Ecografia polmonare: cosa cambia nella diagnostica per

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Ecografia polmonare: cosa cambia nella diagnostica per
Ecografia polmonare: cosa cambia nella diagnostica per immagini delle
malattie polmonari
Giovanni Volpicelli1, Luciano Cardinale2
1Medicina
d’Urgenza, Ospedale Universitario San Luigi Gonzaga, Torino; 2Radiologia, Ospedale
Universitario San Luigi Gonzaga, Torino
Chiunque abbia avuto un ruolo clinico attivo negli ultimi decenni, si è certamente accorto di
una lenta ma progressiva rivoluzione, rappresentata dall’avvento della ecografia “point-of-
care”. Questo termine anglosassone, difficilmente traducibile in una singola parola, identifica
l’ecografia eseguita ed interpretata al letto del paziente dallo stesso clinico che lo ha in cura
[1]. Se pensiamo a come si è modificata la considerazione dell’utilizzo diagnostico
dell’ecografia tra gli anni in cui noi frequentavamo come studenti nei reparti universitari ed i
giorni odierni, dopo circa 20 anni di carriera come medico d’urgenza e come radiologo, le
differenze risultano ben tangibili.
Le applicazioni dell’ecografia “point-of-care” non sono più necessariamente mirate
all’ottenimento della ricostruzione ottimale di una immagine che riproduca fedelmente la
struttura anatomica dell’organo studiato. La qualità dell’immagine ottenuta può anche essere
scadente e non ottimale, ma la correlazione diretta con i sintomi ed i segni clinici del paziente
ne permette una efficace interpretazione. Quando lo stesso medico che ha in carico la gestione
clinica del paziente esegue ed interpreta l’ecografia, si trova in una condizione favorevole per
correlare i segni ecografici con la reale condizione clinica. Ciò permette un miglioramento del
processo diagnostico in termini di tempistica, sicurezza ed efficacia, in quanto questa
correlazione è più ardua da definire nel caso della ecografia convenzionale “consultativa” che
prevede l’intervento di un altro specialista o, peggio, lo spostamento del paziente per
l’esecuzione dell’esame.
L’avvento della moderna ecografia polmonare ha giocato un ruolo fondamentale per la
diffusione e l’affermazione della ecografia “point-of-care”. Ciò è avvenuto a causa del ruolo
centrale che assume l’esame dei polmoni nella valutazione clinica della maggior parte delle
malattie. Infatti, non è possibile immaginare l’esame clinico di qualunque paziente senza un
attento esame fisico dei polmoni, dalla ascoltazione alla percussione. Questo esame ha sempre
un impatto fondamentale non solo nella valutazione delle condizioni respiratorie, ma anche
dello stato emodinamico di qualunque paziente. Principalmente per questa ragione, i clinici
che hanno cominciato ad utilizzare la sonda ecografica hanno sentito subito forte ed
imprescindibile la necessità di guardare anche al polmone come organo bersaglio dell’esame
ecografico. Questa necessità ha favorito una vera rivoluzione nell’utilizzo dell’ecografia per la
valutazione delle malattie pleuriche e polmonari. Innanzitutto, si è ulteriormente potenziata
la capacità di valutazione dei consolidamenti polmonari e dei versamenti pleurici, nonché
l’utilizzo, oramai inevitabile, come guida a manovre invasive e di radiologia interventistica. Ma
soprattutto, si è arrivati alla scoperta della stretta correlazione tra specifiche patologie
polmonari ed un insieme di artefatti, la cui interpretazione permette significative valutazioni
qualitative ed anche quantitative di condizioni del polmone un tempo considerate fuori dalle
possibilità investigative dell’indagine ecografica, come le sindromi interstiziali ed il
pneumotorace. Insomma, da organo impossibile da valutare ecograficamente a causa del suo
contenuto aereo, il polmone oggi è divenuto il principale obiettivo dell’esame ecografico
“point-of-care” [2]. Due pubblicazioni scientifiche, tra le tante, segnano la cronologia di un
processo inarrestabile di progressiva validazione basata sull’evidenza del potenziale
dell’ecografia polmonare. Da un lato, lo studio che ha provato per la prima volta la
correlazione tra gli artefatti polmonari a coda di cometa, le linee B, e specifiche diagnosi
cliniche e radiologiche del paziente in terapia intensiva, pubblicato nel 1997 [3]. Questo
articolo, a nostro parere, ha il valore storico di avere aperto l’era della moderna ecografia
polmonare, basata anche sulla interpretazione degli artefatti e non più solo sulla analisi di
immagini reali. La seconda pubblicazione è il documento della prima consensus conference
internazionale sulla ecografia polmonare “point-of-care”, pubblicato sul giornale della società
europea di medicina intensiva nel 2012 [4]. Questo documento raccoglie le raccomandazioni
concordate dai principali esperti mondiali dell’argomento, che avevano pubblicato circa il
95% degli studi originali esistenti all’epoca, sulla base di un rigido e validato criterio
scientifico (una combinazione di GRADE e RAND) che ha tenuto conto di una combinazione di
evidenza scientifica, meticolosamente misurata per appropriatezza, e del parere degli esperti.
In questo arco temporale di circa 15 anni, si racchiude la gran parte dell’evoluzione e del
progresso delle nostre conoscenze sulla moderna ecografia polmonare, che oggi viene
applicata sempre più in tutto il mondo. Gli esperti della consensus conference hanno
analizzato circa 320 pubblicazioni sull’argomento, e circa 400 si sono aggiunte dal 2012 ad
oggi. Una mole impressionante di dati provenienti da esperienze di tutto il mondo, raccolti da
specialisti di diversi settori della pratica medica e su pazienti con diverse caratteristiche.
In estrema sintesi, la letteratura ha dimostrato che l’ecografia polmonare funziona come un
“densitometro” dell’organo, in grado di misurare il grado di aerazione e quindi la densità degli
strati periferici sub-pleurici, attraverso l’analisi di tre pattern fondamentali che
rappresentano 3 gradi di progressivo incremento di densità: 1) il polmone normalmente
aerato (o aerato in eccesso), che si visualizza come una riflessione dell’immagine della parete
toracica al di sotto della linea pleurica (effetto specchio); 2) la sindrome interstiziale dovuta
ad un incremento della componente fluida a spese di una perdita parziale della aerazione
alveolare, che si visualizza come un insieme di multiple linee B verticali che progressivamente
aumentano e nascondono l’effetto specchio; 3) i consolidamenti polmonari, dovuti ad una
perdita totale di aerazione con prevalenza della componente fluida, che si visualizzano
finalmente come una immagine reale, spesso con caratteristiche di elevata risoluzione simile a
quella di una tecnica per immagini di livello più avanzato, come la TAC. Le applicazioni
pratiche vanno dalla diagnosi differenziale delle insufficienze respiratorie acute in emergenza
[5, 6], alla valutazione e monitoraggio delle modifiche del grado di aerazione dei polmoni in
terapia intensiva e nel follow-up dello scompenso cardiaco [7, 8], alla diagnostica delle fibrosi
polmonari [9], alla diagnosi e follow-up delle polmoniti [10], per indicare solo le applicazioni
più consolidate ed a maggiore ricaduta pratica. Inoltre, al potenziale dell’ecografia nella
diagnosi e monitoraggio delle condizioni polmonari parenchimali, va aggiunto l’enorme
potenziale nella diagnostica e, solo ultimamente dimostrato, nel monitoraggio e nella
valutazione quantitativa del pneumotorace [11, 12]. Già prima degli anni ’90 alcuni medici
veterinari e, successivamente, autori tedeschi e francesi sull’uomo, avevano pubblicato le loro
esperienze basate sulla valutazione della assenza di movimento polmonare respiratorio come
segno ecografico di pneumotorace. Tuttavia, anche in questo caso solo al termine degli
anni ’90 è stata ridefinita la tecnica ecografica, migliorando i livelli di accuratezza diagnostica
per “rule-out” e “rule-in” del pneumotorace. Oggi, la moderna tecnica ecografica si basa sulla
combinazione di 4 segni dinamici, lo sliding respiratorio, le linee B, il punto polmonare e la
pulsazione polmonare. Solo una attenta valutazione di questi 4 segni permette di raggiungere
valori elevati di sensibilità e specificità della metodica, certamente superiori alla radiografia
del torace in posizione supina. In caso di disponibilità di un ecografo ed in alcune
ambientazioni, come nel paziente instabile od in arresto cardiaco, nel caso di pneumotorace
non visibile alla radiografia del torace, in ambito extraospedaliero o in sistemi sanitari a
scarse risorse, l’ecografia per la diagnosi di pneumotorace è diventata indispensabile per
mantenere uno standard diagnostico al passo con la moderna letteratura [4].
Ovviamente, l’ecografia polmonare ha alcuni importanti limiti che, al momento, sembrano
non superabili. Innanzitutto, l’ecografia resta una indagine di superficie in quanto, se anche il
minimo strato di polmone normalmente aerato si frappone tra la sonda e la lesione, gli strati
più profondi dell’organo non risultano visibili. Lesioni come consolidamenti od anche quadri
interstiziali che risparmino gli strati superficiali sub-pleurici, risultano invisibili
ecograficamente. Questo limite è trascurabile nelle patologie acute sistemiche soprattutto in
emergenza, mentre diventa più evidente nell’utilizzo in elezione dell’esame ecografico. Inoltre,
mentre l’ecografia è utile per la valutazione di tutte le patologie polmonari che determinano
un aumento della densità dell’organo, al contrario è limitata nelle condizioni opposte, come
nel caso dell’eccesso di aerazione o iper-insufflazione alveolare. Per esempio, un polmone
normale è indistinguibile dal polmone enfisematoso, mentre il medico intensivista non potrà
usare l’ecografia per valutare una sovradistensione alveolare in caso di ventilazione
meccanica con eccesso di pressione positiva. Infine, occorre anche ricordare che alcuni segni
ecografici, utilissimi nelle condizioni di emergenza per la loro elevata sensibilità diagnostica,
hanno limiti di specificità, in particolare per una più fine e precisa predizione di specifiche
patologie polmonari in elezione. Soltanto l’interpretazione in correlazione con tutti i dati
clinici permette di ottenere soddisfacenti valori di accuratezza e di superare i limiti di
specificità.
Le reazioni delle comunità di medici all’avvento di queste nuove applicazioni dell’ecografia
polmonare “point-of-care” sono di tre tipi.
La prima reazione è quella propria di una vasta comunità internazionale, prevalente nei
paesi con sistemi sanitari a scarse risorse, come quelli di buona parte dell’America Latina,
dell’Asia, dell’Africa, dove l’immediato riscontro della utilità pratica e della chiara efficacia
della metodica ne hanno determinato una rapida diffusione. Queste comunità non aspettano
certamente una approvazione delle società scientifiche per utilizzare uno strumento che ha
largamente dimostrato, nella pratica, la sua utilità ed efficacia, in particolare se i mezzi
radiologici alternativi sono poco disponibili. Per esperienza personale, questo atteggiamento
si sta rapidamente diffondendo come metodica complementare o persino alternativa anche
nei paesi con un sistema sanitario più ricco, come negli USA ed in Europa, dove tuttavia le
resistenze legate alla attesa di una validazione da parte delle principali società scientifiche è
ancora prevalente.
A questa diffidenza è legata la seconda reazione, molto comune in Italia. Al momento e
nonostante una grossa mole di dati scientifici da studi originali, prospettici ed in cieco sempre
più, ultimamente, ad indirizzo multicentrico ed internazionale, le comunità scientifiche fanno
fatica ad introdurre l’ecografia polmonare nelle principali linee guida societarie.
L’atteggiamento è quello di chi si rende conto dei potenziali della metodica e della sua utilità,
in particolare nel setting dell’emergenza, ma chiede sempre e comunque un continuo
confronto con le metodiche radiologiche convenzionali nella pratica giornaliera. D’altronde, è
comprensibile come i processi di modifica di procedure consolidate in anni di pratica clinica,
siano di lenta acquisizione. È certamente una questione di tempo, se è vero che già alcuni
esempi di inclusione in autorevoli linee guida si sono attuati [13]. Nel frattempo, tuttavia, è
obbligo morale ed etico salvaguardare la salute, e spesso la vita, dei nostri pazienti. Una
discussione che giornalmente si rinnova nei nostri ospedali, ma che spesso si risolve di fronte
all’evidente utilità pratica dell’ecografia polmonare. D’altronde, se da un lato è corretto
chiedere che venga prodotta evidenza su un numero sempre più elevato di pazienti, da parte
di studi tecnicamente ineccepibili e possibilmente multicentrici, è anche vero che
quotidianamente siamo abituati a fidarci ciecamente di procedure diagnostiche considerate
convenzionali, che questo processo di faticosa validazione non hanno mai subito. Per esempio,
se da un lato dubitiamo della elevata specificità della ecografia polmonare per la diagnosi di
pneumotorace, che pure è stata dimostrata da molti studi, dall’altro utilizziamo giornalmente
la radiografia del torace considerata giustamente altamente specifica, ma mai testata in trials
clinici prospettici in cieco. Un atteggiamento più elastico ed aperto alle novità sarebbe
auspicabile.
Infine, c’è anche un terzo tipo di reazione, di chi rifiuta nonostante qualunque evidenza, la
possibilità che una nuova metodica possa mai cambiare i consolidati standard di riferimento
delle procedure diagnostiche. Pochi medici, in particolare italiani, sono soliti inviare dozzine
di lettere di commento agli articoli di studi sulla ecografia polmonare, con il dichiarato scopo
di evidenziarne una supposta inconsistenza. Queste lettere sono puntualmente basate sulla
teorizzazione di contro-evidenze del tutto inesistenti perché mai sperimentate, contrapposte
a quelle realmente provate nell’ambito di studi scientifici prospettici e spontanei, che hanno il
semplice scopo di investigare limiti e potenzialità dell’ecografia polmonare. Dietro questo
atteggiamento reattivo poco utile al progresso scientifico, a nostro parere ci sono due possibili
spiegazioni. La prima è quella dell’esistenza di incomprensioni di fondo, e cioè da un lato una
mancata consapevolezza della differenza tra il ruolo dell’ecografia “point-of-care” in urgenza e
quello della ecografia cosiddetta “consultativa” in elezione, e dall’altro non avere compreso
che non si tratta di mettere in competizione tra di loro le procedure diagnostiche per
immagini toraciche, ma piuttosto di integrare l’ecografia polmonare con l’uso delle metodiche
radiologiche. La seconda spiegazione è meno edificante, ma purtroppo da tenere anche in
considerazione. Abbiamo cioè l’impressione che questa reazione negazionista da parte degli
autori di queste lettere, sia supportata dalla incapacità di essere protagonisti nella letteratura
significativa dell’argomento, per avere assistito, loro malgrado, alla affermazione di una
metodica della quale questi colleghi non sono e non saranno mai primi attori.
Per concludere, auspichiamo che il mondo degli specialisti radiologi, ed in particolare chi si
occupa di diagnostica toracica e di radiologia d’urgenza, non resti fuori dalla evoluzione della
moderna ecografia polmonare. Già alcuni gruppi hanno dimostrato che il radiologo può essere
protagonista di questi cambiamenti, soprattutto se si occupa specificamente di emergenza
[14]. Tuttavia, il rischio esiste, e diventa tanto più grave quanto più, col tempo, esso diviene
settorializzato e regionalizzato. In altre parole, non vorremmo che soltanto una limitata
nicchia di radiologi resti all’oscuro o abbia comunque un ruolo inattivo nel progresso della
diagnostica clinica ecografica sul torace.
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