ceppi vaccinali, eccetto che per il vaccino Vanguard 7, che è rimasto non digerito (1110 bp) (Figura 1). Questo risultato è determinato dalla mancanza nella sequenza nucleotidica del 380 381 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PRIMO CASO DI FEBBRE CATARRALE MALIGNA IN UN CERVO PUDU (PUDU PUDA) OSPITATO IN UN GIARDINO ZOOLOGICO Modesto P.1, Biolatti C.1, Grattarola C.1, Varello K.1, Iulini B.1, Mandola M.L.1, Dondo A.1, Goria M.1, Rocca F.2, Acutis P.L.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, 10154 Torino; 2 Parco Faunistico “La Torbiera”, Via Borgoticino 19, 28010 Agrate Conturbia (NO) Keywords: CpHV-2, febbre catarrale maligna, Pudu puda ABSTRACT A male, six years old, pudu (Pudu puda) from a zoological garden was submitted for postmortem examination after sudden death. At necroscopy, non-suppurative bronchopneumonia and degeneration of the liver were observed. Hemorrhagic lesions of the thymus, pericardium and spleen were found. Microscopically, multifocal perivascular and periglomerular mononuclear cell accumulations were observed in the kidneys and in the portal triads of the liver. Lungs and spleen showed perivascular mononuclear cells infiltrates. Histological examination of the brain revealed meningitis, vasculitis and perivascular cuffs of mononuclear inflammatory cells. A real-time PCR was run in order to amplify a region of DNA polymerase gene of malignant catarrhal fever (MCF) viruses. Tissue samples showed PCR products that were sequenced and analyzed. The sequences showed a 99% homology with a portion of Caprine herpesvirus 2 DNA polymerase gene. This is the first report of MCF in a captive pudu. INTRODUZIONE I cervi pudu (Pudu puda) sono nativi delle foreste umide del Cile e dell’Argentina (11). Appartengono al genere Odocoilineae e sono considerati una specie vulnerabile dall’International Union for Conservation of Nature (IUNC). Sono conosciuti come i cervi più piccoli del mondo, poiché il loro peso corporeo può variare da 5,8 a 12 kg (11). In Europa i cervi pudu sono ospitati in alcuni giardini zoologici. All’interno delle 26 istituzioni europee che aderiscono all’International Species Information System (ISIS) se ne contano attualmente 83 esemplari. In letteratura non sono presenti molte informazioni sulle malattie infettive che possono colpire questa specie. I lavori più recenti riguardano un caso di setticemia provocata da Arcanobacterium pyogenes conseguente a prolasso uterino (9) e l’identificazione postmortem di un pestivirus strettamente correlato al BVDV tipo 1B (8). La febbre catarrale maligna (FCM) è una sindrome linfoproliferativa dei ruminanti causata da un complesso di virus appartenenti alla subfamiglia Gammaherpesvirinae, genere Macavirus. All’interno del gruppo, sei virus sono chiaramente associati a manifestazioni cliniche: ovine herpesvirus-2 (OvHV-2), alcelaphine hervpesvirus-1 (AlHV-1), caprine herpesvirus-2 (CpHV-2), ibex malignant catarrhal virus (MCFV-ibex), alcelaphine herpes virus2-like virus e un virus di origine sconosciuta in grado di causare tale patologia nel cervo dalla coda bianca (MCFVWTD) (2). Nel 2001 il CpHV-2 è stato isolato in capre asintomatiche (5) e, negli anni successivi, è stato riconosciuto come causa di malattia in animali selvatici (cervi dalla coda bianca, alci e caprioli), sika e bufali d’acqua (1, 3, 4, 6, 10). Scopo della comunicazione è descrivere il primo caso di FCM provocata da CpHV-2 in un cervo pudu. MATERIALI E METODI Un cervo pudu maschio, di sei anni, proveniente da un giardino zoologico piemontese, è stato inviato all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta per accertamenti diagnostici in seguito a morte improvvisa. L’animale è stato sottoposto a necroscopia completa e come da protocollo necroscopico sono stati prelevati encefalo, polmone, cuore, milza, lingua, linfonodi, fegato, intestino e rene; inoltre si è provveduto al prelievo di porzioni di organi che mostravano lesioni macroscopiche. Tutti i tessuti sono stati conservati sia in formalina al 10% sia in congelatore a -80°C. Per l’esecuzione dell’esame istologico, le porzioni di encefalo e di organo fissate sono state incluse in paraffina, tagliate in sezioni di 4±2μm di spessore e sottoposte alla colorazione Ematossilina-Eosina. Sono stati eseguiti test per la ricerca di Salmonella spp, Listeria spp, Clostridium spp (mediante esami colturali), Rickettsia spp, Coxiella burnetii, Borrelia burgdorferi s.1, Leptospira spp, BVD, Border Disease, IBR, Blue Tongue, Aujeszky, Tick-Borne Encephalitis, WNV, Epizootic Hemorrhagic Disease e FCM (mediante PCR). Un esame tossicologico (GC-MS) è stato eseguito su fegato e rene. Il DNA usato per le metodiche molecolari, è stato estratto dai campioni di organo mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen). Per la diagnosi di FCM, è stata condotta una Real Time PCR mediante utilizzo di FastStart Universal SYBR Green Master (Roche) in un volume di reazione pari a 25 µl, utilizzando primer in grado di amplificare una regione del gene della DNA polimerasi dei seguenti virus: OvHV-2, AlHV-1, CpHV-2, MCFV-ibex e MCFV-WTD (2). I prodotti della PCR sono stati sequenziati e analizzati tramite ABI 3130 Genetic Analyzer. Le sequenze sono state comparate con quelle disponibili in GenBank, mediante l’utilizzo del programma BLAST. Sono stati, inoltre, prelevati campioni di sangue intero, tamponi nasali e buccali da due capre ospitate nel giardino 382 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 zoologico di origine del cervo pudu. Tutti i campioni sono stati trattati, analizzati e conservati seguendo il procedimento descritto in precedenza. RISULTATI E CONCLUSIONI All’esame esterno il cervo pudu si presentava in buono stato di nutrizione e non erano evidenti lesioni cutanee. La necroscopia ha rivelato emorragie timiche, petecchie ed ecchimosi a livello cardiaco e splenico e degenerazione epatica e renale. Era inoltre evidente una broncopolmonite non purulenta bilaterale che interessava i lobi diaframmatici e intermedi. Istologicamente, l’encefalo presentava, in tutte le aree osservate, meningite, vasculite e manicotti perivascolari caratterizzati dalla presenza di cellule mononucleate. Si apprezzavano noduli gliali con proliferazione di rod cells e neuronofagia. Il polmone presentava diffusa dilatazione dei capillari alveolari e vasali conseguente a congestione; si osservava inoltre moderato infiltrato mononucleato nelle zone peribronchiali e peribronchiolari. Lo stesso tipo di infiltrato era visibile in foci multipli a livello periarteriolare splenico e della triade portale epatica. Era presente moderata splenite granulomatosa, mentre i linfonodi presentavano marcata proliferazione linfoblastica a livello parafollicolare e dei seni midollari, associata a emorragie focali. In corticale renale era evidente un massivo infiltrato a prevalente localizzazione periglomerulare e perivasale riferibile a nefrite interstiziale non suppurativa. I test eseguiti per la ricerca di Salmonella spp, Listeria spp, Clostridium spp, Rickettsia spp, Coxiella burnetii, Borrelia burgdorferi s.l, Leptospira spp, BVD, Border Disease, WNV, IBR, Blue Tongue, Aujeszky, Tick-Borne Encephalitis ed Epizootic Hemorrhagic Disease sono risultati negativi. La PCR condotta per la diagnosi di FCM ha dato risultato positivo nei seguenti organi: polmone, rene, milza, encefalo, lingua e intestino tenue. Le sequenze ottenute dai prodotti PCR hanno mostrato un’omologia del 99% con una porzione del gene della DNA polimerasi del CpHV-2 (AF283477). La PCR condotta sul DNA, estratto dal sangue e dai tamponi nasali e buccali prelevati dalle due capre appartenenti al giardino zoologico dove era ospitato il cervo pudu, non ha prodotto amplificati riconducibili al CpHV-2. Secondo gli autori, questo è il primo caso di FCM, causata da CpHV-2, descritto in un cervo pudu. Tale agente patogeno sembra essere endemico nelle capre ed è stato associato a FCM in diverse specie di cervidi (1, 3, 5, 6, 10). Nei casi riportati in precedenza, la sintomatologia clinica risultava evidente: anoressia, dimagrimento progressivo, febbre, lesioni cutanee, dispnea, diarrea, alterazioni neurologiche, sanguinamento nasale, vaginale e rettale (1, 3, 4, 6). Nel caso qui descritto, l’animale non ha mostrato sintomi clinici. Le lesioni macroscopiche e istologiche riscontrate nei principali organi interni rispecchiano quanto riportato in letteratura (1, 3, 4, 6, 10). Tale variabilità nella presentazione clinica è tipica dei virus che causano FCM. Essi, infatti tendono ad adattarsi molto bene ad una singola specie di ruminanti, che ne diventa portatrice asintomatica. Nel momento in cui infettano un ospite appartenente a una specie diversa, si può manifestare un quadro iperacuto, cronico o subclinico (1). Il CpHV-2 è stato causa di morte in 5 sika (Cervus nippon) ospitati in due zoo degli USA (1, 4). In entrambi gli episodi, l’origine dell’infezione è stata ricondotta alla convivenza di questi animali con capre sane portatrici del virus, alloggiate in enclosure adiacenti. In questo caso non è stato possibile rilevare il CpHV2 dalle capre ospitate nello stesso giardino zoologico di provenienza del cervo pudu e, quindi, individuare l’origine del virus. Secondo quanto riportato dal proprietario, occasionalmente, greggi di capre in transumanza si fermano, per alcuni giorni, nei pascoli adiacenti alla struttura; pascoli che vengono anche destinati alla produzione di fieno da utilizzare nello zoo. Non è possibile escludere che l’origine del virus sia da ricercare in tali animali. Infatti, sebbene la trasmissione classica della FCM avvenga tramite contatto diretto con soggetti portatori o in seguito alla loro presenza nelle immediate vicinanze, alcuni autori ritengono sia possibile la diffusione dell’agente patogeno attraverso lunghe distanze, fino a 5 km. Gli stessi ipotizzano che i principali fattori coinvolti siano la formazione di un aerosol, il vento, la temperatura, l’umidità e la presenza di vettori meccanici (7). Risulta, quindi, molto importante mantenere una separazione, all’interno dei giardini zoologici tra le capre, eventuali portatrici asintomatiche del virus, e tutti i ruminanti selvatici che possono essere suscettibili. Inoltre, le norme di biosicurezza dovrebbero garantire il maggiore isolamento possibile degli animali ospitati da tutto ciò che può essere un vettore indiretto di malattia. Il soggetto deceduto condivideva l’enclosure con un altro conspecifico, che non ha mai mostrato sintomi e risulta essere tutt’ora in buona salute. Si è scelto di non eseguire approfondimenti diagnostici su di esso, vista l’estrema sensibilità che i cervi pudu dimostrano verso le manovre di contenimento. Il fatto che il secondo animale non abbia sviluppato FCM, conferma che nelle specie suscettibili, ma non portatrici, il virus non si trasmette da soggetto a soggetto (3). In conclusione, il percorso di diagnosi differenziale, in caso di morte di ruminanti esotici deve comprendere CpHV-2,anche se non vi sono indicazioni cliniche di FCM manifesta. Alla luce dei risultati ottenuti risulta importante approfondire la ricerca della causa mortis in questa categoria di animali, considerato che, spesso, appartengono a specie minacciate di estinzione e il valore genetico dei singoli soggetti risulta essere molto importante. Infine, è necessario che i responsabili della gestione sanitaria dei giardini zoologici pongano attenzione crescente alla prevenzione delle malattie infettive. La separazione delle specie suscettibili da quelle eventualmente portatrici di agenti patogeni e le più avanzate tecniche di biosicurezza devono essere sempre correttamente implementate in tutti gli zoo. 383 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. Crawford T.-B., Li H., Rosenburg S.-R., Norhausen R.W., Garner M.-M. (2002) Mural folliculitis and alopecia caused by infection with goat-associated malignant catarrhal fever virus in two sika deer. Journal of the American Veterinary Medical Association 221, 843-847. 2. Cunha C.-W., Otto L., Taus N.-S., Knowles D.-P., Li H. (2009) Development of a multiplex real-time PCR for detection and differentiation of malignant catarrhal fever viruses in clinical samples. Journal of Clinical Microbiology 47, 2586-2589. 3. Dettwiler M., Stahel A., Krüger S., Gerspach C., Braun U., Engels M., Hilbe M. (2011) A possible case of caprineassociated malignant catarrhal fever in a domestic water buffalo (Bubalus bubalis) in Switzerland. BMC Veterinary Research 7, 78. 4. Keel M.-K-, Patterson J.-G., Noon T.H, Bradley G.-A., Collins J.-K. (2003) Caprine herpesvirus-2 in association with naturally occurring malignant catarrhal fever in captive sika deer (Cervus nippon). Journal of Veterinary Diagnostic Investigation 15, 179-183. 5. Li H., Keller J., Knowles D.-P., Crawford T.-B. (2001) Recognition of another member of the malignant catarrhal fever virus group: an endemic gammaherpesvirus in domestic goats. Journal of General Virology 82: 227232. 6. Li H., Wunschmann A., Keller J., Hall G., Crawford T.B. (2003) Caprine herpesvirus-2-associated malignant catarrhal fever in a white tailed deer (Odocoileus virginianus). Journal of Veterinary Diagnostic Investigation 15, 46-49. 7. Li H., Karney G., O’Toole D., Crawford T.-B. (2008) Long distance spread of malignant catarrhal fever virus from feedlot lambs to ranch bison. The Canadian Veterinary Journal 49, 183-185. 8. Pizarro-Lucero J., Celedon M.-O., Navarro C., Ortega R., Gonzalez D. (2005) Indentification of a pestivirus isolated from a free-ranging pudu (Pudu puda) in Chile. The Veterinary Record 157, 292-294. 9. Twomey D.-F., Boon J.-D., Sayers G., Schock A. (2010) Arcanobacter pyogenes septicemia in a southern pudu (Pudu puda) following uterine prolapse. Journal of Zoo and Wildlife Medicine 41, 158-160. 10. Vikøren T., Li H., Lillehaug A., Jonassen M.-C., Bockerman I., Handeland K. (2006) Malignant catarrhal fever in free-ranging cervids associated with OvHV2 and CpHV-2 DNA. Journal of Wildlife Diseases 42, 797–807. 11. Weber M., Gonzalez S. Latin America deer diversity and conservation: a review of status and distribution (2003) Ecoscience 10, 443-454. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDAGINE CONOSCITIVA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNI AGENTI ZOONOTICI ALIMENTARI NEI CINGHIALI DELLA SARDEGNA CENTRO-ORIENTALE Mulas M., Goddi L., Carusillo F., Lisai A., Bassu M., Sanna S., Fancello C., Pirino T., Cabras P.A., Bandino E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna – Dipartimento Territoriale di Nuoro Key words: wild boar, Yersinia enterocolitica, Salmonella sp Abstract Over three subsequent game season (2008-2011) wild boar fecal samples were collected in Nuoro area, in order to estimate the presence of common pathogens such as Yersinia sp (246 samples), Salmonella (137 samples) and Escherichia coli O157 (72 samples) and tested by cultural methods. The main aim of the present study was to evaluate the diffusion rate of some foodborne pathogens in wild boars from the area under investigation. The detection rate of Yersinia enterocolitica, Salmonella sp and Escherichia coli O157, was 27.64%, 0.72% and 0% respectively. Introduzione La condivisione di habitat naturali fra diverse specie selvatiche, animali allevati e talvolta le stesse popolazioni umane, si presta alla diffusione di diverse patologie infettive fra le varie specie presenti in un determinato territorio. Tra le patologie, oltre alla Peste Suina Africana endemica in alcune aree della Sardegna, la trichinellosi, presente dal 2005 in suini bradi di un territorio circoscritto della Provincia di Nuoro, l’echinococcosi-idatidosi ampiamente diffusa negli animali domestici e anche nella popolazione umana, rivestono particolare importanza alcune zoonosi di natura batterica quali la Salmonella sp., la Yersinia enterocolitica e E. coli O157. I casi di salmonellosi, principale responsabile di tossinfezioni alimentari fino a qualche anno fa, hanno subito una diminuzione del 5,4% tra il 2010 e il 2011 (fino al 38% se comparati con quelli del 2007), questo significativo trend negativo è principalmente dovuto al successo dell’applicazione dei piani di controllo sugli allevamenti avicoli (1). Il cinghiale può essere considerato un buon indicatore della presenza di Salmonella nell’ambiente, considerata l’ampia distribuzione nel territorio e la sua attitudine alimentare (2). Al genere Yersinia appartengono undici specie, tre delle quali sono patogene per l’uomo e gli animali: Y. enterocolitica, Y. pseudotuberculosis e Y. pestis. Nei paesi industrializzati, la maggior parte delle infezioni sono sostenute da Y. enterocolitica. (3). La Yersiniosi rappresenta la quarta causa di tossinfezione alimentare nell’uomo, e viene isolata principalmente da carni suine (EFSA journal 2013). Gli E. coli enteroemorragici in particolare E. coli O157, sono batteri produttori della Shiga- Toxina e causano diarrea, colite emorragica e Sindrome Emolitico Uremica (4). Tale patogeno appartiene al gruppo degli E. coli verocitotossici (VTEC) che rappresentano la terza causa di tossinfezioni alimentari in Europa (1). L’obiettivo del presente lavoro è di valutare il grado di diffusione di alcune zoonosi emergenti (yersiniosi, E. coli verocitotossici, salmonellosi) nei cinghiali della provincia di Nuoro e il loro eventuale ruolo di reservoir. territorio interessato dalla nostra indagine. Almeno una persona per compagnia di caccia, istruita in precedenza, in assenza del veterinario provvedeva al prelievo dei campioni. I campioni con la relativa scheda di accompagnamento, debitamente compilata con l’indicazione in particolare della compagnia, della località di abbattimento e dei dati relativi al cinghiale cacciato (età, sesso, eventuale numero di feti ed i campioni prelevati), venivano riposti in borse frigo per essere recapitati all’’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna. Sono stati sottoposti ad esame colturale per la ricerca di Salmonella sp. n. 137 campioni di feci utilizzando la metodica ISO 6579: 2002: Amendment 1:2007-Annex D: Detection of Salmonella sp in animal faeces and in enviromental samples from the primary production stage. Per la ricerca di Yersinia enterocolitica sono stati esaminati n. 246 campioni di feci con metodo colturale utilizzando il seguente protocollo: - Pesare ca.10 gr. di feci in busta per stomacher e aggiungere 90 ml di brodo di arricchimento per Yersinia (Yersinia PSB Broth – Biolife). Omogenare con lo stomacher per alcuni minuti;. - Dispensare 10 ml di omogenato in provetta con tappo aerato e mantenere in frigorifero per 5-7 giorni. Quindi inoculare 0.1 ml di brodocoltura in una piastra di Agar CIN (Yersinia Selective Agar Base - Oxoid); incubare a 30 ± 2°C in aerobiosi per 24 ore (più 24 ore supplementari, se necessario). Le colonie rosse con alone sono da considerarsi sospette. Le piastre negative vengono reincubate per altre 24 ore. L’identificazione delle colonie sospette viene eseguita con prove biochimiche e biomolecolari. Per la ricerca di Escherichia coli O157 sono stati saggiati all’esame batteriologico n. 72 campioni di feci utilizzando la metodica ISO 16654: 2001: Microbiology of food and animal feeding stuffs – Horizontal method for the detection of Escherichia coli O157. Risultati Dall’analisi delle schede di accompagnamento dei campioni è stato possibile suddividere gli animali cacciati per classe d’età (grafico 1) e per sesso (grafico 2). Grafico 1 Materiali e metodi Nel corso di tre campagne venatorie consecutive (2008-2011) sono stati raccolti campioni di feci da cinghiali cacciati o trovati morti in provincia di Nuoro e recapitati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna. Nelle giornate antecedenti la data di apertura della caccia sono state organizzate delle riunioni con i responsabili delle compagnie di caccia operanti sul 384 385 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Grafico 2 Nell’insieme delle tre annate sono risultati positivi all’esame colturale per la ricerca di Salmonella sp., n. 10 campioni su 137 esaminati (0.72%). Sono risultati positivi all’esame colturale per la ricerca di Yersinia enterocolitica n. 34 campioni di feci prelevati nell’ annata 2008-2009, n. 16 nell’annata 2009-2010 e n. 42 nell’annata 2010-2011, per un totale di 68 campioni positivi (27,64 %). I campioni di feci dei cinghiali sono risultati tutti negativi alla ricerca di Escherichia coli O157. Conclusioni La maggior parte dei patogeni responsabili di tossinfezioni alimentari ha origine zoonotica e costituisce un importante problema di sanità pubblica. La positività per Salmonella spp., sebbene sporadica (0.72%), riscontrata nei campioni di cinghiale conferma la possibilità che questa specie possa rappresentare un reservoir di questo patogeno in un territorio dove sono presenti interazioni tra animali domestici e selvatici. La diffusione di Y. enterocolitica fra gli animali riveste una notevole importanza nella catena epidemiologica delle malattie umane, infatti i ceppi patogeni per l’ uomo, isolati sia da suini che da pazienti umani, sono strettamente correlati da un punto di vista geografico e risultano indistinguibili non solo con i normali metodi sierologici, biochimici e di tipizzazione fagica, ma anche con analisi di biologia molecolare (5) L’uomo si infetta consumando carni poco cotte, soprattutto di suino, che rappresenta il principale serbatoio animale del batterio, bevendo latte crudo e acqua, venendo a contatto con gli animali portatori. Dalla nostra indagine risulta che il 27,64 % dei campioni sono positivi alla ricerca di Yersinia enterocolitica confermando l’importanza epidemiologica che il cinghiale può assumere nella diffusione di questo microrganismo. Le modalità di eviscerazione non sempre corrette da parte dei cacciatori e i locali utilizzati per la lavorazione delle carcasse, spesso garage o scantinati, possono favorire la contaminazione dell’ambiente esterno e delle carni stesse. Il cinghiale, insieme al maiale, può quindi essere considerato un “serbatoio” di Yersinia enterocolitica nel territorio e dovrebbe essere tenuto in considerazione nell’eventualità di un programma combinato di sorveglianza e controllo delle zoonosi. I cinghiali monitorati nella nostra indagine per il momento pare non abbiano un ruolo di reservoir per l’ E. coli O157. Le indagini riportate in questo lavoro rappresentano parte di un progetto di ricerca corrente finanziato dal Ministero della salute (RC IZSSA 05/07 Bibliografia 1. EFSA jurnal 2013. 11(4):3129) Scientifc report of EFSA and ECDC: The European union summary report on trends and sources of zoonoses, zoonotic agents and food born outbreaks in 2011. 2. Chiari M., Zanoni M., Tagliabue S., Lavazza A., Alborali L.G. 2013. Salmonella serotypes in wild boars (Sus scrofa) hunted in Northern Italy. ACTA Veterinary Scandinavica, 55:42 3. Barbieri Silvia, Bonardi Silvia. 2007. The role of pigs in the epidemiology of Yersinia enterocolitica foodborne infection. Ann. Fac. Medic. Vet. di Parma (Vol. XXVII, 2007) pag. 43 pag. 60. 4. Chekabab S.M., Paquine-Veillette J., Tozois C.M et Harel J. 2013. The ecological habitat and transmission of Escherichia coli O157:H7. FEMS Microbiology Letters vol. 340 29-01 5. Allegra A. M. 1 , Fezia G. 2 , Fontana E. 2 , Roceri M. 1 , Sommariva M. 2 , Tinelli F. 2003. Indagine sulla presenza di Yersinia enterocolitica in suini macellati. Progresso veterinario - 15 marzo 2003 - anno LVIII - N. 3 386 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI SALMONELLE ISOLATE IN ALIMENTI E MANGIMI: INDAGINI PRELIMINARI Napoli C., Cardamone C., Costa A., Piraino C., Vitale M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” Via G. Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo Key words: Salmonella, Food safety, RFLP. SUMMARY Salmonella spp are the main bacteria involved in food borne diseases world wide. European surveillance plans are active to control infection in human beings and livestock.To discriminate among isolates of Salmonella characterized by classical methods a preliminary assay by RFLP has been performed. Our samples was five isolates from food preparations and four isolates from feed. A DNA fragment has been amplified in the region of the small ribosomal RNA locus with conserved primers. The amplified fragment was subsequently restricted with frequent cutter restriction enzymes to evaluate the possibility of discriminating among different isolates. Only one enzyme showed different restriction patterns among the isolates. INTRODUZIONE Le infezioni da Salmonella rappresentano la principale causa di malattia di origine alimentare e un importante problema di sanità pubblica, sia per l’elevata morbosità sia per il peso economico che esse comportano (6). Per controllare le infezioni trasmesse da alimenti, l’Unione Europea è intervenuta adottando un approccio integrato alla sicurezza alimentare che interessa l’intera filiera, dall’azienda agricola alla tavola. L’UE, considerando prioritario il rischio di Salmonella, ha istituito dal 2003 misure di controllo ad ampio spettro per le zoonosi (3),ed in particolare, sono stati attuati programmi potenziati di controllo di Salmonella nel pollame con il regolamento 2160 /2003 e s. m., in tutti gli Stati membri dell’UE (4). Per ridurre il rischio di diffusione e trasmissione negli animali, l’UE ha inoltre emesso il regolamento CE n° 183 /2005 riguardante l’igiene dei mangimi. In Italia ed in Europa, i sierotipi di Salmonella enterica considerati maggiormente pericolosi per la salute pubblica, sono S. enteritidis, S. typhymurium e la variante monofasica di S.typhimurium (S:4, [5],12:i:-) (2). Esistono Salmonelle specie specifiche come S. gallinarum e S. pullorum presenti negli avicoli o ancora S. dublin, S. cholerae suis, S. abortus equi, riscontrabili in altri animali, che non hanno valenza patologica. Le salmonelle non adattate all’ospite di contro, come S. typhimurium, la variante monofasica, S. enteritidis, S. heidelberg, S. anatum, S. infantis, S. hadar, S. virchow, etc. sono in grado di colonizzare l’intestino di varie specie, contaminare l’ambiente, alimenti, mangimi e di provocare nell’uomo forme morbose di gravità variabile. La loro pericolosità, comunque, dipende molto dalla carica microbica presente nelle varie matrici alimentari e non. Inoltre non tutti i sierotipi sono virulenti per l’uomo e, nell’ambito dello stesso sierotipo, esistono differenze. Le indagini basate sulla tipizzazione fagica e metodiche molecolari, hanno evidenziato come la patogenicità nei batteri sia strettamente correlata sia al corredo genetico cromosomale, ma che a elementi extra-cromosomali, come plasmidi ed isole di patogenicità, che possono essere scambiati attraverso trasferimento genico orizzontale. Si è evidenziato, come alcuni ceppi di Salmonella possiedono determinati geni pericolosi per la salute, mentre altri ceppi ne sono privi pur appartenendo sierologicamente allo stesso sierotipo, ad esempio alla stessa S. typhimurium. Questi geni responsabili della patogenicità delle Salmonelle, sono presenti in plasmidi ( Salmonella Virulence PlasmidsSVPs) o nel cromosoma batterico, raggruppati in zone definite isole di patogenicità (Salmonella Pathogenicity Islands) (1).La presenza di plasmidi responsabili della virulenza è stata ampiamente dimostrata in sierotipi di S. enteritidis, typhimurium, dublin, cholerae-suis, infantis, panama, heidelberg isolati da organi di animali infetti o dal sangue di pazienti, mentre analoghi sierotipi provenienti da feci, alimenti o ambiente, avevano solo alcune parti degli stessi plasmidi. E’ convinzione di vari autori che le Salmonelle si sono evolute in tempi relativamente recenti e abbiano potuto acquisire larghi frammenti di DNA, da altri batteri per trasmissione genetica orizzontale, acquisendo in alcuni casi nuovi caratteri patogenici . Obiettivo del lavoro, è la subtipizzazione dei ceppi di Salmonelle isolate in alimenti e mangimi attraverso metodiche molecolari di caratterizzazione più discriminanti, al fine di effettuare uno studio delle stesse per la determinazione di profili genetici di virulenza dei ceppi isolati. MATERIALI E METODI Nel periodo che va dal gennaio 2012 a giugno 2013, sono stati esaminati presso i laboratori dell’area microbiologia alimenti dell’istituto zooprofilattico, di Palermo, un numero totale di 717 campioni di matrici alimentari di origine animale e di mangimi per la ricerca di Salmonella. Del totale dei campioni esaminati, sono risultati positivi 5 campioni di alimenti di origine animale e 3 campioni di mangimi. L’esame colturale e l’identificazione di Salmonella spp., è stato effettuato seguendo il protocollo ISO 6579, utilizzando terreni selettivi xylose–lysinedesoxycholate XLD e Green Brilliant agar BGA. Le colonie sospette, sono state identificate mediante test biochimici (API 20 E ). I ceppi sono stati sierotipizzati con il metodo di agglutinazione secondo lo schema di Kauffmann-White (5) attraverso la caratterizzazione degli antigeni somatici (O) e flagellari(H). Sono stati utilizzati antisieri della Statens Serum Institut Biogenetic, Difco (USA) e Biorad. Quindi per la differenziazione di subspecie, sono state eseguite le prove biochimiche in macrometodo. Analisi Molecolari: E’ stata messa a punto una PCR con target genico all’interno del locus per l’RNA ribosomale nella zona del 16 S con I seguenti primers: 5′-CCAGCAGCCGCGGTAATACG-3′ U forward U reverse 5′-ATCGG(C/T)TACCTTGTTACGACTTC-3′ L’amplificato è stato poi saggiato con diversi enzimi di restrizione, per valutare se i pattern di digestione distinguevano i vari isolati. Sono stati usati i seguenti enzimi di restriziopne Alu I, Mse I, Rsa I e Hinf I. 387 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI Durante il periodo sopracitato, dei 717 campioni esaminati, sono risultati positivi 5 campioni di origine alimentare, e 3 di mangimi. Le Salmonelle isolate, come si può evincere dai dati riportati in tabella 1, appartengono a diversi sierotipi. Inoltre, in uno dei mangimi, sono stati isolati due sierotipi diversi di Salmonelle. I sierotipi isolati negli alimenti, sono riconducibili tutti a specie non specifiche, adattabili a vari tipi di ospiti, e quindi potenzialmente pericolose anche per l’uomo. Queste specie di Salmonelle, circolano liberamente fra vari tipi di ospiti secondo il seguente schema: Animale →Uomo→ Ambiente Come evidenziato in Tabella 1, tra i campioni a matrice alimentare, risultati positivi , si è riscontrata S.typhimurium in kebab di pollo e tacchino surgelato, S.enteritidis in quaglie, S.infantis nelle uova, S. derby in “stigghiole”( preparato tipico siciliano con le budella di agnello) e S. thompson in carne panata di pollo. Nei mangimi sono stati isolate S. cubana, S. mbandaka, Salmonella gruppo E4 (non sierotipiz.) e S. montevideo tutte riscontrate in mangimi di provenienza Argentina. Tabella 1 : isolati di Salmonella e relative fonti Salmonella Ceppo Matrice Tipologia osa Provenienza / produzione S. enteritidis N°1 Kebab di pollo Kebab di tacchino Friggitoria Kobierno (Polonia) ditta distributrice Italiana S. infantis N°2 Uova Azienda avicola Marsala (TP) Italy S. typhimurium N°3 Quaglie Discount Azienda produttrice preparazioni carne anche avicole Italy S.derby N°4 Stigghiole Distribuzione all’ingrosso Azienda produttrice preparazioni carne anche avicole Canicattì (AG) Italy S.thompson N°5 Carne di pollo panata Self Service Azienda produttrice preparazioni carne anche avicole (Teramo) Italy S.cubana N°6 Farina di soia Mangimificio Bunge Argentina S.mbandaka N° 7 Farina di soia Mangimificio Bunge Argentina Salmonella gruppo E4 (non sierotipiz. N° 8 Farina di soia Mangimificio Bunge Argentina S.montevideo N°9 Farina di soia Mangimificio Bunge Argentina Analisi Molecolari: Figura 1: RFLP analisi sull’amplificato del 16S di Salmonella XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Le Salmonelle studiate in questo lavoro, soprattutto quelle isolate dai mangimi di provenienza estera, portano ad alcune considerazioni di ordine epidemiologico, dal momento che non può escludersi la possibilità del passaggio di elementi di virulenza inter ed intra specie. Tale situazione, soprattutto a fronte di un risanamento non efficace, potrebbe portare alla comparsa, per fenomeni di adattamento, e/o trasmissione di geni legati al potere patogeno, di un numero ancor più vasto ed eterogeneo di eventuali ed ulteriori ceppi patogeni di Samonella nel nostro territorio. BIBLIOGRAFIA 1) de Parry CM, van der Poll T, Wiersinga WJ.:Hostpathogen interaction in invasive Salmonellosis. PLoS Pathog. 2012;8(10): 2) Dionisi A.M., Feliciti E., Ocwzarek S., Arena S., Bene- Figura 1: Alu I mostra lo stesso pattern in tutti i 9 isolati : con Hinf I si possono fare distinguere i seguenti gruppi per pattern di restrizione: 1 (S. enteritidis) , 2 (S.infantis) e 3 (S.typhimurium ) 4 (S. derby, 5 S. thompson, e 8 Salmonella gruppo E4 6 (S.cubana)e 7 (S. mbandaka) Nella linea 9 si evidenzia un pattern specifico per S.montevideo. CONCLUSIONI Le varie specie di Salmonella, oggetto di studio, sono state isolate tutte da matrici alimentari di origine aviare tranne che per S. derby isolata da “stigghiole”( preparato tipico siciliano con le budella di agnello). Queste “stigghiole” comunque, provenivano da un’ azienda dove si producono anche preparati di carne avicola. Come è noto, la carne di pollame, le uova e altri prodotti avicoli sono stati ripetutamente riconosciuti come la sorgente più frequente della salmonellosi umana di origine alimentare in tutto il mondo. Con l’analisi molecolare sono stati studiati i pattern di nove ceppi di Salmonella indicate in tabella con i numeri da 1 a 9. L’analisi dei pattern di RFLP con enzimi di restrizione che digerivano all’interno dell’amplificato, ha mostrato che solo con HinfI si ottenevano pattern di restrizione differenti per alcune salmonelle (fig. 1). Così come si evince dalla figura che riporta i pattern di restrizione degli enzimi Alu I e Hinf I. Con Hinf I, si hanno gruppi di pattern comuni a 2 o più isolati di salmonelle ed un pattern unico per S. montevideo . Il pattern di restrizione di Hinf I, evidenzia una variabilità maggiore soprattutto a livello delle Salmonelle isolate dai mangimi, che potrebbero indicare una maggiore variabilità in questo tipo di salmonella di provenienza ambientale a livello del locus del DNA ribosomale. Questo dato, considerato però il ristretto numero di isolati, deve sicuramente essere implementato con altre indagini su un numero maggiore di ceppi al fine di potere valutare se le differenze sono significative. Verranno effettuate ulteriori indagini su altri loci genetici, caratterizzazioni di eventuali plasmidi presenti, che insieme alla caratterizzazione fagica in comparazione con ceppi di riferimento saranno utili per indagini di tipo epidemiologico molecolare. Tale studio, sarà utilizzato per evidenziare caratteristiche genetiche di virulenza fra isolati di provenienza geografica o di matrice diversa. Con l’apertura delle frontiere commerciali con l’estero, la circolazione delle Salmonelle aumenta e nuove specie possono circolare sul nostro territorio. 388 389 dettiI., Lucarelli C., Luzzi I., Scavia G., Minelli F., Ciaravino G., Marziano M.L., Caprioli A., e i Laboratori rete Enternet Italia(2011). Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, 24 (1). ENTER-NET: sorveglianza delle infezioni trasmesse da alimenti e acqua. Rapporto dell’attività 2007-2009. 3). Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003 sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici. G.U.C.E. 12.12.03, L. 325, 31-37. 4) Regolamento (CE) 2160 /2003 sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti. G.U.C.E. 12.12.03, L. 325/1 5) Popoff M. Y., Le Minor L. (2007). Schema di KauffmannWhite. Antigenic formulas of the Salmonella serovars. WHO. 9thEdition. 6) The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses and Zoonotic Agents and in foodBorne Outbreacks in 2010 EFSA Journal2012;10(3):2597 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INFEZIONE DA BOVINE PAPILLOMAVIRUS: DIAGNOSI MOLECOLARE E CARATTERIZZAZIONE DEGLI STIPITI IN CAMPIONI CUTANEI Nappi R., Ferraro G., Miceli I., Meistro S., Callipo M.R., Crescio I., Varello K., Goria M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Key words: BPV, Papilloma, PCR SUMMARY Bovine papillomaviruses (BPVs )are DNA oncogenic viruses responsible for cattle papillomas and play a major role in the pathogenesis of equine sarcoid. Our aim is to investigate by PCR the presence of BPVs in 52 biopsy samples, collected between 2011-2012 and previously confirmed histologically as papillomas. We carried out 2 different PCR targeted to recognize Subgroup A (BPV-1, BPV-2, BPV-5) and Subgroup B viruses (BPV-3, BPV-4, BPV-6). BPV DNA was found in 64% of biopsy specimens, including a donkey sample. All positive samples were found by using BPV subgroup A-specific primer sets. BPV subgroup B-specific DNA was not detected in any of the samples. Preliminary results suggest a wide-spread occurrence of BPV subgroup A. Subgroup A includes the most pathogenic BPV viruses for cattle and infect other species. This seems to be confirmed by the positive result obtained in the donkey. INTRODUZIONE Bovine papilloma virus (BPVs) sono un gruppo di virus a DNA diffusi in tutto il mondo appartenenti alla famiglia dei Papillomaviridae. I BPVs infettano comunemente il bovino, tuttavia in particolari condizioni l’infezione può essere trasmessa agli equidi (2). Sei BPV sottotipi (BPV 1-6) sono stati caratterizzati e associati a diversi tipi di lesioni istopatologiche. Questi differenti sei genotipi sono stati classificati in tre gruppi: - Xi-papillomavirus che include i BPV-3, BPV-4 e BPV-6 che infettano i cheratinociti causando dei papillomi squamosi epiteliali. - Delta-papillomavirus che include i BPV-1 e BPV-2 associati a fibropapillomi che coinvolgono sia l’epitelio che il derma sottostante. Entrambi i genotipi presentano una specificità d’infezione in quanto BPV-1 presenta un tropismo per le aree paragenitali, quali pene , capezzoli e mammella, mentre BPV-2 infetta la pelle. In particolari condizioni immunologiche dell’ospite, entrambi i genotipi (in particolare BPV2), possono infettare il tratto alimentare e la vescica urinaria ed esitare in neoplasie maligne. Infine questi genotipi sono stati associati al sarcoide equino in cavalli e asini (3). - Epsilon-papillomavirus che ha come unico membro il BPV5 che presenta un genoma simile a quello degli altri due gruppi. Il BPV-5 è responsabile della formazione di lesioni a livello dei capezzoli e mammelle e può causare dei papillomi o fibropapillomi. Sulla base dell’attività biologica e sulle similarità genotipiche i BPVs possono anche essere suddivisi in due sottogruppi: sottogruppo A (BPV-1, BPV-2, BPV-5) e sottogruppo B (BPV-3, BPV-4, BPV-6) come riportato da Jarrett et al, 1984 (4). I bovini infetti di solito guariscono nell’arco di due anni e le lesioni regrediscono nell’arco di 14 mesi, tuttavia occasionalmente le lesioni possono evolvere in forme maligne. La malattia da BPV è di notevole importanza per l’impatto economico nell’allevamento colpito, a seguito della perdita della produzione lattea quando l’infezione colpisce mammella e capezzolo. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 l’analisi di sequenza, al fine della caratterizzazione e classificazione dei BPVs nei rispettivi gruppi di appartenenza. Questi studi permetteranno di chiarire i meccanismi d’infezione ed eventuali differenti gradi di virulenza di ciascun sottotipo virale, oltre a evidenziare la circolazione di possibili sottotipi di BPVs non ancora classificati. Figura 1: PCR sottogruppo A (BPV-1, BPV-2, BPV-5) e PCR sottogruppo B (BPV-3, BPV-4, BPV-6) In Italia l’incidenza dell’infezione da BPV non è stata ben documentata. Scopo del presente lavoro è affinare il protocollo diagnostico di laboratorio per BPV, affiancando all’esame istologico, l’utilizzo di metodi biomolecolari per la caratterizzazione di BPV a livello di sottogruppo A e B. MATERIALI E METODI Sono stati analizzati 52 campioni (51 bovini e un asino) presenti in archivio presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Torino e provenienti da allevamenti del Piemonte, fissati in formalina al 10% e inclusi in paraffina, raccolti tra il 2011-2012, precedentemente confermati all’esame istologico come papillomi. Di questi per 5 casi è stato possibile analizzare anche il tessuto fresco precedentemente stoccato a -20°C. Sono state messe a punto due tipi di PCR, una per il sottogruppo A (BPV-1, BPV-2, BPV-5) e sottogruppo B (BPV-3, BPV-4, BPV6). I metodi si basano rispettivamente sul rilievo delle regioni conservate del gene L1, per ciascuna delle quali sono state disegnate una coppia di primers e definito un profilo termico di amplificazione (5). L’estrazione dai tessuti fissati e paraffinati e da tessuti freschi è stata eseguita utilizzando kit del commercio (rispettivamente Qiagen e GE Healthcare). RISULTATI E CONCLUSIONI DNA specifico di BPV è stato rilevato in circa 64% dei campioni inclusi in paraffina esaminati e in tutti campioni di tessuto. La banda positiva di DNA (circa 443bp) è stata rilevata solo con la PCR sottogruppo A , specifica per i sottotipi BPV-1, BPV-2, BPV-5. Invece nessun campione analizzato è risultato positivo alla PCR sottogruppo B, specifica per BPV-3, BPV-4, BPV-6 (Figura 1). L’unico campione prelevato da asino è risultato positivo alla PCR sottogruppo A, evidenziando il salto di specie per i sottotipi virali BPV 1 e BPV 2. La negatività dei campioni inclusi in paraffina potrebbe essere riconducibile alla degradazione del DNA a seguito dei processi di fissazione, inclusione e dello stato di conservazione del campione. Tale ipotesi è supportata dal confronto delle PCR dei medesimi campioni analizzati sia da tessuto sia da blocchetti in paraffina, nei quali si evidenzia un segnale decisamente più debole per i campioni inclusi in paraffina (figura 2). Inoltre, un unico campione è risultato positivo all’analisi PCR da fresco e negativo da blocchetto in paraffina. L’utilizzo combinato dei due metodi PCR permette di diagnosticare un’elevata percentuale di casi di infezione da BPV. Dai risultati tre tipi di BPVs sono stati evidenziati nel campione di studio. Tra questi BPV 1 e BPV 2 sono considerati tra i papilloma virus a elevato grado di virulenza, inoltre sono comunemente associati al tumore urinario della vescica. Infine questi genotipi sono stati riconosciuti come tra i più importanti fattori eziologici per lo sviluppo del sarcoide equino (1). Ulteriori studi sono comunque necessari sia per aumentare il campione di studio sia per la conferma dei positivi attraverso 390 Figura 2: PCR Sottogruppo A: In alto l’intensità di segnale ottenuta da tessuto fresco;in basso l’intensità di segnale dei medesimi campioni da blocchetti in paraffina 1 2 3 4 5 CR+ CR- 5 CR+ CR- BPV Sottogruppo A fresco 1 21 3 4 BPV Sottogruppo A paraffina 391 BIBLIOGRAFIA 1.Bogaert L, Martens A, Van Poucke M, Ducatelle R, De Cock H, Dewulf J, De Baere C, Peelman L, Gasthuys F, 2008. High prevalence of bovine papillomaviral DNA in the normal skin of equine sarcoid-affected and healthy horses.Vet Microbiol. 25;129(1-2):58-68. 2. Campo MS, 2006. Bovine papillomavirus: old system, new lessons? Papillomavirus research from natural history to vaccines and beyond. Caister Academic Press, Norfolk: 373-383. 3.Chambers G, Ellsmore VA, O’Brien PM, Reid SW, Love S, Campo MS, Nasir L., 2003. Association of bovine papillomavirus with the equine sarcoid. Virus Res.; 96 (1-2):141-145. 4.Jarrett WF, Campo MS, O’Neil BW, Laird HM, Coggins LW., 1984. A novel bovine papillomavirus (BPV-6) causing true epithelial papillomas of the mammary gland skin: a member of a proposed new BPV subgroup. Virology. 30;136(2):255-264. 5.Maeda Y, Shibahara T, Wada Y, Kadota K, Kanno T, Uchida I, Hatama S., 2007. An outbreak of teat papillomatosis in cattle caused by bovine papilloma virus (BPV) type 6 and unclassified BPVs. Vet Microbiol. 15;121(3-4):242-248. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 TSE A CUNEO: UNA STORIA LUNGA 12 ANNI Nardella M.C.1, Marrone L.1, Marongiu L.1, Grindatto A.1, Careddu M.E.1, Biolatti P.G.1, Pistone G.1 1 Figura 1: numero di campioni BSE processati per anno. I diversi colori rappresentano la variazione dell’età diagnostica degli animali sottoposti a sorveglianza attiva. Personale stabilizzato nel 2008 Circa il 30% del personale precario impiegato tra il 2001 ed il 2008 è stato stabilizzato nella sezione di Cuneo continuando, fino al 2013, ad occuparsi della ricerca delle TSE nei bovini e negli ovicaprini. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta - Sezione di Cuneo Tabella 5: Personale stabilizzato Keywords: TSE, BSE, active surveillance SUMMARY Rapid Test laboratories active surveillance started in 2001. From 2001 to June 2013, 356.000 samples were analysed by the TSE Laboratory in Cuneo of Istitute Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV). In these years four different diagnostic rapid tests were used. The large amount of analyses resulted in the employment of various professional figures. The increase of both diagnostic facilities and human resources resulted in an improvement of the visibility and of the territorial importance of Cuneo Istitute and of the whole IZSPLV. INTRODUZIONE A più di 20 anni dall’esplosione, prima negli animali e poi nell’uomo, dell’emergenza BSE in Europa, il numero dei casi diagnosticati nella specie bovina si è progressivamente ridotto. Fondamentale per questo obiettivo è stata la coralità della risposta a livello di UE con il bando delle farine di origine animale dall’alimentazione dei ruminanti in produzione zootecnica, con l’individuazione ed esclusione dal consumo dei Materiali a Rischio Specifico, con lo sviluppo di un sistema di tracciabilità a livello europeo e soprattutto con l’armonizzazione del sistema di controllo. A tale fine è risultato fondamentale il contributo della rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali che, a partire dal 2001, sono stati protagonisti dell’applicazione del sistema di sorveglianza attiva nel cui ambito sono stati analizzati più di 7 milioni di campioni su tutto il territorio nazionale. I dati epidemiologici scaturiti dall’attività diagnostica hanno condotto alla Decisione 2013/76 (1) che ha ridimensionato l’attività di sorveglianza. In seguito a questa decisione il Laboratorio BSE della Sezione di Cuneo dell’IZSPLV ha cessato la propria attività. Scopo di questo lavoro è analizzare l’attività del laboratorio BSE nel periodo dal 2001 a giugno 2013. MATERIALI E METODI Campioni Dal febbraio 2001 a giugno 2013 nel laboratorio della sezione di Cuneo dell’IZSPLV sono stati analizzati circa 356.000 campioni per la ricerca di encefalopatia spongiforme trasmissibile. Nella seguente tabella è riportato il numero di campioni esaminati per anno e per specie. Tabella 1: Campioni esaminati nel periodo 2001-2013 ANNO 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 GIU- 2013 TOTALE Test utilizzati N. CAMP BSE 14407 28097 27420 38220 30632 31447 28634 30683 30982 33908 27769 18962 10213 351374 N. CAMP SCRAPIE n.e. 71 158 177 292 814 1068 591 262 0 28 518 203 4182 Nell’ambito dell’attività di sorveglianza sono stati utilizzati diversi test diagnostici, riportati nella tabella sottostante. CATEGORIA Tabella 2: Test utilizzati TIPO DI TEST DITTA PRODUTTRICE ANNI UTILIZZO WESTERN BLOT PRIONICS DA 02/2001 A 09/2004 ELISA BIORAD DA 10/2004 A 09/2008 IMMUNOCROMATOGRAFICO PRIONICS DA 10/2008 A 02/2011 ELISA IDEXX DA 03/2001 A 06/2013 SCRAPIE Per quanto riguarda la SCRAPIE il picco di esami effettuati si è registrato nel 2007 come è illustrato in Figura 2. Gli ovini e i caprini con età maggiore di 18 mesi o con due incisivi permanenti già spuntati vengono tuttora sottoposti a esame presso il Centro di Referenza per le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili di Torino. Figura 2: numero di campioni Scrapie processati per anno. VETERINARIO 4 TECNICO DI LABOR. 21 AMMINISTRATIVO/ OPERATORE TECNICO 8 392 4 2 21 6 AMMINISTRATIVO/ OPERATORE TECNICO 8 2 L’attività di sorveglianza attiva e la raccolta di dati epidemiologici hanno portato un incremento delle risorse umane e strumentali con conseguente aumento del valore economico della sezione di Cuneo. Inoltre, l’efficacia nell’azione di sorveglianza per le TSE non solo ha contribuito alla protezione dei consumatori, ma ha anche portato all’aumento della visibilità e del prestigio della sezione e dell’ente sul territorio. 2. Regolamento CE 999/2001 e s.m ed i. Durante il periodo di sorveglianza attiva (2001/2013) sono stati accertati un caso di bovino affetto da BSE nel 2005 e un caso di BASE (Bovine Amyloid Spongiform Encephalopathy), forma atipica caratterizzata dalla deposizione di amiloide (3) nel 2007. Sono stati inoltre diagnosticati 2 casi di Scrapie tra gli ovicaprini nel 2008 e nel 2009. 3. Casalone C, Zanusso G, Acutis P, Ferrari S, Capucci L, Tagliavini F, Monaco S, Caramelli M. (2004). Identification of a second bovine amyloidotic spongiform encephalopathy: molecular similarities with sporadic Creutzfeldt-Jakob disease. Proc Natl Acad Sci U S A. 2004 Mar 2;101(9):3065-70 Tabella 4: Casi positivi accertati presso la sezione di Cuneo RISULTATI E CONCLUSIONI BSE L’analisi dei 351.374 campioni suddivisi per anni evidenzia un picco degli esami effettuati per BSE nel 2004 ed un progressivo calo negli anni successivi come si può evidenziare nella Figura 1. Tale calo è imputabile alla variazione, stabilita dal Regolamento (CE) N. 999/2001 e successive modifiche (2), dell’età degli animali sottoposti al test: dai 24 mesi previsti nel 2001 si è progressivamente stabilito di testare, per gli animali regolarmente macellati, soltanto gli animali di età maggiore ai 30 mesi (2005), ai 48 mesi (2009) fino ai 72 mesi (2011) allo scopo di diminuire i costi della sorveglianza attiva. Anche per quanto riguarda gli animali morti in stalla/ macellati d’urgenza nel 2009 l’età diagnostica è stata innalzata da 24 a 48 mesi. VETERINARIO TECNICO DI LABOR. 1. Decisione 2013/ 76 UE Tabella 3: Personale impiegato NUMERO PERSONALE A TEMPO DETERM. NUMERO STABILIZZATI BIBLIOGRAFIA Turnover Personale dal 2001 al 2008 Negli anni 2001-2008 è stato molto rilevante l’apporto di risorse umane impegnate per l’emergenza BSE, tale da determinare un aumento di circa il 30% di personale nella sezione di Cuneo, La tipologia ed il numero di risorse umane impiegate nei 7 anni è la seguente: CATEGORIA NUMERO DATA ETA’ (anni) RAZZA SEX TEST 2005 12 piemontese F ELISABIORAD Macellato / 2007 14 piemontese F ELISABIORAD Morto in stalla BASE 2008 3 meticcio F ELISABIORAD Morto in stalla Focolaio 2009 6 biellese F WBPRIONICS Morto in stalla Focolaio BOVINI OVINI MOT. NOTE PRELIEVO 393 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ESCHERICHIA COLI VTEC IN LATTE CRUDO OVI-CAPRINO PRODOTTO NEL PROMONTORIO DEL GARGANO (PUGLIA) Nobili G.1, Zippone V.1, Basanisi M.G.1, Normanno G.2, Nardella M.C.1, La Salandra G.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Via Manfredonia, 20 – 71121 Foggia Università degli Studi di Foggia, Dipartimento di Scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente, Via Napoli 25 – 71122 Foggia 1 2 Key words: E. coli, VTEC, Real-time PCR ABSTRACT E. coli VTEC causes serious human illnesses, such as hemorrhagic colitis (HC) and hemolytic uremic syndrome (HUS). A number of studies have also reported outbreaks of HC and HUS associated with consumption of milk and dairy products. The aim of this work was to determine the presence of virulence genes and verocytotoxin-producing Escherichia coli (VTEC) strains in sheep and goat’s raw milk. In the period between November 2011 and December 2012 were collected and analyzed 43 samples from 37 farms in local farms (Gargano - Foggia). The preliminary results of this study showed a prevalence of 4.6% of samples contaminated with pathogenic E. coli clones. Specifically, of 43 samples of sheep and goat’s raw milk, 51.2% (22/43) were positive to at least one of virulence genes (vtx1, vtx2, eae) and genes coding for serogroups investigated, with microbiological confirmation in only 9.0% of the samples screened positive (2/22). No VTEC strains were isolated. INTRODUZIONE All’inizio degli anni ‘80 sono stati identificati ceppi di E. coli in grado di elaborare una potente tossina simile a quella prodotta da Shigella dysenteriae di tipo 1, capace di indurre effetto citopatico su monostrati di cellule VERO; questi cloni sono stati denominati E. coli verocitotossici (VTEC) o E. coli produttori di tossine Shiga-like (STEC) (6). L’infezione da VTEC costituisce un rilevante problema di sanità pubblica perché può causare, oltre a forme di diarrea non specifica, alcune patologie estremamente gravi: colite emorragica e sindrome emolitico-uremico (SEU), colpendo soprattutto bambini e anziani, anche come eventi epidemici. La SEU si manifesta nel 5-10% dei casi come evoluzione della colite emorragica. La patogenicità dei ceppi VTEC è dovuta, non solo alla produzione delle due citotossine, VT1 e VT2, codificate dai geni batteriofagici stx1 e stx2, ma anche al prodotto proteico del gene cromosomiale eae, che codifica per una proteina di membrana, detta intimina (2, 8). Il maggiore “reservoir” di VTEC è rappresentato dai ruminanti, non solo bovini ma anche ovi-caprini, come confermato dai numerosi dati riportati in letteratura, costituendo così la principale fonte di infezione per l’uomo, per contatto diretto con l’animale o per ingestione di carne o latte non trattati termicamente (7, 4). In Italia le informazioni relative alle popolazioni di ruminanti diverse dal bovino sono frammentarie per quanto riguarda la presenza di cloni patogeni di E. coli e di VTEC non-O157 in particolare. La Puglia vanta un patrimonio ovino e caprino di 369.087 capi distribuiti in 5869 allevamenti, di cui il 41% del patrimonio (151.070 capi e 2.255 allevamenti) nella sola provincia di Foggia (fonte OEV-IZS PB). Il presente studio ha l’obiettivo di aggiornare le conoscenze epidemiologiche riguardanti la presenza di varianti patogene di E. coli, in particolare VTEC, in latte crudo ovi-caprino, prodotto nel promontorio del Gargano (provincia di Foggia) e approfondire la valutazione dei fattori di rischio. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra Novembre 2011 e Dicembre 2012 sono stati analizzati 43 campioni di latte crudo di massa ovicaprino provenienti da 37 allevamenti presenti nel territorio del Gargano (Foggia). Per l’analisi dei campioni è stata utilizzata la metodica ISO-CEN Technical Specification 13136:2011 (5). I DNA estratti sono stati sottoposti a screening mediante Real time PCR per il rilievo dei markers genetici di virulenza (eae, stx1 e stx2), utilizzando come controllo positivo il ceppo E. coli ATCC 43895 e come controllo negativo il ceppo E. coli ATCC 25922. Sui campioni positivi per i geni indagati si è proceduto all’identificazione dei sierogruppi O157, O111, O26, O145, O103, O104, mediante Real time PCR, usando tecnologia TaqMan per la ricerca dei sierogruppi citati. Come previsto dal protocollo utilizzato (ISO/TS 13136:2011), allo screening è seguita una fase di isolamento colturale e successiva conferma degli isolati mediante Real-time PCR. Relativamente al sierogruppo O104, è stato utilizzato il metodo proposto dal UE RL per E. coli in Real-Time PCR qualitativa, basato sulla ricerca dei geni wzx O104 e fliC H4, che codificano rispettivamente per l’antigene somatico O e per l’antigene flagellare H4 (3). I campioni risultati positivi sono stati confermati con metodo microbiologico (5). Come controlli positivi sono stati utilizzati i ceppi forniti dall’EU RL VTEC, mentre come controllo negativo è stato utilizzato il ceppo E. coli ATCC 25922. RISULTATI E CONCLUSIONI Le infezioni a veicolo alimentare causate dai ceppi VTEC rappresentano un importante capitolo della sicurezza microbiologica degli alimenti in quanto possono provocare malattie gravi. Sebbene E. coli O157 sia ritenuto la causa predominante di SEU a livello mondiale, il sierogruppo O26 sta emergendo come il più comune ceppo non-O157 in grado di indurre patologie nell’uomo, in Europa e negli Stati Uniti. In particolare nell’ambito delle patologie causate da VTEC, le infezioni da E. coli O26 sono sempre più frequentemente diagnosticate in Europa e in Italia (1). I risultati preliminari di questo studio hanno evidenziato, che dei 43 campioni di latte di massa di origine ovi-caprino, il 51.2% (22/43) è risultato positivo ad almeno uno dei geni di virulenza (vtx1, vtx2, eae) e ai geni codificanti per i sierogruppi indagati; tuttavia la conferma microbiologica si è avuta solo nel 9% dei campioni positivi allo screening (2/22) e nel 4.6% dei campioni analizzati (2/43). 394 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Come mostrato in figura 1, dei 22 campioni positivi ai geni di virulenza, 6 (6/22 27.3%) hanno mostrato positività ai tre geni ricercati, 3 (3/22 13.6%) ai geni codificanti per entrambe le verocitotossine (vtx1, vtx2), 5 (5/22 22.7%) ai geni vtx1 ed eae, 4 (4/22 18.2%) solo al gene vtx1, 1 (1/22 4.5%) solo al gene vtx2; infine, 3 campioni (3/22 13.6%) sono risultati positivi solo al gene eae. L’analisi dei sierogruppi in Real time PCR ha mostrato che dei 22 campioni positivi 6 veicolano i geni codificanti per il sierogruppo O157 (6/22, 27.3%), 4 per il sierogruppo O26 (4/22, 18%), 11 per il sierogruppo O103 (11/22, 50%) e 1 per il sierogruppo O104 (1/22, 4.5%) (Figura 2). Nel caso del campione positivo per il gene associato al sierogruppo O104, la negatività per il gene fliC H4 e la contemporanea presenza del gene eae fanno escludere che la positività sia dovuta alla presenza di un ceppo di VTEC O104 simile a quello associato all’episodio epidemico tedesco del 2011. Figura 1. Campioni di latte crudo ovi-caprino risultati positivi allo screening RT PCR per i geni vtx1, vtx2, eae. 6 4 2 0 Figura 2. Sierogruppi identificati mediante RT PCR dai campioni di latte crudo ovi-caprino Tabella 1. Caratterizzazione degli isolati mediante RT PCR Screening Campione 19 latte ovino 23 latte ovino Conferma (Isolamento + RT PCR) Geni di virulenza (RT PCR) Sierogruppi (RT PCR) Geni di virulenza (RT PCR) Sierogruppi (RT PCR) vtx1, eae O157, O26 eae O26 vtx1, eae O157, O103 eae O1O3 I campioni confermati microbiologicamente evidenziano la presenza di cloni di E. coli O26 e cloni di E. coli O103 entrambi positivi al gene eae (Tab.1); nonostante negli stessi campioni fosse stata rilevata, con lo screening in Real time PCR, Ia presenza dei geni vtx1 e del gene codificante per il sierogruppo O157, non vi è stata alcuna conferma colturale a questo reperto. Pertanto, ai fini del controllo microbiologico degli alimenti e per ottenere un numero maggiore di dati utile per l’analisi del rischio, potrebbe essere necessario implementare tecniche microbiologiche con più elevati livelli di sensibilità, in grado di consentire l’isolamento dei patogeni anche in presenza di basse cariche contaminanti. Concludendo, dalla nostra indagine è emersa una notevole diffusione di geni di virulenza nei campioni di latte crudo presi in esame; tuttavia, il reale rischio alimentare risulta difficile da stabilire poiché l’isolamento dei cloni dai campioni positivi allo screening molecolare appare difficoltoso con i protocolli disponibili. Ulteriori studi si rendono necessari per meglio definire la prevalenza di ceppi VTEC e di altri agenti di tossinfezione alimentare in latte ovi-caprino ed il loro potenziale impatto sulla salute pubblica, anche alla luce dei recenti casi di SEU registrati in Puglia. BIBLIOGRAFIA 1.Bielaszewska M, Mellmann A, Bletz S, Zhang W, Köck R, Kossow A, Prager R, Fruth A, Orth-Höller D, Marejková M, Morabito S, Caprioli A, Piérard D, Smith G, Jenkins C, Curová K, Karch H., 2013. Enterohemorrhagic Escherichia coli O26:H11/H-: a new virulent clone emerges in Europe. 2.Caprioli A, Morabito S., Brugère H., Oswald E. 2005. Enterohaemorrhagic Escherichia coli: emerging issues on virulence and modes of transmission. Vet Res. 36(3):289311. 3.EU RL per E. Coli “Detection and identification of Verocytotoxin-producing Escherichia coli (VTEC) O104:H4 in food by Real Time PCR” Method food 04 Rev 1 10/07/2013. 4.Horcajo P, Domínguez-Bernal G, De La Fuente R, RuizSanta-Quiteria JA, Orden JA. 2010. Association of vt1c with verotoxin-producing Escherichia coli from goats and sheep. J Vet Diagn Invest. 22(2):332-4. 5.ISO-CEN Technical Specification “Horizontal method for the detection of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) belonging to O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups - Qualitative Method” (ISO-TS13136:2011). 6.O’Brien A D, Lively TA, Chen ME, Rothman S.W., Formal S.B.1983. Escherichia coli O157:H7 strains associated with haemorrhagic colitis in the United States produce a Shigella dysenteriae 1 (Shiga) like cytotoxin. Lancet.1(8326 Pt 1):702 7.Orden JA, Horcajo P, de la Fuente R, Ruiz-Santa-Quiteria JA, Domínguez-Bernal G, Carrión J. 2011. Subtilase cytotoxin-coding genes in verotoxin-producing Escherichia coli strains from sheep and goats differ from those from cattle. Appl Environ Microbiol. 77(23):8259-64. 8.Pradel N, Bertin Y, Martin C, Livrelli V. 2008. Molecular analysis of shiga toxin-producing Escherichia coli strains isolated from hemolytic-uremic syndrome patients and dairy samples in France. Appl Environ Microbiol. 74(7):2118-28. Lavoro svolto con i fondi RC del Ministero della Salute - IZSPB 09/10 RC. 395 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA STAGIONATA UMBRA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST Ortenzi R., Valiani A., Scuota S., Roila R., Haouet M.N., Pezzotti G. IZSUM - Istituto Zooprofilatico Sperimentale Umbria e Marche Key words: Salmonella, salsiccia stagionata, Challenge Test. ABSTRACT The aim of this work was to evaluate the behaviour of Salmonella during the curing process of the typical Umbria seasoned sausage. A bacterial suspension of Salmonella (104 cfu/g) was used to contaminate the meat paste during production. The sausages, undergoing the normal process of drying and seasoning, were periodically sampled to assess the number of Salmonella, as well as other parameters such as the number of lactic acid bacteria, mesophilic aerobic bacteria, Enterobacteriaceae, coagulase-negative Staphylococci, coagulase-positive Staphylococci, faecal Streptococci, aw, pH, salt concentration, relative humidity and weight loss. At the end of the seasoning period it was observed that the production process of the typical Umbria sausage may lead to a 2-Log Salmonella reduction. INTRODUZIONE Nell’ambito della sicurezza alimentare l’igiene dei prodotti commercializzati deve essere garantita attraverso misure di prevenzione che permettano di mantenere sotto controllo tutte le fasi del processo di trasformazione e distribuzione degli alimenti (10). All’analisi del processo produttivo deve seguire la dimostrazione scientifica in grado di documentare oggettivamente la capacità del processo produttivo stesso di poter eliminare o ridurre ad un livello accettabile i pericoli microbiologici. Tra questi Salmonella spp. rappresenta una delle cause più comuni di tossinfezione alimentare nell’uomo. E’ stato stimato che il 28% dei casi di salmonellosi umani in Europa è attribuibile al suino (2), sia in termini di zoonosi diretta che indiretta, attraverso cioè il consumo di carne. Tra i vari prodotti che derivano dalla trasformazione della carne di suino, i prodotti insaccati, come riportato in diversi paesi europei (3, 4, 6, 7), rappresentano una delle maggiori fonti d’infezione da Salmonella. In tali prodotti, pronti al consumo, il processo di trasformazione, in termini di temperatura, pH e aw, rappresenta l’unico ostacolo allo sviluppo di batteri patogeni (9). Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la dinamica di comportamento di Salmonella spp. durante il processo di stagionatura della salsiccia stagionata umbra mediante l’allestimento di uno specifico Microbial Challenge Test. MATERIALI E METODI La sperimentazione ha previsto una fase preliminare durante la quale è stata effettuata una valutazione del processo produttivo utilizzato per la produzione della salsiccia stagionata in diverse aziende del territorio umbro, allo scopo di individuare il produttore il cui processo fosse più prossimo a quello da considerare tipico. Sulla base delle caratteristiche del processo produttivo individuato nell’azienda prescelta è stato definito il protocollo sperimentale da sviluppare nel corso del Microbial Challenge Test. L’impasto, prodotto secondo la ricetta dell’azienda produttrice, già addizionato di tutti gli ingredienti, è stato suddiviso in tre aliquote di 5 Kg ciascuna: - una è stata insaccata tal quale presso l’azienda ed è stata sottoposta a stagionatura nell’azienda stessa (controllo AZ); - una è stata insaccata tal quale presso l’azienda ma è stata stagionata presso le celle di stagionatura dell’IZSUM (controllo IZSUM); - una è stata inviata all’IZSUM, dove è stata inoculata con una sospensione di Salmonella, insaccata e stagionata nelle celle di stagionatura dell’IZSUM (SS). Il protocollo di contaminazione delle salsicce con Salmonella ha previsto l’utilizzo di 3 ceppi di cui uno di riferimento (Salmonella Typhimurium ATCC 14028) e due ceppi di campo isolati da matrici alimentari simili a quella oggetto della contaminazione sperimentale (Salmonella Manhattan IZSLER 180073/09 e Salmonella enterica subsp. enterica IZSLER 49769/10). L’impasto è stato contaminato in ambiente controllato con una sospensione batterica che conteneva un numero di Salmonella pari a circa 104 ufc/g. Le salsicce sono state quindi sottoposte a stagionatura secondo lo schema tempo/temperatura/UR% indicato dall’azienda produttrice. Subito dopo l’insacco (tempo 0) sono stati prelevati 3 campioni controllo IZSUM e 3 campioni SS per effettuare le determinazioni previste. Successivamente sono stati prelevati 3 campioni per ciascuna tipologia di prodotto a scadenze prefissate (4, 7, 12, 18, 25 e 34 giorni). Sui suddetti campioni appartenenti alle categorie controllo AZ e controllo IZSUM sono state eseguite le seguenti indagini: numerazione Carica Mesofila Aerobia eseguita secondo il metodo validato AFNOR BIO 12/15 – 09/05 (TEMPO® BioMérieux); numerazione Enterobatteri eseguita secondo il metodo validato AFNOR BIO 12/21 – 12/06 (TEMPO® BioMérieux); numerazione batteri lattici eseguita secondo la norma ISO 15214:1998; numerazione Micrococchi/ Stafilococchi coagulasi negativi eseguita mediante semina su terreno Baird Parker (Biolife) incubato a 37°C ± 1°C per 21 h ± 3 e successiva conta e conferma delle colonie con i metodi microbiologici classici (colorazione di Gram, test della catalasi, test dell’ossidasi); numerazione Stafilococchi coagulasi positivi eseguita secondo il metodo validato AFNOR BIO 12/28 – 04/10 (TEMPO® BioMérieux); numerazione Streptococchi fecali eseguita mediante semina su terreno Slanetz-Bartley (Biokar) incubato a 37°C ± 1°C per 48 h ± 3 h e successiva conta delle colonie tipiche; ricerca di Salmonella spp., per verificare che non ci fosse una contaminazione naturale del prodotto, eseguita secondo il metodo validato AFNOR BIO 12/16-09/05; valutazione del pH mediante pHmetro ad infissione (Crison pH25, Crison Instrument, S.A., Barcelona, Spain); valutazione dell’acqua libera (aw) mediante igrometro (AquaLab, Decagon Devices, Inc); valutazione del cloruro di sodio secondo il metodo 396 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Volhard; determinazione dell’umidità relativa eseguita secondo il metodo Baldini et al. (1996); calcolo del calo peso espresso in percentuale. Sui campioni contaminati sperimentalmente con Salmonella (SS) sono state effettuate le seguenti indagini: numerazione Salmonella spp. eseguita mediante semina su terreno di coltura selettivo/differenziale (cromogenico per Salmonella - Biorad), incubato in aerobiosi a 37°C ± 1°C per 24-48 h e successiva conta delle colonie tipiche; determinazione di pH, aw e calo peso secondo le modalità descritte sopra. RISULTATI E CONCLUSIONI L’analisi dei campioni di controllo IZSUM e AZ non ha evidenziato la presenza di una contaminazione accidentale da Salmonella spp. I risultati delle indagini chimico-fisiche relative all’andamento di pH, aw, % di sale, % di umidità relativa e % di calo peso hanno mostrato una sostanziale sovrapponibilità degli andamenti dei suddetti parametri per i tre tipi di prodotto (IZSUM, AZ e SS). I dati relativi all’andamento di pH mostrano un rapido decremento nelle prime fasi della stagionatura, passando da un valore di 6,20 a 5,36 per la salsiccia controllo IZSUM, 5,13 per la salsiccia controllo AZ e 5,20 per quella SS, cui fa seguito, in tutte le tipologie di prodotto, un lieve innalzamento nelle fasi successive. L’aw è scesa durante tutto il periodo di osservazione raggiungendo il valore di 0,81 per la salsiccia AZ, 0,89 per la salsiccia IZSUM e 0,91 per quella SS. Contestualmente si è assistito anche al decremento della percentuale di umidità relativa. L’andamento della percentuale di sale ha invece subito un graduale aumento passando dal 2,55% a circa il 5,00%. Le indagini microbiologiche effettuate sulle salsicce controllo IZSUM e AZ hanno evidenziato quanto segue. La popolazione dei batteri lattici, che costituisce la microflora dominante negli insaccati, ha presentato già al tempo 0 una concentrazione elevata (105 ufc/g) che è aumentata rapidamente nei primi giorni di stagionatura fino a raggiungere un valore di plateau pari a 108 ufc/g in entrambe le tipologie di prodotto. Per quanto riguarda le altre popolazioni batteriche indagate, è stata osservata un’elevata concentrazione di Micrococchi/Stafilococchi coagulasi negativi (circa 107 ufc/g per controllo IZSUM e circa 105 ufc/g per controllo AZ) che, nonostante abbiano degli andamenti non completamente sovrapponibili per il controllo IZSUM e il controllo AZ, mantengono tali concentrazioni per tutto il periodo di osservazione contribuendo probabilmente, insieme agli Streptococchi fecali (circa 102 ufc/g in entrambi i controlli), a definire il valore di pH finale e a conferire le caratteristiche organolettiche tipiche del prodotto stesso (1). Inoltre è stata osservata la presenza di Stafilococchi coagulasi positivi che, se pur a basse concentrazioni (non hanno mai superato 102 ufc/g), sono risultati presenti per tutto il corso della sperimentazione. Nella Figura 1 è rappresentato il comportamento di Salmonella durante il processo di stagionatura della salsiccia SS. Si osserva un graduale e lineare abbattimento della popolazione che è stato di 2,4 logaritmi durante il periodo di osservazione (34 giorni). In realtà la nostra osservazione si è protratta oltre il tempo reale di stagionatura del prodotto considerato che, come detto in precedenza, è di circa 20 giorni. Perciò durante l’effettivo periodo di stagionatura l’abbattimento di Salmonella può essere stimato intorno a 1,73 logaritmi, come si evince dalla rappresentazione grafica. Figura 1. Comportamento di Salmonella rilevata nel corso della stagionatura sulle salsicce SS (contaminate sperimentalmente): retta di regressione lineare 5 4,17 4 y = -0,0754x + 4,1288 2 R = 0,9299 4,21 3,55 Log ufc/g XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 3 2,89 2,51 2,26 2 1,78 1 0 0 5 10 15 20 25 30 35 40 Tempo (giorni) È da tempo noto come i prodotti a base di carne debbano la propria stabilità alla fermentazione e alla riduzione di acqua libera durante la stagionatura (8). Dall’osservazione degli andamenti dei parametri chimico-fisici (pH e aw) appare verosimile come questi possano aver influito sul decremento della concentrazione di Salmonella spp., creando un vero e proprio ostacolo allo sviluppo della suddetta popolazione, come riferito anche da altri autori (1, 5, 9). È da considerare, inoltre, che i valori di aw raggiunti dai prodotti stagionati nelle celle dell’IZSUM (controllo IZSUM e salsiccia SS) sono risultati maggiori rispetto a quelli del prodotto stagionato in azienda (controllo AZ). Considerando l’influenza del valore di aw sull’inibizione dello sviluppo batterico, si potrebbe presupporre che, nelle condizioni aziendali, l’abbattimento del valore di contaminazione da Salmonella spp. possa essere persino superiore a quello registrato nella presente sperimentazione. Il rapido sviluppo della flora lattica ha indubbiamente contribuito all’abbassamento dei valori di pH, oltre che a creare un fenomeno di biocompetizione che, assieme agli altri fattori già descritti, non ha permesso lo sviluppo di Salmonella. Al termine del periodo di stagionatura reale del prodotto si è osservato che il processo di produzione della salsiccia stagionata umbra è in grado di contrastare lo sviluppo di Salmonella spp., producendo un abbattimento stimato della carica iniziale pari a 1,73 logaritmi. L’eventuale contaminazione accidentale della materia prima con il patogeno considerato a concentrazioni superiori alla riduzione logaritmica osservata, potrebbe rappresentare un rischio per il consumatore. Ciò nonostante, una contaminazione “naturale” del prodotto a tali livelli risulta altamente improbabile. BIBLIOGRAFIA 1. Cibotti S., Scuota S., Bazzucchi V., Bonanno S., Tommasino M., Valiani A., Morgante A.R., Sebastiani C., Cenci T. (2008) “Sopravvivenza di Listeria monocytogenes e Salmonella Typhimurium in salame perugino addizionato di LAB produttori di batteriocine e contaminato sperimentalmente” http://spvet.it/arretrati/numero-46/001.html 2. EFSA SCIENTIFIC REPORT OF EFSA AND ECDC The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2010 EFSA Journal 2012;10(3):2597. 3. Emberland K.E., Nygard K., Heier B.T., Aavitsland P., Lassen J., Stavnes T.L., Gondrosen B. (2006). Outbreak of Salmonella Kedougou in Norway associated with salami, April–June 2006. Euro Surveill. 11 E060706 060703. 397 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 4. Gossner CM., van Cauteren D., Le Hello S., Weill FX., Terrien E., Tessier S., Janin C., Brisabois A., Dusch V., Vaillant V., Jourdan-da Silva N. (2012). Nationwide outbreak of Salmonella enterica serotype 4,[5],12:i:infection associated with consumption of dried pork sausage, France, November to December 2011. Euro Surveill. 2012;17(5):pii=20071. 5. Grisenti M.S., Frustoli M.A., Garofali D., Cigarini M., Barbuti S. (2009) “Behaviour of Listeria monocytogenes during shelf-life of sliced italian salami” SSICA. 6. Kuhn KG., Torpdahl M., Frank C., Sigsgaard K., Ethelberg S. (2011) An outbreak of Salmonella Typhimurium traced back to salami, Denmark, April to June 2010. EuroSurveill. 2011;16(19):pii=19863. 7. Luzzi I., Galetta P., Massari M., Rizzo C., Dionisi A.M., Filetici E., Cawthorne A., Tozzi A., Argentieri M., Bilei S., Busani L., Gnesivo C., Pendenza A., Piccoli A., Napoli,P., Loffredo L., Trinito M.O., Santarelli E., Ciofi degli Atti M.L. (2007). An Easter outbreak of Salmonella Typhimurium DT 104A associated with traditional pork salami in Italy. Euro Surveill. 12, E11–E12. 8. Pin C., Sutherland JP., Baranyi J. (1999) Validating predictive models of food spoilage organisms, J Appl Microbiol 87: 491-499. 9. Pin C., Avendaño-Perez G., Cosciani-Cunico E., Gómez N., Gounadakic A., Nychas G. J., Skandamis P., Barker G. (2011) Modelling Salmonella concentration throughout the pork supply chain by considering growth and survival in fluctuating conditions of temperature, pH and aw. Int. Jour. of Food Microbiol. 145 (2011) S96–S102. 10. REGOLAMENTO (CE) n. 2073/2005 DELLA COMMISSIONE del 15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. Lavoro eseguito nell’ambito delle attività del consorzio CIRAL (Consorzio Italiano per la sulla Qualità e la Sicurezza degli Alimenti) Società consortile A.R.L. 398 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INTOSSICAZIONE DA METOLCARB IN CAPRETTE TIBETANE (CAPRA HIRCUS DOMESTICA) E LAMA (LAMA GLAMA) DI UNO ZOO PARCO *Palazzo L., *Quaranta V., ^Brigante B., *Nesta S., ^^ Vignola M., **Haouet M.N., *Muscarella M. *Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata; **Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche; ^Servizio Veterinario Azienda Sanitaria Potenza; ^^Biologo libero professionista – Potenza. Key words: caprette tibetane, Metolcarb, intossicazione. SUMMARY Cases of intoxications by Metolcarb in tibetan goats and lamas belonging to a Southern Italy Zoo are described. The mortality of these animals occurred in the winter period 2012-2013. Poisoned animals were adult and most of them were male. In all cases the ante-mortem symptoms was mainly characterized by progressive weight loss and neurological signs. Post mortem examinations showed pancreas and lung edema and hyperemia of the meninges. The analytical method used to detect the presence of Metolcarb in the animal gastric contents was based on an easy extraction followed by SPE purification and gas-cromatography combined with mass spectrometer detection. tossicità di questo composto si esplica attraverso il blocco dell’attività dell’enzima acetilcolinesterasi che catalizza l’idrolisi dell’acetilcolina, mediatore delle sinapsi colinergiche periferiche e centrali. La sintomatologia deriva da una iperstimolazione delle sinapsi colinergiche con effetti muscarinici, nicotinici e centrali (eccitazione seguita da astenia, atassia, convulsioni, depressione dei centri respiratori e circolatori)(4). In questo lavoro viene descritto un episodio di intossicazione da Metolcarb che ha interessato caprette tibetane e lama di uno Zoo Parco situato nel territorio del Parco Nazionale dell’ Appennino Lucano – Val D’Agri – Lagonegrese nel Sud della Regione Basilicata. INTRODUZIONE La capretta tibetana(Capra hircus domestica), questo è il nome più comune con il quale è conosciuta in Italia, sembra abbia origini nell’Africa occidentale e per tale motivo sarebbe più corretto parlare di capra nana D’africa. E’ presente anche in Africa, negli USA e nei paesi del nord Europa dove è invece conosciuta con il nome comune di capra nana nigeriana. Non è considerata un animale da reddito ma un animale ornamentale e da affezione, infatti anche in Italia viene ospitata a scopo di attrazione nei giardini zoologici, parchi naturali e strutture per agriturismo. È un animale gregario per cui ha necessità di vivere in gruppo. E’ un animale vivace, simpatico e molto resistente ragion per cui raramente si ammala; è dotato di grande agilità e adattabilità alle diverse condizioni ambientali e climatiche. Dal punto di vista alimentare è piuttosto frugale, ama foglie, germogli e cortecce. E’ dotata di una struttura morfologica sovrapponibile alla capra domestica ma di dimensioni più piccole: altezza al garrese da 20-30 cm a 50 – 60 cm , il peso si aggira sui 20-30 Kg, la femmina è più piccola del maschio; il mantello uniforme o pezzato può presentarsi di colore bianco, nero, marrone o grigio-argento; corna corte e sottili. Anche il lama (Lama glama) per la sua docilità e curiosità si presta ad essere ospitato in parchi e zoo. Si nutre anch’esso di arbusti, foglie e germogli e come la capretta tibetana è un animale molto robusto e raramente si ammala. Il Metolcarb è un pesticida appartenente alla categoria dei carbammati. E’ stato classificato dalla World Health Organization come pesticida di classe II con DL50 = 300 mg/kg di peso corporeo per mammiferi e altri vertebrati (2)(3). Il Metolcarb non rientra nell’elenco dei pesticidi consentiti in Europa (Reg. 396/2005/CE e s.m.), ma il suo utilizzo in agricoltura come insetticida è altamente comune in Cina ed è stato rivelato in numerosi campioni di frutta e vegetali (1). Il rischio tossicologico è legato all’introduzione di tale molecola per via orale attraverso acqua di abbeverata o alimento. La MATERIALI E METODI Nello Zoo Parco sopra citato erano ospitati 28 caprette tibetane e 16 lama oltre a una voliera con un’ara, qualche emù, stagni con tartarughe d’acqua e qualche anatra. Nel periodo settembre 2012 - febbraio 2013 si sono verificati numerosi decessi che hanno interessato n. 22 caprette tibetane (18 maschi e 4 femmine) e n. 8 lama (6 maschi e 2 femmine). I maschi e le femmine di capretta tibetana vivevano insieme così come i lama. I recinti erano distanti circa 30 m e separati da locali adibiti a ricevere visite guidate. I maschi di capretta tibetana erano tutti castrati mentre i maschi di lama non erano castrati. L’alimentazione era costituita da fieno misto, fiocchi di cereali e leguminose e mangime complementare per ovicaprini. Presso la Sezione Diagnostica provinciale di Potenza dell’IZS della Puglia e della Basilicata sono state recapitate complessivamente n.15 carcasse (n.11 di caprette tibetane e n.4 di lama) di animali adulti, le caprette avevano un’età compresa tra i 7 e i 15 anni, tutti di sesso maschile tranne una femmina di 7 anni; i lama, tutti di sesso maschile, avevano un’età compresa tra 2 e 22 anni. All’anamnesi si riferiva che gli animali interessati avevano presentato in alcuni casi morte improvvisa, in altri la sintomatologia era caratterizzata da dimagrimento, cachessia e sintomi nervosi con incoordinazione motoria, incapacità alla stazione quadrupedale e a volte opistotono. All’esame autoptico si presentava un quadro anatomopatologico piuttosto omogeneo per tutte le carcasse: si evidenziava uno stato generale di congestione e iperemia raramente emorragie, degli organi interni e particolarmente del polmone, del peritoneo e del pancreas; le lesioni a carico dell’intestino tenue erano riconducibili ad enterite muco catarrale, presenza di materiale fluido al suo interno, iperemia della mucosa ed interessamento dei linfonodi tributari. Inoltre erano presenti iperemia delle meningi ed edema polmonare con materiale schiumoso nella trachea. Il quadro anatomopatologico induceva al sospetto di una intossicazione tuttavia, al fine di escludere il coinvolgimento 399 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 di agenti etiologici di natura infettiva, dagli organi prelevati in sede autoptica (fegato, rene, milza, polmone ed encefalo) si procedeva all’esame colturale secondo i metodi diagnostici utilizzati di routine presso il laboratorio. Si procedeva all’invio dei campioni presso altri laboratori per indagini di tipo chimico-tossicologico che hanno previsto l’utilizzo di una metodica basata sulla gas-cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC/MS) con analizzatore a trappola ionica. Preparazione del campione: A 10 g di campione sono aggiunti 40 mL di diclorometano. Si agita mediante vortex per 1 ora. Si aggiunge 1g di sodio solfato e si procede alla filtrazione. Successivamente si porta a secco e si riprende il residuo secco con 5 mL di etere di petrolio e si passa alla fase di purificazione mediante Colonnine SPE Florisil. L’eluato viene portato a secco mediante flusso di azoto e ripreso con 5 mL di acetone. L’estratto viene trasferito in vial ed è pronto per l’analisi GC/MS Condizioni strumentali: E stato adoperato un Gas cromatografo Varian mod. CP3900 combinato ad uno spettrometro di massa Varian mod. 2100T con analizzatore a trappola ionica. E’ stata utilizzata una colonna Rtx - 5MS ( 30m x 0.25 mm, 0.25µm). L’elio alla pressione di 12 psi è stato adoperato come carrier gas. E’ stata utilizzata una temperatura del forno a gradiente, un volume di iniezione pari a 1µL, un flusso make up + carrier di 30 mL/min e un mass range compreso tra 45-650 u.m.a. Il tempo complessivo della corsa cromatografica è stato di 40 minuti. RISULTATI E CONCLUSIONI Le indagini di tipo batteriologico eseguite sugli organi degli animali deceduti hanno sempre dato esito negativo ad eccezione di un solo caso di positività per Listeria monocytogenes in una capretta tibetana. Le indagini chimico-tossicologiche per la ricerca di Fosfuri, Arseniuri, Pesticidi, Rodenticidi anticoagulanti, Metaldeide e Stricnina hanno rilevato la presenza di Metolcarb nel contenuto gastrico di n.11 delle n.14 carcasse esaminate (78,6%). Nella Figura n. 1 è riportato il cromatogramma di un campione di contenuto gastrico di capretta tibetana risultato positivo al Metolcarb. La Figura n. 2 riporta lo spettro di massa dello stesso campione analizzato. La sintomatologia e le condizioni ambientali e alimentari comuni a tutti gli animali deceduti unitamente all’uniformità del quadro anatomopatologico e dei risultati delle indagini di laboratorio inducono a ritenere che l’intossicazione da Metolcarb abbia interessato tutti gli animali, 22 di 28 caprette tibetane (78,5%) e 8 di 16 lama (50%), deceduti nello Zoo Parco. Considerato che il rischio tossicologico è rappresentato dall’introduzione della molecola tossica per via digerente e vista la moderata tossicità di Metolcarb che ha una DL50 = 300 mg/kg di peso corporeo per i mammiferi, sebbene in letteratura non siano riportati casi di intossicazione da Metolcarb per le caprette tibetane e per i lama (2), si deduce che la quantità ingerita dagli animali venuti a morte sia stata piuttosto elevata. Sia che l’ingestione sia avvenuta con alimenti, sia attraverso esche avvelenate, ancora una volta è dimostrato l’uso indiscriminato e pericoloso di sostanze tossiche a cui si aggiunge nel caso di Metolcarb l’utilizzo e l’introduzione illegale poiché tale molecola non è più consentita in Europa. Fig.1:cromatogramma di un campione di contenuto gastrico positivo per Metolcarb XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 GLI AVVELENAMENTI ACUTI NEGLI ANIMALI: I VANTAGGI DELL’APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA IN PIEMONTE Perosino M., Grattarola C., Abete M.C., Dondo A., Giorgi I., Zoppi S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Key words: malicious poisoning, pet, baits Fig.2: spettro di massa di un campione di contenuto gastrico positivo per Metolcarb BIBLIOGRAFIA 1. Sun J. (2010).Development of enzyme linked immunoassay for the simultaneous detection of carbaryl and metolcarb in different agricultural products. Analitica Chimica Acta. 666:76-82. 2. W.H.Lu, Jieli, Pesticide Knowledge and technique hands, publishing company, Beijing, PRC, 2000 3. Berny P, Caloni F, Croubels S, et al.: 2010, Animal poisoning in Europe. Part 2: Companion animals. Vet J 183:255–259. Tossicologia 4. C. Beretta. Veterinaria. Ed. Grasso (1984) 400 SUMMARY The most important action to tackle malicious poisoning is the comprehension of the size and the characteristics of the phenomenon at the local level and the main purpose of the application of these guidelines is to discriminate between accidental and deliberate poisoning in private or public areas. Collecting and analyzing the information contained in the schedules accompanying the samples sent for suspected poisonings, it was drawn an outline of what happens in our territory: it is more common to see cases of poisoning in urban environment rather than in agricultural or in woodland setting, thus affecting mainly dogs and cats. It was also observed that the number of reports per year is almost constant and it counts for approximately 100-150 cases/ year. Moreover, it’s important to carefully evaluate the data obtained in order to avoid creating alarm among the population and the delivery of any kind of material or carcasses at the diagnostic laboratories. INTRODUZIONE L’aumentata sensibilità generale verso i casi di avvelenamento è legata alla nuova e moderna concezione del rapporto etico tra uomo e animale ed è stata tradotta in un’Ordinanza Ministeriale nel lontano dicembre 2008. Nel testo di questa norma, l’Istituto Zooprofilattico ha il compito di confermare o escludere il sospetto di avvelenamento, identificare le molecole responsabili ed eseguire studi opportuni che consentono alle Province ed alle Regioni di redigere annualmente le mappe epidemiologiche del fenomeno e procedere all’attuazione di misure contenitive. La mancata uniformità di informazioni sui singoli episodi, tuttavia, raramente conduce ad una reale concretizzazione di queste azioni. Il 16 novembre 2011 il Ministero della Salute ha trasmesso ufficialmente sia le linee guida per migliorare l’applicazione dell’Ordinanza 18 dicembre 2008, con lo scopo principale di uniformare i comportamenti da adottare nel caso di episodi di avvelenamento, sia la modulistica da compilare per l’inoltro dei campioni all’IZS di competenza. Il documento, redatto dalla Direzione Generale della Sanità Animale in forma di nota esplicativa, è stato realizzato in collaborazione con il Centro di Referenza nazionale per la Medicina Forense Veterinaria e rappresenta un riferimento normativo chiaro ed efficace se compiutamente applicato dalle parti coinvolte. Il primo e cruciale passo per contrastare il fenomeno degli avvelenamenti dolosi è, di fatto, comprendere l’entità e le caratteristiche del fenomeno a livello locale e lo scopo principale dell’applicazione delle linee guida emanate rientra nell’ottica di contrastare queste pratiche illecite in aree pubbliche e private. L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di raccogliere ed analizzare le informazioni contenute nelle schede di accompagnamento dei campioni inviati all’IZS di Torino per sospetto avvelenamento e tracciare un profilo di quanto accade a livel- lo di territorio piemontese al fine di ottenere un quadro della situazione in previsione della futura conversione in legge dell’Ordinanza Martini e porre le basi per la gestione di questi episodi. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2012 e il 30 giugno 2013, sono state prese in considerazione le richieste di esami per sospetto avvelenamento, sia di animali morti sia di esche. Per ogni caso sospetto sono stati recuperati i dati relativi a data e luogo di prelievo, zona di ritrovamento (urbana, agricola, privata, boschiva) e specie animale coinvolta. RISULTATI E CONCLUSIONI Sono stati presi in considerazione 112 casi di avvelenamento nel 2012 e 51 nei primi sei mesi del 2013 per un totale di 163 casi (70 esche, 51 cani, 30 gatti e 12 altre specie animali). Questi dati confermano un trend costante dopo un iniziale significativo incremento registrato proprio a partire dal 2008, anno di emanazione dell’Ordinanza Martini (3). Tale valore si attesta intorno ai 100-150 campioni annui. Tabella 1 – Confronto per zona di ritrovamento. 2012 N P Totale POS (%) urbana 26 18 44 40,9 privata 15 10 25 40,0 non definita 12 6 18 33,3 agricola 10 6 16 37,5 boschiva 7 2 9 22,2 Totale 70 42 112 37,5 N P Totale POS (%) urbana 18 9 27 33,3 privata 4 6 10 60,0 boschiva 4 0 4 0,0 agricola 3 3 6 50,0 non definita 1 3 4 75,0 Totale 30 21 51 41,2 2013 Analizzando i dati riportati in Tabella 1, in entrambi i periodi considerati, si osserva che le zone principalmente interessate dal fenomeno sono quella urbana e l’ambito privato. Da una preliminare lettura critica del dato, è possibile desumere che lo scenario e le conseguenti azioni che si prospettano devono essere ricalibrate rispetto a quanto riportato dalla norma. Il maggior coinvolgimento di animali domestici, nella fattispecie cani e gatti (Tabella 2), fa supporre che gli episodi registrati 401 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 siano legati principalmente alle problematiche tipiche dell’ambiente urbano (liti fra condomini, comportamenti scorretti dei detentori di animali in ambienti pubblici, problema delle deiezioni, rumori molesti, violazione di domicilio) e le sostanze prevalentemente utilizzate sono riconducibili a tossici di più facile reperimento (topicidi anticoagulanti e lumachicidi) come già osservato in lavori precedenti (1,2). Per contro, il mancato conferimento di animali selvatici non può essere valutato in alcun modo, in quanto potrebbe avere il duplice significato sia di scarsa sensibilizzazione al controllo delle aree boschive e tutela della fauna selvatica sia di minore rilevanza di tali aree per quanto riguarda gli avvelenamenti. Un altro aspetto che emerge, ancora oggetto di approfondimento e valutazione, è il riscontro di esche in tutte le aree di indagine. Le linee guida hanno introdotto la registrazione della descrizione morfologica dell’esca e questo è da considerarsi un aspetto importante oltre che, a nostro parere, un punto cruciale per la valutazione indiretta dell’intento criminoso di chi ha confezionato l’esca. In via preliminare si è osservato, tra la casistica del 2012 e quella del 2013, un apparente aumento della cura con cui questi bocconi vengono preparati. E’ stato rilevato, infatti, che chi allestisce esche tende a nascondere con cura la sostanza tossica o inserendola all’interno del boccone (rodenticidi, lumachicidi, vetro, graffette, farmaci in compresse) o cospargendola sotto forma di soluzione sullo stesso materiale alimentare (carne, ossa, insaccati, granaglie). velenamento. Sulla base dei dati ottenuti (Tabella 3), chi ha dichiarato il sospetto DOLO ha effettivamente la percezione della gravità dell’episodio, dimostrato dalla percentuale di positività maggiore rispetto alle altre due categorie (rispettivamente 89,7-97,7% verso 0-33,3%). Il fatto che molte volte venga indicata la voce “NON SAPREI” (oltre il 50%), tuttavia, potrebbe essere interpretato come sia estremamente facile che uno strumento così importante possa divenire oggetto di abuso, se non viene portata avanti un’efficace e corretta campagna di sensibilizzazione della popolazione. Il rischio, infatti, è che si arrivi ad un aumento indiscriminato di campioni inutili e all’emergenza di generare falsi allarmismi tra la popolazione. In conclusione possiamo affermare che, anche se si tratta di dati preliminari che necessitano ulteriori approfondimenti, sicuramente pongono le basi per una conoscenza più puntuale delle singole realtà territoriali. Tabella 3 – Confronto per sospetto 2012 Tabella 2 – Confronto per specie animale 2012 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 2012 N Non Saprei 62 Doloso 1 Non definito 6 Accidentale 1 Totale 70 2013 Non Saprei P Totale POS (%) 62 0,0 39 40 97,5 3 9 33,3 1 0,0 42 112 37,5 N P Totale POS (%) 25 0 25 0,0 N P Totale POS (%) esca 30 16 46 34,8 cane 17 16 33 48,5 Doloso 2 17 19 89,7 gatto 17 6 23 26,1 Non definito 1 3 4 75,0 2 2 100,0 Accidentale 2 1 3 33,3 0 2 0,0 Totale 30 21 51 41,2 piccioni capra 2 lupo 1 1 0,0 ovino 1 1 0,0 pappagallo 1 1 0,0 1 100,0 1 0,0 1 1 100,0 70 42 112 37,5 N P Totale POS (%) esca 16 8 24 33,3 cane 9 9 18 50,0 gatto 5 2 7 28,6 bovino 0 1 1 100,0 piccione 0 1 1 100,0 Totale 30 21 51 41,2 pollo 1 tartaruga 1 volpe Totale 2013 BIBLIOGRAFIA La valutazione del giudizio che viene riportato sulla scheda anamnestica circa la possibile natura dell’intossicazione (DOLOSO, ACCIDENTALE, NON SAPREI) può, a nostro avviso, rappresentare un utile strumento per valutare indirettamente l’attenzione e la sensibilizzazione al problema da parte di chi conferisce il campione nei confronti del caso di sospetto av- 1. Zoppi S., Bergagna S., Rossi F., Grattarola C., Abete M.C., Capra P., Dondo A., 2009. L’esame necroscopico come screening per la diagnosi di avvelenamento acuto negli animali: correlazioni tra quadri anatomo-patologici e determinazioni tossicologiche. Parma 30/09-2/10/2009. Atti XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. pag. 45-46. 2. Zoppi S., Varello K., Pezzolato M., D’Errico V., Meloni D., Abete M.C., Dondo A., Bozzetta E. Anatomical and histopathological features related to anticoagulant poisoning in companion animals. J Vet Pharmacol Ther. 2012 Oct;35 Suppl 3:1-182: 101-102. 3. Zoppi S., Brizio P., Capra P., Leporati M., Giorgi I., Grattarola C., Dondo A., Abete M.C. Application of the Italian legislation against animal poisonings: state of art in North West Italy J Vet Pharmacol Ther. 2012 Oct;35 Suppl 3:1-182: 102. RINGRAZIAMENTI La ricerca è stata parzialmente finanziata dal Ministero della Salute, Dipartimento della Sanità Pubblica Veterinaria, della Sicurezza Alimentare e degli Organi Collegiali per la Tutela della Salute, nell’ambito del progetto di ricerca corrente anno 2010 - IZS PLV 22/10 RC 402 PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. NEGLI ALLEVAMENTI BUFALINI DELLA PROVINCIA DI CASERTA. DATI PRELIMINARI Pesce A. 1, Garofalo F. 1, Coppa P. 1, Salzano C. 1, Cioffi B. 1, Mosca E. 1, Guarino A. 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione Diagnostica di Caserta 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sede Centrale Portici 1 Key words: Mastitis, milk, Prototheca spp. Abstract Bovine mastitis by Prototheca spp. is an increasing global phenomenon. Particularly, Prototheca species associated to bovine mastitis are P. zopfii genotype 2 and P. blaschkeae. Aim of this study was to evaluate occurrence of Prototheca spp. in buffalo milk of Caserta area. Bulk milk samples were collected from 83 buffalo farms. Samples were cultured in Prototheca Isolation Medium agar to investigate on the presence of Prototheca spp. Fat, protein and lactose concentration in milk was determinated by MilkoScan FT instrument. 4 Prototheca spp. strains were isolated: 3 P. wickerhamii and 1 P. zopfii. Positive samples showed low percentage of fat composition, suggesting a correlation between presence of P. spp. and fat levels. Many studies report the isolation of P. spp in dairy herds in Italy, but there are few reports in buffalo milk. Even if our data are preliminary, they give us a first information about distribution of Prototheca spp. in Caserta buffalo farms. Introduzione La Prototheca è un’alga unicellulare, aerobica, incolore, simile ai lieviti. Il genere Prototheca include 6 specie: stagnora, ulmea, wickerhamii, zopfii, blaschkeae e cutis (10); P. moriformis, non è stata attualmente riconosciuta come settima specie, a causa sia della sua somiglianza biochimica e genetica con P. zopfii che della sua eterogeneità intraspecifica. Inoltre, sulla base delle sue caratteristiche biochimiche e sierologiche, nonché delle sequenze 18S-rDNA, la specie P. zopfii è stata differenziata in due genotipi: genotipo 1 e genotipo 2 (9). Alcune specie di Prototheca possono causare malattie infettive negli uomini e negli animali. In particolare la Protothecosi umana è associata principalmente a P. wickerhamii, seguita da P. zopfii, P. blaschkeae e P. cutis (6,10). La Protothecosi animale, invece è associata essenzialmente a P. zopfii genotipo 2, quale agente di mastite bovina, inoltre sono stati descritti rari casi di mastite bovina dovuti a P. blaschkeae (7). Gli animali affetti da infezione mammaria da Prototheca inizialmente non evidenziano particolari segni clinici ad eccezione di una diminuzione della produzione di latte ed in alcuni casi, di un lieve aumento delle cellule somatiche (8). Solo con il progredire dell’infezione si possono manifestare dei segni clinici come aspetto acquoso del latte, aumento di consistenza del parenchima e atrofia del quarto interessato, conclamandosi come patologia cronico-evolutiva e causando alle aziende notevoli danni economici (1). Gli studi effettuati sull’isolamento, identificazione e distribuzione di Prototheca spp. in Italia, hanno evidenziato una notevole diffusione dell’infezione nell’allevamento bovino da latte (3). In particolare, è stata riscontrata una percentuale di positività per Prototheca zopfii del 15.43% negli allevamenti bovini del nord Italia (4). Scarse, invece sono le conoscenze sulla diffusione di Prototheca negli allevamenti bufalini. Scopo del nostro lavoro è quello di dare un’ indicazione della diffusione di Prototheca negli allevamenti bufalini della provincia di Caserta, analizzando campioni di latte di massa. Materiali e metodi Lo studio è stato condotto esaminando 83 campioni di latte di massa di bufala provenienti da 83 allevamenti della provincia di Caserta. I campioni di latte sono stati prelevati da tank di raccolta, trasportati in laboratorio a 4 °C e seminati, per la ricerca di Prototheca spp, su una piastra di PIM agar (Prototheca Isolation Medium). Dopo incubazione a 37°C per 72 ore in condizioni di aerobiosi, le colonie tipiche osservate sono state identificate utilizzando lo strumento Vitek 2 (BioMerieux). I ceppi di Prototheca spp. isolati sono stati inviati al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Lodi per la conferma della specie e la genotipizzazione della P. zopfii, effettuati mediante metodo biomolecolare descritto da Cremonesi et al. 2012 (5). Inoltre i campioni di latte sono stati analizzati per il contenuto in grasso, proteine e lattosio mediante lo strumento MilkoScan FT+ (FOSS), spettrofotometro ad alta prestazione FTIR (Foourier Transform InfraRed) ed è stata calcolata la resa mediante la formula di Addeo. Risultati Prototheca spp. è stata evidenziata in 4 campioni, pari al 4.8% dei campioni di latte analizzati; in particolare 3 campioni di latte sono risultati positivi a Prototheca wickerhamii ed un campione di latte è risultato positivo a Prototheca zopfii. Il contenuto in grasso, proteine, lattosio e la resa dei campioni positivi sono rappresentati in tabella 1. Tabella1 specie Grasso g/100 Proteine g/100g Lattosio g/100g Resa (%) 1 P. wickerhamii 7.85 4.71 4.64 25.26 2 P. zopfii 7.90 4.66 4.91 25.15 3 P. wickerhamii 7.43 4.27 4.99 23.20 4 P. wickerhamii 7.79 4.16 4.85 23.26 n° Discussione e Conclusioni Bueno et al 2006 (2) descrivono che nel latte, di bovini con mastite subclinica dovuta a Prototheca, si riscontra una diminuzione della resa del latte e del contenuto in grasso e lattosio. Nel nostro studio i campioni di latte bufalino, che presentano 403 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 un’infezione da Prototheca spp., mostrano un basso contenuto di grasso, al di sotto degli 8.5 g/100g (media del contenuto di grasso degli stessi allevamenti negli anni precedenti), e valori normali di lattosio e resa del latte. Nei campioni 3 e 4 il valore della resa è stato influenzato dal tenore ridotto in proteine. Nelle aziende in cui di routine è effettuato un monitoraggio delle performance quali-quantitative del latte la diminuzione del contenuto di grasso potrebbe essere comunque utilizzata come indicatore per il campionamento dei capi da analizzare per la ricerca di Prototheca. Sebbene siano preliminari, i nostri dati danno una prima indicazione sulla diffusione di Prototheca spp. negli allevamenti bufalini da latte della provincia di Caserta. Più del 4% del latte mostra la presenza di Prototheca spp.; di questi solo 1 campione è risultato positivo a P. zopfii, ritenuto responsabile della mastite bovina. Nonostante la positività del latte di massa alla Prototheca potrebbe farci ipotizzare che vi sia nella mandria un grosso numero di animali eliminatori di tale alga, non sono stati riscontrati casi di animali con evidenti segni clinici di mastite. Gli animali di tale allevamento saranno monitorati singolarmente al fine di evidenziare quanti e quali sono gli eliminatori e se, a distanza di tempo i soggetti monitorati manifesteranno segni clinici di mastite. In base ai nostri risultati, la diffusione di Prototheca sembra essere limitata ad una zona circoscritta della provincia di Caserta (Figura1); in particolare trattasi di un’area adiacente sia al fiume Volturno che ad un canale di raccolta delle acque (Regi Lagni). Pertanto, sospettando che questi possano essere una fonte di contaminazione, riteniamo opportuno effettuare ulteriori studi su tali acque. Figura1 - Distribuzione sul territorio delle aziende campionate. - Aziende sieronegative - Aziende sieropositive Bibliografia 1) Arrigoni N., Belletti G.L., Cammi G., Garbarino C., Ricchi M. 2010. Mastite bovina da Prototheca. Large Animal Review. 16:39-43 2) Bueno V.F., De Mesquita A.J., Neves R.B., De Souza M.A., Ribeiro A.R. Nicolau E.S. De Oliviera A.N. 2006. Epidemiological and clinical aspect of the first out break of bovine mastitis caused by Prototheca zopfii in Goias State, brazil. Mycopathologia. 161:145-145. 3) Buzzini P., Turchetti B., Facelli R., Baudino R., Cavarero F., Mattalia L., Mosso P. e Martini A. 2004. First large-scale isolation of Prototheca zopfii from milk produced by dairy herds in Italy. Mycopathologia 148:427-430. 4) Cammi G., Arrigoni N., Belletti GL., Garilli F., Ricchi M., Vicari n., Tamba M., Galletti G. 2008. Indagine sulla presenza di prototheca spp. in allevamenti di bovine da latte del Nord Italia. Atti X Congresso Nazionale SIDiLV, Alghero 2008:120121 5) Cremonesi P., Pozzi F., Ricchi M., Castiglioni B., Luini M., Chessa S. 2012. Technical note: identification of Prototheca species from bovine milk by PCR- single strand conformation polymorphism. J. Dairy Sci. 95:6963-6968. 6) Lass-Florl, C. and Mayr, A. 2007. Human protothecosis. Clin Microbiol Rev. 20:230–242. 7) Marques, S., Silva, E., Kraft, C., Carvalheira, J., Videira, A.,Huss, V.A. and Thompson, G. 2008. Bovine mastitis associated with Prototheca blaschkeae. J Clin Microbiol. 46:1941–1945. 8) Mc Donald JS., Richard JL., Cheville J.1984. Naturaland experimental bovine intramammary infections with Prototheca zopfii. Am J Vet Res 45:592-595. 9) Roesler U, Moller A, Hensel A, Baumann D, Truyen U. 2006. Diversity within the current algal species Prototheca zopfii: A proposal for two Prototheca zofii genotypes and description of a novel species, Prototheca blaschkeae spp. nov. Int J Syst Evol Microbiol, 56: 1419-1425. 10) Satoh, K., Ooe K, Nagayama H, Makimura K. 2010. Prototheca cutis sp. nov., a newly discovered pathogen of protothecosis isolated from inflamed human skin. Int J Syst Evol Microbiol. 60:1236-1240. 404 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SIEROPREVALENZA DI COXIELLA BURNETII IN AZIENDE CON TIPOLOGIA DI ALLEVAMENTO MISTO BUFALO E BOVINO DELLA PROVINCIA DI CASERTA. DATI PRELIMINARI Pesce A. 1, Napoletano M. 1, Coppa P. 1, Grimaldi P. 1, De Santo A. 1, Tamburro A. 1, Bove V. 1, Guarino A. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione Diagnostica di Caserta 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sede Centrale Portici Key words: Serum, antibodies, Coxiella burnetii. Abstract Q fever is a zoonosis caused by a gram negative intracellular bacterium, Coxiella burnetii. It is often subclinical disease in animals, however it can lead to abortion and reproductive disorders. The aim of this study is to estimate C. burnetii seroprevalence in farms with co presence of bovines and buffaloes in Caserta area. A total of 607 serum samples (370 buffaloes and 237 bovines) were collected from 17 farms and were tested for Q fever antibodies using indirect ELISA kit. Our study shows that 64,7% of analyzed farms is seropositive for Coxiella burnetii. Moreover, we observe 18,56% seropositivity in bovines and 5,68% seropositivity in buffaloes. Our data give a first indication on seroprevalence of Coxiella burnetii in Caserta area, although further investigation should be performed to understand the real presence of the pathogen in tested farms. Introduzione La Febbre Q è una zoonosi causata da un batterio Gramnegativo parassita intracellulare obbligato: Coxiella Burnetii (6). Molti animali, come ad esempio, roditori, cani, gatti, uccelli, rettili, anfibi, pesci, e molte zecche possono fungere da serbatoio dell’infezione, ma la più comune fonte di infezione per gli uomini è rappresentata dagli animali da fattoria quali vacche, capre, pecore e naturalmente bufali (2,4,9,10). La trasmissione avviene tramite il morso di zecche, per via inalatoria, tramite ingestione di invogli fetali e fluidi placentari in occasione del parto o dell’aborto, attraverso le feci, le urine o alimenti contaminati. L’infezione da C. burnetii è associata a rischio abortivo soprattutto in ovi-caprini così come nel bufalo (Bubalus bubalis), nelle vacche il rischio d’aborto è più contenuto ma l’infezione può essere causa di mastite o malattie riproduttive. La febbre Q è una malattia subdola, infatti, all’interno di un allevamento, molti individui possono essere asintomatici per lunghi periodi, contribuendo così alla diffusione della patologia. In pratica, non esistono segni d’allarme nella mandria e gli unici sintomi apprezzabili sono le patologie riproduttive: l’aborto tardivo, il parto prematuro, la mortalità neonatale, la prole disvitale, talvolta si riscontrano sintomi similinfluenzali con mialgie e febbre (3,6). In Italia meridionale la presenza di C. burnetii in allevamenti bovini e ovicaprini è risultata essere dell’11,6% e 21,5%, rispettivamente (8). Limitate sono le conoscenze sulla diffusione di Coxiella burnetii negli allevamenti della provincia di Caserta, in particolare in quelli in cui convivono bufali e bovini. Scopo del nostro lavoro è quello di dare un’ indicazione della sieroprevalenza di Coxiella burnetii in tali allevamenti. Materiali e metodi Lo studio è stato condotto esaminando 607 campioni di siero, di cui 370 bufali e 237 bovini, provenienti da 17 allevamenti della provincia di Caserta (Figura 1). Sono stati selezionati allevamenti con presenza sia di bufali che di bovini, destinati alla produzione di latte In particolare, la scelta delle aziende ha privilegiato quelle in cui il rapporto tra il numero dei capi tra le due specie fosse bilanciato. Il campionamento è stato effettuato in modo che le aziende testate fossero localizzate sia nelle zone montuose che nelle zone più pianeggianti della provincia di Caserta. I campioni di siero sono stati prelevati da ottobre 2012 a luglio 2013 e conservati a -20°C fino al momento dell’esecuzione dell’analisi. Per la ricerca degli anticorpi anti Coxiella burnetii (Febbre Q) nei sieri, è’ stato utilizzato il kit ELISA ID Screen® Q fever indirect multi–species (IDVet). In breve, il siero è stato diluito1:10 e si è proceduto al test Elisa come indicato nel manuale di istruzioni del kit. Sono stati considerati positivi i sieri con S/P ≥50%, e negativi quelli con S/P ≤ 40%. Risultati Dei 17 allevamenti analizzati, 11 allevamenti sono risultati sieropositivi (con almeno un capo sieropositivo), e 6 allevamenti non presentavano capi con presenza di anticorpi anti-Coxiella. Inoltre in tabella 1 sono rappresentati la sieroprevalenza nei capi bovini e nei capi bufalini analizzati. Tabella 1 specie Numero campioni positivi negativi Bufali 370 5.68% 94.32% Bovini 237 18.56% 81.44% Totale 607 10.71% 89.29% Discussione e Conclusioni I nostri risultati mostrano che il 64,7% degli allevamenti analizzati presentano almeno un capo sieropositivo a C. burnetii. Inoltre, si osserva una sieroprevalenza di C. burnetii maggiore nel bovino (18,56%) che nel bufalo (5,68%). Ciò rispecchia anche quanto descritto in bibliografia riguardo la maggiore percentuale di positività di Coxiella burnetii su feti abortivi bovini rispetto a quelli bufalini (5). Capuano et al. hanno osservato una associazione diretta tra 405 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 tipologia di allevamento e sieropositività a Coxiella burnetii, considerando più a rischio i capi stabulati in stalle durante l’inverno e lasciati all’aperto in primavera (1). Gli allevamenti da noi testati presentano bufali che vivono in paddock esterni per tutto l’anno, mentre i bovini sono stabulati in stalle chiuse durante l’inverno e lasciati in spazi esterni in primavera. Ciò potrebbe essere una delle cause della maggiore sieroprevalenza di Coxiella burnetii nei bovini rispetto ai bufali. Le zecche sono considerate il principale serbatoio di Coxiella burnetii responsabili della diffusione dell’infezione negli animali selvatici e per la trasmissione ad animali domestici (7). Nella nostra ricerca abbiamo osservato che i bufali da noi campionati, diversamente dai bovini, non erano parassitati da zecche, probabilmente per il maggiore spessore della cute. Ciò potrebbe essere un ulteriore motivo di minore sieroprevalenza nel bufalo. Il nostro lavoro sarà prossimamente rivolto anche alle aziende che hanno solo capi bufalini in modo da valutare quanto la presenza dei capi bovini possa influenzare la percentuale di sieropositività nel bufalo. Inoltre, al fine di valutare l’effettiva presenza di Coxiella burnetii negli allevamenti testati, questi saranno monitorati per evidenziare casi di aborti e saranno effettuati test di PCR per la ricerca di Coxiella burnetii su campioni di latte a vari intervalli di tempo e sui feti in caso di aborto. Figura1 -Distribuzione sul territorio delle aziende campionate. - Aziende sieronegative - Aziende sieropositive Bibliografia 1) Capuano F,. Landolfi M. C,. Monetti D. M. 2001. Influence of three types of farm management on the seroprevalence of Q fever as assessed by an indirect immunofluorescence assay. The Veterinary record 149: 669-671. 2) Dunbar, M.R., Cunningham, M.W., Roof, J.C., 1998. Seroprevalence of selected disease agents from freeranging black bears in Florida. Journal of Wildlife Disease 34: 612–619. 3) Kazar J. 2005. Coxiella burnetii infection. Ann NY Acad Sci. 1063:105-114 4) Komiya, T., Sadamasu, K., Kang, M.I., Tsuboshima, S., Fukushi, H., Hirai, K., 2003. Seroprevalence of Coxiella burnetii infections among cats in different living environments. The Journal of Veterinary Medical Science 65:1047–1048. 5) Lucibelli M.G., Auriemma C., Borriello G., Alfano F., Gallo A., De Carlo E., Galiero G. 2011. Indagine sulla presenza di Coxiella burnetii in feti bovini e bufalini nella Regione Campania. XIII Congresso nazionale S.I.Di.L.V. 255-256 6) Maurin M. & Raoult D. 1999. Q fever. Clin Microbiol Rev. 12, 518-553. 7) Norlander, L., 2000. Q fever epidemiology and pathogenesis. Microbes Infect. 2: 417–424. 8) Parisi A., Fraccalvieri R., Cafiero M., Miccolupo A., Padalino I., Montagna C., Capuano F., Sottili R. 2006. Diagnosis of Coxiella burnetii-related abortion in Italian domestic ruminants using single-tube nested PCR. Vet Microbiol, 118: 101-106. 9) Parker, N.R., Barralet, J.H., Bell, A.M., 2006. Q-fever. Lancet 367, 679–688. 10) Webster, J.P., Lloyd, G., Macdonald, D.W., 1995. Q fever (Coxiella burnetii) reservoir in wild brown rat (Rattus norvegicus) populations in the UK. Parasitology 110:31–35. 406 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BUFALO E BOVINO: ANTIBIOTICORESISTENZE A CONFRONTO Pesce A. 1, Garofalo F. 1, Coppa P.1, Salzano C. 1, Cioffi B. 1, Guarino A. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione Diagnostica di Caserta 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sede Centrale Portici keywords: Antibiotic-resistance, bovine, buffalo. Abstact The emergence, propagation and maintenance of strains of antimicrobial resistant pathogenic bacteria have become a worldwide health concern in human and veterinary medicine. The aim of this study is to compare difference of antibiotic resistance among circulating strains in bovine and buffalo and to assist the veterinarian to improve the effectiveness of antibiotic therapy. We evaluated sensitivity of Staphylococcus aureus, Escherichia coli and Streptococcus spp, isolated from mastitis milk, to five antibiotics. Staphylococci isolated from buffalo have good sensitivity for all antibiotics. E.coli, regardless of their origin, have a low sensitivity. Streptococci have a good level of sensitivity only for amoxicillin/clavulanic acid (88% in buffalo and 78% in bovine). The sensitivity for cephalexin and ciprofloxacin is good only in bacteria isolated from buffalo. Our results show a lower occurrence of the antibiotic-resistance in buffalo species due to a number of causes analyzed below. Introduzione L’insorgenza delle resistenze agli antibiotici continua ad essere un rilevante problema medico in crescita in tutto il mondo (4). La ricerca di possibili agenti patogeni causa di infezione mammaria, eseguita con l’esame batteriologico su campioni di latte è il metodo diagnostico di ausilio primario a disposizione del veterinario aziendale. Solitamente l’obiettivo è di definire l’eziologia, contagiosa o ambientale, e stabilire di conseguenza i piani di prevenzione e gestione delle terapie (2). L’importanza dell’indagine microbiologica nella diagnosi e nella terapia delle malattie ad eziologia batterica è legata soprattutto alla possibilità, dopo l’isolamento e l’identificazione del microrganismo, di valutare la sua sensibilità ai chemioterapici per poter intervenire tempestivamente con una terapia mirata; questo, infatti, dovrebbe essere l’interesse primario del veterinario per evitare l’instaurarsi di fenomeni di resistenza dovuti ad un’errata somministrazione farmacologica. Il raggiungimento di questo scopo presuppone una stretta collaborazione tra il veterinario clinico e il microbiologo; per impostare una corretta terapia antibiotica, è infatti necessario conoscere non solo l’anamnesi, le infezioni pregresse e gli eventuali trattamenti farmacologici a cui è stato sottoposto l’animale, ma anche l’esatto comportamento che l’agente eziologico mostra nei confronti dei diversi antibiotici. L’uso prudente degli antibiotici in veterinaria è un tema al centro delle politiche sanitarie internazionali. Il Ministero della Salute ha avviato un progetto che prevede un sistema di comunicazione volontaria del medicinale veterinario somministrato e punta ad una riduzione dell’utilizzo di antibiotici del 20% nei prossimi cinque anni. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha pubblicato il rapporto “Trends in the sales of Veterinary antimicrobial agents in nine European countries (2005-2009)”. E’ il risultato di quattro anni di monitoraggio dell’uso di antibiotici effettuato in nove Paesi Europei su richiesta della Commissione Europea, dal quale si evince che tetracicline, penicilline e sulfamidici sono le tre principali classi di antibiotici maggiormente venduti. Considerando che in bibliografia (3) è spesso riportata una diversa resistenza dei ceppi batterici isolati nei diversi Paesi e nelle diverse specie animali, scopo di questa indagine è confrontare l’eventuale grado di differenza di resistenza agli antibiotici tra i ceppi circolanti nella specie bovina e bufalina. Inoltre, il lavoro si propone di fornire un aiuto concreto al veterinario, fornendo i dati effettivi di antibiotico resistenza dei ceppi batterici più frequentemente isolati nella specie bufalina e bovina della provincia di Caserta, per migliorare l’efficacia della terapia antibiotica. Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto analizzando 550 campioni di latte mastitico della provincia di Caserta, in particolare sono stati testati i campioni di 330 bovini e 220 di bufali pervenuti all’IZSM Sez. di Caserta da gennaio 2010 a giugno 2013. Le colonie da noi isolate sono state identificate utilizzando lo strumento Vitek 2® (Biomerieux). Si è stabilito di considerare per lo studio i tre microrganismi più frequentemente isolati: Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Streptococcus spp.(Grafico 1). Grafico 1 microrganismi isolati staphyilococcus aureus 20,88% e.coli 10,70% streptococcus spp aeromonas spp pseudomonas spp bacillus spp serratia spp altro 22,66% 4,88% 4,44% 2,22% 1,78% 32,44% Successivamente per ognuno dei ceppi dei tre microrganismi selezionati è stato eseguito l’antibiogramma con il metodo Kirby Bauer. Gli aloni di inibizione sono stati misurati secondo le norme CLSI (Clinical and Laboratory Standards Institute). Sulla base del rapporto EMA, per l’analisi dei dati, sono stati scelti quali rappresentanti delle rispettive classi, i seguenti antibiotici: amoxicillina/acido clavulanico (AMC)(classe penicilline), sulfametoxazolo/trimethoprim (SXT) (classe sulfamidici) e tetraciclina (TE) (classe tetracicline). Inoltre abbiamo considerato anche due delle più recenti classi di antibiotici: cefalosporine e fluorochinolonici, analizzando rispettivamente cefalessina (CL) e ciprofloxacina (CIP). I risultati sono stati definiti come sensibilità (S), sensibilità intermedia (I) e resistenza (R). Nelle tabelle i risultati I ed R sono stati accorpati per facilità di lettura. 407 60% 50% bufalo 40% bovino 30% 20% 10% 0% (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale S I/R S I/R S I/R S I/R AMC Risultati e Conclusioni Nel nostro lavoro 225 campioni di latte mastitico sono risultati positivi per la ricerca di microrganismi patogeni, di cui 123 campioni di latte bovino e 102 campioni di latte di bufala. In particolare gli Stafilococchi sono stati isolati per il 53% nel bufalo e il 47% nel bovino; l’E.coli per il 33% nel bufalo e 67% nel bovino; gli Streptococchi per il 43% nel bufalo e 57% nel bovino. La tabella 1 mostra i dati percentuali di sensibilità e resistenza agli antibiotici selezionati, dei batteri isolati nei bufali e nei bovini. Streptococcus spp In particolare gli Stafilococchi sono stati isolati per il 53% nel bufalo e il 47% nel bovino; per il bufalo 33% nelbovino bufalo ebufalo 67% bovino bufalo l’E.coli bovino nel bovino; gli Streptococchi per il 43% nel bufalo e 57% nel AMC S 67% 91% 13% 25% 78% 88% bovino. La tabella 1 mostra i dati percentuali di sensibilità I-R gli33% 9% sono 88% 75%per il22% In particolare Stafilococchi stati isolati 53% nel12%e resistenza antibiotici selezionati, bufalo e il 47% agli nel bovino; l’E.coli per il 33%dei nel batteri bufalo eisolati 67% nei SXT Se nei bovini. 59% 88% 37% 50% 31% 62% bufali nel bovino; gli Streptococchi per il 43% nel bufalo e 57% nel Tabella 1 bovino. I-R 41% Staphylococcus 12% 63% 50% 69% 38% Streptococcus E. coli La tabella 1 mostra aureus i dati percentuali di sensibilitàsppe TE S agli 41% 3% resistenza antibiotici selezionati, dei 25% batteri bovino 84% bufalo 25% bovino bufalo isolati bovino nei24% bufalo AMCe nei bovini. S 67% 91% 13% 25% 78% 88% bufali I-R I-R 59% 33% 16% 9% 75%88% 75% 97% 76% 75% 22% 12% Tabella SXT S 59% 88% 1 37% 50% 31% 62% CL Staphylococcus 61% 41% 91% 12% S I-R E.63% coli 25% 6% 56% 72% 50%Streptococcus 69% 38% CL I/R CIP 100% 1 90% 70% 50% bufalo 40% bovino 30% 20% 10% 0% S I/R S I/R S SXT I/R S I/R TE Grafico 4 S CL I/R Key words: Ring test, PSA, diagnosi CIP Grafico 4 Streptococcus spp 100% 90% 80% Streptococcus spp 70% 60% 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 50% bufalo 40% bovino 30% 20% 10% 0% Grafico 2 90% 80% Staphylococcus aureus 70% 60% 100% 50% 90% 40% bufalo bovino 80% 30% 70% 20% 60% 10% 50% 0% 40% S 30% I/R S AMC 20% I/R S SXT I/R S TE I/R S CL I/R bufalo bovino CIP 10% 0% S I/R AMC 100% 90% 80% 70% 100% 60% 90% 50% 80% 40% S I/R SXT S I/R Grafico 3 S I/R TE CL Escherichia coli S I/R CIP S I/R AMC S I/R SXT S I/R TE S I/R CL S I/R CIP bufalo bovino Il nostro intento è quello di rafforzare la collaborazione con allevatori e veterinari aziendali al fine di divulgare un utilizzo Bibliografia Bibliografia prudente e adeguato degliC., antimicrobici modoA.,daBinkin ridurre 1. Busani L.,Graziani Franco A., DiinEgidio N., ilBattisti 1. Busani L.,Graziani A., Di Egidio A., Binkin N., Battisti A. A. 2004. Survey of C., theFranco knowledge, attitudes andall’uomo. practice of 2004. ItalianSurvey rischio di trasmissione delle antibiotico-resistenze of theand knowledge, attitudes and practiceconcerning of Italian beef anduse dairy veterinarians beef dairy cattle veterinarians the of cattle antibiotics. concerning the use of antibiotics. Vet Rec.; 155:733-738. Vet Rec.; 155:733-738. Bibliografia Bertocchi L., C., Vismara F.,A.,Hathaway T.,Scalvenzi Fusi F., 2. 2. Bertocchi L., Vismara F., Hathaway Fusi F., A.,Scalvenzi Bolzoni G.,A., Zanardi 1. Busani L.,Graziani Franco DiT., Egidio A., Binkin N., Battisti Bolzoni G.,G.Zanardi G., Varisco G. 2012. Evoluzione dell’eziologia A. 2004. Survey of2012. the knowledge, attitudes and practice Italian G., Varisco Evoluzione dell’eziologia della mastiteofbovina nel Nord Italia mastite bovina nel NordReview. Italia dal al 2011. Large Animal beef della and2005 dairy veterinarians concerning the use of antibiotics. dal al cattle 2011. Large Animal 18. 2005 Review. 18. Vet Rec.; 155:733-738. 3.3. Hendriksen RS, Mevius DJ, Schroeter A, Teale C, Meunier D, Butaye P, Franco Hendriksen RS, Mevius DJ, Schroeter A, Teale C, Meunier 2. Bertocchi L., Vismara F., Hathaway T., Fusi F., Scalvenzi A., D, A, Utinane A, Amado A, Moreno M, Greko C, Stärk K, Berghold C, Myllyniemi Butaye P, Franco A, Utinane A, Amado A, Moreno M, Greko C, Stärk Bolzoni G., Zanardi G., Varisco G. 2012. Evoluzione dell’eziologia AL, Wasyl D,C, Sunde M, Aarestrup FM. .al2008. of Berghold Myllyniemi AL, Wasyl D, Sunde M,Prevalence Aarestrup FM.antimicrobial . della K, mastite bovina nel Nord Italia dal 2005 2011. Large Animal 2008. of antimicrobial resistance among bacterial resistance among bacterial pathogens isolated from cattle in different European Review. 18.Prevalence pathogens isolated from cattle in different European countries:20023. Hendriksen RS, Mevius Teale C, Meunier D, countries:2002-2004. ActaDJ, VetSchroeter Scand. 50A,(1):28. 2004. Acta Scand. 50 Butaye P, Franco Utinane A, (1):28. Amado A, Moreno M, Greko Stärk 4. Wright G. Vet D,A,2013 “ Antibiotic resistance: what more do weC,know and what more 4. WrightMyllyniemi G. D, 2013 “ Antibiotic resistance: what more do. we know K, Berghold AL, Wasyl D, Sunde M, Aarestrup FM. we can C, do” BMC Biology. 11:51. what more we can do” BMC Biology. 11:51.bacterial 2008.and Prevalence of antimicrobial resistance among pathogens isolated from cattle in different European countries:20022004. Acta Vet Scand. 50 (1):28. 408 4. Wright G. D, 2013 “ Antibiotic resistance: what more do we know and what more we can do” BMC Biology. 11:51. Grafico 3 Escherichia coli bufalo bovino Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, via Gaetano Salvemini, 1 – Perugia 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, via F.lli Kennedy – Nuoro 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, via dell’Acquedotto Romano – Elmas (Cagliari) 4 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, via Vienna 2 – Sassari 5 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, via Atene – Oristano 1 60% Dalla valutazione dei grafici emerge un diverso comportamento dei ceppi di E. coli che risultano resistenti a tutte le classi di antibiotici testati tranne che alla CIP. Probabilmente tale resistenza è dovuta alla pratica, diffusa nei paesi europei, di prescrivere e Gli stafilococchi isolati dal bufalo presentano per tutti gli somministrare antibiotici per la terapia di malattie enteriche e antibiotici analizzati una buona sensibilità (>80%) mentre quelli respiratorie (1). tutte Nella le classi di antibiotici testati ottenuti tranne si cheevidenzia alla CIP.una minor valutazione dei risultati isolati dainon bovini hanno sensibilità che, in ogni caso, caso, supera mai una il 67% ad eccezione della CIP con non un insorgenza tale delresistenza fenomenoè dovuta dell’antibiotico-resistenza nella Probabilmente alla pratica, diffusa insorgenza del fenomeno dell’antibiotico-resistenza nella specie supera mai 67% ad eccezione CIP con valore delil72%. Gli valore stafilococchi isolati dal bufalo della presentano peruntutti gli del specieeuropei, bufalina di probabilmente alle seguenti ipotesi: nei paesi prescrivere edovuta somministrare antibiotici bufalina probabilmente dovuta alle seguenti ipotesi: Gli E.coli, indipendentemente dalla loro provenienza, hanno 72%. antibiotici analizzati una buona sensibilità (>80%) mentre terapia negli allevamenti vi eèrespiratorie la consuetudine per la di malattie bufalini enteriche (1). di non usare una bassa sensibilità, minoreuna delsensibilità 50% tutti negli allevamenti bufalini vi è la consuetudine di non usare nuove quelli isolati dai bovini hanno che, gliin antibiotici ogni Gli E.coli, indipendentemente dalla loro per provenienza, hanno nuove classi di antibiotici e utilizzare, in generale, meno Nella valutazione dei risultati ottenuti si evidenzia una minor analizzati ad eccezione dalla CIP 50% (> 94%) nei ceppi isolati caso, non supera mai il 67% ad del eccezione della CIP con un ininsorgenza classi didel antibiotici e utilizzare, in generale, menosubcliniche chemioterapici una bassa sensibilità, minore per tutti gli antibiotici chemioterapici vista ladell’antibiotico-resistenza prevalenza di mastiti fenomeno nella entrambe le specie. valore del 72%. vista la prevalenza di mastiti subcliniche rispetto alla specie bovina. rispetto alla specie bovina. specie bufalina probabilmente dovuta alle seguenti ipotesi: analizzati ad eccezione dalla CIP (> 94%) nei ceppi isolati in streptococchi hanno un dalla buonloro livello di sensibilità solo per negli Gli Gli E.coli, indipendentemente provenienza, hanno l’allevamento intensivo specie bufalina è abbastanza l’allevamento intensivo della specie bufalina è abbastanza allevamenti bufalini vi èdella la consuetudine di non usare entrambe le specie. (88% nel bufalo e 78% bovino), mentre la sensibilità nuove unaAMC bassa sensibilità, minore delnel 50% per tutti gli antibiotici recente, per cuiininfuturo futuro potremmoattenderci attenderci uno sviluppo delle classi dicui antibiotici epotremmo utilizzare, in generale, meno recente, per uno sviluppo Gli streptococchi hanno un buon livello di sensibilità solo per per SXT TE non èdalla soddisfacente. per inCL e chemioterapici analizzati ad eeccezione CIP (> 94%)Laneisensibilità ceppi isolati delle antibiotico-resistenze come è verificato nei bovini. vista la come prevalenza disi mastiti subcliniche antibiotico-resistenze si è verificato nei bovini. AMC (88% bufalo e 78% bovino), mentre la sensibilità rispetto CIP è buona (72%) solo nei nel batteri isolati dal bufalo. entrambe le nel specie. Presumibilmente minore insorgenza antibioticoalla specie bovina. Presumibilmente lalaminore insorgenza delledelle antibiotico-resistenze Gli In streptococchi hanno un buon livelloLa disensibilità sensibilità solomaggiore pere CIP generale possiamo quindi osservare una per SXT e TE non è soddisfacente. per CL l’allevamento intensivo dellabufalina specie bufalina abbastanza resistenze nella specie è dovutaè ad una serie di nella specie bufalina è dovuta ad attenderci una serie di concause che non ci (88% nelagli bufalo e 78% nel iisolati bovino), mentre la bufalo sensibilità sensibilità antibiotici per batteridal isolati nel rispetto recente, èAMC buona (72%) solo nei batteri bufalo. per cui in futuro uno sviluppo una concause che non potremmo ci consentono di individuarne per TE non soddisfacente. sensibilità per sensibilità CL e consentono di individuarne una aSXT quellie isolati nelèbovino 2 La - 3una - 4).maggiore delle antibiotico-resistenze come si prevalente. è verificato nei bovini. In generale possiamo quindi(Grafici osservare prevalente. CIP è buona (72%) solo nei batteri isolati dal bufalo. nostro intento intento èquello quello di rafforzare la antibioticocollaborazione Presumibilmente la èminore insorgenza delle IlIl nostro di rafforzare la collaborazione con con agli antibiotici per i batteri isolati nel bufalo rispetto a quelli In generale possiamo quindi osservare una maggiore Grafico 2 allevatori e veterinari aziendali al fine di divulgare un utilizzo resistenze nella specie bufalina è dovuta ad una serie di allevatori e veterinari aziendali al fine di divulgare un utilizzo isolati nel bovino (Graficiper 2 -i batteri 3 - 4). isolati nel bufalo rispetto sensibilità agli antibiotici concause cheeeadeguato non ci consentono di individuarne prudente adeguato degli antimicrobici in modo da ridurre il prudente degli antimicrobici in modo da una ridurre il Staphylococcus aureus a quelli isolati nel bovino (Grafici 2 - 3 - 4). prevalente. rischio di trasmissione delle antibiotico-resistenze all’uomo. rischio di trasmissione delle antibiotico-resistenze all’uomo. Grafico 2 100% Petrini S., 2Bandino E., 3Liciardi M., 4Oggiano A., 5Ruiu A., 1Iscaro C., 1Giammarioli M., 1Feliziani F., 1De Mia G.M. 80% aureus spp S 41% 84% 25% 25% 3% 24% 20% bovino59% bufalo 75%bovino 97%bufalo28% 76% I-R I-R 39% 9% 16% bovino 94%75%bufalo 75% 44% 10% AMCCL S 67% 61% 91% 91% 13% 6% 25% 25% 78% 56% 88% 72% S 0% Dalla valutazione deiI/R grafici emerge un diverso I-R I-R 33% 39% 9% 9% 88% 94% 75% 75% 22% 44% 12% 28% S I/R S I/R S S I/R S I/R CIP S 72% 100% 93% 100% 48% 72% SXT CIP S 59% 72% 88% 100% 37% 93% 50% 100% 31% 48% 62% 72% S comportamento dei ceppi di E. coli che risultano resistenti a AMC SXT TE CL CIP I-R 41% 28% 12% 52% 38% 28% 28% I-R I-R 28% 0% 0% 63% 7% 7% 50% 0%0% 69%52% tutte le classi di antibiotici testati tranne che alla CIP. TE S 41% 84% 25% 25% 3% 24% I-R 59% 16% 75% 75% 97% 76% Probabilmente tale resistenza è dovuta alla pratica, diffusa dal bufalo presentano tutti gli CL Gli stafilococchi S 61% isolati91% 6% 25% 56% per 72% paesi europei,dei di prescrivere e somministrare antibiotici Dallanei valutazione grafici emerge un diverso I-R 39% 9% buona 94% sensibilità 75% 44% 28% antibiotici analizzati una (>80%) mentre per la terapia di ceppi malattie enteriche respiratorie (1). CIP S 72% 100% 93% 100% 48% 72% comportamento dei di E. coli chee risultano resistenti a quelliI-Risolati dai una sensibilità in ogni 28% bovini0%hanno 7% 0% 52%che, 28% Nella valutazione dei risultati ottenuti si evidenzia una minor TE Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA DIAGNOSI DI PESTE SUINA AFRICANA IN SARDEGNA Grafico 3 Escherichia coli Tabella 1 E. coli TE Grafico 3 AMC Staphylococcus aureus SXT S beef and dairy cattle veterinarians concerning the use of antibiotics. Vet Rec.; 155:733-738. 2. Bertocchi L., Vismara F., Hathaway T., Fusi F., Scalvenzi A., Bolzoni G., Zanardi G., Varisco G. 2012. Evoluzione dell’eziologia della mastite bovina nel Nord Italia dal 2005 al 2011. Large Animal Review. 18. XV Congresso 3. Hendriksen RS, Mevius DJ, Schroeter A, Teale C, Meunier D, Butaye P, Franco A, Utinane A, Amado A, Moreno M, Greko C, Stärk K, Berghold C, Myllyniemi AL, Wasyl D, Sunde M, Aarestrup FM. . 2008. Prevalence of antimicrobial resistance among bacterial pathogens isolated from cattle in different European countries:20022004. Acta Vet Scand. 50 (1):28. 4. Wright G. D, 2013 “ Antibiotic resistance: what more do we know and what more we can do” BMC Biology. 11:51. SUMMARY An interlaboratory Ring Trials to evaluate the laboratories involved in African Swine Fever (ASF) diagnosis was organized. Three panels of different samples were sent to four laboratories for ELISA test, Fluorescent Antibody Test (FAT) and PCR/Real time PCR reactions. The results evidenced that all the participating laboratories showed a high proportion of concordant results together with a good harmonisation of procedures. INTRODUZIONE La peste suina africana (PSA) è una malattia infettiva del suino domestico e selvatico il cui agente eziologico appartiene alla famiglia Asfarviridae genere Asfivirus. La PSA è presente in Africa, in Italia (Sardegna), nella regione del Caucaso e nella Federazione Russa (4). Ad oggi, la diagnosi di PSA viene effettuata su campioni di siero, sangue e organi in accordo alle procedure raccomandate dall’organizzazione mondiale per la sanità animale (8). Tra queste, la prova di immunofluorescenza allestita su sezioni criostatiche (FAT) ha lo scopo di evidenziare l’antigene virale (3). La prova di emoadsorbimento virale (HAD) è basata sul legame che si stabilisce tra gli eritrociti di suino e la superficie dei monociti o dei macrofagi infetti e consente l’isolamento del virus (7); le prove di PCR e Real time PCR hanno lo scopo di rilevare il genoma virale e consentono anche di evidenziare gli stipiti di PSA non emoadsorbenti, inclusi quelli ad alta e bassa virulenza (1-2,5-6); infine, le prove sierologiche sono impiegate per rilevare gli anticorpi. Di ampia diffusione sono le metodiche immunoenzimatiche (ELISA), mentre le conferme sierologiche vengono eseguite con prove di immunoperossidasi o immunoblotting (8). L’armonizzazione e la standardizzazione delle prove di laboratorio sono essenziali per una corretta diagnosi di PSA, e sono appannaggio dei laboratori nazionali di referenza. In quest’ambito, il Centro di Referenza Nazionale per lo studio delle malattie da Pestivirus e Asfivirus (CEREP), ha avuto come obiettivo quello di organizzare nel 2012 un ring test (RT) per la diagnosi della PSA. In questo studio, ne vengono riportati i risultati ottenuti dai singoli laboratori. Il primo è stato allestito con 20 sieri raccolti da differenti animali sperimentalmente infettati con il virus della PSA e collezionati a diversi giorni post-infezione. Il secondo è stato preparato con 12 sezioni criostatiche allestite da differenti organi (linfonodi sottomandibolari, tonsille palatine, milza) e il terzo è stato costituito da 15 omogenati d’organo, preparati da differenti campioni clinici (linfonodi sotto-mandibolari, tonsille palatine, rene, milza). I pannelli sono stati completati con l’aggiunta di controlli positivi e negativi e successivamente congelati a -20°C fino al loro invio ai laboratori partecipanti al RT. La valutazione della stabilità degli stessi è stata effettuata saggiando i campioni rispettivamente dopo 24 ore, a 15 e 35 giorni post-congelamento. I campioni sono stati poi inviati ai laboratori in ghiaccio secco, per mezzo di un corriere, nel rispetto delle norme UN 1845 e UN 2900 e in accordo con i regolamenti dell’associazione del trasporto aereo (IATA 2009 e ADR 2009). Il periodo di trasporto è stato di 4 giorni. RISULTATI E CONCLUSIONI I risultati ottenuti sono riassunti nelle Tabelle 1 e 2. MATERIALI E METODI Sono stati preparati diversi campioni sperimentali dedicati alla diagnosi di PSA con le seguenti metodiche: ELISA, FAT, PCR/ Real time PCR. I campioni sono stati inviati a tutti i laboratori nello stesso giorno ed a ciascuno è stato richiesto di utilizzare le procedure correntemente in uso nella routine diagnostica. Quattro laboratori identificati da L1 a L4 appartenenti all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, sono stati invitati a prendere parte al RT. Tutti i laboratori hanno partecipato con le metodiche sopramenzionate, ad eccezione del laboratorio L4 che ha eseguito solo le prove ELISA e PCR/Real time PCR. Tre pannelli di campioni sono stati preparati per la diagnosi di PSA. 409 Tabella 1 – Risultati ottenuti dal CEREP sui campioni del RT. FAT2 PCR3,4 /Real time PCR5 ELISA1 ID ID ID Esito Esito Esito siero sezione organo 1 + 1 + 1 + (Ct 24,79) 2 2 2 3 + 3 + 3 + (Ct 23,02) 4 4 + 4 + (Ct 22,94) 5 + 5 5 + (Ct 24,58) 6 + 6 + 6 7 + 7 + 7 + (Ct 23,95) 8 8 8 + (Ct 26,59) 9 + 9 + 9 + (Ct 21,73) 10 10 10 + (Ct 26,28) 11 11 11 + (Ct 28,99) 12 12 + 12 + (Ct 27,30) 13 + 13 + (Ct 24,52) 14 14 + (Ct 21,36) 15 + 15 16 17 18 + 19 20 + 1 ELISA,Ingezim Ingenasa, ES; 2 FAT, prova di immunofluorescenza su sezioni criostatiche; 3 PCR, OIE-PCR (Augero et al., 2003); 4 UPL-PCR (Fernandez et al., 2012); 5 Real time PCR, OIE Real time PCR (King et al., 2003); Ct, cicli soglia XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 generale questo test, mal si presta alle esigenze di un circuito interlaboratorio, tanto è vero che questa prova è stata esclusa anche dal corrispondente circuito internazionale. Come valutazione generale, la capacità diagnostica di ciascun laboratorio è da ritenersi soddisfacente ed i risultati forniti, nel loro insieme, sono stati conformi all’atteso, soprattutto perché sono stati correttamente individuati tutti i campioni positivi. La sensibilità diagnostica del sistema è pertanto da considerarsi buona. Sporadici errori di interpretazione legati a risultati falsi positivi, sono da valutare nell’ambito delle criticità sopra esposte e non si ritengono rilevanti. I test biomolecolari hanno evidenziato le performances migliori e tutti i laboratori hanno fornito risultati conformi all’atteso. Ne risulta che queste prove sono condotte secondo standard adeguati e collaudati. Tabella 2 – Percentuali di corretta identificazione dei campioni positivi e negativi da parte dei laboratori partecipanti al RT ottenute con le metodiche ELISA, FAT e PCR/Real time PCR. Laboratori Prova ELISA1 FAT2 PCR3,4/Real time PCR5 2 Campioni L1 L2 L3 L4 Totali 100 95 95 95 Positivi 100 90 90 90 negativi 100 100 100 100 Totali 91,7 100 83,3 N.A. Positivi 100 100 100 N.A. negativi 80 100 60 N.A. Totali 100 100 100 100 Positivi 100 100 100 100 negativi 100 100 100 100 1 ELISA, Ingezim Ingenasa, ES; FAT, prova di immunofluorescenza su sezioni criostatiche; 3 PCR, OIE-PCR (Augero et al., 2003); 4 UPL-PCR (Fernandez et al., 2012); 5 Real time PCR, OIE Real time PCR (King et al., 2003); N.A., non applicabile. Di fronte ad una emergenza come quella che si sta verificando in Sardegna per la PSA, è essenziale fornire una risposta adeguata in termini di efficienza ed efficacia che deve basarsi su specifiche e collaudate procedure fondate sulle buone pratiche di laboratorio. Questo processo include anche l’implementazione di attività di verifica delle performances previste dal sistema qualità per individuare eventuali criticità e mettere in atto le conseguenti azioni correttive. In questa ottica è da giudicare assolutamente positiva la risposta fornita dai laboratori che hanno aderito al RT con professionalità e spirito di collaborazione. In termini generali, la risposta diagnostica fornita è stata conforme all’atteso e gli operatori hanno dimostrato di eseguire correttamente le prove sia dirette che indirette per la diagnosi di PSA. Evidentemente l’esperienza acquisita nel corso degli anni ha consolidato un corretto approccio alla problematica oggetto di RT. Analizzando singolarmente le prove, è da ritenersi soddisfacente la capacità diagnostica dimostrata attraverso la prova ELISA. In effetti 3 laboratori non hanno individuato correttamente il siero numero 6 che era stato inserito nel pannello come “indicatore soglia” e pertanto diluito artificialmente fino al limite della rilevabilità. Nella valutazione di questo siero non era pertanto in gioco la capacità diagnostica del laboratorio quanto invece la sensibilità analitica del test in uso. Da sottolineare che L1, ha correttamente valutato il siero attraverso il test di immunoblotting che è impiegato come prova di conferma di PSA, mentre l’ ELISA rimane un test di screening applicabile su larga scala per il monitoraggio di popolazioni esposte al rischio di infezione. L’’immunofluorescenza ha messo in luce alcune criticità, peraltro insite nella prova stessa, in primo luogo per il fatto di non possedere dei criteri oggettivi di interpretazione. In BIBLIOGRAFIA 1.Aguero M., Fernandez J., Romero L., Sanchez C., Arias M., Sanchez-Vizcaino J.M. (2003). Higly sensitive PCR assay for the routine diagnosis of African swine fever virus clinical samples. J Clin Microbiol 41(9), 4431-4434. 2. Aguero M., Fernandez J., Romero L., Zamora M.J., Sanchez C., Belak S., Arias M., Sanchez-Vizcaino JM. (2004). A highly sensitive and specific gel-based multiplex RT-PCR assay for the simultaneous and differential diagnosis of African swine fever and Classical swine fever. Vet Res, 35, 1-13. 3. Bool P.H., Ordas A., Sanchez Botija C. (1969) El diagnostic della peste porcina Africana por immunofluorescencia. Bull OIE, 72, 819-839. 4. Costard S., Mur L., Lubroth J., Sanchez-Vizcaino J.M., Pfeiffer D.U. (2013). Epidemiology of African Swine fever virus. J Virol Met 173, 191-197 5. Fernandez-Pinero J., Gallardo C., Elizalde M., Rasmussen T.B., Stahl K., Loeffen W., Blome S., Batten C., Crooke H., Le Potier M.F., Uttenthal A., LeBlanc N., Albina E., Kowalczyk A., Markowska-Daniel I., Tignon m., De Mia G.M., Giammarioli M., Arias M., Hoffman B. (2010). Epizone ring trial on ASF real time PCR. Annual Meeting of national African Swine Fever Laboratories, 18 Maggio 2010, Polonia. 6. King D.P., Reid s.M., Hutchings G.H., Grierson S.S., Wilkinson P.J., Dixon L.K., Bastos A.D.S., Drew T.W. (2003). Development of Taqman® PCR assay with internal amplification control for the detection of African swine fever virus. J Virol Methods 107, 53-61. 7. Malmquist W.A., Hay D. (1960). Haemadsorption and cytopathic effect produced by African swine fever virus in swine bone marrow and buffy coat cultures. Am J Vet Res, 21, 104108. 8. OIE Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for terrestrial Animals, Sixth Edition, 2008, Sez. 2.8.1, pp. 1-13. 410 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI STIPITI DI CIRCOVIRUS SUINO TIPO 2 (PCV2) ISOLATI NEL CENTRO ITALIA Petrini S., Bazzucchi M., Casciari C., Pierini I., Feliziani F., Giammarioli M., De Mia G.M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Via Gaetano Salvemini, 1 – 06126 Perugia Key words: PCV2, suidi, analisi filogenetica Porcine circovirus type 2 (PCV2) is the main causative agent of postweaning multisystemic wasting syndrome (PMWS). The aim of this study was to determine the genetic diversity of PCV2 in Umbria and Marche regions, in central Italy. Organ homogenates from both domestic pigs and wild boars were inoculated on the PK 15 cell line and examined for the presence of virus by fluorescent antibody (FA) test. Total DNA was extracted from FA positive cultured cells and PCR was conducted to amplify a fragment of the open reading frame 2 (ORF2) of PCV2 isolates. The analysis of PCV2 sequences revealed that the viruses originated from domestic pig clustered in the 2b genetic group, whereas the wild boar isolates were allocated within the 2a genotype. e amplificato mediante una PCR che amplifica un frammento di 263 bp dell’ORF2 (5). L’amplificato di tre cloni indipendenti per ogni campione analizzato è stato purificato, quantificato e sequenziato in entrambe le direzioni mediante ABI PRISM 3130 DNA Sequencing System. Le sequenze ottenute sono state analizzate con il pacchetto DNAstar. L’allineamento multiplo con sequenze di riferimento ottenute dalla GenBank e rappresentative dei genotipi 2a, 2b, 2c e di stipiti vaccinali, è stato effettuato con ClustalX2 e le sequenze sono state editate con BioEdit. L’albero filogenetico (Maximum Likelihood-ML) è stato costruito mediante il software RDP3. L’analisi statistica è stata effettuata su 10.000 replicati. L’albero è stato visualizzato mediante FigTreev1.3.1.exe. L’analisi per verificare la presenza di fenomeni di ricombinazione è stata effettuata con i software RDP e Simplot. INTRODUZIONE RISULTATI E CONCLUSIONI Il circovirus suino tipo 2 (PCV2) rappresenta un serio problema per l’allevamento suino in tutto il mondo essendo responsabile di una serie di sindromi associate a diverse manifestazioni cliniche (1). Il virus ha un DNA circolare a singolo filamento che contiene tre Open reading frames (ORF1, ORF2, ORF3). ORF2 rappresenta il marker di elezione per gli studi di filogenesi e di epidemiologia molecolare (4). Diversi studi di genotipizzazione, hanno evidenziato 2 distinti tipi di PCV2, un terzo è stato identificato in campioni di origine danese (2). Attualmente la classificazione di PCV2 raggruppa i diversi stipiti in 3 genotipi: PCV2a, PCV2b e PCV2c (4). Il PCV2a è stato inoltre suddiviso in 5 sub-genotipi (2A-2E) mentre il PCV2b è stato suddiviso in tre sub-genotipi (1A-1C) (4). Numerosi studi hanno dimostrato che il PCV2 è in continua evoluzione, in seguito a mutazioni puntiformi e ricombinazione genica, che conducono all’emergenza di nuove varianti virali (3). Scopo del presente lavoro è stato quello di genotipizzare stipiti di PCV2 circolati nel centro Italia in suidi domestici e selvatici. Dei 39 campioni analizzati 14 sono risultati positivi all’isolamento ed utilizzati per il dataset di sequenze da analizzare (Tabella 1). SUMMARY Tabella 1 - Isolati di PCV2 utilizzati nello studio MATERIALI E METODI Campioni d’organo (linfonodi, milza, polmone, rene, intestino tenue, ileo e tonsilla palatina), sono stati raccolti da 21 suini con sintomatologia clinica riferibile a sindrome multisistemica postsvezzamento del suino (PMWS) e dermatite-nefrite del suino (PDNS), durante gli esami necroscopici condotti nel periodo 2008-2011. Altri 18 campioni sono stati collezionati da cinghiali cacciati in ATC umbre nella stagione venatoria 2011/2012. Tutti i campioni sono stati utilizzati per allestire prove di isolamento virale e di sequenziamento genico. Omogenati d’organo sono stati seminati su colture cellulari della linea PK 15 esenti da PCV2. A 4 giorni dalla semina, le colture sono state saggiate per la presenza del virus mediante prove di immunofluorescenza eseguita con un coniugato policlonale anti PCV2 del commercio. Il DNA virale è stato estratto con il kit QIAamp DNA mini kit Campione/anno Sintomi clinici Regione Origine 62297/2.2008 PMWS Marche suino 28375/2008 PMWS Marche suino 15287.S1/2008 PMWS Umbria suino 16287/2008 PMWS Marche suino 44502/LN/08 PMWS Umbria suino 44502/P/08 PMWS Umbria suino 53054/P/08 PDNS Marche suino 15287/S2/08 PMWS Umbria suino 20560/3/08 PMWS Umbria suino 40596/2010 PMWS Marche suino 22.GO-DIVA9.2012 nd Umbria cinghiale 23.GO-DIVA12.2012 nd Umbria cinghiale 39.GO-DIVA33.2011 nd Umbria cinghiale 42.GO-DIVA102.2012 nd Umbria cinghiale I risultati dell’analisi filogenetica mostrano che è possibile suddividere gli isolati collezionati in due gruppi genetici distinti (Fig.1). Tutti gli isolati di origine suina clusterizzano nel genotipo 2b, mentre quelli provenienti da cinghiali clusterizzano nel genotipo 2a. 411 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA Figura 1 - Analisi filogenetica degli isolati PCV2 analizzati. 1. Petrini S., Paniccià M., Gavaudan S., Simone E., Sensi M., Filipponi G., Rigotti L., Fortunati M., Ferrari M., De Mia G.M. (2011). Principali malattie associate all’infezione da circovirus suino tipo 2 (PCV2). Large Animal Review, 17:89-98. 2. Dupont K., Nielsen e.O., Baekbo P., Larsen l.E. (2008). Genomic analysis of PCV2 isolates from Danish archives and a current PMWS case-control study supports a shift in genotypes with time. Vet Microbiolog, 128:56-64. 3. Olvera A., Cortey M., Segales J. (2007). Molecolar evolution of porcine circovirus type 2 genomes: phylogeny and clonality. Virology 357:175-185. Nessuno degli isolati analizzati appartiene invece al genotipo 2c. In particolare, gli isolati collezionati dai suini dal 2008 al 2011 si collocano all’interno del cluster PCV2b-1A1B con una percentuale di identità intra-group del 94,4-100%. Gli isolati collezionati da cinghiali si collocano invece nel cluster PCV2a1E con una percentuale di identità intra-group del 86,1-95,9%. I risultati ottenuti suggerirebbero che in questa area geografica, i contatti suino-cinghiale non siano frequenti e che, almeno per quanto riguarda il PCV2, non ci sia stato un passaggio di virus dal suino al cinghiale e viceversa. Per confermare quanto sopra, sarà necessario estendere ulteriormente le indagini ad un numero più elevato di campioni, anche per verificare la presenza di varianti virali ed analizzare l’evoluzione molecolare del virus. Infine, l’analisi di ricombinazione effettuata non ha mostrato la presenza di eventi ricombinanti all’interno del frammento dell’ORF2 analizzato. Sarebbe auspicabile approfondire la caratterizzazione degli isolati mediante analisi dell’intero ORF2 per evidenziare, con livelli di probabilità maggiore, eventuali mutazioni, in special modo a carico delle proteine strutturali maggioritarie del virus, per le implicazioni che ciò potrebbe avere sulla risposta immunitaria dell’ospite. 4. Chunya Wei, Minze Zhang, Ye Chen, Jiexiong Xie, Zhen Huang, Wanjun Zhu, Tingchuang Xu, Zhenpeng Cao, Pei Zhou, Shuo Su, Guihong Zhang. Genetic evolution and phylogenetic analysis of porcine circovirus type 2 infections in southern China from 2011 to 2012. Infection, Genetics and Evolution, 17, (2013) 87-92. 5. Huang C., J. Hung, G. Wu, M. Chien, Multiplex PCR for rapid detection of pseudorabies virus porcine parvovirus and porcine circovirus”. Veterinary Microbiology, 101 (2004), 209-214. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CONSIDERAZIONI SULLA GESTIONE E PREVALENZA DELLE MALATTIE DENUNCIABILI DELLE API IN ITALIA NEGLI ANNI 2006-2010 Pietropaoli M.1, Maroni Ponti A.2, Ruocco L.2 , Mutinelli F.3, Lavazza A.4, Bassi S.4, Sacchi C.4, Sala G.4, Nassuato C.5, Scholl F. 1, Formato G.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, UO di Apicoltura, Roma; 2 Ministero della Salute, DGSAF, Roma; 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Centro di referenza nazionale per l’apicoltura, Legnaro (PD); 4 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia; 5 Regione Lombardia 1 Key words: Apis mellifera, malattie denunciabili, prevalenza, gestione, RPV SUMMARY In the framework of a research project funded by the Ministry of Health (RC IZSLT 11/07), we focused on outbreaks and management of notifiable honey bee diseases in Italy in order to identify possible improvements of the current national veterinary regulation. INTRODUZIONE Ai sensi del Regolamento di Polizia Veterinaria (RPVD.P.R 320/1954), tra le malattie denunciabili delle api sono annoverate: acariosi, varroatosi (O.M 21 4 1983 e OM 17 2 1995), peste americana, peste europea, nosemiasi, aethinosi e tropilaelapsosi. Con il progetto di ricerca corrente 2007 del Ministero della Salute “Studio epidemiologico sulle malattie denunciabili delle api e valutazione del relativo quadro normativo” è stato effettuato uno studio di epidemiosorveglianza per avere delle indicazioni sulla diffusione delle malattie denunciabili delle api e valutare quindi eventuali modifiche alla normativa sanitaria vigente per migliorarne il controllo. MATERIALI E METODI Lo studio di epidemiosorveglianza su scala nazionale è stato realizzato attraverso la distribuzione di questionari ad hoc e la raccolta di tutte le segnalazioni ufficiali di focolai noti di malattie denunciabili rilevate nel periodo 2006-2010 dagli IIZZSS e dal Centro di Referenza Nazionale, che hanno fatto capo al coordinamento del Ministero della Salute. I questionari distribuiti agli apicoltori per verificare la loro conoscenza sulle malattie erano composti da una sezione anagrafica, una in cui descrivere la caratterizzazione geografica dell’apiario ed una in cui indicare le malattie rilevate in apiario dal 2006 al 2010. I dati sui focolai di malattie denunciabili ottenuti dalle segnalazioni ufficiali degli II.ZZ.SS. sono stati georeferenziati per ottenere un quadro preciso della diffusione delle malattie delle api. RISULTATI E CONCLUSIONI Di seguito vengono elencate le diverse malattie delle api e le considerazioni cui si è pervenuti in funzione della prevalenza registrata. Grazie alla georeferenziazione dei focolai di malattie denunciabili (Fig. 1-3) e all’analisi dei 74 questionari raccolti dagli apicoltori (Tab.1) è stato possibile ottenere un interessante quadro delle malattie denunciabili, fino ad allora inedito. 412 Tabella 1. Questionari di epidemiosorveglianza raccolti Regione N. questionari compilati Lazio 56 Toscana 6 Lombardia 4 Piemonte 3 Abbruzzo 3 Marche 2 Totale 74 Acariosi (Acarapis woodi) – è risultata essere una malattia poco o nulla conosciuta dagli apicoltori. Anche se non viene ricercata routinariamente dai laboratori II.ZZ.SS., si ritiene sia scomparsa dal territorio nazionale grazie a trattamenti per il contenimento della varroatosi. Alla luce di quanto ad oggi noto su tale patologia è stato considerato corretto l’attuale approccio gestionale previsto dal RPV. Varroatosi (Varroa destructor) – è stata confermata come malattia endemica sul territorio nazionale fin dal 1983, come anche confermato dal Centro di Referenza Nazionale per l’Apicoltura. E’ stata segnalata nei questionari da tutti gli apicoltori e risultava del tutto non gestita dai Servizi Veterinari Pubblici. Nell’ambito del progetto, quindi, con iniziativa del Ministero della Salute ed il coinvolgimento delle Associazioni Nazionali di Apicoltori e delle Regioni, è stata proposta una bozza di O.M che superasse le precedenti (O.M. del 21 aprile 1983 e del 17 febbraio 1995), al fine di rendere tale patologia non più denunciabile e quindi non più soggetta alle vigenti norme di cui al Regolamento di Polizia Veterinaria al tempo stesso sono state predisposte modalità operative per il controllo della varroatosi meno restrittive, ponendo maggiore attenzione all’esecuzione dei trattamenti antivarroa. Peste europea – è una malattia batterica della covata causata da Melissococcus plutonius classificabile come endemica (Fig. 1 e Tab. 2) e quindi si ritiene poco sostenibile l’approccio di eradicazione a livello nazionale previsto dal Regolamento di Polizia Veterinaria. 413 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 1. Georeferenziazione dei focolai ufficiali di peste europea (casi clinici) in Lazio e Toscana (2006 – 2010) Figura 2. Georeferenziazione dei focolai ufficiali di peste americana (casi clinici) in Lazio e Toscana (2006 – 2010) Tabella 2. Focolai ufficiali di peste europea suddivisi per regione (2006-2011) Regione N. focolai Lazio 34 Toscana 4 Lombardia 3 Puglia 1 Totale 42 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 3. Georeferenziazione dei focolai ufficiali di peste americana (casi clinici) in Lombardia ed Emilia Romagna (2006-2010) Peste americana – è una malattia causata dal batterio sporigeno Paenibacillus larvae ed anch’essa risulta endemica sul territorio nazionale (Fig. 2-3 e Tab. 3). Considerato tale carattere di endemicità, il Ministero della Salute, con Nota DGSAF 0007575-P-18/4/2012 Regolamento di polizia veterinaria - Art. 155 “Misure di controllo della peste americana” ha specificato che la sola presenza di spore non definisce un “caso” di malattia, e le misure di distruzione previste dall’art. 155 del RPV si applicano, solo alle famiglie con sintomi clinici. Inoltre, è stato previsto che trascorse 2 settimane dalla distruzione delle famiglie colpite i Servizi veterinari debbano rientrare nelle aziende per controllare le restanti famiglie e in assenza di nuovi casi clinici chiudere i focolai. Tabella 3. Focolai di peste americana suddivisi per regione (2006-2011) Aethiniosi e Tropilaelapsosi – Sono parassitosi esotiche e come tali entrambe inserite nell’elenco delle malattie denunciabili. A livello comunitario esiste una grande apprensione per il rischio di possibile introduzione nell’UE di tali patologie, soprattutto mediante l’importazione di api regine. A tal fine il Ministero della Salute ha previsto, mediante la Nota prot. N. 19830 DGSA del 8/11/2010 che le api importate da paesi terzi vengano controllate dagli II.ZZ.SS. territorialmente più vicine agli aeroporti internazionali prima di giungere a destino. L’indagine svolta con il presente studio è stata molto utile per ottenere un quadro georeferenziato,sebbene non completo, della diffusione delle malattie denunciabili delle api che fino al 2010 era nota solo in maniera frammentata. Allo stesso modo, ha permesso di iniziare un percorso di rivisitazione della normativa sanitaria in merito alla loro gestione sul territorio. Dal 2009 in poi, grazie sia a piani di monitoraggio implementati a livello di singole Regioni (es. Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia) sia a progetti di monitoraggio più strutturati, anche in termini di budget e di analisi di laboratorio a calendario, si è riusciti ad ottenere nuovi dati sullo stato sanitario delle api. E’ il caso ad esempio del progetto APENET (2009-2011), del progetto BEENET (2012-2013), nonché del più recente Progetto UE finalizzato alla sorveglianza della mortalità nelle colonie di api (2012-2013) gestito dal Ministero della Salute. Risulta comunque interessante rilevare come lo studio qui illustrato abbia consentito di integrare e di precorrere informazioni sulla prevalenza endemica nel nostro territorio di malattie denunciabili quali nosemiasi, peste americana e peste europea, oltre alla varroatosi. Ma nel contempo emerge come sia necessario monitorare con costanza la situazione epidemiologica, per adeguare la normativa in modo continuo, in funzione della costante evoluzione delle situazione epidemiologica. ma anche tenuto conto della eventuale comparsa di nuove emergenze. Informazioni più approfondite sul reale livello di prevalenza saranno disponibili con la completa attivazione dell’anagrafe apistica nazionale che fornirà dati certi sulla dislocazione e sul numero di apiari presenti a livello nazionale. BIBLIOGRAFIA 1.Regolamento di polizia veterinaria (RPV). DPR n. 320 dell’8/2/1954 (G.U. n. 142 del 24 giugno 1954) e s.m.i. Nosemiasi – E’ un’entità nosologica che può essere causata da due diverse specie di microsporidi: Nosema apis e Nosema ceranae, responsabili a loro volta di forme cliniche completamente diverse tra loro. Considerata la diversa patogenicità e prevalenza delle due forme morbose, il Ministero della Salute, con Nota DGSA 0017114-P-1/10/2011 “Regolamento di polizia veterinaria - misure per nosemiasi” ha definito che le misure previste dal RPV si applicano solo nei casi di nosemiasi da Nosema apis clinicamente manifesta. Tabella 4. Focolai di nosemiasi (N. ceranae) suddivisi per regione (anno 2006-2011)ù Regione N. focolai Regione N. focolai Toscana 92 Lazio 62 Lazio 52 Lombardia 48 Lombardia 3 Toscana 35 Emilia Romagna 2 Emilia Romagna 35 Puglia 2 Puglia 1 Campania 2 Totale 181 Totale 153 414 415 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PRESENZA DI BORRELIA BURGDORFERI S.L., RICKETTSIA SPP. E ANAPLASMA PHAGOCYTOPHILUM IN PIEMONTE Pintore M.D.1, Ceballos L.2, Iulini B.1, Pautasso A.1, Giorda F.1, Tomassone L.2, Bardelli M.3, Scala S.1, Rizzo F.1, Mandola M.L.1, Peletto S.1, Mannelli A.2, Casalone C.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle D’aosta, Torino Italia 2 Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino Italia 3 Asl VCO, Verbania, Italia XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1 - Prevalenza d’infezione in zecche in cerca di ospite, suddivisa per genere e comune del VCO, Piemonte, 2011. *in 1 zecca è presente una co-infezione con A. phagocytophilum ; **in 1 una zecca è presente una co-infezione con B. lusitaniae. Key words: survelliance, tick-borne-disease, zoonoses SUMMARY In Verbano-Cusio-Ossola province, northeastern Piedmont, Italy, 24 sites located at different altitudes were selected and ticks were collected by dragging from April to September 2011-2012; ticks from animals were also analyzed. A total of 3297 vectors were identified as Ixodes ricinus. Ticks from bitten patients in Piedmont region (n=94) were also collected; 86,9% were Ixodes spp. and 3.1% Rhipicephalus spp. Preliminary results from biomolecular tests targeting Borrelia burgdorferi s.l., Rickettsia spp., Anaplasma spp. showed an infection prevalence of 14.35%, 5.91% and 2.11% respectively in questing ticks, and prevalence of 4.5%, 16% and 3.4% respectively in ticks from humans. Borrelia positive samples were sequenced and four genospecies were found: B. afzelii, B. garinii, B. valaisiana and B. lusitaniae. Phylogenetic analysis based on the OspC gene Borrelia strains might have the potential for human infection and for secondary invasion. inoltre le zecche da animali selvatici abbattuti durante la stagione venatoria. Nel 2012 invece sono stati aggiunti altri 11 siti nei comuni di Crodo, Beura-Cardezza e Cavandone, ma nessuna zecca è stata raccolta da animali. Tutti i siti sono stati scelti in base a precedenti segnalazioni di casi umani di Borreliosi di Lyme nella provincia. Per quanto riguarda le zecche da uomo sono state analizzate quelle pervenute da tutta la regione Piemonte all’IZSPLV di Torino. Le zecche raccolte sono state identificate e un campione è stato sottoposto ad indagini molecolari per la ricerca dei patogeni. Per la ricerca di Borrelia burgdorferi sl si è applicato un protocollo di PCR end point specifico per una regione intragenica tra le sequenze codificanti le subunità 5S e 23S (3); per Rickettsia spp. una PCR end point specifica per il gene gtlA (4); per Anaplasma spp. una PCR end point specifica per il gene 16S rRNA (5); per la ricerca dell’RNA del Tick Borne Encephalitis virus il saggio Real time PCR specifico per un tratto della regione 3’ NC (6). INTRODUZIONE Le malattie trasmesse da zecche (MTZ) colpiscono l’uomo e gli animali e molte sono zoonosi. Tali patologie possono evolvere in modo asintomatico e senza conseguenze, oppure manifestarsi con sintomatologia grave. Le MTZ sono in continua espansione in diversi Paesi del mondo e la loro incidenza è aumentata nel corso degli ultimi anni. Tale aumento è strettamente correlato con la sopravvivenza e la diffusione dei vettori che dipendono da diversi fattori climatici e ambientali. I vertebrati domestici e selvatici rivestono un ruolo importante come ospiti di riserva, diffusori naturali del vettore e dell’agente patogeno nel territorio; l’uomo in genere è solo un ospite occasionale (Jongejan et al 2004). La pressione antropica e le migrazioni, comprese quelle di uccelli selvatici possono inoltre favorire le importazioni di nuove specie di zecche dai Paesi vicini (Beugnet et al. 2009). I principali vettori responsabili della trasmissione delle MTZ in Italia sono zecche dure appartenenti ai generi Ixodes, Dermacentor, Hyalomma e Rhipicephalus. Nell’ambito di questo progetto è stata studiata la presenza di 4 patogeni: -virus dell’encefalite trasmessa da zecche -Tick Borne Encephalitis (Flavivirus) - Borrelia burgdorferi s.l. (agente della malattia di Lyme) - Rickettsie del gruppo delle febbri bottonose - Anaplasma phagocitophilum (agente dell’anaplasmosi granulocitica) RISULTATI E CONCLUSIONI a) 2011: Nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola (VCO), sono state raccolte complessivamente 1662 zecche in cerca di ospite (1249 larve, 407 ninfe e 6 adulti) e 105 (solo adulti) dagli animali selvatici, tutte appartenenti alla specie I. ricinus. Un campione di 352 zecche, 327 dall’ambiente e 25 dagli animali, sono state sottoposte ad indagini molecolari. In totale 50 zecche (15.29%; 95% CI 11.39-19.19), tutte catturate nell’ambiente, sono risultate positive per Rickettsia spp., B. burgdorferi s.l., A. phagocytophilum con una prevalenza pari 5.91% (95%CI:2.98.91), 14.35% (95%CI:9.88.18.81) e 2.11% (95%CI:0.28-3.94) rispettivamente (Tab.1). I campioni positivi per B. afzelii e B. garinii (n = 16) sono stati sottoposti a PCR per il sequenziamento del gene OspC e sottoposti ad analisi filogenetica per identificare i gruppi invasivi per l’uomo. La maggior parte dei ceppi di B. afzelii rilevati nel nostro studio (10 su 11) formano un cluster nell’albero filogenetico con sequenze identiche a quelle isolate dagli esseri umani. Tra questi, 9 su 10 sono localizzati in gruppi invasivi, specificamente nei gruppi A2 (n = 6), A5 (n = 1), A6 (n = 1) e A7 (n = 1). Allo stesso modo, 4 su 5 campioni di B. garinii formano un unico clade con le sequenze di riferimento del gene OspC di ceppi invasivi umani, indicati come gruppi G5 (n = 2), G9 (n = 1) e G10 (n = 1). b) 2012: Nel VCO, sono state raccolte dall’ambiente 1530 zecche (1245 larve, 274 ninfe e 11 adulti) tutte appartenenti alla specie I. ricinus. Le indagini molecolari sono tuttora in corso. Nessuna zecca è stata prelevata dagli animali. Complessivamente sono state analizzate negli anni 2011-2012 94 zecche da uomo (4 larve, 59 ninfe e 31 adulti). La maggior parte delle zecche provenivano dalla provincia di VCO (71,5%), seguita da Torino (18%), Vercelli (5,3%), Cuneo (3,2%), Novara e Asti (1%). Tali zecche sono state identificate come Ixodes ricinus (n=72; 77%), Ixodes spp (n=19; 20%), Ixodes hexagonus 1 (1%) MATERIALI E METODI In Piemonte, nella provincia Verbano-Cusio-Ossola (VCO), sono state raccolte le zecche dall’ambiente tramite la tecnica del dragging. La raccolta è stata svolta mensilmente da aprile a settembre, negli anni 2011 e 2012. Nel 2011 sono stati selezionati in totale 13 siti nel territorio dei comuni di Cannobio, CalascaCastiglione e Varzo. Nello stesso anno sono state raccolte 416 quanto riguarda i patogeni, si è registrata un’alta prevalenza di B. burgdorferi s.l. (14.35%), in particolare B. lusitaniae e B. afzelii, nei comuni di Varzo e Calasca- Castiglione. Le zecche raccolte dall’uomo provenienti dal VCO hannoostrato una maggior prevalenza d’infezione rispetto alle altre province. Il patogeno più rappresentato era R. e Rhipicephalus spp 2 (2%). In totale 24 sono risultate positive, 1 proveniente dalla provincia di Vercelli, 3 da quella di Torino, e 20 dal VCO (Tab. 2). Dai risultati preliminari di questo studio è emersa un’abbondante presenza di zecche infette in cerca di ospite nella provincia di VCO, dove I. ricinus è stata l’unico vettore identificato. Per Varzo N° 90 zecche Esaminate Cannobio N° 100 zecche esaminate Calasca-Castiglione N° 137 zecche esaminate VCO 327 zecche esaminate N° + Prevalenza (95%CI) N° + Prevalenza (95%CI N° zecche + Prevalenza (95%CI) N° zecche + Prevalenza (95%CI) Zecche positive B.burgdorferi s.l. 7 7.78% (2.24- 13.31) 1 1.00% (0.00-2.95) 26 18.98% (12.41-25.54) 34 14.35% (9.8818.81) Zecche positive Rickettsia spp. 2 5.56% (0.82-10.29) 7* 4.00% (0.16-7.84) 5** 3.65% (0.51-6.79) 14 5.91% (2.9-8.91) Zecche positive A. phagocytophilum 0 − 3 3.00% (0.00-6.34) 1 0.730% (0.000-2.155) 4 2.11% (0.28-3.94) Tot zecche positive♠ 9 5.88% (0.00-13.79) 11 32 41.38% (31- 51.73) 50 5.00% (0.73-9.27) 15.29% (11.3919.19) Tabella 2 - Prevalenza dei patogeni da zecche su uomo, divise per provincia del Piemonte. *tutte le zecche presentano una co-nfezione con R. monacensis; **in 1 zecca è presente una co-infezione con B. lusitaniae. Torino N=17 Vercelli N=5 VCO N=67 N° Zecche + Prevalenza (95%CI N° Zecche + Prevalenza (95%CI N° Zecche + R. monacensis 3 17.65% (0.00-5.77) 0 − 6 R. conori 0 − 0 − 3* R. helvetica 0 − 0 − 5 A. phagocytophilum 0 − 0 − 3** B. lusitaniae 0 − 0 − 1 B. valaisiana 0 − 0 − 1 B. garinii 0 − 0 − 1 1 20.00% (0.00-55.06) 0 − 20 29.85% (18.89%, 40.81%) B. afzelii totale 0 3 − − 1 Prevalenza (95%CI) 8.96% (2.12%, 15.79%) 4.48% (0.00%, 9.43%) 7.46% (1.17%, 13.76%) 4.48% (0.00%, 9.43%) 1.49% (0.00%, 4.40%) 1.49% (0.00%, 4.40%) 1.49% (0.00%, 4.40%) BIBLIOGRAFIA 1. Beugnet F and Mariè JL. Emerging arthropod-borne diseases of companion animals in Europe Vet Paras 2009; 163: 298-305. 2. Jongejan F and Uilenberg G. The global importance of ticks. Parasitology 2004; 129: S3-S14. 3. Kampen H, Rötzel DC, Kurtenbach K, Maier WA, Seitz HM. Substantial rise in the prevalence of Lyme borreliosis spirochetes in a region of western Germany over a 10-year period. Appl Environ Microbiol. 2004; 70(3):1576-8. monacensis (8.96%), seguita dal R. helvetica (7.46%) e A. phagocytophilum (4.48%). In nessuna zecca, da dragging o da uomo è stato ritrovato il virus della TBE (Tab. 2). Il presente progetto si è limitato allo studio solo di quattro MTZ, su una parte territorio; sarebbe quindi auspicabile ampliare l’indagine anche ad altri patogeni trasmessi da zecche che possono causare malattie importanti nell’uomo coinvolgendo un’area più ampia della Regione. Un monitoraggio a lungo termine consentirebbe inoltre di valutare se la prevalenza di un patogeno stia aumentando in una regione come risultato di fattori climatici ed ecologici come dimostrato in altri Paesi Europei (Kampen et al. 2004). 417 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L. interrogans Serovar Bratislava: primo isolamento in sardegna da un feto bovino 1 Ponti M. N. 1 Palmas B., 1 Noworol M., 1 Canu M., 2 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fig. 1 Pattern di frammenti ottenuti ai VNTR-4 (linee 1, 2, 3) VNRT-7 (linee 4, 5, 6) e VNTR-10 (linee 7, 8, 9), del genoma feto bovino in doppio e del serovar Bratislava rispettivamente. Picardeau M., 1 Carboni G.A., 1 Pedditzi A., 1 Pintore P., 1 Piredda I. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento Sanità Animale, Laboratorio Sieroimmunologia e Gestione Tecnica Piani eradicazione ruminanti, Sassari 2 Institut Pasteur of Paris, Unitè de Biologie des Spirochetès 1 Key Words: Leptospirosi, aborto, bovino ABSTRACT Cattle are considered the main maintenance host for L. borgpetersenii serovar Hardjo in many countries, but in Sardinia the most frequent isolation is referred to L. interrogans serovar Pomona. In this paper we report the first isolation of L. interrogans serovar Bratislava from a bovine fetus. In May 2011 a dairy herd of 120 heads presented some cases of abortion in the last trimester of pregnancy