i ragazzi stanno bene_CS
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Commedia agrodolce e molto tradizionale nella struttura, ma non in alcuni 'dettagli' del contenuto, ad alcuni appare banale, ad altri geniale. Idi certo, il suo modo di toccare temi come il matrimonio e la genitorialità di una coppia lesbica e l'inseminazione artificiale è attraente e positivo tanto da costituire un unicum nel suo genere, almeno fra i film di ampia distribuzione internazionale, e una pellicola 'utile' a proporre con garbo la discussione su questi temi a chi solitamente la rifiuta o la evita per scarsa informazione. Soprattutto in Italia. scheda tecnica Titolo Originale: THE KIDS ARE ALL RIGHT durata: 104 MINUTI nazionalità: USA anno: 2011 regia: LISA CHOLODENKO Sceneggiatura: STUART BLUMBERG, LISA CHOLODENKO fotografia: IGOR JADUE-LILLOI colonna sonora: NATHAN LARSON, CRAIG WEDREN montaggio: JEFFREY M. WERNER produzione: 10TH HOLE PRODUCTIONS, ANTIDOTE FILMS, ARTIST INTERNATIONAL, GILBERT FILMS, PLUM PICTURES distribuzione: LUCKY RED interpreti: JULIANNE MOORE (Jules), ANNETTE BENING (Nic), MARK RUFFALO (Paul), MIA WASIKOWSKA (Joni), JOSH HUTCHERSON (Laser). Lisa Chodolenko Lisa Cholodenko (Los Angeles, 5 giugno 1964) è una regista e sceneggiatrice statunitense, attiva in campo televisivo e cinematografico. Nata e cresciuta a Los Angeles, ha studiato presso la Columbia University School of the Arts, dove è stata premiata per il cortometraggio Dinner Party. Ha iniziato la sua carriera come assistente al montaggio per il film di Beeban Kidron La vedova americana e come assistente alla post-produzione di Boyz n the Hood - Strade violente di John Singleton. Debutta con il suo primo lungometraggio nel 1998 con il film High Art, vincitore di numerosi premi.Negli anni successivi lavora per la televisione, dirigendo episodi di serie televisive come Homicide, Six Feet Under e The L Word. Nel 2004 ha fatto parte della giuria del Sundance Film Festival. Nel 2005 dirige il secondo lungometraggio, Laurel Canyon - Dritto in fondo al cuore, interpretato tra gli altri da Frances McDormand, Christian Bale, Kate Beckinsale, Natascha McElhone e Alessandro Nivola. La regista è apertamente lesbica, ha una relazione con la musicista Wendy Melvoin. La coppia ha un figlio, che la Cholodenko ha concepito tramite inseminazione artificiale. Questa esperienza ha ispirato la storia del film I ragazzi stanno bene, presentato con successo al Sundance Film Festival e premiato nel corso del 60° Festival di Berlino. la parola ai protagonisti Lisa Cholodenko e Stuart Blumberg LC: Ci siamo incontrati anni fa per caso in un bar di Los Angeles, e Stuart mi ha chiesto cosa stessi facendo. Gli ho detto che stavo lavorando a questa sceneggiatura, ma avevo appena cominciato e stavo affrontando un tipico blocco dello scrittore, poi gli ho chiesto cosa stesse facendo lui. Laurel Canyon era uscito nelle sale; stavo curando la regia di alcune cose per la televisione. Ma quello che desideravo davvero era scrivere una sceneggiatura, perché tutto quello che mi veniva spedito e che leggevo non faceva per me. Sentivo di aver già iniziato quel processo che ti porta a lavorare in modo più personale e mi sentivo più a mio agio con sceneggiature incentrate sui personaggi. SB: Mi ha detto 'Voglio scrivere una sceneggiatura per un film mainstream che parli di mamme che hanno figli e di donatori di sperma'. E io le ho risposto 'E’ strano, perché io invece vorrei fare qualcosa di più simile ai film che fai tu', qualcosa più simile al cinema d’autore. LC: Gli ho fatto una specie di schema dell’idea. Lui era interessato per ragioni molto personali… SB: Sono stato donatore di sperma al college. LC: Ho amici che hanno vissuto molti aspetti di questa storia, io e la mia compagna abbiamo cercato di avere un bambino. Ci sono un sacco di storie di bambini di donatori, e quei bambini ora stanno crescendo. Si aprono nuove sfide per la famiglia. Così mentre Stuart pensava che sarebbe stato divertente cimentarsi con qualcosa dal sapore 'indie', io pensavo che sarebbe stato interessante coinvolgere qualcuno in questo progetto che avesse una sensibilità più 'commerciale'. Abbiamo pensato che avrebbe potuto essere un felice connubio. SB: Nessuno di noi due aveva mai scritto qualcosa insieme a qualcun altro prima di quel momento. Come avete cominciato? SB: Abbiamo trascorso mesi parlando della storia a grandi linee, e mesi sulla prima stesura. Siamo stati seduti fianco a fianco per molto tempo, battendola a macchina insieme. Ciascuna scena, personaggio, battuta è stata rivista almeno dieci volte. LC: Ci facevamo a vicenda domande sui personaggi, davamo loro forma e li facevamo confrontare uno con l’altro. Quando avevo la sensazione che la sceneggiatura stesse diventando superficiale, o politicamente troppo corretta, ci scuotevamo per rimetterci sui binari giusti. LC: Quando mi lamentavo con la mia compagna del fatto di non sapere se la sceneggiatura fosse buona, lei mi diceva 'Continua a scrivere fino a quando non ti commuove. Se fa effetto su di te, allora sei sulla pista giusta'. Stuart ed io abbiamo scritto per circa un anno e mezzo, ma nello stesso periodo stavo cercando di restare incinta – cosa che poi è accaduta. Pensavamo di poter fare il film e chiudere tutto prima della nascita del bambino. C’è stato allora un primo tentativo di realizzare il film e abbiamo cercato di mettere su la produzione nel 2005-2006. La cosa però non è andata a buon fine. Con tutto il tempo che c’è voluto a mettere insieme i finanziamenti, la mia gravidanza era arrivata ad uno stato troppo avanzato perché potessi girare il film. Perciò ho avuto il bambino e ho trascorso i successivi due anni a cercare di riorganizzare la mia vita e a stare con lui il più possibile. Ma Stuart ed io abbiamo continuato a scrivere. Le continue revisioni hanno migliorato la sceneggiatura. Dato che ci avevamo lavorato sopra per un sacco di tempo, riuscivamo ad avere un’idea visiva di quello che leggevamo. Il film è girato in pellicola? LC: Sì, Igor Jadue-Lillo ed io abbiamo lavorato in 35 mm. Adoro la pellicola, e volevo evitare quella sensazione iper-realistica [tipica del digitale]. Volevo che si vedesse la grana dell’immagine. Pensavo che dovesse avere un effetto molto fotografico, come quello dei film con i quali sono cresciuta. Avevate deciso fin dall’inizio anche il fatto che il film dovesse trasmettere un messaggio al pubblico? SB: Non c’è nessun messaggio sui matrimoni gay. Forse il film riecheggia battute bonarie del tipo 'Anche i gay meritano di avere gli stessi guai degli eterosessuali...' Credo che quando Lisa ed io abbiamo cominciato a scrivere I ragazzi stanno bene pensavamo 'Facciamo succedere questo e proviamo ad esplorare la storia che ne viene fuori'. Ci siamo concentrati sugli esseri umani, non sulle grandi questioni. LC: Non mi vedo come una persona molto impegnata politicamente, anche perché ritengo che qui si parli di diritti umani. Lo so, i diritti umani sono una questione politica, ma il mio rapporto con loro e il mio contributo in questo campo sono di tipo artistico e creativo. So che qualcuno dirà “Oh, ecco una famiglia anticonformista, due madri con i loro figli”. Per me invece è piuttosto tipica. Volevamo portarla sullo schermo in un modo che non apparisse politicizzato. Si tratta solo di raccontare la storia di questa particolare famiglia. SB: i protagonisti hanno condotto una vita meravigliosa, ma noi abbiamo colto i personaggi in un momento di transizione. La storia è già abbastanza ricca e complessa da non aver bisogno di troppe sovrastrutture. LC: Volevamo esplorare ciò che affronta qualsiasi famiglia, in particolar modo qualsiasi famiglia con figli: l’ansia e il divertimento, il dolore e l’angoscia di vedere la tua famiglia che si trasforma, anche in relazione a te. Che tu sia gay o eterosessuale, o single o parte di una coppia interrazziale o qualsiasi altra cosa – tutti affrontano lo stesso percorso, tutte le famiglie affrontano le stesse sfide; i commoventi riti del cambiamento, le scelte fatte, lo sforzo di tener duro per mantenere unita la famiglia. Cosa ti fa prendere alcune decisioni e quali sono le cose che possono farti deviare: anche su questo abbiamo lavorato. SB: La famiglia della nostra storia è altrettanto meravigliosa e tormentata e difettosa di qualsiasi altra famiglia. Con storie come questa approfondisci il perché gli esseri umani si comportino in un determinato modo. Nonostante mi piacciano i film d’azione e i thriller, passare un po’ di tempo a studiare la natura umana può essere molto divertente e gratificante. LC: Quando ho deciso di fare la regista, quello che mi ha fatto davvero venire voglia di provare sono stati i film che ho visto quand’ero più giovane; film che avevano davvero il senso della commedia e della tragedia. I personaggi erano sempre complessi e umanamente fragili, ed erano in grado di far crescere e diminuire le tue simpatie. SB: Pensando anche ai film che ho fatto prima, forse inconsciamente applichiamo uno schema. Si tratta sempre di “un nuovo personaggio che irrompe in una situazione e scuote le cose”. Mi interessano le persone che cercano di trovare un significato a quello che fanno nella loro vita, e poi magari arriva una persona dall’esterno che funge da catalizzatore e le costringe a riflettere sul serio. Mark Ruffalo dà molto spessore al personaggio di Paul. Va davvero a fondo ed è molto divertente. Questo ruolo mi ricorda alcuni ruoli da lui interpretati in passato. LC: Paul è diventato un personaggio più ricco grazie all’interpretazione di Mark. Avevo pensato a lui per la parte fin dall’inizio. Aveva altre offerte, per film più grossi, ma credo che alcuni dei grandi attori sentano che il piacere di recitare risiede nell’essere capaci di fare film meno costosi e importanti nei quali però puoi immergerti completamente. Julianne Moore è stata fantastica, perché quando le ho detto “Vorrei coinvolgere Mark, puoi darmi una mano? Magari puoi fargli una telefonata…”, lei lo ha chiamato. Avevate pensato a Julianne Moore fin dall’inizio? SB: Certo, abbiamo scritto il personaggio di Jules con Julianne in mente. E’ stato fantastico poter sentire la persona che avevamo immaginato dire davvero le battute. LC: Sul set Julianne era pronta a tutto, comprese le scene di sesso. L’ho incontrata la prima volta circa dieci anni fa. Di tanto in tanto, nel corso degli anni, ci è capitato di parlare e lei mi diceva “Scrivi qualcosa per me”. Le avevo mandato una prima stesura di I ragazzi stanno bene e lei aveva subito dato la sua disponibilità nel 2005, quando il film doveva essere girato, ma poi non è stato fatto. Julie si è resa disponibile per il film durante i successivi quattro anni. E’ rimasta incollata, incollata a me e incollata al film. Sono andata a New York e ci siamo incontrate e abbiamo parlato molto. Con Julianne abbiamo parlato molto della direzione che la sceneggiatura stava prendendo, e di come le cose fossero cambiate per i personaggi, e del perché. Ha imparato a conoscere il suo personaggio in modo più organico mano a mano che Jules si evolveva. SB: Pensavamo che sarebbe stato diverso da quello che eravamo abituati a vedere da lei; Julianne normalmente interpreta donne molto forti. Con questo non voglio dire che Jules non sia forte, ma nel rapporto è quella più vulnerabile. Per tutto il tempo in cui avete scritto per Julianne, nessuna attrice era stata invece ipotizzata per Nic. Forse perché in Nic c’è molto di Lisa? LC: Ci sono cose di me in Nic, aspetti della mia personalità. Ma non sono io quella che porta a casa la pagnotta in famiglia… Per interpretare Nic avevamo bisogno dello yin per lo yang di Julianne. Mi ci è voluto un sacco di tempo per capire chi avrei voluto che interpretasse Nic. Sapevo di volere una grande attrice che fosse divertente, drammatica, forte, sexy, sopra i 40, e riconoscibile. Sapevo che non sarei stata in grado di sedermi con chiunque fino a quando non avessi trovato la persona giusta; doveva essere fatta una sola offerta, perciò ho preso quest’impegno molto seriamente. A New York, Julie ed io abbiamo esaminato una lista di attrici possibili e ci siamo scoperte entrambe fan di Annette Bening. Così mi sono presentata da lei. Julianne ha mandato una mail ad Annette dicendole “Sarei felicissima se tu lo facessi”. E’ stato un matrimonio combinato; molto del lavoro preparatorio per il film è stato fatto con la scelta di Annette. Entrambe sapevano che erano state scelte una per l’altra e che dovevano fare in modo che funzionasse. Erano anche attratte dalla sfida di entrare nel profondo della psicologia e dello spazio emotivo di questa coppia. SB: Annette è meravigliosa. Ha letteralmente fatto lezione di recitazione; ogni giorno sul set ce ne dava una dimostrazione nuova e strabiliante. E l’impegno che ci ha messo! E’ stata motivo d’ispirazione poter osservare qualcuno di così professionale prendere la cosa tanto seriamente. Si è incarnata completamente in Nic. LC: Siccome Annette era a Los Angeles, lei, Stuart ed io ci siamo incontrati diverse volte per parlare della sceneggiatura, e insieme abbiamo fatto alcune importanti revisioni. Il lavoro della scrittura è importante per lei ed è anche molto brava in questo. Annette è molto incisiva, intelligente e metodica. Mi sono resa conto che era proprio lei il personaggio che avevo descritto, perché nella vita reale è una specie di Mamma Orsa. Le è stato facile utilizzare questo lato del suo carattere per la parte, essendo anche lei molto presa dalla vita dei suoi figli. Lavorare con Annette prima che Julianne venisse a Los Angeles mi ha aiutato ad avere una migliore comprensione dei personaggi e dei rapporti reciproci, e a capire come aiutare entrambe le attrici a trovare i momenti chiave da trasporre sullo schermo per dare autenticità alla loro relazione. Il fatto di dover interpretare la normalità e l’umanità dei loro personaggi e del loro matrimonio le ha rese libere di essere naturali e di tenersi alla larga da qualsiasi archetipo o artificiosità. Qual è stato il feedback iniziale da parte del pubblico? Il film è stato proiettato in anteprima a gennaio e a febbraio del 2010, prima al Sundance e poi al Festival di Berlino … LC: L’accoglienza è stata straordinaria. Anche l’esperienza a Berlino è stata molto positiva. Credo che la gente si sia sentita sollevata nel vedere un film che affronta qualcosa di reale e complicato, in modo anche divertente. Le persone hanno giudicato questa rappresentazione del matrimonio e della famiglia originale e piacevole, e l’aspetto gay porta alcuni spettatori ad esplorare territori ancora sconosciuti. Il pubblico di entrambi i festival ha apprezzato il film più di quanto avrei mai immaginato. Il film è un percorso reale e sorprendente alla fine del quale si trova la speranza. Julianne Moore e Lisa Cholodenko Come si è trovata a interpretare la relazione che a un certo punto del film si instaura tra lei e il padre biologico Paul, impersonato da Mark Ruffalo? Julianne Moore: Ho visto la sceneggiatura del film prendere pian piano forma. Dato che ho lavorato con Mark soltanto per tre giorni di riprese, è stato molto difficile riuscire a calarsi in un simile rapporto con lui. Ma, fortunatamente, ci conoscevamo già da prima e abbiamo potuto prepararci adeguatamente insieme prima di girare. Penso che il film abbia a che fare, più che con questioni inerenti alla sessualità, con il tema della difficoltà di comprensione e di comunicazione che si instaura tra le persone che ti sono vicine. LC: La ringrazio molto per aver sottolineato questo aspetto. Per me è soprattutto la dimensione emotiva e psicologica dei personaggi a essere importante. Il fatto che a essere protagonista di questa storia sia una coppia omosessuale non è l'aspetto principale. La cosa più importante è che si tratta di una famiglia che incontra delle difficoltà di comprensione, ma che alla fine riesce a risolvere i conflitti grazie al profondo rapporto che lega tutti i componenti. Sono stata molto fortunata nel poter contare su attori così straordinari, in grado di trasmettere tutta la complessità dei personaggi. Julianne, cosa pensi del tuo personaggio? JM: Lo adoro. Jules è così incasinata, confusa, incapace di capire che direzione deve prendere e di definire i contorni esatti della sua famiglia e della sua relazione. La complessità del suo carattere è molto simile a quella delle persone nella vita reale, cosa che secondo me capita molto di rado nelle produzioni mainstream. Non mi trovo molto d'accordo con la scelta, alla fine del film, di mettere totalmente da parte il personaggio di Paul, estraniandolo dalla famiglia. Penso che la conclusione sia in realtà molto tradizionalista e ribadisca il concetto di famiglia tipico del cinema popolare americano. È stata una scelta commerciale? LC: La ringrazio molto per l'osservazione così puntuale, mi sembra quasi di partecipare a una conferenza universitaria! Dal canto mio, posso dire che era mia intenzione con questo film mostrare che anche una famiglia con partner dello stesso sesso può essere considerata tradizionale esattamente come quelle delle coppie eterosessuali. E sinceramente non trovavo credibile la possibilità che Paul potesse diventare un membro stabile della famiglia, magari dormendo sul divano di casa. Si tratta ovviamente di una mia visione personale. Come ha scelto le attrici protagoniste per interpretare un ruolo così difficile e complesso? LC: Conoscevo Julianne da molto tempo, e ho sempre pensato che fosse l'attrice ideale per interpretare la parte. Non ho scelto Annette perché con i suoi capelli corti ha un look gay, ma semplicemente perché penso sia un'attrice straordinaria. È stato fondamentale lavorare con attori così bravi in grado di rendere tutte le sfaccettature dei rispettivi personaggi. Qual è la sua opinione sul cinema gay attuale? LC: Non mi ritengo un'attivista politica, vorrei esserlo di più, ma non ho quel tipo di attitudine. Negli Usa questo è il momento ideale per affrontare il tema delle famiglie omosessuali, grazie al dibattito sulla Proposition 8, anche se ovviamente l'uscita di The Kids Are All Right in questo periodo non ha nulla di calcolato. Spero che il mio film possa contribuire ad aiutare la causa dei matrimoni gay. Ho trovato straordinarie le interpretazioni dei ragazzi. Sono enormemente spontanei e naturali: hanno improvvisato durante la recitazione? LC: Penso siano entrambi bravissimi, Mia Wasikowska diventerà presto famosissima per il ruolo di Alice nel film di Tim Burton. Josh Hutcherson era già apparso in tanti film, ma mai in un ruolo di primo piano. Abbiamo girato in così poco tempo e abbiamo avuto pochi contatti con loro, ma si sono dimostrati eccezionali ugualmente. JM: Le riprese del film sono durate solo ventuno giorni, quindi è stato molto difficile per gli attori riuscire a entrare subito in confidenza. Ma il fatto di avere una sceneggiatura già ben scritta è servito come lavoro preparatorio che ha facilitato le riprese. Dato l'argomento non convenzionale che affronta il film, avete trovato difficoltà nel reperire finanziamenti? LC: Sì, è stata molto dura. Sono felice perché il film adesso ha trovato un'ottima distribuzione in America e spero presto anche nel resto del mondo. Ma ottenere dei fondi prima delle riprese è stata un'impresa ardua, così abbiamo dovuto puntare su un finanziamento indipendente. Spero che le cose in futuro cambino per i film che affrontano questo tipo di tematiche. Recensioni Paolo Mereghetti. Corriere della Sera La scommessa di Lisa Cholodenko non era delle più scontate: raccontare la storia di una famiglia con due madri (e due figli, un maschio e una femmina) come fosse la più normale e scontata delle cose. Cercando di far dimenticare il più possibile allo spettatore che, anche se affidate a due star del calibro di Julianne Moore e Annette Bening, le protagoniste sono una coppia lesbica. Anzi, una famiglia lesbica. Per farlo, la regista e cosceneggiatrice (insieme a Stuart Blumberg) ha scelto la via del «film di genere», costruendo la storia come quella di una normalissima commedia matrimoniale, con i prevedibili screzi di una coppia rodata (nel film non si dice ma si immagina che le due protagoniste stiano insieme da venti e più anni), attraversata dalle dinamiche famigliari tipiche della disparità professionale (una, Nic, cioè Annette Bening, è medico; l’altra, Jules, cioè Julianne Moore, non ha mai terminato gli studi di architettura e si è «sempre occupata dei bambini»). E naturalmente con i problemi che portano i figli, perché la diciottenne Joni (Mia Wasikowska, l’Alice di Tim Burton) sta partendo per il college e ha la rigidità un po’ moralista di chi sente la «diversità» della propria condizione mentre il quindicenne Laser (Josh Hutcherson) ha tutte le fragilità di ogni adolescente. Compreso il desiderio di sapere chi è il suo padre biologico. È questo il «MacGuffin», lo spunto narrativo che accende la trama del film: generati entrambi grazie a un donatore di sperma, Joni (che è figlia di Nic) e Laser (che invece è nato da Jules) vogliono dare una faccia e un nome a questo loro «padre », scoprendo quasi subito che si tratta di una specie di ruspante ristoratore-ecologista, Paul (Mark Ruffalo), piuttosto disinvolto nei rapporti con l’altro sesso ma sorprendentemente sensibile al calore della «famiglia». Naturalmente l’arrivo di Paul mette in crisi gli equilibri di tutta la famiglia, scatenando le puntute reazioni di Nic ma innescando anche la curiosità (non solo intellettuale) di Jules, che trova proprio nell’ex donatore di sperma il primo cliente disposto ad affidarle la ristrutturazione del giardino (inevitabile sbocco professionale per una quasi architetta decisa a rientrare nel mondo del lavoro). Così, quello che poteva anche diventare un melò psicologico sulla figura paterna, diventa una specie di commedia (più o meno) sofisticata, tutta giocata sui contrasti di carattere e di comportamento delle donne. Qui la Cholodenko tira fuori tutto il suo professionismo, spalleggiata, anzi molto aiutata dalla grande prova delle due attrici, perfette nel restituire sullo schermo quel misto di ipocrisia e di spregiudicatezza, di correttezza politica e di oltraggio linguistico (era tempo che non si sentivano su uno schermo tanti «c....») che sono ormai la caratteristica del ceto progressista californiano. O comunque di quello che gli spettatori di tutto il mondo si immaginano che sia Così, l’«inevitabile» tradimento sessuale che metterà in crisi l’equilibrio della coppia (allo spettatore scoprire chi tradisce chi) è solo la ciliegina su una struttura narrativa che ha giocato le sue carte soprattutto sui problemi educativi (la paura delle due mamme che il figlio sia gay o che la figlia non sia vergine), sulle invidie professionali, sugli scontri caratteriali. E che ogni tanto riverbera di sfumature inedite perché coinvolge la «diversità» delle due protagoniste. Peraltro più preoccupate di assomigliare il più possibile a una coppia eterosessuale. Un meccanismo tutt’altro che inedito e che qui trova la sua vera ragion d’essere nella prova - davvero superlativa - delle due protagoniste, divise nella gara di chi sa restituire sullo schermo la maggior quantità di sfumature e di intensità emotiva (e personalmente sarei tentato di dare la Palma alla Moore), ma unite dall’orgoglio di mostrare senza problemi le bellissime rughe che testimoniano il modo in cui entrambe non hanno problemi di fronte agli anni che passano. Anna Maria Pasetti. Il Fatto Quotidiano Ecco un prodigio fatto a film, che nel suo genere è senza precedenti. Perché superando ogni cliché tragi/comico del gay movie, racconta con intelligenza, arguzia, raffinatezza e sano umorismo la quotidianità di un normale nucleo famigliare alle prese con gli alti e bassi della vita di relazione. Osannato ai festival internazionali, vincitore del Golden Globe, ma purtroppo trascurato agli Oscar per cui era candidato (supreme la sceneggiatura e la performance della Bening), appartiene a quel cinema di cui non ci si stanca mai. Tra i migliori titoli di questi mesi. Da vedere e rivedere e rivedere. Fabio Ferzetti. Il Messaggero Perché il cinema Usa parla al mondo intero? Perché prende conflitti (emozioni, sentimenti) universali, e li traduce in gesti, gusti, comportamenti, profondamente americani, cioè locali, ma perfettamente messi in scena. E infatti basta vedere una gran bella commedia come I ragazzi stanno bene per capire perché una storia così funzioni così bene anche in un paese come il nostro. Solo nell’agiata, modernissima California infatti possiamo immaginare una coppia come quella formata dalle irresistibili Nic e Jules (Annette Bening e Julianne Moore), quasi una caricatura della coppia tradizionale anche se i loro due figli sono nati grazie a un anonimo donatore di sperma (nota bene: l’“uomo” di casa è senza dubbio Nic-Bening, ma la primogenita è nata da lei). Così come solo in California - nella nostra California ideale - possiamo immaginare che i due ragazzini vadano in cerca dell’anonimo donatore di sperma - e finiscano per trovarlo, innescando una reazione a catena buffa e serissima insieme. A casa di Nic e Jules infatti va tutto bene, o quasi. La primogenita (Joni come Joni Mitchell) sta per andare al college). Laser (si chiama proprio così) invece non ha ancora capito se è gay - anzi non l’hanno capito le mamme, che si preoccupano molto... Inoltre la più fragile delle due, l’architetto mancato Jules, ha la sindrome della casalinga frustrata. E in camera da letto circolano film porno gay con acrobatiche evoluzioni di machos rasati (si può immaginare lo sconcerto del figlio quando scopre che le mamme per eccitarsi guardano quella roba...). I problemi insomma scoppiano solo quando i figli trovano il padre biologico, il mite e virile Paul (Mark Ruffalo: perfetto), un ristoratore bon vivant dotato di orto biologico, motociclettona e molte fidanzate. Morale: il neo-padre (solo biologico, come le sue verdure), si prende prima un’affettuosa cotta, ricambiata, per quei figli che non sapeva di avere ma per i quali è davvero un ottimo papà. Poi una sbandata per Jules, che stufa di essere trascurata da Nic salta addosso allo scapolone in un esilarante crescendo di baci rubati e amplessi bollenti. Sarà vero amore? Paul non ne dubita, e neanche noi visto il carnale entusiasmo di Jules (irriferibile ma geniale la loro prima volta). Invece scatta un ritorno all’ordine che neanche nei film anni 50 con Doris Day. Vade retro macho, anche le coppie gay possono ergersi a baluardo della morale nel senso più tradizionalista del termine. Il che non ci sembra una conquista, tanto più che per giustificare il testacoda la pur abilissima Cholodenko deve rimangiarsi tutto ciò a cui ci ha fatto credere fino a poco prima il film. Omaggio tardivo e ipocrita alla morale dominante, o manifesto neocon di marca gay? Vista dal nostro arretratissimo paese, la questione sembra fantascienza. Ma i sentimenti forti smossi dal film provano che siamo tutti nella stessa barca. Italia e California, etero e gay. Massimo Bertarelli. Il Giornale Che disastro, se la voglia di trasgressione precipita nella banalità. O nel ridicolo. Come succede a Lisa Cholodenko, regista e sceneggiatrice californiana dal dimenticabile pedigrée. L'autrice immagina che le protagoniste siano due agiate signore, sui cinquant'anni, felicemente sposate. Tra loro. E ancora attratte fisicamente l'una dall'altra, come mostra la scena in cui l'inquieta casalinga Jules (Julianne Moore), scomparsa sotto le lenzuola, fa sobbalzare le stesse, mentre solletica la distratta compagna, il medico ospedaliero Nic (Annette Bening). Si amano, certo, ma a volte hanno bisogno di un aiutino, tipo un dvd porno, protagonisti degli atletici gay. La coppia ha due figli, nati non dall'intervento dello Spirito Santo, bensì dal seme dello stesso donatore: l'universitaria neodiciottenne Joni e il quindicenne, scalpitante Laser. È proprio il ragazzo a essere colto da improvvisa curiosità: voglio conoscere nostro padre. La sorella si fa portavoce ufficiale della richiesta e il misterioso genitore salta fuori: è il fascinoso Paul (Mark Ruffalo), sorpresissimo proprietario di un ristorante biologico. Il quale irrompe suo malgrado nella vita del quartetto. Quel che segue andrebbe tenuto segreto, anche se è maledettamente scontato. Del resto non c'è una sequenza che non sia prevedibile, tipo quella in cui l'assatanata Jules strappa i pantaloni al nuovo ganzo, sbarrando gli occhi e manifestando un godimento anticipato, neanche Ruffalo fosse diventato il sosia yankee di Rocco Siffredi. Tanto rumore, quattro esageratissime nomination agli Oscar comprese, per nulla. Che bisogno c'era di ingaggiare due lesbiche? La storiella sarebbe stata tranquillamente in piedi anche con una coppia etero, ma sterile. Bah. Buoni sbadigli a tutti. Edoardo Becattini. Mymovies Nic e Jules sono una perfetta coppia lesbica di mezza età. Profondamente innamorate l'una dell'altra, hanno costruito col tempo un sereno ambiente familiare assieme ai due figli adolescenti, Joni e Laser. Quando Joni compie diciotto anni, è il fratello minore a farle pressioni perché si rivolga alla banca del seme e scopra l'identità del donatore segreto con cui condividono il patrimonio genetico. Inizialmente scettica, Joni si mette sulle tracce del padre e scopre che questi è Paul, un dongiovanni che gestisce un ristorante biologico alla periferia di Los Angeles. Quando per caso le due madri vengono a conoscenza del fatto, non resta che introdurre Paul all'intero nucleo familiare. Mentre la versione nostrana della commedia moderna e progressista arranca incerta fra il desiderio di trasgressione, la campagna di sensibilizzazione e il timore della contestazione dei benpensanti, da una tipica produzione indie americana arriva una commedia che riesce a coniugare perfettamente tematiche gay e valori tradizionali. L'assunto mostra una coppia con due figli adolescenti stabile e integrata, nonostante il fatto che l' “uomo di casa” sia una Annette Bening coi capelli corti. Il preciso rifiuto da parte di Lisa Cholodenko di descrivere questo nucleo familiare come un'anomalia o come un microcosmo militante e dissociato, non dev'essere interpretato come una visione favolistica o un eccesso di umanesimo; al contrario, la regista americana (che di conflitti familiari in realtà se ne intende, come ha mostrato nel suo precedente Laurel Canyon) problematizza l'identità della coppia attraverso un progetto che ribalta intelligentemente la tipica prospettiva delle commedie sull'omosessualità. Se in queste il carattere atipico della coppia gay viene tematizzato per raccontare la normalità del rapporto, The Kids Are All Right racconta invece un'anomalia, un incidente di percorso nel rapporto di coppia, per enfatizzare la normalità dell'Amore. Oltre a questo, non ci sono colpi di scena particolarmente esaltanti o improvvisi detournement nell'evoluzione della storia. Anzi, si direbbe proprio che è il modo del tutto convenzionale di affrontare una storia su un nucleo familiare non convenzionale l'idea forte del film. Che, ovviamente, se funziona è grazie soprattutto ad un ottimo processo di scrittura e ad un cast eccezionale. La Cholodenko si serve delle migliori celebrità americane (per lo meno, di quelle più convincenti fra le star aperte al circuito indipendente) e costruisce sequenze e dialoghi senza mai puntare su esagerazioni o storture. Piuttosto, la sua storia appassiona e diverte perché riesce a far vibrare i suoi personaggi con tutte le tenere debolezze dell'agire umano e a parlare di turbamenti, gay porn e amore saffico senza piegarsi né alla risata grassa della farsa né al ghigno infantile della pruderie. Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa I ragazzi stanno bene è una commedia molto finemente imbastita sulla contraddittoria normalità di un nucleo familiare anomalo, composto da due lei - Nic (Annette Bening), medico pediatra, e Jules (Julianne Moore), architetto frustrato per aver scelto di dedicarsi alle cure domestiche - e dai figli adolescenti Joni e Laser, concepiti tramite inseminazione artificiale. Il sipario si apre dopo vent’anni circa di menage paramatrimoniale, quando Joni studentessa esemplare si prepara a partire per il college; e mentre Nic e Jules, senza confessarlo neppure a se stesse, vivono la tipica crisi di un rapporto logorato dalla routine. E’ a questo punto che entra in scena, rintracciato da Joni su richiesta del fratello, il donatore di sperma Paul (Mark Ruffalo): a ogni effetto il padre biologico di entrambi e, dal punto di vista psicologico, il grande assente: ovvero la figura maschile di riferimento. La mossa indovinata è che Paul è un uomo simpatico, disponibile, sicuro: gestisce con successo un ristorante biologico, ha una mentalità aperta e il fisico in forma di chi vive all’aria aperta. Insomma è un tipo di cui è facile subire il fascino: e infatti ne vengono incantati Joni, Laser e persino l’insoddisfatta Jules. A questo punto la commedia potrebbe virare in dramma, ma non succede: la vicenda procede sul filo di situazioni divertenti e sfumati sommovimenti interiori, poi nel finale tutto si ricompone serenamente pur se qualcosa (probabilmente in meglio) è cambiato. Come è ovvio dato l’argomento, il film ha diviso gli spettatori americani in favorevoli e contrari. Probabilmente da noi accadrà lo stesso: ma comunque la si pensi, di certo c’è che la commedia è realizzata ad arte. Bella mano di regia, copione ben strutturato, dialoghi brillanti, fotografia deliziosa e interpreti perfetti. Si è molto parlato della Bening candidata all’Oscar, ma non sono da meno la svagata Moore, Ruffalo mai così attraente, e Mia Wasikowska già aggraziata Alice in Wonderland di Tim Burton.