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LA FORZA DEL MARKETING
Milano, 28 marzo 2007
L’incontro si è svolto al Circolo della Stampa, cornice suggestiva di Corso Venezia e location all’altezza di
un evento tutto dedicato al marketing italiano. La giornata, unica nel suo genere, ha raccolto il genio, la
passione e l’entusiasmo di 7 capitani d’impresa della nostra economia che con dovizia di particolari,
umiltà e creatività hanno esposto i segreti del successo delle società che conducono e che, nei rispettivi
settori di mercato, rappresentano benchmark di riferimento importanti, nonché modelli distintivi di valore
in ascesa.
Grazie alla brillante moderazione di Mauro Castelli, giornalista de Il Sole 24 ORE, al tavolo degli speakers
si sono avvicendati:
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Giuseppe Cerbone, Direttore Generale Ferrarelle
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Marco Cattaneo, Presidente Momodesign
•
Angelo Dario Scotti, Presidente e AD Riso Scotti
•
Marcello Binda, CEO Gruppo Binda
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Paolo Gualandi, Presidente Gruppo Guaber
•
Renato Rodenghi, AD Divisione Direct Gruppo Mondatori
All’appello mancava Flavio Repetto, Presidente del Gruppo Elah Dufour Novi, ma grazie ad una
puntuale overview condotta dal chairman, la platea ha potuto raccogliere anche i valori e la rotta vincente
che distinguono la gestione del Gruppo di Novi Ligure.
Lo spunto da cui è partita l’intera giornata si può sintetizzare in una valutazione espressa dall’AD di
Cegos Italia, Domenico Zimbalatti – riflessione ripresa o efficacemente sottintesa in pressoché tutte
le testimonianze dell’evento e ripetutamente elevata a fil rouge della giornata da Mauro Castelli:
l’imprescindibile necessità, da parte delle moderne aziende di successo, di spostare la propria abilità dalla
semplice soddisfazione dei bisogni del cliente alla più strategica ed efficace soddisfazione dei suoi
desideri, ovvero di un ventaglio infinito di possibilità legate alla sfera personale più emotiva, personale,
intimista.
Senza dimenticare che oggi più che mai, la dimensione di azione deve essere globale e che la capacità di
giocare in anticipo, prevedendo mode e trend, costituisce il biglietto da visita per competere con successo
sul palcoscenico internazionale.
I leader riuniti per l’occasione da Cegos Italia hanno fatto tesoro di queste convinzioni declinandole con
successo nei loro business e trasformando, di conseguenza, le proprie organizzazioni in best in class nei
propri mercati di appartenenza.
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“Non ci sono segreti per il successo. E' il risultato di preparazione, duro lavoro ed
apprendimento dai fallimenti”
Colin Powell
L’Ing. Giuseppe Cerbone, Direttore Generale di Ferrarelle SpA, è impegnato da un paio di anni in una
sfida di prim’ordine: la rivitalizzazione del marchio storico della “effervescente naturale” per
definizione, in seguito alla vendita da parte di Danone nel gennaio del 2005, della società Italaquae (che
comprende marchi come Ferrarelle, Boario, Vitasnella, Santagata e Natìa) alla Lgr Holding, società
napoletana della famiglia Pontecorvo-Ricciardi.
Nel marzo 2005, Italaquae cambia nome in Ferrarelle. Si tratta di una chiara volontà da parte della nuova
proprietà di dare grande visibilità al suo brand più noto e identificare l’azienda tutta in quest’ultimo.
All’epoca Ferrarelle è il 4° produttore italiano del mercato delle acque minerali naturali (con un fatturato
di circa 130 milioni di euro e 800 milioni di litri venduti), mercato che nel nostro Paese è caratterizzato da
numeri e meccanismi particolari. Nello scenario internazionale l’Italia è, infatti, il primo consumatore al
mondo nel settore delle acque minerali (vendute al prezzo più basso in assoluto), settore caratterizzato
da imponenti investimenti pubblicitari (solo il settore automotive e quello della telefonia mobile investono
maggiormente).
Non solo. I leader del mercato “acqua”, sia in termini di valore che di volumi, sono le marche di prezzo
medio/basso, a discapito di Ferrarelle, storica marca premium con quota di mercato in costante
contrazione dal 2000 al 2004.
Un’approfondita analisi strategica avviata dalla nuova proprietà dimostra che i precedenti vertici per un
lungo periodo hanno tralasciato la strada del rinnovamento e dell’anticipazione delle tendenze del settore,
preferendo una logica dell’innalzamento del prezzo e della riduzione degli investimenti media.
Anche da questo punto di vista, il caso Ferrarelle dimostra tutta la sua originalità. Nonostante un livello di
penetrazione nel parco famiglie senza eguali, un’immagine forte e consolidata, una brand awareness
ancora al top – seppur decrescente – e un primato in termini di top of mind nella categoria delle
“effervescenti naturali”, l’erosione della quota di mercato è continua e inarrestabile; l’azienda fa quindi
sempre più fatica a giustificare il proprio premium price.
La swot analysys condotta sulle scelte strategiche e sull’arena competitiva delle acque
minerali nell’orizzonte temporale 1990-2004, rivela due grossi limiti:
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la ricerca di un posizionamento competitivo sostenibile (si va dal focus sulla
spontaneità a quello sul gusto, passando per un ventaglio di altri topic molto
diversi fra loro);
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una scarsa valorizzazione del prodotto.
Si tratta di valutazioni che spingono i nuovi vertici ad agire con coerenza su tutti gli
elementi del marketing mix (prezzo adeguato che giustifichi un valore superiore rispetto
ai prodotti della concorrenza, distribuzione, rinnovo dei formati e del packaging, below
the line, advertising) al fine di rinnovare i motivi che portano la marca ad essere la scelta preferita dei
consumatori.
Il top management si trova pertanto a dover predisporre strategie di brand
stretching sia in nuovi settori (predisposizione di un formato personalizzato per
l’alta ristorazione e di una soluzione “preziosa”, la Platinum Edition, che ricorda più
una bottiglia di champagne delle annate migliori che un format da acqua minerale)
sia in nuovi mercati geografici. Particolare e patinata è ad esempio la campagna
ADV presentata nel Regno Unito: modelli dal fisico scolpito e dalla pelle diafana
esplicitano il concetto di quanto faccia bene alla salute bere molta acqua e di
quanto gli effetti di questa abitudine tipicamente italiana possano essere espliciti. Il
claim, chiaramente evocativo è Guess what Italians are made of…
Si dà un colpo di coda anche alle valutazioni inerenti il target cui rivolgersi: da un
lato si decide di mantenere lo zoccolo duro dei consumatori Ferrarelle – giovani ed “elite” – dall’altro di
riconquistare le “casalinghe evolute”, attente alla pubblicità e le donne lavoratrici, sensibili oltre che
all’advertising anche all’immagine.
L’orientamento assunto riflette la scelta di un alto posizionamento che si giustifica con le seguenti azioni:
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puntare sulla creatività italiana per portare il marchio ai vecchi splendori;
comunicare l’autentica effervescenza naturale mettendo in evidenza sul packaging il “bollino” che
attesta come l’Acqua Ferrarelle sia l’unica acqua minerale, in Italia, certificata da un ente
indipendente (SGS) per questa caratteristica;
sul fronte ADV, agire in controtendenza rispetto alla concorrenza: se i principali player decantano
le acque perché sempre più povere di elementi e sostanze, Ferrarelle punta sulla ricchezza della
presenza di sali minerali che ne determinano il gusto caratteristico ed unico.
L’adozione di una strategia capillare e a largo spettro e di un orientamento finalizzato al miglioramento
della comunicazione verso il cliente, ha già cominciato a portare i suoi frutti in Ferrarelle che, dopo anni
non gloriosi, ha ripreso a dimostrare un trend positivo.
A dimostrazione della difficoltà del lavoro svolto per rilanciare il brand Ferrarelle, Giuseppe Cerbone ha
dato un suggerimento semplice e prezioso: “Se gestite un brand storico, non fatelo appassire:
rivitalizzarlo è molto faticoso”.
A riguardo si potrebbe aggiungere, senza timore di smentita, che la caparbietà e la fiducia dell’Ing.
Cerbone, ricorda una celeberrima affermazione di Abram Lincoln che, relativamente ai suoi successi
affermava: “Tieni sempre presente che la tua ferma convinzione di riuscire è più importante di qualsiasi
altra cosa”. Riflessione più che mai attuale e che trova fondamento nelle testimonianze che
impreziosiscono la giornata odierna.
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“Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano”
Mario Andretti
L’identificazione con i desideri del cliente e l’intuizione dei gusti e dei futuri trend di mercato costituiscono
il punto di partenza della strategia che ha portato Momodesign a trasformarsi da azienda padronale nel
settore della competizione – MOMO ha cominciato producendo volanti d’altissimo livello per le formule
sportive americane – ad esempio unico di lifestyle nel settore dell’industrial design.
Momodesign può essere oggi considerato, assieme a pochi altri nomi come Nike, Nutella, Salomon,
Harley Davidson e Ducati, uno degli esempi più significativi di marketing tribale o, per usare una
definizione che piace molto ai sociologi dei consumi, di “tribalismo postmoderno”, secondo cui è
necessario offrire al cliente un brand attraverso cui potersi riconoscere, dando soddisfazione al bisogno
emozionale di vivere un prodotto come un’esperienza di vita.
Sempre più frequentemente le aziende vincenti nell’arena competitiva moderna sono quelle capaci di
creare community attorno a prodotti e servizi che sono in grado di soddisfare i bisogni emozionali del
target prescelto. In quest’ottica Momodesign più che limitarsi ad offrire prodotti fashion, costruisce un
legame emotivo con i propri clienti, uniti da una passione comune: vivere il way of life Momo.
Dal punto di vista strategico, Momodesign ha messo a punto soluzioni di
crescita individuando i suoi fattori portanti nella continua innovazione
tecnologica, nella valorizzazione del Made in Italy e nell’impiego di materiali
sempre più all’avanguardia.
I vertici aziendali decidono di creare un Centro Stile specializzato nella
ricerca e nello sviluppo del design, le cui soluzioni si applicano, oltre ai
settori del car design (genesi della MOMO), anche e soprattutto all’ambito
degli accessori per il tempo libero. E’ proprio in questo Centro Stile che
l’elaborazione di soluzioni dall’eleganza minimal di alcuni aneddoti industriali,
così come il lasciapassare dello spirito creativo delle risorse Momodesign ha
permesso di impiegare i principi ed i processi della meccanica a favore dello
sviluppo dell’alta creatività.
Da intendersi in questo senso è anche il
coinvolgimento nelle creazioni Momo di grandi personaggi del mondo delle
corse/auto sportive come Andretti, Niki Lauda, Pininfarina, indiscutibili trend setter nella loro abilità a
lanciare mode e status symbol e per questo imbattibili nel fornire un’identità a prodotti di design, spesso
elevati a ruolo di feticci di ammirazione ed emulazione mondiale.
Il segreto del successo di una realtà, relativamente piccola come quella di Momodeign, risiede nello
sviluppo e nell’impiego sapiente di un know how realmente distintivo, che trova la sua espressione più
rappresentativa nell’elaborazione di soluzioni di design ad altissimo impatto, non solo estetico ma
soprattutto emotivo. Non a caso una delle convinzioni più forti che ha accompagnato Marco Cattaneo
nell’irresistibile ascesa di Momo agli esordi e di Momodesign oggi risiede nel fatto che il design,
soprattutto in un contesto in cui è il dettaglio a fare la differenza e quindi a decretare la popolarità di un
prodotto/servizio, è indispensabile non solo per un futuro di successo, ma anche semplicemente per
sopravvivere in una difficile arena competitiva: un investimento in design di 30/40.000 euro in più
all’anno, se spalmato su un fatturato di 35/40millioni di euro comporta un premium price non superiore
all’1%.
Tale attenzione potrebbe in ogni caso non essere sufficiente per un’azienda con velleità ed obiettivi di
espansione e di crescita internazionale, soprattutto alla luce della tensione competitiva che caratterizza il
mercato globale. Momodesign ha quindi fatto della trasversalità tout court il suo fiore all’occhiello,
giocando sul doppio fronte della diversificazione in mercati attigui e dell’ampliamento di gamma, senza
mai dimenticare (applicandone piuttosto concetto e filosofia) il rispetto della brand identity.
Il comune denominatore di tutte le soluzioni del portafoglio Momodesign si basa sull’assunto
imprescindibile che il brand stretching rappresenta una soluzione vincente di crescita e successo soltanto
se vive nel rispetto dei valori, della tradizione e della mission Momodesign. Ogni creazione deve
implicitamente portare un marchio di fabbrica distintivo, che permetta di identificarlo con facilità come
“gioiello Momodesign”. Trattandosi di prodotti di alta gamma, con forti implicazioni fashion ed emotive,
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l’intuizione che ci si trovi di fronte ad un prodotto “Momo” nasce dalle sensazioni che tale articolo
scatena. Un’allure difficile da spiegare, una particolarità distintiva, tipica di
prodotti fortemente emulativi e per questo promotori di un preciso e ricercato
lifestyle. Tale originalità è il valore che identifica tutti i prodotti Momodesign –
orologi, occhiali, abbigliamento, scarpe, stivali, borse, biciclette, moto, auto
(Lancia Y), telefonini e ovviamente caschi – e che permette di associare un
cliente alla community Momo, senza necessariamente leggerne la griffe.
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“La vita non offre piacere più grande del superare le difficoltà e passare da
un successo ad un altro, del formare nuovi desideri e di vederli realizzati”
Samuel Johnson
Quale cliente aggirandosi fra gli scaffali del supermercato, non ha sorriso pensando al misterioso Dott.
Scotti che ammonisce il buon Gerry? Trovata pubblicitaria straordinariamente vincente, non solo per la
grande notorietà di cui progressivamente il personaggio di Gerry Scotti ha goduto dal 1993 (anno di
ingresso della Riso Scotti nel mondo della comunicazione) ad oggi, ma anche per il divertente caso di
omonimia che ha creato una vera e propria case history della comunicazione basata sul gioco "ScottiScotti".
La strategia di comunicazione scelta dall’azienda è stata quella di voler spiegare ai consumatori i plus
distintivi del prodotto Riso Scotti rispetto alla concorrenza, fornendo al consumer reason-why vincenti,
concrete e riscontrabili.
Un esempio è dato dalla decisione di Riso Scotti, prima azienda in Italia, di utilizzare l’allora innovativo
sottovuoto per le confezioni di riso, grazie al quale il consumatore ha potuto cogliere il vantaggio di un
prodotto fresco, come appena raccolto, mentre il trade ha potuto comprendere i vantaggi di un
magazzino al riparo dal rischio di infestazioni.
Dal 1994 in poi la quota di mercato e il fatturato Riso Scotti hanno continuato a crescere costantemente:
oggi il marchio Riso Scotti ha una brand awarness del 99%, fra le più alte registrate nel panel dei brand
principali del mercato food e non food italiano. La forza del marchio percepita dal pubblico e l’alta qualità
del prodotto proposto permettono a Riso Scotti di occupare, ormai da anni, un posizionamento di
premium price. Un risultato significativo se si considera che la Società produce e commercializza un
prodotto tradizionalmente commodity, senza contare sul supporto di una dimensione e di una struttura
multinazionale.
Particolarmente indovinato è il modo con cui Riso Scotti decide di far percepire il proprio prodotto:
elemento centrale nella prevenzione delle malattie e nel mantenimento del benessere psicofisico. La
parola "dieta", intesa nella sua accezione di regime dimagrante, ha assunto negli anni un significato più
allargato, arrivando a identificare uno stile alimentare che se ben adottato consente di vivere meglio. Il
Riso diventa quindi parte integrante ed irrinunciabile di una dieta sana ed equilibrata.
In quest’ottica, Riso Scotti ha cambiato la “forma” del riso agendo su tre direttrici:
• diversificazione del prodotto: nascono nuovi prodotti
fortemente caratterizzati e accomunati dalla promessa “Vivere
bene mangiando” che, a partire dalla prima colazione,
accompagnano il consumatore durante tutto l’arco della
giornata. Il riso diventa la materia prima per la produzione di
prodotti particolari – pasta, crackers, grissini latte, biscotti, olio
– che ancor più dei risotti pronti identificano agli occhi del
consumatore la specificità del marchio Riso Scotti. Una food
company specializzata nella produzione di un ampio ventaglio
di prodotti di riso;
• innovazione continua, che si riscontra su diversi fronti, dal portafoglio prodotti offerto, alle soluzioni
di packaging e ai suggerimenti di ready meal; dai canali distributivi scelti, ai meccanismi di
diversificazione e di brand stretching adottati;
• internazionalizzazione del marchio: Riso Scotti decide di penetrare i Mercati dell’Est Europeo a
partire dalla Romania, dove tenta di riprodurre, nel settore della produzione/lavorazione del riso, il
“Sistema Italia”. La scelta della Romania come country pilota non è casuale: è un Paese caratterizzato,
negli ultimi anni, da un tasso di crescita media degli ultimi anni molto interessante e da un tasso di
inflazione in calo. Anche dal punto di vista geografico, la Romania presenta le caratteristiche ideali per
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questo tipo di investimento: clima adatto, terreni molto fertili e ampia disponibilità di acqua per le
irrigazioni. Inoltre la Romania ha un consumo pro capite medio di 4,5 Kg di riso l’anno.
Alla luce di queste riflessioni, nel 2002 Riso Scotti ha ritenuto opportuno avviare il
Progetto Danubio, finalizzato alla pianificazione e al consolidamento della
produzione e commercializzazione di riso, che potrebbe permettere alla Romania
di divenire il terzo polo risiero dell’UE dopo Italia e Spagna (con possibilità, nel
lungo termine, di ambire anche al primo posto), garantendo alla nazione stessa
alcuni importanti benefici, tra cui il recupero ambientale, la bonifica di terreni
incolti e l’incremento dell’occupazione e l’autosufficienza produttiva
La strategia del progetto si basa sull’assunto ambizioso da parte di Riso Scotti di essere l’unico produttore
ad aver riportato il riso in Romania e ad essere in grado di soddisfare tutte le esigenze del mercato, a
partire dai seguenti presupposti:
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•
•
garanzia degli standard qualitativi certificati di Riso Scotti;
packaging innovativo ed attrattivo;
prezzo accessibile a tutta la popolazione.
Oggi, alla luce del successo del Progetto Danubio (in futuro proponibile ad altri partner italiani) e grazie al
sostegno che lo Stato rumeno ha voluto riconoscere alla coltivazione del riso, altri coltivatori sono
approdati in Romania, dove oggi si coltivano a riso circa 6.500 ettari, contribuendo in modo significativo
alla crescita del mercato.
Riso Scotti dal canto suo sta progressivamente avvicinandosi al raggiungimento degli
auspicati obiettivi di brand awareness e di potenziamento di un’immagine di azienda
che ha come valori imprescindibili il rispetto del territorio e la creazione di opportunità
di crescita del Sistema Paese. Un’applicazione effettiva di questa sensibilità etica è
rappresentata da quello che il Dott. Scotti ha definito un reale punto di forza della sua
azienda: l’energia, intesa come impegno a creare centrali energetiche con gli scarti del
riso (circa il 20% della materia prima). Concretamente, questo progetto socialmente
utile, ha portato alla nascita di una nuova azienda all’interno del Gruppo, la Riso Scotti Energia Srl, che
opera nell’ambito della produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili con avanzati impianti
tecnologici, per ridurre al minimo l’impatto ambientale e il consumo di fonti energetiche tradizionali. La
filiera mondo agricolo-industria così strutturata pone la società di Pavia all’avanguardia per uno sviluppo
del business e della produzione di riso, in armonia con l’ambiente e le esigenze di un progresso ecocompatibile.
In linea con tale mission, è lo stesso il Dott. Scotti a sostenere che la sua è “un’azienda di persone
fortemente impegnate a creare cultura e valore nel riso”.
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“Le cose migliori si ottengono con il massimo della passione”
Johann Wolfgang Goethe
In questa dinamica altalena di testimonianze, dopo la meritata pausa pranzo, i lavori riprendono
ritornando a focalizzarsi sull’ambito non food, dove a fare da protagonista è il marchio Breil Milano del
Gruppo Binda. Interessante è lo speech di Marcello Binda, CEO dell’omonimo Gruppo, anche per le
analogie sia tattiche sia strategiche che sono facilmente riscontrabili con il caso Momo Design.
Il marchio Breil Milano vede i suoi natali nel lontano 1942, anno del lancio sul mercato del primo
orologio griffato Breil; da subito gli orologi si distinguono per la sensibilità al gusto estetico dell’epoca e
per una spiccata ricerca stilistica.
La vera svolta in termini di notorietà avviene nel 1994, grazie ad una campagna
pubblicitaria che lancerà un claim fra i più ricordati e noti di tutti i tempi:
“Toglietemi tutto ma non il mio Breil”. Negli spot donne bellissime e dalla forte
personalità indossano orologi di foggia maschile stimolando il ricorso, anche in
pubblicità, di un fenomeno sociologico la UOMA, che diventerà un vero e proprio
trend e che incarnerà sempre più il desiderio di emancipazione femminile. Breil
mostra la sua anima unisex scegliendo testimonial (da Shana Zadrick, a Carrè Otis,
passando per Monica Bellocci ed Eva Green)che incarnano perfettamente i valori
della marca: forza, audacia, sensualità, istinto primordiale.
Breil Milano esprime la personalità di chi lo indossa, è il segno indelebile di chi appartiene e vive il mondo
Breil Milano riconoscendosi in esso.
A riprova di quanto appena affermato, Marcello Binda illustra quelli che sono i valori distintivi di
un’azienda di successo che ha fatto dell’attenzione al marketing, alla comunicazione verso il cliente e
all’anticipazione dei suoi desideri i propri punti di forza. Si tratta di ingredienti che si possono ritrovare in
tutti i casi di eccellenza presentati durante la giornata:
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•
il coraggio di prendere decisioni importanti;
l’innovazione organizzativa e di prodotto;
lo stile (distintivo, ricercato, coerente alla mission aziendale);
la passione per il proprio lavoro, che il consumatore deve poter avvertire.
Di fronte allo straordinario ritorno commerciale e di immagine che l’investimento in comunicazione ha
garantito al Gruppo, nel 2001 il vertice aziendale della Binda decide di investire affinché Breil da marca di
orologi diventi una marca glamour, un brand lifestyle per il mercato globale, attraverso un’operazione di
brand extension che poco si discosta dai principi di quella che ha caratterizzato la Momodesign: coerenza
rispetto agli elementi unici del prodotto/marca, focalizzazione sugli aspetti emozionali, creazione di
desiderabilità, impiego di un design distintivo.
Lo stesso CEO parla chiaramente di Breil Stretching: dal focus sulla materia a quello sull’idea. La mission
è quella di emozionare sempre il consumatore, nel rispetto del binomio design + emotion.
La prima avventura di successo, in termini di diversificazione, risale al 2001 con il
lancio della linea Breil Milano Jewels, che sancisce l’invenzione di un nuovo mercato,
quello della gioielleria in acciaio: gioielli dal disegno e dall’aspetto inconfondibile, che
rispecchiano in pieno lo stile Breil. Nello stesso anno la griffe conquista la leadership
nella propria fascia di riferimento e pianifica una strategia di internazionalizzazione che,
con un sapiente sviluppo del marchio su territorio internazionale gli ha permesso di
essere oggi presente in oltre 40 paesi, spesso con quote di mercato eccellenti come in
Olanda, Giordania e soprattutto Spagna, dove le percentuali di penetrazione si stanno
progressivamente avvicinando a quelle italiane.
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L’internazionalizzazione del brand comporta degli interventi in ambiti e
aspetti che in passato hanno già decretato il successo Breil. “Toglietemi tutto
ma non il mio Breil” è troppo lungo e articolato per essere tradotto in
inglese: viene inaugurata una nuova campagna che utilizza il claim
fortemente evocativo “Don’t touch my Breil”. E’ questa una soluzione
strategica volta a supportare un brand sempre più presente fuori dai confini
italiani, che raccoglie immediato successo presso il target Breil e che, ancor
più che in passato, rappresenta la sintesi affascinante fra stile, spontaneità e
passione.
A sottolineare come il rinnovamento del marchio Breil Milano vada ad investire tutti gli elementi del
marketing mix, i fratelli Binda decidono di intervenire anche sul fronte distributivo: sempre nel 2001
nasce il canale Retail, con l’inaugurazione a Milano del primo monomarca; un’operazione fondamentale
per rafforzare oltremodo l’immagine dinamica e di successo di Breil.
L’attenzione al mondo che cambia, alle mode, all’evoluzione dei ruoli in una società sempre più
complessa, dinamica, frenetica ha portato recentemente il Gruppo Binda a mettere nuovamente in
discussione l’ultimo claim. L’uomo e soprattutto la donna Breil non sono più chiamati a difendere
strenuamente qualcosa. Il nuovo stile di comunicazione si deve costruire sulla sicurezza delle proprie
capacità e sulla personale determinazione a raggiungere i propri obiettivi: il don’t touch diventa touch,
ovvero un sentire nuovo, una seduzione che arriva al cervello, una ritrovata complicità, una fisicità che,
più che in passato, diventa linguaggio.
Breil in questa nuova operazione di restyling dimostra come anche i brand di maggiore successo debbano
mettersi in discussione, rinnovarsi, al fine di rispondere puntualmente alle nuove esigenze e ai segnali
lanciati dal mercato, sempre nel rispetto della propria identità, quel segno distintivo che ha decretato il
valore del brand su scala internazionale.
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“Tieni sempre presente che la tua ferma convinzione di riuscire è più importante di
qualsiasi altra cosa”
Abram Lincoln
Dopo la pacatezza e l’elegante esposizione di Marcello Binda, l’evento procede passando il testimone al
vulcanico Presidente di Guaber, Dott. Paolo Gualandi che con grande entusiasmo illustra la storia e la
crescita del suo Gruppo, arrivato oggi a fatturare più di 180 milioni di euro grazie ad un modello vincente
di diversificazione, unico sul panorama italiano.
Il Gruppo Guaber nasce nel 1961 da un’intuizione del Presidente Paolo Gualandi quando, con l’amico
Athos Bergamaschi e qualche anno più tardi con il fratello Sergio, apre un’azienda finalizzata a far
crescere e sviluppare una serie di prodotti per la pulizia della casa.
Qualche anno più tardi Paolo Gualandi decide di investire in prodotti per l’igiene
della persona – bagnoschiuma, shampoo, deodoranti – che alcune ricerche di
mercato indicano come destinati a conoscere ampia diffusione e
apprezzamento.
Nel 1975 nasce la linea “Antica Erboristeria”, la prima a portare sul mercato
italiano la novità dei prodotti per la cura della persona a base di principi attivi
naturali.
Il lancio della linea “Neutromed”, l’acquisto del marchio “Cera Grey” e l’arrivo del brand
“Vape”, leader mondiale nel mercato insetticidi, segnano capitoli memorabili nella storia
dell’azienda, che realizza importanti passi in avanti verso il successo, consolidato negli anni
da marchi che oggi fanno parte della quotidianità dei consumatori: “Istituto Erboristico
L’Angelica”, “Fruttaviva”, “Bionsen”, “Coloreria Italiana”, “Fito”, tanto per citarne alcuni. Si
tratta di soluzioni di successo, che hanno ampliato geograficamente e commercialmente
l’intuizione dei fratelli Gualandi, a riprova del fatto che un brand storico può allargare la
gamma di offerta senza creare confusione nel consumatore.
Investendo su elementi quali dinamicità, orgoglio, determinazione nel perseguire una crescita costante e
un’innovazione continua e coniugandoli con un’innata capacità ad assecondare, e spesso anticipare,
mercati sempre più mutevoli ed esigenti, Guaber ha oggi allargato il suo campo d’azione raggiungendo
importanti obiettivi in diversi canali di vendita: mass market, bricolage e garden center, profumeria
selettiva e farmacia, grazie anche alla collaborazione con i migliori partner della distribuzione mondiale.
Tale sviluppo crescente e multidirezionale appoggia le sue fondamenta su due
importanti punti di forza: la capacità di innovare e l’attenzione alle esigenze
emergenti di clienti effettivi e prospect. A quest’ultimo aspetto, in particolare, si
può ricondurre un altro driver determinante del successo di Guaber: la velocità
decisionale (secondo Gualandi la velocità è anche meglio della perfezione).
Competendo a livello mondiale con colossi sostenuti da laboratori di research & development,
sofisticatissimi per la quantità e la complessità di studi e test effettuati, Guaber non può permettersi
lungaggini procedurali e verifiche continue: ciò significa che l’azienda non realizza market test
tradizionali, ma che il lancio sul mercato costituisce il primo test sull’efficacia e la validità del prodotto.
Gualandi ama ribadire come dopo 40 anni la sua sia ancora un’azienda
familiare, in grado di competere nei mercati più disparati con le
multinazionali concorrenti (veri e propri colossi come Unilever, Procter &
Gamble, J&J). Il Gruppo Guaber è infatti il raro esempio di una realtà
interamente italiana che, pur senza le solide alleanze con player e opinion
leader riconosciuti, sta riuscendo a farsi conoscere in tutto il mondo.
Il marchio di fabbrica della Guaber si riscontra soprattutto nella capacità di
a focalizzarsi sui singoli settori di attività: i diversi business vengono sviluppati attraverso gruppi di lavoro
verticali dedicati ai specifici mercati, che consentono all’organizzazione di operare con grande efficacia e
di raggiungere ottimi risultati.
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Capacità di rispondere puntualmente alle evoluzioni del mercato ed innovazione continua sono quindi in
casa Guaber arte e metodo. Tecnicamente questo significa tenere allineate le aziende del Gruppo Guaber
e le loro risorse su tre dimensioni/capacità precise:
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individuazione dei bisogni di consumatori (B2C) e mercati (B2B);
creazione di valore attraverso risorse motivate e continui investimenti tecnologici;
organizzazione: Guaber fa della flessibilità e dell’elasticità un metodo organizzativo e
gestionale per essere veloce e competitiva sul mercato
La filosofia del Gruppo Guaber può essere quindi sintetizzata evidenziando alcuni punti imprescindibili per
il Top Management aziendale:
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adottare un approccio basato su un unico razionale, ovvero focus sul valore;
puntare sulla velocità di esecuzione, soprattutto nella gestione degli “spin off” che devono
essere pianificati in dettaglio, ma poi realizzati in velocità;
coinvolgere solo alcuni key leaders dell’organizzazione: secondo Gualandi, l’organizzazione deve
essere focalizzata per il 90% sul business di base e non nel carve out;
comunicare un’appassionante visione del futuro a tutti i collaboratori e colleghi;
costruire il miglior team selezionando i migliori collaboratori di ogni posizione;
sfruttare la focalizzazione per ridisegnare e ristrutturare: è necessario prima eseguire lo spinoff e poi cambiare i processi chiave.
A tali principi va aggiunto un’altra convinzione fondamentale del Gruppo Guaber, che trova la sua genesi
nel pensiero di Jack Welch, storico AD di General Electric, considerato il più grande manager del secolo
scorso. Come Welch, Gualandi sostiene uno stile di management diretto e trasparente, fondato sulla
ferma volontà di essere i migliori (o al massimo i secondi) in tutti i mercati in cui Guaber decide di essere
protagonista.
In 40 anni di storia, tali convinzioni hanno permesso a Guaber di essere attualmente presente in oltre 80
Paesi, in tutti i continenti, con prodotti per il largo consumo e per i negozi specializzati e di profumeria,
nel rispetto di un equilibrio di competitività ottimale. L’azienda infatti ha saputo bilanciare al meglio la sua
presenza diretta e la selezione di distributori/partner esclusivi nei diversi paesi, per assicurarsi una
presenza internazionale.
Turnover Trend
(Million euro)
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Turnover
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
48
57
69
78
87
105
109
114
124
134
147
165
169
Ma non è finita qui. Il 15 settembre dello scorso anno, Guaber Spa e Axa Private Equity hanno firmato un
accordo finalizzato alla creazione di una nuova holding europea per la produzione e commercializzazione
di prodotti per la cura dei tessuti, la pulizia della casa, la cura delle piante, insetticidi: Spotless Group.
Guaber Spa figura come la seconda azionista del Gruppo dopo AXA Private Equity e il gruppo manageriale
internazionale partecipa con una quota pari al 30% del capitale. Dopo questa unione, Spotless Group
potrà contare su un giro d’affari che supera i 320 milioni di euro annui e sarà presente in 5 paesi europei.
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“Per compiere grandi passi, non dobbiamo solo agire, ma anche sognare, non solo
pianificare, ma anche credere”
Anatole France
Chiude il pomeriggio di questo interessante momento di aggiornamento e confronto Renato Rodenghi,
DG della Divisione Direct del Gruppo Mondatori, project leader e oggi portavoce di una sfida
interessante del colosso editoriale: la realizzazione dello store del futuro, spazio polivalente dove non
saranno solo i libri ad essere protagonisti.
Il Gruppo Mondadori, con più di cinquanta società controllate e collegate, italiane ed estere, è il
maggiore gruppo editoriale italiano e copre tutto l'arco di attività dell'editoria, dalla creazione dei prodotti
alla stampa, dalla distribuzione alla commercializzazione .
Dal 2001 tutte le attività del Gruppo Mondadori legate ad un rapporto diretto con il cliente sono state
riunite in una unica business unit, la Divisione Direct, con l'obiettivo di coordinare le specifiche
competenze e di enfatizzare il valore del cliente attraverso una completa multicanalità. La Divisione
Direct, realizzatrice nel 2005 di un fatturato globale pari a 271 milioni di Euro e diretta da Renato
Rodenghi comprende le seguenti realtà:
•
•
•
•
•
Cemit Interactive Media ;
Mondolibri;
Mondadori Franchising;
Mondadori Retail;
abbonamenti.
525
450
375
300
225
150
75
0
2000
2001
MONDOLIBRI (*)
2002
M. RETAIL
2003
2004
2005
M.FRANCH Librerie
2006
B2007
M.FRANCH Edicolè
Rodenghi sottolinea come l’evoluzione dell’area da lui diretta sia stata fortemente
colpita dalle rivoluzioni che hanno interessato soprattutto l’ambito distributivo e
di come il fenomeno della multicanalità (e il suo presidio strategico) abbia
fortemente influenzato la mission della divisione, sempre più orientata a
massimizzare la vendita dei prodotti editoriali attraverso diversi canali – punti di
vendita, catalogo, internet. Tale strategia di sviluppo è finalizzata a valorizzare
ulteriormente l’identità del marchio Mondatori, perseguendo al contempo gli
obiettivi di Divisione:
•
•
•
•
rafforzare la quota dell’editore nei canali;
espandere il mercato;
individuare format innovativi;
fare profitti.
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In che modo è possibile perseguire efficacemente tali finalità? Rodenghi ci risponde con alcune
considerazioni interessanti:
•
la necessità di prevedere delle location che non siano semplici librerie, bensì degli spazi
polivalenti (come se ne vedono molti all’estero) che possano comprendere, oltre alla classica
sezione dedicata ai volumi, anche altri servizi – ristorante, internet café, spazi espositivi
permanenti, mostre, eventi esclusivi – in grado di attirare il cliente incuriosendolo oltremodo e
fidelizzandolo nel lungo termine;
•
la dirompente evoluzione che sta vivendo il mondo dei media
(in riferimento soprattutto alla musica e ai films, molto meno
per quanto riguarda il settore dei libri) in termini di
digitalizzazione dei contenuti, di velocità di trasmissione dei
dati, richiederà un diverso approccio al mondo del retail nei
media;
•
l’allungamento della catena del valore (con i casi di eccellenza
di IKEA, Zara, H&M) da al retailer la possibilità di aggiungere
ai tradizionali margini della transazione commerciale i margini
legati alla industrializzazione del prodotto;
•
l’importanza strategica della location, ovvero vantaggi e limiti delle soluzioni sorte nel centro
città rispetto a quelle dei centri commerciali. La scelta di visitare o di “vivere” uno spazio di svago
e distrazione tiene in considerazione elementi quali il design che qualifica l’ambiente, la frequenza
e la tipologia di acquisto, gli orari del punto vendita, la tipologia dei servizi offerti. E’ indubbio che
un centro commerciale si caratterizzi per un numero maggiore di acquisti d’impulso rispetto ad un
negozio cittadino, dove al contrario i suoi frequentatori si dedicano ad un piacere che non è puro
approvvigionamento ma conoscenza, sperimentazione di beni ad alto contenuto immateriale. Il
tempo trascorso in negozio è spesso un tempo di piacere, un investimento riservato allo svago e
all’arricchimento personale e non una necessità impellente da soddisfare sfidando i frenetici ritmi
cittadini;
•
il cliente, sempre più concepito alla stregua di un ospite di riguardo, deve avere la possibilità di
“toccare con mano”, sperimentare l’offerta di prodotti e servizi in spazi appositamente attrezzati –
area TV, spazi dedicati ai giochi per i bambini, area con la possibilità di provare l’Ipod – alla
possibilità di sfogliare i libri, di ascoltare la musica.
Si tratta di considerazioni che portano ad una nuova concezione di negozio: da luogo di pura
transazione commerciale a vero e proprio “media”, protagonista di un’evoluzione concettuale che si
profila sotto diversi aspetti:
•
•
•
•
da semplice luogo di acquisto si trasforma in luogo di ritrovo;
da mero spazio espositivo a luogo in cui si organizzano e si vivono
eventi;
da location dedicata alla pura vendita di prodotti, a sistema
multitasking, in cui si offre un ventaglio variegato di servizi a
valore aggiunto;
da un puro B2C a un’integrazione fra B2B (big spender) e B2C
(fruitore finale).
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“Le idee ispirate dal coraggio sono come le pedine negli
scacchi, possono essere mangiate ma anche dare avvio ad un gioco vincente”
Johann Wolfgang von Goethe
A conclusione di questo “memoriale” sulla giornata “La Forza del Marketing” è doveroso spendere alcune
parole anche sul grande assente della giornata, ma riconosciuto leader aziendale di successo,: il Cav.
Flavio Repetto, Presidente del Gruppo Elah Dufour Novi, nonché Presidente della Fondazione
Carige.
Repetto è noto tanto nel gotha nazionale del business, quanto presso la comunità dei giornalisti come il
grande risanatore di organizzazioni in crisi, per le sue straordinarie capacità di riportare in auge
società che, per i motivi più svariati, hanno smesso di navigare in buone acque.
Il Presidente che con umiltà è solito minimizzare questo ruolo di restauratore di società in affanno,
sottolinea come le difficoltà in cui in cui spesso incappano le aziende risiedano quasi sempre
nell’incapacità dei loro imprenditori non solo di anticipare mode, trend e fenomeni di costume ma anche
di cogliere precisi segnali di difficoltà o crisi effettive del mercato.
A questa endemica criticità se ne aggiungono altre riconducibili, secondo Repetto, all’incapacità di molte
aziende di razionalizzare i processi produttivi e commerciali, alla mancanza di innovazione che penalizza
certi mercati e soprattutto al mancato investimento in termini di riqualificazione del personale: l’uomo
rappresenta infatti “il fulcro decisivo e fondamentale per qualsiasi azienda e riuscire a rimettere in acqua
barche malandate all’insegna della qualità, significa fare cultura attraverso la crescita degli uomini.
Proprio in virtù di questa valutazioni la risorsa, se necessario, deve essere incentivata”.
Il Cavalier Repetto cominciò l’attività come imprenditore costituendo un’azienda per l’imbottigliamento dei
vini, la Vallechiara, abbozzando già allora una svolta innovativa: in un mercato in cui tutti servivano
tradizionalmente vino tramite fusti e damigiane, lui decise di fornirlo attraverso bottigliette, dal momento
che i consumi erano normalmente a quarti di litro. Passò quindi alla ristorazione collettiva e alla
distribuzione automatica di bevande con la Generale Ristorazione.
Nel 1982 rilevò dal Tribunale Fallimentare di Genova i marchi legati alle aziende Elah
di Pegli e Dufour di Cornegliano, per un totale di poco più di 2 miliardi delle vecchie
lire. Gli obiettivi principali di Repetto furono quelli di rinnovare a 360 gradi la nuova
struttura nata dall’acquisizione delle due realtà sperando, al
contempo, di beneficiare dell’appoggio dei dipendenti, vittime
dei precedenti fallimenti. Avviò subito un progetto di
risanamento che vide come punto di partenza proprio la
necessità di motivare i 240 dipendenti assunti dalle due
aziende rilevate. Il processo di motivazione avvenne attraverso il varo, nel 1984,
di un aumento di capitale di due miliardi di lire, riservato proprio a queste risorse,
con la clausola del rimborso alla pari in caso di recesso e trasformando tutto o
parte del TFR in capitale di rischio.
Il passo successivo, compiuto nel 1986, fu quello di rilevare la Novi –
produttrice di cioccolato, caramelle e confetti in quel di Novi Ligure – altra
azienda in procinto di annegare nel mare magnum dei fallimenti. Anche in
questo caso Repetto cominciò un radicale processo di rinnovamento,
supportato dalla costruzione di un nuovo moderno stabilimento, dopo che ebbe
riscontrato l’arretratezza degli impianti produttivi impiegati fino ad allora. Il
risanamento portò ad una situazione davvero insperata: la produzione di
prodotti di cioccolato caratterizzati da una riconosciuta qualità superiore e
presentati sul mercato ad un prezzo di un terzo inferiore rispetto al passato.
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La costante che accomuna tutte le operazioni di rilevazione e successivo risanamento condotte da
Repetto è la centralità della risorsa uomo rispetto al business e all’organizzazione aziendale. In ElahDufour l’età media dei dipendenti è di 33 anni, con un 76% di laureati e diplomati, il cui continuo
aggiornamento professionale è prerogativa imprescindibile in azienda. A proposito dell’attenzione rivolta
alla riqualificazione del personale, Repetto in una recente intervista rilasciata a Mauro Castelli, cerca di
spiegare come sia riuscito a creare un gruppo di successo partendo da aziende in crisi, ricorrendo alla
metafora del direttore d’orchestra e alla sua abilità tanto nel dirigere che nel far crescere i propri
suonatori: “Quando i musicanti ti seguono la sinfonia riesce bene e ti si allarga il cuore. E in questa valle
di lacrime poter gioire e sorridere non è cosa da poco. Inoltre, il potersi confrontare con qualcosa che hai
costruito ti da una grande emozione, oltre alla sensazione piacevole del dovere compiuto”.
La soddisfazione del cliente interno e il suo coinvolgimento continuo nelle scelte
aziendali è pertanto la cartine di tornasole del successo presso il mercato di
riferimento, nonché il primo banco di prova per valutare la customer satisfaction
effettiva. In questo senso anche per Elah-Dufour uno dei segreti per imporsi come
leader del settore merceologico di appartenenza, soprattutto a valle di un processo
che ha visto una lunga serie di acquisizioni e di interventi di risanamento, è proprio
l’equilibrio tra sinergia di Gruppo e identità del singolo marchio. Ancora una volta la
coerenza nel processo di Brand Stretching.
L’orientamento al successo di Flavio Repetto ricorda molto quello di un grande industriale statunitense,
Ross Perot fondatore, nel 1962, della Electronic Data Systems (EDS) e del partito politico Reform Party
candidandosi due volte alle elezioni (1992 e 1996) per la Presidenza degli Stati Uniti d'America. Una delle
sue celeberrime frasi ad effetto suonava così:
“Quando si ha successo, si ha anche bisogno di moltissima autodisciplina per non perdere il senso di
equilibrio, di umiltà e l’impegno. Nella costituzione di un team vincente, cerca sempre quelli che amano
vincere. Se non riesci a trovarli, allora cerca quelli che odiano perdere”.
Il marketing è anche questo: non solo analisi SWOT ma anche ambizione, impegno e umiltà.
Paola Lazzarini
Cegos Italia Spa
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