INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Molti, all’atto di iniziare a scrivere questa tesi, mi hanno chiesto il perché della scelta
ci questo tema. Io, in realtà non ho mai saputo dare una risposta univoca a questa
domanda. Forse perché seguo il calcio, forse perché mi è sempre piaciuto vedere i
comportamenti dei tifosi in curva durante una partita, i cori che fanno, le coreografie
che organizzano; forse perché è un argomento che mi incuriosisce ed occupa sempre
più le pagine dei giornali sportivi; forse perché rappresenta una così evidente
ambiguità, che vale la pena indagare le cause che lo hanno generato.
In questo lavoro cercherò di delineare, o per lo meno di capire, quali possono essere i
motivi che spingono centinaia di giovani ad assumere comportamenti tali, che, in
qualsiasi altra situazione non metterebbero mai in atto. In particolare cercherò di
indagare quali sono le motivazioni che deducono i giovani ultrà da me intervistati.
Ognuno di loro ha una propria vita, un proprio carattere, quindi sono diversi tra
loro, nei motivi che li spingono a compiere determinati atti.
Il lavoro si presenterà, sicuramente, difficile e controverso, perché controversi sono
gli aspetti che caratterizzano il mondo ultrà.
A man-mano che mi documentavo, infatti, notavo una certa difficoltà nel distinguere
il fenomeno “violenza”, dagli altri elementi che costituiscono l'essere ultrà. La
passione per i propri colori, per la propria città, l’importanza dell’essere gruppo e
sentirsi
gruppo,
le
attività
organizzative,
la
produzione
di
materiale,
l’autoaffermazione della propria identità. Tutti questi aspetti, insieme alla violenza
vanno a comporre un quadro estremamente complesso e variegato, dove realtà e
finzione, bene e male, si confondono.
VI
Fare tifo per un hooligans o per un ultrà, è qualcosa di più che un semplice gioco, un
semplice divertimento o un semplice punto di vista. I sostenitori delle curve, con il
passare del tempo hanno imparato a differenziarsi dagli altri tifosi tradizionali. In
Italia, ad esempio, sono diventati i veri protagonisti delle domeniche sportive, non si
limitano ad assistere allo spettacolo, ma ne rivendicano il ruolo da protagonisti. La
vera ragione della loro aggregazione, non è sostenere la squadra, ma unirsi per
dimostrare la propria forza contro i tifosi avversari e le forze dell’ordine.
Spesso il comportamento degli ultrà è altamente simbolico, ma non di rado diventa
crudelmente reale, caratterizzato anche da atti di teppismo gratuito e numerosi feriti,
che ormai sembrano rappresentare la normalità durante un incontro di calcio.
È allo stadio infatti, che al giorno d’oggi sembrano avere luogo i conflitti sociali e
generazionali, contrasti di classe e di razza, di gruppo e di luogo.
Per quanto riguarda gli studi sui comportamenti violenti nel corso di manifestazioni
sportive, calcistiche in particolare, si sono sempre contrapposte due diverse figure
sociali: l’ultrà italiano e l’hooligan inglese. Queste due tipologie di tifosi, in realtà
vanno ben differenziate. Per quanto riguarda il termine, la parola ultrà, utilizzata
dalle tifoserie europee, è stata mutuata dal gergo politico dei primi anni 70. E' stata la
curva della Sampdoria, la prima ad utilizzare questa denominazione, poi adoperata
genericamente per designare l’intero insieme di tifosi organizzati nelle curve italiane.
Il termine hooligans invece, deriva da Houlihan, il nome di una famiglia irlandese
dalla pessima reputazione. Dal 1898, la parola venne utilizzata nel gergo comune per
delineare un comportamento turbolento. La scelta cadde proprio su un termine
irlandese proprio per distanziarlo completamente dal comportamento “rispettabile"
degli inglesi dell’epoca tardo-vittoriana.
VII
Poi, dal 1970, i mass-media hanno adottato frequentemente l’espressione “hooligan”
per etichettare varie forme di comportamento giovanile violento, con particolare
riferimento al teppismo calcistico.
Ma le differenze tra hooligan e ultrà non si limitano a questo. Questi ultimi infatti,
sono famosi per la complessa organizzazione interna, l’importanza che viene data al
folklore, alla spettacolarità, alle coreografie, ai riti di incoraggiamento, alla visibilità.
Mentre le associazioni ultrà sono pienamente riconosciute, quelle clandestine degli
hooligans, hanno le caratteristiche informali delle bande di teppisti. In questo senso,
la tendenza sta cambiando. Non è raro, infatti, trovare hooligans organizzati, che si
mimetizzano tra la folla per evitare i controlli delle forze dell’ordine.
Gli aspetti che caratterizzano questo mondo sono, quindi, diversi, e forse proprio per
questo è ancora impossibile trovare ricerche esaustive che spieghino il fenomeno, che,
almeno in Italia, sta assumendo dimensioni elevate di allarmismo sociale.
Per quanto riguarda la suddivisione del mio lavoro, nel primo capitolo ho deciso di
fare un excursus storico sulla formazione dei primi gruppi ultras, mettendoli a
confronto con il fenomeno della violenza degli hooligans inglesi. Mi sono sentita in
dovere di fare questa contrapposizione anche perché, da come ho descritto in
seguito, gli hooligans sono stati i primi modelli per i gruppi ultras in formazione. Il
compito di alcuni giovani tifosi, in passato, era proprio quello di seguire le ends
inglesi e documentarsi sui loro comportamenti e le loro reazioni. La violenza entra
così, a far parte delle curve italiane, le quali si differenziano da quelle britanniche per
la presenza predominante della classe medio-borghese,
la forte organizzazione
interna e la presenza della politica, forse vero motore della formazione dei primi
gruppi ultras.
VIII
È interessante notare come le forme di tifo siano cambiate dagli anni ‘50 ai giorni
nostri e come esse siano andate verso una maggior militarizzazione e organizzazione
degli scontri. Si è passati da una violenza “passionale”, legata al risultato sportivo, alle
decisione arbitrali, ad una violenza che esula completamente dall’andamento
dell’evento calcistico ed agisce indipendentemente da questo.
Più avanti, ho cercato di fornire una breve descrizione delle cause e delle concause
che possono portare alla costruzione di personalità antisociali. Ho parlato delle
influenze che, famiglie problematiche, genitori assenti o madri disturbate, possono
portare l’individuo ad uno sviluppo problematico e deviante. Questi fattori in passato
hanno riguardato tutte le ricerche condotte sul tifo violento e sulle cause di
comportamenti aggressivi apparentemente inspiegabili. Le recenti ricerche invece,
tentano di superare queste problematiche chiamando in causa altri fattori.
Malgrado ciò, l’importanza data alla famiglia, all'educazione e allo sviluppo psicofisico dell’individuo non è mai diminuita e rappresenta tuttora la base dello sviluppo
deviante.
Ho ritenuto quindi importante, dare spazio anche a queste variabili, non
dimenticando che sono alla base di tutte le teorie psicologiche che tentano di spiegare
il comportamento umano ( seppur con numerose ambivalenze).
In seguito ho mostrato alcuni approcci e teorie sulle motivazioni
e le cause del
comportamento deviante, riferite in particolar modo al comportamento dei tifosi
violenti.
In questo senso, numerose sono le ricerche fatte, molte volte in contraddizione tra
loro, ma necessarie per capire un fenomeno complesso come quello del tifo calcistico
ed in particolare la violenza che molte volte, lo caratterizza.
IX
Per quanto riguarda il capitolo sugli aspetti psico-sociali di gruppo, ho cercato di
spiegare le funzioni del gruppo e l’importanza che esso svolge durante la crescita di
un individuo, normale o patologica e deviante.
Ho voluto dare grande importanza a questo aspetto perché considero il
comportamento dei nostri ultrà, compresa la violenza e gli atteggiamenti socialmente
punibili che spesso li contraddistinguono, come impliciti e quasi caratteristici della vita
del gruppo stesso.
In oltre, la necessità di una propria identità, il desiderio di possedere un proprio status
e di rendersi indipendente dai genitori e dalla società stessa sono aspetti che i giovani
ricercano incessantemente dalla pubertà in poi, e che spesso vedono soddisfatti nell’
appartenenza a qualsiasi gruppo, anche e soprattutto a quello ultrà.
È ben spiegato come questa associazione sia per i ragazzi stessi, un motivo di crescita
personale, una situazione nella quale tutti hanno dei propri ruoli e il proprio status, a
differenza dell’incertezza che la società gli offre; tutto questo è anche confermato
dalle interviste, che, riguardo questo aspetto, si trovano in armonia tra loro.
Nel gruppo ultrà ogni bisogno è soddisfatto, anche quello tipico degli adolescenti
moderni, di comunicare con qualsiasi mezzo… violenza compresa.
Con il tempo però, le manifestazioni aggressive tipiche dei tifosi è andata prendendo
forme diverse. La violenza non è più controllata dai valori e dalle regole interne al
gruppo stesso, e questo a causa del continuo aumento dei suoi membri, che vedono
le curve sempre più palcoscenico di atti vandalici fini a sé stessi, o politicizzati e come
trampolino per la visibilità sociale e televisiva.
La violenza non è più conseguenza delle azioni in campo o delle decisioni arbitrali,
ma ha assunto sempre più il carattere di teppismo gratuito e, apparentemente,
inspiegabile. La ritualità si è fatta imperfetta e ha coinvolto la società tutta.
X
Numerose sono le cause che possono aver portato a questa trasformazione, ma come
poi viene riferito da uno degli intervistati, <<ognuno ha le sue ragioni>>. Ed è
questo che rende il fenomeno così difficile da inquadrare.
Nel mondo ultrà incorrono i valori di violenza della classe meno agiata, gli ideali
della strada,( spiegazione questa che può essere presa in considerazione per
l’Inghilterra, ma non per le nostre curve), ma non c’è solo questo. Violenza causata
dalla politica, caratteristica fondamentale e confermata dalle storie di vita; aspetto
che non può mancare nella denominazione dei gruppi, nella scelta degli amici o dei
nemici, nel comportamento che deve rispettare gli ideali di mascolinità, violenza e
razzismo tipici della destra radicale; violenza intesa come difesa del territorio, del
“proprio” territorio, inteso questo anche come territorio dell’io, come spazio privato
e personale, che a tutti i costi deve essere difeso dall’esterno; ma la violenza può
essere vista anche come modo di comunicare, come un pretesto per farsi avanti
rispetto agli altri, urlare la propria condizione, il proprio disagio ed acquistare
notorietà e visibilità grazie al sempre maggior rilievo dato dalla stampa e da tutti gli
organi di formazione.
Nel quinto capitolo, prendo in considerazione le opere repressive e, soprattutto
preventive, messe in atto dai vari organi competenti. Su quest'ultimo punto, ho
voluto descrivere la nascita e l'esperienza di particolari progetti sociali che
rispecchiano la realtà italiana e tedesca.
La seconda parte è dedicata alla ricerca che ho intrapreso, partendo dalla
metodologia usata, fino alla trascrizione fedele e all'interpretazione delle interviste.
L'ultimo capitolo si prefigge di fare un'analisi delle diverse storie, comparandole tra
loro e rispetto alle teorie ed alle recenti ricerche sul tema, affrontate nei capitoli
precedenti.
XI
CAPITOLO PRIMO
HOOLIGANS E ULTRA’
1. EXCURSUS STORICO
Le prime forme del gioco del calcio hanno origini antichissime. In realtà se ne ha
testimonianza sin dal 200 a.c in Cina, dove si giocava lo tsu-chu, una disciplina in cui si
doveva colpire con i piedi una palla imbottita in diversi modi. La forma più simile al
nostro calcio è però quella nata in Inghilterra durante il medioevo: l’hurling at goal,
un gioco praticato in uno spazio chiuso, dove, scopo finale, era quello di mandare il
pallone in porta. Una variazione di questo gioco era l’hurling over country, praticato
invece, in aperta campagna da “giocatori” appartenenti a due diversi villaggi. In realtà
era uno sport molto violento, che lasciava una lunga scia di morti e feriti che, in quel
periodo veniva accettata 1. Nel quattordicesimo secolo, il sindaco di Londra, emanò
un proclama per ordine di re Edoardo II, che recitava così:
<< proclama per la conservazione della pace… premesso che il Re nostro Signore sta
dirigendosi verso la terra di Scozia, in guerra contro i nemici, e ci ha espressamente e
fermamente comandato di mantenere qui la sua pace. Essendo provato che si fa un
gran clamore per le strade cittadine a seguito di certi tumulti provocati dall’inseguire
dei grossi palloni e che da ciò possono derivare grossi mai- che Dio non voglia- noi
comandiamo e proibiamo, in nome del Re e sotto pena del carcere, che tale gioco sia
d’ora innanzi praticato in città. Il provvedimento non ebbe successo. Solo nella
seconda metà dell’800, con la nascita della Football Association, il gioco del calcio
cominciò ad essere regolamentato.
1
Elias, Dunning, Sport e aggressività, Il Mulino, Bologna, 1989. Cit. pagg. 223-234.
1
Ed è in questo periodo che viene esportato anche in Italia, a seguito della crescente
passione delle classi sociali superiori per le attività ginniche e agonistiche.
Per quanto riguarda il football, le prime esperienze si sviluppano a Livorno, Genova e
Palermo, città che avevano avuto molteplici contatti con gli inglesi e con altri
conoscitori del calcio europeo, dopo il 1880 2.
La grande differenza con il modello inglese sta nella composizione e nell'estrazione
sociale dei giocatori e dei tifosi stessi. Mentre in Inghilterra il football è espressione
della working-class e le squadre non sono altro che rappresentanze delle "pubblic
school” o delle associazioni operaie, in Italia, le condizioni igienico-sanitarie rendono
impossibile alla classe operaia, l'interessamento ad attività che siano estranee alla mera
sopravvivenza. Durante la fine dell'800 infatti, l'Italia faceva ancora parte di quella
parte d' Europa che registra un forte ritardo nello sviluppo economico.
1.1 1900- 1950
Inghilterra: il moral panic
L’inghilterrra è considerata per eccellenza, la patria del tifo violento. A dar credito a
questa affermazione, incorrono diverse caratteristiche che fanno della gran Bretagna
patria ideale di una cultura così esplosiva:la presenza della working-class e la sua
partecipazione alla nascita del calcio così come lo intende la Football Association; il
ruolo centrale che ricopre nell’immaginario giovanile europeo: i Beatles, le tendenze,
le mode, gli stili che verranno poi esportati in tutta Europa; il terzo aspetto che rende
cruciale la scena inglese è il ruolo svolto dai mass media.
2
Papa, Panico, Storia sociale del calcio in Italia, il Mulino, Bologna, 2000.
2
Non va infatti dimenticato che le testate giornalistiche in Gran Bretagna, hanno
tirature altissime, degne di un pubblico televisivo. Si diffonde così, il “moral panic”,
frutto soprattutto di campagne di una stampa popolare gridata, scandalistica, pronta a
spettacolarizzare ed amplificare ogni fenomeno. Elemento di interesse è il rapporto
sempre più stretto tra teppismo violento e xenofobia che anticipa di almeno 30 anni
la situazione europea: e i giovani tifosi sono fieri dell’immagine negativa che si è
formata attorno a loro.
Solo dopo il primo conflitto mondiale cominciano ad assistere alle partite anche gli
appartenenti alle classi più alte: in questo periodo c’è un’immagine più positiva del
tifoso inglese che durerà fino alla prima metà degli anni ’50, quando una serie di
effetti economici e sociopolitici concorreranno fortemente alla nascita del moderno
hooliganismo3 .
Italia: “tifo calcistico”
Mentre in Inghilterra, già alla fine del 1800 il calcio era prerogativa dei giovani della
classe operaia, nel nostro paese i tifosi erano composti da persone appartenenti ai ceti
medi e all’alta borghesia. L’interesse si allarga anche ai lavoratori quando, nel 1910,
viene loro concesso un giorno di riposo. E così il pubblico passa dai piccoli gruppi
degli anni '10, alle migliaia di persone negli anni '20, alle decine di migliaia negli anni
'30 e '40, alle centinaia di migliaia degli anni '50. È in questo periodo che nasce il
fenomeno del “tifo calcistico”. Lo stadio diventa il luogo eletto dove manifestare la
propria aggressività.
Tra gli anni ’40 e ’50 in Italia vengono costruiti la maggior parte degli stadi presenti
tutt’ora, anche se buona parte di loro sono stati restaurati per i mondiali del ’90. A
3
Marchi, Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa, Koinè, Roma, 1994.
3
metà degli anni ’50 nasce quello che è il primo (presunto) club di tifosi dell’inter.
L’esempio verrà poi seguito da moltissimi altri tifosi.
La pratica più tradizionale della contestazione del pubblico è stata, per tutti questi
anni, l’invasione del campo da gioco, che rientrava comunque nei confini della
ritualità. Lo stesso vale per la persecuzione agli arbitri. In realtà anche durante gli anni
’30 e ’40 non erano mancate zuffe tra tifosi avversari, ma ogni tipo di violenza veniva
circoscritta e non destava preoccupazione sociale. Ma intanto le reazioni del pubblico
erano cresciute e si erano manifestate prima con il lancio di cuscinetti ( presenti sulle
tribune), poi con quello di bottiglie ed altri oggetti.
Malgrado tutto il fenomeno della violenza non destava ancora interesse: lo stadio era
visto come il luogo dove dare sfogo a tutte le pulsioni represse in famiglia, un luogo
dove tutto era lecito.
Per molti tifosi, andare allo stadio la domenica voleva dire occupare l'unico giorno di
riposo dal lavoro, ma per altri lo stadio rappresentava un prolungamento della
propria identità locale, un luogo dove poter esprimere valori maschili come violenza,
aggressività, forza fisica e durezza: un mondo questo precluso alle donne ed hai più
deboli. La loro violenza si associava a quella in campo, fino ad esaltare all’estremo la
contrapposizione con il nemico da battere, concetto questo che sarà alla base del
comportamento ultrà.
L'intemperanza degli spettatori in occasione di eventi calcistici non è certo un fenomeno nato
con
gli
ultras,
ma
accompagna,
da
sempre,
la
storia
del
calcio.
Già prima dell'avvento degli ultras era infatti possibile notare, intorno ai campi da calcio, zuffe
tra sostenitori di squadre avversarie, così come erano molto frequenti le invasioni di campo, i
tentativi di aggressione ad arbitri e giocatori avversari, i lanci di oggetti in campo.
4
Atalanta- Milan 1946/47
1.2 ANNI ’50-’70
Inghilterra: l’esplosione del fenomeno Hooligans.
All’inizio degli anni ’50 inizia una nuova fase di tifo violento. Il fenomeno di football
hooliganism è caratterizzato da alleanze tra gruppi di adolescenti e di ragazzi
provenienti dai quartieri delle periferie operaie che iniziano a rivendicare le curve
degli stadi di calcio, come loro territori. Caratteristica è la presenza di skinhead,
giovani dallo stile aggressivo e proletario. Nascono vari gruppi di tifosi che
disprezzano ogni forma non violenta di comportamento, che esaltano la mascolinità e
la virilità. Si parla ora di Folk devils, Teddy Boys, Celtic, Rangers, Mods e Rockers.
Questi giovani praticano violenza fine a se stessa e si distinguono dai capelli rasati,
giubbotti imbottiti e sciarpe dai colori della propria squadra; passano le loro giornate
ubriacandosi nei pub. Diventano oggetto di sempre maggiore attenzione da parte
delle forze dell’ordine che li scortano sino allo stadio, impediscono loro il contatto
con le altre tifoserie. Tutto ciò porta al conseguente spostamento dei fenomeni di
violenza dall’interno dello stadio, all’esterno, ovunque ci sia “libertà di movimento”.
5
Negli anni ’70 si iniziano a registrare i primi morti ad opera degli scontri tra
Hooligans, ed il fenomeno comincia a destare grande attenzione da parte dei media e
dell’opinione pubblica. Si ritengono necessarie sempre più misure restrittive verso
questi tifosi, ma, proprio questi provvedimenti, saranno causa di scontri sempre più
violenti.
Il fenomeno hooligans, si articola in un processo rappresentato da almeno quattro fasi:
1. innanzitutto, i gruppi di giovani tifosi al seguito delle squadre inglesi, iniziano a
replicare all’esterno le gesta diventate ormai “famose” nel loro paese, e questo a
causa della generale impreparazione delle forze dell’ordine e delle inadeguate
misure restrittive nei loro confronti;
2. allo stesso tempo, gli hooligans, con le loro gesta, riescono a diffondere nei paesi
europei un modello di comportamento che viene adottato in breve tempo, dai
giovani locali;
3. contemporaneamente, contribuiscono alla comparsa, nei loro rivali del continente
europeo,
di un sentimento di rivalsa e un desiderio di vendetta nei loro
confronti;
4. infine, gli inglesi acquistano la notorietà internazionale come gruppo più
pericoloso in una specifica classifica del teppismo calcistico, che induce i giovani
degli altri paesi a competere con loro e con le loro gesta.
6
Italia: la nascita del gruppo ultrà e militarizzazione.
Negli anni ’50 il pubblico diventa sempre più numeroso ed è composto ancora per la
quasi totalità da adulti. È in questo periodo che lo stadio viene diviso in settori, ma
diventa teatro di forme nuove di intemperanze come sassaiole contro i pullman delle
squadre, lancio di oggetti in campo, aggressioni contro gli arbitri di gara.
In questi anni la stampa inizia ad indicare questi episodi di teppismo come "sfoghi di
irrazionalità" agevolati da un oscuro meccanismo di massa, e contribuisce a diffondere
lo stereotipo del tifoso violento che, una volta superati i cancelli dello stadio, perde
ogni capacità di giudicare con distacco la realtà. Le intemperanze degli spettatori non
sono altro che frutto di isteria di massa o di una sorta di instabilità emotiva che si
propaga nella massa. Intorno agli anni ’60 fanno le loro prime apparizioni gruppi di
giovani tifosi che si raccolgono dietro a striscioni e slogan volutamente minacciosi e si
distinguono dagli altri per i colori vivaci con cui esprimono la loro passione 4. Nel
nostro paese, il movimento di contestazione non rimane, infatti, legato esclusivamente
alle realtà studentesche, ma comprende anche larghe fasce di giovani operai. Molti
giovani si riuniscono in gruppi, in qualche caso in partitini, organizzati in maniera
leninista. Sono questi gruppi ad occupare, contrastati dalle forze dell’ordine o da
gruppi di destra similmente organizzati, le piazze e le strade d’Italia e ad
egemonizzare, così, proprio i luoghi in cui le nuove sottoculture fioriscono: accade
perciò che i nuovi stili stradaioli e le ragioni politiche vengano ad intrecciarsi proprio
dentro questi gruppi o che, a margine di questi, le nuove subculture giovanili
importate dall’Inghilterra coniughino al tipico ribellismo giovanile le vocazioni
politiche antisistema. E’ questo il caso degli ultrà.
4
Roversi, Calcio tifo e violenza, Il Mulino, Bologna, 1992. Cit. pag. 46.
7
La maggior parte di questi giovani non sono dei nuovi tifosi che si affacciano per la
prima volta nel mondo del calcio, ma probabilmente sono già stati iniziati dalle
famiglie,
hanno già frequentato le curve, o appartengono al mondo dei club,
composti da tifosi più anziani riconosciuti dalle società di calcio.
La caratteristica dei primi gruppi è la presenza di legami amicali tra i giovani fondatori
e la caratteristica che li contraddistingue dai più “famosi” hooligans è che
appartengono ad un gruppo politico di estrema destra o estrema sinistra. L’elemento
che salda i primi due è la conoscenza diretta o indiretta delle “gesta” degli hooligans
inglesi 5. Un tifoso juventino, a questo proposito, afferma : << Quando abbiamo
creato la Fossa (gruppo juventino), abbiamo mandato un bianconero spesato dal
gruppo in Inghilterra per riprendere il tifo, per vedere come si organizzavano, come
facevano, per imitarlo qui in Italia>>6
Ma gli ultrà italiani si trovano in casa un altro modello: quello dei gruppetti politici
estremi, che occupano le strade e le piazze e rappresentano un modello ben visibile di
militanza, spirito di gruppo e durezza.
Nascono i Boys dell’Inter, i Commandos Rossoblu del Bologna e, via via, si formano
altri gruppi che si appropriano di nomi mutuati direttamente dalla sfera politica (a
cominciare da ultras, inaugurato nel 1971 dal gruppo di tifosi della Sampdoria, per
continuare con Tupamaros, Fedayn ma anche Folgore, Vigilantes etc.).
Inizia così una nuova atmosfera da stadio, caratterizzata da striscioni, canti, suoni che
perdono ogni spontaneità e ogni affinità con il campo da gioco e le azioni che si
svolgono in esso. Cominciano i primi scontri da tifoserie rivali, ma il fenomeno
rimarrà limitato fino alla seconda metà degli anni ’70.
5
6
Roversi,1992, op. cit. pag. 41.
Segre, Ragazzi da stadio, Marzotta, Torino, 1979, cit. pag. 58.
8
In questo periodo i gruppi si organizzano. Gli atti di violenza ora avvengono
soprattutto fuori dallo stadio, prima o dopo gli incontri di calcio. I luoghi privilegiati
sono le vicinanze dello stadio, ma anche il centro cittadino, le stazioni ferroviarie. Ciò
a causa del tentativo di evitare il controllo e la repressione delle forze di polizia 7.
Il tifo diventa accessorio e l’evento calcistico acquista importanza solo per
l’opportunità che dà agli ultrà di scontrarsi con le altre tifoserie. Intanto gli scontri
diventano sempre più violenti a causa dell’organizzazione interna e della
militarizzazione che caratterizza questi gruppi.
Esistono ormai, una solida struttura interna e una serie di gerarchie che permettono di
gestire al meglio centinaia di nuovi giovani. Per quanto riguarda invece la
militarizzazione dei gruppi ultrà, si può osservare come le tifoserie si preparino per
tempo agli scontri attraverso un particolare tipo di abbigliamento e l’utilizzo di armi
quali coltelli, bastoni, spranghe.
Il gruppo perde completamente la spontaneità con cui era nato e si fa spietato,
organizzato e ben strutturato. Dal punto di vista organizzativo infatti, i gruppi si
dotano di una stabile struttura formale che li mette in grado di far fronte ai problemi
dovuti alla massiccia partecipazione. Nascono così i primi gruppi dirigenti. Un giovane
tifoso del Torino illustra l’organizzazione e i ruoli all'interno di un gruppo:<< siamo
otto dirigenti… di questi ognuno ha le sue mansioni. Quelle delle donne riguardano
più che altro gli aspetti finanziari e la responsabilità quasi totale del montaggio delle
bandiere e dei tamburi. Noi ci occupiamo più dei rapporti con la società… chi si
occupa
delle
trasferte…
chi
dei
materiali;
chi
di
cancelleria,
adesivi,
magliette…>>8.Ma oltre a questo genere di organizzazione, esiste ora una
pianificazione pressocchè totale anche degli scontri e degli incidenti, che non
7
8
Roversi, 1992, op. cit. pag. 51.
Segre, 1979, cit. pag. 26.
9