20140902 - Ordine dei Medici di Ferrara
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20140902 - Ordine dei Medici di Ferrara
2 settembre 2014 Il Resto del Carlino La prova attitudinale APPENA finito l’esame di ammissione, e magari averlo fallito, molti possono pensare: ‘Che senso ha fare questo test?’. Ma poi, a posteriori, una volta entrati e iniziato il percorso di studi, capiscono che la selezione è importante. Al massimo, chiedono di rivalutare le modalità e i contenuti delle domande del test, non certo la cancellazione. «Da studentessa che provava il test d’ammissione — dice Giulia Meneghini, al quarto anno di Medicina — ero un po’ contraria. Poi, una volta entrata, ho capito che il test d’ammissione serve. Anche da un punto di vista logistico, da un punto di vista dei docenti e delle aule a disposizione: non saprebbero dove sistemarci, lo noto anche quando facciamo gli esami. Così come ci potrebbero essere problemi con il tirocinio: ora che inizio a frequentare i reparti, capisco che una selezione è necessaria. Piuttosto, sarebbe meglio cambiare il concorsone attuale».D’ACCORDO anche Luca Tangerini, al secondo anno della facoltà. «Una selezione è doverosa, ma il test d’ammissione è sicuramente da cambiare. E inserirei anche un test psicologico: in tanti — aggiunge lo studente — sognano di fare questo mestiere, ma in pochi sanno davvero che cosa significhi. E comunque, se uno studente è davvero motivato, supera anche la selezione del test d’ammissione, perché si prepara davvero bene per poter superare il test». Infine, Beatrice De Palo, al secondo anno di Medicina: «Prima di giudicare se eliminare o meno l’esame di ammissione — spiega —, bisognerebbe capire in che modo vogliono fare la selezione. Credo comunque che il test sia giusto, penso piuttosto che sia meglio cambiare le modalità di selezione che ci sono ora con il concorsone. Ma ripeto, bisognerebbe innanzitutto capire come hanno intenzione di gestirlo». «Cancellando il test a Medicina apriamo le porte ai disoccupati» DOTTOR Leonardo Trombelli, lei che è presidente della scuola di Medicina, ha saputo dell’idea del ministro Giannini di abolire il test d’ammissione?«Sì, ho letto. Ma è un’idea che la ossessiona, evidentemente. Ci siamo espressi più volte, le abbiamo ripetuto le nostre perplessità, ma nonostante tutto continua imperterrita e nessuna motivazione, evidentemente, è servita a dissuaderla». La prima perplessità, ad esempio? «Beh, innanzitutto non possiamo permetterci di eliminare il test d’ammissione, perché dovremmo aprire le porte a un numero spropositato di studenti e non ne abbiamo né i mezzi, né le risorse. Non abbiamo sufficienti aule per contenere tutti gli studenti, né i docenti riuscirebbero a organizzarsi. Ci sarebbe un’invasione di studenti ingestibile». Nemmeno l’idea di adattare il nostro sistema a quello francese, sarebbe attuabile? Si potrebbe arrivare a uno sbarramento nel corso degli studi...«Intanto apprezzo il fatto che il ministro si sia convinto che il numero programmato è importante. Abbiamo insistito molto, su questo tema. Ma il problema reale è che oltre ai problemi di numeri e risorse, c’è anche la questione dei vincoli europei che appunto ci impongono di avere un numero di laureti in relazione al numero di iscritti. Così come ci sarebbe il rischio, se si aprono le porte senza test d’ammissione, di avere un numero di iscritti esagerato rispetto alle borse di studio per la specializzazione: se uno degli obiettivi che dovremmo avere è quello di indirizzare gli studenti al mondo del lavoro, così rischiamo di avere un numero di futuri praticanti molto superiore rispetto alle borse di studio a disposizione».Però ammetterà che il famoso ‘concorsone’ per entrare in facoltà ha domande di cultura generale incongrue rispetto alle materie che si andranno a studiare e che è difficile anche per gli studenti preparati, no? «Lo abbiamo detto altre volte: è evidente che il test d’ammissione va cambiato. Ma non eliminato». Cambiato come, ad esempio?«Ad esempio, invece che prendere in considerazione solo il voto dell’esame di maturità, si potrebbero prendere in considerazione anche gli ultimi tre anni di scuola dei futuri universitari. Oppure, credo sia fondamentale anche predisporre un test attitudinale per i futuri medici, visto che è un mestiere dove conta anche il fattore psicologico».Tra le idee del ministro, c’è anche quella di unificare gli insegnamenti comuni, dalla chimica alla fisica fino alla biologia, di facoltà che hanno i primi anni gli stessi insegnamenti. Cosa ne pensa?«Non è fattibile. In più, il ministro dimentica, forse, quante richieste ci sono ogni anno per poter entrare a medicina. E poi, in tutto questo, c’è un’idea incongrua...».Quale sarebbe?«Si volevano evitare specificità? Bene, siamo passati al concorsone. Ora, con il modello francese, si rischia di tornare alla specificità, perché si lascia liberà di scelta alle singole facoltà». Insomma, il piano del ministro bocciato praticamente in toto? «Guardi, è importante una cosa: la nostra facoltà è una delle migliori, abbiamo un vero tesoro, cerchiamo di non disperderlo». Operato al cervello con l’aiuto del mediatore culturale UN INTERVENTO complesso che lo diventa ancora di più quando subentra una barriera linguistica che rende difficile la comunicazione tra medico e paziente. E’ in queste condizioni che l’équipe guidata da Michele Cavallo — direttore dell’unità operativa di neurochirurgia dell’ospedale Sant’Anna — ha dovuto eseguire un intervento di craniotomia con paziente sveglio per trattare un tumore al cervello.Il team non è certo nuovo a questo tipo di interventi che affronta regolarmente; la particolarità di questo caso è stata che il paziente, di nazionalità romena, non parlava l’italiano. Affinché l’operazione avesse successo quindi, si è resa necessaria la partecipazione in sala operatoria di una mediatrice culturale, Marianna Golub. La sua collaborazione ha permesso ai medici di monitorare e controllare il linguaggio del paziente durante le delicate fasi dell’asportazione del tumore e lo ha seguito poi in reparto quando l’intervento è terminato. Il servizio di mediazione culturale e linguistica — già presente da anni nella quotidianità della vita ospedaliera — esteso anche all’ambito della sala operatoria, ha rappresentato un valore aggiunto importantissimo che si è unito alla professionalità del personale sanitario che ha seguito il caso. «Ringrazio la mediatrice culturale che si è prodigata oltre il dovuto in questo delicato e per lei probabilmente insolito servizio — ha commentato Cavallo — e, ovviamente, tutto lo staff presente in sala operatoria che ha permesso di ottenere un ottimo risultato».Marianna Golub, moldava di 38 anni, ha conosciuto il paziente prima dell’intervento aiutandolo nelle fasi preparatorie e spiegando tutti i passaggi non solo al diretto interessato ma anche ai suoi famigliari. IL PAZIENTE è arrivato a Cona a seguito di numerosi svenimenti e — dopo gli opportuni accertamenti — gli è stato diagnosticato un tumore al cervello che bisogna rimuovere attraverso un’operazione. Qui la sua storia si intreccia con quella della mediatrice. Il paziente è un uomo di 59 anni, padre e nonno, che lavora in un’azienda agricola. Il primo incontro con la mediatrice è stato a inizio luglio, quando si è svolto un colloquio con la psicologa che l’ha sottoposto ad alcuni esami di carattere cognitivo al fine di verificare la sua capacità di riconoscere gli oggetti e pronunciare correttamente il loro nome. Il secondo incontro è avvenuto con l’anestesista che ha spiegato come si sarebbe svolto l’intervento e cosa sarebbe successo una volta svegliato durante la craniotomia. Al momento dell’intervento c’è stato anche l’incontro con Cavallo e la sua équipe. Anche dopo l’operazione, al ritorno in reparto, l’ausilio della mediatrice è stato importante. Infatti la prima persona che il 59enne ha visto è stata la moglie. Ed è stata Marianna a rispondere a tutte le domande della donna e a fare da tramite fra i medici e la famiglia. La Nuova Ferrara In sala operatoria... con il traduttore Un intervento tecnicamente complesso, complicato da una barriera linguistica che rende difficile la comunicazione tra medico e paziente. L’équipe guidata da Michele Cavallo, direttore dell’Unità Operativa di Neurochirurgia del S. Anna, il 9 luglio ha eseguito una craniotomia con paziente sveglio (definita awake craniotomy) per trattare un tumore al cervello. Il team non è nuovo a questo tipo di interventi che affronta regolarmente; la particolarità è stata che il paziente è di nazionalità romena e non parla né capisce la lingua italiana. «Affinché l’operazione avesse successo si è resa necessaria la partecipazione attiva in sala operatoria di una mediatrice culturale e linguistica che ha seguito tutte le procedure senza manifestare timore o difficoltà», spiega il S. Anna. La sua collaborazione ha permesso ai medici di monitorare e controllare il linguaggio del paziente durante le delicate fasi dell'asportazione del tumore, controllo poi eseguito in reparto quando l'intervento è terminato. Questo servizio di mediazione culturale e linguistica - già presente da anni nella quotidianità ospedaliera, precisa l’azienda sanitaria - esteso anche all’ambito della sala operatoria,ha rappresentato un valore aggiunto importantissimo che si è unito alla professionalità del personale che ha seguito il caso. «Ringrazio la mediatrice culturale che si è prodigata oltre il dovuto in questo delicato e per lei probabilmente insolito servizio - ha dichiarato il dott. Cavallo - e, ovviamente, tutto lo staff presente in sala operatoria: medici infermieri, tecnici e oss che hanno permesso di ottenere un ottimo risultato». La mediatrice culturale e linguistica, Marianna Golub, 38 anni, moldava, ha conosciuto il paziente prima dell’intervento aiutandolo nelle fasi preparatorie e spiegando tutti i passaggi anche ai suoi familiari. Ecco la storia. F. arriva al S. Anna di Cona a seguito di numerosi svenimenti e – dopo gli opportuni accertamenti – gli viene diagnosticato un tumore al cervello che bisogna rimuovere chirurgicamente. Il paziente ha 59 anni, è padre e nonno, e lavora nel settore agricolo. Il primo incontro con la mediatrice risale al 7 di luglio, durante un colloquio con la psicologa che l’ha sottoposto ad alcuni esami di carattere cognitivo per verificare la sua capacità di riconoscere gli oggetti e pronunciare correttamente il loro nome. Il secondo incontro è avvenuto con l’anestesista che ha spiegato come si sarebbe svolto l’intervento e cosa sarebbe successo una volta svegliato durante la craniotomia. Al momento dell’intervento c’è stato anche l’incontro con il dott. Michele Alessandro Cavallo e con la sua équipe. L’intervento, molto complesso, era articolato in diverse fasi: in una di queste è stata fondamentale la presenza della mediatrice perché mentre il neurochirurgo stimolava alcune zone del cervello, la psicologa poneva alcune domande al paziente. Tutto questo si è rivelato fondamentale per preservare le funzioni cognitive dell’uomo e perché l’intervento avesse buon esito. Il paziente si è sempre dimostrato tranquillo e fiducioso, ha aggiunto il Sant’Anna, e ha ripetuto più volte “....io no paura, niente nervi, niente stress,… io curioso !!!”. Anche dopo l’operazione, al ritorno in reparto, l’ausilio della mediatrice è stato importante: la prima persona che ha visto F. è stata la moglie. Ed è stata Marianna Golub a rispondere a tutte le domande della donna e a fare da tramite fra i medici e la famiglia.