Professional_Lo standard di normalita dell`acuita

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Professional_Lo standard di normalita dell`acuita
professional
In collaborazione con Società Optometrica Italiana S.OPT.I.
acuità visiva - il più importante indicatore nella valutazione qualitativa della visione
Lo standard di normalità
dell’acuità visiva
Federica Zappacosta
Laureata in Ottica e Optometria all’Università di Torino.
Abstract
Scopo: Lo scopo di questo studio è determinare l’intervallo di normalità per un campione omogeneo
di popolazione di età compresa tra i 19 e i 34 anni
Materiali e metodi: È stata misurata l’acuità visiva
a tutti i soggetti del campione, utilizzando un metodo di misura standard, le tavole ETDRS, e una
procedura psicometrica adattiva, il metodo QUEST
con lettere di Sloan.
Risultati: L’acuità visiva media con le tavole ETDRS è risultata di -0,12 LogMAR, ovvero 13,0/10
in visione monoculare e di -0,18 LogMAR, ovvero
15,1/10 in visione binoculare, mentre con la procedura QUEST è risultata di -0,18 LogMAR, ovvero
15,1/10 in visione monoculare, e di -0,25 LogMAR,
ovvero 17,9/10 in visione binoculare.
Conclusioni: È opinione diffusa che un occhio normale sia quello che vede 10/10. I risultati ottenuti
da entrambi i test mostrano un’acuità visiva media
che è superiore ai 10/10. Questo significa che nella
pratica comune si utilizza un valore di riferimento
che è inferiore a quello che realmente un occhio
può vedere.
Index Terms - acuità visiva, MAR (minimo angolo
di risoluzione), ETDRS, metodo QUEST
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INTRODUZIONE
L’acuità visiva (AV) indica il limite di risoluzione
spaziale del sistema visivo ed è definita come la
capacità dell’occhio di discriminare i dettagli.
La sua misura esprime l’angolo che questi dettagli
sottendono alla distanza di osservazione, usualmente
detto Minimo Angolo di Risoluzione (MAR). Per
convenzione quest’angolo viene misurato in primi
d’arco (Bianchi, Calossi 2000).
La misura dell’acuità visiva è considerata il più
importante indicatore nella valutazione qualitativa della visione, anche se, essendo la visione un
complesso processo sensoriale, non si può indicare
l’integrità della funzione visiva con la sola misura
dell’acuità. Ad esempio la sensibilità al contrasto,
il campo visivo, la soglia di abbagliamento, la sensibilità cromatica e così via non sono rappresentati
nell’acuità visiva.
La misura dell’acuità, però, è una parte essenziale
nell’esame optometrico e rappresenta il test più
comune e più usato per valutare le funzioni visive.
Nonostante questo test da solo non rilevi l’efficienza
del sistema visivo, è di semplice esecuzione ed è
estremamente correlato con il giudizio che le persone
danno della qualità della loro visione.
Esistono diversi tipi di acuità visiva anche se quella che viene comunemente valutata nella pratica
clinica è l’acuità morfoscopica, ovvero il minimo
riconoscibile o leggibile, che indica la capacità di
riconoscere un simbolo o di identificare la posizione
di un suo elemento critico. Essa si ottiene utilizzando come mire lettere e simboli. Valori normali
medi di quest’acuità sono compresi tra i 35 e 50
secondi d’arco (Calossi 1992).
Oltre all’acuità morfoscopica, si classificano altri
tre tipi in base al tipo di figura utilizzata come mira:
professional
•
Acuità di detezione (minimo percettibile o rilevabile): la figura usata è un punto o una linea.
Si tratta di accertare o escludere la presenza
della figura. Il limite viene raggiunto con una
linea (lunga ~30’): per una larghezza di 0,5”
può essere ancora percepibile.
• Acuità del verniero (minimo allineabile o localizzabile): si ottiene quando si considera il
minimo spostamento spaziale tra due figure
allineate (solitamente punti o linee). È di ~12”
per linee orizzontali e 8” per linee verticali.
• Acuità di risoluzione (minimo separabile o
risolvibile): si ottiene quando il soggetto deve
identificare, ossia risolvere, una discontinuità
della figura. La figura tipica è rappresentata
dall’anello di Landolt. Il limite può raggiungere
30”, cioè vengono distinte due parti di una figura separate da 30”. La capacità è leggermente
superiore per un contrasto negativo (nero su
sfondo bianco). Se i due oggetti sono punti, il
minimo separabile è ~1’; se i due oggetti sono
linee è 40” e se è un reticolo è 30” (Gheller,
Rossetti 2003).
Il valore di acuità visiva può essere espresso in
diversi modi:
• in frazione di Snellen: esprime il rapporto fra
la distanza di osservazione del test e la distanza
alla quale un suo elemento critico sottenderebbe
l’angolo di 1’. Se la distanza è espressa in piedi
(feet) si usa una “graduazione imperiale” in
cui il numeratore è uguale a 20, mentre se la
distanza è espressa in metri si usa una “graduazione metrica”, in cui il numeratore è uguale
a 6. Negli Stati Uniti ancora oggi si utilizza la
misurazione in ventesimi, mentre in Inghilterra
si utilizza quella in sesti;
• in notazione decimale: si riduce la frazione di
Snellen ad una quantità decimale. Non esprime
la distanza di esame;
• in scala Monoyer: notazione decimale espressa
in frazione di 10/10. Rappresenta in decimi
l’inverso del MAR. In Europa e in Italia si
utilizza questo tipo di notazione;
• in LogMAR: logaritmo del Minimo Angolo di
Risoluzione. In questo tipo di tavole la progressione della grandezza dei test è di tipo
geometrico e decresce di 0,1 unità per ogni
serie (Bianchi, Calossi 2000).
Ci sono molti elementi che possono influenzare
l’acuità visiva e per questo bisogna seguire dei
precisi standard di riferimento affinché una misura sia valida e confrontabile. Questa necessità
è valida sempre, ma è ancora più importante nei
lavori di ricerca scientifici e per le certificazioni
medico-legali come ad esempio per il criterio di
idoneità nel porto d’armi, nella patente di guida,
nel servizio militare, nella licenza dei piloti.
I fattori da considerare per standardizzare una
misura (Bianchi, Calossi 2000; Consilium Ophthalmologicum Universale 1998) sono:
• la luminanza dello sfondo: il valore dell’acuità
varia a seconda del livello di luminanza del
fondo sul quale il test è presentato. Se si evita
di arrivare all’abbagliamento, l’acuità visiva
migliora progressivamente all’aumentare della
luminanza del fondo. La norma ISO 8596 raccomanda un livello di luminanza compreso fra
80 e 320 cd/m². Per scopi clinici il Consilium
Ophthalmologicum Universale raccomanda
una luminanza minima di almeno 80 cd/m²;
• la luminanza dell’ambiente: condiziona il diametro pupillare. Per la misura dell’acuità visiva la
norma ISO 8596 raccomanda che la luminanza
dell’ambiente in cui si effettua il test sia inferiore
a quella del fondo su cui sono presentati gli
ottotipi e che all’interno di un’area di 10° di
diametro intorno all’ottotipo la luminanza non
sia inferiore al 10% né superiore al 25% della
luminanza del fondo. Al di fuori di 10° questa
luminanza non dev’essere inferiore all’1%;
• il contrasto test-sfondo: a parità di luminanza l’acuità visiva aumenta all’aumentare del
contrasto. Nella pratica clinica si utilizzano
ottotipi ad alto contrasto, con lettere nere su
sfondo bianco. Il Consilium Ophthalmologicum
Universal e e le normative ISO raccomandano
un contrasto di Weber > 85%;
• la forma del test, cioè la distribuzione degli
ottotipi sulla tabella;
• l’affollamento: nelle tavole ottotipiche standardizzate e raccomandate le distanze relative
fra le lettere e fra le righe sono mantenute
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uniformi in modo tale da mantenere lo stesso
affollamento per i vari livelli di acuità visiva;
• il colore del test: se il test è colorato l’acuità
visiva è influenzata dall’aberrazione cromatica;
• la distanza di osservazione: la distanza standard
di esame è 4 metri, anche se non rappresenta
la reale distanza dell’infinito;
• la procedura seguita dall’esaminatore;
• la progressione della grandezza degli ottotipi;
• la difficoltà di riconoscimento dei singoli ottotipi;
• il numero di lettere per riga.
L’ottotipo di riferimento, secondo le misure standard
dell’acuità visiva del Consilium Ophthalmologicum
Universale e secondo le norme ISO 8596 e 8597,
è l’anello di Landolt costituito da un cerchio con
un’interruzione (Fig. 1). Il suo vantaggio maggiore
è quello di contenere un solo elemento di dettaglio
critico che è l’apertura del cerchio; tale apertura
può essere presentata a 4 o a 8 posizioni (alto,basso,
destra, sinistra e in posizione obliqua a 45°). Non
presenta i difetti tipici delle lettere, però il test può
risultare problematico con i bambini per la difficoltà
di comprensione. A causa della somiglianza con la
lettera C, i soggetti tendono a localizzare preferibilmente la mira nella posizione, appunto, di C.
Anche se il test degli anelli di Landolt è considerato
uno standard primario, non è utilizzato nella pratica
clinica. Normalmente nella pratica clinica per la
misura dell’acuità visiva si utilizzano le tavole di
Snellen o altre costruite con lo stesso principio.
La tavola di Snellen è stata introdotta da Hermann
Snellen nel 1862. L’ottotipo originale di Snellen
presentava 7 file di lettere dell’alfabeto latino con
Figura 1. Anello di Landolt
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terminazione (serif) stampate sempre più piccole
dall’alto al basso del grafico. Snellen disegnò le
lettere all’interno di una griglia quadrata di 5x5
l’ampiezza delle linee nere che formavano la lettera
era 1/5 delle dimensioni dell’intera lettera, così
come gli spazi bianchi che le separavano. In questo
modo le lettere più piccole che venivano riconosciute erano costituite da elementi la cui ampiezza
rappresentava il minimo angolo di risoluzione.
Ogni lettera della tavola di Snellen sottende un
angolo di 5 minuti d’arco alla distanza appropriata e ogni parte separata sottende un angolo di 1
minuto d’arco (Fig. 2)
Figura 2 - Lettera di Snellen
La variazione nella dimensione degli ottotipi nella
tabella di Snellen è arbitraria e non c’è una progressione regolare dalla linea più grande a quella
più piccola (Badrul Hussain 2006). Per le acuità
ridotte, le figure variano notevolmente per dimensione (ad es tra 1/10 e 2/10), mentre per le acuità
maggiori la variazione tra un livello e il successivo
è sempre minore. Questa caratteristica dà un inconveniente clinico: per esempio, il miglioramento
tra 9/10 e 10/10 ha un minor valore di quello tra
3/10 e 4/10. Per ovviare a questo problema sono state proposte differenti tavole a progressione
geometrica o logaritmica dette anche LogMAR
dal Logaritmo del Minimo Angolo di Risoluzione
(Gheller, Rossetti 2003).
La prima tavola che utilizzava una progressione
geometrica è stata proposta nel 1868 da John Green. La tavola di Green presentava uno spazio tra
le lettere e tra le linee non fisso, ma proporzionale
alla dimensione delle lettere e inoltre presentava 11
lettere senza terminazione (sans-serif) in ogni linea.
Nel 1976 Bailey e Lovie proposero un ulteriore
tavola a progressione logaritmica con la differenza
di avere 5 lettere per linea anziché 11. Le lettere
erano scelte in modo da essere ugualmente leggibili
professional
e dal momento che si presentava lo stesso numero di
lettere per linea, ogni linea aveva la stessa difficoltà.
Nel 1982 Rick Ferris e collaboratori del National
Eye Institute utilizzarono la tavola di Bailey e Lovie
con lettere di Sloan per l’uso nell’Early Treatment
Diabetic Retinopathy Study. Queste tavole diventarono note come tavole ETDRS (Colembrander
2001).
Le tabelle che rispettano gli standard del Consilium
Ophthalmologicum Universale e le norme ISO sono
la tabella Bailey e Lovie e la tabella ETDRS.
Lo scopo di questo studio è quello di determinare
l’intervallo di normalità dell’acuità visiva.
È stata misurata l’acuità visiva utilizzando un metodo di misura standard che è la tavola ETDRS,
e un metodo di misura basato su una procedura
psicometrica adattiva, il metodo QUEST con lettere di Sloan.
MATERIALI E METODI
Per lo studio sono stati utilizzati: le tavole ETDRS(
Precision Vision, La Salle, IL, USA) seguendo le
raccomandazioni di Ferris e Bailey e la procedura
psicometrica QUEST con lettere singole di Sloan
implementata su monitor LCD Vision Chart (CSO,
Firenze, Italia).
Nelle tabelle ETDRS (Fig 3)sono impiegate le 10
lettere di Sloan: S O C D K V R H N Z, costruite,
senza terminazione, in un reticolo di 5X5; ogni riga
contiene 5 lettere, l’altezza dello spazio fra due
linee è uguale all’altezza delle lettere della linea
successiva, l’intervallo di ampiezze delle lettere
va da 1/10 a 20/10. Le dimensioni delle lettere
aumentano secondo una progressione geometrica,
con un incremento di 0,1 unità LogMAR da una
riga all’altra. Poiché ogni linea contiene 5 lettere,
ad ogni lettera letta correttamente si può assegnare
un valore di 0,02 unità LogMAR (Bianchi, Calossi
2000).
Il metodo QUEST (Fig 4)(Quick Estimation by
Sequential Testing) è una sofisticata procedura psicometrica adattiva sviluppata da Watson e Pelli
(Pelli, Watson 1983).
Questa procedura è detta adattiva perché fa uso
delle risposte precedenti del soggetto per scegliere
quale stimolo presentare al test successivo. Alla
fine del test viene determinata la stima del valore
di soglia attraverso metodi statistici.
Nel caso specifico il software sceglie in modo automatico la dimensione della lettera singola da presentare, sulla base delle risposte giuste o sbagliate
del soggetto.
In questo studio è stata misurata l’acuità visiva in
un gruppo omogeneo di 51 soggetti ( 22 femmine e
29 maschi). La fascia d’età presa in considerazione
è compresa tra i 19 e i 34 anni, con una media d’età
di 24 ± 4,3 anni (Fig 5).
I soggetti selezionati dovevano essere o emmetropi
o dovevano avere:
- miopia inferiore a 3 D
- ipermetropia inferiore a 1 D
- astigmatismo inferiore a 1,5 D (Tab. 2).
L’intervallo di ametropia considerato è stato scelto
perché è meno influenzabile dal fenomeno di accomodazione; considerando ametropie più alte si
rischia che entra in gioco l’accomodazione e che
risultino falsi emmetropi.
I soggetti non dovevano avere patologie oculari,
non dovevano aver subito interventi chirurgici e
non dovevano portare lenti per ortocheratologia.
Figura 3
ETDRS
Figura 4
Vision Chart
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NUM. SOGGETTI
professional
Figura 5 - Distribuzione dell’età nel campione di soggetti
Numero soggetti
Sesso
Età
Emmetropi
Ametropi
50
21 femmine 29 maschi
19-34 anni (media 24 ± 4.3)
27
23
Tabella 2 - Dettagli soggetti
Le condizioni di misura usate sono state standardizzate il più possibile attenendosi alle norme internazionali del Consilium Opthalmologicum Universale
e avendo cura di mantenere queste condizioni per le
diverse rilevazioni, allo scopo di rendere attendibile
e ripetibile la misurazione (Badrul Hussain 2006).
La luminanza sulle tavole ETDRS è stata misurata
con un luxmetro “Lux Lightmeter, Centrostyle”
ed è risultata pari a 175 cd/m², in accordo con la
norma ISO. Sullo schermo LCD Vision Chart è stata
impostata una luminanza di 175 cd/m², equivalente
alle tavole ETDRS.
La luminanza dell’ambiente è stata controllata con
lo stesso luxmetro ed è risultata inferiore rispetto
a quella dello sfondo degli ottotipi e nell’intervallo
previsto dalla norma ISO 8596.
La distanza di osservazione è stata di 4 metri sia
per le tavole ETDRS che per il QUEST, in accordo con lo standard di riferimento del Consilium
Ophthalmologicum Universale.
La registrazione dei dati è stata fatta per entrambi
i metodi in scala LogMAR.
Il campione di soggetti è stato selezionato attraverso
la somministrazione di un questionario.
Preliminarmente, è stata valutata la condizione
refrattiva di ogni soggetto del campione per verificare l’emmetropizzazione. La condizione refrattiva è stata valutata mediante esame oggettivo
utilizzando un autorefrattometro “AR800 Nidek”
e poi mediante esame soggettivo con una tavola di
Snellen su monitor LCD “Vista Vision”.
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È stata controllata la visione binoculare con uno
stereo test della mosca di Titmus, usando come
riferimento il valore standard di ≤80” d’arco.
Tutti i soggetti sono stati poi sottoposti a tre misure
di acuità: prima dell’occhio destro (occludendo il
sinistro), poi di quello sinistro (occludendo il destro)
e successivamente con entrambi gli occhi aperti.
È stata valutata l’acuità visiva prima con le tavole
standardizzate ETDRS, seguendo le raccomandazioni di Ferris e Bailey. Sono state utilizzate ciclicamente tre tavole differenti per evitare che il soggetto
potesse memorizzare le lettere nelle tre misure.
L’operatore ha istruito il soggetto ad identificare le
lettere della tabella dalla prima linea fino all’ultima
che riusciva a leggere e lo ha incoraggiato ad indovinare anche quando le lettere diventavano difficili.
In accordo con l’ICO Visual Acuity Measurement
Standard (1984) una linea è considerata letta se
“più della metà” dei caratteri è stata identificata
correttamente (Consilium Ophthalmologicum Universale 1998). Dopo due o più risposte incorrette
nella stessa linea si interrompeva la sequenza e
si calcolava il valore di acuità visiva in LogMAR.
Il valore di acuità visiva era dato dall’ultima linea
nella quale il soggetto aveva identificato almeno
tre delle cinque lettere, più il valore di 0,02 unità
log per ogni lettera identificata correttamente oltre
questo livello di acuità.
Successivamente è stata misurata l’acuità con un
monitor LCD Vision Chart con procedura psicometrica QUEST (Fig. 6).
Al soggetto vengono proposte singolarmente le 10
lettere di Sloan, presentate in modo casuale per 26
volte consecutive, senza porre limiti di tempo al
riconoscimento e l’operatore deve inserire, tramite
la tastiera le lettere così come vengono lette dal
soggetto. Al termine della presentazione il software
genera un grafico con le risposte date, giuste ed
errate e la corrispondente acuità visiva. La valutazione della soglia finale di acuità visiva viene fornita
in due unità di misura : in notazione LogMAR e
in notazione Monoyer, con i rispettivi intervalli di
confidenza del 90%.
RISULTATI
Completata la serie di test sui soggetti idonei, i
dati sono stati analizzati mediante software “Excel”. Tutti i calcoli statistici (media, deviazione
standard, ecc) sono stati calcolati usando valori
di acuità visiva in scala LogMAR. Se si utilizza
la notazione in decimi il valore medio più appropriato è rappresentato dalla media geometrica del
valore decimale di acuità visiva. Da un punto di
professional
✤² TEORICO
✤² OTTENUTO
ETDRS OD
(CL 5%)
3,37
QUEST OD
(CL 5%)
4,04
ETDRS OU
(CL 5%)
4,76
QUEST OU
(CL 5%)
5,71
Tabella 3 - Valori ottenuti con il test del chi-quadro
Figura 6 - Grafico QUEST
vista matematico la media geometrica si calcola
prendendo il logaritmo di ogni valore del campione
analizzato, calcolando la media aritmetica dei valori
logaritmici. Se si utilizza la notazione LogMAR il
metodo di calcolo si semplifica, poiché la media
aritmetica dei valori LogMAR è equivalente alla
media geometrica dei valori espressi in notazione
decimale o come frazione di Snellen (Bianchi C,
Calossi A 2000).
In figura 7 vengono riportati gli istogrammi con
le percentuali dei valori in LogMAR risultanti da
entrambi i test dell’occhio destro e della visione
binoculare. La linea tratteggiata in verde corrisponde a 0,00 LogMAR, ovvero 10/10 in notazione
Monoyer. Ad ogni istogramma è stata sovrapposta
una gaussiana di uguale valore medio, deviazione
standard e area, utilizzate per le successive valutazioni statistiche riportate in tabella 3 e tabella 4.
È stato misurato il valore di chi quadro (χ²) per
verificare se effettivamente la distribuzione dei
risultati era consistente con una gaussiana.
Per calcolare il valore di χ² è stato fissato un CL
5% e, sono stati suddivisi i dati in 6 classi, per
quanto riguarda l’occhio destro sia per ETDRS che
per QUEST, che equivale a un χ² di 7,81, mentre
per quanto riguarda la visione binoculare, sono
stati suddivisi i dati in 5 classi, che equivale a un
χ² teorico di 5.99. Affinché una distribuzione sia
consistente con una gaussiana, è necessario che
il χ² ottenuto sia inferiore al χ² teorico. I valori
ottenuti sono riassunti in tabella 3. In tutti i casi
è stato ottenuto un valore di χ² inferiore a quello
teorico e questo verifica la bontà del fit.
In tabella 4 sono riportati i valori di acuità visiva
media. Con le tavole ETDRS è risultata di -0,18
LogMAR (±0,05 SD) in visione binoculare, corri
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spondente a 15,1 decimi in notazione Monoyer e di
-0,11 LogMAR (±0,06 SD) in visione monoculare
corrispondente a 13,0 decimi in scala Monoyer.
Con la procedura adattiva QUEST è risultata più
alta: -0,25 LogMAR (± 0,06 SD) in visione binoculare, corrispondente a 17,9 decimi in notazione
Monoyer e -0,18 LogMAR (± 0,07 SD) in visione
monoculare corrispondente a 15,1 decimi in notazione Monoyer. In Tab 4 vengono riportati anche
gli intervalli corrispondenti a 2 SD (IC 95%) e 3
SD (IC 99%).
LogMAR (decimal acuity= 10-logMAR)
QUEST OD
ETDRS OD
QUEST OU
EDTRS OU
Media
Deviazione
Standard
Media +2SD
-0,18
-0,12
-0,25
-0,18
0,06
0,06
0,06
0,05
-0,05
0,01
-0,13
-0,07
Media – 2SD
-0,31
-0,24
-0,38
-0,29
Media +3SD
0,00
0,06
-0,08
-0,03
Media – 3SD
-0,36
-0,30
-0,44
-0,33
Tab. 4 Monoyer (n/10)
Media
IC 95%
IC 99%
QUEST OD
15,1
11,2
20,3
10,0
22,9
ETDRS OD
13,0
9,8
17,2
8,7
20,0
QUEST OU
17,9
13,4
24,1
12,0
27,5
EDTRS OU
15,1
11,8
19,4
10,7
21,4
Tabella 4 - Medie risultanti con relative deviazioni standard in scala
logMAR e in scala Monoyer
Le distribuzioni dei due test ETDRS e QUEST
sono state confrontate attraverso il test “t di Student” a due code per distribuzioni con varianza
uguale. Il numero di gradi di libertà è 96, il valore
di riferimento per un livello di confidenza del 5%
è 1,98. Si è ottenuto t =5,3 per OD, t=4,2 per OS e
t =11,8 per OU, corrispondenti a una probabilità
p « 0,001. Pertanto la differenza tra i risultati dei
due test è statisticamente significativa e quindi non
professional
5
————————————————————————————————————–
40
45
35
40
35
30
25
Percentuale(%)
20
15
10
20
15
10
5
5
0
QUEST OD (LogMAR)
Percentuale frequenza assoluta
0,
10
0,
05
0,
00
-0
,0
5
-0
,1
5
-0
,1
0
percentulae valore atteso
35
30
Percentuale (%)
25
20
15
10
25
20
15
ETDRS OD (LogMAR)
percentuale frequenza assoluta
percentuale valore atteso
Figura
- Distribuzione
dei datii invalori
scala LogMAR
relativa
gaussian
In 7Tab
4 sono riportati
di acuitàcon
visiva
media.
Con le
tavole ETDRS è risultata di -0,18 LogMAR (±0,05 SD) in visione
binoculare, corrispondente a 15,1 decimi in notazione Monoyer e di
-0,11
LogMAR (±0,06
SD) in visione
monoculareLe
corrispondente
attribuibile
a fluttuazioni
statistiche.
differenzea
13,0 decimi in scala Monoyer. Con la procedura adattiva QUEST è
intrinseche ai due test potrebbero avere un ruorisultata più alta: -0,25 LogMAR (± 0,06 SD) in visione binoculare,
lo in questo senso. Inoltre sono stati confrontati,
corrispondente a 17,9 decimi in notazione Monoyer e -0,18
sempre(±attraverso
il test
“t di Student”,
i avalori
LogMAR
0,07 SD) in visione
monoculare
corrispondente
15,1
dell’occhio
destro
e
di
quello
sinistro,
con
ETDRS
decimi in notazione Monoyer. In Tab 4 vengono riportati anche gli
intervalli
a 2èSD
(IC 95%) t=0,5
e 3 SD (IC
e con ilcorrispondenti
QUEST. Si
ottenuto
per99%).
il QUEST
e t=0,5 per l’ETDRS, corrispondenti a una probabilità p=0,6, vale a dire che la compatibilità tra i due
TEORICO
χ² OTTENUTO
valori medi èχ² del
60%. I valori
dell’occhio destro
ETDRS OD
7,81
3,37
rispetto a quello
sinistro
sono
stati
anche confrontati
(CL 5%)
attraverso
il
coefficiente
di
correlazione
di Pearson
QUEST OD
7,81
4,04
5%)
(Fig. 8). Per (CL
il QUEST
è risultato un coefficiente
ETDRS
OU
5,99tra occhio destro
4,76 e sinistro pari a
di correlazione
(CL 5%)
R=0,54, mentre
per l’ETDRS R=0,66. I due occhi
QUEST OU
5,99
5,71
si dicono che(CL
sono
5%) direttamente correlati o correlati positivamente, vale a dire che al crescere di
una variabile, l’altra tende ugualmente a crescere
in media. In figura 9 i nostri dati per ETDRS OD
sono confrontati con dati in letteratura (Ohlsson
e Villarreal, 2005) relativi all’acuità visiva media
monoculare di soggetti normovedenti nella fascia
di età 5-75 anni. L’accordo con i dati riportati per
Tab 3- Valori ottenuti con il test del chi-quadro
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0,
0
5
0,
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-0
,5
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0
-0
,1
6
-0
,1
2
-0
,0
8
-0
,0
4
Percentuale (%)
-0
,2
0
ETDRS OU (LogMAR)
percentuale frequenza assoluta
percentuale valore atteso
30
36
-0
,2
5
-0
,4
0
-5
-0
,3
0
0
0,
1
0,
05
0,
00
-0
,0
5
15
-0
,1
0
20
-0
,
-0
,
30
-0
,2
5
-0
,
35
0
-0
,
-0
,4
0
25
-0
,3
5
Percentuale (%)
30
QUEST OU (LogMAR)
percentuale f requenza assoluta
percentulae valore atteso
la fascia 19-34 anni, oggetto di questo studio, è
molto buono già entro 1 SD.
DISCUSSIONE
È’ opinione diffusa che l’acuità visiva massima di
un individuo sia di 10/10.
L’acuità visiva si identifica spesso come l’inverso
del minimo angolo di risoluzione, ovvero la più
piccola distanza angolare alla quale due punti o due
linee possono ancora essere percepiti come distinti.
Secondo Snellen la “visione standard” è la capacità dell’occhio umano di riconoscere uno dei suoi
ottotipi quando questo sottende un angolo di 5’
d’arco e quindi discriminare un singolo tratto della
dimensione di 1’ d’arco (ovvero 10/10). Considerò
come occhio normale quello che distingueva tutti i
caratteri della ventesima sequenza da una distanza
di 20 piedi.
In realtà il valore di 10/10 è considerato un livello
utile su cui ci si basa normalmente nella pratica
clinica per la misurazione della vista perché l’acuità
visiva massima di un individuo può raggiungere dei
professional
Figura 9 - Confronto con i dati in letteratura (Ohlsson e Villarreal, 2005)
Figura 8 - Risultati ottenuti dalla correlazione tra occhio destro e occhio
sinistro per il QUEST e per l’ETDRS
livelli ben superiori a questo valore.
In un occhio normale, perfettamente a fuoco, quindi
emmetrope o reso tale, il minimo leggibile è compreso fra 0,6’ e 0,8’, che equivalgono a 16/10 e 12/10
in scala Monoyer, mentre è opinione diffusa che
un occhio normale sai quello che vede, come detto
prima, 10/10, cioè un valore più basso rispetto a
quello realmente normale (Calossi 1992).
Come si può notare dai nostri risultati, l’acuità
visiva media è risultata molto superiore a 10/10.
Utilizzando un metodo di misura standard, quali
le tavole ETDRS, si sono ottenuti valori di acuità
visiva media di -0,114 LogMAR, che equivale a
13,0/10 in visione monoculare, e di -0,179 LogMAR, che equivale a 15,1/10 in visione binoculare.
Utilizzando una procedura psicometrica adattiva,
il QUEST, è risultata un’acuità visiva media ancora
più alta rispetto alle tavole ETDRS, con valori di
-0,178 LogMAR, che equivale a 15,1/10 in visione
monoculare e di -0,254, che equivale a 17,9/10
in visione binoculare. Nel campione omogeneo
preso in considerazione nello studio, il 95% dei
soggetti è rientrato in un intervallo di acuità visiva
binoculare compresa tra -0,07 e -0,39 LogMAR
che in notazione Monoyer equivalgono a 11,8/10 e
24,2/10. Studi svolti da vari autori (Donders, Elliot
e al) hanno dimostrato che si raggiunge un’acuità
38
| PROFESSIONAL OPTOMETRY | GIUGNO 2012
visiva di 10/10, in occhi sani, solo dopo i 60 anni
di età (Colenbrander 2001).
È sbagliato quindi considerare 10/10 come limite massimo dell’acuità visiva, ma non è neanche
corretto considerare questo valore come la soglia
media di acuità visiva della popolazione normale.
L’equivoco di considerare i 10/10 come valore limite, è nato dal fatto che Snellen, al fine di costruire
la sua nota tavola per l’acuità visiva, prese come
valore di riferimento quello riportato da Helhmoltz.
Helmholtz misurò il suo angolo visivo utilizzando
un reticolo costituito da barre nere separate da
intervalli della stessa larghezza delle barre.
Il reticolo veniva allontanato dal soggetto fino alla
distanza limite a cui questi riusciva ancora a riconoscere l’orientamento della barre. Helmholtz riportò
che l’angolo visivo normale era di 63,82” d’arco
(approssimativamente 1’ d’arco). L’errore derivò
dal fatto che Helmholtz considerò come angolo di
risoluzione quello che sottendeva una barra e lo
spazio che la separava dalla barra successiva, cioè
un intero ciclo spaziale, mentre la distanza che separava le barre era la metà di quel valore (Fig. 10).
Per cui Snellen utilizzò come base di riferimento
per costruire la sua tavola di ottotipi una distanza
di separazione tra gli elementi delle lettere che era
grande il doppio di quella riportata da Helmholtz
come limite medio normale (Bianchi, Calossi 2000).
La scelta di Helmholtz, a sua volta, fu ispirata al lavoro
dell’astronomo inglese, Robert Hooke, il quale, due
secoli fa, ha indicato che, perché una stella doppia
possa essere riconosciuta come tale dall’occhio, l’intervallo angolare tra le due stelle deve corrispondere
a 1’ e l’occhio deve essere sano e privo di difetti
visivi per poterle vedere. Effettivamente, già più di
un secolo fa, nel 1898, Tscherning affermava: “Noi
professional
•
•
Figura 10 - Minimo Angolo di Risoluzione per Helmholtz, a sinistra, e per
Snellen, a destra
•
•
vediamo che l’acuità visiva normale di Snellen è la
metà dell’acuità che von Helmolthz aveva trovato
con la griglia, nella quale ogni barra e ogni intervallo
corrisponde a mezzo minuto...”. Inoltre ha notato
che: “I migliori occhi hanno un’acuità visiva che si
avvicina a 2 (ovvero 20/10), e noi possiamo essere
quasi certi che se, con una buona illuminazione,
l’acuità è solo uguale a 1 (ovvero 10/10) l’occhio
presenta dei difetti facilmente rilevabili” (Tscherning
1898). Un occhio che vede 10/10 perciò non è da
considerarsi rappresentativo della norma.
La sola acuità visiva non rileva l’integrità del sistema
visivo, in quanto bisogna considerare anche le altre
capacità visive (ad esempio la sensibilità al contrasto,
il campo visivo, ecc.), ma pur considerando solo
questa capacità non è corretto prendere in considerazione un valore inferiore rispetto a quello che
realmente un occhio può vedere. Inoltre, dato che
la misura dell’acuità visiva è utilizzata in contesti
lavorativi o medico-legali per accertare requisiti visivi, se prendiamo come standard di riferimento un
valore inferiore alla norma, ovvero 10/10, si rischia
di effettuare una sovrastima.
•
•
•
•
•
•
•
•
CONCLUSIONE
A differenza di come molti pensano 10/10 non è da
considerarsi un valore di acuità visiva per una visione
“normale”. Pur essendo passati più di 100 anni da
quando Tscherning l’aveva messo in evidenza per
la prima volta, nella pratica comune si continua a
far riferimento a questo valore e si continua a non
utilizzare i test standard previsti dalle norme ISO.
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40
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