le fonti rinnovabili di energia e l`utilizzo delle biomasse

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le fonti rinnovabili di energia e l`utilizzo delle biomasse
LE FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA E
L’UTILIZZO DELLE BIOMASSE NELL’AMBITO
DELLA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTRICO
NAZIONALE
6 – Valutazioni economiche in merito
all’implementazione di un sistema di cogenerazione in
un’azienda tipo del comparto legno
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Luigi Zuccaro
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Indice
Introduzione.
1. L’azienda campione.
2. Il fabbisogno di calore.
3. Il consumo di energia elettrica.
4. La produzione di biomassa impiegabile come fonte di energia rinnovabile.
5. Possibili soluzioni per la produzione in cogenerazione di calore ed energia elettrica all’interno dell’azienda di riferimento.
6. L’impianto ad olio diatermico.
7. Considerazioni economiche.
Conclusioni.
Riferimenti bibiliografici.
Introduzione
La cogenerazione da biomasse, ossia la contestuale produzione di energia elettrica ed energia termica dalla degradazione termica
della biomassa, è fra tutti i sistemi di conversione energetica delle biomasse, quello che offre le maggiori prospettive di sviluppo e
l’ampio spazio ad essa riservato, sia a livello normativo che bibliografico, ne è una testimonianza inequivocabile.
Tra tutti i campi di applicazione, però, ne esiste uno in particolare in cui i vantaggi di questa tecnologia sono più evidenti che in altri:
trattasi dello sfruttamento a fini cogenerativi dei residui del ciclo produttivo delle industrie di trasformazione del legno. Tali vantaggi
possono essere distinti in:
ü Vantaggi propri di tutte le fonti rinnovabili:
o Sostenibilità ambientale;
o Sicurezza nell’approvvigionamento;
o Minore dipendenza dall’estero;
o Diversificazione delle fonti energetiche;
ü Vantaggi propri delle biomasse:
o Bilancio zero di emissioni di anidride carbonica;
o Ampia disponibilità sul territorio;
o Possibilità di sfruttamento di residui difficili e onerosi da smaltire;
ü Vantaggi propri della cogenerazione:
o Possibilità di combinare produzione di energia elettrica e calore;
ü Vantaggi propri della cogenerazione in ambito industriale:
o Biomassa concentrata in loco:
§
Costi di trasporto nulli;
§
Costi della materia prima nulli;
o Materiale molto secco (umidità compresa tra il 10 e il 14 per cento).
Circa i vantaggi propri delle biomasse e della cogenerazione da biomasse, la bibliografia è ricca di esempi; in questa sede, invece,
meritano un cenno particolare i vantaggi propri della cogenerazione in ambito industriale. Risulta evidente, infatti, che la possibilità
di sfruttare i residui del ciclo produttivo per alimentare un impianto di cogenerazione a biomasse, non è solamente in grado di
assicurare ad un’azienda l’autosufficienza energetica, ma individua anche una valida alternativa allo smaltimento degli stessi. In altre
parole vi è la possibilità di trasformare delle voci di costo (spese di approvvigionamento energetico e spese di smaltimento rifiuti) in
voci di profitto, o meglio mancate spese (che poi è più o meno la stessa cosa). Tra l’altro la biomassa ligno-cellulosica di risulta dal
ciclo produttivo delle industrie del comparto legno, è caratterizzata da un’elevata omogeneità ed una bassa umidità, con conseguenti
vantaggi rispettivamente dal punto di vista della taratura dell’impianto e del potere calorifico della biomassa stessa. In più questa è
concentrata nello stesso luogo in cui verrà poi bruciata, senza necessità di dover sostenere onerose spese di trasporto le quali, in virtù
della bassa massa volumica del materiale in questione, inciderebbero in maniera rilevante sulla convenienza economica dell’interno
impianto.
Il problema, fino ad ora, è stato che l’interesse dei ricercatori si è concentrato esclusivamente sugli impianti di grossa taglia per i
quali, comunque, in più di un’occasione è stata dimostrata la loro sostenibilità dal punto di vista tecnico, energetico, economico ed
ambientale. Nulla è stato fatto, invece, per quelli di piccola taglia, cioè quelli adatti per le piccole e medie imprese, che rappresentano
la stragrande maggioranza nel panorama italiano delle industrie di trasformazione del legno. Da qui la necessità di indagare sulle
possibilità offerte dalla tecnologia e dai nuovi strumenti statali di promozione delle fonti rinnovabili, circa la possibilità di
implementare in modo economicamente conveniente un impianto di cogenerazione a biomasse anche in una piccola azienda
campione del comparto legno.
1. L’azienda campione
L’azienda scelta come riferimento per la nostra analisi, la G. R. Sistemi Arredi S.a.s., per dimensioni, fatturato e volume di
produzione, può essere considerata come un esempio tipico della realtà industriale italiana ed in particolare del comparto legno.
Tuttavia, la grande attenzione rivolta dal vertice aziendale nei confronti della qualità dei prodotti, nonché la radicata sensibilità verso
le più scottanti tematiche circa l’inquinamento atmosferico e l’uso delle fonti rinnovabili di energia, costituiscono al tempo stesso
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elementi caratterizzanti per la stessa e distintivi dalla media nazionale, in virtù dei quali la G. R. Sistemi Arredi S.a.s. si pone come
azienda ideale per verificare sul campo le effettive possibilità di implementazione di un impianto di cogenerazione a biomasse.
In azienda, infatti, esiste già un sistema di sfruttamento energetico dei residui di lavorazione; si tratta di un sistema volto alla
esclusiva produzione di calore per il riscaldamento degli ambienti dello stabilimento, il quale, però, non riesce a smaltire tutto il
materiale di scarto prodotto in azienda, creando non pochi problemi di smaltimento del surplus di biomassa.
La volontà (o meglio, la necessità) di trovare impieghi alternativi al semplice smaltimento come rifiuti di questa risorsa, anche alla
luce di un futuro aumento di produzione, e quindi anche di rifiuti, ha trovato valido impulso nelle possibilità offerte dalla recente
riforma del mercato elettrico e del sistema di promozione delle fonti rinnovabili, con particolare riferimento alla produzione in
cogenerazione di calore ed energia elettrica. Ovviamente, il corretto dimensionamento dell’impianto e l’analisi relativa alla sua
fattibilità economica presuppone un intenso lavoro di base ed è il frutto di un percorso i cui passaggi fondamentali sono:
ü Quantificazione dei consumi attuali di calore ed energia elettrica, per poi passare alle previsioni circa il fabbisogno futuro di
entrambe le forme di energia, alla luce della prevista prossima espansione dell’azienda.
ü Quantificazione dei residui, ovviamente facendo riferimento, anche in questo caso, ai futuri livelli di produzione, al fine di
valutare l’energia chimica potenzialmente a disposizione per essere convertita in calore ed energia elettrica.
ü Dimensionare l’impianto e, alla luce dei preventivi di spesa, fare le dovute valutazioni economiche.
Per queste ultime, si procederà con il già collaudatissimo approccio incrementale.
2. Il fabbisogno di calore
In presenza di un sistema di riscaldamento tradizionale, a gas metano o a gasolio, calcolare il fabbisogno di calore sarebbe stato
estremamente semplice: sarebbe bastato consultare tutte le bollette di un anno per calcolare i consumi annui di energia termica. In
realtà, come si accennava già in precedenza, sono ormai diversi anni che l’azienda sfrutta gli scarti del suo processo produttivo per
riscaldare gli ambienti dello stabilimento. Purtroppo, però, non è mai stata tenuta nessuna contabilità sull’energia prodotta, né sulla
biomassa bruciata.
Inoltre, c’è un altro problema: l’azienda è in forte espansione e quindi nel prossimo futuro i consumi saranno sicuramente maggiori,
tanto è vero che nelle intenzioni del vertice aziendale c’era la volontà di acquistare una nuova caldaia; prima, ovviamente, di scoprire
la cogenerazione.
Allo stato attuale, la caldaia, della potenza di 450.000 kCal/h (523 kW) al focolare, è appena sufficiente per riscaldare uno
stabilimento di 2.500 m2, corrispondenti a poco meno di 14.000 m3, se consideriamo un’altezza media di 5,5 m.
Per la fine del 2005 è previsto l’inizio dei lavori per la costruzione di un nuovo capannone, contiguo a quello attualmente presente, di
2.400 m2, corrispondenti a 13.200 m3. A conclusione dei lavori, la superficie da riscaldare ammonterà complessivamente a 4.900 m2,
pari ad un volume di 27.000 m3. In più, è previsto l’acquisto di due essiccatoi da 50 m3 ciascuno, richiedenti ognuno una potenza
termica di 180.000 kCal/h (209 kW), necessaria per riscaldare l’acqua fino a 90 gradi Centigradi, e di una pressa ad alta frequenza
della potenza elettrica di 50 kW. La pressa sfrutta l’energia elettrica per riscaldare dell’olio diatermico, il quale, a sua volta, riscalda
due piani di acciaio di superficie 1,3 x 4,5 m e 10 cm di spessore, a temperature di esercizio di 80 gradi Centigradi. Immaginando di
avere a disposizione un impianto di cogenerazione ad olio diatermico si potrebbe pensare di sfruttare il circuito dell’impianto di
cogenerazione stesso per riscaldare le piastre della pressa, senza passare dall’energia elettrica. Anche la pressa, dunque, rientra tra le
utenze del calore.
A fronte di tutte queste considerazioni, è stato calcolato il fabbisogno, in termini di potenza termica, per l’intera azienda, nelle sue
dimensioni definitive, suddividendo le utenze come segue:
ü Utenze per l’acqua calda (a temperatura di 90 gradi Centigradi):
o Riscaldamento stabilimento di 27.000 m3. Il calcolo della potenza necessaria per riscaldare lo stabilimento è stato
effettuato sulla base della potenza attualmente richiesta per il solo riscaldamento, impostando una semplice
proporzione: se per riscaldare un ambiente di 14.000 m3 occorre una potenza termica al focolare di 523 kW, per
riscaldarne uno avente le stesse caratteristiche, ma di 27.000 m3 ne occorre una di 1000 kW. Considerando per
tali impianti un rendimento pari all’90 per cento, deduciamo la potenza termica richiesta all’acqua calda, che è di
900 kW;
o Riscaldamento circuito dell’acqua calda degli essiccatoi: la potenza termica richiesta è un dato fornito dal
produttore stesso e complessivamente ammonta a circa 420 kW, che equivale ad una potenza termica al focolare
di circa 450 kW, considerando sempre un rendimento dell’90 per cento;
ü Utenze per l’olio diatermico:
o Pressa ad alta frequenza: circa 40 kW, con un rendimento nel passaggio da energia elettrica ad energia termica
all’olio diatermico dell’80 per cento.
Complessivamente, dunque, si richiede una potenza termica disponibile in acqua di circa 1.300 kW ed i dati corrispondono grosso
modo ad un calcolo effettuato dall’ufficio tecnico dell’azienda, che aveva previsto, per il solo riscaldamento dello stabilimento di
27.000 m3 e del circuito dell’acqua calda dei due essiccatoi, una caldaia da 1.200.000 kCal/h, pari a circa 1.400 kW. Nel
dimensionamento della caldaia, però, bisognerà considerare anche la quota parte di potenza termica disponibile all’olio diatermico
che verrà assorbita dalla pressa, pari a circa 40 kW.
L’unico problema è rappresentato dal fatto che gran parte della domanda di calore è soggetta a forti fluttuazioni stagionali. Il
riscaldamento dello stabilimento, infatti, è necessario solo per un periodo di tempo pari a 6-7 mesi, per cinque giorni la settimana e
16 ore al giorno1 e costituisce pertanto, se non un carico di picco, almeno un carico medio. Il carico di base, invece, rappresentato
dalla pressa e dagli essiccatoi, è piuttosto esiguo e ciò ha creato non pochi problemi in fase di dimensionamento dell’impianto.
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La produzione giornaliera si articola in due turni da otto ore ciascuno.
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3. Il consumo di energia elettrica
Anche in questo caso i dati sono il frutto di previsioni fatte sulla base dei consumi attuali, questa volta facilmente deducibili dalle
bollette ENEL, in relazione al previsto ampliamento dell’azienda ed all’acquisto di altri macchinari.
Attualmente, l’azienda consuma mediamente 10.000 kWh al mese, pari a 120.000 kWh all’anno, con una spesa mensile di circa
1.700 €, pari a 20.000 € ogni anno. Il contratto attuale con l’ENEL prevede un prelievo massimo di potenza pari a 100 kW, ma si
prevede che in futuro, a seguito dei predetti ampliamenti, sarà necessaria una potenza di 250-300 kW, per far fronte a consumi
dell’ordine dei 300.000 kWh all’anno.
La spesa annuale prevista, ferme restando le tariffe attualmente praticate dall’ENEL, pari a circa 167 €/MWh2, ammonta a 50.000 €,
ma sarà destinata sicuramente a diminuire in virtù della liberalizzazione del mercato e dall’acquisizione, a partire dal 1 luglio 2004,
della qualifica di cliente idoneo per tutti gli utenti non domestici.
4. La produzione di biomassa impiegabile come fonte di energia rinnovabile
Come risulterà facilmente intuibile, la biomassa tipicamente disponibile per le industrie di trasformazione del legno, per quanto
riguarda un suo sfruttamento a fini energetici, consiste in tutti gli scarti che inevitabilmente accompagnano il processo produttivo.
Nel nostro caso specifico, l’azienda si occupa di produzione di strutture in legno lamellare, di pannelli in legno e di arredo in legno
impregnato in autoclave sottovuoto. Gli scarti derivanti da queste attività sono di quattro tipi:
ü Segatura e truciolo provenienti dalle operazioni di piallatura e scorniciatura meccanizzate del legname, relativamente alla
produzione del legno lamellare o di altro materiale a base di legno. La raccolta di questi residui è automatizzata, grazie alla
presenza di un sistema di aspirazione ad aria compressa direttamente collegato ad ogni macchinario, che provvede al loro
trasferimento in tempo reale in un silos di stoccaggio;
ü Segatura e truciolo provenienti dalle operazioni di piallatura manuale su elementi finiti in lamellare di grosse dimensioni o
di forma particolare (ad esempio curva). In questo caso, la raccolta avviene manualmente, in sacchi che poi vengono
vuotati all’interno del silos di stoccaggio. In ogni caso il loro peso è trascurabile, pertanto vengono considerate all’interno
della segatura e del truciolo provenienti dalle operazioni di piallatura e scorniciatura meccanizzate;
ü Sfrido da sagomatura degli elementi semilavorati. In questo caso si tratta non più di legno ridotto in piccole scaglie, bensì
di veri e propri elementi in legno massello i quali per forma e dimensioni, difficilmente possono essere riciclati, ma
possono venire facilmente triturati e stoccati nel solito silos;
ü Sfrido da ottimizzazione delle tavole che andranno a formare le lamelle, nelle strutture in legno lamellare. Anche in questo
caso la raccolta avviene manualmente.
Altre differenze potrebbero essere individuate, oltre che nell’origine dello scarto, nella specie legnosa di appartenenza, tuttavia, in
azienda, se è vero che si lavora legname di larice, pino silvestre, iroko, è anche vero che la stragrande maggioranza del volume di
materiale giornalmente impiegato per la produzione appartiene all’abete bianco, cosicché possiamo affermare senza rischi di avere a
che fare con una biomassa estremamente omogenea da questo punto di vista. Essa, inoltre, presenta altre favorevoli caratteristiche, tra
le quali spiccano:
ü La presenza in grandi quantità concentrata in azienda;
ü Un’umidità molto bassa, compresa tra il 10 e il 14 per cento, grazie all’uso di tavole preventivamente essiccate, secondo
quanto imposto dalle normative sulle strutture in legno.
Calcolare l’ammontare di tutta questa biomassa è stato semplicissimo: è bastato seguire, per un certo periodo di tempo, tutti i
passaggi delle attività caratterizzanti l’azienda e annotare il volume di materiale in uscita da ciascuno di essi, per poi rapportarlo al
volume grezzo totalmente impiegato. Il valore del rapporto, moltiplicato per cento, rappresenta una misura dell’efficienza nell’uso
della materia prima, costituita essenzialmente da tavole grezze in legno massello. Ricordiamo che, per quanto minime, le perdite non
potranno mai essere ridotte a zero.
La differenza di volume tra il materiale in ingresso e il materiale in uscita, per ogni singolo passaggio, non è altro che la biomassa
classificata in ognuna delle diverse tipologie elencate in precedenza.
In teoria si poteva risalire all’ammontare della biomassa in modo ancora più semplice e sbrigativo, e cioè valutare in quanto tempo il
silos, che attualmente ha una capacità di 90 m3, si riempie completamente. Tuttavia ciò non è stato possibile in quanto, allo stato
attuale, non avendo a disposizione un trituratore, viene stoccata solo la segatura prelevata dall’impianto di aspirazione; la restante
parte viene smaltita in modo diverso. Per tale motivo, è stato necessario operare in modo diverso e pervenire indirettamente al valore
richiesto.
Dalle osservazioni effettuate in azienda, è emerso che, su un volume di circa 158 m3 di legname grezzo lavorati quotidianamente,
almeno il 10 % viene perso nella sola fase di ottimizzazione; dei rimanenti 142 m3, che passano alla fase di piallatura e scorniciatura,
solo il 78,84 per cento diventerà un semilavorato, e di questo 78,84 per cento, tolta una quota pari al 5 per cento nella successiva fase
di piallatura manuale e sagomatura di questi elementi, solo il 95 per cento diventerà un prodotto finito.
Per un maggiore dettaglio circa la percentuale di legno perso per ogni operazione o la distribuzione percentuale della biomassa tra le
diverse tipologie, si consultino le tabelle 1 e 2.
Rendimento nei diversi passaggi del ciclo produttivo
Legno grezzo
Legno ottimizzato
Legno piallato e scorniciato
Legno sagomato
2
% in volume
100,00
90,00
70,96
67,40
Volume (m3/g)
158
142
112
106
Peso (t/g)
70,9
63,8
50,4
47,8
Costo medio comprensivo dell’incidenza delle spese fisse presenti in bolletta.
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Totale scarti
32,60
47,5
12,4
Tabella 1
Tipologie di biomassa
Totale scarti
Ottimizzazione
Piallatura e scorniciatura
Sagomatura
% in volume
100,00
33,68
63,16
3,16
Volume (m3/g)
47,5
16,0
30,0
1,5
Peso (t/g)
12,4
7,2
4,5
0,7
Tabella 2
Riassumendo, dei 158 m3 di legname lavorati giornalmente, il 32,6 per cento viene perso sottoforma di scarto e può essere impiegato
come fonte di energia termica ed energia elettrica. L’ammontare giornaliero complessivo di questa biomassa è dunque di 47,5 m3,
pari a 12,3 tonnellate. Ovviamente, segatura e legno massello hanno massa volumica completamente diversa: un metro cubo di
segatura pesa infatti circa 150 kg, mentre un metro cubo di legno massello di Abete rosso ne pesa 450. Tali differenze sono state
ovviamente prese in considerazione in fase di conversione da volume a peso.
Anche in questo caso, ovviamente, il dato è relativo alla situazione attuale. Tenendo conto dei futuri miglioramenti aziendali, infatti,
la disponibilità di biomassa verrà ad essere presumibilmente raddoppiata ed il suo smaltimento costituirà un problema davvero
spinoso. Un problema risolvibile grazie al suo sfruttamento energetico.
5. Possibili soluzioni per la produzione in cogenerazione di calore ed energia elettrica nell’azienda di riferimento
Normalmente, il concetto base che regola il funzionamento e la progettazione degli impianti di cogenerazione è che la produzione di
elettricità segue il recupero termico, che può essere sfruttato per fornire energia termica ad un impianto di teleriscaldamento. In altre
parole il dimensionamento della caldaia e del generatore viene fatto solamente in funzione della domanda di calore, secondo un
sistema definito come “guidato dal calore” (o heat driven): si soddisfa la richiesta di calore e si sfrutta l’energia elettrica prodotta di
conseguenza; se questa è in eccesso, allora la si vende, se invece è in difetto, allora si compensa tale deficit acquistandola dall’ENEL.
Tuttavia, nel caso specifico dell’azienda presa in esame, l’applicazione di questo sistema non risulta molto semplice, a causa di una
domanda di calore fortemente stagionale.
A questo punto le soluzioni sono due: o si dimensiona l’impianto per coprire tutto il fabbisogno di calore, sapendo che esso lavorerà
in modalità a cogenerazione pura solamente per 6-7 mesi l’anno e in modalità a dissipazione del calore per la restante parte del
tempo, oppure si dimensiona l’impianto esclusivamente in funzione del carico di base, pur sapendo che la domanda base di calore è
piuttosto bassa e che la produzione di energia elettrica difficilmente riuscirà a coprire tutto il fabbisogno. Nel primo caso, invece, la
produzione di energia elettrica presumibilmente sarà in eccesso rispetto al fabbisogno aziendale, e perciò potrà essere immessa in
rete.
Nel primo caso, si valuta la convenienza economica circa l’implementazione di un impianto di cogenerazione ad olio diatermico, per
il secondo, invece, si apre la strada alla micro-cogenerazione con sistema Stirling. Tuttavia, nel presente lavoro è stata presa in
considerazione solo la prima soluzione, per ragioni essenzialmente legate al livello di maturità raggiunto dalla cogenerazione con
impianti ad olio diatermico rispetto alla tecnologia Stirling, la quale risulta essere ancora in una fase di sperimentazione.
6. L’impianto di cogenerazione ad olio diatermico
La tecnologia che permette la produzione di calore ed elettricità in cogenerazione attraverso impianti ad olio diatermico è attualmente
quella più diffusa, ma anche quella migliore presente sul mercato. Si tratta di un sistema economicamente e tecnicamente molto
efficiente di produzione combinata di calore ed energia termica in un ampio spettro di potenze, da pochi kW a 1.500 kW.
Più nel dettaglio, si tratta di una tecnologia basata sul cosiddetto Organic Rankine Cycle (ORC) che prevede l’impiego, in
sostituzione dell’acqua, di un fluido organico come mezzo intermedio di trasmissione dell’energia dalla camera di combustione, e in
particolare dall’olio diatermico, alla turbina.
I passaggi del processo di trasformazione della biomassa possono essere così riassunti (fig. 1):
ü Combustione della biomassa. La biomassa viene bruciata in caldaie costruite secondo le migliori tecniche in uso, al fine di
garantirne sicurezza, affidabilità, pulizia e efficienza d’uso. A tale scopo tutte le caldaie sono dotate di una vasta gamma di
accessori quali filtri, sistemi di controllo, raccoglitori automatici delle ceneri, sistemi di alimentazione automatica della
biomassa, ecc.
ü Trasferimento del calore all’olio diatermico. L’uso dell’olio diatermico come mezzo intermedio di trasferimento del
calore, come abbiamo visto in precedenza, consente di operare in condizioni di bassa pressione nella caldaia, di avere
un’elevata resistenza ed insensibilità ai cambi di carico e di semplificare al massimo il funzionamento ed il controllo
dell’impianto. Inoltre, le basse temperature d’esercizio (circa 300 gradi Centigradi) assicurano una durata estremamente
lunga all’olio diatermico, pari a quella di tutto l’impianto. Da non dimenticare, ovviamente, è anche la possibilità di operare
senza personale altamente qualificato e patentato, come previsto invece dalla normativa comunitaria per gli impianti a
vapore.
ü Produzione di energia elettrica e recupero del calore. L’olio diatermico cede il calore ad un fluido operante, all’interno del
generatore; il fluido si espande e muove la turbina, con conseguente produzione di elettricità. Il fluido in uscita cede il
calore residuo all’acqua che, raggiunti gli 80-90 gradi Centigradi, può essere sfruttata per fornire calore ad un “distretto del
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calore” o più semplicemente per riscaldare uno stabilimento (o addirittura raffrescarlo d’estate). L’uso di un fluido operante
di composizione adeguata e l’ottimizzazione del progetto dell’impianto, consentono di avere alta efficienza ed affidabilità.
Figura 1: componenti di un impianto di cogenerazione ad olio diatermico (Fonte Bini, Gaia, Duvia, Schwartz, Bertuzzi,
Righini, 1998)
Per soddisfare il fabbisogno di calore, almeno per quanto riguarda le utenze del acqua calda, come già affermato nei paragrafi
precedenti, è richiesta una potenza termica all’acqua calda di 1300 kW, che è possibile fornire solo utilizzando una caldaia in grado
di sviluppare una potenza termica al focolare di almeno 2.400 kW.
Purtroppo, però, quando si dimensiona un impianto è necessario fare i conti non solo con le esigenze intrinseche di energia, ma anche
con le disponibilità del mercato, che spesso non sono in grado di coprire un’elevata gamma di potenze. Da ricerche di mercato
effettuate tra i produttori italiani ed austriaci di impianti di cogenerazione ad olio diatermico, risulta che gli impianti più piccoli
hanno potenze termiche al focolare non inferiori a 3500 kW, in grado di sviluppare potenze elettriche dell’ordine dei 450 kW.
Un tale impianto risulta chiaramente sovradimensionato, ma nonostante questo abbiamo provato ugualmente a verificarne la
convenienza economica.
L’impianto preso in considerazione, è composto da:
ü Vasca di stoccaggio ed alimentazione biomassa;
ü Forno a griglia mobile;
ü Caldaia a recupero ad olio diatermico;
ü Economizzatore;
ü Impianto di aspirazione e filtrazione dei fumi;
ü Skid contenente il turboalternatore;
ü Scambiatore olio/acqua;
ü Dissipatore acqua/aria;
ü Pipino olio e acqua in centrale termica;
ü Impianto elettrico di collegamento quadri/macchine.
Vediamo più in dettaglio le caratteristiche dei suddetti componenti.
Vasca di stoccaggio e alimentazione biomassa
La vasca di stoccaggio per la biomassa è concepita per avere una autonomia di almeno 48 ore di funzionamento senza che alcun
operatore effettui un carico. Detta vasca, costruita in cemento armato, dovrà avere una capienza di almeno 200 m3; le dimensioni
praticamente dovrebbero essere circa 14 m di lunghezza per 6,5 di larghezza per una altezza di 3 m utili.
La vasca può essere caricata sfruttando il sistema di raccolta della segatura già presente in azienda.
All’interno di detta vasca viene installato un sistema di estrazione idraulico che viene comandato direttamente dal quadro della
caldaia in funzione della sua necessità. Il materiale cade poi in un nastro a spintore per essere convogliato direttamente all’interno del
forno a griglia tramite un pistone idraulico.
Forno a griglia mobile
Il materiale, attraverso lo spintore, viene introdotto nella camera di combustione a griglia mobile; detta camera è interamente rivestita
di materiale refrattario resistente alle alte temperature (1500 °C) dove avviene la combustione.
La griglia, formata di barotti in ghisa al cromo, viene mossa da un sistema idraulico e la funzione principale del movimento
alternativo è quella di avere una ottimizzazione della combustione delle biomasse.
Il materiale che può essere introdotto all’interno del forno può avere una umidità fino al 50% (50% di secco e 50% di acqua).
Alla fine della griglia le ceneri cadono in una coclea per essere convogliate automaticamente all’esterno del forno in un apposito
contenitore.
Un quadro elettrico provvisto di PLC provvede in automatico a tutte le regolazioni della combustione e del fabbisogno termico al
fine di ottenere una totale e completa combustione delle biomasse.
I gas di combustione poi vengono inviati, tramite un condotto refrattariato, direttamente al sistema di recupero.
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Caldaia a recupero ad Olio Diatermico
I gas di combustione in uscita dal forno a griglia entrano in una camera interamente rivestita di tubi dove all’interno degli stessi
circola l’olio diatermico. La prima camera di irraggiamento viene dimensionata in modo tale da abbattere la temperatura dei fumi al
punto di far ricadere tutte le particelle in sospensione evitando così l’immediato intasamento nei fasci tubieri successivi. Nella parte
inferiore delle camere sono installati dei sistemi automatici per la estrazione delle ceneri. La caldaia è provvista di tutti gli accessori
necessari al suo funzionamento comprese le pompe di circolazione dell’olio.
Economizzatore
A seguito della alta temperatura dei fumi in uscita della caldaia ad olio diatermico si rende necessario, per avere un ulteriore recupero
calorico, l’installazione di un economizzatore ad acqua che potrà essere dimensionato a seconda delle esigenze di recupero, per
ottenere temperature dell’acqua di 110°C oppure di 80°C. Questo economizzatore è del tipo a tubi di fumo verticale con estrazione
automatica delle ceneri. La soluzione dei tubi di fumi verticale è molto valida in quanto ne aumenta l’efficienza di durata prima di
essere pulito.
Impianto di aspirazione e filtrazione fumi
I fumi, dopo aver ceduto tutto il calore, vengono inviati al sistema di depurazione.
Per questa tipologia di impianto la normativa vigente non è molto restrittiva per quanto concerne le emissioni in atmosfera. Per i
microinquinanti la ottima combustione ottenuta nel forno a griglia riesce ad abbatterli tutti senza grossi problemi mentre per i
macroinquinanti (Polveri e Ceneri) e sufficiente installare un multiciclone di adeguate dimensioni per poter rientrare nelle norme.
L’impianto lavora in depressione che viene gestita da un aspiratore fumi installato a valle di tutti i componenti provvisto di inverter.
I fumi poi vengono convogliati ad un camino di adeguata altezza con piattaforma per il prelievo delle analisi dei fumi.
Skid turboalternatore
Il calore contenuto nell’olio diatermico che arriva dalla caldaia a recupero serve per far evaporare un liquido siliconico che a sua
volta, entrando in una speciale turbina collegata all’asse di un alternatore, produce energia elettrica. A valle della turbina è necessario
condensare questo gas in liquido siliconico asportando del calore facendo circolare dell’acqua. Il calore ceduto all’acqua è in pratica
l’energia termica che può essere utilizzata per il riscaldamento oppure raffreddata in caso di nessun recupero.
Nello Skid sono istallate tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche per collegarsi in parallelo con la rete elettrica e tutti i
controlli per la corretta gestione dell’impianto (fig. 2).
Figura 2: turbogeneratore ORC (fonte Duvia, Gaia, 2002)
Scambiatore olio/acqua
Nella eventualità venga utilizzato l’impianto per il riscaldamento è indispensabile, per una eventuale emergenza della turbina,
installare uno scambiatore olio/acqua per garantire il servizio di continuità di erogazione di acqua calda. Lo scambiatore sarà
provvisto di tutte le valvole di regolazione e controllo per il suo corretto funzionamento.
Dissipatore acqua/aria
Per un corretto funzionamento del sistema di produzione di Energia elettrica è indispensabile che tutto il calore prodotto, sotto forma
di acqua calda, venga completamente smaltito. Se per vari motivi l’impianto di riscaldamento non dovesse assorbire tutto il calore
prodotto, per non penalizzare la produzione di energia elettrica, è necessario dissipare il calore in eccedenza installando uno
scambiatore acqua/aria di adeguate dimensioni all’esterno della Centrale Termica.
Piping olio acqua
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Nell’offerta sono state considerate anche le voci riguardanti la fornitura e installazione di tutte le tubazioni di collegamento tra i vari
componenti sia dell’olio che dell’acqua relativamente all’interno della Centrale Termica.
Sono esclusi i collettori e le linee riguardanti l’eventuale utilizzo dell’acqua calda alle varie utenze all’esterno della centrale termica.
Impianto elettrico
Come per il piping nel prezzo è stato considerato anche la fornitura e la posa dell’impianto elettrico per il collegamento dai vari
quadri alle macchine installate in centrale termica.
Dati tecnici impianto
ü Potenza termica al focolare: 3.650 kW;
ü Potere calorifico biomassa: 4000 kCal/kg:
ü Portata materiale combustibile (biomassa): 780 kg/h;
ü Umidità della biomassa: 10-14 %;
ü Potenza resa all’olio diatermico: 2.550 kW;
ü Potenza elettrica prodotta: 450 kW;
ü Potenza termica disponibile in acqua: 2.025 kW;
ü Portata acqua calda: 24,4 kg/s;
ü Temperatura acqua di recupero: 60-80°C;
ü Potenza economizzatore: 500 kW;
ü Temperatura acqua economizzatore: 90-110°C;
ü Potenza elettrica assorbita (autoconsumo): 80 kW.
Un impianto del genere richiede un investimento di circa 2.650.000,00 €, comprensivo del costo della caldaia, del turboalternatore,
oltre che di tutte le condotte e delle opere civili necessarie per istallare l’impianto.
7. Considerazioni economiche
Come per la maggior parte dei casi studio presenti nella bibliografia della cogenerazione da biomasse, anche in questa circostanza si
è ritenuto opportuno procedere alla valutazione economica, circa la convenienza o meno dell’istallazione del suddetto impianto di
cogenerazione, con il cosiddetto approccio incrementale.
Tale approccio consiste nel prendere in considerazione esclusivamente i costi aggiuntivi, ed i relativi redditi, derivanti dall’impianto
di un sistema di cogenerazione a biomasse, al posto un semplice impianto di teleriscaldamento, sempre a biomasse. La ragione di ciò
va ricercata nel fatto che la cogenerazione a biomasse basata sul sistema ORC è molto simile al semplice riscaldamento a biomasse: i
punti critici, le logiche di controllo, le richieste, in termini di personale, circa l’esercizio e la manutenzione dell’impianto, sono infatti
le stesse.
I risultati degli studi condotti sulle sempre più numerose esperienze sul campo, mostrano inequivocabilmente che, non solo il metodo
è semplice ed efficace, ma che l’abbinamento energia elettrica e calore funziona anche dal punto di vista più strettamente economico.
Anzi, ciò che emerge chiaramente da queste analisi è che nella maggior parte dei casi in cui è possibile istallare un impianto di
riscaldamento a biomasse, l’opportunità di impiantare un’unità di cogenerazione costituita da un turbogeneratore ORC può essere
considerata come una valida alternativa da studiare in modo più approfondito.
Come termine di paragone è stato usato un impianto costituito da una caldaia a biomasse della potenza, al focolare, di 1400 kW, il cui
costo d’impianto, comprensivo di tutte le condotte, le opere civili (tra cui un silos di 200 m3), ecc., è pari a 225.000,00 €.
Tra i costi aggiuntivi, abbiamo considerato:
ü I costi aggiuntivi di investimento;
ü I costi aggiuntivi di manutenzione;
ü I costi aggiuntivi di personale;
ü I costi aggiuntivi di amministrazione ed assicurazione;
ü I costi aggiuntivi derivanti da un maggior consumo di biomassa;
ü I costi aggiuntivi derivanti da un maggior fabbisogno di materiale soggetto a consumo (olio, ecc.)
ü I costi dell’approvvigionamento di energia elettrica.
Tra i ricavi aggiuntivi, invece, abbiamo considerato:
ü I proventi relativi alla vendita dell’energia elettrica, al netto di quella assorbita per l’autoconsumo dell’azienda e
dell’impianto stesso;
ü I proventi relativi alla vendita dei Certificati Verdi, per gli otto anni successivi alla messa in funzione dell’impianto.
Tutte le voci sono state calcolate su base annua, in modo da poter realizzare un bilancio annuo tra costi aggiuntivi e ricavi aggiuntivi.
Si tratta di voci annuali fisse, che non cambiano da un anno all’altro, eccezion fatta per i Certificati Verdi, la cui emissione non è più
possibile a partire dall’ottavo anno in poi dalla messa in funzione dell’impianto.
Qualche chiarimento in più meritano i costi aggiuntivi di personale e i costi aggiuntivi derivanti dal maggior consumo di biomassa.
Per quanto riguarda i primi bisogna aggiungere che essi non sono assolutamente legati alla necessità di assumere personale altamente
qualificato, dotato di patentino, come richiesto dalla normativa europea nel caso degli impianti di cogenerazione a vapore. Gli
impianti ad olio diatermico, infatti, possono essere tranquillamente gestiti dallo stesso personale preposto alla gestione delle caldaie
ad acqua calda per il solo riscaldamento. Gli impianti ad olio diatermico, inoltre, sono molto affidabili, almeno quanto i tradizionali
impianti di produzione del calore, e gli interventi di manutenzione, in genere, si riducono a normali operazioni periodiche di controllo
o di pulizia, per lo più concentrate sulla caldaia. Le differenze in termini di costo del personale, pertanto, sono piuttosto limitate, ed
ammontano in particolare a sole 5 ore in più alla settimana.
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Per quanto attiene invece il consumo di biomassa, è scontato che un impianto di cogenerazione che sviluppa una potenza termica al
focolare di 3.650 kWt, consuma molto di più che non un impianto di sola produzione del calore in grado di sviluppare 1.400 kWt. In
particolare, l’impianto di cogenerazione richiede 780 kg/h di materiale, mentre l’impianto di riscaldamento ne richiederà solamente
300 kg/h. Inoltre, mentre l’impianto di cogenerazione deve funzionare 24 ore su 24 a pieno carico, per non penalizzare la produzione
di energia elettrica e mantenersi entro i limiti della sostenibilità economica, l’impianto di riscaldamento funziona a pieno carico solo
quando richiesto, e cioè per 6-7 mesi l’anno. Per il rimanente periodo dell’anno deve soddisfare solo il fabbisogno base di calore il
quale, come abbiamo già avuto modo di vedere, è piuttosto esiguo.
Sulla base di pochi semplicissimi calcoli si nota pertanto come, a fronte di un consumo annuo di biomassa pari 60 tonnellate per
l’impianto di riscaldamento, l’impianto di cogenerazione solo in un giorno ne consumi 18 tonnellate. Il consumo annuo di biomassa è
pari, invece, a 6.833 tonnellate, ma è coperto senza problemi dalla futura produzione dello stabilimento.
Tale biomassa, essendo un prodotto di scarto del ciclo produttivo, ha un costo zero per l’azienda; tuttavia, nonostante questo, in fase
di quantificazione dei costi aggiuntivi, non si può non tener conto del fatto che questa notevole quantità di materiale, nel caso in cui
non dovesse essere impiegata interamente a fini energetici, può essere impiegata efficacemente in un altro modo. Fintanto che i
residui ligno-cellulosici del ciclo produttivo delle industrie di trasformazione del legno erano considerati dei rifiuti, infatti, questi
dovevano essere smaltiti dall’azienda, che quindi era costretta a sopportare dei costi non certo irrilevanti; ma da quando le biomasse,
compresi i residui di cui sopra, sono state elevate al rango di fonti rinnovabili di energia, cominciano ad avere un discreto, seppur
limitato, mercato. Il valore attuale di mercato della segatura e del truciolo è di circa 1,00 € al quintale. Ovviamente, la biomassa può
avere altri mille impieghi diversi dal semplice sfruttamento energetico; l’importante è tener conto del fatto che ormai non rientra più
tra le voci di costo, ma spesso la troviamo fra le fonti di guadagno.
Tornando al discorso dei costi aggiuntivi derivanti da un maggior consumo di combustibile, dunque, non si può non tener conto del
fatto che istallando in azienda un semplice impianto di riscaldamento, tutta la biomassa in eccesso potrebbe essere venduta al prezzo
di mercato. Il problema è: in che voce di bilancio inserire il valore della quantità di biomassa differenziale risultante dalle diverse
portate dei due impianti? Potremmo inserirlo tra le voci di ricavo dell’impianto di riscaldamento, ma forse è più opportuno, visto che
stiamo valutando la convenienza all’implementazione di un impianto di cogenerazione, inserirlo tra le voci di costo dell’impianto di
cogenerazione, come mancato reddito, come risulta dalla tabella 3, in cui sono presenti tutte le voci di costo relative ai due tipi di
impianto.
All’interno della tabella, è stata inserita anche la voce relativa alla spesa per l’approvvigionamento dell’energia elettrica, che nel caso
dell’impianto di cogenerazione è ovviamente pari a zero, perché il fabbisogno interno di elettricità viene abbondantemente coperto
dall’autoproduzione. Anche questa è una voce molto importante per valutare la convenienza del nostro impianto di cogenerazione,
perché nel caso in cui si preferisca affidarsi all’approvvigionamento esterno bisognerà tener conto anche dei costi che ne derivano.
Costi del capitale
Saggio di interesse (6%)
Periodo di ammortamento
(10 anni)
Totale costi del capitale
Costo consumi di base
Costo biomassa
Materiali soggetti ad consumo (3% di I)
Totale costo consumi di base
Costi di esercizio
Costi di manutenzione (2% di I)
Costo del personale (30 €/h)
Totale costi di esercizio
Altri costi
Amministrazione ed assicurazione (0,7% di I)
Totale altri costi
Costi di approvv. energia elettrica
Fabbisogno annuo
Prezzo unitario medio (ENEL)
Totale costi di approvv. Energia elettrica
Totale costi annui
Impianto
di
Cogenerazione
Impianto
di
Riscaldamento
Costi
Aggiuntivi
€/a
360.050
30.570
329.480
€/a
€/a
€/a
68.330
7.950
76.280
600
675
1.275
67.730
7.275
75.005
€/a
€/a
€/a
53.000
14.400
67.000
4.500
7.200
11.700
48.500
7.200
55.700
€/a
€/a
18.550
18.550
1.575
1.575
16.975
16.975
MWh/a
€/MWh
€/a
€/a
300
167
0
512.880
300
167
50.100
95.220
-50.100
427.060
Tabella 3: costi aggiuntivi annui, suddivisi per tipologia, relativi ad un impianto di cogenerazione ad olio diatermico
Dalla tabella spiccano in modo evidente le differenze di costi che sussistono tra un tradizionale impianto a biomasse, preposto
all’esclusiva produzione di calore, e un più complesso impianto di cogenerazione, sempre a biomasse.
Passiamo adesso alle voci positive del bilancio. Esse si riferiscono solamente all’impianto di cogenerazione, e sono legate alla
vendita dell’energia elettrica in eccesso rispetto al proprio fabbisogno interno e alla vendita dei Certificati Verdi, riconosciuti dal
GRTN in qualità di produttori di energia elettrica. Come si ricorderà da quanto esposto nel capitolo 4 sulla riforma del mercato
elettrico, gli impianti di cogenerazione di potenza inferiore a 10 MWe non possono accedere al mercato, ma vendono l’eventuale
energia in eccesso al GRTN, che è obbligato ad acquistarla al prezzo di mercato.
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Nel computo della quantità di energia elettrica venduta al GRTN, ovviamente, bisogna tener conto del fatto che parte dell’energia
prodotta viene utilizzata per soddisfare il fabbisogno interno aziendale e l’autoconsumo dello stesso impianto. Come abbiamo già
avuto modo di chiarire in precedenza nel corso di questo lavoro, il fabbisogno di energia elettrica della nostra azienda campione
ammonta complessivamente a circa 300.000 kWh annui. Per quanto riguarda, invece, l’autoconsumo dell’impianto, dai dati tecnici
forniti dallo stesso produttore risulta che l’impianto assorbe 80 kW di potenza solo per il suo funzionamento che equivalgono a
560.000 kWh all’anno, se consideriamo un operation time di 7.000 ore l’anno. Teoricamente, l’impianto potrebbe funzionare per
8760 ore annue, il problema è che, fermo restando che la sostenibilità economica di qualsiasi tipo di impianto dipende dal numero di
ore di lavoro a pieno carico, durante l’anno sarà sempre necessario fermare l’impianto per un certo numero di ore, quanto meno per
effettuare le normali operazioni di controllo.
A questo punto, considerando sempre un operation time di 7.000 ore annue a pieno carico, possiamo andare a calcolare la produzione
annua di energia elettrica, e di conseguenza anche il surplus di energia. La produzione annua di energia elettrica, come è possibile
notare consultando la tabella 4, è pari a 3.150 MWh, che al netto degli autoconsumi diventano 2.300 MWh che possono essere
immessi in rete e acquistati dal GRTN al prezzo di mercato.
Per quanto riguarda invece, il mercato dei Certificati Verdi, vale la pena, in questa sede, ricordare che a partire dal 2005, ogni
Certificato Verde non vale più 100 MWh, bensì 50 MWh. Il dimezzamento del valore dei Certificati Verdi è stata una misura
necessaria per incrementare un’offerta che, fino alla fine del 2004, era di gran lunga al di sotto della domanda, una differenza che
doveva essere compensata dalla vendita dei Certificati Verdi in capo al GRTN. Il problema è che, allo stato attuale, non c’è stato un
numero di contrattazioni adeguato e statisticamente valido dei nuovi Certificati Verdi, per cui non è possibile prendere in
considerazione un prezzo di riferimento per le nostre considerazioni economiche. Si è deciso, pertanto, di fare riferimento alla media
dei prezzi relativi al 2004, ovviamente mantenendo a 100 MWh il valore di ciascun certificato.
Nella tabella 4 sono espressi anche i valori relativi ai ricavi derivanti dalla vendita dei Certificati Verdi.
Produzione di energia elettrica
Produzione totale di energia
Fabbisogno aziendale
Autoconsumo impianto
Produzione netta di energia elettrica
Ricavi derivanti dalla vendita di energia elettrica
Prezzo unitario medio
Totale ricavi derivanti dalla vendita di energia elettrica
Ricavi derivanti dalla vendita dei CV
Totale CV emessi (1 CV = 100 MWh)
Prezzo medio 2004
Totale ricavi derivanti dalla vendita dei CV
Totale ricavi
Impianto
Di
Cogenerazione
Impianto
Di
Riscaldamento
MWh/anno
MWh/anno
MWh/anno
MWh/anno
3.150
300
560
2.300
0
300
0
0
€/MWh
€/anno
57,68
132.664
57,68
0
132.664
€/MWh
€/anno
€/anno
31,5
97,25
306.337
439.001
0
97,25
0
0
306.337
439.001
Ricavi
Aggiuntivi
Tabella 4: ricavi aggiuntivi annui, suddivisi per tipologia, relativi ad un impianto di cogenerazione ad olio diatermico
Come si può chiaramente notare dalla consultazione della tabella sui costi aggiuntivi e quella relativa ai ricavi aggiuntivi, come
risultato dall’implementazione dell’impianto di cogenerazione appena visto, in luogo di un semplice impianto di riscaldamento, le
due voci che mostrano avere il maggior peso nel muovere, in senso positivo o negativo, il bilancio sulla convenienza economica,
sono:
ü Il costo del capitale investito, in altre parole la quota di ammortamento annuale dell’impianto. Esso ha un peso pari al 77,00
% rispetto al totale dei costi aggiuntivi;
ü I proventi derivanti dalla vendita dei Certificati Verdi, con un peso del 69,78 % rispetto al totale dei ricavi aggiuntivi.
Ciò significa che l’incremento della produzione di energia elettrica da biomasse, almeno a livello di piccola e media impresa di
trasformazione del legno, non può assolutamente prescindere dall’intervento dello Stato, e quindi, in ultima analisi, dai Certificati
Verdi.
Il fatto è che, allo stato attuale, la tecnologia di conversione delle energia chimica immagazzinata nelle biomasse in energia elettrica è
ancora molto costosa, anche in virtù di rendimenti ancora bassi.
In ogni caso, dal punto di vista strettamente economico, l’impianto di cogenerazione, per i primi otto anni di esercizio è
effettivamente vantaggioso, anche se il guadagno non può certo dirsi elevato. La stessa cosa vale per gli anni successivi al decimo, in
cui, però, il guadagno è maggiore (tabella 5).
L’unico periodo critico è quello che va dal nono al decimo anno, intervallo di tempo in cui teoricamente l’impianto non può più
beneficiare dell’emissione dei Certificati, ma contemporaneamente deve essere ancora ammortizzato. Anche in questo caso la
convenienza è frutto dell’intervento dello Stato il quale, nell’art. 20 del decreto legislativo n. 387 del 29/12/2003, dà la possibilità
agli impianti di cogenerazione a biomasse di usufruire del sistema di incentivi basato sui Certificati Verdi anche dopo gli otto anni,
almeno su una parte dell’energia prodotta.
Periodo considerato
(anni)
0-8
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Ricavi Aggiuntivi
(€/anno)
439.001
Costi Aggiuntivi
(€/anno)
427.060
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Bilancio
(€/anno)
+ 11.941
10
9-10
10 e oltre
132.664
132.664
427.060
97.580
- 294.396
+ 35.084
Tabella 5: quadro riassuntivo della convenienza economica circa l’implementazione di un sistema di cogenerazione, per tutta
la durata dell’investimento
Nonostante tutti gli sforzi del Legislatore, però, non mancano alcuni punti critici, che meritano un’analisi più approfondita.
Il primo punto su cui è necessario focalizzare l’attenzione è che sì, l’impianto è economicamente conveniente, ma in presenza di così
ridotti margini di guadagno basta poco per ritrovarsi in perdita; e le perdite in questo caso, visti gli elevatissimi costi di gestione, sono
anche molto grandi. Quando siamo andati a considerare il numero di ore annue di lavoro a pieno carico, abbiamo cercato di
mantenerci entro ampi margini di sicurezza; inoltre, come abbiamo visto da altri casi studio, l’attuale tecnologia ha raggiunto un
elevato livello di affidabilità, ma non tutti gli imprenditori, forse soprattutto al Sud, sono disposti ad accettare un rischio del genere.
Nella tabella 6 sono riportati i costi annui da sostenere per i primi dieci anni dalla messa in funzione dell’impianto, compresi il costo
dell’impianto per unità di elettricità prodotta, al netto ovviamente dell’autoconsumo dell’impianto. Quest’ultimo, come possiamo
vedere, è piuttosto alto e ciò testimonia ulteriormente che l’impianto si regge solo sui sussidi da parte dello Stato e che effettivamente
il rischio di andare in perdita è piuttosto consistente.
Costi annui impianto di cogenerazione
Costi del capitale
Saggio di interesse
%
Periodo di ammortamento
anni
Totale costi del capitale
€/a
Costo specifico del capitale
€/MWhel
Costo consumi di base
Costo biomassa
€/a
Materiali soggetti a consumo (3% di I)
€/a
Totale costo consumi di base
€/a
Costo specifico consumi di base
€/MWhel
Costi di esercizio
Costi di manutenzione (2% di I)
€/a
Costo del personale (30 €/h)
€/a
Totale costi di esercizio
€/a
Costo specifico di esercizio
€/MWhel
Altri costi
Amministrazione ed assicurazione (0,7% di I)
€/a
Totale altri costi
€/a
Totale altri costi per MWh prodotto
€/MWhel
Totale costi annui
€/a
Totale costi specifici annui
€/MWhel
6
10
360.050
138,48
68.330
7.950
76.280
29,34
53.000
14.400
67.000
25,77
18.550
18.550
7,13
512.880
200,72
Tabella 6: costi annui di gestione dell’impianto
Altro punto molto importante, riguarda le dinamiche di mercato. Attualmente, infatti, la domanda di Certificati Verdi è notevolmente
più grande dell’offerta degli stessi, ma in un futuro prossimo, con il previsto sviluppo della cogenerazione, tale prezzo sarà destinato
a diminuire di pari passo con l’aumentare dell’offerta. Lo stesso discorso vale per il mercato dell’energia elettrica il quale,
diventando sempre più concorrenziale porterà sicuramente ad una riduzione considerevole dei prezzi, e non è ancora possibile dire se
il progresso tecnologico porterà a riduzioni di costi e/o aumenti di rendimento tali da colmare questo gap.
A mio modesto parere, però, il problema principale, che mi spinge a considerare la cogenerazione non conveniente, almeno nel caso
dell’azienda presa in esame, è di tipo ecologico-ambientale. Finora, infatti, abbiamo focalizzato l’attenzione esclusivamente nei
confronti della produzione dell’energia elettrica, ma non abbiamo ancora affrontato il problema della produzione di calore. Certo,
l’impianto copre al 100 % il fabbisogno aziendale di energia termica, ma esso risulta enormemente sovradimensionato rispetto ad
esso e costringe l’azienda a dissipare un’enorme quantità di calore: basti pensare che già in inverno, periodo in cui la domanda di
calore è massima, l’impianto produce calore in eccesso in quantità almeno pari al fabbisogno aziendale, contro tutti i principi base del
dimensionamento degli impianti di cogenerazione cui più volte abbiamo fatto cenno, ma soprattutto contro tutti i principi di gestione
e sfruttamento sostenibile delle risorse energetiche dei quali tutti, almeno a parole, si fanno promotori, compreso chi vi scrive,
attraverso il presente lavoro.
Una valida soluzione da questo punto di vista, potrebbe essere rappresentata dallo sviluppo di una rete di teleriscaldamento che possa
servire le vicine industrie della aera in cui ha sede l’azienda scelta come riferimento.
La soluzione proposta, comunque merita un’analisi più approfondita perché, a fronte di costi di impianto e di gestione piuttosto alti,
vi sono due fonti di guadagno da non sottovalutare, e cioè:
ü I proventi derivanti dalla vendita al GRTN dell’energia elettrica prodotta in eccesso, che ammonta a circa 700 MWhe
l’anno;
ü I proventi derivanti dalla vendita della biomassa in eccesso, che ammonta a circa 15 tonnellate al giorno (considerando una
produzione di 20 tonnellate al giorno) solo nei periodi invernali.
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Altra valida alternativa per l’utilizzo della biomassa in eccesso potrebbe essere l’istallazione di un impianto di pellettizzazione. Il
pellet, infatti, è tra i prodotti di origine legnosa destinati alla conversione energetica, quello che ha il maggior valore per unità di
massa, cosa che potrebbe essere sfruttata a vantaggio dell’azienda, anche alla luce di una domanda di pellet in forte crescita. Ma
queste, sono valutazioni che esulano dalle finalità del presente lavoro.
Un discorso diverso, invece, merita la possibilità di implementare un impianto di cogenerazione di piccola taglia, dimensionato per
coprire esclusivamente il carico base di energia termica.
Il carico base della nostra azienda, lo ricordiamo, è quello necessario a fornire energia termica alle due celle di essiccazione, le quali
necessitano di una potenza termica pari a 420 kWt complessivamente, per circa 24 ore su 24, per tutti i giorni lavorativi,
corrispondente a circa 2.500.000 kWht all’anno. Non consideriamo la pressa perché, non dovendo usare più l’olio diatermico, questa
torna fra la utenze di energia elettrica.
Si può pensare di coprire il carico base di calore con un piccolo sistema di cogenerazione Stirling, con caldaia della potenza di 760
kWt al focolare, in grado di sviluppare una potenza elettrica di 150 kWe, se consideriamo che i motori Stirling hanno un’efficienza
elettrica non inferiore al 20 per cento. Per il carico di picco, invece, si può ricorrere ad una normale caldaia ad acqua calda alimentata
a biomasse della potenza di 1000 kWt.
A fronte di questi dati, si calcola che il consumo giornaliero di biomassa nei periodi di pieno carico, per la produzione di calore ed
energia elettrica, è di 4300 kg.
Un generatore della potenza appena visto, è in grado di produrre, funzionando a pieno carico 24 ore su 24, per almeno 7.000 ore
l’anno, circa 1.000 MWhe l’anno, riuscendo a coprire in pieno il fabbisogno aziendale di energia elettrica.
Tuttavia, come già ricordato in precedenza, la micro-cogenerazione con sistema Stirling è ancora in una fase embrionale, pertanto
allo stato attuale non si hanno a disposizione dei dati attendibili per realizzare una valutazione economica precisa. Possiamo solo
dire, alla luce di esperienze condotte in Danimarca, che attualmente la tecnologia Stirling è ancora piuttosto costosa, anche se per il
futuro è quella che presumibilmente permetterà di portare la cogenerazione da biomasse anche a livello delle piccole imprese.
Conclusioni
A conclusione del presente lavoro, alla luce delle considerazioni espresse nelle pagine precedenti, emerge chiaramente che il
successo della cogenerazione da biomasse, così come per tutti sistemi di conversione energetica delle fonti rinnovabili, non è legato
esclusivamente a valutazioni di tipo strettamente economico, ma risponde a logiche ben più complesse che attengono soprattutto
all’aspetto ecologico.
Risulta chiaro, infatti, che non è possibile assegnare un giudizio positivo e negativo sulla possibilità di implementare un impianto di
cogenerazione a biomasse, solo sulla base del risultato di poche semplici operazioni di addizione e sottrazione. Ciò è ancor più vero
se si pensa che, pur senza poter prescindere dall’intervento della Stato, i numeri risultanti dalle valutazioni condotte nel corso del
presente lavoro, sono tutti a favore della cogenerazione: semmai, l’unico problema è rappresentato dal forte rischio cui l’imprenditore
è costretto a sottoporsi per sostenere un tale investimento. Un problema risolvibile, al di là della propensione al rischio di ogni
singolo imprenditore, predisponendo tutte le misure necessarie per limitare al minimo i periodi di fermo dell’impianto, incluso
l’approvvigionamento di materia prima in quantità costanti nel tempo.
A questo punto, però, l’aspetto ecologico-ambientale assume un ruolo chiave ai fini della buona riuscita del progetto. Se è vero
infatti, che impianti di piccola e media taglia nella maggior parte dei casi sono economicamente convenienti, è anche vero che spesso
questi sono sovradimensionati rispetto alle reali esigenze energetiche dell’azienda, pertanto sono costretti a lavorare per un numero
eccessivo di ore in modalità a dissipazione di calore. Senza considerare l’enorme spreco di materia prima.
In altre parole, verrebbe meno quel principio di sostenibilità nell’impiego delle risorse del pianeta, che costituisce l’essenza stessa
delle rinnovabili.
Alla domanda “Ma la conservazione dell’ambiente può essere economicamente conveniente?”, dunque, la risposta è si,
effettivamente può essere conveniente. A patto, però, di non perdere mai di vista le ricadute che tali impianti hanno in termini di
impatto ambientale.
Riferimenti bibliografici
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