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Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Architettura “Valle Giulia” Dipartimento Ar_Cos Tesi di Dottorato in Architettura e Costruzione, Spazio e Società Guglielmo Malizia - relatore prof. Dina Nencini La residenza urbana in Grecia - 1980 / 2005 Volume I - Inquadramento generale PREFAZIONE La presente tesi fa parte di in una serie di ricerche, svolte nella scuola di dottorato Draco, sul social housing in Europa dal 1980 al 2005: ciascun dottorando si è impegnato ad indagare la recente produzione di edilizia residenziale pubblica in un Paese della UE a sua scelta. La scelta della Grecia, da parte mia, è derivata da una naturale attrazione per quel paese, per il suo clima, per il suo paesaggio, per i suoi abitanti e la loro lingua, per la sua storia. Per Atene poi, dove si ha l’impressione di trovarsi al centro del mondo, forse per la calma che suscita l’assorbimento dei contrasti: ordine e disordine si dissolvono l’uno nell’altro, oriente e occidente acquistano lo stesso volto. Nelle sue architetture moderne di marmo e vetro una grazia speciale raffina le rigide e pesanti strutture cementizie. Secondo il formato suggerito dal Collegio dei Docenti, la tesi si articola in tre volumi. Nel primo si delinea un inquadramento ad ampio raggio dell’architettura e dell’urbanistica contemporanee in Grecia, con particolare riferimento all’edilizia residenziale e a tutte le problematiche ad essa collegate. Nel secondo volume si presenta una selezione di casi studio analizzati. Non essendoci praticamente alcun esempio di social housing vero e proprio, ovvero di abitazioni realizzate da una committenza pubblica, a parte un paio progetti, sono tutte polykatoikie (palazzine) costruite da imprenditori privati, e destinate a famiglie di ceto prevalentemente medio-alto. Questo ha comportato la modifica, nel titolo, di housing con residenza urbana. Il terzo volume consiste in un breve saggio sull’inattualità tecnologica dell’architettura, che esula dalla specificità dell’argomento trattato nelle altre due parti. Si tratta di un testo parallelo al corpo della tesi, in cui il dottorando è invitato a esporre delle riflessioni personali su argomenti della disciplina a sua scelta. Il lavoro è stato svolto nel corso degli ultimi tre anni. Nel 2008 mi sono dovuto costruire una base di conoscenze di carattere generale sull’architettura greca contemporanea e su tutti quegli aspetti (culturali, economici, politici) che l’hanno influenzata. Ho cercato di comprendere a fondo la poetica e le opere dei suoi migliori interpreti. Nel 2009 ho raccolto il materiale con una serie di viaggi ad Atene, visitando gli edifici che intendevo analizzare, documentandomi nelle biblioteche (in particolare in quelle dell’Università Tecnica di Atene, dell’ Archivio di Architettura Neoellenica della Fondazione Benaki, dell’Istituto di Architettura Neoellenica, della Technical Chamber of Greece), e discutendo con architetti di cui mi interessava il lavoro e professori che si occupano di temi simili a questo. Nel 2010 mi sono dedicato alla stesura definitiva della tesi, aiutato dalle frequenti discussioni con il Collegio dei Docenti e dalla costante assistenza del Relatore. 3 RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento particolare va alla professoressa Dina Nencini, che accompagna la mia formazione da ormai molti anni, ai professori del Dipartimento ArCos che hanno puntualmente revisionato il lavoro di ricerca. Ringrazio anche i professori Eleni Fessas-Emmanouil, Suzana Antonakakis, Dimitris Antonakakis e Vassilis Ghikapeppas dell’Università Tecnica di Atene; Andreas Giakoumakatos dell’Università di Salonicco; Georgios A. Panetsos e Yannis Aesopos dell’Università di Patrasso; Paola Cofano del Politecnico di Milano. Gli architetti Pantelis Nicolacopoulos, Dimitris Tsakalakis, Dimitris Theodoropoulos, Nikos Anatollitis, Kyriaki Goni. Un ringraziamento va agli amici, insostituibili, Livia Porro, Pietro Zampetti e Giulia Villoresi. 4 5 INDICE 9 INTRODUZIONE 10 L’ARCHITETTURA GRECA DEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI La ricostruzione Anni di conservatorismo architettonico Il riferimento alla grecità come espressione di verità L’interpretazione di Pikionis L’interpretazione di Konstantinidis La ricostruzione di Santorini L’architettura rappresentativa L’affermazione del Modernismo L’apice del modernismo La stagione dei concorsi L’allontanamento dal Modernismo Le esperienze più recenti 32 L’URBANISTICA IN GRECIA NEL NOVECENTO Premessa I primi tentativi di pianificazione Eroiche visioni sulla scia del IV congresso CIAM (Atene 1933) La pianificazione dal Dopoguerra agli anni Settanta Il ridimensionamento del disegno urbano negli ultimi trent’anni 40 L’EDILIZIA RESIDENZIALE IN GRECIA NEL NOVECENTO La diffusione degli appartamenti Il sistema privato dell’antiparoche L’architettura delle prime residenze di massa Lo sviluppo delle tipologie residenziali dal Dopoguerra agli anni Settanta Le esperienze degli ultimi trent’anni 51 ATENE E LA POLYKATOIKIA Atene La polykatoikia 6 59 ANTOLOGIA CRITICA Kenneth Frampton, A note on Greek Architecture: 1938 – 1997 Heleni Fessas - Emmanouil, The last twenty – five years: from post – modern dispute to the Dionysiac and chaotic threshold of the 21st century Aris Konstantinidis, selezione di brani da On Architecture 89 CRONOLOGIA DEI PRINCIPALI AVVENIMENTI DEL NOVECENTO IN GRECIA 95 INDICE ANAGRAFICO DEI PROGETTISTI GRECI 99 BIBLIOGRAFIA 7 8 INTRODUZIONE Questo Volume costituisce un inquadramento ad ampio raggio, necessario per comprendere i progetti che verranno illustrati, come casi studio dell’architettura residenziale greca tra il 1980 e il 2005, nel volume centrale di questa tesi. È composto di quattro capitoli volti a fornire altrettante chiavi d’accesso all’argomento focale. Il primo traccia, in una prospettiva storica, i lineamenti dell’architettura greca contemporanea, cercando di metterne in risalto i tratti permanenti, la reazione alle differenti situazioni politiche ed economiche attraversate dal dopoguerra ad oggi, le diverse tendenze generazionali, la centralità di un problema fondamentale: il rapporto tra tradizione e modernità, tra regionalismo e internazionalismo. Il secondo capitolo racconta brevemente i difficili tentativi di pianificazione urbana intrapresi in Grecia nel corso del secolo scorso, rilevando un’evidente anomalia rispetto alle coeve storie degli stati centro-europei: una sorta di incapacità dell’iniziativa pubblica a governare lo sviluppo del territorio. Il terzo capitolo si concentra sull’edilizia residenziale, soffermandosi sugli esempi più significativi, sulle diverse interpretazioni del problema abitativo da parte dei migliori architetti greci del Novecento, con particolare attenzione per le esperienze più recenti. Per molti versi è come ripercorrere le stesse difficoltà di gestione dei problemi insediativi incontrate nel capitolo precedente: qui l’assenza dell’iniziativa pubblica lascia l’intero settore nelle mani della speculazione privata. Il quarto capitolo affronta la questione più tecnica del legame costitutivo tra la tipologia residenziale della polykatoikia, che possiamo identificare con la nostra palazzina, e la forma della città greca, in particolare Atene. Si tratta di un caso unico per la coerenza con cui l’intero territorio metropolitano viene occupato da uno stesso tipo edilizio, senza mediazioni di scala. A seguire sono raccolti alcuni brani di autori illustri che rappresentano i cardini su cui poggia questo primo volume e una serie di apparati volti fornire alcuni dati essenziali sull’argomento trattato. 9 L’ARCHITETTURA GRECA DEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI La ricostruzione Gli sforzi di ricostruzione in Grecia iniziarono subito dopo la fine della guerra, nel 1945. La direzione del coordinamento di questi fu presa da Constantinos Doxiadis, allora giovane e vigoroso architetto e pianificatore che possedeva tutti i requisiti per condurre l’impresa a buon fine. Mentre il paese era ancora sotto l’occupazione tedesca, Doxiadis aveva formato una squadra di esperti per registrare i danni subiti dalle strutture edilizie e urbane, e aveva già elaborato una previsione di ciò che sarebbe stato necessario in futuro, oltre a stabilire principi e metodi sui quali la successiva ricostruzione avrebbe dovuto basarsi. Idee e progetti di ricostruzione furono proposti anche da altri architetti con la speranza di un futuro migliore per la Grecia. Sfortunatamente questo impegno fu largamente frustrato da una situazione politica instabile e dalla successiva guerra civile del 1946-49, che inflisse alla nazione terribili ferite difficili da rimarginare. Il conflitto civile rese la discontinuità causata dalla Guerra nel progresso della moderna architettura greca assai più compromettente, non solo perché prolungò la depressione economica e l’arresto nel settore dell’edilizia fino alla fine degli anni Quaranta, ma anche perché provocò un radicale sconvolgimento ideologico e sociale. L’incapacità dello stato di pianificare e implementare una politica di sana ristrutturazione economica e di sviluppo regionale, e la campagna di persecuzione anti-comunista nelle province causò un rapido accrescimento delle città, Atene in particolare, ed esacerbò il problema degli alloggi. Alla fine tale problema venne risolto dalle imprese private coi loro metodi poco ortodossi. Nuove case vennero così costruite illegalmente nelle aree suburbane al di fuori dei piani regolatori, o all’interno di questi col sistema dell’ antiparochi o quid pro quo. Con tale sistema il proprietario di un immobile piccolo e malandato cedeva il lotto ad un imprenditore che ci costruiva un nuovo edificio di appartamenti, dei quali alcuni sarebbero andati al proprietario in cambio della disponibilità del terreno. Lo Stato incoraggiò questo sistema aumentando il numero di piani consentiti perché offrivano un duplice vantaggio: da una parte costituivano una soluzione per acquietare il problema degli alloggi, mentre dall’altra lo sviluppo dell’edilizia avrebbe potuto stimolare la ripresa economica. Grazie al sistema del quid pro quo, la costruzione di edifici di appartamenti ebbe un notevole incremento e, in concomitanza con significativi progetti di infrastrutture per i trasporti pubblici e per il turismo,produsse una rapida crescita dell’economia greca, ma, allo stesso tempo, ne cronicizzava i difetti strutturali. Inoltre, la mancanza di pianificazione e controllo dell’attività edilizia, di fatto affidata agli speculatori, ebbe effetti gravemente dannosi sull’ambiente urbano: aumento delle disuguaglianze regionali, inadeguata organizzazione tecnica e amministrativa delle città, demolizione di molti degli edifici principali nei centri urbani. D’altra parte la sconfitta della Sinistra nella guerra civile aveva permesso la progressiva ascesa della borghesia in uno stato di torpore ideologico, mentre si rafforzavano più che mai i poteri conservatori, ai quali si allinearono sia i nuovi ricchi emersi durante i dieci anni di guerra, sia le classi medio basse. Si venne così a creare un’atmosfera tutt’altro che stimolante. 10 Anni di conservatorismo architettonico A partire dal 1950 circa, il mercato delle costruzioni dilagò ad Atene, dominato da una schiera di architetti riconosciuti, come Kitsikis, Kapsambelis, Vourekas e Sakellarios, che adottarono una sorta di Classicismo semplificato per i loro progetti urbani e una versione moderna di alcuni motivi pittoreschi per le ville suburbane. In entrambi i casi la contaminazione fu operata in maniera tale da dare l’impressione di un’architettura capace di rispondere alle moderne esigenze di funzionalità e confort, pur continuando ad indossare uno stile nazionale, e quindi facilmente riconoscibile. Chiaramente si metteva in atto uno strappo con il razionalismo degli anni Trenta. In ogni caso, la maggior parte dei protagonisti del modernismo d’anteguerra non erano più in attività: Nikos Mitsakis era morto in un incidente automobilistico nel nel 1941; Panos Tselepis si era trasferito in Francia a lavorare con Lurçat; Papadaki e Polyvios Michailidis erano emigrati negli Stati Uniti; Ioannis Despotopoulos allontanato dalla scuola di architettura nel 1946 per via delle sue posizioni politiche chiese asilo in Svezia, mentre Kyriakos Panayotakos, Vasileios Douras ed altri avevano ricoperto diverse cariche pubbliche uscendo così dalla scena delle proposte progettuali. Solo Patroklos Karantinos e Thoukydidis Valentis erano ancora in attività ed ebbero un ruolo importante nella continuità col Moderno. Il primo entrò al Ministero dell’Educazione nel1946, e sia in quella sede che per conto proprio (spesso in occasione di concorsi) produsse molti progetti, la maggior parte dei quali non fu realizzata. I suoi primi progetti dopo la guerra, il complesso scolastico di Thiva (1948) e la nuova scuola ecclesiastica a Pathmos (1947-52) non vennero molto considerati, così come il blocco di appartamenti ad Atene (1950). I progetti che riabilitarono la sua reputazione furono quelli realizzati successivamente, quando il Modernismo riacquistava il prestigio perduto. Al contrario il primo progetto di Valentis dopo la guerra, l’edificio dei mutui dell’Aeronautica (1947-49), si distinse PERIKLIS SAKELLARIOS, VILLA A PSYCHICO, 1951 TUKIDIDIS VALENTIS, EDIFICIO PER UFFICI AD ATENE, 1956-58 NICOS VALSAMAKIS, EPOLYKATOIKIA AD ATENE, 1955-57 11 come tipicamente moderno nel contesto ateniese per l’evidenza della struttura portante, per le finestre orizzontali, e la morfologia elementare, malgrado un’articolazione piuttosto classica del prospetto. Sia questo edificio che il successivo palazzo per uffici su Omonia, con le loro facciate dominate dalla griglia ortogonale furono dei modelli per progetti analoghi ed ebbero una sensibile influenza anche sugli architetti conservatori. Il passo decisivo verso la riabilitazione del Moderno avvenne per merito di un giovane architetto, Nicos Valsamakis, che costruì il suo primo palazzo di appartamenti nel 1953, prima ancora di essere laureato. Si tratta di un piccolo edificio nel centro di Atene che, con una griglia a sbalzo su un piano terra arretrato, formata dai solai dei balconi e dagli esili pilastri, ed equilibratamente enfatizzata, esprime un sereno Classicismo, mentre l’utilizzo di alcuni materiali naturali (legno per le ringhiere, pietra per il basamento) lascia un riferimento alla costruzione vernacolare, anche se solo lievemente allusivo. Tutto sommato l’impressione è quella di una pura architettura moderna, libera da ogni legame con le convenzioni stilistiche prevalenti. Nel successivo palazzo di appartamenti, in cui introdusse un’asimmetria accuratamente pianificata, Valsamakis si impose come raffinato interprete del vocabolario moderno, un degno continuatore degli sviluppi precedenti la guerra. I progetti di Valentis e Valsamakis non furono gli unici esempi a segnare la riaffermazione del Modernismo nel dopoguerra, ma di certo servirono da paradigma ed incoraggiarono altri architetti: sorgendo in zone centrali della capitale e realizzati nel pieno rispetto dei termini dettati dalla speculazione commerciale, dimostrarono che lo stile moderno era perfettamente capace di rispondere allo stesso mercato precedentemente dominato da un o stile conservatore. Un riferimento astratto alla grecità come espressione di verità La tendenza a esprimere un’esigenza di grecità o di un ritorno alle radici nella vita culturale greca del dopoguerra, che aveva assunto aspetti differenti nel corso degli anni Venti e Trenta, potrebbe apparire conservatrice; invece non ci fu alcuna affinità tra questa e lo spirito Classico invocato e dibattuto in termini convenzionali dalle classi conservatrici. Questa nuova tendenza interpretò l’esigenza di grecità come un’esigenza di verità; e questo uso della tradizione greca come riferimento astratto esercitò una vivace influenza su diversi aspetti del Modernismo. Infatti i più dotati rappresentanti di questa tendenza (in letteratura, nelle arti figurative o in musica) riuscirono a produrre valide combinazioni del Modernismo con quelli che consideravano i valori di fondo della tradizione greca. L’interpretazione di Pikionis Dimitris Pikionis si era distinto nel periodo tra le due guerre come principale rappresentante di questa tendenza in architettura. Aveva frequentato l’accademia delle Belle Arti dal 1910 al 1912 ed ammise di essere stato profondamente influenzato da Julien Guadet. Il movimento moderno 12 lo attraeva perché “prometteva di poter incarnare la verità organica” e perché “era austero e fondamentalmente semplice; era dominato dalla geometria che comunicava un progetto capace di guidare il nostro tempo”1. Ma dopo aver realizzato la scuola al Lycabetto (1933), la sua unica opera in puro stile moderno, non sentendosi soddisfatto, giunse alla conclusione che “[…] lo spirito universale deve essere integrato con lo spirito delle tradizioni”2. Successivamente egli non smise mai di sostenere le proprie idee entusiasticamente e di cercare la maniera più appropriata per applicarle ai suoi progetti. La sua ricerca intrapresa prima della guerra con la Scuola Sperimentale di Salonicco (1935) e un palazzo di appartamenti ad Atene (1938), continuò poi con la casa-studio per la scultrice Frosso Efthymiadi a Patissia (1949), la casa Potamianos a Filothei (1954), gli studi preliminari per l’insediamento di Aixoni (1951-54) e l hotel Xenia a Delfi (1955). Questa raggiunse il suo apice nel suo progetto indubbiamente più importante, la sistemazione dell’area del Filopappo (1951 - 57), e nel campo da gioco per bambini a Filotei (1961 65). Nell’idea di Pikionis è facile individuare le fonti più eterogenee e forse talvolta contraddittorie, che però erano sintetizzate in una globale visione poetica, da cui sgorgava la sua attitudine creativa3. Pikionis credeva che l’arte autentica fosse prima di tutto obbedienza alle leggi eterne ed universali, che tale principio sia stato rispettato da tutte le grandi civiltà storiche (ciascuna in accordo con la propria natura), e che questo fosse il principio al quale l’arte moderna aveva cercato di rivolgersi. Per cui egli fu un grande estimatore di Paul Cézanne e Auguste Rodin, e anche di Pablo Picasso, Paul Klee e del suo coetaneo Le Corbusier. Pikionis credeva inoltre che la millenaria tradizione greca fosse la più alta manifestazione della tradizione universale, e condusse appassionati studi sugli sviluppi artistici di 1 D. Pikionis, Autobiographical Notes, 1958 2 Ibid. 3 Per quanto riguarda le origini del pensier di Pikionis, S. Condaratos, Dimitris Pikionis in context, in Dimitris Pikionis, Architect 1887-1968: a sentimental topography, Lodra 1989 DIMITRIS PIKIONIS CASA STUDIO A EFTHYMIADI (1949) SISTEMAZIONE DELL’AREA DEL FILOPAPPO (1951-57) CASA A FILOTHEI, 1953-55 13 quella, dalle sculture del periodo arcaico alle più umili creazioni dell’artigianato vernacolare, nella continua ricerca di conferme circa la corrispondenza dell’ordine. Egli teneva inoltre in grande considerazione che sebbene i modi espressivi della tradizione greca fossero strettamente affini a quelli dell’Oriente e radicalmente differenti da quelli occidentali, inseguirono continuamente “la giusta sintesi delle opposte correnti e tendenze, [...] la loro fusione in una forma nuova”4. Essendo sempre disposto ad apprezzare le virtù degli altri e a comprenderne la verità e la bellezza intrinseche, Pikionis adottò nei suoi progetti un approccio fondamentalmente eclettico, il cui contenuto fu sempre elevato dalla profondità della sua ricerca e dalla sua straordinaria sensibilità plastica. Nei suoi progetti degli anni Cinquanta e Sessanta propone appunto un’elaborazione poetica in cui fa coesistere forme dell’architettura vernacolare macedone, bizantine, dell’antica Grecia. Questa posizione fu da lui teorizzata, nel 1950, in un affascinante testo concernente la questione della forma, nel quale spiegò come produrre variazioni a partire dai semplici motivi che hanno attraversato la tradizione greca: «Le variazioni che possono essere date in questo modo alla forma essenziale sono davvero infinite. La linea stessa può portarti misticamente all’antico, al medievale, al primitivo, al moderno, al neoclassicismo popolare. Si tratta di possedere o meno il linguaggio mistico della forma, grazie al quale si può esprimere quella configurazione particolare e quella profonda essenzialità della tradizione e del periodo storico attraverso il simbolo». L’architettura concreta è espressione simbolica, naturale e culturale, del luogo, realizzata componendo consapevolmente varie immagini in un insieme che è riconoscibile dalla coscienza collettiva. La casa costruita da Pikionis a Filothei per la famiglia Potamianos esprime bene l’attenzione con cui egli assemblava tipologie, materiali e forme tradizionali in una struttura moderna in cemento armato. I riferimenti all’architettura vernacolare del nord della Grecia, della Macedonia occidentale (in particolare il Monte Pelion) sono evidenti. La cura dell’architetto riguarda anche le piante del giardino e la sua decorazione con componenti architettoniche e oggetti che testimoniano la lunga storia della Grecia. Oltre che da tali riferimenti alla tradizione, la suggestione è provocata dalla moderna logica delle forme pure e dei materiali semplici e da una consapevole ingenuità che imprime ai vari accorgimenti il marchio di un voluto ritorno alle origini. Comunque il criterio di base nella selezione dei suoi modelli riguardò sempre l’intima geometria dell’opera, la corrispondenza all’interno della sua struttura ad un’armonia cosmica come garanzia di autenticità e di senso profondo. Anche nel suo più celebre progetto, la sistemazione dell’area del Filopappo, con la ricostruzione della cappella di S. Demetrio e l’adiacente padiglione turistico, Pikionis riuscì a coniugare memorie dall’architettura arcaica, classica, bizantina e vernacolare con i modi e le forme propri di un’attitudine modernista e anche con influenze dalle case e dai giardini giapponesi, che diventeranno poi più evidenti nel campo giochi per bambini a Filothei. Egli tentò inoltre di conciliare nella pratica un’inclinazione romantica verso il pittoresco con la teoria classica dell’ordine armonico. Tuttavia, 4 D. Pikionis, op.cit. 14 nonostante le loro origini, tutte queste componenti erano reinterpretate e rielaborate in modo che il risultato finale sembrasse senza tempo, o, come l’autore avrebbe voluto, Greco, ma “di un periodo immaginario, che potrebbe essere esistito, ma non ebbe mai l’opportunità di divenire reale”5. Se l’adattamento al luogo, l’utilizzo dominante di materiali naturali e la semplicità della costruzione trasmettono un’impressione di spontaneità, ad uno sguardo più attento si colgono subito le complessità compositive e anche una certa sofisticatezza manierista che dimostrano come le opere siano il risultato di un diligente processo compositivo. Pikionis sapeva fin dall’inizio come ”la qualità naturale che nelle persone semplici si ritrova esplicitamente nell’istinto, nelle persone più colte richiede il ricorso a risorse della mente e dello spirito ben diverse dall’istinto”6. Per questo motivo egli si sforzò di raffinare il proprio talento innato attraverso un’attenta osservazione, l’analisi riflessiva ed un costante impegno pratico. Nessuno ha saputo seguirlo in questo difficile cammino: coloro che hanno provato ad imitarlo hanno sempre prodotto risultati mediocri. D’altra parte il suo insegnamento ed il suo lavoro ebbero un effetto stimolante sui suoi allievi che adottarono un atteggiamento più critico rispetto alle sue posizioni e su un certo numero di architetti più giovani che, senza essere stati personalmente a contatto con lui, seppero apprezzare la profondità della sua ricerca. L’interpretazione di Konstantinidis L’esigenza di grecità intesa coma esigenza di verità fu anche coltivata, sebbene in maniera piuttosto diversa, da Aris Konstantinidis, più giovane di Pikionis di venticinque anni. Laureatosi all’Università Tecnica di Monaco nel 1936, Konstantinidis cominciò a svolgere l’attività professionale prima della guerra, ma emerse chiaramente nel dopoguerra pubblicando due articoli e due saggi brevi7. In questi, prendendo come riferimenti le strutture rurali di Mikonos e le vecchie case di Atene, egli espresse molto lucidamente il suo interesse per un’architettura vera, che sia al passo con i tempi, ma in armonia con i requisiti propri di un luogo, come avviene nelle opere umili e anonime che sono “evidenti, sobrie, elementari, e parlano il linguaggio della natura”; un’architettura, come scrisse successivamente, che sappia riflettere “i nostri caratteri più autentici”8. Come nei testi di Pikionis anche in quelli di Konstantinidis estetica ed etica sono inseparabili. Entrambi erano di certo stati influenzati da John Ruskin, e Konstantinidis avevana subito anche l’influenza della critica culturale di Adolf Loos. Molti sono i punti di contatto tra i pensieri di questi due autori, a partire dai riferimenti metafisici di base. Nonostante le sue ossessioni, Pikionis assunse un atteggiamento pluralista rispetto alle tradizioni, cercando l’autenticità nella moltitudine delle sue manifestazioni storiche, e il modello essenziale in forme specifiche che egli reinterpretava ed incorporava nei suoi progetti. Konstantinidis, da parte sua, sembra interessato solo a quegli aspetti della tradizione riconducibili ad un astratto tipo elementare o ad una rudimentale logica 5 Dimitris Pikionis, Il problema della forma (1946), in Dimitris Pikionis, Keimena, Atene 1982. 6 in Dimitris Pikionis, Keimena, Atene 1982. 7 Aris Konstantinidis, Due “villaggi” a Mykonos, Atene 1947, e Antiche case ateniesi, Atene 1950. 8 Aris Konstantinidis, Due “villaggi” a Mykonos, Atene 1947, e L’architettura dell’architettura, Atene 1992. 15 ARIS KONSTANTINIDIS COMPLESSO TURISTICO A EPIDAURO, 1958-62 CASA STUDIO A EGINA, 1974-78 costruttiva. Egli sosteneva infatti che l’architettura dovrebbe “svolgersi [...] conformemente ad alcune verità basilari o radici lontane dai giochi morfologici o estetici e senza imitare l’esteriorità di ciò che è stato in passato quando c’erano altre tecniche, altri materiali e anche differenti contesti sociali e politici”. Nel 1972, presentando schizzi e fotografie di diversi rifugi improvvisati che aveva incontrato nei dintorni di Atene o in campagna (variazioni contemporanee sulla capanna primitiva di Laugier) scrisse a proposito di questa architettura anonima: “Certamente primitiva, ma così vera, bella e spontanea, o così contemporanea, potrei aggiungere, così compatibile con la nuova direttiva dell’epoca moderna verso un’architettura autentica, capace di lavorare onestamente con tutti i materiali a disposizione e di dedicarsi alle funzioni vitali occupandosi delle necessità reali e non di interessi personali”9. Per creare questo collegamento tra il contemporaneo e il primitivo, Konstantinidis scavalcava la storia, e in questo senso fu un autentico razionalista, rappresentante del Movimento Moderno e del suo spirito utopico, come esprime ancor più chiaramente affermando che “l’architettura è internazionale. È internazionale come lo sono il clima, le necessità di igiene e di conoscenza, la medicina. I mezzi di comunicazione sono ormai gli stessi in tutto il mondo e da questo punto in poi anche l’architettura ha in se tutti i caratteri nazionali ed internazionali. Ne deriva che, se l’architettura è internazionale, ogni paese esprime talune caratteristiche proprie”. Il primo progetto importante di Konstantinidis fu una piccola casa di vacanze a Sykia, vicino Corinto, nel 1951, un manifesto su come egli intendeva la verità in architettura. Si tratta di una struttura spoglia in muratura e cemento a vista, assolutamente moderna per l’articolazione e la mancanza di ogni riferimento alle forme della tradizione locale, ma che assume un aspetto del tutto naturale e spontaneo all’interno del paesaggio. In quest’opera Konstantinidis creò un modello che sviluppò con assoluta coerenza in una serie di progetti successivi, dal complesso turistico vicino al teatro di Epidauro (1958-62) e la casa di vacanza a Anavyssos (1961-62), alla casa sul monte Pendeli (2974) e la casa-studio a Egina (197478). In particolare la piccola residenza estiva di Anavyssos, sulla costa del golfo di Sardonico, a sud di Atene, è diventata un modello di riferimento per molti progetti analoghi; le pareti sono costruite 9 Aris Konstantinidis, Life vessels or the problem of a ”genuine” Greek Architecture, Atene 1947, in Architecture in Greece 1/72. 16 CASA DI VACANZE A SYKIA, 1951 MOTEL XENIA, KALAMBAKA 1962 con pietra del luogo e sostengono il peso di una lastra di cemento sulla quale sono evidenti i segni lasciati dalle casse di legno usate per le colate; il corpo centrale della casa è circondato da un portico a forma di L che affaccia a sud-ovest, verso il mare. Il complesso di cinque abitazioni per l’isola di Egina, di cui solo le due summenzionate furono edificate, presenta lo stesso approccio con pochissime variazioni. Nell’edificio residenziale costruito nell’esclusivo sobborgo di Filothei, a nord di Atene, tra il 1971 e il 1973, l’architetto, affronta il progetto, con la stessa sensibilità per il contesto (questa volta urbano) e la stessa intelligenza costruttiva. Il cemento armato a vista fa da cornice all’intonaco bianco. Le facciate sono dominate da ampi balconi collegati da una leggera struttura metallica che all’ultimo piano sostiene una pergola dal disegno raffinatissimo, che esprime tutta lessenza della composizione architettonica per Konstantinidis. Anche nei suoi progetti più grandi, come i quartieri residenziali per l’OEK (l’istituto delle case popolari) ( 1955-57), gli hotel e i motel che realizzò a capo dell’EOT (l’ente nazionale del turismo) (1958-67), e il museo archeologico di Ioannina (1965-66), rimase fedele ai suoi principi fondamentali. Il suo onesto senso della costruzione si esprimeva con la struttura a scheletro portante in cemento armato, i muri e le aperture articolati con la massima chiarezza geometrica, l’organizzazione degli spazi modulata sulla base di una griglia rettangolare, e la ripetizione di elementi standardizzati. I suoi edifici hanno forme semplici e chiare, con la tessitura e il colore dei materiali come unici elementi decorativi. Con dei modi rudimentali Konstantinidis produsse alcuni dei progetti più significativi del modernismo greco. Comunque il suo più grande risultato resta la maniera in cui, senza fare alcun ricorso a espedienti scenografici, questi progetti si integrano con il paesaggio greco. Il motel a Kalambaka ne è un esempio evidente. Konstantinidis non ebbe mai l’opportunità di insegnare in Grecia, ma con i suoi progetti e i suoi scritti esercitò una grande influenza sull’architettura greca. Il suo semplice stile architettonico, in completo accordo con i metodi costruttivi del periodo, fu assimilato da molti altri architetti. Ma soprattutto fu lo spirito della sua poetica ce ispirava e continua a ispirare i più riflessivi dei suoi giovani colleghi. 17 DECAVALLAS ASS.TI, RESIDENZE A SANTORINI, 1956 VOUREKAS/PROKOPIS/VASSILIADIS HOTEL HILTON AD ATENE, 2958-63 La ricostruzione di Santorini Nel 1956 un disastroso terremoto colpì l’isola di Santorini, famosa per la sua forma unica e l’architettura tradizionale. La ricostruzione dell’isola fu guidata dalla direzione urbanistica del ministero dei lavori pubblici (direttore: Achilleas Spano, capo del dipartimento: P. Vassiliadis). Il primo gruppo di progettazione inviato sull’isola consisteva di quattro giovani architetti appena laureati al politecnico di Atene (Savas Condaratos, Vassilis Bogakos, Nicos Sapountzis e Vassilis Grigoriadis) guidati da Constantinos Decavallas, che aveva da poco compiuto gli studi post laurea negli Stati Uniti e in Inghilterra. Oltre alla ristrutturazione degli edifici esistenti, la missione del gruppo comprendeva anche la progettazione di nuovi complessi residenziali. Chiaramente la natura dell’isola e il carattere della sua architettura tradizionale non potevano essere ignorati. Ma né le condizioni di progetto, né la volontà degli architetti coinvolti permise alcun ricorso a espedienti scenografici imitativi delle forme locali. Decavallas e i suoi associati optarono per un approccio puramente razionalista, che li condusse alla standardizzazione e a una parziale prefabbricazione, e prese dal repertorio locale solo qualche caratteristica generale che potesse essere incorporata senza forzature in una moderna pratica progettuale. Alcuni progetti di Le Corbusier furono presi da esempio in questo senso. La ricostruzione di Santorini fu forse il primo tentativo programmatico di ristabilire una connessione con il Modernismo del periodo tra le due guerre e con la sua visione della grecità. Questo risulta ancora più evidente nel piccolo edificio scolastico realizzato sull’isola dagli stessi architetti. L’architettura rappresentativa Gli approcci alla tradizione di Pikionis, Konstantinidis e degli architetti di Santorini, ebbe di fatto una diffusione limitata. Quando la questione della grecità riguardava progetti di natura più monumentale, le soluzioni scelte erano sempre più convenzionali. Se lo stile dominante ad Atene attorno al 1950 era rappresentato da un Classicismo semplificato (modernizzato), si può dire che dieci anni dopo si affermò un Modernismo classicheggiante, esemplificato principalmente da due progetti: l’ambasciata americana di Walter Gropius / TAC (1959-61), e l’hotel Hilton di E. Vourekas, P. Vassiliadis e S. Staikos (1958-63). La sua forma, organizzata in maniera rigidamente simmetrica, 18 GROPIUS/TAC, AMBASCIATA DEGLI USA AD ATENE, 1959-61 il colonnato perimetrale, l’atrio centrale e il marmo bianco di rivestimento, costituivano un riferimento diretto alla Grecia classica, mentre allo stesso tempo, e più significativamente, rifletteva le tendenze correnti nell’architettura americana, che raggiunsero il loro culmine appena dopo nel Lincoln Center di New York. Questo edificio risultava infatti tipicamente moderno per l’articolazione dei volumi. Quasi contemporaneamente Pavlon Mylonas, che si era distinto da studente nell’ambito del recupero delle forme tradizionali in Grecia e si era misurato con lo stile moderno negli studi post laurea negli Stati Uniti, affrontava in maniera assai diversa il progetto per un hotel di lusso sulle pendici del monte Parnithos. Egli combinò degli interni decorati e arredati secondo i modelli dell’architettura tradizionale di Hydra, Tessaglia e Macedonia, con una struttura architettonica spiccatamente moderna, basata su audaci ed ingegnose soluzioni morfologiche e costruttive. Il sopravvento del Modernismo Dopo la fine degli anni Cinquanta, la corrente moderna cominciò prendere il sopravvento con una serie di progetti sia pubblici che privati, dal momento che l’esigenza di nuove costruzioni cresceva diversificandosi notevolmente. Nonostante il successo di Pikionis e Konstantinidis, questa seconda ondata di Modernismo in Grecia fu in buona parte dovuta all’influenza di modelli stranieri, importati sia tramite la diffusione delle riviste, sia dagli architetti che avevano studiato all’estero. Lo stesso era certo capitato anche prima della guerra, ma ora le influenze erano molto più varie, spesso eterogenee: alla riscoperta del purismo corbuseriano e del Bauhaus si aggiungevano le opere successive dei maestri, in particolare Mies van der Rohe, e di Richard Neutra, Eero Saarinen e Paul Rudolph o dei progetti di Alfonso Reidy, Oscar Niemeyer e Kenzo Tange. La rapida modernizzazione delle tecniche costruttive svolse un ruolo considerevole nell’assimilazione di questi modelli. Risalta come in questo periodo, che durò fino alla fine degli anni Settanta, architetti di differenti generazioni e con diverse provenienze contribuirono ad una coerente affermazione del Modernismo. Tra i pionieri del periodo tra le due guerre, Patroklos Karantinos portò a termine i suoi più importanti lavori del dopoguerra negli anni Sessanta: ad Atene il Ministero dell’Istruzione(1956-62), e a 19 PATROKLOS KARANTINOS, ARCHEOLOGICO DI SALONICCO, 1960 MUSEO VOUREKAS/PROKOPIS/VASSILIADIS,HOTEL HILTON AD ATENE, 2958-63 DOXIADIS ASS., PIERCE COLLEGE AD AGHIA PARASKEVI, 1956-60 20 Salonicco i nuovi edifici del campus universitario (la facoltà di scienze nel 1955-62, e l’università tecnica in collaborazione con Yannis Liapis e Elias Skroumbelos nel 1957-62), l’istituto di ricerca Theagheneio (1958-63) e il museo archeologico dall’esemplare organizzazione degli spazi. Ci fu poi Ioannis Despotopoulos, rientrato dalla Svezia, che nel 1961 vinse il concorso per il centro culturale di Atene con una proposta razionalista di estremo interesse, ma di cui fu costruita solo la scuola di musica molti anni dopo (1969-71). Tra i veterani di posizioni più conservative, E. Vourekas e P. Sakellarios mostrarono nel progetto per l’YMCA di Atene (195859) la loro propensione allo stile razionalista. Vourekas Sakellarios e Vassiliadis, insieme ai loro associati Decavallas e A. Georgiadis realizzarono gli stabilimenti balneari Astir a Glyfada (1957-59) e a Vouliagmeni (1958-60), rimarchevoli per il modo in cui strutture basse e leggere si inserivano liberamente nel paesaggio costiero. Tra gli autori della generazione successiva, oltre alla figura protagonista di Konstantinidis, svolse un ruolo di primo piano anche Constantinos Doxiadis, la mente della ricostruzione postbellica fino al 1950. Nel 1952, rientrato in Grecia dopo un breve soggiorno in Australia, avviò l’attività professionale col titolo internazionale di Doxiadis Associates, che sviluppò un programma di vasta risonanza in Iraq. In breve estese i suoi affari ad altri mercati in Asia, in Africa, e persino in America, lavorando ad una scala senza precedenti in Europa. Doxiadis svolse la propria attività con alcuni collaboratori del Ministero della Ricostruzione nei primi tempi, e poi con molti giovani architetti ai quali veniva offerta l’occasione di lavorare su importanti progetti architettonici e urbanistici. Razionalista puro, Doxiadis impose ai suoi collaboratori una stretta aderenza alla tettonica, affine a quella di Konstantinidis, ma più anonima di quest’ultimo proprio per via dell’elaborazione collettiva dei lavori. Tra i relativamente pochi progetti realizzati in Grecia da Doxiadis Associates, sono di particolare interesse la sua sede di uffici alle pendici del Lycabetto (1955-61), il complesso del Pierce College nei dintorni di Aghia Paraskevi (1956-60), e il villaggio di Aspra Spitia, vicino Itea, nella Grecia centrale, dove venne alloggiato il personale delle industrie siderurgiche. Tra gli architetti della stessa generazione meritano di essere menzionati anche Aristomenis Provelenghios e Leon Crantonellis. Il primo che si trasferì a Parigi all’inizio della guerra civile, lavorò sia nello studio di Le Corbusier che da progettista autonomo. Quando rientrò in Grecia nel 1957, si impegnò notevolmente per l’Associazione degli Architetti greci, e fino al 1967, quando il colpo di stato militare lo costrinse a lasciare nuovamente il paese, realizzò pochi progetti, dei quali la casa studio a Kypseli (1958) esprime il suo debito all’opera di Le Corbusier. Crantonellis, dopo una lunga e fruttuosa carriera nell’ufficio di Doxiadis (fino al 1962), produsse due valide prove del proprio talento creativo: la sua casa a Plaka (1962-63), una reinterpretazione in stile moderno delle antiche case di Atene, che Konstantinidis aveva tanto apprezzato, e un coplesso per uffici (1973-77) dalla composizione dinamica di stampo brutalista. NICOS VALSAMAKIS HOTEL AMALIA AD ATENE, 1957-59 L’apice del Modernismo L’aspetto più interessante del Modernismo del dopoguerra fu comunque l’opera degli architetti più giovani, laureati tra il 1945 e il 1955. Nicos Valsamakis realizzò un brillante esempio di sobrio razionalismo nell’hotel Amalia al centro di Atene (1957-59), e mantenne una posizione di prestigio EDIFICIO PER UFFICI AD ATENE, 1958-59 PADIGLIONE DELLA BANCA NAZIONALE A SALONICCO, 1960 21 con una serie di progetti che seguono l’esempio di Mies van der Rohe ed erano caratterizzati dall’audacia delle soluzioni morfologiche e costruttive: un palazzo per uffici ad Atene, che fu il primo a sviluppare l’idea del curtain wall (1958-59), il padiglione della Banca Nazionale nel centro direzionale di Salonicco (in collaborazione con S. Vassiliou, 1960), la propria casa a Filothei (196163), e una casa di campagna ad Anavyssos (1961-63). Nello stesso periodo emergeva un altro celebre architetto, Takis Zenetos, che dopo i suoi studi in Francia aveva diretto la riconversione della vecchia fabbrica di birra Fix (1957-63). L’enorme pelle allungata di muratura e vetro con cui Zenetos coprì la precedente facciata non aveva precedenti nel paesaggio ateniese. La singolare ingenuità di Zenetos, dovuta alla sua tendenza ad affrontare ogni problema in maniera indifferente alle convenzioni, e alla sua fiducia nelle capacità delle nuove tecnologie è confermata da tutti i suoi progetti. Tra questi si distinguono l’edificio di appartamenti ad Atene con i pannelli scorrevoli in vetro verso i balconi e la casa satellite a Nea Kifissia (entrambi in collaborazione con M. Apostolidis, 1959-60), la casa di campagna a Kavouri con la sua veranda a sbalzo (1959-61), il teatro all’aperto sul Lycabetto con la sua parabolica cavea in metallo (1965-67), e la scuola secondaria a Aghios Dimitrios, con la sua disposizione circolare a corte e le profonde lame di ombreggiamento orizzontali. Gli studi di pianificazione elettronica che Zenetos elaborò tra il 1969 e il ‘73 dimostrano che egli fu l’unico architetto greco ad essersi occupato di prefigurazioni utopiche. Valsamakis e Zenetos non sono gli unici architetti di talento della prima generazione del dopoguerra. Anche altri realizzarono apprezzabili progetti, ma pochi (tra cui certamente Liapsis, Skroumbelos, Decavallas e Fatouros) proseguirono nell’attività creativa per un lungo periodo di tempo. TAKIS ZENETOS TEATRO SUL LYCABETTO, 1964-67 STUTTURE ELETTRONICHE, 1962 La stagione dei concorsi In ogni caso, si fece presto strada la seconda generazione, quella degli architetti laureati tra il 1955 e il 1965. Questi si affermarono partecipando con successo ai concorsi e organizzando il loro lavoro su solide basi professionali: molti di loro formarono dei gruppi di progettazione, e avviarono la propria attività con associati altamente qualificati. Le iniziative pubbliche più importanti di questi anni passarono per i concorsi, ma non furono quasi mai realizzate, se non alcuni anni dopo. Il primo grande concorso, nel 1957-58, fu quello per la galleria nazionale e attirò un vasto numero di partecipanti di ogni età. Il primo premio fu vinto da N. Moustopoulos, P. Mylonas e D. Fatouros, ma il progetto fu realizzato solo tra il 1966 e il ‘75, in un altro sito, sviluppato da Mylonas e Fatouros. Il concorso successivo, per il politecnico di Salonicco, andò 22 a un gruppo di architetti appena laureati (Nicos Dessylas, Dimitris Kontagyris, Antonis Lambakis, Pavlos Loukakis), ma il progetto fu poi realizzato da Karantinos, Liapsis e Skroumbelos, che avevano vinto il secondo premio. Cinque anni dopo Lipsias e Skroumbelos vinsero il primo premio al concorso per il terminal passeggeri al Pireo, che si impose per la dinamicità della copertura sospesa (1964-69). Alcuni degli architetti più giovani si distinsero in altri concorsi, e realizzarono progetti molto interessanti: la residenza studentesca a Salonicco, progettata da Dessylas, Kontagyris, Lambakis e Loukakis (1966-69); il complesso universitario di Salonicco comprendente gli uffici amministrativi, le facoltà di Legge e Teologia, di Constantinos Papaioannou e Kostas Fines (1966-67); la residenza studentesca per il politecnico di Atene, degli stessi architetti; la facoltà di Teologia dell’università di Atene, di Lazaros Kalyvitis e Yorgos Leonardos (1973-76); il museo archeologico di Chios, da Dimitris e Susanna Antonakakis e E. Goussi Dessylla (1965-72); e il palazzo di uffici per le Ferrovie Elleniche, di S. Molfessis e Th.Papayannis (2967-72). Ad eccezione degli ultimi due progetti (il museo, dove la logica tettonica di Konstantinidis è combinata con un arrangiamento libero e abbastanza pittoresco dei cortili, e il palazzo di uffici con la sua doppia parete in pannelli di vetro e gli avvolgibili di alluminio), l’influenza di Le Corbusier e del Brutalismo è riscontrabile in tutti questi progetti. nel settore privato è riscontrabile una maggiore ricchezza e varietà nell’elaborazione delle facciate. Tra questi ci sono l’ampliamento della fabbrica di tabacco Papastratos, di Nicos Kalogeras, Panos Koulermos e Spyros Amourgis (1965-68), il complesso della Hoechst Hellas di Papayannis, I. Benechoutsou e G. Pantopoulos (1970-72), l’ospedale di maternità Leto di Kiriakos e Adela Kiriakidis (1967-70), il palazzo di uffici degli stessi architetti a Kolonaki (1971-74), e quello di A. Vourekas-Petalas al Pireo (1973-75). Gli edifici di appartamenti, le case suburbane e le case di vacanza (tutte strutture in cui generalmente gli architetti hanno una maggiore libertà nell’articolazione dei volumi e più disponibilità economica), fornirono ottime opportunità per la sperimentazione. D. E S. ANTONAKAKIS, CON E. GOUSSI DESSYLLA MUSEO DI CHIOS, 1965-72 DESSYLAS/KONTAGYRIS/LAMBAKIS, RES. STUDENTESCHE,1966-69 ANDREASVOUREKAS-PETALAS, PER UFFICI AL PIREO, 1973-75 EDIFICIO KIRIAKOS E ADELA KIRIAKIDIS, EDIFICIO PER UFFICI AD ATENE, 1971-74 23 L’allontanamento dal Modernismo Dal 1965 al 1975 comparve una tendenza a prendere le distanze dagli stereotipi modernisti. Questa tendenza era dovuta sia alla volontà di tenere il passo con le correnti internazionali, sia a personali esigenze espressive. Verso la fine di questo periodo gli architetti abbandonarono sia l’ortodossia modernista sia il tradizionalismo dogmatico. L’esigenza di grecità, con i suoi fondamenti metafisici e i suoi caratteri etnocentrici, smise di essere il centro della riflessione teorica. Questo certamente non comporta un’indifferenza nei confronti della tradizione, ma si diffuse un nuovo atteggiamento nei confronti di quella, un atteggiamento più critico e di grande libertà. La ricerca degli immutabili valori greci fu sostituita da una sensibilità verso la topografia specifica, da un’attenzione alle condizioni climatiche, dall’uso di materiali locali e da un’acquisizione selettiva dal repertorio stilistico e formale della tradizione più agevolmente integrabile nei parametri dell’architettura contemporanea. L’opera di Dimitri e Susanna Antonakakis è esemplare sotto questo aspetto. Fu infatti per definire questa che A. Tzionis e L. Lefaivre introdussero l’espressione regionalismo critico, che Kenneth Frampton ha poi adottato e diffuso, attribuendogli il senso di una strategia alternativa al Modernismo, una strategia capace di esprimere sensibilità per l’ambiente e la cultura locale10. Anche quando si usava uno stile quasi vernacolare, quando il soggetto e le condizioni locali favorivano tale approccio, come nella casa di vacanza di Fatouros (1971-72), questo non rappresentava altro che la nuova libertà conquistata dagli architetti istruiti in pieno Modernismo. Dopo il 1975 questa nuova libertà favorì la penetrazione di correnti Postmodern di vario tipo dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Di certo la Grecia non contava né iniziative di pianificazione sul modello della carta d’Atene, né uno strepitoso successo dell’International Style, che avrebbero costituito le ragioni per un’adesione a posizioni contrastanti. Ciò nonostante alcuni architetti greci adottarono l’iconografia postmoderna pubblicizzata dalle riviste internazionali, in particolare quando constatarono l’attrazione da essa esercitata sui clienti. Molti dei progetti di quegli anni furono goffe applicazioni dei nuovi stereotipi formali. L’atmosfera postmoderna ha indubbiamente esercitato la sua influenza anche sugli architetti più creativi, inclusi quelli che hanno proseguito la tradizione moderna in Grecia. È proprio a questa atmosfera che si deve attribuire, almeno in parte, una più complessa sintassi spaziale, un più espressivo utilizzo di forme e materiali, e una più spiccata sensibilità per le condizioni locali, che costituiscono i caratteri della maggior parte dei progetti di questo periodo, senza considerare le particolari correnti in cui potrebbero essere classificati. Va infine considerato che questa ricerca per carattere e significato sembra essere stata spesso ispirata da una sobria assimilazione dell’insegnamento di Pikionis e Konstantinidis. Fu ancora una volta Valsamakis che riuscì a rinnovare il suo metodo mantenendo il proprio senso di misura. Due nuove case, una a Filothei (1971-73) e l’altra a Kifissia (1972-74), e una casa di ������������������������������������� Alexander Tzonis e Liane Lefaivre, The grid and the pathway; the work of Dimitris and Suzana Antonakakis, in Architecture in Greece 15. Mentre di Kenneth Frampton bisogna segnalare, oltre all’ultimo capitolo della sua Storia dell’Architettura Moderna: Prospects for a Critical Regionalism, in Perspecta 20/1983; e Towards a Critical Regionalism: six points fora n Architecture of Resistance, in The Anti-Aesthetic. Essays on Post-Moern Culture, Port Townsend 1983. 24 vacanza a Sunio (1974-76) si caratterizzano per la loro organizzazione fortemente introversa e la loro plasticità mediterranea, fatta di volumi geometrici rivestiti con intonaco bianco. Le stesse caratteristiche saranno poi espresse ancor più esplicitamente nell’hotel Amalia a Olimpia (197679). Dimitri e Susanna Antonakakis, da parte loro, sembravano preferire complesse articolazioni dello spazio, nette distinzioni tra forma e colore, e una struttura semplice in materiali molto comuni. Nella loro casa di vacanze a Oxylitos in Eubea (1973-74) e nel loro primo edificio di appartamenti ad Atene (1973-75) elaborarono una versione del tutto personale di Brutalismo greco, desunta dalla loro interpretazione non solo della lezione di Loos, Le Corbusier e Aldo van Eyck, ma anche di Pikionis e Konstantinidis. Tutti i loro progetti seguenti confermano questo impegno iniziale alla ricerca di un regionalismo critico. L’esposizione e la vista determinano i rapporti tra lo spazio interno e quello esterno, e costituiscono i punti di partenza della progettazione. Questo approccio funzionale, che deriva soprattutto dalla specificità del luogo, si esprime in maniera ancor più evidente nell’organizzazione degli NICOS VALSAMAKIS, CASA A SUNIO, 1974-76 spazi interni, la cui fluidità è regolata da griglie invisibili, ma capaci di ordinare il complesso. Si tratta di un’architettura generalmente asimmetrica poiché le volumetrie e le aperture mostrano all’esterno la complessità degli interni. I materiali impiegati sono prevalentemente cemento a vista con i segni lasciati dalle casseforme, murature rivestite d’intonaco, porte e infissi in legno, parapetti con grate metalliche o in cemento. Il modo in cui i materiali sono combinati può ricordare la tradizione greca vernacolare ma è in continuità con il Moderno, emancipato però da ogni traccia di alta tecnologia. Quella di Dimitris e Suzana Antonakakis è prima di tutto un’architettura a dimensione umana e artigianale, che richiede un impegno eccezionale nella risoluzione di articolazioni estremamente complesse. Di questo sono emblematici esempi una casa non lontana dall’Acropoli di Atene (progettata nel 1979), e una casastudio per un artista ad Aigina (progettata nel 1990). Alexandros Tombazis, un po’ più giovane degli Antonakakis e con dichiarata ammirazione del Metabolism giapponese, si segnalò con due sorprendenti strutture in cemento, la sede degli uffici della società di cementi Herakles a Lykovryssi (1972-75), e le torri di appartamenti Difros, una sorta di megastruttura a Neo Psychiko (1971-75). DIMITRIS E SUZANA ANTONAKAKIS, CASA AD ATENE, 1978-81 25 ALEXANDROS TOMBAZIS SEDE DELLA HERAKLES, LYKOVRYSSI, 1972-75 CASA DI VACANZE “ELIOS 1” A TRAPEZA, 1977-79 Tombazis realizzò anche la sede del fondo di investimenti per lo sviluppo industriale ad Atene (1973-76), con la sua elegante pannellatura di vetro. L’ingenuità tecnologica e l’intelligenza stilistica che Tombazis dimostrò poi nel corso della sua carriera, sempre sulle tracce del suo interesse primario per l’architettura bioclimatica, lo rese per certi versi il continuatore del lavoro intrapreso da Zenetos. Da questo punto di vista la casa di vacanze ad energia autonoma Helios I, che ha realizzato a Trapeza Aigialeias, nel Peloponneso (1977-78), costituisce una sorta di manifesto dell’architettura bioclimatica. I fratelli Tasso e Dimitri Biris resero esplicito fin dai loro primi progetti il loro impegno nell’elaborazione dello stile brutalista, in cui la complessità dell’articolazione spaziale era combinata con un’atmosfera costruttivista. Un esempio eloquente di questa indagine è il loro edificio polifunzionale a Galatsi (1976-77). La loro opera si rivolge secondo le loro stesse affermazioni a «un’architettura che la natura genera da se: le grotte, le rocce, la terra, le pieghe ed ogni altra traccia lasciata dall’acqua, dal vento o dal tempo. [...] Un’architettura che è “la madre di tutte le architetture”»11. Non trascurano tuttavia il fatto che «le stesse tecniche di costruzione, gli stessi linguaggi estetici si possono applicare più o meno in tutto il mondo, trascendendo i confini dei singoli luoghi»12. Il loro lavoro ha il carattere di una ricerca che avanza costantemente, riconoscendo e rispettando l’influenza dei maestri. Già agli inizi, con la casa di Ekali, progettata nel 1972 e l’edificio a tre piani a Politeia (1980), la scelta critica di una continuità tra il locale e il moderno era evidente. Essa arriva ad esprimersi in modo quasi mistico nei concorsi per due luoghi carichi di valenze storiche: il centro conferenze nel sito archeologico di Olimpia (1989, menzione) ed il Nuovo Museo dell’Acropoli (1991, secondo premio). Interessante è poi il caso della casa e ufficio progettata e costruita a Marussi da Yorgos ed Eleni Manetas tra il 1966 e il 1990. Inizialmente una semplice casa, in muratura e cemento armato, è andata evolvendosi continuamente seguendo i mutevoli bisogni degli architetti-inquilini. Forme piuttosto innovative sono state adattate ai limiti tecnologici del mercato greco affidandosi soprattutto all’alta flessibilità delle strutture in metallo. Si tratta di un vero e proprio cantiere in cui si trovano idealmente espresse sia le condizioni sociali ed economiche della Grecia che i 11 Da un’intervista di Andreas Giacumacatos a Tassos e Dimitris Biris, in Architecture in Greece 27/1993. 12 Ibidem. 26 TASSOS E DIMITRIS BIRIS CASA A EKALI, 1972-75 CASA A POLITHEIA, 1980 fattori culturali e architettonici, il tutto coordinato da una consapevole logica moderna. Molto diverso è invece il lavoro di Kyriakos Krokos, dedito anche alla pittura e cultore del neoclassicismo greco ottocentesco nella sua forma più essenziale, seguendo le tracce di Pikionis. Sebbene i suoi progetti non prevedano l’utilizzo delle moderne tecnologie, nella sua poetica si possono riscontrare evidenti segni di una logica moderna. La struttura portante dei suoi edifici è generalmente uno scheletro in cemento a vista. La natura dei materiali è immediatamente riconoscibile: i muri sono di mattoni, gli infissi di legno, i parapetti di mattoni o di metallo, le pavimentazioni e i muri dei giardini sono in pietra. Il modo in cui sono lavorate le superfici di cemento o di pietra, la cura nell’incastro dei mattoni, i dettagli pittorici riscontrabili nel metallo e nel legno e la scelta dei colori per l’intonaco costituiscono gli aspetti più notevoli dei suoi edifici. La composizione è poi arricchita da riferimenti al linguaggio del neoclassicismo greco e da reminiscenze della grande tradizione architettonica ellenistica o bizantina, senza che tuttavia diventi un collage. Il Museo della cultura bizantina, a Salonicco, che vinse il primo premio in un concorso tenutosi nel 1977, presenta forme, la cui collocazione, scelta e lavorazione dei materiali evocano una memoria architettonica persino arcaica. Gli stessi disegni di Krokos hanno questo carattere, nonostante la logica moderna della costruzione. Le case successivamente costruite a Filothei (1989) ed Ekali (1991) adattano lo stesso spirito ai particolari requisiti di un’abitazione privata. Queste rivelano una paziente ricerca delle potenzialità racchiuse anche nella materia più semplice, nobilitata grazie alle rifiniture scultoree della superficie e alla loro organizzazione. KYRIAKOS KROKOS MUSEO BIZANTINO A SALONICCO, 1977-83 CASA A EKALI, 1977-83 CASA VETTAS A FILOTHEI, 1989-91 27 MICHALIS SOUVATZIDIS CASA STUDIO AD ATENE, 2985-93 CENTRO DI ARTI VISIVE AD ATENE, 1991-97 Michalis Souvatzidis è il rappresentante più giovane della generazione che si è formata negli anni ‘60. Egli disegna semplici prismi, utilizzando materiali ordinari. Il fondamento teorico del luogo, che pure presenta numerosi riferimenti al pensiero di Konstantinidis, conduce ad una diversa, attenta, interpretazione del discorso moderno del dopoguerra. Souvatzidis parte dal Brutalismo per liberarlo dai suoi aspetti primitivi e spontanei. La sua stessa residenza-ufficio vicino al parco Attico di Atene (1985), così come il Centro delle Arti Visive, in una stretta e rumorosa via della capitale (1991), sono realizzati in una composizione di alluminio e vetro, calcestruzzo e intonaco, con dettagli che non richiamano alcuna forma storicamente riconoscibile. Le esperienze più recenti Negli anni ’70, Dimitris Issaias e Tassis Papaioannou, Andreas Kourkoulas, Maria Kokkinou e Alexandros Patsouris frequentarono tutti la Facoltà di Architettura del Politecnico di Atene, nella quale Dimitris Antonakakis e Tassos Biris insegnavano composizione. Solo due degli architetti più affermati di quella generazione studiarono all’estero: Christos Papoulias in Italia e Pantelis Nicolacopoulos negli Stati Uniti. A differenza della generazione precedente, formatasi in piena diffusione del Modernismo quando l’influenza di Dimitris Pikionis era ancora molto forte, con la seconda generazione le certezze che avevano caratterizzato la scena architettonica internazionale del periodo precedente vennero meno. Quella nuova fu un’epoca segnata dalla fine della dittatura (1974) e dall’attesa generale di un nuovo inizio. La distanza che separa le due generazioni non è dunque misurabile semplicemente in termini di tempo, riguarda un profondo cambiamento nei modi di pensare, che non si espresse in nuove forme o in nuove tendenze, ma in uno spirito d’indagine, in un’attitudine critica, in una cauta incertezza nei confronti di un’avanguardia trionfalistica. L’architettura di Dimitris Issaias e Tassis Papaioannou esprime la nuova condizione con scelte semplici. Le forme in cui la loro architettura si realizza dipendono dal tipo di edificio e dalla sua funzione, e solo in secondo piano dalla sua dimensione simbolica. In genere la logica architettonica è semplicissima: gli spazi sono organizzati in vista della vita quotidiana, i materiali e le rifiniture non sono particolarmente ricercati, per cui è sufficiente la competenza di una manodopera ordinaria. La struttura portante, in cemento a vista, è così evidente da divenire l’elemento predominante; 28 ISSIAS/PAPAIOANNOU CASA SUL MONTE PENDELI, 1989-92 CASA A RIBARI, 1992-95 parapetti, infissi, camini, applicazioni esterne, come i brises-soleil sono in metallo (in genere acciaio). L’allestimento di questi materiali impedisce di aggiungere qualsiasi elemento decorativo. Con la precisione dei materiali e l’esatta corrispondenza di funzione e costruzione vengono evidentemente riaffermati i fondamenti del Moderno. Nonostante siano assenti riferimenti regionalistici, molti aspetti sono allo stesso tempo ascrivibili ad una logica locale: l’architettura vissuta come un mestiere, la costruzione degli edifici in relazione alla vita reale e secondo le condizioni dell’edilizia greca, l’indifferenza degli architetti nei confronti delle ostentazioni avanguardistiche. La casa alle pendici del monte Pendeli, a nord di Atene, fu progettata nel 1989. Gli spazi sono distribuiti lungo due assi perpendicolari, il primo in direzione dell’ingresso principale, il secondo della vista sulla città. La combinazione delle masse e la relazione tra i vuoti e i pieni rimandano al linguaggio del Razionalismo. Progettata nel 1992, la casa a Ribari, a sud di Atene (vicino capo Sounio) è un edificio isolato in mezzo ad una natura aspra. È piuttosto distante dal mare ma offre una vista su due lati opposti: da una parte l’Egeo, dall’altra il golfo di Saronico. Gli spazi sono distribuiti lungo un ideale camminamento che taglia orizzontalmente la pendenza. La struttura portante e i muri sono di cemento a vista, sul quale sono stati lasciati i segni delle casseforme, e danno un senso conforme all’asperità dello sfondo. Andreas Kourkoulas e Maria Kokkinou, hanno realizzato una serie di edifici che esprimono un particolare interesse per le analisi tipologiche e lo studio delle componenti architettoniche, e si distinguono per il controllo delle dimensioni, l’attento inserimento nel contesto urbano o rurale, la predominanza dei materiali comuni su quelli particolari, il bilanciamento nella dimensione e nel ritmo delle aperture e la scelta di colori terrosi. Caratteristici sono gli esempi della casa di campagna sul golfo di Saronico, progettata nel 1988 come estensione di un edificio preesistente, e il grande centro civico nel sobborgo di Marussi, a nord di Atene (1992-93). Si tratta di una pratica tutta tesa a saldare gli spazi intermedi in ambienti pieni di smagliature. Alexandros Patsouris ha progettato nel 1987 un condominio nel centro di Atene, in un’area altamente edificata. L’edificio adotta in maniera critica la moderna tipologia degli edifici di appartamenti ateniesi. Patsouris adopera i materiali semplici e le normali tecniche di costruzione in una disposizione scultorea delle parti, emancipate da ogni riferimento alla grecità. Nell’architettura di Christos Papoulias un autentico simbolismo si esprime attraverso un concetto 29 KOURKOULAS/KOKKINOU CASA A LEGRENA, 1988-90 ALEXANDROS PATSOURIS POLYKATOIKIA AD ATENE 1987 trasversale di costruzione. È un modo di costruire in continuità con la natura del luogo, che potrebbe forse definirsi ctonio. Il teatro a Thisseio, progettato tra il 1995 e il 1996, è costruito nel vecchio cantiere di un falegname, un metro al disopra della città antica; il pavimento è in terra battuta, le pareti sono quelle dell’edificio precedente. La galleria d’arte nel Mercato Centrale (1995) occupa il primo piano di un’anonima sede di uffici. È un ilare e ottimistico neoplasma che si espone a tutte le contraddizioni e i paradossi cancellando ogni indizio della sua presenza dalla facciata del palazzo. La casa costruita sull’isola di Hydra è un intervento in linea con la sua visione ctonia della natura (1990), la planimetria è tratta direttamente dal terreno. Di formazione culturale e disciplinare fortemente legata all’esperienza del Movimento Moderno, la poetica di Pantelis Nicolacopoulos si distingue per il grande rigore scientifico e metodologico, e per la profonda coscienza delle regole compositive e delle tecniche costruttive. L’immaginazione dispiegata nelle sue architetture e nei suoi progetti urbani si confronta sempre criticamente con la storia dell’architettura e dei luoghi, in una lettura lucida che riflette l’opera di un architetto nel suo paese: la Grecia. Interpreta l’architettura come un sistema che, tramite delle regole geometriche, si colloca tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda. Attraverso questo codice si realizza la mediazione tra l’uomo e l’universo. Un modo per ottenere la continuità tra spazio naturale e spazio costruito è attraverso lo studio del movimento, come avviene per esempio nella casa a Kiourka, dove si incrociano due assi di percorrimento, stabilendo una chiara relazione tra ledificio e il paesaggio. Nel progetto di un’opera pubblica riesce ad ottenere la continuità non attribuendo CHRISTOS PAPOULIAS TEATRO AD ATENE, 1995-98 30 CASA A HYDRA, 1990-92 PANTELIS NICOLACOPOULOS CASA A KIOURKA, 1995 CASA A PSYCHICO, 2000-2006 la soluzione del problema urbano ad un unico edificio, ma realizzando una serie di luoghi e di costruzioni di scala minore e meglio inseriti nel contesto, come per esempio nella proposta per il nuovo museo dellacropoli. si tratta insomma di un autore che, al pari dei maestri, è capace di concentrarsi esclusivamente sugli aspetti fondamentali dellarchitettura costruzione, funzione e forma - senza ricorrere a riferimenti eterogenei. Questa chiarezza metodologica si riversa nella composizione delle sue opere, che si distinguono per larmonia delle loro forme, la naturalezza del loro inserimento nel contesto. Questi architetti rappresentano la paziente e necessariamente divergente ricerca di unarchitettura del nostro tempo, in un paese le cui radici affondano in un tempo antichissimo. È possibile riscontrare nella maggior parte dei loro progetti lintreccio tra la logica del Moderno e quella del luogo. Questi sono i due poli che hanno determinato il campo dialettico dellarchitettura contemporanea in un paese che ricopre certo una posizione intermedia ma che è fiero tanto di identificarsi nelle espressioni della cultura occidentale, quanto della propria differenza. PANTELIS NICOLACOPOULOS, CASA A TINOS, 2006 31 L’URBANISTICA IN GRECIA NEL NOVECENTO La storia della pianificazione urbana in Grecia consiste in una lunga lista di planimetrie disegnate, ma quasi mai attuate, o al limite solo parzialmente, con infiniti cambiamenti e revisioni. L’amministrazione non ha mai saputo far fronte alle gravi carenze di infrastrutture e spazi pubblici, e alle diffuse pratiche di abusivismo edilizio13, con la mancanza, tra l’altro, di un registro fondiario. Se si dovesse giudicare la situazione in termini convenzionali, la sua valutazione sarebbe senz’altro di condanna, ma una fugace esposizione dei fenomeni negativi nasconde parte della verità, dato che le città greche, quelle almeno che sono ancora oggi in crescita, si distinguono anche per la loro dinamismo e vitalità14. Persino Atene, per molti una vera e propria mostruosità, ha acquistato nel tempo dei sostenitori che sono adesso nella posizione di rivelare il suo fascino nascosto usando argomenti di diverso genere. In altre parole, tutti quelli che si riferiscono all’urbanistica in Grecia dovrebbero farlo secondo criteri non ortodossi di valutazione, che sono in contrasto con molti pregiudizi fortemente radicati sull’aspetto che dovrebbe avere una città. D’altra parte, se si allarga l’orizzonte fino ad includere il periodo di inizio secolo, si nota che la maggior parte di quelli che sono oggi considerati sintomi contemporanei erano già presenti a quel tempo ed erano causa di preoccupazioni per esperti ed opinione pubblica. Sicuramente ci sono delle differenze; forse quella più importante è quella della misura dell’intervento, molto aumentata con l’aiuto delle tecnologie moderne e l’incremento della speculazione edilizia; un’altra differenza emerge dal passaggio al consumismo della società di massa, ancora in fase germinale nella prima parte del secolo, ma ora componente decisiva nella forma e nel carattere delle città. Ciò considerato, riesaminare il piano urbanistico delle città greche del Novecento ha senso solo rivolgendosi principalmente alle caratteristiche di lunga durata, senza badare a possibili divergenze o deviazioni. Il senso di continuità precedeva infatti il periodo considerato: il passaggio dall’Ottocento al Novecento non fu accompagnato da alcun particolare cambiamento nell’assetto territoriale greco, la cui pianificazione continuò ad aderire saldamente alla posizione di sempre, quella di stare al passo con gli sviluppi dell’Europa occidentale. I primi tentativi di pianificazione Come i Balcani e gli altri stati mediterranei dell’est, la Grecia orientò le proprie speranze sui piani meraviglia realizzati da esperti stranieri su commissione del governo, come quelli di Ludwig Wagner nel 1908 e di Thomas Mawson nel 1914. Il pretesto, nel caso della Grecia andò oltre l’europeizzazione; emerse anche dalla Grande Idea di ricostituire l’impero bizantino con 13 Esempio lampante di questo fenomeno è stata la sistematica distruzione, con incendi dolosi, di aree forestali dove è vietato costruire, come nel caso del grande incendio del 1995 al Monte Pendeli. 14 Il sistema delle città greche è stato in costante cambiamento fin dalla fondazione del moderno stato greco, in linea con gli assestamenti economici e geopolitici. 32 ERNST HEBRARD, RICOSTRUZIONE DELL’AREA CENTRALE DI SALONICCO, 1917 Costantinopoli al centro. Per questa ragione, Atene fu progettata per essere la capitale non di un semplice stato, ma di un vero e proprio impero, sulla linea delle altre capitali colonialistiche europee15. A differenza dell’Ottocento, che vide la creazione di nuove città, i nuovi piani del Novecento furono rivolti esclusivamente ai grandi centri urbani, soprattutto Atene, e poi anche Salonicco, la cui incorporazione nello Stato greco al tempo della Guerra dei Balcani fu accompagnata da un incendio che ne distrusse il centro (1917). Così Salonicco ebbe un nuovo centro disegnato dal rinomato urbanista Ernst Hébrard (1918-21)16, mentre Atene già all’epoca si rivolgeva verso sogni grandiosi e irrealizzabili. In seguito alla guerra greco turca, a partire dal 1922, la popolazione di Atene è decuplicata. Oltre a questo, durante il THOMAS MAWSON, PIANO DI SVILUPPO PER ATENE, 1914 RISTRIBUZIONE DEI RIFUGIATI DEL ’22 NELL’AREA DI ATENE COMITATO KALLIGAS, PIANO PER ATENE, 1924 15 Questo fu probabilmente lo spirito cui Atene deve la realizzazione dei nuovi edifici monumentali (come la Trilogia Neoclassica), dei grandi assi (come Vassilis Sofia), e delle piazze principali (come Omonia e Syntagma), tutti derivati dai modelli europei. 16 Il progetto di Hebrard per Salonicco rappresenta un caso unico nella storia delle pianificazioni in Grecia. In nessun altro caso interventi di quella portata poterono infatti progredire. 33 periodo tra le Guerre, si verificò una grande affluenza di rifugiati nei maggiori centri urbani della Grecia in seguito ad agitazioni politiche, spesso violente, in luoghi abitati da comunità greche, dalla Russia all’Asia Minore. L’ultimo sforzo consapevole di organizzare il disegno urbano di Atene fu portato avanti dal cosiddetto comitato Kalligas, nel quale Hébrard giocò ancora una volta un ruolo principale al fianco di Petros Kalligas. Il comitato lavorò per un lungo periodo, dal 1919 al 1924, ma non fu in grado di incidere in modo decisivo sullo sviluppo della città. Bisogna pure notare che lo stesso Primo Ministro Eleftherios Venizelos, un politico con una chiara inclinazione per la modernizzazione, prese parte attiva nelle problematiche dell’urbanistica: fu responsabile della conversione del vecchio Palazzo Reale in edificio del Parlamento, con la parallela costruzione del Monumento al Milite Ignoto ai suoi piedi (1929) e l’imponente Corte di Giustizia su progetto di Alexandros Nikoloudis (1928-31) vicino l’acropoli. Tutte le proposte dei primi due decenni del secolo avevano in comune la caratteristica di integrare un modello chiaramente riconoscibile di organizzare lo spazio urbano con la mappa amorfa degli insediamenti disordinati, ed erano basate su presupposti di organizzazione omogenea e valorizzazione monumentale correnti a quel tempo. Vennero predisposte reti stradali più consistenti, e individuate le localizzazioni per nuovi centri direzionali. Le proposte si occuparono anche di dare risalto ai monumenti antichi e bizantini, che erano generalmente sparsi nel tessuto urbano17. Mentre questi progetti ambiziosi rappresentavano un desiderio collettivo di modernizzazione, in pratica le città crescevano con l’applicazione di meccanismi del tutto reali. Il ruolo principale fu giocato dalla speculazione privata dei terreni, che determinò il mercato delle locazioni e il grado di edificazione (grande quantità e bassa qualità). Perciò lo stato di necessità si allineò ad una situazione che stava già prendendo forma, e nuove aree edificabili vennero incluse nel piano cittadino, attraverso un disegno stradale correttivo. In pratica, il piano regolatore fu il risultato di ampliamenti successivi, che chiaramente portava i segni di discontinuità progettuale. Per non minacciare gli interessi dei proprietari terrieri, i tracciati stradali di estensione del piano furono rudimentali, le strade le piazze più piccole possibile, raramente furono previste parchi o altri servizi pubblici. Eroiche visioni sulla scia del IV Congresso CIAM (Atene 1933) Negli anni Trenta, con la larga diffusione del Movimento Moderno, si riaccesero le speranze di riforma delle città greche. Tale intento fu espresso durante il IV Congresso CIAM , tenutosi ad Atene nel 1933, e in pubblicazioni parallele18, ma senza avere riscontri reali. Le uniche realizzazioni del Movimento Moderno su ampia scala furono i numerosi gruppi di edifici scolastici ed ospedalieri costruiti in tutta la Grecia, mentre progetti più grandi, come quelli di Nikos Mitsakis per l’Università 17 Sono interessanti a questo proposito gli articoli di N. Kalogirou (in Architecture in Greece 24/1990), e di G.T. Koutopis (in Architecture in Greece 28/1994). 18 S. Papadaki, in Technica Chronika 31/1933. 34 di Salonicco, rimasero irrealizzati. Stesso destino incontrarono le proposte dell’urbanista Martin Wagner, il quale, invitato a parlare del Progetto Atene nel 193519, affermò la necessità di costituire un’organizzazione per finanziare i progetti in questione. Di fronte all’inutilità di promuovere piani grandiosi ma irrealizzabili, si dovettero trovare altre modalità più attuabili di soddisfare le esigenze più urgenti, prima fra tutte la domanda di alloggi. La causa dell’aumento improvviso di questa esigenza durante il periodo tra le Guerre fu l’affluenza di rifugiati nei maggiori centri urbani della Grecia, in seguito ad agitazioni politiche, spesso violente, in luoghi abitati da comunità greche, dalla Russia all’Asia Minore. Gli sforzi compiuti per ovviare alla crescente esigenza di alloggi si rivelarono comunque insufficienti a rispondere alla domanda popolare; di conseguenza, la costruzione abusiva (pratica già diffusa nell’Ottocento) assunse enormi proporzioni, estendendo (spesso in luoghi abbandonati ed inadatti come in letti di fiume o in pendii scoscesi) la struttura del tessuto urbano con i campi di fortuna creati per ricoverare i profughi. In seguito questi quartieri divennero la dimora di nuove ondate di coloni che sfuggivano dai combattimenti della guerra civile (1946-49) o si trasferivano nelle città durante la definitiva ondata di inurbamento in Grecia. In quest’ultimo caso la costruzione abusiva portò alla formazione di vaste espansioni urbane PIANO PER PSYCHICO, 1923 PIANO PER EKALI, 1922 KOSTAS BIRIS, PIANO DI RICOSTRUZIONE PER LA CAPITALE, 1945 ���������������� M. Wagner, in Technica Chronika 98/1936. 35 ad ovest di Atene, vicino alla zona industriale lungo il fiume Kifissos. Ciò causò una netta divisione socio-economica nella popolazione della capitale greca, che non è stata ancora del tutto attenuata dal passare del tempo. Naturalmente i successivi programmi della Municipalità di Atene per ristrutturare il tessuto urbano inclusero l’integrazione di Atene Ovest (carente di ogni servizio pubblico) con i nuclei centrali della città, attraverso un parco che toccava i principali siti archeologici20. Più tardi questa idea prese forma nella proposta del Ministero della Cultura, di unificare i siti archeologici di Atene. L’idea di una riforma generale della città non fu mai abbandonata, nemmeno nei periodi bui dell’occupazione tedesca (1941-44). Ne è una prova l’audace visione di Kostas Biris per la riorganizzazione di Atene (1945). Era previsto un Parco Atene, che avrebbe ampliato la zona di scavi intorno all’Acropoli congiungendola con l’Accademia di Platone, mentre il centro amministrativo della città sarebbe stato spostato in una città satellite vicino Megara. In pratica si dimostrò impossibile anche solo costruire ed ampliare gli assi stradali necessari, poichè nel frattempo, con la costruzione degli edifici di appartamenti, aumentava notevolmente la densità edilizia. Anche le proposte di Dimitris Pikionis, negli anni Quaranta, per Nea Peramos (Eleusi) ed Aixoni (Glyfada) si rivelarono ugualmente irrealizzabili, come anche i suoi progetti per Rodi nel 1946. La pianificazione dal Dopoguerra agli anni Settanta Solo gravi disastri naturali come incendi o terremoti furono in grado di creare, almeno potenzialmente occasioni per una radicale riorganizzazione del tessuto urbano delle città greche. Un caso significativo fu quello di Santorini, dove, dopo il devastante terremoto del 1956, furono ampliati paesi con edifici di residenziali e servizi pubblici e fu realizzato per intero un nuovo centro a Kamari21. Il progetto fu una combinazione di successo dei principi del movimento Moderno con adattamenti ai modelli morfologici e tipologici locali. Più recentemente un caso simile fu quello di Kalamata danneggiata dal terremoto del 1986, ristrutturata con progetti a lungo termine realizzati da Grigoris Diamantopoulos. Solo dopo la Guerra divenne oggetto di interesse per gli esperti e per la pubblica amministrazione il problema del traffico. Da questa preoccupazione derivarono, già nel 1945, varie proposte sulla costruzione di strade e schemi di ampliamento sulla base di un preciso disegno urbano, prima con l’ampliamento della metro (K. Biris, 1953) e poi con la proposta di regolamentazione del traffico (W. Smith 1963). Di conseguenza il disegno oscillava tra il tentativo disperato di continuare con una pianificazione globale, come proposto dal ministero dei lavori pubblici nei suoi vari Piani della Città, e le puntuali proposte correttive. Nel 1960 furono presentati due progetti per l’ubicazione di un nuovo centro cittadino: uno lungo l’autostrada Kifissos ad opera di Constantinos Doxiadis, e l’altro al Phaliron Delta per mano di George Candilis22. 20 Municipalità di Atene, Athina, Protasi ghia anabathmisi tou kentrou. Strtikes parenvaseis. 21 Decavallas e altri, Architektoniki 45 e 46/1964. Lavvas e Condaratos in Architecture in Greece 6/1972. 22 È singolare che tale progetto fu inserito nell’offerta per la candidatura di Atene ai Giochi Olimpici del 1996 36 La pianificazione a vasta scala si risolse in un fallimento anche con l’occasione, durante gli anni Sessanta, di una nuova stagione ricca di proposte di organizzazione per vari centri urbani e aree turistiche23. D’altra parte lo sfruttamento del territorio urbano continuava ad aumentare costantemente. Il graduale aumento della densità edilizia e delle volumetrie fabbricabili consentite portarono, poco a poco, ad una situazione d’intasamento, almeno per quanto riguarda le zone centrali delle città. Mentre inizialmente tale fenomeno si verificò solo nei grandi centri urbani, le nuove disposizioni legislative introdotte durante i sette anni di dittatura (1967-74), consentendo un significativo incremento degli indici di fabbricabilità, diffusero quello che si potrebbe chiamare modello ateniese all’intero paese, producendo irreparabili danni nei piccoli centri e nelle aree rurali, che fino a quel momento erano rimaste relativamente incontaminate e che così venivano soffocate da insediamenti industriali o turistici (ad esempio la speculazione incontrollata di isole come Mikonos, Corfù e Rodi). Nuove restrizioni all’edificazione furono introdotte in Grecia alla fine degli anni Settanta, mentre si cominciava anche a investire nello sviluppo di aree d’interesse storico, come le fortezze di Akronauplia, Pylos e Avlida. Durante gi anni Ottanta venne introdotta una regolamentazione volta a preservare l’ambiente naturale, la quale non riuscì comunque ad evitare il costante aumento della diffusione edilizia in aree suburbane e la devastazione di paesaggi di unica bellezza. CONSTANTINOS DOXIADIS, PIANO STRATEGICO PER L’AREA DI ATENE, 1960 TAKIS ZENETOS, SVILUPPO TURISTICO A PLAKIA, 1966 RIQUALIFICAZIONE DEL CENTRO DI ATENE, 1979 23 La successiva ondata di commissioni per la pianificazione di insediamenti a varie scale fu avviata dal Ministero dell’Ambiente e dei Lavori Pubblici negli anni Ottanta. 37 Il ridimensionamento del disegno urbano negli ultimi trent’anni Data l’impossibilità di successo nell’applicazione di piani regolatori generali, l’urbanistica greca si rivolse ad interventi di scala minore, in particolare al recupero di zone malandate. Il primo progetto di questo tipo, e forse il solo perfettamente riuscito, fu il rinnovamento della Placa, il centro storico di Atene, tra il 1973 e il 197824. I fattori chiave nella sistemazione dell’area furono il vincolo, per ogni isolato, ad ottenere i permessi per l’utilizzo del terreno e l’abolizione del traffico automobilistico da buona parte delle strade25. Seguirono simili progetti di recupero per altre parti del centro (Thiseio, Metaxourgeio e Psyrri), ma senza probabilmente la dovuta completezza. In maniera simile un programma di conservazione e rinnovamento fu applicato al centro storico di Salonicco, ed era basato principalmente sul controllo degli indici edilizi e sulla disposizione di regolamenti riguardanti l’aspetto degli edifici di nuova costruzione, i quali furono aspramente criticati perché volti all’imitazione delle forme tradizionali. Tale politica di conservazione ricevette nuovi impulsi a partire dal 1975, anno europeo del patrimonio architettonico, i quali presero forma in un programma di risanamento degli edifici del centro storico di Atene e successivamente di molte altre città storiche. Tale campagna conservativa non ebbe naturalmente sempre lo stesso successo, cadendo spesso vittima dell’incontrollata speculazione turistica. Gli interventi meglio riusciti furono senzaltro quelli di cui fu responsabile la sovrintendenza archeologica (come nel caso di Hydra, Patmos, Monemvasia), mentre quelli attuati dal Ministero dell’Ambiente e dei Lavori Pubblici furono assai meno efficaci. Tuttavia negli ultimi due decenni c’è sempre stata una latente contraddizione tra la tendenza a conservare i beni storici e quella volta al loro utilizzo26. In questo senso sono di particolare interesse gli esperimenti di Rodi e Rethymno, derivati da un accordo di programma tra le municipalità e la sovrintendenza archeologica, che hanno attuato il recupero nel senso di ristrutturazione e riuso degli edifici antichi. Nonostante i recenti impegni nella decentralizzazione, l’interesse, anche negli anni più recenti, è stato catalizzato dai due maggiori centri, Atene e Salonicco. A quest’ultima il 1997, anno in cui era città capitale della cultura europea, offrì l’occasione di realizzare un gran numero di attrezzature culturali, emancipandola dalla situazione di inferiorità rispetto alla capitale. Mentre ad Atene la realizzazione di una serie di grandi progetti, come il potenziamento dell’aeroporto, l’autostrada Stavros-Eleusi, l’ampliamento della rete metropolitana e l’unificazione dei siti archeologici, ha ricevuto un ulteriore impulso dall’evento dei Giochi Olimpici del 2004, mentre gli sforzi per migliorare il centro stanno ancora continuando. Esemplare in questo senso è il 24 Il gruppo di progettisti fu diretto da Dionysis Zivas. Contemporaneamente il Ministero della Cultura promosse un programma di restauro degli edifici della Plaka con a capo Iordanis Dimakapoulos. Il progetto della Plaka ha ricevuto il premio Europa Nostra nel 1982. 25 La prima zona pedonale in Grecia fu in una parte di Voucourestiou nel 1979. L’esperimento ebbe talmente successo che stimolò simili progetti nella stessa Atene ed in altre città. Il più grande attuato di recente è quello di Ermou, nella zona commerciale di Atene, del 1997. 26 Questi problemi si imposero a Salonicco tra il 93 e il 94 in occasione di due controversie assai dibattute sul riuso della fortezza Eptapyrgio/Genti-Koule, e sul parcheggio sotterraneo in piazza Diikitiriou dopo il ritrovamento di reperti archeologici durante gli scavi. 38 progetto di riqualificazione del triangolo commerciale ad Atene (Athinas/Ermou/Stadiou) diretto da Anastasios Aravantinos. In ogni caso, come in tutti i precedenti, le uniche operazioni riuscite furono i progetti direttamente collegati all’imprenditoria privata che hanno introdotto nuove pratiche e nuovi usi nella vita della città. In particolare il distretto Ladadika e il Milos Centre a Salonicco, e i distretti Psyrri e Gazi ad Atene, creando nuovi poli ricreativi e teatrali, sono emblematici sintomi del dinamismo delle città greche. D’altra parte, sebbene i recenti concorsi di risanamento per le aree urbane, specialmente a Salonicco, hanno spesso proposto progetti di alta qualità, le rispettive realizzazioni, quando attuate dagli enti pubblici, sono state di basso profilo. 39 L’EDILIZIA RESIDENZIALE IN GRECIA NEL NOVECENTO La diffusione degli appartamenti Già dopo la seconda guerra mondiale Ilias Iliou si riferisce con ammirazione al nuovo coraggioso mondo dei blocchi d’appartamenti in un testo intitolato In praises of boxes. Secondo un studio sulle abitazioni pubblicato dalla TEE (Consiglio per lo sviluppo tecnico in Grecia) nel 1981 “la forma dell’appartamento in un edificio multipiano è diventata il modello più diffuso per l’abitazione. Anche nelle case unifamiliari o nelle aree rurali si ripete la disposizione del tipico appartamento urbano’, una disposizione nella quale “il futuro residente è del tutto generico e impersonale”. L’introduzione a questo testo definisce la casa come il nucleo che determina, forse più di ogni altro parametro, la condizione di una cultura nazionale. La storia delle abitazioni in Grecia è in gran parte la storia della diffusione degli appartamenti nelle città. Ciò denota la transizione dal concetto qualitativo di kat-oikìa (casa da abitare) a quello quantitativo di dia-merisma (appartamento da dividere). Ricopre naturalmente grande importanza anche la continua produzione di case unifamiliari, ma si può affermare che su ampia scala le città di case siano state semplicemente trasformate in agglomerati di blocchi di appartamenti. Atene e l’Attica, dove si concentra circa metà della popolazione, rappresentano certamente il caso più esemplare di questo fenomeno. Attualmente l’appartamento è la tipologia abitativa più comune non solo nei centri urbani principali, ma anche nelle piccole città di provincia. Fu logicamente l’affluenza nelle città e la conseguente esigenza di abitazioni a favorire, nel corso del XX secolo, lo sviluppo di questa tipologia. In seguito alla guerra greco turca, a partire dal 1922, la popolazione di Atene è decuplicata. Oltre a questo, durante il periodo tra le Guerre, si verificò una grande affluenza di rifugiati nei maggiori centri urbani della Grecia in seguito ad agitazioni politiche, spesso violente, in luoghi abitati da comunità greche, dalla Russia all’Asia Minore. A partire da questo periodo la ricostruzione del paese è stata una questione urgente al fine di collocare centinaia di migliaia di persone che erano affluite nelle città dalle campagne. Questo improvviso aumento dell’esigenza di alloggi diede allo stato la sua prima occasione di applicare un meccanismo di costruzioni sovvenzionate, fornendo innanzitutto alloggio ai rifugiati e poi, dopo la guerra, alle famiglie della classe operaia. Le prime case di questo tipo, realizzate anche grazie al sostegno delle organizzazioni internazionali, furono eseguite sulla base di disegni importati dai paesi più avanzati, ma verso la fine di questo periodo gli stessi architetti greci cominciarono a concepire progetti in linea con il linguaggio Moderno. Contemporaneamente alla realizzazione di edifici sovvenzionati all’interno della città, lo stato incoraggiò anche la costruzione di alloggi a finanziamento privato nelle periferie, sulla base di piani prestabiliti, come a Nea Smyrni. Allo stesso tempo furono realizzati anche quartieri, sempre in periferia, per residenti di classe medio-alta, come Ilioupoli, Holargos, Psychiko. 40 Il sistema privato dell’antiparoche Il caso della Grecia è unico in Europa perché circa tutta la produzione di abitazioni è stata fin dall’inizio nelle mani del settore privato. Solo poche case sono state costruite dallo Stato durante il periodo tra le due guerre, per rispondere alle necessità dei rifugiati, e dopo la guerra sotto forma di blocchi di appartamenti costruiti dall’OEK (l’istituto autonomo per le case popolari). Nella seconda metà del secolo le richieste di abitazioni dei Greci sono state risolte con un sistema noto come antiparoche (scambio): una famiglia era invitata a cambiare la propria terra o la propria casa per due, tre o più appartamenti di un edificio da costruire sullo stesso terreno, mentre il costruttore, ottenuto il terreno senza bisogno di comprarlo, poteva investire i propri fondi esclusivamente nella costruzione dell’edificio. Inoltre, egli avrebbe potuto vendere in anticipo gli appartamenti col progetto preliminare, minimizzando i rischi dell’investimento. In tali condizioni, l’edificio residenziale ha cominciato a seguire delle direttive chiaramente commerciali, spesso a discapito della sua qualità abitativa. La maggior parte dell’ambiente edificato, ad Atene come nelle altre città, non ha mai beneficiato di una pianificazione, nonostante fosse stata promessa in varie occasioni. La città è diventata un vero e proprio agglomerato di singole fabbriche abitative senza alcun disegno generale e con seri problemi infrastrutturali. Ciò ha però determinato anche alcuni aspetti positivi, come l’assenza di una rigida zonizzazione; per cui la costante presenza di una commistione di attività sia in centro che in periferia dona alle città greche un’aria molto più socievole. L’architettura delle prime residenze di massa I primi condomini apparvero nei primi del Novecento come esempi di un genere allora definito palazzo multipiano, quali ad esempio quelli di Ernst Ziller, ma la loro vera diffusione si ebbe nel periodo tra le due Guerre e specialmente negli anni Trenta. La parola usata per indicarli, polykatoikia (molte abitazioni), fu coniata da Kyprianos Biris, e si trattava di un tipo di costruzione rivolto alla classe media ateniese. Intorno al 1920, la Grecia oscillava tra il Classicismo Ellenocentrico, di Anastasios Metaxas, e l’eclettismo con influenze dell’Art Nuveau e della Secessione, di Vasileios Tsagris. Nel 1921 i primi architetti greci si laurearono al Politecnico di Atene (fondato nel 1917), trovando il loro spazio nella professione accanto ai veterani che avevano studiato prevalentemente a Monaco o Parigi. In questo periodo l’arrivo di un approccio diverso fu preannunciato nel lavoro di Emmanouil Kriezis, Aristotelis Zachos e Dimitris Pikionis. Nel 1922 arrivò l’umiliante sconfitta nella guerra con la Turchia, causata dalla grandiosa idea di espandere la nazione e dal tentativo di includere Smirne nel territorio greco. A causa di questa catastrofe, la Grecia fu inondata di profughi (oltre un milione dei quali solo nell’agosto del 1922, di cui oltre duecentomila si stabilirono ad Atene e nel Pireo), emigranti costretti a rientrare. Tali accadimenti ebbero naturalmente un impatto diretto sulla diffusione degli edifici 41 KOSTAS KITSIKIS , ALOPEKIS, ATENE (1930-33) VALENTIS/MICHAILIDIS, ZAIMI, ATENE (1933-34) multipiano. Nei primi anni Venti furono introdotte misure legislative che determinarono l’altezza massima consentita per le nuove costruzioni, e posero dei vicoli sia per la morfologia esterna che per gli spazi interni; ad esempio la realizzazione di sporgenze (erker) oltre il limite del lotto, che era ancora permessa fino a 1,40 metri nel 1923, fu riveduta nel 1937 da Kostas Kitsikis, che le ridusse a 40 centimetri. Avvenne inoltre, a partire dal 1922, la conversione dei palazzi di due-tre piani in condomini di più piani con ascensore, spesso ad opera di architetti molto qualificati, come N. Nikoloudis, Dimitris Fotiadis, Kostas Kitsikis, Kyriakos Kyriakidis e Kyprianos Biris. Nel 1929 il nuovo regolamento edilizio introduceva una serie di altre misure che riguardavano gli edifici di appartamenti (come la realizazione di cortili interni), ma sfortunatamente non furono mai messe in pratica. La grande attività edilizia di quegli anni costituì l’occasione per il Modernismo di prendere piede sulla scena architettonica greca con l’utilizzo del sistema costruttivo a scheletro portante in cemento armato (domino) e con l’adesione formale alle semplici volumetrie prismatiche. I palazzi d’abitazione disegnati da Constantinos Kyriakidis, Georgios Kontoleon, Kyriakos Panayotakos, Thoukydidis Valentis e Polyvios Michailidis, Rennos Koutsouris, Angelos Siagas e Vasileios Douras sono caratteristici del periodo. Sullo sfondo di questa ondata di moderni edifici residenziali, la proposta di Dimitris Pikionis è un’interessante parentesi. Pikionis, che aveva lavorato con Nikos Mitsakis, è tornato alla LASKARIS/KYRIAKOS QUARTIERE ALEXANDRAS, ATENE (1933-35) 42 ALLOGGI PER I PROFUGHI, ATENE (1933-35) tradizione locale, come dimostra il su palazzo di appartamenti ad Atene (1935), in cui i riferimenti all’architettura tradizionale macedone fanno presagire gli sviluppi successivi della sua poetica. Anche Salonicco, il centro cosmopolita del nord della Grecia (molto più in contatto con il resto d’Europa), ha aderito al Modernismo oltre a proporre interessanti ed eclettiche variazioni sulla falsariga dell’Art Deco europea. Gli edifici realizzati da Valentis e Michailidis assomigliano ai progetti del Razionalismo italiano per l’interpretazione della logica costruttiva moderna. Per gli architetti di quel tempo i condomini hanno rappresentato una modalità nuova, più civilizzata e urbana, di alloggio. Durante questo periodo, lo stato fece sentire la sua presenza solo nella costruzione di 127 complessi residenziali sovvenzionati pubblicamente, realizzati in due fasi: dal 1934 al 1936 e dal 1936 al 1939. Tali progetti, detti blocchi dei rifugiati, hanno in genere tre piani, con scale e lavanderia in comune (sul tetto o nel seminterrato), con una superficie minima all’interno (appartamenti di 2030 metri quadrati). Dimitris Kyriakos e Kimon Laskaris furono gli architetti della maggior parte di questi complessi, situati tra uno e quattro chilometri di distanza dal centro di Atene. Esemplare è il complesso di Alexandras nella periferia di Atene da loro realizzato. Si deve tenere presente che questi edifici furono costruiti in un periodo di crisi. Sebbene il paese fosse relativamente calmo durante l’amministrazione di Eleftherios Venizelos dal 1928 al 1932, l’ultimo anno vide la Grecia dichiarare bancarotta e il 1936 fu testimone della dittaura di Ioannis Metaxas, che durò fino allo scoppio della guerra nel 1940. Come in quasi tutti gli altri paesi europei durante le ostilità le attività di costruzione furono sospese. Oltretutto in Grecia la sospensione si protrasse di altri cinque anni a causa della terribile guerra civile che sconvolse il paese tra il 1946 e il 1949. Lo sviluppo delle tipologie residenziali dal Dopoguerra agli anni Settanta Nei primi anni Cinquanta ci fu un tentativo di dotare il moderno condominio urbano di una forma pura e moderna, come reazione definitiva all’ecletticismo conservativo di Kostas Kitsikis, Kostantinos Kapsambelis ed Emmanouil Vourekas. Il nuovo approccio espresse il suo carattere programmatico direttamente e senza fronzoli ornamentali. Persino all’inizio della carriera dei più importanti architetti del periodo (Aris Konstantinidis, Takis Zenetos e Nicos Valsamakis) troviamo progetti che, in modi diversi, vanno nella stessa direzione: quella della ricerca di una soluzione tipologica generale. Aris Kostantinidis ha tradotto nel modo più appropriato il tentativo di “un’organizzazione costruttiva capace di essere applicata come modello, sempre lo stesso o con varianti simili, in tutti i casi e per tutti gli edifici”; e inoltre che fosse “anche un modello di organizzazione funzionale di ogni progetto di architettura, come se tale assetto funzionale fosse indirizzato ad un progetto ideale; un modello architettonico, capace di rendere gli stessi spazi adatti ad usi diversi secondo le circostanze o la necessità”. Tra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta Konstantinidis ha disegnato una serie di importanti progetti residenziali, sia case unifamiliari per clienti benestanti, sia, durante 43 il periodo 1955-57 in cui fu a capo dell’OEK (l’istituto autonomo per le case popolari), abitazioni collettive per famiglie a basso reddito. Questi ultimi progetti, a Filothei, Rentis e Nea Philadelphia (Atene), rappresentano un nuovo modello di blocchi di appartamenti in cui la struttura portante in cemento armato si distingue nei colori e nella plasticità dai muri di riempimento e dagli infissi allo scopo di evidenziare la loro diversa natura. Le strutture impiegate in verande e parapetti spiccano come un’uniforme maglia di delicati elementi metallici; la composizione è sempre organizzata secondo griglie rettangolari. L’obiettivo della flessibilità era per lui una reale necessità; il modello e la griglia non erano nient’altro che strumenti che permettevano una innumerevole serie di variazioni. Le abitazioni si assomigliavano tutte per il semplice fatto di svolgere tutte la stessa funzione di contenitori di vita, e divergevano nei dettagli, proprio come le persone si assomigliano e differiscono le une dalle altre. Ma fino a che punto la soluzione del modello è in grado di permettere tali variazioni e diversificazioni? Takis Zenetos pensava che “l’ideale sarebbe stato dividere lo spazio in una magli ordinata secondo una norma stabilita, all’interno della quale sarebbero state posizionate strutture standard riempite di materiali diversi a seconda delle circostanze e le preferenze dei residenti. Questo sistema avrebbe permesso continui adeguamenti all’evoluzione dei materiali degli scopi per cui erano stati costruiti”. Zenetos replicò alla critica incalzante contro l’architettura moderna che la standardizzazione dei componenti e la ripetizione delle forme portava alla monotonia, argomentando che “lì c’è un obiettivo di varietà, alternanza ed evoluzione, e invece di reagire all’architettura come arte, si dovrebbe ricercare un nuovo potenziale per flessibilità e libertà che diano la forma soddisfacente che cerchiamo”. L’architettura di Zenetos, di alta qualità estetica e tecnologica era tesa a portare, attraverso un avanzato sistema costruttivo, a soluzioni tipiche flessibili al cambiamento e all’adattamento, senza rovinare l’immagine dell’insieme. L’idea base della sua polikatoikia nel centro di Atene (1959) fu, come recita una didascalia scritta dall’architetto: “Dividere lo spazio con una griglia di guide per tramezzi scorrevoli o fissi di vario tipo: opaco, semitrasparente, trasparente, illuminante, riscaldante, ecc., con proprietà isolanti oppure no. Standardizzazione, industrializzazione, flessibilità, e variazione della monotonia dell’attuale impiego dell’industria edilizia”. In questo, come in altri complessi sempre ad Atene e in periferia (Psychiko), Zenetos raggiunse un caratteristico tipo di espressione formale. I piani superiori non sono altro che lastre orizzontali impilate l’una sull’altra senza un visibile sostegno, dato che la struttura della costruzione è arretrata rispetto alla facciata di vetro e appare solo al piano pilotis nel basamento. Forse la più caratteristica e tipica forma, quella che costituirà poi un costante riferimento nell’evoluzione blocco d’appartamenti ateniese, è data dal progetto di Nicos Valsamakis giovanissimo (1953) nel centro di Atene. Ci sono impressionanti somiglianze tra questo edificio o quelli che egli stesso disegnò successivamente sempre ad Atene e i progetti dell’architettura del Razionalismo italiano degli anni Trenta. Si possono riscontrare somiglianze anche con gli edifici di appartamenti dell’avanguardia greca degli anni Trenta, come quelli di Thoukydidis Valentis e Polyvios Michailidis o Vasileios Douras. Secondo lo stesso Valsamakis, ciò in cui si era impegnato era “un tentativo di rivitalizzare le facciate dei blocchi di appartamenti”. Inoltre nel suo lavoro 44 già si prefiguarava un’attenzione a nuovi sistemi per la protezione dal sole. Tali considerazioni portarono Valsamakis all’adozione della doppia facciata: quella reale dell’edificio, con materiali scuri e nascosti e una sporgente, separata dalla prima dalla profondità dei balconi, come una grata bianca rettangolare sospesa per quattro piani d’altezza. Questa sembra la facciata di un volume appoggiato sopra un basamento rientrante costruito in pietra, il piano terra. Qui le colonne portanti di cemento spiccano dalla muratura. In questo modo, l’ardita composizione comporta la completa astrazione della griglia dalla sua funzione strutturale. Non è una coincidenza che per gli architetti greci del Dopoguerra la purezza formale del blocco di appartamenti di Valsamakis sembri condensare la quintessenza del Razionalismo greco. Fu un punto di riferimento per le generazioni future, un modello che fu poi applicato in una grande quantità di variazioni, prima nella costruzione di edifici contigui del centro della città, e poi nei blocchi isolati della periferia, con i loro pilotis aperti. Durante il primo decennio post bellico, molti illustri architetti (Constantinos Decavallas, Doxiadis Associates, Ioannis Koustis, Kostas Gartzos, Anastasia Tzakou, Yorgos ed Eleni Manetas, e molti altri) disegnarono importanti progetti basati sui concetti spiegati prima. La predominanza della griglia, del prisma rettangolare, l’assenza di applicazioni decorative, l’abbondante luce che inonda le stanze, la distinzione tra elementi portanti e portati, le piante essenziali e ben organizzate e la purezza delle forme sono gli aspetti caratteristici di questi progetti. Essi si rifanno ad una logica moderna ed astratta, con evidenti riferimenti alle composizioni del movimento de Stijl e ai progetti di Le Corbusier, Mies van der Rohe e del Razionalismo Italiano, combinati con successo con i materiali, tecniche costruttive e condizioni climatiche locali. Gli schemi dell’ alloggio sociale del dopo-guerra furono realizzati più ampiamente negli anni Sessanta. Ad ogni modo, progetti di edilizia sovvenzionata continuarono ad essere rarissimi in Grecia, e gli edifici privati ebbero sempre un ruolo predominante. La difficoltà di ottenere fondi per la costruzione di condomini fu risolta dal sistema NICOS VALSAMAKIS SEMITELOU, ATENE (1951-53) PAPAILIOPOULOS/SPANOS HARA, ATENE (1959-61) ARGYROPOULOS/DECAVALLAS ATENE (1960-62) 45 imprenditoriale dell’antiparochi (o quid pro quo), attraverso il quale il proprietario del sito in cui era costruito il blocco riceveva un certo numero di appartamenti finiti in cambio della terra. Il blocco di appartamenti di Thalis Argyropoulos e Constantinos Decavallas al Lycabetto (1960), che si affaccia su tre strade, è una delle prime interessanti elaborazioni della sintassi del blocco di appartamenti urbano, applicato ad un luogo con particolari caratteristiche di pendenza e orientamento. Allo stesso modo, i blocchi di appartamenti della Environmental Design Company ( Andreas Simeon, Alexandros Collaros, Savas Condaratos) e quelli di Yorgos ed Eleni Manetas danno una dimensione alleggerita alla composizione plastica dei grandi complessi di appartamenti suburbani; il primo gruppo si era spesso impegnato nell’elaborazione di superfici orizzontali, mentre il secondo si concentrò nella gestione dei prismi cubici in composizioni in cui le masse sono scomposte in piani liberi con marcate differenze tra loro. Tra i più grandi complessi di appartamenti, l’unità Hara ad Atene, realizzata da Ippolytos Papailiopoulos e Achilleas Spanos (1959-61) spicca come caso unico per gli standards greci. La distribuzione degli appartamenti si basava generalmente su un’unica soluzione tipica, con variazioni dimensionali a seconda del numero di familiari che dovevano accogliere. Gli appartamenti erano divisi in distinte zone funzionali per il giorno e per la notte, e per ragioni di economia le colonne dell’acqua erano concentrate verso il vano scale, nel centro della pianta, al fine di guadagnare spazio per le stanze a discapito dei ballatoi. La massimizzazione delle volumetrie fu naturalmente l’obiettivo principale dei costruttori, di conseguenza il progetto ideale cadde preda di astuti speculatori che furono in grado di sfruttare le pratiche di standardizzazione a proprio beneficio e con dure conseguenze per l’ambiente urbano: appartamenti troppo piccoli, mal costruiti, con ballatoi bui (verso cui si aprono talvolta le finestre di cucine, bagni e a volte anche stanze); così furono gli edifici costruiti per alloggiare un’alta percentuale della popolazione urbana. La gamma di variazioni formali sul modello del blocco di appartamenti urbano instauratosi nel periodo precedente iniziò il suo declino, e si fece chiaro il modo in cui la vita nelle città greche si era deteriorata. Le esperienze degli ultimi trent’anni Negli ultimi decenni, le costruzioni sovvenzionate sono state gestite da un organismo autonomo, che però negli ultimi anni si occupa quasi esclusivamente di gestire gli alloggi sociali, con l’unica eccezione del Solar Village a Pefki, progettato da Alexandros Tombazis (1978-89) per i beneficiari degli alloggi a basso costo. Nei primi anni Settanta ci furono nuove proposte per il progetto dei blocchi multipiano. Durante questo periodo, l’opposizione internazionale all’ortodossia e al dogmatismo del Modernismo, che dominava allora l’establishment architettonico, raggiunse l’apice in una serie di correnti che avevano in comune il prefisso post. In Grecia, che fu sempre un paese periferico con forti caratteri locali e ripercussioni degli sviluppi internazionali, i concetti di Modernismo (internazionale) e di 46 grecità (locale) erano costantemente ridefiniti. Durante gli anni immediatamente successivi alla restaurazione della democrazia (dal 1974 in poi) quando la Grecia si risollevava dopo sette anni di dittatura, il cambiamento politico fu accompagnato dal diverso modo di percepire e mettere in pratica l’architettura. Lentamente la ricerca del modello assunse una diversa fisionomia attraverso una serie di approcci che fondamentalmente portarono alla fine di quella stessa ricerca (questo mentre i New York Five cercavano di ampliare il vocabolario morfologico di Le Corbusier). In Grecia, un certo numero di progetti con diversi obiettivi portò a nuove direzioni, come si può vedere chiaramente nei complessi di alloggi realizzati da Alexandros Tombazis a Neo Psychiko (1971-75), da Dimitris e Tassos Biris (197780), da Dimitris e Suzana Antonakakis (1972-74), e da Yorgos Theodossopoulos (1980- 82), ad Atene. Il lavoro di Tombazis rivelò dall’inizio un interesse per i sistemi di costruzione tecnologica avanzata e per nuove modalità di risparmio energetico. Tale interesse si concentrò in particolare sull’uso di materiali strutturali o tecnici a vista e su una dedizione al dettaglio dell’articolazione costruttiva. Sia sul piano della distribuzione che su quello della costruzione, la griglia è usata da Tombazis come punto di partenza per soluzioni più dinamiche che danno forme complesse alla massa nei blocchi di appartamenti di stampo brutalista, come nelle case unifamiliari. La griglia è anche la struttura organizzativa che rende possibile la personalizzazione delle unità. Nel complesso di appartementi Difros, il desiderio dell’architetto è di costruire residenze col più alto grado possibile di indipendenza e privacy. Perciò gli appartamenti a due piani sono organizzati, per tutta la profondità dell’edificio, in colonne verticali e la monotonia del complesso è interrotta spostandoli in avanti o indietro. Perciò, anche se vengono ripetute unità individuali, il complesso nel suo insieme è celebre per la variazione volumetrica. Partendo da un diverso approccio rispetto ai principi dell’architettura moderna, si segnalano i lavori di Tassos e Dimitris Biris. Nei loro blocchi di appartamenti a A. TOMBAZIS NEO PSYCHIKO (1971-75) T. E D. BIRIS, POLYDROSSO (1977-80) D. E S. ANTONAKAKIS, ATENE (1972-74) 47 Polydrosso, emergono differenze rispetto alla soluzione tipica, e in questo progetto la ricerca portata avanti da Zenetos e Konstantinidis assume una forma più tangibile. Nel descrivere tale blocco di appartamenti, Tassos Biris vide in esso la prova della “contemporanea tipologia residenziale” che comunque, “non dovrebbe essere confusa con la standardizzazione”. In realtà, questa nuova tipologia comporta una serie di valori, principi simbolici, universali e archetipici, che nel tempo sono stati parte integrante del concetto di abitazione. Come dice Biris, “creare uno spazio abitabile all’interno di una precisa tipologia non significa ogni volta privare tale ambiente della sua capacità di essere unico ed irripetibile. Più che esprimere l’idea di condominio, il blocco di appartamenti di Polydrosso si pone come un’aggregazione, “un piccolo quartiere di case-cubo ordinate verticalmente”. Scopo dichiarato dagli architetti non era quello di un gioco compositivo di volumi, ma la creazione di nuovi relazioni tra le differenti parti di un edificio residenziale multipiano. La griglia di costruzione in cemento a vista domina l’aspetto da ogni punto di vista, e serve da guida o sistema per le singole variazioni o la diversificazione delle unità, e non come forma di espressionismo costruttivo. Questo progetto dei Biris porta nello stesso tempo, in due direzioni: da una parte, integra e continua il programma Moderno, secondo le sue intenzioni ma senza le forme rigide degli anni Cinquanta; dall’altra, tende ad interrompere la formalità e la chiara linea del volume puro per mezzo di una gran quantità di componenti colorati e un gran numero di elementi sporgenti. Il blocco di appartamenti a Benaki realizzato da Dimittris e Suzana Antonakakis/ Atelier 66, raggiunge negli appartamenti un livello di individualità tale da porsi al polo opposto del blocco di appartamenti di Valsamakis a Semitelou. Il progetto conserva la griglia e l’esposizione della struttura che gli architetti greci hanno ereditato dopo la Guerra attraverso lo studio di Mies van der Rohe, Le Corbusier e del brutalismo del periodo precedente. L’opera di Aldo van Eyck (e i riferimenti ad essa nel lavoro di Dimitris Fatouros) fu un punto di partenza per gli Antonakakis nella loro elaborazione della relazione tra lo spazio interno ed esterno. La facciata dell’edificio cede sotto la sua pressione, e l’ingresso acquista un valore primario. Le zone sono diversificate quanto possibile per creare una varietà di spazi semi aperti, pianerottoli, cortili, viste inaspettate e spazi la cui diversità enfatizza l’individualità della parte in rapporto al tutto. L’edificio nel suo insieme non è più in grado di contenere le unità come negli esempi precedenti, essendo formato, piuttosto, da frammenti diversi coesistenti. Il disegno della facciata è l’impronta di tale diversificazione proponendo volumi e spazi di diverse dimensioni in varie posizioni all’interno del sistema. La griglia è nascosta nello sfondo, la formalità è contenuta, l’individualizzazione domina il complesso. Non molto dopo, in modo piuttosto simile agli sviluppi descritti sopra, Yorgos Theodossopoulos disegnò un complesso residenziale per il quale non fu nemmeno usato il termine di polykatoikia nel quartiere Metz ad Atene. In questo progetto, fu organizzata, per quanto riguarda la pianta, una grande varietà di appartamenti che andavano dai 70 ai 300 metri quadri per superare qualsiasi idea di standardizzazione. Gli ingressi separati degli appartamenti e la presenza di aree esterne di passaggio, contengono chiari e consapevoli riferimenti allarchitettura tradizionale greca. Le piante tipiche sono rivedute e 48 Y. THEODOSSOPOULOS, ATENE (1980-82) YORGOS ED ELENI MANETAS, POLITEIA (1992) ISV, PALAIO FALIRIO (2001) diversificate. Su più ampia scala, due nuove città a Xanti e Komotini furono costruite dall’impresa statale EKTENEPOL (1978-83) come parte di un piano ambizioso per lo sviluppo della Tracia, una zona di confine con seri problemi demografici. Tuttavia, il rafforzamento della disponibilità di alloggi locali non fu accompagnato dall’atteso aumento del numero di posti di lavoro, il che condusse al fallimento dell’operazione. Molti edifici convenzionati furono invece realizzati in grandi aree di sviluppo di lusso, sia per turismo che per alloggi, in periferia o in campagna. Esempi rappresentativi sono il Daedalus Hotel a Kos di Nicos Valsamakis (1988-91) e il complesso di alloggi realizzato da Demetri Porphirios a Spetses (1996). Ancora una volta, l’iniziativa privata ha superato lo stato, creando grandi insediamenti ad alto reddito e lasciando al settore pubblico solo i compiti non redditizi dell’attività urbanistica. Alla fine degli anni Ottanta, si sono sviluppati in parallelo una serie di orientamenti contrastanti, nessuno dei quali è riuscito ad avere il sopravvento sugli altri. Il Modernismo, con i suoi vari riferimenti alle condizioni locali, ha continuato nella direzione tracciata negli anni Trenta e Cinquanta, migliorando la sua sintassi nel blocco di appartamenti di B. Ioannou, T. Sotiropoulos, A. Van Gilder a Palaio Falirio, N. Dimopoulou, R. Saiti, G. Stathopoulos, N.Christodoulea a Nea Smyrni e G. Mavridis al Lycabetto, come anche nei lavori di architetti più anziani quali Yorgos ed Eleni Manetas a Kifissia e a Palaio Faliro. I riferimenti alla tradizione che apparvero dapprima nei progetti di Pikionis e nelle recenti case unifamiliari diventano ora evidenti anche nei blocchi di appartamenti, sebbene nostalgicamente, come un eclettismo di massa contemporaneo, una eco distante del progetto di Heyden Street. Le nuove Disposizioni generali in materia edilizia, introdotte nel 1985, sono state ripetutamente modificate con riferimento al massimo ingombro, al rapporto con il contesto, e alle più rigide norme antisismiche, spesso abrogate o rivedute dal Consiglio di Stato. Ancora oggi si osserva poi il continuo deterioramento dell’ambiente e delle condizioni del traffico, i piani di decentralizzazione e i progetti più importanti che non sembrano mai avere fine, i piani stradali mai messi in pratica e la legalizzazione di strutture illegali piuttosto che una programmazione adeguata. Gli architetti sanno di essere responsabili solo di una piccola e frammentaria porzione degli edifici costruiti in Grecia; gli occasionali progetti ben disegnati sono sommersi dal dilagare degli edifici improvvisati, 49 scadenti ed invadenti. I risultati del giorno d’oggi sviluppano le fondamenta poste da importanti architetti di cui si è parlato, ma il generale assetto culturale e sociale (non l’ambiente finanziario, poiché non c’è mancanza di fondi nel settore privato) non crea le condizioni per un lavoro creativo liberamente svolto. 50 ATENE E LA POLYKATOIKIA Atene Secondo Frampton “Atene è di certo la città moderna per eccellenza”; secondo Christiaanse “Un perfetto esempio di Generic City”27. Di fatto, in un contesto di confusione culturale, durante il secolo scorso, la città di Atene è stata trasformata brutalmente in un grande insieme di blocchi di appartamenti, in cui si è concentrata quasi la metà della popolazione del paese. La tipologia edilizia della polykatoikia costituisce integralmente la città di Atene, dal centro alla periferia. Sembra che vi siano alcuni caratteri culturali che hanno reso l’arrivo della modernità in Grecia molto più influente rispetto a quanto non sia avvenuto nelle altre parti d’Europa. La storia della città diventa un fatto estraneo tra le zone urbane che ripetono blocchi di appartamenti, dando forma al futuro. Secondo Pophyrios “l’architettura moderna ha contribuito a determinare la città contemporanea in Grecia, mettendo irreversibilmente da parte la memoria”28. La concentrazione delle varie polykatoikie è nella maggior parte dei casi il risultato di un accumulo casuale di decisioni incerte prese delle amministrazioni pubbliche; mentre la produzione di alloggi, come si diceva prima, è stata quasi completamente nelle mani del settore privato. Come Aesopos e Simeoforidis hanno spiegato, “La polykatoikia è al tempo stesso un’infrastruttura e una sovrastruttura. La polykatoikia rappresenta allo stesso tempo, il mezzo e il risultato”29. È interessante come le decisioni delle singole famiglie abbiano avuto effetti di vasta portata per lo sviluppo urbano: la ripetizione di uno stesso tipo di edificio si espande continuamente, in maniera neutrale, dal centro al bordo della città, senza soluzione. Frampton sostiene che “questo tipo di urbanizzazione, come in nessun altro luogo del mondo contemporaneo, è espressione dell’inconscio collettivo di un popolo”. Aesopos e Simeoforidis evidenziano questa unicità così: “Se il centro urbano è una zona distinta da caratteri storici, formata da spazi ed edifici pubblici ad alta densità, nella città greca contemporanea non c’è un vero e proprio centro, con l’eccezione di qualche piccola area storicamente definita intorno a piazze specifiche o assi determinati”30. In linea di massima si può dire che l’intera città greca sia una periferia: tutta composta da polykatoikie private di sei piani di altezza e uno spazio pubblico in-between, copre in maniera indifferenziata il paesaggio naturale. E questo è senz’altro vero se la periferia è caratterizzata da una programmazione ridotta o minima, dalla preponderanza di aree residenziali e costruzioni a basso costo, con la eccezione di alcuni quartieri che rappresentano una versione greca della città giardino, che non è periferica nella città greca contemporanea. In ogni parte della città, la varietà e l’imprevedibile combinazione dei programmi non seguono alcun criterio di modernizzazione. 27 Citazioni dai contributi dei due studiosi alla pubblicazione Metapolis 2001, a cura di Aesopos e Simeoforidis, Atene 2001. 28 D. Porphyros, Neoelleniki Architektoniki, Atene 1984 29 Aesopos e Simeoforidis, Metapolis 2001, Atene 2001. 30 Ibidem. 51 La densità edilizia rimane sempre costante, le strade sono strette, l’alternanza di pieni e vuoti avviene ad una scala contenuta, gli spazi pubblici sono trascurati e non definiti. Atene non assomiglia affatto alla città funzionalista del XX secolo, perché essa non è divisa in aree monofunzionali e non assomiglia in nulla ad una città. La dimensione sociale di Atene si potrebbe paragonare ad una struttura medievale, in cui commercianti ed artigiani, ricchi e poveri, giovani e meno giovani vivono e lavorano fianco a fianco. Tale struttura urbana presenta il problema dell’integrazione. La necessità di soddisfare le esigenze abitative di ampie fasce della popolazione ha portato, nel corso del ventesimo secolo, ad un notevole aumento della densità delle aree urbane, e quindi alla creazione di condizioni favorevoli per la convivenza di diversi gruppi sociali. La differenziazione sociale di Atene avviene così in maniera verticale. Nel loro studio su questa caratteristica Maloutas e Karadimitriou hanno osservato che la differenziazione sociale verticale rappresenta la volontà delle classi medie di continuare a vivere nel centro, come è avvenuto in molte altre città dell’Europa centroccidentale, nonostante le considerevoli modifiche introdotte dallo sviluppo industriale31. La maggior parte della popolazione di Atene definisce se stessa come ceto medio. Si è comunque verificata una recente migrazione dei più ricchi verso la periferia. L’impressione di una debole segregazione sociale nella città greca è pertanto una conseguenza della rarità di giustapposizione dei distretti con abitanti di diverse fasce sociali, così come di una relativa omogeneità della società. Dopo la Guerra la politica non ha saputo assumersi il problema della pianificazione. Favorendo costruttori privati e tralasciando le iniziative di pubblica utilità, la struttura spaziale che ne risultò fu di quasi nessun valore culturale. Nonostante ciò, muovendosi attraverso Atene, si vede che le strade sono sempre piene di vita. Da una sorta di interludio tra la strada, lo spazio pubblico della città e la polykatoikia, gli edifici privati si sono trasformati in elementi anche pubblici, irradiando il loro valore sociale al di là dei limiti reali delle costruzioni. D’altra parte, la città entra nell’edificio al livello stradale ed è in grado di trasgredire le separazioni convenzionali dei diversi ambiti spaziale fino al piano superiore, mettendo accanto usi pubblici e privati. Questo contributo urbano rappresenta il carattere distintivo della polykatoikia. Diventa un ambiente modernista in cui la vita contemporanea può svilupparsi liberamente32. Nella città greca, con poche eccezioni, non ci sono spazi pubblici progettati, sono semplicemente residui degli spazi costruiti. Tracciati casuali, piazze non disegnate, vuoti urbani, mercati all’aperto, espansioni e concentrazioni che non seguono criteri razionali, insomma spazi inadeguati ad un uso sociale costituiscono lo spazio pubblico della città greca. Questa mancanza di progettualità degli spazi pubblici determina la vulnerabilità della loro esistenza, la possibilità della loro occupazione da indipendenti usi privati che alla fine portano alla diminuzione della loro importanza e, infine, alla loro scomparsa. Gli spazi pubblici della città greca, insomma, benché siano costantemente animati da un’intensa vitalità, non avendo alcun valore rappresentativo, si presentano come 31 Maloutas e Karadimitriou, Vertical social differentiation in Athens: alternative or complement to community segregation, in International journal of urban and regional research, 25/2001. 32 H. Sarkis nel suo contributo alla pubblicazione Metapolis 2001, a cura di Aesopos e Simeoforidis (Atene 2001) giunge ad affermare che “Il distinto carattere e, oserei dire, la bellezza di Atene si trovano in tali momenti di equilibrio tra articolazione ed uniformità, tra separazione e continuità”. 52 episodi effimeri. Secondo l’analisi tradizionale, le differenze tra il nuovo e la tradizione si trovano nella struttura dello spazio così come nel suo utilizzo. Il centro storico di Atene è una zona di costruzione densa e continua, dove lo spazio urbano è ben delimitato dai confini edilizi, un luogo chiuso. Questo ambiente è animato dall’integrazione di tutte le tradizionali funzioni urbane. La simultanea presenza di queste funzioni è ciò che rende la città dinamica. Nel nuovo centro, invece, lo spazio è il residuo dei singoli edifici, dove le connessioni tra i principali poli d’attrazione assumono un’importanza fondamentale. La Polykatoikia33 Gli edifici cubici bianchi che costituiscono il volto dell’ Atene contemporanea, sono noti comunemente come poIykatoikia. Si tratta di un fenomeno tipologico basato sull’iniziativa privata, che ha subito un notevole impulso dalle diverse situazioni economiche e sociali dal 1930 fino ad oggi. È l’elemento predominante che costituisce il tessuto principale della città. La polykatoikia definisce più di ogni altra cosa lo spazio pubblico di Atene. Ci sono diversi modi per definire la polykatoikia associandola a riferimenti storici dell’architettura: Frampton cita la cité industrielle, che Tony Garnier ha proposto all’inizio del secolo scorso; Aesopos e Simeoforidis hanno descritto l’ edificio di appartamenti greco tipico come “la realizzazione del sistema Dom-ino di Le Corbusier”. Al fine di indagare le caratteristiche della polykatoikia, dal punto di vista dell’abitabilità e della relazione tra gli utenti, e per capirne il modello e il suo significato simbolico, è necessario considerarla prima di tutto come prodotto. “Le case di appartamenti ad Atene, come l’intero ambiente urbano, sono il segno più chiaro delle logiche commerciali e burocratiche allo stesso tempo”34. La polykatoikia viene venduta e acquistata da piccoli e grandi acquirenti, seguendo le leggi del libero mercato: domanda e offerta giocano un ruolo ben più rilevante delle questioni estetiche e funzionali nella progettazione di questo tipo di edificio. L’architetto è quindi tenuto a fornire una soluzione per un determinato edificio con enormi restrizioni, che sono il sistema della compravendita, il Regolamento Generale Edilizio e la sua interpretazione da parte della burocrazia, gli standard stabilito per gli appartamenti, che corrispondono a specifiche condizioni sociali. “La differenziazione sociale ed economica si riflette nella disposizione all’interno della città, nella sottile differenziazione, che si può apprezzare nella forma, nella qualità delle costruzioni e nelle 33 Un’esauriente analisi della Polykatoikia è riportata nell’antologia critica in appendice: Yannis Aesopos, Polykatoikia as an Urban Unit (pubblicato come Die ‘Polykatoikia’ als Modul der modernen Stad, in Bauwelt, 29, 2004). Per uno studio approfondito e dettagliato si segnalano due tesi dottorato svolte di recente intorno a questo tema: Richard Woditsch, Public and private spaces of the polykatoikia in Athens, PhD presso il Dip. Arch. Ox. della IV Facoltà - Planen Bauen Umwelt dell’Università Tecnica di Berlino, Berlino 2009; e Anastasia Paschou, Urban block in post-war Athens development, form and social context, PhD presso l’ETH di Zurigo. 34 Antonakakis 1978. 53 dimensioni di edifici ed appartamenti”35. Infatti le differenze principali tra le diverse polykatoikie sono date dal costo a metro quadro, dalla validità della sua distribuzione interna, dalla sua ubicazione, dal ceto degli abitanti, ecc. Tre grandi categorie si possono distinguere dal punto di vista dello status sociale: la polykatoikia a basso reddito nelle periferie della città, la polykatoikia borghese nei quartieri più centrali della città, e la polykatoikia di lusso nei quartieri dell’alta borghesia principalmente nel centro di Atene. In genere gli architetti non sono coinvolti in tutte queste tre categorie: delle prime infatti se ne occupano soltanto piccole imprese di costruzioni; la polykatoikia della classe media viene progettata in parte da architetti, ma principalmente da ingegneri; quelle di lusso invece sono quasi sempre progettate dagli architetti. Nonostante le loro differenze sociali sono notevolmente simili per i seguenti aspetti: il sistema costruttivo trilitico in cemento armato; l’alta flessibilità funzionale; l’utilizzo di materiali semplici, alla portata anche dei lavoratori meno qualificati, come ghiaia, sabbia, cemento, pietra, legno e alluminio36. Vi è una chiara organizzazione distributiva. Per ragioni di economia, le colonne di adduzione e scarico delle acque sono collocate, con il vano scale, al centro della pianta in modo da ridurre la lunghezza dei corridoi e risparmiare spazio per le camere. La polykatoikia di solito non supera i sei piani di altezza e presenta anche nell’estensione planimetrica dimensioni perlopiù costanti. In linea di massima, il piano terra (di altezza fino a cinque metri) contiene piccoli spazi commerciali. Sopra di esso ci sono gli appartamenti (con un’altezza di circa tre metri), che si dividono in due zone distinte: la zona pubblica con la vista verso la strada, su cui si affaccia con ampi balconi, mentre le aree private sono situati sul retro, con dimensioni che variano a seconda della qualità della costruzione. Ogni appartamento è composto da un piccolo ingresso, un soggiorno/ sala da pranzo, la cucina, due o tre camere da letto, uno o due bagni, e una piccola camera di servizio. Il soggiorno è ovviamente la sala principale dell’appartamento in termini quantitativi e qualitativi. La sua forma è generalmente rettangolare, talvolta a forma di L. La televisione ne costituisce il fuoco verso il quale sono collocati divani e poltrone. Le librerie hanno una funzione decorativa oltre che funzionale. Grazie ad un’opera d’arte in genere il soggiorno esprime lo stato degli abitanti della casa. La sala da pranzo è parte del soggiorno, non sono quasi mai separati. I corridoi sono di dimensioni e forme variabili. Possono essere compatti e piccoli, ma possono anche acquisire dimensioni tali da assolvere a delle funzioni specifiche. In ogni caso sono sempre senza luce diretta. Le diverse camere da letto sono utilizzate dai vari membri della famiglia a seconda del loro formato: una stanza matrimoniale per i genitori e una o due piccole per i figli. Nella maggior parte dei casi la cucina è piuttosto piccola male orientata e scarsamente illuminata spesso affaccia nelle chiostrine, e ha una forma il più delle volte allungata. Non esistono ripostigli, ma le loro funzioni sono assolte da balconi, bagni di servizio, nicchie. Le polykatoikie presentano 35 Aesopos, Op. Cit. 36 Tournikiotis nel suo contributo alla pubblicazione Landscape of modernization; Greek architecture 1960s and 1990s, a cura di Aesopos e Simeoforidis (Atene 1999) constata che “le regole dell’architettura greca sono ancora soggette ad una logica semplice, per certi versi artigianale. D’altra parte, i mezzi impiegati sono in linea con richieste di costruzione parsimoniose per soddisfare le modeste esigenze delle famiglie medio borghesi. Le imprese costruttrici sono di piccola o media entità, mentre il settore pubblico con la sua permanente mancanza di iniziativa, si limita a stabilire i limiti di tale attività edilizia” 54 facciate simili, caratterizzate dai ricorsi orizzontali dei balconi lineari, e dal piano terra porticato. I balconi, sempre molto profondi, estendono la vita privata della residenza verso la città e sono uno spazio vitale esterno per circa metà dell’anno, come consentito dal clima. I balconi possono essere protetti da tende che diventano un importante elemento di facciata. Le verande si trovano nella parte superiore e sono dimensionate generosamente per offrire spazio ai giochi dei bambini. Agli attici si possono vedere, di tanto in tanto, estensioni illegali, come coperture in legno per la protezione solare. Una differenza tra polykatoikie si può trovare nell’organizzazione degli spazi all’interno della costruzione. Il porticato ad esempio costituisce una variante frequente all’uso commerciale del piano terra, definendo la soglia tra la polykatokia e lo spazio pubblico con un filtro basamentale. L’entrata costituisce l’indicazione del ceto sociale degli abitanti, di cui la grandezza dell’androne è il segnale più evidente. Verso la scala e l’ascensore si trova in genere un piccolo spazio per il portiere, salvo nei condomini più popolari dove non c’è. Le scale, a seconda dello status sociale della costruzione, possono spiccare senza piedistallo verso i piani superiori, al fine di non sprecare pavimento nell’androne, o avere una partenza più solenne. Ci sarà in ogni caso un sistema di illuminazione adeguato alla loro destinazione. Anche gli ascensori possono differire notevolmente per il loro livello di comfort. I ballatoi sono poco illuminati dalla luce diretta e in genere non presentano particolari qualità. Le chiostrine sono regolate dalla normativa edilizia. Cucine, bagni, scale sono spesso illuminati e areati da questi spazi, che non possono essere chiamati spazi comuni, come ad esempio un cortile, perché sono estremamente piccoli e non accessibili. Non sono altro che pozzi di luce, che risultano semplicemente come spazi non edificati. Un risultato evidente della normativa sulla volumetria degli edifici si riscontra negli arretramenti degli ultimi piani dal filo stradale, a seconda dell’altezza massima del fabbricato e del distacco dagli edifici di fronte, lasciando così spazio per terrazze panoramiche. I tetti sono poco utilizzati, nonostante vi si trovino i più grandi spazi comuni delle polykatoikie. In genere sono stanze condominiali che vengono affittate a studenti o giovani coppie. Un aspetto interessante è la gerarchia sociale esistente all’interno degli stessi edifici. Si tratta di una differenziazione sociale in verticale, che comporta una varietà nelle dimensioni e nei requisiti degli alloggi ai vari livelli, corrispondente alla differenza del loro valore immobiliare. Nella maggior parte dei casi questa differenziazione è contenuta all’interno di un ampio spettro sociale e genera particolari relazioni tra gli abitanti. Questa differenziazione verticale è un fenomeno che si è verificato principalmente nel corso degli anni Sessanta e Settanta. Basandosi su precisa sistematizzazione e tipizzazione dell’edificio, la polykatoikia è uno schema che permette vari adattamenti. Sebbene nato come aggregazione di unità abitative, la polykatoikia si è dimostrata capace di ospitare una varietà di usi diversi dal residenziale, e forse proprio questa capacità di adattamento dev’essere stata la causa principale della sua ripetibilità. Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta si affermò la pratica dell’autocostruzione, anche a causa dell’assenza dell’iniziativa statale. Naturalmente si produssero così edifici con molte anomalie per quanto riguarda la funzionalità e la salubrità e degli alloggi. Le tecniche costruttive erano molto semplificate poiché le attrezzature per l ‘edilizia erano ridotte al minimo. Si adottarono le nuove 55 tecniche, facilmente apprese nei cantieri ufficiali, applicando pochi e lenti cambiamenti. Pur non essendo identiche alle costruzioni tradizionali in pietra, si trattava comunque di una versione aggiornata di quelle. Il calcestruzzo, mischiato a mano sul sito e poi trasportato sulle scale nei secchi di latta, divenne il materiale da costruzione principale. Da questa adozione (ad un grado molto elementare) delle nuove tecniche edilizie, derivò l’aspetto moderno delle polykatoikie diffuse sul territorio. Bianche facciate disadorne, volumi cubici, scheletri in cemento armato spesso visibili, ampie aperture, pilotis per il parcheggio delle auto, in perfetta linea coi principi modernisti. Ad Atene circa il 95 per cento degli edifici sono stati costruiti ad un ritmo molto rapido, ed in maniera spesso illegale. Del disordine urbano che ciò ha generato si tende spesso ad incolpare gli architetti, che in realtà hanno avuto la parte minore in questo processo, quasi interamente gestito da costruttori e ingegneri. La commercializzazione degli alloggi ha portato ad un’uniformità globale della domanda, con la predominanza di un certo modello standardizzato in tutte le sue caratteristiche, tipologiche, costruttive, morfologiche. Tra gli acquirenti della classe media urbana è sempre valido il mito, diffusosi negli anni Cinquanta, dell’appartamento come fonte di comfort, lusso, sicurezza e reddito stabile. L’intervento dello Stato si è sempre basato su una serie di incentivi diretti e indiretti volti a promuovere la proprietà della casa e il mercato immobiliare. Tali incentivi consistono nel tollerare la costruzione di case in aree non previste dai piani regolatori (con la conseguente legalizzazione) per incrementare lo scambio e contenere i prezzi delle materie prime per l’edilizia37. La crescita della popolazione di Atene senza le necessarie infrastrutture urbane ha aumentato le gravi preoccupazioni ambientali circa il territorio dell’Attica. Il processo di urbanizzazione selvaggia che si basava sulla riproduzione di polykatoikie ha distrutto quel meraviglioso paesaggio. L’accumulo di polykatoikie, insieme ad una mancanza di pianificazione urbana, ha lasciato solo una irrilevante quantità di aree libere per la realizzazione di parchi e giardini38. Le autorità pubbliche hanno sempre cercato di normalizzare lo sviluppo urbano tramite i regolamenti edilizi, le cui prescrizioni si distinguono in primarie e secondarie: le prime sono quelle che regolano gli indici di fabbricabilità, l’altezza massima degli edifici e i distacchi in base alle dimensioni della strada e la zona della città in cui l’edificio è situato; le prescrizioni secondarie regolano la superficie minima dei pozzi di luce, le altezze dei piani, le dimensioni dei vani scala, l’estensione dei balconi e dei vari elementi di facciata. Con l’ultima modifica della normativa edilizia nel 1985, in cui ad esempio la predisposizione dei parcheggi è stata resa obbligatoria per la prima volta, il fabbricato urbano ha raggiunto il limite del suo sviluppo potenziale dal punto di vista tipologico e formale. Negli anni Ottanta l’architettura è 37 Paradossalmente, “a giudicare dalla percentuale di case di proprietà in Grecia, che è uno dei più alti nell’unione europea (il 70 per cento nel 1986), questa politica degli alloggi può essere considerata come un successo”, almeno secondo l’indagine condotta da A. Madanipour, G. Cars e altri, Social exclusion in European cities, Londra 2000. 38 P. Dragonas, in un articolo apparso in rete nel 2004, scrive: “Questo processo di urbanizzazione non ortodossa che si basava sulla in finita riproduzione della polykatoikias ha devastato il paesaggio dell’Attica. L’ottimismo degli anni ‘60 è stato sostituito dalla nostalgia per quello che i migranti dalle campagne si erano lasciati alle spalle. L’epoca modernista doveva finire e Atene è diventata negli anni Settanta e Ottanta una città soffocata”. 56 stata dominata dal formalismo storicista del post-modernismo, combinato con l’interesse per la conservazione degli insediamenti storici e degli edifici vernacolari e neoclassici. Negli anni Novanta un nuovo processo di modernizzazione ha accompagnato l’apertura dell’ architettura greca al panorama architettonico internazionale. In questo periodo, caratterizzato dalla fine della guerra fredda e dall’afflusso di immigrati dall’Est Europa e dall’Asia, la Grecia ha ospitato i Giochi Olimpici del 2004. “La mescolanza di forme ed elementi storici è un sintomo culturale della società greca che incarna fenomeni tipici della post-modernità. Il ruolo del committente privato è determinante in questo, in particolare di quei clienti che sono in grado di incidere sullo sviluppo della città, impegnando la loro immagine attraverso l’architettura: tali clienti sono le banche, le società di assicurazioni, le grandi agenzie di comunicazione. Allo stesso tempo Atene sembra aver ceduto agli stili di vita prevalenti, con la diffusione di negozi, caffè, e show-room e la proliferazione di arte contemporanea all’interno del tessuto urbano attraverso musei e gallerie d’arte, mentre la grande distribuzione, le reti di vendita al dettaglio, e le strutture di intrattenimento stanno cominciando a costituire il paesaggio periferico della città, con la Goody, i MacDonalds, i supermercati Carrefour e Praktiker, e i cinema multisala Village Center che dilagano”39. La Grecia si presenta così come un paese alla periferia d’Europa, con caratteristiche uniche, sempre diviso tra l’adesione agli sviluppi internazionali e la dedizione all’identità locale. 39 Aesopos e Simeoforidis, Op. cit. 57 58 ANTOLOGIA CRITICA In questa appendice antologica sono raccolti quattro brani che costituiscono altrettanti riferimenti fondamentali per gli argomenti precedentemente trattati. I primi due sono dei saggi storico-critici che inquadrano l’architettura greca degli ultimi cinquanta anni con la massima lucidità. Nel primo Kenneth Frampton (forse il più autorevole testimone vivente dell’architettura contemporanea) racconta come l’esempio del Movimento Moderno sia stato continuamente rielaborato dai principali architetti geci, a partire dai due grandi maestri Dimitris Pikionis e Aris Konstantinidis. Nel secondo Eleni Fessa-Emmanouil (tra i più importanti docenti e saggisti greci che si occupano di questi temi) oltre a commentare le principali opere ateniesi dell’ultimo trentennio del secolo scorso, analizza a fondo il clima culturale e sociale in cui esse sono state realizzate, mettendo in evidenza le condizioni spesso sfavorevoli in cui si trovano ad operare gli architetti. Il testo seguente è (a sua volta) una raccolta di brani dall’opera On Architecture di Aris Konstantinidis, apparsa in una traduzione italiana nella bella monografia appena pubblicata da Paola Cofano. Questi scritti chiariscono la poetica del massimo artista greco, la profondità con la quale si interroga sui problemi essenziali della disciplina: costruzione, vita, natura, bellezza, verità. L’ultimo brano è una descrizione di Yannis Aesopos (architetto e docente di progettazione all’Università Tecnica di Patrasso) della polykatoikia. In modo sintetico, ma del tutto esauriente, sono messi in luce i caratteri tipologici di questa palazzina e il suo ruolo modulare che determina la conformazione urbana delle città greche. 59 Kenneth Frampton, A note on Greek Architecture: 1938 – 1997 (da Landscape of modernization – Greek Architecture 1960s and 1990s, a cura di Yannis Aesopos e Yorgos Simeoforidis, Atene 1999) While the evolution of modern architecture in Greece over the past half century has been subject to the swings and variations experienced in the rest of Europe, Greece has been particularly privileged with regard to the Modern movement in two important respects. In the first place, the avant—garde architecture of the 20s and 30s was not far removed from the traditional whitewashed vernacular of the Cycladic islands. ln fact, certain Modernist manifestations, above all Le Corbusier’s Purism, had been partially inspired by these same prototypes. Thus, spare, cubic, orthogonal compositions were able to find ready acceptance at an everyday level in Greece. indeed, one may claim that Athens is one of the few cities in the world where a normative modern international architecture accounts for a large part of the inner urban fabric. In the second place Greece is blessed with a benevolent climate, for most of the year, and this, together with the varied topography which is to be found throughout, has had a mediating influence on modern abstraction. Indeed this combination meant that while modern structures could be simply detailed and still withstand the climate, the received functionalist norms invariably had to be modified in order to accommodate themselves to the contours of a given site. The dislocation of Greek culture brought about by the German occupation and further after 1945 by the violent disruptions caused by the Greek Civil War that lasted in one form or another from 1945 to 1949 and which was settled politically in favour of the right, largely through outside intervention, left the country bitterly disillusioned and divided and led both during and after the War to the enforced exile of many intellectuals, including the architects Georges Candilis, Aristomenis Provelengios and Takis Zenetos. These architects left Greece to study and work in Paris, with Provelengios and Zenetos returning eventually to practice in the 50s. Certain key figures remained in place, however, throughout the turmoil, among them two absolutely seminal architects - Dimitris Pikionis and Aris Konstantinidis - who, in their separate careers and at different times, became progressively sceptical about the socio-cultural erosion of Greek culture and identity through the norms and forms of the modernization process. First among these figures and the elder of the two was the painter/architect Dimitris Pikionis, who became disillusioned with functionalism as early as 1932, on the completion of his white, flat—roofed, rationalist school at the foot of Lycabettus Hill in Athens. One year later he will project an experimental school in Thessaloniki which, while adhering to functionalist principles in terms of its general layout and strip fenestration, nonetheless indulged in shallow—pitched roofs, with tiled covering and deep overhangs, together with open Ioggias drawn from the Macedonian vernacular. Eighteen years later, soon after the end of the Civil War, Pikionis started to work on the most significant undertaking of his career, which as it so happens was not a building at all but a promenade set on the Philopappos Hill in Athens, adjacent to the Acropolis and under continual construction from 1951 to 1957. Paved almost exclusively out of random dressed stone, including some archaeological fragments and painstakingly assembled like a gigantic mosaic over 60 the undulations of the heavily contoured site, this park was not so much projected and realized in the conventional sense, as it was laid in place by the architect himself. Two strands of poetic speculation weave back and forth through this work, both literally and metaphorically. The first of these is the evocation of a mythical Greek identity, legible as much by the body as by eyes; a palimpsest, part vernacular-part archaic, linked however indirectly to the Italian Novecento painter Giorgio de Chirico, by whom Pikionis had been influenced by in his youth. The second oneiric strand was the erection on the perimeter of extremely flimsy constructions, porticoes and fences. These were made out of timber poles, bamboo and and/or thatch and, we now know, were consciously modeled in some measure on Japanese paradigms. The result was a metaphysical landscape, simultaneously sensuous and dematerialized. Within the mores of everyday Athenian life Pikionis’ Philopappos is a work that is at once both popular and hermetic. However, its continued existence and appreciation testifies to the fact that as a generic ‘earthwork’ it tends to transcend our received perceptions about both aesthetics and function, for here the surface of the ground is kinetically experienced through the gait, that is to say it depends upon the locomotion of the body and the sensuous impact of this movement on the nervous system as a whole. There is, moreover, as Pikionis puts it, the ‘acoustical’ resonance of the site as the body negotiates the surface1. The work of Aris Konstantinidis (an equally seminal figure and perhaps the more heroic of the two) would experience a rather different trajectory, even though the two men would share a common preoccupation with what was then still the living Greek vernacular, differentiated from region to region and island to island. In my view, other than Pikionis, Konstantinidis was the only Greek of his generation who was so singularly susceptible to the Greek landscape, and hence so committed to the creation of a critical modern architecture that despite its unequivocal modernity would be appropriate to the time and place in which it was built. Just such an architecture was surely manifested in the small stone house with which he began his career in Eleusis in 1938, and in a similar but altogether more sophisticated house that he erected out of the local stone in Sykia in 1951. Unlike Pikionis, Konstantinidis remained unequivocally committed to the revelation of the twentieth century building technology - the trabeated reinforced concrete skeletal frame and the sub—frame of its infill sun screening, shutters, etc., notwithstanding his habitual excursus into rubble stone walling and the occasional sweeping monopitched roof as this appears in the monumental Xenia Hotel that he built in Kalambaka in 1962. That this was a modern reinterpretation of the principles of the vernacular rather than its sentimental simulation was evident from the way in which the building disposed of itself in relation to both climate and the site2. ��������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� Dimitris Pikionis was born in Piraeus in 1887 and educated as a painter and as an architect in Athens, Paris and Munich. In private practice from 1923 to his death in 1968. His Lycabettus School in Athens was a functionalist work but thereafter his work became increasingly inflected towards the vernacular, culminating, in his elaborate landscaping of Philopappos Hill in Athens [1950-57). 2 Aris Konstantinidis was born in Athens in 1913 and educated there and in the Technical University of Munich between 1931 and 1936. He served as an architect to the government in various capacities from 1938 to 1957. His move to the National Tourist Organisation of Greece marks the beginning of his most fertile period, when he designed a whole series of hotel buildings between 1958 and 1964. 61 Toward the end of his professional career, in 1975, Konstantinidis would publish an elegiac evocation of the Greek vernacular in which he was able to demonstrate its close tie to the landscape from which it stems and within which it remains embedded. In his Elements of SelfKnowledge, compounded of photographs, sketches, poetic citations and aphoristic statements, Konstantinidis sets forth the ontological limits of all architectural form. For Konstantinidis the vernacular lies forever beyond time because nobody can determine its age. Such a work may still be encountered, even now, in the rock walls of Andros or the terraces of Sifnos, both equally timeless in that they illustrate all too precisely the words of Fernand Leger: “Architecture is not art, it is a natural function. It grows out of the ground like animals and plants”3. In contrast to this condition in which culture and life are not yet separated, Konstantinidis wrote of the spurious character of the new when it is pursued as an end in itself: “As for the efforts of the so-called new architecture to produce something unprecedented and advanced (admittedly, the modern age has discovered some new truths - in fact, it has discovered many, so many that Matisse once felt compelled to cry out: “No more new truths”), let us accept once and for all that a truly unprecedented and advanced work is not that which uses superficial brilliance to make temporary sensational impact, or that which seeks to take one by surprise by means of ostentatious, acrobatic contortions, based on momentary finds, but only that which is justified by a continued, living tradition, that which endures because it is put to the test again and again, with each new context, so that it expresses afresh inner experiences, secretly nurtured disciplines, forms that have truly been handled over and over again. What we may accept as reality cannot possibly be what we see ready-made around us, but much more what we attempt to visualize in a dream, all of us together and each one of us separately, the dream of a new -truly new- life, shaped like a poem”4. The tradition established by Pikionis and Konstantinidis was picked up by the mid-60s by Dimitris and Suzana Antonakakis, who founded their Atelier 66 in 1964, through their trabeated Chios Museum, executed in a manner that was extremely close in its syntax and intent to the similar but larger loannina Museum designed by Konstantinidis at virtually the same time. In addition to their Greek roots, their work was to be informed by three important strands in the modern tradition, all of which date from the 50s: the béton brut manner of Le Corbusier, the Structuralist organicism of Aldo Van Eyck and the reinterpreted classicism of Mies van der Rohe, this last being particularly evident in the spatial order of their early works. And yet, despite these influences, what is remarkable about Atelier 66 is the way in which they have been able to synthesize the mutual legacy of Pikionis and Konstantinidis resulting in domestic works which are carefully articulated in terms of use, privacy and micro-climate, as in the stone-faced, brutalist housing that they realized in Distomo in 1969 or in the labyrinthic, neo-Corbusian apartment building they built in Benaki Street in Athens in 1975. Of those that left Greece to study and work in Paris in the aftermath of the Civil War something further must be added, first with regard to Georges Candilis, who following 3 Aris Konstantinidis, Elements of Self—KnowIedge: Towards o True Architecture, Athens, 1975, p. 290. 4 lbid., p. 313. 62 his apprenticeship with Le Corbusier on the Marseilles Unite, made a seminal contribution to the invention of low-cost, low-rise housing systems for application in the Third World, and second, the unequivocally political Takis Zenetos who, unlike Pikionis and Konstantinidis, believed in the manifest destiny of modernization and technology for the liberation of mankind. One cannot help wondering, in retrospect, if his tragic suicide in 1977 was not a direct outcome of his despair in the face of the perverse application of technology as a means of perpetuating our inherently wasteful consumer society, already extending beyond the bounds of reason twenty years ago. Up to the mid-70s it was still possible to believe that universal technique could and indeed would eventually be applied to more beneficial environmental ends in Greece as elsewhere, as Zenetos’ built works amply testify. Certainly we can see this in his Ayios Dimitrios School (1970-76), his Amalias Avenue apartments (1959) and the svelte megastructure of his magnificent Fix Brewery (1957) all of which were realized between the years of 1957 and 1969. A new Iiberative world was surely implied by the free planning of the classrooms around the periphery of Zenetos’ school, particularly because this active didactic perimeter surrounded an equally active, circular theatrical space in the centre. While the Ayios Dimitrios School was a social condenser of heroic proportions, comparable to the canonical open air schools realized by Beaudoin and Lods and by Bijvoet and Duiker, in France and Holland in the 30s, Zenetos’ work of the 60s and 70s was somewhat uneven, ranging from brilliant displays of programmatic and productive ingenuity to virtuoso formal exercises influenced by Bruno Zevi’s organic ideology or, let us say, passing from highly sophisticated essays in tectonic plasticity to moments of technological exhibitionism. An entire world may be said to separate the structural/planar articulation of Zenetos’ pre—fabricated, skeletal Lycabettus Theatre (1964) from his Amalias Avenue apartments, close, in their fugal immateriality, to the facade of Giusseppe Terragni’s Casa del Fascio or to certain later works by the Spanish architect Alejandro de Ia Sota. The triumph of the white Greek Rationalism, integral to a nation-wide school building program of the 20s and 30s and realized by such architects as Mitsakis, Panayotakos, Valentis, Karantinos and even the young Pikionis, has remained the underlying Greek modern tradition right up to the end of the century, as is evidenced by countless works produced in the last thirty years more or less in this manner; a line of post-War revival that began with Doxiadis’ own offices, Athens, designed in 1955. This received line has held its ground from one generation to the next despite a regrettable regression into historicizing, stylistic Post Modernism in the 80s, detectable in the work of Alexandros Tombazis, Nicos Valsamakis and even occasionally in the architecture of Atelier 66, most particularly perhaps in their rather decorative Ionian Bank, built in Rhodes in 1983. One may argue that decorativeness as opposed to tectonic ornament has been the Achilles’ heel of Greek architecture throughout the last half—century, particularly as this often manifests itself in the interiors of what would otherwise be undeniably rigorous works. In any overview of Greek production, two attributes surely stand out above all others; first the profound and all but unconscious feeling of Greek architects for the transformation of landscape through built-form and second, the truly subtle and rigorous planning ability of Greek architects, that is to say, their intrinsic capacity to organize and orchestrate architectonic space as one passes from one logically 63 ordered project to the next. Few architectural cultures of the 20th century have been able to attain and maintain such a high normative level. Against this one has to set the repetitious and loosely empirical character of the received architectural language; the generally rather loose assumption of a syntax compounded of brutalist, boarded reinforced concrete, generic orthogonal modern fenestration, often of indifferent proportion, the occasional spiral stair or glass block panel, plus a prerequisite wall or two in rubble stone construction. This rather indifferent recitation of modern tropes could not be farther removed from the specific language of either Pikionis or Konstantinidis. Needless to say, here and there, a more sensitive and critical figure cuts away from the common denominator of the received code to give the culture a sharper focus and the promise of true renewal as we find this in Christos Papoulias’ Epikentro art gallery in Athens (1997) or in A. Kouvela-Panayotatou’s remarkably sensitive répétition differente in a domestic key, her battered and canted house in Santorini of 1994. In both these works the interior is as powerful as the exterior, although clearly in the case of the gallery the latter does not apply. Last but not least in bringing this gloss to a close, mention must be made of the work of Kyriakos Krokos, above all for his truly remarkable brick and concrete Byzantine Museum completed at Thessaloniki in 1993. Here at least we are in the presence of a rigorously tectonic work of the highest possible caliber, for all that its dense layering of tradition may be regarded by some as too conciliatory, particularly by those that favour the cult of rupture rather than the continuity of critical culture. But here surely, given the commodified age in which we live, we have once again the promise of a modernity of depth from which to launch a new beginning. 64 Heleni Fessas - Emmanouil, The last twenty – five years: from post – modern dispute to the Dionysiac and chaotic threshold of the 21st century (da Heleni Fessas - Emmanouil, Essays on Neohellenic Architecture, Atene 2001) The fall of the dictatorship in 1974 and the Year of European Architectural Heritage (1975), and their repercussions, created a natural boundary between the past and what is as yet too close to be approached historically. We are still not sufficiently far removed to be able to decipher and comment lucidly on events in Athenian town planning and architecture during the last quarter of the 20th century. It is moreover difficult to speak briefly about the city’s eventful course from the vision of change in the 1980s to the nightmarish uncertainty of the post-cold-war world and of globalization. I should like to point out here just a few of the external factors that have influenced this course. The emphasis on the visual and ephemeral aspect of architecture, more or less at the expense of its functional, social and cultural dimensions, was the main trend in the last quarter of the 20th century. The rapid succession of styles in international and Athenian architecture during the past twenty years - post-modernism, late modernism, deconstruction and neo-modernism was the result of social and cultural changes under later capitalism. They met the needs of the consumption-oriented, individual-centered, pleasure-seeking and “neo-conservative” societies of this age. These were the “needs” created by the mass media, which are either controlled by the few or are monopolies, through the power of information or misinformation and the seduction of advertising. Thus in postmodern societies, the ephemeral, the superficial, the pleasant, and the “Dionysiac” thrive, while steadfast models and stable values are rejected; the logic of fast profit with minimum effort prevails, and creation is replaced by a combination of packaged goods and standardized ideas. In such societies, the wrapping counts more than the content or the intention, and substantial control passes from politics to capital. Beyond this dominant trend, there are international and local differentiations which were reinforced by the enormous upheaval of 19895. The revival of nationalism in the Balkans and the phenomena of escapism among young people due to their dreary, alienating daily life are developments that have also affected life in Athens. For example the optimism of architects and town planners in Athens in the 1960s gave way to scepticism, uncertainty and the present marginalization of distinguished colleagues of theirs with brilliant studies and distinctions, but who are now building very little if anything, and who are unjustifiably absent from the major projects in the capital and the construction boom unfolding in view of the Athens Olympic Games in 2004. Regarding urban planning matters in the capital, for the first time developments are not altogether negative. The prevailing trend in these past 25 years has of course been the disappearance of the Attic landscape through the incoherent and ugly construction of suburbs on coasts, farmlands and forests. This has led from the pale grey anonymity of Athens in the 1950s and 5 The year 1989 has been called “the year of upheavals”, because during that year “the Berlin Wall was torn down, democracy was painted red in Tienanmen Square the republics of the Soviet Union demanded their independence and Albanians and Serbs clashed for the first time in Kosovo”, To allo Vima, 20.6.1999. 65 60s to the present motley conglomeration of forms in its broader region6. The collapse of the communist governments in eastern Europe burdened the Greek capital with two other very serious problems: the influx of waves of foreign national and ethnic Greek refugees into older downgraded districts of Athens (Metaxourgio, Kato Patissia, Kypseli, etc.) and their sometimes problematic relations with the local population. On the contrary, the situation in the historic centre and in reindustrialized regions in and around the capital, such as Lavrion, Gazi and Pireos Street, appears visibly improved. This development is in line with the international trends to upgrade city canters and to protect architectural heritage. It was the result of an intense and coordinated effort by specialists and the state. The way was paved by two projects: “Study of the Athens Old Town” (1973-75, architect-professor Dionyssis A. Zivas) and “Dealing with the problems of Plaka” (1978, D. A. Zivas; associate architects Y. Michail, K. Ioannou, M. Graphakou, E. Maistrou, A. Paraskevopoulou and E. Methenitou; traffic experts G. Giannopoulos and C. Zekos); the latter study was awarded the Europa Nostra medal. Also, despite the objections and delays, significant projects were carried out to improve the quality of life in Athens. Urban planning reforms began in 1979, on the initiative of the Minister of Public Works Stephanos Manos (the first pedestrian walkway in Athens on Voukourestiou St., the new Master Plan of 1979, Development Law 947/1979, etc.). These reforms were stepped up by Antonis Tritsis, architect, town planner and Minister of the Environment, Physical Planning and Public Works (many Athenian streets became pedestrian walkways, studies were conducted to protect and improve old districts of the capital, etc.) and then took on a more radical character with the Master Plan of 1983 and Development Law 1337/1983 (e.g. development policy for the western Attica basin and particularly for old districts of unauthorized housing, improvements of old refugee neighborhoods and industrial districts). One common feature of these reform efforts was the upgrading of the local government’s role in town-planning applications. But the local authorities turned out to be ill-prepared to meet their new obligations. It is of course a fact that municipal initiatives have improved the quality of life in the Attica basin, even if they did not bring about a corresponding aesthetic upgrading. Athens has been privileged from that point of view to have had some very active mayors such as Dimitris Beis, Miltiadis Evert and Dimitris Avramopoulos7. Local government, however, did not have the ability to promote the main goals of the 1979 and 1983 town-planning reforms8. The efforts by Manos and Tritsis were undermined when their successors backed down on important issues, such as the scheduled reduction of the building density. The implementation of the General Building Regulations of 1985, for example, did away with the spirit of the Tritsis reforms because it accelerated urban sprawl across the entire Attica basin. Then developers came along and offered the smog-weary Athenians who were abandoning shabby apartment buildings 6 In a televised interview in 1999, painter and academician Panagiotis Tetsis compared the appearance of Athens to a rag rug. 7 See, inter alia, Dimitris Avramopoulos, Municipal Policy in the recreation of Athens, the Architects’ Association Bulletin, 9-10/ 1997, pp. 37-41. 8 P. Yetimis, Ekistic policy in Greece. The limits of reform, Athens 1989, pp. 175-180. 66 in droves a substitute for their dreams of green space, fresh air and a place of their own. The construction companies were offering building complexes of primary or summer residences and popular maisonettes, with a pseudo—luxury, new-looking or eccentric façade - post-modern, late modern or other. These properties, which became demythologized with the passage of time, were initially bought by the middle classes. Later the fashion of building residential complexes and maisonettes became more generalized, both among the working strata of the population and among the higher income groups. The margins for architectural creation or innovation in the commercialized residential estates proved to be narrower than one might have expected, which doesn’t mean there were none at all. But they existed only in special cases, such as when experienced or talented architects happened to be engaged in such projects together with open-minded contractors. But in the architectural affairs in the capital, the adverse phenomena of the past were exacerbated. For example, the relations between the state bureaucracy and the architect’s art, which were always problematic, declined. This was due partly to the expansion of the public sector, but more to the attitude of those in charge. The same was true of quality architecture in the private sector. So, while the state, private capital and the press showed a lively interest in architectural issues, in practice they operated in a short-sighted, petty political way. Architects were usually not selected or promoted on a merit basis, and thus their social role was downgraded as was the quality of their institutions (e.g. architectural competitions and the legislation re: awarding designs for public projects). For instance, instead of dealing constructively with the problems of architectural competitions and updating the legislation regarding public buildings, preference was shown for adopting the non-transparent and demoralizing design-construction system, in which architects and designers were employees of the builder or directly dependent on him. In addition, apart from the unfair competition of their university colleagues, the free-lance designers of public facilities and buildings were now being pushed aside systematically by their employers’ confidential advisors9. The upshot of all this was the difficulty of creating a public facility and worthwhile new buildings for public use. The qualitative and symbolic downgrading of the buildings in the capital was also due to the fact that they were regarded as either a means for solving the problem of accommodating employees, or as an opportunity to maximize land use. This type of miserable attitude did not leave much room for differentiating public structures from their bland, incoherent and overdeveloped surroundings10. On the contrary, considerable progress was made in urban renewal and in the utilization of old buildings to accommodate banks, state and municipal services in the capital city. This occurred, despite the fact that the fashion for protecting historic buildings more frequently led to their abuse than to their improvement. The first notable and highly influential restorations were done 9 Some typical cases are the new Acropolis Museum and the Athens Concert Hall. See Helen Fessas-Emmanouil, Greek Architecture in the Counterbalancing Decades of the ’60s and the ’90s, in Landscapes of Modemisation. Greek Architecture. 1960s and 1990s. ����������������������� H. Fessas-Emmanouil, Prestige architecture in post-war Greece: 1945-1975, p. 62. 67 on two buildings by Ernst Ziller. The first was the Excelsior Hotel in Omonia Square, the interior of which was remodeled as a branch of the National Bank of Greece (design 1977-80, technical service of the NBG, architect Grigoris Tsiveriotis), and the second was the restoration of the Othon Stathatos mansion (1887) to its initial state by the architect Pavlos Kalligas (1975-76). From then on, the National Bank became one of the leaders in renovating historic buildings in the capital (e.g. the Melas mansion designed by Ziller in Kotzia Square, which was restored by NBG architects Dionyssis Vlahopoulos and Grigoris Tsiveriotis, in consultation with Yannis Liapis and John Travlos, between 1976 and 1989 and lighted in an exemplary fashion). The example of the NBG was followed by other banks. In renovating heritage buildings of the 19th and early 20th century, a dominant position was held by the architects Pavlos Kalligas, mainly in the northern suburbs, and Alexandros S. Kalligas (b. 1932) in Athens (restoration and remodeling or additions to important buildings such as: the 18th-century building of the NBG Educational Institute in Plaka, 1975-83, associate architect Aristides Romanos; the eclectic National Mortgage Bank building at 40 Panepistimiou St, for which the study was carried out in 1980; and the neoclassical Arsakio designed by Lysandros Kaftantzoglou that is today being used to house the Council of State). Of the recent restorations, that of the Kazoulis villa (1905) in Kifissia stands out, a work by the collaborating architectural firms of M. Tylianakis and Arsy S.A. (Michalis Fotiadis, Eleni Vourloumi, Pantelis Massouridis). And finally, the restoration of one of the most important monuments of 19th-century Athens was masterfully designed and supervised by architect-professor Yannis Kizis (1992-98, collaborating architect D. Levendis, co-supervisor Y. Baibas). This was the Catholic Church of St Dionysios on Panepistimiou Street (1853-65, designed by Leo von Klenze, supervised and amended by Lysandros Kaftantzoglou). But most of the creative renovation has been done on ordinary buildings (e.g. old houses, warehouses) or places with special memories, such as an abandoned factory or a historic site, which can be revitalised by acquiring a new use. Significant instances of such renovation are provided by four theatres and two galleries: (a) on Kykladon St. (1981-82), work by Kyriakos Krokos (1941-1998); (b) the Karolos Koun theatre on Frynichou St (1984-85), work by the Prague Quadrennial award-winning architect Manos Perrakis (b. 1937)11; (c) the I Pyli Theatre-Cultural Centre at 38 Amalias St (1982-83) designed by Agni Kouvela-Panayotatou (b. 1943); (d) the Exarchia Theatre at 69 Themistokleous St (1986-87) inventively renovated by Constantinos Decavallas; (e) the Ileana Tounta Gallery (1985-88), artfully designed by architects Eni Dimitriadi (b. 1943) and Giorgos Drinis (b. 1943); and (t) the minimalist solution of architect Christos Papoulias (b. 1953) for the Epikentro Gallery (1996). It is a known fact that the gap between the protagonists of Athenian urban development and the real creators is widening. The new face of the capital is being shaped by flagrantly commercial architecture, thereby pushing architectural quality to the sidelines or outside Attica. In busy spots or thoroughfares with heavy traffic, such as Kifissias, Vouliagmenis and Syngrou, commercial buildings and complexes of glass, glass-and-mirror, steel, granite and marble impose their 11 In 1991, Manos Perrakis was awarded a gold medal for his theatrical architecture at the International Exhibition of Theatrical Architecture and Set Design in Prague. 68 volume and post-modern or late modern aesthetic on passers-by. With their hard lines, advanced technology, transient decorative style and gaudy luxury, the office buildings underscore the economic power of their tenants, while the shopping centers are shown off as “background” for the heady consumerism and luxurious life of the new ruling classes. Sometimes adorned with imitation pediments and columns, possibly even amputated, and sometimes with eccentric collages of features alluding to both past and present (such as the buildings of Elias Barbalias), they have become the pre-eminent prestige buildings of the capital, but without ensuring the much desired air of the modern megalopolis. Signs bearing the names “I. Vikelas, Architect”, “Babis Vovos” (Construction Company) and “Architect Stelios Ayiostratitis” dominate glass buildings and shopping centres on Kifissias Ave and elsewhere12. Many glass buildings on Kifissias Ave and in the centre of Athens, which were built by “Babis Vovos, International Contractor” are included in the output of Italian architect Vittorio Mazzuconi, who cites the Greek architect Ioannis Vikelas as his associate. The best known of these are the Agora Center in Paradisos Maroussi (12 Kifissias St, 1983-87), the shopping centres and office complexes Amalieion (1985) and Polis Center (19901995) on Kifissias Ave and the Akademia Center (1990-98) in downtown Athens. There is, however, glass architecture that isn’t pushy, arrogant or hostile to the natural or manmade environment, and that has been able to get away from commonplace equations such as: granite or marble + glass + pediment = quality. For example, glass and marble have been used by many architects with moderation, discretion and taste on office buildings, shops, banks, industrial plants, and in cultural activities, or in the design of interior spaces. These architects include: Ioannis Vikelas (e.g. Museum of Cycladic Art, 4 N, Douka St, design 1985), Vassilis Grigoriadis (office building, 3 Bakou St, 1986-90, associate architect A. Panagopoulou), Alexandros Samaras (e.g. the administration building and automobile showroom of the Karenra S.A. - Mandyla Group of Companies on Vouliagmenis Ave, Argyroupoli, 1992, and the office building and the shipping branch of Alpha Credit Bank - Laskaridis Group of Enterprises, 89 Akti Miaouli St, Piraeus, 199698), Michalis Fotiadis (b. 1938) and Pantelis Massouridis (b. 1940) (e.g. office building, corner of Papadia and Adrianou streets, 1976-80, associate architect L. Giannousis), Giorgos Triantafyllou (e.g. jewellery shop in Nea Smyrni, 1986 and showroom for light fixtures, 1987), Babis Ioannou Takis Sotiropoulos - A. van Gilder (various stores in Kolonaki and the Allen furniture showroom, 1995), Takis Koumbis (Tissus-Metridis shop, 911 Ilioupoleos St, associate architect Spyros Milias, et al.), etc. For other architects, glass was to become an outlet for technological and expressive quests. Alexandros Tombazis and his associates combined it with state-of-the-art technology, giving priority to the systematic solution of the psychological, energy and environmental problems of glass architecture (e.g. on the Avax S.A. office building on the slopes of Lycabettus, 1992-93 and 12 Representative examples of the work of Vikelas and his associates during the 1980s - e.g. the Galleria shopping centre in Glyfada (I. Metaxa St., 1980) and others - were published in a presentation of his work by Dimitris Philippides in Architecture in Greece, 21/ 1987, pp. 158-175. Among the more recent works by the firm I. Vikelas & Associates is the monumental office building complex (1990s, 44 Kifissias Ave, Paradissos). A typical work by Stelios Aghiostratitis and his associates is the office complex Anavryta in Kifissia, 1989-90. 69 the office building of GEK S.A. on Alexandras Ave, 1991-94). Pioneering work was done by the A.N. Tombazis Associates firm on bioclimatic design and the utilization of passive energy systems which has received international recognition. Characteristic products of this work in Attica are S. Sofianos’s passive solar energy building in Ekali (“Helios 2”, design 1979) and Solar Village III in Pefki-Lykovrisi (a housing estate consisting of 435 solar housing units built by the Workers’ Housing Organisation, 1979-1989). Quality architecture has been produced, as always in small quantities, by both older and younger creators. And as always, some of them go along with the prevailing fashion, others oppose it, while yet others continue to reflect, experiment and put forward their own personal views on matters of typology, form and the relationship between architecture and history, society, culture and technology. Dimitris and Suzana Antonakakis still hold their critical stance toward the dominant trends, proposing alternatives to the urban and suburban architecture of the capital in their own recognizable way. Among their noteworthy and highly influential works during the period in question is the home of Pavlos Zannas on Filopappou (197880) and the country house in Spata (1973)13. Before his untimely death, architect Giorgos Theodosopoulos (1938-1988) and his colleague Katerina Thanou (b. 1952), with their apartment building in Mets (63 Archimidous and Dompoli Sts, 1980-83), proposed a way to overcome the disadvantages of this type of building. With its 14 different apartments, most of which have their own entrance, the Mets building constitutes a special type of urban maisonette complex in the row-building system. Other interesting aspects of this late modern multi-residence is its robust plasticity, its visual allusions to elements from the Greek architectural tradition, the picturesquely landscaped open space and the continuation of the alternative “dialogue” with the city which began with the Antonakakis’s apartment building on Em. Benaki St. Glass, glass bricks, bare concrete and unplastered bricks are the favourite building materials of the most restless architects, those who, refusing to follow fashion, propose an alternative architecture and intervene with the intention of transforming both the row-building system of Athens and its free-standing one. Of particular interest is the scholarly intervention by the architects Alexandros Christofellis (1946-1991) and Yannis Kouvdos (b. 1949) in Kallithea (office building and showroom of the Kouvdos furniture factory, 218 Thiseos St, consulting architect A. E. Tzakou, design 1985), the radically innovative building by architect Michalis Souvatzidis (b. 1946) on Charilaou Trikoupi St (Eikastikos Kyklos Art Centre, 1992-97) and the bioclimatically designed apartment building in the Attiko Alsos (1985-1993). Despite the differences between the internationalist and theoretical approach of Christofellis and the more empirical gestures of Souvatzidis, with their local ethos, the two architects have a common goal: their work constitutes a conscious act of resistance to trivial, monetaristic, fashionable architecture. Another architect who kept a conscious distance from the new trends was Kyriakos Krokos (19411998). Strongly influenced by the stirring ruins of his homeland, he produced original, creative architecture based mainly on construction quality and on the sound handling of materials. The ����������������������������������������������������������������������������������������������������������������� See Kenneth Frampton (ed.),Atelier 66. The Architecture of Dimitris and Suzana Antonakakis, New York: Rizzoli, 1985, pp. 58-65 and 70-75. 70 few works this architect built before his premature death were the result of genuine sensitivity, talent in painting and a conscious quest. In addition to the remodeled theatre on Kykladon St mentioned earlier, other interesting works by Krokos in Attica are: the Vettas residence in Filothei (1989-91) and the remodeling of the 1970 apartment building in Athens, on the corner of Metaxa and Chiou Streets, as the private Fassianos Museum (1990-95). Noteworthy architecture has also been produced on a free-lance basis by men and women who address the architectural problems of their times with knowledge, a sense of responsibility and talent. Suffice it here to name just a few characteristic examples. Yorgos and Eleni Manetas (b. 1937 and 1939), having assimilated the new currents creatively, renewed the suburban apartment building in terms of function and style. Later, they took up residential-maisonette complexes with success. The quality of complex buildings with special and difficult technology, such as health and welfare units, industrial plants, etc. has improved visibly. Architects Kyriakos Kyriakidis (b. 1937) and Adela Paizi-Kyriakidi (b. 1942) made a decisive contribution to upgrading hospital architecture in the capital with the obstetrical hospitals Lito (1967) and Hera in Holargos (1978, associate architects L. Niakaki and A. Hassapi), the obstetrical and gynaecological clinic Iaso (1993, associate architects A. Zeginoglou, A. Irving, S. Clark, L. Niakaki and G. Bikos) and the Henri Dunan hospital (design 1995, in collaboration with the firms of Harry Bougadellis and of Kostas Xanthopoulos — Margarita Milissi). During these years, apart from his significant private homes, Nicos Valsamakis created a landmark building in Athenian architecture: the Alpha Credit Bank administration building on 44 Stadiou St (1978-1990, associate architect Kostas Manouilidis). An imposing, solid piece of architecture, with harmonious proportions, it expresses the anti-modern spirit of the times, reconciling it with the urban tradition of Athenian neoclassicism. Here, the cultivated talent, experience and knowledge of this tireless creator revitalised in an exemplaiy way the rules of composition and morphology for prestige architecture in the heart of a city with vivid classical memories. This is why the Alpha Credit Bank building had such a great impact, as well as being an object of criticism on the part of those who envision alternative, anti-urban solutions. In his later works, Valsamakis followed a milder neo-modern line. One of the most characteristic trends of the 1990s was the higher level of ideas on the part of younger architects about the city, public space, the relationship between architecture and landscape, theory and practice. These are mainly architects who have a strong theoretical background, but limited practical experience. The awards received by their designs in Greek and international architectural competitions rarely end up unaltered in practice. But they are becoming more widely known through publications, magazines (Tefchos, Architektones, A3, Architektoniki Antilipsi, Metapolis, Ktirio, The World 0f Buildings, etc.), exhibitions, and the informative events to promote architectural ideas and designs that have suddenly proliferated. But this proliferation also has its negative aspect: it can easily lead to sterile “architecture on paper” or to empty theorizing that is unrelated to reality, and for that reason, cannot influence it. In the blending of theory and practice, the presence of Tassos Biris (b. 1942) and Dimitris Biris (b. 1944), architects and professors at the National Technical University of Athens, is dominant. The 71 Biris brothers, with a significant architectural tradition behind them14, have received distinctions in many competitions, mainly owing to their multi-leveled reflections on an open relationship between buildings and the city, their interest in tradition, technology and man, their experimental designs and expressive works, and the bold colors of their structures. The projects they have designed in the capital, although limited in extent, have been praised for their originality, and include buildings such as the National Tourist Organisation refreshment stand and outdoor swimming pool at the Zea Marina in Piraeus (1970-72), their award-winning apartment building in Polydroso, Halandri (1977-80, associate architect M. Kafritsa), the multiple-use building in Galatsi (1976-77, associate architects Tassis Papaioannou and Maria Kafritsa), and the offices of the construction company Elliniki Technodomiki (1998, interior decor by architect Artemis Anninou), and others15. The late modern and neo-modern work by architects Tassis Papaioannou (b. 1953) and Dimitris Isaias (b. 1955) is also a product of investigation and reflection. They were distinguished in nationwide architectural competitions (e.g. their first design award in the competition for the National Resistance Museum and the Electra Apostolou Memorial in Neo Irakleio, which was designed in 1989 in cooperation with architect E. Vassou). Their projects often stand out for their originality and economy of expressive means (e.g. their duplex in Penteli 1989-92, and their office building behind the Athens Tower, 1999). Similar reflections can be found on the part of younger architects with theoretical interests, who intervene experimentally in both the urban and the periurban space. I would mention indicatively the projected intervention by the architect Amalia Kotsaki in the last unconstructed lot on Solonos Street, with the erection of the Nikotian Pianos building (design 1999, collaborating architect Thanassis Moutsopoulos). An attempt is made on this Athenian building to test the solution of aesthetic isolation from the street through an optic filter which gives the building its own internal façade16. Other architects with strong theoretical background have creatively assimilated the codes of the prevailing current trends, the trends of post-modernism, deconstruction and neo-modernism. Some of them create works that transcend their foreign models aesthetically. Typical examples of such efforts are: (a) the Michaniki office complex in Maroussi, a work by architects Andreas Kourkoulas (b. 1953) and Maria Kokkinou (b. 1956), with their colleague Yannis Peponis as consultant and associate architects L. Giannousi, I. Ditsas, E. Leptourgou, I. Bertaki, K. Paniyiris and T. Panou (1993-96); (b) the deconstruction-style Emfientzoglou home in Anavryta (1991-96) ������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� Tassos and Dimitris Biris are the sons of architect Kyprianos Biris who, apart from his voluminous interwar and postwar architectural work, was a regular professor of construction and dean of the NTUA School of Architecture, as well as under-secretary for Development (1974-77). Their uncle was architect Kostas Biris, who wrote the monumental book Athens from the 19th t0 the 20th century, Athens 1995. ����������������������������������������������������� See the monograph devoted to the two architects in Architecture in Greece 27/ 1993 (edited by A. Giacumacatos), pp. 44-122. ���������������������������������������������������������������������������������������������������������������� Amalia Kotsaki has received awards in a good number of architecture competitions, the most important of which was the European Competition Europan 2 on the theme Intervention in four squares of Medieval Rhodes in which she collaborated with the architect Rozalia Christodoulopoulou. She also obtained the 2000 Athens Academy award for young architects (under 40 years old). 72 originally designed around a curved central corridor 200 m. long, with loosely articulated areas and a great variety of volumes, scale and views, a work by architects Katerina Diakomidou (b. 1955), Nikos Haritos (b. 1959) and Christos Papoulias (in the first stage of the study), which was short-listed among 35 candidates for the Fifth Mies van der Rohe Award for European Architecture; and (c) the A. and E. Papadopoulos residence (1992) at 31 S. Karagiorga St, Aghia Paraskevi, a bold work by architect Georgios Panetsos (b. 1960) who had both the ability and theoretical background to express the deconstruction spirit of the age in an inspired way. And finally, there are also young architects who have been able to get away from trendy neomodernism, i.e. from the formalist revival, or the superficial appropriation of the modern architectural heritage. Their abilities and education make it possible for them to express the true spirit of the Modern Movement through their own new creations and to prove its value over time. This group includes the home in Kiourka (design 1988-89) by architect Pantelis Nicolakopoulos (b. 1954), which stands out because of its clarity and quality on all levels: composition of volumes, articulation of functions, form, inclusion in the landscape and technology . These are virtues reminiscent of works by the protagonists of architecture in the 1960s, Takis Zenetos, Nicos Valsamakis and Aris Konstantinidis17. ���������������������������������������������������������������������������������������������������������������� The residence designed by Nicolacopoulos in Kiourka was selected, as was his Emfientzoglou home, among the 35 projects to receive the Fifth Mies van der Rohe Award for European Architecture (1996). Nicolacopoulos was one of Greece’s main participants in the 7th International Exhibition of Architecture, Venice Biennale 2000. 73 Aris Konstantinidis, selezione di brani da On Architecture (da Paola Cofano e Dimitris Konstantinidis, Aris Konstantinidis 1913 – 19993, Milano 2010) Il problema [...] Perché sempre, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, l’autentica architettura è stata e sarà l’architettura per quel determinato paesaggio, I’architettura per quella determinata persona, I’architettura per quel determinato clima [...] Nota preliminare alla monografia Aris Konstantinidis [...] Tutta la nostra vita, tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere sono registrati e conservati nell’autentica opera architettonica, in modo che la qualità della nostra presenza contrassegni il corso della storia e del mondo. E allora oggi, come in ogni “bella” epoca, ci soffermiamo su tutte le leggi per una vita, si fa per dire, più confortevole (quante parole d’ordine salvifiche non dilaniano la nostra carne e la nostra anima...), e vediamo nel profondo dell’anima, nel profondo del paesaggio, persino nel profondo della luce e delle ombre della materia, che è deteriorabile ed effimera e presuntuosa e pusillanime. E iniziamo (perché ogni volta, sempre, è come se ricominciassimo daccapo) dai dati più fondamentali e positivi: la persona per un verso, il clima e il paesaggio per un altro. E sulla scorta della memoria (la memoria interiore) del passato, e sulla scorta dell’entusiasmo e della fiducia nel futuro, tentiamo di comporre, oggi per noi, uno stile di vita semplice e comune a tutti, per edificare poi, con la mente e con il cuore, gli spazi della nostra vita (nella lingua strettamente tecnica diremmo i contenitori della nostra vita), secondo uno spirito che tende alla qualità totale, per quanto è consentito dalla nostra levatura, per quanto può la nostra anima. Infatti, soltanto se vogliamo un buono e comune stile di vita possiamo produrre un’architettura autentica, ossia opere belle e di tutti, subordinando tutta la “tecnica” e tutta la nostra attrezzatura meccanica e materiale a uno spirito che si batterà a favore della qualità e della verità [...] Ogni costruzione del passato é in rapporto con le nostre attuali problematiche [...] Vorrei dire, inoltre, che nella nostra battaglia odierna per una vita autentica e una esistenza spirituale non bastano semplicemente il sapere contemporaneo e i mezzi (tecnici, scientifici e altri ancora) di cui dispone la precarietà dell’oggi. E, quindi, non è soltanto del presente che abbiamo bisogno per edificare qualcosa di contemporaneo (perché così saremmo destinati alla solitudine e all’abbandono...), ma anche di un qualcosa del passato che, simile un donatore di sangue, ci salverà quotidianamente, cosi come il corpo di un neonato si fa e cresce anche con il nutrimento che accetta dai suoi padri. E la conclusione e: cerchiamo di trovare sempre, negli edifici delle epoche più remote, lo spirito genuine dell’atemporale, dell’eterno, e su di essi esercitiamo la nostra menta alla carriera cha la offrirà una vita a un’arte contemporanea dignitosa. E ancora: sa noi uomini di oggi saremo genuini e autentici nella nostra più nuova formazione intellettuale, allora riusciremo a vedere e a scoprire quella verità che aveva conquistato chi ci ha preceduto [...] Architettura [...] Comunque, anche noi abbiamo oggi qualcosa di diverso nei confronti di chi ci ha preceduto: il modo con il quale veniamo a contatto con il nostro habitat naturale. con la natura a il paesaggio. Perché oggi amiamo il paesaggio e la natura diversamente, quando rivendichiamo di vivere in modo più salubre, quando facciamo dello sport, quando ci rapportiamo al paesaggio a alla natura non come immagine, ma coma spazio vitale. E viviamo nella natura, con la natura, cosi come viviamo negli ambienti interni. E la novità, e si tratta di una novità assoluta, nell’architettura contemporanea, é che miriamo a collegare il dentro con il fuori in UN insieme armonico. [...] E se l’architetto è evidentemente in primo luogo soprattutto un costruttore, tuttavia egli è, in fondo, un ispirato organizzatore della vita, che compone spazi e plasma forme, secondo 74 intelligenza, vitalità e principi etici. Quando la sua opera esiste come un organismo vitale, cosi come anche I`essere umano che ci vive e ci abita à un organismo vitale, allora l’ameremo e la faremo nostra. Architettura contemporanea o tradizione anonima [...] Ma facciamoci adesso una domanda sostanziale: perché costruiamo? Perché facciamo architettura? “Perché la natura non è per niente confortevole, perché se la natura fosse confortevole scriveva ai suoi tempi Oscar Wilde - il genere umano non avrebbe escogitato I’architettura”. Ecco un’osservazione e una constatazione molto giuste. Infatti, non potendo vivere completamente nudi in mezzo alla natura, abbiamo accettato un abito per il nostro corpo, poi un tetto e delle pareti. E abbiamo preservato il nostro corpo (dal freddo, dal caldo, dalla neve, dalla pioggia) quando gli abbiamo dato un rivestimento (con un tessuto, con un tetto, con un muro) anche quando costruivamo (e costruiamo) contenitori per una vita più confortevole, ossia case, in una scala che ci si addice e per tutte le necessità, sia psichiche che materiali. E non costruiamo, tuttavia, contro la natura, ma costruiamo con la natura, ossia in un’armonica correlazione con essa. E poiché, come già si diceva, non abbiamo bisogni soltanto materiali, costruiamo anche con la forza del cuore. Per vedere, cioè, la natura che ci circonda, sia con i nostri occhi che con i nostri sensi - e con gli occhi della nostra anima - per tenere, inoltre, gli occhi aperti, spalancati, per cogliere tutti gli aspetti che i vari paesaggi sono in grado di offrirci (colline, montagne, pianure, terra e pietre e rocce, ma anche mari), pur senza ignorare, ovviamente, anche le condizioni climatiche prevalenti nel vari paesaggi, perché in base a esse troveremo come costruire di volta in volta nel modo più corretto i contenitori della nostra vita. E così è sempre accaduto, in ogni epoca, per ogni persona e da parte di ogni persona, in tutte le civiltà. E a questo punto vorrei sostenere che il clima (con le sue temperature, con la sua umidità e con i suoi venti), il paesaggio (con le sue montagne e le sue colline, con la sua terra e le sue pietre e le sue rocce e le sue acque) e il determinato momento storico e temporale, plasmano e formano, in una certa ma decisiva misura, Io spirito e I’anima e il carattere di ogni persona (la nota teoria di Taine). E allora vorrei ripetere che ogni architettura, come ogni persona, si sviluppa e si modella in accordo con il paesaggio che la circonda (per non dire che la genera) e in accordo con il clima che predomina in ogni singolo ambiente naturale, anche se altri fattori giocano un ruolo importante: le condizioni socio - politiche, economiche e tecniche, o vincoli che dir si voglia, i progressi scientifici e tecnologici, al pari delle svariate scoperte che spesso scuotono la tranquillità della vita quotidiana. Tuttavia, se e vero che tutte le civiltà e tutte le epoche si sono date la loro architettura, con la tecnica come loro principale strumento, é altrettanto vero e certo che in tutte le epoche le autentiche forme architettoniche si manifestavano in accordo o in rapporto con quel dato ambiente naturale. Ed è così che tutti gli uomini si sforzano sempre di dare un qualche significato, un qualche contenuto, un qualche schema e una qualche forma alla loro vita, costruendosi la loro architettura con I’aiuto e la collaborazione del paesaggio naturale. In modo da farci dire che, 75 nel caso dell’architettura, l’arte non e poi tanto disgiunta dalla natura. Ossia che l’architettura elaborata dall’uomo (l’arte) non è disgiunta dall’architettura che costruisce la natura stessa, con le sue montagne, le sue colline, le sue pianure e le sue rocce. E se talvolta in una costruzione realizzata dall’architettura umana abbiamo l’impressione di riconoscere le linee o gli schemi o la morfologia che caratterizzano qualche paesaggio, non dovremmo affatto stupirci se ci capiterà di verificare, in qualche inaspettata circostanza, che un determinato paesaggio, con le sue montagne e le sue colline, ci riporta alla memoria le linee, gli schemi e le forme che avevamo amato in una o più opere architettoniche del nostro tempo o di un’epoca passata [...] L’architettura oggi [...] E quindi oggi creiamo ambienti vitali nei quali l’edificio e il paesaggio compongono insieme un organismo - un complesso sintetico ed estetico - tale- da rendere l’architettura il nido della nostra vita, Io spazio della nostra anima. Ludwig Mies Van Der Rohe. Ottant ’anni [...] Quando ero un giovane studente (1931-1936), amavo e ammiravo Mies per la sua onesta posizione in un mondo dove ogni talento inventava ogni giorno una nuova architettura. E oggi sono in grado di apprezzare il suo pensiero limpido e la sua creatività nel progettare artisticamente, come qualcosa di esemplare. E se a volte mi capita di avere I’impressione che i suoi edifici appaiono in un certo senso monotoni e molto legati al presente, e che ospita tutti i problemi edilizi, ossia tutte le funzioni della vita, sotto Io stesso edificio - scheletro sempre identico, in modo tale che qualsivoglia edificio (abitazione, scuola, museo, sala per concerti o addirittura chiesa) si presenta all’esterno sempre e solo come una scatola di vetro (e quindi il suo aspetto non parla del suo mondo interiore), devo comunque osservare che quando Mies diceva che “il minimo è il massimo”, con questo aforisma indicava una delle strade più giuste per il futuro dell’architettura contemporanea. E devo notare inoltre che Mies ci ha indicato, con il suo lavoro, che in architettura sentimento e ragione, razionalità e visione onirica, devono cooperare [...] Architettura e turismo [...] Forse per una inquietante maggioranza del nostro Paese si pone oggi il problema del turismo e si sostiene con fanatismo che prima di tutto si deve unilateralmente nutrire un corpo e che prima di tutto dobbiamo soddisfare unilateralmente i nostri bisogni materiali. Come se fossimo un popolo bambino, che per la prima volta vede la luce del monde. E in seguito - dato che c’é tempo - pensare allo spirito e all’anima, ai principi morali e alla bellezza, all’amore, alla passione e al sogno. Come se non sapessimo che la vita ha una sua complessità e che ciascuno (singolarmente e tutti insieme) vive in realtà di tutto, vive del denaro, del corpo, delle spirito, della qualità, del paesaggio e dell’arte. Per amare, per sentire, per avere accanto a sé anche amici e non soltanto estranei. E, infine, in modo da non sfruttare soltanto ciò che ha avute gratuitamente in fatto di paesaggio, clima, monumenti, tradizione e storia, ma vivendo tutto questo e nutrendosi della sua bellezza. Disperazione e strazio ti assalgono quando vedi che il Paese sfiorisce perché vogliamo 76 organizzare una industria del turismo senza lasciare in piedi niente d’intatto e d’incontaminato, nemmeno l’angolo più minuscolo, nemmeno il più minuscolo paesaggio o monumento. Per spalancare le braccia a tutti i turisti, alle folle che con il passare del tempo diventano orde, aggressive e implacabili. E ciò che abbiamo fatto fino a oggi nella nostra quotidiana attività edilizia (case, sobborghi ecc.), con la quale abbiamo disseminate alla rinfusa e disordinatamente, in tutti i paesaggi, bruttezza e scompiglio e affollamento, lo trasferiamo adesso anche alle opere turistiche, con gli insediamenti turistici, su montagne, coste e isole, in fortezze e antiche città, ignorandone la storia e Io spirito, accanto a inestimabili siti archeologici [...] Contenitori di vita o il problema di un’autentica architettura [...] Ed è ciò che fece anche il primo uomo in ogni territorio, in ogni clima, cercando di trovare un modo per proteggersi la testa e anche il corpo, di trovare una copertura per potervisi ficcare sotto. E la trovò, prima sotto un albero o sotto una roccia sporgente o all’interno di una caverna, e in seguito sotto una tenda (di fogIiame o di pelle) o sotto un ombrello, e queste due costruzioni sono, direi, la prima opera architettonica. [...] L’architettura quindi ha, soprattutto e in primo luogo, funzione di copertura a poi qualunque altra. E ogni casa è, essenzialmente, un tetto. Perciò, ritengo cha possa facilmente esistere una casa cha sia solo tetto, cioè senza muri, sotto la quale sentirci protetti, mentre non possiamo avere una casa fatta solo di muri, senza tetto. Perché in questo caso non ci sentiremmo per niente a nostro agio, trovandoci con la testa scoperta [...] Contenitori di vita o il problema di un’autentica architettura Ma il problema non si risolve soltanto con il tetto. Intendo dire che dobbiamo trovare il modo di fissare questo tetto a una certa altezza sopra le nostre teste. Naturalmente questo modo I’abbiamo trovato con qualche altro sistema costruttivo, ossia con muri o con pilastri che mantengono il tetto più in alto o più in basso. Con muri di pietre o con pilastri di legno, in questo secondo caso costruiremo un telaio a sostegno della costruzione del tetto. Ma ai giorni nostri, anche su pilastri di cemento può poggiere un tetto, che a sua volta è dello stesso nuovo materiale, oppure su pilastri di acciaio, con una struttura sottile come una tela di regno che sostiene il tetto, mentre i muri che delimitano i vari ambienti non sostengono niente. Ho comunque l’impressione che, in tempi più remoti, anche i nostri avi, che non avevano i nuovi materiaIi di cui disponiamo oggi, o che lavoravano quasi esclusivamente con materiali naturali (pietra o legno), lavorassero a una struttura, persine con la pesante e corpulenta pietra. infatti, anche quando costruivano con la pietra come si trova in natura (con il legno costruivano a loro volta delle strutture) facevano una differenziazione tra gli elementi costruttivi, che dovevano portare tetti o s0ffitti, e tra gli elementi che non dovevano sostenere né tetti né soffitti, ma che delimitavano soltanto uno spazio rispetto al territorio circostante oppure separavano spazi interni in stanze grandi e piccole. Quindi oserei dire che anche in tempi remoti il buon edificatore che cercava di differenziare gli elementi portanti dagli elementi non portanti, costruiva a sua volta delle strutture anche con la pietra, permetteva cioè alla pesante e corpuIenta pietra di lavorare staticamente, come una struttura portante, perché anche allora era di primaria importanza dare 77 sostegno a un tetto prima, e poi chiudere i vari spazi con dei muri. E, nei limiti che la pietra gli imponeva, l’antico artigiano ne limitava le dimensioni per costruire anche pilastri sempre di pietra. come possiamo verificare non solo nei templi antichi, ma anche nelle chiese gotiche, nelle quali il loro primordiale spirito costruttivo esige una struttura portante nella misura in cui Io consente il materiale della pietra. Una struttura che si presenta un po’ corpulenta e più monumentale, mentre le nostre strutture a telaio odierne (di cemento armato e di acciaio) si rivelano più sottili e leggere. Le chiese gotiche si ergono ancora oggi come se fossero costruite con uno dei nostri odierni materiali, come se fossero telai (nella loro struttura costruttiva) di cemento armato, mentre sono di pietra. E con un’audacia, un’audacia costruttiva, che è davvero ammirevole e nello stesso tempo d’avanguardia. A questo punto s’impone una conclusione: l’architettura nacque in ogni luogo per offrire un tetto, per coprire. E, costruttivamente, l’architettura cerca di trovare una struttura che sosterrà un tetto ad una determinata altezza sopra la superficie della terra. E compone spazi, interni ed esterni, a seconda del clima di ogni luogo. E dove il clima è inospitale e il paesaggio buio, l’uomo si chiude dentro. Mentre là dove il clima è mite e ospitale e il paesaggio bello e luminoso, l’uomo vuole stare fuori. E tutto il gioco in architettura sta, quindi, nell’organizzare lo spazio del paesaggio in modo da viverci bene e comodi, in ambienti talora più chiusi, talora più aperti e, molto spesso, contemporaneamente in ambienti chusi o aperti o semiaperti, in stanze, cioè, e in cortili, ma anche sotto tettoie e porticati. Infatti, da che mondo è mondo, in tutti i paesaggi e in tutte le epoche (sempre in relazione al clima del posto), l’uomo non ha costruito soltanto ambienti chiusi o aperti, ma ha costruito anche ambienti semiaperti, ambienti di passaggio che stavano tra il dentro e il fuori. Per consentire a tutti di passare nelle loro occupazioni quotidiane (sia negli edifici pubblici che privati) moltissime ore sotto porticati, tettoie e vestiboli. E non solo nelle località più meridionali e calde dove |’architettura aveva vissuto, già nei tempi più remoti, i suoi momenti più felici con porticati e tettoie in ogni edificio, ma persino nelle località più settentrionali, umide e buie. Anche lì, infatti, c’erano alcune città (e case) fin dall’antichità comode e belle, perché anche i nordici modellavano gli edifici e le piazze delle loro città con porticati, tettoie e atri. Non tanto, forse, per imitare coloro che vivevano in climi più caldi, ma perché anche nei climi nordici è possibile stare e muoversi, con il freddo e con la pioggia, sotto un porticato e sotto una tettoia, in uno spazio di passaggio semiaperto, e sentirsi comodi e a proprio agio e godersi la vita [...] Nell’architettura greca gli spazi di passaggio semiaperti furono sempre un elemento primordiale, organico e compositivo. Cortili, tettoie e vestiboli a Cnosso e a Festo, nei monasteri bizantini, cortili e tettoie anche nelle semplici case, a partire dai tempi di Omero fino a oggi, laddove l’architettura greca è anonima ed esprime ciò che esigono il paesaggio e la natura, in conformità a quanto tutti gli abitanti dello stesso paesaggio vedono e si curano di avere come necessario e indispensabile [...] Quanto più anche oggi ci sforziamo di perseguire qualità e perfezione (per cos’altro vale la pena sforzarsi?), tanto più vediamo emergere soluzioni che già in passato, in tempi molto remoti, erano emerse per l’uomo e per il sue ambiente naturale, ossia per ogni singolo paesaggio. Ogni edificio spunta (e l’architettura è questo) in ogni singolo paesaggio, al pari di un albero o di una pianta, per formare un tutt’uno. 78 Ma perché tutto ciò (pur così ovvio) accada serve innanzi tutto qualcos’altro: una fiducia e un amore per la vita di oggi come per l’uomo nuovo. Allora il primo e basilare punto di partenza per qualcosa di contemporaneo non possono che essere la vita odierna e I’uomo odierno. E non importa se ciò che costruiamo è nuovo o senza precedenti, ma se ciò che costruiamo è qualcosa di necessario e di autentico. Perché, come disse giustamente un saggio (Lichtenberg): “Il nuovo non è sempre vero e il vero non è sempre nuovo”. E nell’opera architettonica che è contenitore di vita, non vediamo un eccentrico gioco dettato dalla moda o il parto che vuole essere la dimostrazione di una qualche ricchezza e imposizione e violenza sociale (oppure un’orgia di funambolismo tecnico), ma ci vediamo la personificazione di tutto il nostro essere, l’espressione del nostro mondo interiore, in una Iingua che ne salvaguarderà lo spirito, l’equilibrio e la qualità. E in questo caso, I’autentica architettura (per ogni luogo e per ogni persona) non è una entità plastica immota, davanti alla quale ci poniamo come semplici spettatori soltanto per riverirla, ma è una cosa viva alla quale lavoriamo e con la quale viviamo (e che a sua volta vive con noi), nello spazio del paesaggio e nel suo proprio spazio, ma anche nella durata della sua vita. Dunque niente è per definizione ultimato una volta per tutte. Ma tutto, cioè ogni opera architettonica autentica, è qualcosa d’incompiuto e questa sua incompiutezza ne costituisce la sua compiutezza in quanto, per vivere davvero deve poter essere ricreato assecondando ogni nuova necessità della vita. Simile a uno strumento flessibile (strumento di vita) che ingrandisce o rimpicciolisce per accogliere quanto e veramente reale e necessario, oggi e domani e dopodomani. E che sarà anche bello (e soltanto così sarà realmente bello) poiché risolverà nel corso degli anni problemi vitali basilari e fondamentali affrontandoli come disse il poeta (Goethe) “con occhi che sentono e mani che vedono”. Una lettera aperta [...] E non resisto alla tentazione, carissimo signor Doumanis, di non ricordarmi adesso di un caso molto pertinente e caratteristico (non bisogna dimenticarsi di niente: il passato illumina il presente e viceversa). Un caso reale che mostra chiaramente quale linea e quale tesi lei segua a proposito di questo così bollente problema dell’architettura nel nostro Paese, nel momento in cui molti di noi architetti, con gran fatica e travaglio, ci sforziamo di fondare un’architettura autentica. Che in quanto autentica, sarà anche greca. Quando, cioè, anche lei permette che vengano alla superficie della nostra vita architettonica opere architettoniche che si contrappongono alla verità e a quanto è imperiosamente utile e necessario. Promuovendole largamente e “senza prudenza, senza pietà, senza pudore” (per ricorrere ancora una volta a Kavafis) quando lei dovrebbe quanto meno ignorarle. Come lei fece in quel direi incredibile parto pubblicato nel fascicolo 2/1971di Problematiche degli spazi interni, una sua edizione parallela accanto ad Architecture in Greece, alle pagine 57-66. Un’architettura assolutamente proibitiva - e non lo dico solo io... – per i nostri giorni. E in uno spirito di frainteso eclettismo (ammesso che l’eclettismo abbia una qualche giustificazione nell’architettura della nostra epoca), dove tra spazi interni ed esterni s’intrecciano, verbosamente, pletoricamente, ostentatamente e con cattivo gusto, i più incredibili elementi tradizionali: terrecotte di frontoni 79 di edifici classicheggianti incorporati nel piedistallo di un tavolo in muratura; architravi cicladici a loro volta incorporati, I’uno sopra l’altro, in un muro: croci scolpite e candelieri di vecchie chiese un po’ qua, un po’ là in posizioni strategiche; vecchie cassepanche, una grata di una moschea musulmana; un tavolo ispanico accanto a icone bizantine, e un vassoio d’argento della corazzata Averoff [...]; e vasche e fontane e imboccature di pozzi, che sono stati sistemati e disposti in posizione verticale nei cortili perché fanno una bella decorazione, come spiega con grande modestia il proprietario (tipo castellano) nella Abitazione a Liopessi. E tutto ciò naturalmente combinato con le esigenze della vita contemporanea (bagni rivestiti di marmo, celle frigorifere e cucine rivestite a loro volta di tavole di legno...) per valorizzare e preservare [...] la tradizione greca. Come chiarisce il castellano quando fa da guida ai turisti che vengono a vedere la grande impresa (ci sono capitato anch’io in una simile visita guidata) e tutti, o quasi tutti i turisti se ne vanno affascinati ed entusiasti. Come entusiasta e (a buon diritto) anche il cicerone, perché su un tavolo ha collocato, come per caso, anche il suo suscitato fascicolo (il 2/1971di Problematiche degli spazi interni), nel quale è presentato il suo lavoro [...] riconosciuto anche da una rivista di architettura [...] Mykonos [...] La verità e che il bianco della calce nell’Egeo, sotto un cielo e un sole così luminosi, diventa spesso - e quando il paesaggio è quasi del tutto privo di alberi - fastidioso e accecante per gli occhi. Per un altro verso, tuttavia, combatte in un certo senso il caldo e mantiene le case fresche, come se le rivestisse di un abito bianco, Io stesso che molte persone indossano d’estate per preservare il loro corpo dalla calura. Forse è questa una ragione per cui a Mykonos tutte le case sono bianche. Bianche come se fossero africane e non greche, quando i colori di Polignoto (il colore del mattone abbinato all’ocra e al nero o anche all’indaco) legano meglio ogni casa tinteggiata in questo modo con il paesaggio che la circonda. Cioè con il paesaggio greco, il cui grande pregio non risiede soltanto nella sua qualità plastica e nella sua nitidezza, ma anche nella sua bellezza cromatica. Quindi, anche ogni architettura che si voglia integrare bene in questo paesaggio greco (e sotto un sole accecante), non può che mostrare di amalgamarsi anche con il colore. Combinazione che era stata risolta molto felicemente degli antichi Greci nei loro templi e nelle loro sculture, i quali, come diceva cosi giustamente Rodin, cercavano e trovavano le forme insieme al colore. E, come dice ancora Io stesso scultore, la forma ben modellata offre il colore, e il bel colore offre, ossia sorregge e giustifica, la figura tutta intera. Eppure questo candore che intende rinfrescare le case e che le mantiene pulite, ha una sua bellezza e grazia, anche se acceca e non amalgama ogni edificio con il suo ambiente naturale. Perché questo generalizzato imbiancare con la calce viva ha anche, forse, una sua bellezza morale, volendo mostrare, come se si trattasse di una legge a sua volta morale, che anche I’anima (e non solo il corpo), e la vita umana nella sua totalità, vogliono e devono essere lavate e pulite [...] Ma, prima di abbandonare queste case con una sola stanza, osserviamo qualche altra casa, anch’essa disseminata in campi a pendii, parsino su arenili, cioè le piccole cappelle dell’isola, cha tanto assomigliano, nella loro pianta, alla casa con una sola stanza, anche se queste ultime sono 80 case par esseri umani, mentre le prime sono case di Dio. Infatti, là dove nelle casette si trova il mezzanino par dormire, nelle cappelle si trova l`altare, dietro una piccola iconostasi. E ancora: coma nella casetta con un solo ambiante, davanti alla porta c’è un piccolo cortile, così nella cappella c’è un piccolo sagrato. Si potrà così osservare che entrambe, casa a cappella, sono elaborate secondo Io stesso modello, se non con le stesse dimensioni. Una soluzione formale comune per Dio a per |’uomo, par cui sia l’uno cha l’altro abitano gli stessi ambienti. Tra le due una piccola differenza esiste: la cappella è alloggiata in una copertura ogivale, mentre la casetta à coperta da una terrazza orizzontale. Si tratta, direi, dell’unico elemento morfologico cha ci permette di distinguere questa casetta dalla cappella. Perché nel loro aspetto esteriore, a in particolare nella loro facciata, casetta e cappella si stagliano con la stessa fisionomia, come volti umani, con occhi che ti guardano e con bocche che parlano. E che ti sfidano, quindi, a conoscerla anche nel loro spazio interno che, in particolare nella cappella, ti offrirà un’ulteriore gioia, una sorta di stupore inaspettato. E questo stupore te lo causa la piccola iconostasi lignea tinteggiata con colori intensi, gli stessi dalle barche a dei caicchi, luminosi a pieni di vita, che diventano ancora più espressivi grazie alle tendine di semplice cotonina sempre dai colori vivaci, che ogni donna compera nei negozi giù al porto, e con i lumi ad olio accesi dalla mattina alla sera e le piccole icone, la maggior parte delle quali sono ben fatte. E se la facciata esterna, in ogni cappella, appare simile a un volto, come ho già detto, ogni piccola iconostasi ti si presenta come un ricco abito di buona fattura sul corpo snello di una ragazzina.[...] La semplice verità é che in questa isola, Mykonos (come succede anche in altri paesaggi greci), che si tratti di case, di chiese, di cappelle, di mulini a vento, di colombaie, di muri di cinta, di muretti, di cortili lastricati, di vicoli o vicoletti, ovunque o comunque s’impongono la qualità, fatta di vita o di luce, e forme ben tratteggiate, testimonianze di un linguaggio sublime. Quando cioè ogni edificio, ogni architettura é come un pensiero, come una profonda meditazione, come un atto poetico (“poeticamente abita |’uomo [...]”, diceva Holderlin in una delle sue ultime poesie) in un mondo che non può essere soltanto razionale, quando può essere anche bello [...] Architettura e tradizione, con riferimento al programma dell’EOT sugli insediamenti tradizionali [...] Tradizione non significa copiare gli elementi morfologici esteriori della vecchia casa, e se Io facciamo con materiali e criteri costruttivi contemporanei non produciamo architettura, ma scenografia. Mantenere in vita la tradizione significa essere uomini del proprio tempo e produrre opere moderne e innovatrici. Quindi mantenere in vita la tradizione non significherà dare vita alle stesse case di ogni epoca del passato (quale altra epoca con ambizioni creative Io ha mai fatto?), ma vorrà dire bandirla per sostituirla con altre nuove, in quanto i vecchi edifici li vedrai come defunti, cosi come quando una persona anziana cessa di vivere carica di anni, il suo posto viene preso da un suo giovane discendente [...] Arte contemporanea a tradizione [...] Ciò che chiamiamo tradizione altro non è che la vera essenza che ogni epoca (intenzionalmente o anche involontariamente) trasmette all’epoca successiva, e che |’epoca più recente accoglie 81 consapevolmente, avendola prima trovata - o meglio, ritrovata - attraverso una sua forza più moderna e fiduciosa. E ciò naturalmente significa che I’epoca più moderna accoglie le vecchie verità, poiché essa ha prima trovato autonomamente la propria verità, constatando allora che, quanto avevano trovato, detto e creato a modo loro gli antichi, Io trovano, Io dicono e Io creano di nuovo, identico e invariato nella sua sostanza essenziale, i loro eredi, in un modo tutto loro. Infatti succede questo: mentre oggi ci affanniamo a creare qualcosa di perfetto e di autentico (se no a che pro faticare tanto?) vediamo che riusciamo a creare cosa che sono esistite già tantissimi anni fa. E allora a come se ogni nuova epoca non possa creare niente di originala, dato cha tutto già preesiste. Ma si tratta di una constatazione cha non ha nessuna connotazione negativa per ogni epoca cha sia via via succeduta e per ogni creazione artistica contemporanea. Anzi, presenta una connotazione positiva, se siamo disposti ad accettare (e dovremmo farlo se c’importa lavorare con autenticità) che può esistere qualcosa di autenticamente contemporaneo, di perfetto per il giorno d’oggi, proprio perché ieri è preesistito qualcosa di autentico a di perfetto e sia perché in seguito verrà qualcosa di perfetto a di autentico, in un domani, in una qualche epoca futura cha a sua volta racchiuderà in sé il mondo di una autenticità a di una perfezione sempiterne [...] 82 Yannis Aesopos, Polykatoikia as an Urban Unit (pubblicato come Die ‘Polykatoikia’ als Modul der modernen Stad, in Bauwelt, nr.29, 2004) The infinite repetition of these indifferent buildings (the polykatoikias)…creates, in the end, a particularly civilised level of urban construction, with no other like it in any other place of the contemporary world. Kenneth Frampton, 1987 Urban Unit: Structure and Program What took place during the after-War modernisation period of the 1950s and 1960s in Greece was a rapid urbanization process that transformed the Greek cities into large urban centers –modern cities par excellence– based on the development and the infinite repetition, in numerous variations, of the flexible, multi-programmatic building type of the poly-katoikia (= multi-dwelling), the apartment building, which can be considered as the contemporary Greek city’s “urban unit”. The polykatoikia is the Greek realisation of Le Corbusier’s “Dom-ino System”: a concrete frame of repetitive concrete slabs that incorporates a staircase and an elevator shaft. The result is a building type that offers construction simplicity, economy and durability, a prototype to be repeated infinitely, a basis for a new vernacular architecture of modernity. Based on its structural logic –concrete frame and non-bearing walls- the polykatoikia can be completed and occupied in stages remaining for periods of time in an unfinished state. In fact, the building’s state and degree of completion often represents the inhabitants’ family condition: as the family expands, an additional floor or part of a floor can be completed to offer living space for the new family members. The polykatoikia’s program, though initially prescribed as housing (remember: polykatoikia = multi-dwelling), is adapted to the flexible construction system offering innumerable alternatives: housing, office, ministry, store, warehouse, manufacture, restaurant, laboratory, super market, coffee-shop, fast-food restaurant, furniture exhibition space, bar, car-repair shop. Constructing the City The polykatoikia’s success in offering a pragmatic response to the pressing demands of modernisation was manifested through its repétition différente and resulted in an intense “private urbanisation” that led to the construction of a “private city” made up of repetitive polykatoikias. This private urbanisation process, often with minimum organization or programming, produced space that was indeed based on the small-to-medium scale of the unit itself and not on any largescale organising master plans. Due to the pressing character of this process, no time or attention was paid by neither the state nor the architects to the design and significance of public space which remained undesigned and neglected and constantly treated as a residue of private space. The small-to-medium scale character of the contemporary Greek city was also fostered by the division of urban land into small lots that suggested multiple smallsize land-owners and an increased difficulty for any large-scale development. At the same time, contrary to what took place in other 83 European countries, the Greek state chose not to be involved in housing production, giving up the entire field to private small-to-medium size contactors. The contractors did not actually purchase the lot on which they would build, but rather, through the system of “antiparochi”, took hold of the land by exchanging it with a percentage of the future building, a specific number of future apartments. Legal Framework The development of the polykatoikia can be viewed through the development and transformations of the building regulation that was each time in effect. The most important General Building Regulations (GBR) that operated as the legal framework for the production of the Greek polykatoikias were those of 1929, 1955, 1973 and 1985. The polykatoikia started its life before World War II as a high-income urban dwelling produced in small quantities. Prerequisite for its existence was a law passed by the Greek government in 1929 that instituted horizontal property; from then on parts of the same building could belong to different owners. This law acted as a precursor to the first GBR that was passed in the same year. The 1929 GBR specified maximum street elevation height at 120% of the street’s width; beyond this height one top floor apartment could be set back from the elevation (the “retiré” apartment). The same GBR allowed balconies as well as enclosed volumes (the “Erker”) to cantilever 1.40 meter from the building’s elevation, producing interesting sculptural plays on the building’s street elevation. The buildings constructed according to the 1929 GBR were the first modern architectural realizations in Greece and are collectively known as the “Bauhaus polykatoikias”. As already mentioned earlier, Greece’s post-War reconstruction effort led to the rapid urbanization of the country’s major cities, especially Athens. The polykatoikia was the unit of this urbanization process and the vehicle for economic development. The first post-War General Building Regulation passed in 1955 sought to support the building boom that was under way. It disengaged the street elevation height from the total building height, a regulation that resulted in the production of more and wider “retirés” (set-back apartments) and a stepped section; the retirés, though not as large in surface as other apartments on lower floors, provided large verandas usually packed with plants or even trees and soon became the most expensive apartments of the polykatoikia. The 1955 GBR also prescribed covered ground-level spaces (“stoas”) that belonged to the building’s volume but were of public use to be realised as a continuation of the street; this way street-level activities and especially commerce would be enhanced in the congested urban centers. The 1955 GBR instituted construction of free-standing polykatoikias for the development of the suburbs and abolished enclosed cantilevered volumes (“Erkers”), allowing only balconies to protrude beyond the street building line. This way, the defined, surface-based sculptural play of street-front elevations of the pre-War period was replaced by an infinite number of cantilevering balcony slabs generating fragmented street elevations that blurred the limit between interior and exterior and instigated the perception of Greek urban space as a formless, homogeneous whole. It is exactly this obscure formal constitution of the Greek city that provokes to most people anxiety and, often, repulsion towards the city itself. The spatial coexistence of stoas, balconies, retirés that 84 the GBR fostered produced all the significant examples of polykatoikias of the 1950s and 1960s that are still reference projects of the specific building type. I am here refering to the Polykatoikia on Amalias Avenue in Athens (1959-1960) by Takis Zenetos and Margaritis Apostolidis, the Polykatoikia on Vassilisis Sofias Avenue in Athens (1955) and the Polykatoikia on Kifissias Avenue in Athens (1957-58) both by Nikos Valsamakis, the “Assyrmatos” Polykatoikia in Athens (1967) by Elli Vassilikioti working for the Housing Service of the Ministry of Public Works, the Polykatoikia on Papadiamantopoulou Street in Athens (1954-57) by Ioannis Liapis and Elias Scroumbelos and, finally, the Polykatoikia on Deinokratous Street in Athens (1960-62) by Thales Argyropoulos and Constantin Decavalla. In 1973 a new GBR was passed in many ways similar to the one of 1955. A key new feature of this GBR was the introduction of the empty ground-level entrance space defined only by columns (the “pilotis”) whose surface did not count as part of the total building surface. The pilotis were meant to expand the space of the street by lifting the buildings from the ground. In 1985 a new GBR was passed based on a different logic: the building had to be included within an “ideal prism” (a three dimensional enclosure defined by the street width and the maximum building height). Additional to the use of balconies the 1985 GBR introduced the use of semicovered space, a covered space defined by three walls but with an open façade. With the 1985 GBR the use pilotis was expanded; however, given that the GBR did not require obligatory underground parking, in most cases, the pilotis ended up being used as a congested parking space. No longer having to mark the building’s elevation on the street building line, the 1985 GBR produced an infinite number of volumetric experimentations within the three-dimensional boundaries of the ideal prism, more complex designs that were distanced from the initial repetitive floor plan and floor elevation designs of the 1950s and 1960s. The noteworthy examples of polykatoikias of this most recent period seek to break down the repetitive floor and elevation structure either by creating a sculptural play through the grouping of parts of the building together and the production of smaller, identifiable units within the whole or by questioning the polykatoikia’s constituent elements -the pilotis, the balconies and the retirés- through the elaboration of the building’s section. Architecture and the City The architecture of the polykatoikia from the 1950s onwards produced the architecture of the contemporary Greek city. Together with the non-designed public space they constitute the abstract framework for the exchange between private and public. Roof-tops, various-size linear balconies with coloured awnings, ground-level stoas and pilotis, upper-floor retirés and erkers as well as the unfinished, evertransformable state of the buildings operate as physical tools for the realization of a fragmented urban facade, a soft border between public and private. The sense of a spatial flow between interior and exterior, private and public, goes hand-in-hand with a programmatic flow: private life spills into the street and its sidewalks, partially occupying them, appropriating them, transforming them, destroying them, becoming public life; public life expands into the buildings, exploring them, peeking into their interiors, revealing private life. The public space 85 of the contemporary Greek city, in its manifold expressions (streets, empty lots, small and large squares, street expansions, waterfronts, sidewalks, small alleys, stoas, building interiors), its minimum configurations and design presence, is a field of random flows of activity, an ‘intelligent landscape’ where hedonistic experience is introduced through density and indeterminacy of events, unpredictability of views, improvisation of movements. The simultaneous sense of excitement –produced by the unpredictable and the transformable– and disenchantment –produced by the banal and the neglected– that the city provokes establishes a continuous condition of alertness. The modern, abstract, repetitive (however different) architecture of the polykatoikia in its manifold expressions is the basis of this condition. 86 87 88 CRONOLOGIA DEI PRINCIPALI AVVENIMENTI DEL NOVECENTO IN GRECIA All’inizio del secolo Come negli altri paesi che hanno conosciuto la dominazione turca e la severa chiesa ortodossa, la società greca si presentava chiusa e autoritaria, con un potere concentrato nelle mani dei latifondisti e dei militari, oltre che degli uomini di chiesa. Corruzione, brigantaggio e lotta politica violenta furono elementi costanti della storia greca. 1919-1922 Si ebbe la dura guerra contro la Turchia che si concluse in maniera disastrosa, con un gran numero di profughi provenienti da quel paese e che mise fine alla millenaria presenza greca in Anatolia. 1930 Dopo gli anni del governo liberale di Venizelos che aveva tentato una politica di pacificazione con i paesi vicini si ebbe, nel periodo successivo alla crisi del 1929, la dittatura nazionalista di Metaxas. La nuova dittatura si ispirava ai regimi fascista e nazista di Italia e Germania, e come questi dava luogo a una sorta di paternalismo popolare che si concretizzava in alcune iniziative di legislazione sociale. 1940 Il paese venne invaso dall’Italia, e successivamente dall’esercito tedesco e bulgaro che imposero il consueto brutale regime di occupazione conosciuto dagli altri paesi soggetti al nazismo. La Grecia fu uno dei paesi che conobbe le maggiori sofferenze durante la guerra e fra il 1941 e 1942 si ebbe una grave carestia che contribuì alla degenerazione della vita del paese. Ottobre 1944 Atene venne liberata dai britannici e venne insediato un governo di unità nazionale comprendente anche i comunisti, presieduto dal socialdemocratico Papandreu. Il governo ebbe vita brevissima, il 3 dicembre si tenne una manifestazione comunista che degenerò in scontri, e le truppe britanniche dovettero faticare moltissimo per riconquistare la città. Comunque il governo inglese si adoperò per una mediazione, venne nominato reggente della Corona l’arcivescovo Damaskinos, personaggio molto apprezzato dalla popolazione. Febbraio 1945 A Yalta Stati Uniti e Unione Sovietica si spartiscono le rispettive zone di influenza in Grecia ed esercitano (soprattutto gli USA) il controllo sulle formazioni politiche dello Stato. La casa reale è debole e compromessa, gruppi estremistici di destra e di sinistra indeboliscono lo Stato e fomentano le tensioni sociali. 89 1945 Nel 1945 scoppia la guerra civile che sconvolgerà il paese fino al 1949. 1949-1967 Dopo la guerra civile il paese viene retto da coalizioni di centro con maggioranza instabile e la CIA agisce facilmente su qualsiasi iniziativa governativa. In vista delle elezioni fissate per il 1967 vari gruppi di ufficiali si coalizzano meditando iniziative per impedire che l’Unione di Centro ottenga la maggioranza in Parlamento. 21 aprile 1967 Papadopoulos entra nello Stato Maggiore e annuncia il colpo di Stato. Il re Costantino II non si oppone sostanzialmente, ma ottiene la concessione che nella formazione del nuovo governo sia un civile a detenere la carica di primo ministro. Formalmente viene mantenuta la legalità. Inizia la dittatura dei colonnelli altresì detta La Giunta. (salvaguardia del’identità nazionale e religiosa in chiave anticomunista). 13 dicembre 1967 Costantino II progetta un contro colpo di stato e insieme alla famiglia e al primo ministro vola a Kavala (nord della Grecia) dove lo attende un controllo militare fedele della corona. Anche marina e aereonautica si dichiarano fedeli al re. In poche ore i quadri intermedi dell’esercito arrestano i generali monarchici e marciano verso Kavala. 14 dicembre 1967 Costantino II fugge a Roma e ci resta fino alla fine della Giunta e dopo il referendum di abolizione della monarchia, quindi non rientrerà mai più in Grecia da monarca. 13 agosto 1968 Tentativo di assassinare Papadopoulos. 11 novembre 1968 I funerali di Papandreu (leader liberale) si trasformano in una manifestazione contro la Giunta. 19 settembre 1970 Uno studente si da fuoco a piazza Matteotti a Genova per protestare contro la Giunta. 1972 La Grecia esce dal Consiglio d’Europa per prevenire l’espulsione. 90 1973 Referendum per l’abolizione della monarchia e per l’approvazione di una nuova costituzione. Grazie ai brogli il testo viene approvato quasi all’unanimità. Il 1 giungo Papadopoulos viene nominato presidente della repubblica. 14 novembre 1973 Gli studenti del Politecnico di Atene si barricano nell’università, entrano in sciopero e allestiscono una stazione radio. Migliaia di lavoratori si uniscono alla protesta degli studenti. 17 novembre 1973 Un carro armato abbatte i cancelli del Politecnico. Negli scontri che seguono all’intervento restano uccisi 24 civili. 25 novembre 1973 Il generale Dimitrios Ioannides rimuove dal potere Papadopoulos tentando comunque di mantenere il potere nelle mani dei militari. Luglio 1974 Il tentativo di Ioannides di rovesciare l’arcivescovo Makarios III, presidente di Cipro, attraverso un colpo di stato militare condotto dall’organizzazione filo-ellenica EOKA-B condusse la Grecia sull’orlo della guerra con la Turchia: l’arcivescovo come risposta all’azione greca, invade militarmente la parte nord dell’isola instaurando un governo filo-turco, non riconosciuto dal diritto internazionale. La prospettiva della guerra contro la Turchia fece sì che una parte degli ufficiali più anziani togliesse il suo appoggio alla Giunta ed a Ioannides. I membri della giunta militare, dopo aver nominato presidente Phaedon Gizikis, convocarono una riunione di uomini politici con l’obiettivo di formare un governo di unità nazionale che portasse il paese alle elezioni. Essendo stata osteggiata l’originaria ipotesi di affidare l’incarico di primo ministro a Panagiotis Kanellopoulos, il presidente Gizikis infine si risolse a proporre l’incarico a Konstantinos Karamanlis, che dal 1963 risiedeva a Parigi dopo essere stato più volte primo ministro negli anni ‘50. Karamanlis accettò e giunse ad Atene a bordo dell’aereo personale del presidente francese Giscard d’Estaing. Elezioni del novembre 1974 Vittoria di Nuova democrazia, partito fondato da Karamanlis che viene confermato nel ruolo di primo ministro. 8 dicembre 1974 Con un nuovo referendum viene definitivamente abrogata la monarchia. Viene varata una nuova costituzione e viene nominato presidente della repubblica Tsatsos. 91 maggio del 1975 I rappresentanti del regime militare vengono condannati a morte ma la pena è commutata in ergastolo. Il tribunale speciale continua le sue sessioni fino al 1977. 28 maggio 1979 Viene firmato il trattato per regolare l’ingresso del paese nel Mercato Comune Europeo. 18 ottobre 1981 Il Partito socialista di Papandreu (figlio) vince le elezioni e Nuova Democrazia passa all’opposizione. 1988 Scoppia lo scandalo Koskotas che avrebbe comportato la sconfitta del Pasok alle elezioni e il rinvio a giudizio di Andreas Papandreou. Inizia una fase di governi transitori. 1990/1993 Il Partito conservatore torna a governare, seppure con una maggioranza risicata, con Costantino Mitsotakis. 10 ottobre 1993 Il Partito Socialista riprende il governo e Papandreu, che nel frattempo è stato assolto dalle accuse di implicazione nello scandalo Koskotas, riceve il suo terzo mandato come presidente della Repubblica. 1996 Papandreu da le dimissioni e lo sostituisce Costas Simitis. 7 marzo 2004 Si interrompe l’egemonia del Pasok, vince le elezioni Costas Karamanlis del partito dei neo conservatori Ottobre 2009 Il Pasok torna a governare il paese con Papandreou (nipote) in una condizione di crisi economica che compromette l’andamento del paese da un paio di anni. 92 93 94 INDICE ANAGRAFICO DEI PROGETTISTI GRECI DEL NOVECENTO 1° generazione Ernst ZILLER (1837 – 1923) Vitaliano POSELLI (1838 – 1918) Piero ARRIGONI (1856 – 1940) Anastasios METAXAS (1863 – 1937) Xenophon PAIONIDIS (1863 – 1933) Vasileios KOUREMENOS (1874 – 1957) Alexandros NIKOLOUDIS (1874 – 1944) Emmanouil KRIEZIS (1880 – 1967) Constantinos KIRIAKIDIS (1881 – 1942) Dimitrios KYRIAKOS (1881 – 1971) Eli MODIANO ( 1881 – 1968) Aristotelis ZACHOS (1872 – 1939) Vasileios G. TSAGRIS (1882 – 1942) 2° generazione Dimitris PIKIONIS (1887 – 1968) Kostas KITSIKI (1892 – 1969) Dimitris FOTIADIS (1894 – 1974) Emmanouil LAZARIDIS (1894 – 1961) Panos N. TZELEPIS (P. N. DJELEPY) (1894 – 1978) Leonidas BONIS (1896 – 1963) Georgios KONTOLEON (1896 – 1952) Nikos MITSAKIS (1899 – 1941) Rennos KOUTSOURIS (1901 – 1998) Kiriakos PANAYOTAKOS (1902 – 1982) Ioannis DESPOTOPOULOS (Jean DESPO) (1903 – 1992) Patroklos KARANTINOS (1903 – 1976) Vasileios DOURAS (1904 – 1981) Vasileios KASSANDRAS (1904 – 1973) Kimon LASKARIS (1905 – 1978) Periklis SAKELLARIOS (1905 – 1985) Emmanouil VOUREKAS (1905 – 1993) Stamo PAPADAKI (1906) Polyvios MICHAILIDIS (1907-1960) Thoukydidis VALENTIS (1908 – 1982) Achilleas SPANOS (1909 – 1975) Cleon CRANTONELLIS (1912 – 1978) Arthouros SCHEEPERS (1912) Prokopis VASSILIADIS (1912 – 1977) 3° generazione Constantinos DOXIADIS (1913 – 1975) Aris KONSTANTINIDIS (1913 – 1993) Aristomenis PROVELENGHIOS (1914) Pavlos MYLONAS (1915) Titos KOURAVELOS (1921) Elias SKROUMBELOS (1921) Yannis LIAPIS (1922 – 1993) Thalis AGRYPOULOS (1923) Iason RIZOS (1923 – 1997) Ippolytos PAPAILIOPOULOS (1924 – 1982) Nicos VALSAMAKIS (1924) Constantinos DECAVALLAS (1925) Nikos DESSYLLAS (1926) Andreas SIMEON (1926) Takis ZENETOS (1926 – 1977) Dimitris FATOUROS (1928) Alexandros COLLAROS (1929) Dimitris KOUTSOUDAKIS (1930) Panayotis VOKOTOPOULOS (1930) (abps) 4° generazione Nikos SAPOUNTZIS (1931) Ioannis VIKELAS (1931) Vassilis BOGAKOS (1932) Vassilis GRIGORIADIS (1932) Alexandros S. KALLIGAS (1932) Dimitris ANTONAKAKIS (1933) (con Suzana ANTONAKAKIS) 95 Savas CONDARATOS (1933) Kostas FINES (1933) Panos KOULERMOS (1933) Antonis LAMBAKIS ( 1933 – 1992) Pavlos LOUKAKIS (1933) Ioanna BENEHOUTSOU (1934) Dimitris KONTARGYRIS (1934) Constantinos PAPAIOANNOU (1934) Thymio PAPAYANNIS (1934) Vassilis SGOUTAS (1934) Suzana ANTONAKAKIS (1935) (con Dimitris ANTONAKAKIS) Nikos KALOGERAS (1935) Antonis STYLIANIDIS (1936) (con Vanghelis STYLIANIDIS) Kyriakos KIRIAKIDIS (1937) Yorgos MANETAS (1937) (con Eleni MANETAS) Manos PERRAKIS (1937) Spyros AMOURGIS (1938) Lazaros KALYVITIS (1938) Seva KARAKOSTA (1938) Yorgos THEODOSSOPOULOS (1938 – 1998) Eleni MANETAS (1939) (con Yorgos MANETAS) Yorgos PANTOPOULOS (1939 – 1994) Elias PAPAYANNOPOULOS (1939 – 1998) Alexandros TOMBAZIS (1939) Yorgos LEONARDOS (1940) Yannis KOUKIS (1941) Kyriakos KROKOS (1941 – 1998) Tassos BIRIS (1942) (con Dimitris BIRIS) Agnes COUVELAS-PANAYOTATOU (1943) Dimitris BIRIS (1944) (con Tassos BIRIS) Takis EXARCHOPOULOS (1944) Dimitris KATAROPOULOS (1944) Nikos THEODOSSIOU (1944) Yannis TSIOMIS (1944) 5° generazione Anghelos ALTSITZOGLOU (1945) 96 Antonia VALANOU-CHRISTOFELLI (1945) (con Alexandros CHRISTOFELLIS) Alexandros CHRISTOFELLIS (1946-1991) (con Antonia VALANOU-CHRISTOFELLI) Anastasios KOTSIOPOULOS (1946) Michalis SOUVATZIDIS (1946) Kostas NIKOLAIDIS (1947) Aristomenis and Yorgos VAROUDAKIS (1947) Nassos E. CHAMILOTORIS (1948) (R.C.Tech) Theofanis BOBOTIS (1949) Demetri PORPHYRIOS (1949) Tassos SOTIROPOULOS (1949) (ISV architects) Yorgos APOSTOLAKOS (1950) Vassilis DOURIDAS (1950) (R.C.Tech) Babis IOANNOU (1950) (ISV architects) Nikos KTENAS (1951) Michalis MANIDAKIS (1951) Vanghelis STYLIANIDIS (1951) (con Antonis STYLIANIDIS) George Arahovitis (1952) (DOMORINTHOS architects) Dania DOURIDA (1952) (R.C.Tech) Eleni GALLI (1952) Dimitris ISSAIAS (1952) Andreas KOURKOULAS (1953) (KOURKOULAS / KOKKINOU architects) Tassis PAPAIOANNOU (1953) Christos PAPOULIAS (1953) A.SPANOMARIDIS (1953) (Mimnermou 2 architects) I.ZAHARIADIS (1953) (Mimnermou 2 architects) Kostas ADAMAKIS (1954) Liana Bobou-Arahovitou (1954) (DOMORINTHOS architects) Maria KOKKINOU (1955) (KOURKOULAS / KOKKINOU architects) Morpho PAPANIKOLAOU (1955) (PAPANIKOLAOU / SKELLARIDOU architects) Alexandros PATSOURIS (1955 – 1998) Dimitris POTIROUPOULOS (1955) (con Liana Nella- POTIROUPOULOU) Rena SKELLARIDOU (1955) (PAPANIKOLAOU / SKELLARIDOU architects) V. BASKOZOS (1956) (MOB architecture) Harry BOUGADELLIS (1956) Dimitris PHILIPPITZIS (1956) Katerina TSIGARIDA (1956) Alexandros VAN GILDER (1956) (ISV architects) Dimitra NIKOLAOU (1957) Maria RIZOU (1957) (AETER) Pantelis NICOLACOPOULOS (1958) Liana Nella- POTIROUPOULOU (1959) (con Dimitris POTIROUPOULOS) Dimitris TSAKALAKIS (1960) Charis CHARITATOS (1962) D. TSANGARAKI (1962) (MOB architecture) Athina PAPADOPOULO (1965) 97 98 BIBLIOGRAFIA Architettura greca cotemporanea • AA.VV., 20th Century architecture Greece, Prestel, Monaco, 1999 • AA.VV., Athens: From the Classical Period to the Present Day (5th Century B.C.-A.D. 2000), eds. M. 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Opera completa, Accademia di Architettura 102 dell’Università della Svizzera italiana, Mendrisio 2004 Kleon Krandonellis • Numero monografico di Αρχιτεκτονικα Θεµατα - Architecture in Greece, n°31, Atene 1997 Kyriakos Krokos • GIACUMAKATOS A., Kyriakos Krokos, Greek Ministry of Culture, Athens 1996 Alexandros Nikoloudes • KOTSAKIS A., Alexandros Nikoloudes 1874-1944, Potamos, Atene 2007 Dimitris Pikionis • PIKIONIS A./ PAROUSIS M., Dimitris Pikionis, Κειµενα (Testi), Μορφωτικό Ιδρυµα Εθνικής Τραπέζης (Centro culturale della Banca Nazionale), Atene 1985. • AA.VV., Dimitris Pikionis, Architect, 1887 – 1968. A sentimental topography,Architectural Association Publications, London 1989 • PIKIONIS A. 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Valentis, APT / ANA / ekdoseis nesos, Atene 2007 Nikos Valsamakis • CONSTANTOPOULOS E., Nikos Valsamakis, 1953 – 83, London 1984 • Numero monografico di Αρχιτεκτονικα Θεµατα - Architecture in Greece, n°26, Atene 1992. • AA.VV., Nikos Valsamakis architect, Benaki museum, Athens 2007 (gr/ing) Takis Zenetos • Takis Zenetos, Προβληματα δομησι στην Ελλαδα – Η πολη του μελλοντος , (Problemi della struttura in Grecia - La città del futuro), in: Αρχιτεκτονικα Θεµατα n° 1, pag. 88-93, Atene 1967. • DOUMANIS Orestis, Takis Ch. Zenetos 1926-1977, Architecture in Greece Press, Atene 1978. • PAPALEXOPOULOS D./ CALAFATI E., Takis Zenetos. Visioni digitali, architetture costruite, Edilstampa, Roma 2006 104 Riviste principali • Architektonika themata – Architecture in Greece (rivista annuale che si occupa esclusivamente della produzione architettonica in Grecia) • Themata chorou + tecnon - Art and design in Greece (rivista annuale che si occupa esclusivamente della produzione architettonica in Grecia) • Domes (rivista mensile che si occupa della produzione architettonica internazionale, con particolare attenzione alla Grecia) 105 Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Architettura “Valle Giulia” Dipartimento Ar_Cos Tesi di Dottorato in Architettura e Costruzione, Spazio e Società Guglielmo Malizia - relatore prof. Dina Nencini La residenza urbana in Grecia - 1980 / 2005 Volume II - Atlante dei casi studio INDICE INTRODUZIONE ATLANTE DEI CASI STUDIO REGESTO DELLE OPERE REALIZZATE INTRODUZIONE In questo volume sono illustrati nel dettaglio alcuni progetti residenziali realizzati in Grecia tra il 1980 e il 2005. Il dato più rilevante, e che ha notevolmente condizionato la ricerca, è la quasi totale assenza dell’iniziativa pubblica in questo settore. Infatti tra i progetti selezionati ce n’è solo uno commissionato dall’ente pubblico preposto (l’OEK, Istituto per le case dei lavoratori); si tratta del Solar Village di Pefki, ad Atene, progettato da Alexandros N. Tombazis. Costruito all’inizio degli anni Ottanta, rappresenta l’ultima significativa impresa dell’organismo statale. Di recente è stato poi realizzato l’Olympic Village, sempre ad Atene, per ospitare gli atleti durante i Giochi Olimpici del 2004, e da riconvertire successivamente in abitazioni sociali. Purtroppo però questa seconda opportunità ha portato ad un risultato per nulla interessante, almeno dal punto di vista architettonico. La causa di questo insuccesso va forse rintracciata, come molti sostengono, nel fatto che la progettazione sia stata svolta all’interno degli uffici tecnici dell’OEK, anziché essere affidata a progettisti esterni, magari mediante concorso. Per questo motivo non si è ritenuto opportuno di inserirlo tra i casi illustrati in questo studio. Questa mancanza di social housing comporta che in Grecia l’intera progettazione di edilizia economica destinata alle classi sociali meno agiate venga affidata dai privati a geometri o, nei casi migliori, a ingegneri. I complessi di abitazioni popolari restano così privi di qualsiasi qualificazione architettonica. Ne consegue che i progetti qui presentati, tranne rare eccezioni (come l’edificio di Anastasopoulos e Gikapeppas a Galatsi del 2005-07), sono destinati ad abitanti di estrazione sociale medio/alta. La tipologia prevalente è certo quella della polykatoikia, descritta ampiamente nel primo volume della tesi; ovvero di quella tipica palazzina mediterranea, che costituisce il tassello modulare dalla cui ripetizione sono formate le città greche. L’altezza è sempre compresa tra 4 e 9 piani, con un vano scala che serve generalmente 1 o 2 appartamenti per piano. Il numero di alloggi per questo tipo di edifici è quindi mediamente intorno alla decina. Altre tipologie sono riscontrabili nei pochi complessi con capacità abitative maggiori, ma sempre contenute nelle 40 unità. Si tratta in questi casi di un’edificazione in linea (come nel progetto di Tombazis a Palaio Faliro del 1993, in quello di Dsakalakis e Papadopoulos a Metaxurgeion del 2006, quello dei TRAC architects a Patrasso del 2007, o in quello, seppur di modeste dimensioni, dei fratelli Biris a Chalandri del 1980). Il complesso residenziale a Chania dei Varoudakis del 1997 e quello a Tebe degli Ark-sign del 2002 costituiscono invece delle interessanti ibridazioni tra case a schiera e in linea. La volumetria degli edifici è generalmente compresa in linee molto semplici, talvolta schematiche, ma viene fortemente movimentata dalle grandi superfici aperte di balconi e terrazze, e dalla variazione degli appartamenti. Si riscontra infatti una volontà degli architetti a differenziare le varie unità, all’interno dello stesso condominio, sia in orizzontale che in verticale: gli attici sono sempre occupati da alloggi con requisiti ben superiori rispetto agli altri piani. È inoltre evidente una spiccata predilezione per gli appartamenti duplex, che sono molto frequenti. Si tratta nel complesso di un’architettura razionale dominata dalla logica costruttiva domino del cemento armato, da un elevato equilibrio formale, da finiture semplici ed eleganti e da colori tenui; il rivestimento esterno è quasi sempre d’intonaco. Le opere che esprimono meglio questa poetica mediterranea sono forse quelle di Dimitris Tsakalakis: la polykatoikia a Voula del 2002 e quella a Sitia del 2004. Ma sono da segnalare anche i progetti degli altri architetti che operano con la stessa onestà compositiva: Mastroiannis e Koufopanos, i Varoudakis, Mavridis e Orfanou, i Rokas, Apostolakos e Apostolakou, Anastasopoulos e Gikapeppas. È interessante rilevare come le declinazioni stilistiche degli architetti che si sono più affermati nel corso degli anni Ottanta siano più accentuate e riconoscibili: il neo-brutalismo dei Birisi, il regionalismo degli Antonakakis, il tecnicismo di Tombazis, il neoplasticismo dei Manetas sono puntualmente confermati nelle loro opere qui presentate, come in quelle dei loro allievi. Restano comunque riscontrabili alcune proprietà comuni a quella specificità greca prima delineata, soprattutto nell’equilibrio formale che non si discosta mai troppo dalle proporzioni classiche. Trovano spazio in questa rassegna anche progetti fortemente influenzati dalle tendenze internazionali, come quello di Dragonas e Christopoulou a Pangrati del 2002 (che ha riscosso molto successo) o quello dei TRAK architects a Patrasso del 2007. Una raffinata interpretazione della polykatoikia in chiave contemporanea-internazionale è senz’altro quella di Yannis Aesopos ad Atene del 2003. Dopo i 26 casi studio è sembrato opportuno inserire un regesto delle opere, ben più numerose, che sono state prese in considerazione nel corso di questo studio. ATLANTE DEI CASI STUDIO Grecia Atene D ES FR GB 1. Attica 2. Eubea 3. Euritania 4. Focide 5. Ftiotide 6. Beozia 7. Calcidica 8. Emazia 9. Kilkis 10. Pella 11. Pieria 12. Serres 13. Salonicco 14. Chania 15. Heraklion 16. Lasithi 17. Rethymno 18. Drama 19. Evros 20. Kavala 21. Rodopi 22. Xanthi 23. Arta 24. Ioannina 25. Preveza 26. Thesprotia 27. Corfu 28. Kefallinia 29. Lefkada 30. Zakynthos 31. Chio 32. Lesbo 33. Samo 34. Arcadia 35. Argolide 36. Corinzia 37. Laconia 38. Messenia 39. Cicladi 40. Dodecaneso 41. Karditsa 42. Larissa 43. Magnesia 44. Trikala 45. Acaia 46. Etolia-Acarnania 47. Elide 48. Florina 49. Grevena 50. Kastoria 51. Kozani a Monte Athos 1. Atene 2. Kallithea 3. Moschato 4. Tavros 5. Egaleo 6. Agia Barbara 7. Chaidari 8. Peristeri 9. Petroupoli 10. Ilion 11. Kamaterò 12. Agion Anargyri 13. Nea Chalchidona 14. Nea Filadelfia 15. Nea Ionia 16. Iraklio 17. Metamorfosi 18. Likovrissi 19. Pefki 20. Maroussi 21. Kifisià 22. Melissia 23. Nea Eritrea 24. Ekali 25. Nea Pentelis 26. Penteli 27. Vrilissia 28. Chalandri 29. Agia Paraskevi 30. Cholargos 31. Papagos 32. Neo Psichikò 33. Psichiko 34. Filothei 35. Galatsi 36. Zografo 37. Kesariani 38. Vironos 39. Ymetto 40. Dafni 41. Nea Smirni 42. Paleo Falirou 43. Agios Dimitrios 44. Ilioupoli 45. Argiroupoli 46. Alimo 47. Elliniko 48. Glifada 1. Edificio per appartamenti ia Atene (Chalandri), D. Biris, T. Biris 14. Edificio per appartamenti a Atene (Vrilissia), MOB architects 2. Edificio per appartamenti a Atene (Lycabetto), Atelier 66 15. Edificio per appartamenti a Atene (Voula), D. Tsakalakis 3. Quartiere residenziale a Atene (Pefki), A. Tombazis 16. Complesso residenziale a Atene (Voula), ISV architects 4. Edificio per appartamenti a Atene (Metz), Y. Theodossopoulos 17. Edificio per appartamenti a Atene (Ilissia), S. Tsiraki, T. Biris 5. Edificio per appartamenti a Atene (Cholargos), I. D. Mastroyannis, V. Ch. Koufopanos 18. Edificio per appartamenti a Atene (Glyfada), G. Apostolakos, V. Pavlidou - Apostolakou 6. Edificio per appartamenti a Atene (Didotou st.), A. Patsouris 19. Edificio per appartamenti a Atene (Vrilissia), MOB architects 7. Edificio per appartamenti a Atene (Palaio Faliro), Y. Manetas, E. Komili - Manetas 20. Edificio per appartamenti a Nicosia (Cipro), G. Patsalosavvis 21. Edificio per appartamenti a Sitia (Creta), D. Tsakalakis 8. Complesso residenziale a Atene (Palaio Faliro), A. Tombazis 22. Complesso residenziale a Tebe, Ark - sign architects 9. Complesso residenziale a Chania (Creta), A. Varoudakis, Y. Varoudakis 23. Edificio per appartamenti a Atene (Parnithos st.), Y. Aesopos 10. Edificio per appartamenti a Atene (Nea Filotei), G. Mavridis, E. Orfanou 24. Edificio per appartamenti a Atene (Galatsi) A. Anastasopoulos, V. Gikapeppas 11. Edificio per appartamenti a Atene (Perissos), A. Rokas, N. Rokas 12. Edificio per appartamenti a Atene (Glyfada), Stathoulopoulos, Georgaki 25. Edificio per appartamenti a Atene (Metakourgeion), G. Daskalaki, Y. Papadopoulos, T. Biris 26. Edificio per appartamenti a Patrasso, TRAC achitects 13. Edificio per appartamenti in Atene (Pangrati), P. Dragonas, B. Christopoulou IT P GR luogo/quartiere Halandri, Atene 1985 1980 autore Dimitri Biris, Tassos Biris anno 1977-80 1990 2000 1995 01 2005 D ES FR Atene GB IT P Polydrosso Halandri GR progettisti degli edifici/buildings architects T. Biris, D. Biris, M. Kafritsa committente/ente promotore/promotor privato progetto strutturale/structural engineer C. Argiropoulos, P. Loukeles calendario dell’opera 1977: progetto 1980: completamento delle opere impresa realizzatrice/contractor E. Barbalias metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 546 60 15 mq spessore del corpo di fabbrica/building dimension ca. 12 m 6 + 1 int. distribuzione interna 2 corpi scala servono ciascuno 2 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-01 pag 1 Polydrosso, Atene Dimitri Biris, Tassos Biris 3 c. 4 c. 9 duplex, 6 simplex 1980 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un edificio per appartamenti composto da quindici alloggi, di cui sei a un solo piano e nove duplex. Gli alloggi sono piuttosto grandi, prevedendo quattro o cinque abitanti ciascuno. Due corpi scala servono tutti gli appartamenti. L’immagine dell’edificio si caratterizza per una notevole complessità volumetrica, ottenuta grazie alle grandi terrazze a tutti i livelli e all’estromissione dei corpi scala cilindrici dei duplex. Ogni unità abitativa risulta autonoma e gli affacci sono molto differenziati. Una certa complessità informa anche la distribuzione interna degli alloggi, in particolare quelli degli ultimi piani. Questi sono organizzati su più livelli, presentando ambienti posti al mezzanino e terrazze abitabili su due livelli differenti. Lla copertura dell’edificio è caratterizzata dalla presenza di parasole metallici, costituiti da elementi reticolari. Design+art in Greece, 15/1984 Architecture in Greece, 27/1993 Savas Condaratos, Wilifried Wang; 20th Century architecture, Greece; HIA, DAM, Prestel, Athens 1999 Bibliografia GR-01 pag 2 Polydrosso, Atene Dimitri Biris, Tassos Biris 1980 D ES FR 1 GB IT B C B A P 2 GR B A C B 3 B A B C 4 1 - sezione longitudinale GR-01 pag 2 - pianta del sesto piano 3 Polydrosso, Atene 3 - pianta del quinto piano 4 - pianta del quarto piano Dimitri Biris, Tassos Biris 1980 D B ES A FR 5 GB IT P B A GR 6 A B 7 5 - pianta del terzo livello di alloggi A e B 6 - pianta del secondo livello di alloggi A e B 7 - pianta del primo livello di alloggi A e B GR-01 pag 4 Polydrosso, Atene Dimitri Biris, Tassos Biris 1980 D ES FR GB 8 9 10 11 IT P GR 8 - la fotografia dell’interno di un appartamento simplex mostra la permeabilità fra il soggiorno e la cucina. Interior designer: S. Anyfantis 9 - negli appartamenti duplex le scale a chiocciola contribuiscono a conformare e suddividere la zona giorno. 10 - le terrazze sulla copertura sono caratterizzate dal parasole metallico. 11 - il parasole posto sulla copertura dell’edificio serve anche le terrazze del piano inferiore. 12 - assonometria 13 - schizzi di studio che mostrano la particolare attenzione dei progettisti all’illuminazione naturale. 12 GR-01 13 pag 5 Polydrosso, Atene Dimitri Biris, Tassos Biris 1980 luogo/quartiere Lycabetto, Atene 1985 1980 autore Atelier 66 1990 anno 1978-82 1995 02 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Lycabetto GR Doxapatri progettisti degli edifici/buildings architects Suzana Antonakaki, Dimitris Antonakaki committente/ente promotore/promotor privato progetto strutturale/structural engineer A. Athanasiadis calendario dell’opera 1978: progetto 1982: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings 312 25 9 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 10 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 2-3 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-02 pag 1 Lycabetto, Atene 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type Atelier 66 3 c. 4 c. 4 duplex, 5 simplex 1982 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un edificio per appartamenti composto da nove alloggi, di cui cinque a un solo piano e quattro duplex. Un unico corpo scala ellittico serve tutti gli appartamenti. Il basamento ospita spazi destinati ad esercizi commerciali. Sul retro si aprono dei piccoli cortili, di pertinenza degli alloggi che si sviluppano nei primi due livelli. L’organizzazione degli spazi interni è molto varia, ma la grande importanza attribuita alla zona giorno costituisce il comune denominatore fra tutti gli appartamenti. Lo schema distributivo infatti risulta imperniato sul soggiorno, che costituisce l’ingresso all’abitazione e lo spazio centrale su cui affacciano gli altri ambienti. Il volume si sviluppa in modo piuttosto compatto, nonostante i numerosi balconi che caratterizzano il prospetto principale, concludendosi in alto in un piano attico. GR-02 pag 2 Lycabetto, Atene Bibliografia Design + art in Greece, 18/1987 Atelier 66 1982 D ES I H FR 1 GB IT G F P 2 GR C E D 3 B 4 A 5 GR-02 pag 3 Lycabetto, Atene Atelier 66 1982 D ES FR GB IT 6 P GR 7 8 - vista del cortile posteriore 1 - pianta del quarto piano 9 - vista di uno dei cancelli sulla strada 2 - pianta del terzo piano 10 - schema aggregativo 3 - pianta del secondo piano 11 - assonometria 4 - pianta del primo piano 5 - pianta del piano terra 6 - pianta del secondo livello dell’alloggio A 7 - pianta del primo livello dell’alloggio A GR-02 pag 4 Lycabetto, Atene Atelier 66 1982 D ES FR GB IT P GR 8 9 10 11 GR-02 pag 5 Lycabetto, Atene Atelier 66 1982 luogo/quartiere Pefki, Likovryssi, Atene 1985 1980 autore Alexandros N. Tombazis anno 1978- 1984 1990 2000 1995 03 2005 D ES FR Atene GB IT P Pefki, Lykovrissi GR progettisti del piano/masterplan architects Alexandros N. Tombazis e associati committente/ente promotore/promotor Workers Housing Organisation progettisti degli edifici/buildings architects Alexandros N. Tombazis e associati calendario dell’opera 1978-81: progetto 1984-89: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento pubblico dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings 44116 799 435 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension 10 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 2 alloggi per piano densità fondiaria/density densità/density n° di piani massimo/floor number 18,11 9,86 6 ab/ha all/ha n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-03 pag 1 Pefki, Likovryssi, Atene 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type duplex, simplex Alexandros N. Tombazis 1978 D ES FR Planimetria generale dell’insediamento, scala 1:5000 N L M L D A F B C E L H Legenda: A - piazza centrale B - centro di aggregazione e centro informativo sull’energia solare C - negozi D - biblioteca E - centro energetico F - asilo G - scuola elementare H - centro di avviamento professionale per giovani lavoratrici I - palestra L - area verde attrezzata er i bambini M -interseasonal storage N - area boschiva GB IT P G N GR I L descrizione dell’intervento Questo insediamento, chiamato “Solar Village 3”, è costituito da una serie di isolati a destinazione residenziale, organizzati intorno a una piazza centrale. In prossimità di tale piazza sono distribuiti servizi, a carattere culturale (biblioteca, scuole, centro informazioni sull’energia solare, centro di avviamento professionale per giovani lavoratrici), commerciale (negozi, mercato), un impianto sportivo. Gli edifici residenziali sono costituiti da una serie di unità affiancate, in modo da ottenere una morfologia longitudinale a stecca. Ogni isolato è servito da una zona verde attrezzata. La tipologia degli alloggi varia in base al numero di piani in cui questi sono articolati (uno o due) e alla loro metratura (60 mq, 80mq, 100mq). Gli edifici sono piuttosto bassi: a due piani quelli che presentano al prorpio interno appartamenti di 100mq, da due a sei piani gli altri. La caratteristica dell’intervento è l’attenzione rivolta al problema ambientale del risparmio energetico: un’elevata efficienza energetica è ottenuta grazie all’isolamento degli edifici (i GR-03 pag 2 Pefki, Likovryssi, Atene consumi energetici sono ridotti del 60%) e un ulteriore risparmio (15-20%) è ottenuto grazie all’energia solare di cui si servono tutti le strutture pubbliche. Il complesso è fornito di cinque diversi tipi di impianti solari, progettati in Germania. Bibliografia Architecture in Greece 20/1986, 24/1990 Design + Art in Greece 24/1993 Alexandros N. Tombazis 1978 TIPO 1, CASE A SCHIERA D ES FR GB IT P Sezione GR Pianta del primo piano Pianta del piano terra GR-03 pag 3 Pefki, Likovryssi, Atene Alexandros N. Tombazis 1978 TIPO 2, CASE IN LINEA D ES FR GB IT P Sezione GR Pianta del piano terra GR-03 pag 4 Pefki, Likovryssi, Atene Alexandros N. Tombazis 1978 TIPO 3 D ES FR GB IT Sezione P GR Pianta del piano tipo GR-03 pag 5 Pefki, Likovryssi, Atene Alexandros N. Tombazis 1978 D ES FR Sopra: assonometria. Sopra: la piazza centrale con la biblioteca a sinistra, in fondo), la copertura della hall (con i lucernai longitufinali) e quella della sala espositiva (con i lucernai piramidali) Sotto: biblioteca (sulla sinistra, in fondo) e caffetteria (sulla destra) Sotto: centro energetico GB IT P GR Sotto: vedute aeree dell’insediamento GR-03 pag 6 Pefki, Likovryssi, Atene Alexandros N. Tombazis 1978 luogo/quartiere Metz, Atene 1985 1980 autore Yorgos Theodossopoulos anno 1980-82 1990 2000 1995 04 2005 D ES FR Atene GB IT P Metz GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Yorgos Theodossopoulos privato calendario dell’opera 1980: progetto 1982: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 450 20 7 5 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 12,5 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 2 - 3 alloggi per piano. n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-04 pag 1 Atene Yorgos Theodossopoulos 7 simplex 1982 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo edificio per appartamenti, posto in una delle zone più centrali e antiche di Atene, si caratterizza per il rapporto di continuità con il contesto e con l’architettura tradizionale. La scomposizione del corpo di fabbrica in volumi, sottolineata dalla bicromia, contribuisce a collegare figurativamente l’edificio alla tipologia edilizia diffusa nel quartiere (piccole abitazioni a uno o due piani). I rimandi all’architettura tradizionale sono evidenti nell’accentuazione dello spessore murario, come nei dettagli decorativi (cornici, balaustre), nelle bucature strombate e negli archi. Il piano terra è occupato da un parcheggio, collegato ai piani superiori da un corpo scala che serve tutti gli appartamenti, eccetto due, un simplex e un duplex, serviti da scale indipendenti. GR-04 pag 2 Atene Bibliografia Savas Condaratos, Wilifried Wang; 20th Century architecture, Greece; HIA, DAM, Prestel, Athens 1999 Yorgos Theodossopoulos 1982 D ES FR 1 GB IT B A P C GR 2 3 GR-04 pag 3 Atene Yorgos Theodossopoulos 1982 D ES FR GB IT P GR 4 1 - pianta del primo piano, scala 1:500 2 - sezione, scala 1:500 3 - pianta dell’alloggio A, scala 1:200 4 - la scala che collega uno degli alloggi al parcheggio sottostante. 5 - le bucature strombate e le cornici rimandano all’architettura tradizionale. La bicromia distingue i diversi volumi. 5 GR-04 pag 4 Atene Yorgos Theodossopoulos 1982 luogo/quartiere Cholargos, Atene 1985 1980 autore Mastroyannis, Koufopanos anno 1987-1989 1990 2000 1995 05 2005 D eS FR Atene GB IT P Cholargos GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor I. D. Mastroyannis, V. Ch. Koufopanos privato progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera D. Fountas, D. Krufos 1987: progetto 1988-89: completamento delle opere impresa realizzatrice/contractor TeChnIKI DoMA metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 342 25 6 5 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 14,5 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 2 alloggi per piano. n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-05 pag 1 Atene 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type I. Mastroyannis, V. Koufopanos 3 c. 4 c. 4 simplex, 2 duplex 1987 D eS FR GB IT P GR descrizione dell’intervento L’edificio è composto da due corpi di fabbrica distinti, di dimensioni simili, che ospitano ciascuno una colonna di appartamenti. Ballatoi esterni collegano i due volumi fra loro e con il corpo scala comune, che costituisce un terzo volume più piccolo. Al piano terra si trovano esercizi commerciali. La tipologia degli alloggi è piuttosto varia: tre dei simplex sono pensati per essere abitati da nuclei familiari, mentre uno, della medesima metratura degli altri, è quasi interamente occupato dalla zona giorno con cucina a vista, presentando una sola camera da letto. I duplex occupano gli ultimi due livelli di entrambi i corpi. Al livello superiore si aprono grandi logge. GR-05 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 21/1990 I. Mastroyannis, V. Koufopanos 1987 D eS FR 1 GB D IT E P 2 GR C 3 A B 4 GR-05 pag 3 Atene I. Mastroyannis, V. Koufopanos 1987 D eS FR GB 5 IT P GR 6 1 - pianta del quarto piano 2 - pianta del terzo piano 3 - pianta del secondo piano 4 - pianta del primo piano 5 - pianta del secondo livello dell’alloggio D 6 - pianta del primo livello superiore dell’alloggio D 7 - fotografia del plastico 8 - vista interna da una delle logge, verso i ballatoi esterni GR-05 pag 4 Atene I. Mastroyannis, V. Koufopanos 1987 D eS FR GB IT P GR 7 8 GR-05 pag 5 Atene I. Mastroyannis, V. Koufopanos 1987 luogo/quartiere Didotou st., Atene 1985 1980 autore Alexandros Patsouris anno 1987-1991 1990 2000 1995 06 2005 D ES FR Atene GB IT P GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Alexandros Patsouris privato calendario dell’opera 1987: progetto 1991: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 320 30 8 7 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 16 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 2 - 3 alloggi per piano. altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-06 pag 1 Atene n° camere per alloggio 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type Alexandros Patsouris 3 c. 4 c. 3 simplex, 5 duplex 1991 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un edificio per appartamenti, che ospita esercizi commerciali al piano terra. Un unico corpo scala serve tutti gli appartamenti, che sono molto vari: quasi tutti duplex, eccetto un simplex e due monolocali. Tutti gli alloggi sono articolati intorno all’ambiente centrale, la cui importanza nella disribuzione degli spazi interni è sottolineata dall’altezza maggiore e dall’articolazione su più livelli. Le grandi vetrate che illuminano questi grandi vani caratterizzano la facciata. Tutti gli alloggi sono dotati di terrazze. GR-06 pag 2 Atene Bibliografia Art + design in Greece, 27/1996 DOUMANIS Orestis, Contemporary architecture in Greece, Architecture in Greece press, Athens 2005 AA.VV., 20th Century architecture Greece, Prester, Athens 1999 Alexandros Patsouris 1991 D G G ES 2 1 FR GB D D IT F P 4 3 GR D C E B A 6 5 C B A 7 GR-06 pag 3 Atene Alexandros Patsouris 1991 1 - pianta del settimo piano 2 - pianta del sesto piano 3 - pianta del quinto piano 4 - pianta del quarto piano 5 - pianta del terzo piano D 6 - pianta del secondo piano 7 - pianta del primo piano 8 - sezione 9 - pianta di un alloggio E e di un alloggio B ES 10, 11, 12 - viste del prospetto principale 13 - vista di uno spazio interno a doppia altezza, illuminato da un lucernaio FR GB 8 IT P GR D D EE 9 GR-06 pag 4 Atene Alexandros Patsouris 1991 D ES FR GB IT P GR 10 11 12 GR-06 13 pag 5 Atene Alexandros Patsouris 1991 luogo/quartiere Palaio Psychiko, Atene 1985 1980 autore anno Y. Manetas, E. Komili-Maneta 1990 1990 1995 07 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Palaio Phaleron GR progettisti degli edifici/buildings architects Yorgos Manetas, Eleni Komili - Maneta committente/ente promotore/promotor privato calendario dell’opera 1990: progetto metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 476 32 8 8 mq spessore del corpo di fabbrica/building dimension ca. 12 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-07 pag 1 Atene Y. Manetas, E. Komili - Maneta 8 simplex 1990 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di una torre a pianta rettangolare di 8 livelli, a destinazione esclusivamente residenziale. Un unico corpo scala, di dimensioni in pianta piuttosto ridotte, serve tutti gli alloggi. Questi sono tutti simplex, distribuiti uno ad ogni piano. La metratura di ogni appartamento è di circa 130 mq. L’organizzazione degli spazi interni è piuttosto semplice: un corridoio di disimpegno distribuisce tutti gli spazi, separando le zona giorno dalla zona notte. Tale disimpegno costituisce anche il vano di ingresso all’appartamento. Ogni alloggio è dotato di spazi esterni: le numerose logge contraddicono la purezza volumetrica del parallelepipedo, caratterizzando la sua immagine esterna. GR-07 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 29/1998 Y. Manetas, E. Komili - Maneta 1990 D ES FR GB IT P GR 1 1 - pianta del piano tipo 2 - vista d’insieme dell’esterno, che mostra il complesso gioco delle bucature e delle logge. 3 - vista d’innuasieme dell’esterno, che mostra un fronte caratterizzato dalla vetrata continua verticale del corpo scala e dalle finestre a nastro dei soggiorni. 4 - l’ingresso dell’edificio al piano terra GR-07 pag 3 Atene Y. Manetas, E. Komili - Maneta 1990 D ES FR GB IT P GR 2 3 4 GR-07 pag 4 Atene Y. Manetas, E. Komili - Maneta 1990 luogo/quartiere Palaio Phaleron, Atene 1985 1980 autore Alexandros N. Tombazis anno 1990-93 1990 2000 1995 08 2005 D ES FR Atene GB IT P Palaio Phaleron GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Alexandros N. Tombazis privato progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera B. Abakoumkin, G. Labros, LAK 1990: progetto 1990-93: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 3560 170 30 9 + 2 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 16 m ca. distribuzione interna 3 corpi scala servono 1 - 2 alloggi per piano. altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use n° camere per alloggio 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-08 pag 1 Atene Alexandros N. Tombazis 3 c. 4 c. 30 simplex 1990 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un intervento di grandi dimensioni che, oltre all’edificio analizzato, chiamato “Eden Mare”, ne comprende un altro, chiamato “Eden Park”, più una struttura sportiva con palestra e piscina. Il complesso ospita più funzioni. Il progetto di A. N. Tombazis è costituito da un basamento, che ospita negozi al pianterreno e uffici al primo e secondo piano, e uno sviluppo di altri 6 piani a destinazione residenziale. Il basamento si caratterizza per l’uso di un rivestimento diverso e da una volumetria compatta. Superiormente, invece, il corpo di fabbrica è articolato in volumi di dimensione varia, ma tutti ugualmente scanditi dalla modularità della struttura a vista, che ospitano le logge. Gli appartamenti sono dotati di un’ampia zona giorno, tre o quattro camere da letto e ambienti di servizio. GR-08 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 28/1997 Alexandros N. Tombazis 1990 B D A ES FR C D GB E IT 1 P GR B A C F E 2 GR-08 pag 3 Atene Alexandros N. Tombazis 1990 D ES FR GB IT 1 - pianta del piano tipo P 2 - pianta del terzo piano 3 - pianta di un alloggio B 4 - sezione trasversale 5 - il fronte commerciale sul Poiseidonos avenue, che separa il complesso dal mare. 6 - la corte interna. 7 - la piscina del complesso 3 8 - il viale che conduce a Eden Park 9 - l’ingresso principale a Eden Mare 3 4 GR-08 pag 4 Atene Alexandros N. Tombazis 1990 GR D ES FR GB IT 5 P GR 6 7 8 9 GR-08 pag 5 Atene Alexandros N. Tombazis 1990 luogo/quartiere autore A.Ioannis, Rethimno, Creta A. Varoudakis, Y. Vaoudakis 1985 1980 1990 1995 anno 1992-97 09 2000 2005 D ES FR Creta GB IT P Rethimno GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Aristomenis Varoudakis, Yorgos Varoudakis privato progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera M. Troullinos 1992: progetto 1993-97: completamento delle opere impresa realizzatrice/contractor metodo di finanziamento kataskeuastiki Rethimnou A.E. finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 2550 100 29 4 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 16 m ca. distribuzione interna Ogni rampa serve 1 - 2 alloggi. n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-09 pag 1 Rethimno, Crete A. Varoudakis, Y. Varoudakis 3 c. 4 c. 13 duplex, 16 simplex 1992 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questoedificio per appartamenti si presenta come una aggregazione di unità semi-indipendenti disposte in linea. La successione di tali unità descrive una curva ad andamento variabile: nella concavità di tale curva è ricavato uno spazio di accesso comune. Compositivamente questo progetto si basa sulla contrapposizione fra l’articolazione del fronte sud-occidentale, data dalle numerose rampe di scale e dai pianerottoli di accesso agli alloggi, e la linearità della curva che caratterizza il prospetto nord-orientale. Perpendicolarmente a questo è disposto un corpo minore, che ospita alcuni alloggi. Nei due edific gli alloggi simplex occupano il piano terra, mentre ai duplex dei piani superiori si accede tramite scale, ognuna delle quali serve mediamente due appartamenti. Nell’edificio princiale, in corrispondenza del punto dove la curvatura è massima, si verifica un’eccezione: un unico corpo scala serve un alloggio simplex per ogni piano. GR-09 pag 2 Rethimno, Crete Bibliografia Design + art in Greece, 30/1999 A. Varoudakis, Y. Varoudakis 1992 D I G F F ES F H F F FR F F F F GB F F IT P 1 GR D C A A B E B A A B A A A 2 GR-09 pag 3 Rethimno, Crete A. Varoudakis, Y. Varoudakis 1992 D ES FR GB IT P GR 3 1 - pianta del piano primo 2 - pianta del piano terra 3 - pianta di un alloggio A 4 -vista della scala esterna posta nel punto di massima curvatura della parete. 5 - ogni appartamento è dotato di spazi esterni, costituiti da logge dispost lungo la parete curva. 7 - l’accesso agli alloggi avviene attraverso rampe di scale, che servono uno o due appartamenti ciascuna. GR-09 pag 4 Rethimno, Crete A. Varoudakis, Y. Varoudakis 1992 D ES FR GB IT P GR 4 4 GR-09 5 pag 5 Rethimno, Crete A. Varoudakis, Y. Varoudakis 1992 luogo/quartiere Nea Filothei, Atene 1985 1980 autore G. Mavridis, E. Orfanou anno 1994-1995 1990 2000 1995 10 2005 D ES FR Atene GB IT P Nea Filothei GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor G. Mavridis, E. Orfanou privato progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera B. Politopoulos 1994: progetto 1995: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 144 25 6 6 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 8m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano. n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-10 pag 1 Atene G. Mavridis, E. Orfanou 6 simplex 1994 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di una colonna di appartamenti simpex, serviti da un corpo scala. La volumetria allungata e slanciata, presenta uno spigolo acuto risolto dalla forma curva delle terrazze. Lo schema distributivo degli ambienti interni, con il soggiorno piuttosto ridotto a vantaggio della zona notte, soddisfa la richiesta dei committenti di abitazioni da occupare con le rispettive famiglie. Ogni alloggio è dotato di spazi esterni. La fabbrica è posta su pilotis e circondata da un giardino. Al piano terra e nel piano interrato di trovano i garages. GR-10 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 33/2002 G. Mavridis, E. Orfanou 1994 B D ES FR 1 GB IT A P GR 2 3 GR-10 pag 3 Atene G. Mavridis, E. Orfanou 1994 D ES FR GB IT P GR 4 1 - pianta del terzo, quarto e quinto piano 2 - pianta del primo e del secondo piano 3 - pianta del piano terra 4 - pianta di un alloggio B 5 - vista esterna 6 - vista dell’ingresso GR-10 pag 4 Atene G. Mavridis, E. Orfanou 1994 D ES FR GB IT P GR 5 6 GR-10 pag 5 Atene G. Mavridis, E. Orfanou 1994 luogo/quartiere Perissos, Atene 1985 1980 autore A. Rokas, N. Rokas anno 1997 - 2000 1990 2000 1995 11 2005 D ES FR Atene GB IT P Perissos GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor A. Rokas, N. Rokas privato calendario dell’opera 1997: progetto 2000: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 165 15 4 6 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 11 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-11 pag 1 Atene A. Rokas, N. Rokas 4 simplex 1997 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo edificio è costituito da quattro alloggi, per quattro famiglie: due più anziane e due costituite dai figli e i nipoti dei primi. Nonostante la differenza di età fra gli abitanti, la tipologia degli appartamenti non varia: si tratta di alloggi di piccolo taglio con spazi esterni piuttosto ampi. Al piano interrato si trovano studi e ambienti di servizio, al pianterreno un parcheggio. All’ultimo livello la terrazza e una piccola cucina sono in comune. La purezza volumetrica è contraddetta dalle logge, che scavano il parallelepipedo o aggettano verso l’esterno. GR-11 11 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 33/2002 A. Rokas, N. Rokas 1997 D ES FR GB IT P GR 1 2 1 - sezione 3 - vista della zona giorno di un alloggio 2 - pianta del quarto piano 4, 5 - viste esterne GR-11 pag 3 Atene A. Rokas, N. Rokas 1997 D ES FR GB IT P GR 3 4 GR-11 5 pag 4 D. Tsakalakis 2005 luogo/quartiere Glyfada, Atene 1985 1980 autore anno 12 V. Stathoulopoulos, A. Georgaki 1997 - 1999 1990 1995 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Glyfada GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor V. Stathoulopulos, G. Georgaki privato calendario dell’opera 1997: progetto 1999: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 360 15 5 4 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 9m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-12 pag 1 Atene V. Stathoulopoulos, G. Georgaki 4 c. 4 simplex, 1 duplex 1997 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Il piccolo complesso residenziale è costituito dall’aggregazione fra un volume alto quattro piani, servito da un corpo scala, che ospita un alloggio per piano, e un volume più basso, di due piani, occupato da un alloggio duplex. L’organizzazione degli alloggi si basa sull’importanza data agli spazi esterni (giardini e terrazze). La volumetria è complessa, presentando una certa varietà di forme e dimensioni. L’esterno, inoltre, è caratterizzato dalle balaustre, che diventano elementi decorativi, e dalla bicromia. GR-12 11 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 32/2001 V. Stathoulopoulos, G. Georgaki 1997 D ES FR C GB IT 1 P GR A B 2 1 - pianta del primo piano 2 - pianta del piano terra 3 - piante di un alloggio A 4 - vista complessiva dall’edificio 5, 6 - viste di dettaglio dei prospetti GR-12 pag 3 Atene V. Stathoulopoulos, G. Georgaki 1997 D ES FR GB IT 3 P GR 4 GR-12 pag 4 Atene V. Stathoulopoulos, G. Georgaki 1997 D ES FR GB IT P GR 4 5 GR-12 pag 5 6 V. Stathoulopoulos, G. Georgaki 1997 luogo/quartiere Pangrati, Atene 1985 1980 autore anno P. Dragonas, B. Christopoulou 1999-2002 1990 1995 13 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Pangrati GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Panos Dragonas, Barbara Christopoulou privato progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera N. Markakis 1999: progetto 2002: completamento delle opere impresa realizzatrice/contractor D. & E. Markakis metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 360 30 7 10 + 2 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 12 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano. altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use n° camere per alloggio 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-13 pag 1 Atene P. Dragonas, B. Christosopoulou 7 simplex 1999 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento La torre è costituita da una colonna di appartamenti serviti da un corpo scala, posta su una sorta di “podio” di due piani, più largo, occupato da un club a diretto contatto con la strada. Gli alloggi sono costituiti da una sala centrale, che ne costituisce l’ingresso, sulla quale affacciano la cucina e la zona notte, a sua volta articolata attorno a un corridoio di disimpegno. Nonostante l’uniformità dello schema distributivo, il volume è articolato dalla diversa forma e dimensione delle terrazze, così da ottenere un’immagine esterna di forte impatto visivo. GR-13 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 35/2004 AA.VV., Fourth Biennale of young Greek architects, EIA, Athens 2004 DOUMANIS Orestis, Contemporary architecture in Greece, Architecture in Greece press, Athens 2005 AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century, EIA, Athens 2009 P. Dragonas, B. Christosopoulou 1999 D ES FR 1 GB IT P 4 GR 2 3 5 GR-13 pag 3 Atene P. Dragonas, B. Christosopoulou 1999 D ES FR GB IT P GR 6 1 - pianta del settimo piano 2 - pianta del terzo piano 3 - pianta del piano terra 4 - sezione 5 - vista d’insieme dell’edificio. 6 - pianta dell’alloggio del terzo piano 7 - la vista dalla strada sottolinea il forte impatto visivo della torre rispetto al contesto urbano. 8, 9, 10 - viste d’insieme dell’edificio. 7 GR-13 pag 4 Atene P. Dragonas, B. Christosopoulou 1999 D ES FR GB IT P GR 8 9 GR-13 pag 10 5 Atene P. Dragonas, B. Christosopoulou 1999 luogo/quartiere Vrilissia, Atene 1985 1980 autore MOB architects 1990 anno 1999-2002 1995 14 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Vrilissia GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor MOB architects (V. Baskosos, D. Tsagaraki & associates) privato progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera P. Malandraki, K. Papadopoulos 1999: progetto 2002: completamento delle opere impresa realizzatrice/contractor EUROHOME O.E. metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 1100 50 12 4 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 12 m distribuzione interna 1 corpi scala serve 3 alloggi per piano. altre attività presenti/other activities n° camere per alloggio esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-14 pag 1 Atene MOB architects 3 c. 4 c. 6 simplex, 6 duplex 1999 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo edificio è costituito da due corpi di fabbrica, collegati all’ultimo livello da un ballatoio. I primi due piani sono occupati da alloggi duplex, dotati di uno spazio esterno al pianterreno. Ai piani superiori sei alloggi simplex (tre per piano) sono distribuiti da ballatoi, serviti da un corpo-scala. Gli alloggi del piano attico sono forniti di grandi terrazze, che ne costituiscono l’accesso. Due di questi appartamenti hanno copertura curva, che caratterizza la volumetria complessiva. Questa risulta piuttosto articolata, nonostante l’uniformità di taglio e distribuzione interna degli appartamenti, grazie all’estromissione dei volumi che ospitano le logge. GR-14 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 35/2004 SKOUSBOLL Karin, Greek architecture now, Studio Art Bookshop, 2006 MOB architects 1999 F G D ES FR G 1 GB IT A P C D B D GR E 2 A B C D D E 3 GR-14 pag 3 Atene MOB architects 1999 D ES FR GB IT P GR 1 - pianta del secondo piano 2 - pianta del primo piano 3 - pianta del pianterreno 4 - pianta di un alloggio F 5 - particolare degli aggetti laterali delle logge 6 - vista di uno dei giardini privati 7, 8, 9 - viste esterne che mostrano i corpi aggettanti che ospitano le logge e il disegno dei prospetti 4 GR-14 pag 4 Atene MOB architects 1999 D ES FR GB IT P GR 5 6 8 7 GR-14 pag 5 Atene 9 MOB architects 1999 luogo/quartiere Voula, Atene 1985 1980 autore Dimitris Tsakalakis anno 2001 - 2004 1990 2000 1995 15 2005 D ES FR Atene GB IT P Voula GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor D. Tsakalakis privato calendario dell’opera 2001: progetto 2003-2004: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 340 50 4 5 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 12 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano. n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-15 pag 1 Atene D. Tsakalakis 4 simplex 2001 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un edificio suddiviso in due corpi di fabbrica, che racchiudono una corte. Per via dell’andamento del terreno, uno dei due corpi è posto a un livello più alto. Questo ospita un garage a due piani e quattro appartamenti simplex, serviti da un corpo scala. Il volume più basso è costituito da otto alloggi duplex, di cui quattro hanno accesso indipendente al pianterreno, mentre quelli che occupano il secondo e terzo piano affacciano su un ballatoio, collegato al corpo scala attraverso un terzo corpo più piccolo, a ponte, in cui è collocato un appartamento duplex. Gli alloggi, nonostante le metrature contenute (60 mq ca. i duplex, 40 mq ca. i simplex) presentano uno spazio comune piuttosto ampio, separato dalla zona notte, e spazi esterni costituiti da terrazze o logge. GR-15 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 33/2002 D. Tsakalakis 2001 D ES FR GB IT 1 2 P GR 3 GR-15 pag 3 Atene D. Tsakalakis 2001 D ES FR GB IT P GR 4 1 - pianta del piano tipo 2 - pianta del piano terra 3 - pianta di un alloggio tipo 4 - vista prospettica 5 - vista esterna 5 GR-15 pag 4 Atene D. Tsakalakis 2001 luogo/quartiere Voula, Atene 1985 1980 autore ISV anno 2000-2002 1990 1995 16 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Voula GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor ISV (M. Ioannou, T. Sotiropoulos, A. van Gilder) privato calendario dell’opera 2000: progetto 2002: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 4000 50 16 5 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 17 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 appartamento simplex per piano. 1 accesso serve 2 appartamenti duplex. altre attività presenti/other activities n° camere per alloggio esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-16 pag 1 Atene ISV 3 c. 4 c. 4 simplex, 12 duplex 2000 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento ‘L’intervento occupa un lotto rettangolare di forma allungata, lungo il quale si dispongono le diverse unità che lo compongono. Una serie di basse ville bifamiliari è conclusa da un volume maggiore, costituito da un edificio per appartamenti. Gli edifici sono circondati da un giardino e il complesso risulta unitario, nonostante l’uso di diverse tipologie residenziali. La metratura delle unità abitative è ampia (200 mq per le case a due piani, 170 mq per gli appartamenti ad un solo piano) e queste sono dotate di spazi aperti riparati dal sole, costituiti da logge per gli appartamenti e terrazze protette da parasole nelle abitazioni a due piani. GR-16 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 36/2005 Architecture in Greece, 39/2005 ISV 2000 D ES FR 1 GB IT 1 - pianta del piano terra di una delle case bifamiliari 2 - pianta del primo piano di una delle case bifamiliari 3 - vista prospettica del complesso a volo d’uccello 4 - pianta del piano terra di un alloggio tipo P 5 - pianta del primo piano di un alloggio tipo 6 - vista di dettaglio della piscina, messa in relazione con il mare non lontano (visibile sullo sfondo). GR 7 - vista di dettaglio di una delle terrazze, rese ombrose dai parasole. 8 - vista interna del portico di accesso all’edificio per appartamenti. 2 3 GR-16 pag 3 Atene ISV 2000 D ES FR GB IT P GR 4 5 6 GR-16 pag 4 Atene ISV 2000 D ES FR GB IT P 7 GR 8 GR-16 pag 5 Atene ISV 2000 luogo/quartiere Ilissia, Atene 1985 1980 autore Sofia Tsiraki 1990 anno 2000 - 2005 1995 17 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Ilissia GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Sofia Tsiraki, Tassos Biris Nicolaos Sofialakis progetto strutturale/structural engineer calendario dell’opera Stavros Polychronakis 2000 - 2001: progetto 2005: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 120 15 5 6 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 7,2 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-17 pag 1 Atene 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type S.Tsiraki 5 simplex 2000 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo piccolo edificio ospita al suo interno, oltre a cinque appartamenti, una galleria d’arte. Tale spazio espositivo, dedicato principalmente alla scultura, occupa un grande vano al pianterreno e un ulteriore sala interrata. Al di sopra si sviluppa l’edificio per appartamenti, che presenta alloggi fra loro uguali per i primi quattro piani ed uno più piccolo al piano attico. Tutti gli appartamenti sono di taglio piuttosto piccolo e godono della vista del parco, sul quale affacciano le logge. GR-17 pag 2 Atene Bibliografia Domes, gennaio 2006 AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century, EIA, Athens 2009 AA.VV., Fifth Biennale of young Greek architects, EIA, Athens 2006 S. Tsiraki 2000 D A GALLERIA ES FR 1 2 GB IT P GR 3 4 GR-17 5 pag 3 Atene S. Tsiraki 2000 D ES FR GB IT P 1 - pianta del pianterreno 2 - pianta del piano tipo 3 - pianta di un alloggio tipo GR 4 - prospetto verso il parco 5 - prospetto laterale 6 - vista del fronte sul parco 7 - vista interna della galleria espositiva 9 - schizzo della vista dal parco 7 GR-17 6 8 pag 4 Atene S. Tsiraki 2000 luogo/quartiere Glyfada, Atene 1985 1980 autore anno 18 G. Apostolakos, Y. Apostolakou 2001 - 2003 1990 1995 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Glyfada GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor G. Apostolakos, Y. Pavlidou - Apostolakou privato calendario dell’opera 1997: progetto 1999: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 220 25 7 4 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 15 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 - 2 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-18 pag 1 Atene G. Apostolakos, Y. Apostolakou 7 simplex 2001 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un intervento di edilizia residenziale, che presenta varie tipologie di alloggi. Ai primi tre piani si trovano due appartamenti per piano: qui la variazione è stata data suddividendo il piano in senso trasversale, al pianterreno, oppure in senso longitudinale al primo e secondo piano. Questo è stato reso possibile grazie al posizionamento del vano scala al centro del corpo di fabbrica. L’ultimo piano è occupato interamente da un unico alloggio. La volumetria è scomposta in piani verticali e orizzontali (muri e terrazze aggettanti), mentre in alcuni punti emerge la struttura reticolare a travi e pilastri. In particolare la parete che divide il corpo di fabbrica a metà in senso longitudinale è evidenziata all’esterno con un diverso trattamento cromatico e materico. GR-18 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 36/2005 G. Apostolakos, Y. Apostolakou 2001 D E ES FR 1 GB IT C P D GR 2 A B 3 GR-18 pag 3 Atene G. Apostolakos, Y. Apostolakou 2001 D ES FR GB IT P GR 1 - pianta del terzo piano 2 - pianta del primo e del secondo piano 3 - pianta del pianterreno 4 - pianta di un alloggio C 5 - vista esterna 6 - vista di una delle terrazze all’ultimo livello 4 GR-18 pag 4 Atene G. Apostolakos, Y. Apostolakou 2001 D ES FR GB IT P GR 5 6 GR-18 pag 5 G. Apostolakos, Y. Apostolakou 2001 luogo/quartiere Vrilissia, Atene 1985 1980 autore MOB architects 1990 anno 2001 1995 19 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Vrilissia GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor MOB architects (V. Baskosos, D. Tsagaraki & associates) privato calendario dell’opera 2001: progetto metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 630 40 13 4 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 16 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 2-3 alloggi per piano più un’unità bifamiliare n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-19 pag 1 Atene MOB architects 3 c. 4 c. 11 simplex, 2 duplex 2001 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo complesso residenziale è costituito da due corpi di fabbrica separati. Il maggiore dei due è alto cinque piani, ognuno dei quali è occupato da tre appartamenti di metratura piuttosto ampia, dotati di tre camere da letto ciascuno, una comoda zona giorno e vari spazi aperti. Al piano attico gli appartamenti si riducono a due. L’altro edifcio, più piccolo, è costituito da due alloggi duplex. Il complesso comprende anche una parte non edificata, sistemata a giradino. Nel piano interrato si trova, oltre ad alcuni vani tecnici, un parcheggio. L’esterno è caratterizzato figurativamente dalla scomposizione delle logge in elementi bidimensionali e dalla bicromia. GR-19 pag 2 Atene Bibliografia Design + art in Greece, 38/2007 MOB architects 2001 E D ES FR D C C C C D GB IT 1 P GR B 2 A A 2 GR-19 pag 3 Atene MOB architects 2001 D ES FR GB IT P GR 3 1 - pianta del primo piano 2 - pianta del pianterreno 3 - pianta di un alloggio D 4, 5, 6 - viste esterne che mostrano l’articolazione volumetrica. GR-19 pag 4 Atene MOB architects 2001 D ES FR GB IT P GR 4 5 GR-19 6 pag 5 Atene MOB architects 2001 luogo/quartiere Nicosia, Cipro 1985 1980 autore G. Patsalosavvis anno 2001 - 2005 1990 2000 1995 20 2005 D ES FR Cipro GB IT P Nicosia GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor G. Patsalosavvis, J. Constantinidou, T. Tourva, M. Emmanuel privato calendario dell’opera 2001: progetto 2005: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 530 50 9 6 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 14 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 - 2 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-20 pag 1 Nicosia, Cipro G. Patsalosavvis 9 simplex 2001 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo complesso residenziale si distingue per la purezza volumetrica. Si tratta di un parallelepipedo, in cui una delle dimensioni prevale in modo deciso sulle altre. Questo ha consentito di suddividere trasversalmente ogni piano in due alloggi speculari. Il corpo scala è al centro fra i due. Agli ultimi tre livelli si trova, invece, un solo alloggio per piano: la sezione longitdinale del volume risulta dimezzata. In contrasto con l’omogeneità dei prospetti esterni, il nucleo centrale si articola intorno a un vano a tutta altezza, su cui si affacciano ballatoi, che distribuiscono gli alloggi e il corpo scala. La struttura in c. a. a travi e pilastri è lasciata a vista, contribuendo a caratterizzare questo spazio. GR-20 pag 2 Nicosia, Cipro Bibliografia Architecture in Greece 41/2007 G. Patsalosavvis 2001 D ES FR GB 1 IT P GR 2 3 GR-20 pag 3 Nicosia, Cipro G. Patsalosavvis 2001 D ES FR GB IT P GR 4 5 GR-20 pag 4 Nicosia, Cipro G. Patsalosavvis 2001 D ES FR GB IT P GR 6 1 - pianta del secondo piano 2 - pianta del primo piano 3 - pianta del pianterreno 4 - pianta di un alloggio A 5 - sezione 6 - vista che mostra l’uniformità dei prospetti esterni. 7, 8 - viste che mostrano la complessa articolazione dell’ingresso al vano scala. 7 GR-20 pag 5 Nicosia, Cipro 8 G. Patsalosavvis 2001 luogo/quartiere Sitia, Creta 1985 1980 autore Dimitris Tsakalakis anno 2001 - 2004 1990 2000 1995 21 2005 D ES FR Creta GB IT P Sitia GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor D. Tsakalakis privato calendario dell’opera 2001: progetto 2003-2004: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 340 50 13 5 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 18 m distribuzione interna 1 corpi scala serve 1-2 alloggi per piano. Al quinto livello un ballatoio serve 5 alloggi. n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-21 pag 1 Sitia, Creta D. Tsakalakis 3 c. 4 c. 4 simplex, 9 duplex 2001 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un edificio suddiviso in due corpi di fabbrica, che racchiudono una corte. Per via dell’andamento del terreno, uno dei due corpi è posto a un livello più alto. Questo ospita un garage a due piani e quattro appartamenti simplex, serviti da un corpo scala. Il volume più basso è costituito da otto alloggi duplex, di cui quattro hanno accesso indipendente al pianterreno, mentre quelli che occupano il secondo e terzo piano affacciano su un ballatoio, collegato al corpo scala attraverso un terzo corpo più piccolo, a ponte, in cui è collocato un appartamento duplex. Gli alloggi, nonostante le metrature contenute (60 mq ca. i duplex, 40 mq ca. i simplex) presentano uno spazio comune piuttosto ampio, separato dalla zona notte, e spazi esterni costituiti da terrazze o logge. GR-21 pag 2 Sitia, Creta Bibliografia Architecture in Greece, 40/2006 AA.VV., The dispersed urbanity of the Aegean archipelago, Hellenic Ministry of Culture 2006 D. Tsakalakis 2001 B B D D ES FR 1 2 GB IT B B P D GR C C C C 3 C C 4 A A A A 5 GR-21 C C A A A A 6 pag 3 Sitia, Creta D. Tsakalakis 2001 D ES FR GB IT P GR 7 1 - pianta del quinto piano 2 - pianta del quarto piano 3 - pianta del terzo piano 4 - pianta del secondo piano 5 - pianta del primo piano 6 - pianta del piano terra 7 - pianta di un alloggio di tipo B 8, 9 - viste del fronte dei duplex: i due piani intermedi, le cui logge sono caratterizzate cromaticamente, ospitano la zona notte degli alloggi. Al piano terra l’accesso agli appartamenti avviene dalla strada. 10, 11 - schemi assonometrici aggregativi . GR-21 pag 4 Sitia, Creta D. Tsakalakis 2001 D ES FR GB IT P GR 8 9 10 11 GR-21 pag 5 Sitia, Creta D. Tsakalakis 2001 luogo/quartiere Tebe 1985 1980 autore Ark - sign 1990 anno 2002 - 2006 1995 22 2000 2005 D ES FR Tebe GB IT P GR progettisti del piano/masterplan architects committente/ente promotore/promotor G. Diamantopoulos (urban plan: 1977) privato progettisti degli edifici/buildings architects calendario dell’opera M. Kazolea, T. Katerini, S. Kolidas, P. Tsakopoulos progetto strutturale/structural engineer 2002: progetto 2006: completamento delle opere K. Kourkoutis impresa realizzatrice/contractor KADMOS A.E.T.E. metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 3000 140 32 5 + 3 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 12 - 15 m distribuzione interna 8 corpi scala servono 1 - 2 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-22 pag 1 Tebe 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type Ark - sign 3 c. 4 c. 8 simplex, 24 duplex 2002 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un intervento a scala urbana, che si inserisce nell’ambito del piano del 1977. Tale piano ha come obbiettivo quello di decongestionare il centro della città, favorendo lo sviluppo delle zone periferiche. L’insediamento residenziale è costituito da diverse unità abitative, aggregate intorno a una grande corte sistemata a giardino, e circa 2000 mq di negozi. Gli alloggi sono di dimensioni modeste, quasi tutti disposti su due piani. Quelli ai piani inferiori hanno accesso indipendente e un piccolo spazio esterno privato. Nei piani interrati è collocato un parcheggio. Gli edifici sono costituiti da un’aggregazione di volumi di dimensioni diverse, ben distinguibili fra loro grazie alla bicromia. GR-22 pag 2 Tebe Bibliografia Design + art in Greece, 39/2008 AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century, EIA, Athens 2009 Ark - sign 2002 D ES FR 1 GB A A A D C C IT A P A GR A A A A A A A B 2 1 - sezione 2 - pianta del pianterreno 3 - pianta del pianterreno di un alloggio A 4 - vista dell’insediamento dall’esterno 5 - vista complessiva della corte interna 6 - interno di uno degli alloggi duplex 7 - vista della corta interna GR-22 pag 3 Tebe Ark - sign 2002 D ES FR GB IT P GR 3 4 GR-22 pag 4 Tebe Ark - sign 2002 D ES FR GB IT P GR 6 GR-22 7 pag 5 Tebe Ark - sign 2002 luogo/quartiere Nea Filothei, Atene 1985 1980 autore Y. Aesopos 1990 anno 2003 1995 23 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Nea Filothei GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Yannis Aesopos privato calendario dell’opera 2003: completamento delle opere metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 165 16 4 5 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 9m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. 4 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-23 pag 1 Atene Yannis Aesopos 7 simplex 2003 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo piccolo intervento risulta dall’aggregazione di due tipologie residenziali diverse: può essere letto come una casa monofamiliare, alla quale è sovrapposto un edificio per appartamenti. L’abitazione al pianterreno costituisce il basamento dell’edificio. Uno spazio intermedio dà accesso alla colonna di alloggi simplex sovrastante, servita da un corpo scala. Questo è estromesso dal volume principale e presenta una struttura a telaio in acciaio e vetro. L’alloggio duplex è organizzato intorno a un grande spazio centrale a doppia altezza, su cui si aprono le camere e i servizi, caratterizzato da grandi lucernai ellittici sulla copertura. NeiI simplex superiori i vani sono distribuiti da un corridoio centrale, mentre l’accesso avviene nel soggiorno. Questo affaccia su una grande loggia. GR-23 pag 2 Atene Bibliografia DOUMANIS Orestis, Contemporary architecture in Greece, Architecture in Greece press, Athens 2005 Yannis Aesopos 2003 D ES 1 FR B GB 2 IT 1 - sezione 2 - pianta del piano tipo P 3 - pianta del secondo piano 4 - pianta del pianterreno 3 5 - pianta di un alloggio B GR 6 - vista interna dell’appartamento duplex al pianterreno A 7 - scala d’accesso al piano intermendio 8 - vista del piano intermedio 4 5 GR-23 pag 3 Atene Yannis Aesopos 2003 D ES FR GB IT P GR 6 7 8 GR-23 pag 4 Yannis Aesopos 2003 luogo/quartiere Pangrati, Atene 1985 1980 autore anno 24 A. Anastasopulou, V. Gikapeppas 2005 - 2007 1990 1995 2000 2005 D ES FR Atene GB IT P Pangrati GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Anta Anastasopoulou, Vassili Gikapeppas, Christina Markou privato calendario dell’opera progetto strutturale/structural engineer 2005: progetto 2007: completamento delle opere Christos Zallas, Spouros Kouzangelis metodo di finanziamento finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 140 30 8 9 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 10 m distribuzione interna 1 corpo scala serve 1 alloggio per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. 3 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-24 pag 1 Atene A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005 4 c. 8 simplex D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di una torre di nove piani, ognuno dei quali, escluso quello di accesso, ospita un appartamento. Il volume si caratterizza per la sua semplicità, contraddetta solo dalle logge e dal corpo scala cilindrico. Anche la suddivisione degli spazi interni degli alloggi è piuttosto semplice: l’ingresso è posto fra la zona giorno, costituita da un unico ambiente, e la zona notte, organizzata intorno a un disimpegno. Un ulteriore ambiente, al centro, è in comunicazione con il soggiorno attraverso un’apertura. Dai soggiorni si accede alle logge, piuttosto grandi, che con i parapetti in muratura e i parasole metallici verniciati di rosso caratterizzano il prospetto prinicipale. GR-24 pag 2 Atene Bibliografia AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century, EIA, Athens 2009 A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005 D ES FR GB IT P GR 5 1 - pianta del piano tipo 2 - vista della torre, inserita nel proprio contesto urbano 3 - vista delle logge 4 - viste dei parasole metallici GR-24 pag 3 Atene A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005 D ES FR GB IT P GR 2 3 GR-24 4 pag 4 Atene A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005 luogo/quartiere Metaxourgeion, Atene 1985 1980 G. Daskalaki, V. Papadopoulos autore anno 2006 - 2009 1990 2000 1995 25 2005 D ES FR Atene GB IT P Metaxourgeion GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor Georgia Daskalaki, Yannis Papadopoulos Tassos Biris (consultant architect) GEK TERNA S.A. progettisti paesaggisti/landscape architects calendario dell’opera Elli Pagalou 2005: progetto 2005-2007: completamento delle opere progetto strutturale/structural engineer N. Pagonis, N. Chroneas, Ch. Kinatos impresa realizzatrice/contractor metodo di finanziamento TERNA S.A. finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 3000 120 40 5 + 1 int. mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 10 - 18 m distribuzione interna 4 corpi scala servono 2 - 3 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities uffici/office commerciale/commercial altri usi/other use GR-25 pag 1 Atene 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type G. Daskalaki, V. Papadopoulos 3 c. 4 c. 37 simplex, 3 duplex 2006 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Si tratta di un edificio a corte. L’accesso ai corpi scala avviene attraerso questo spazio aperto centrale. Alcuni ambienti per esercizi commerciali affacciano all’esterno. Alla varietà di tagli e di schemi distributivi degli alloggi corrisponde un’articolazione volumetrica, tale che è difficile identificare un corpo di fabbrica unitario. La diversa dimensione e forma diterrazze e bucature accentuano questa caratteristica dell’edificio. Il complesso è dotato di uno spazio collettivo che ospita una piscina. La copertura è caratterizzata da elementi tecnici, che assumono un particolare valore formale, e dalla variazione di pendenza delle falde. GR-25 pag 2 Atene Bibliografia Domes, maggio 2009 G. Daskalaki, V. Papadopoulos 2006 D M V ES U O FR T GB P R IT Q S P 1 GR L L L M A B I C H D G F E 2 GR-25 pag 3 Atene G. Daskalaki, V. Papadopoulos 2006 1 - pianta del primo piano D 2 - pianta del pianterreno 3 - pianta di un alloggio di tipo V 4 - vista della copertura e della corte 5 - vista che mostra la complessa articolazione delle logge e delle bucature ES 6 - vista della piscina FR GB IT P GR 3 GR-25 pag 3 Atene G. Daskalaki, V. Papadopoulos 2006 D ES FR GB IT P GR 4 6 5 GR-25 pag 5 Atene G. Daskalaki, V. Papadopoulos 2006 luogo/quartiere Patrasso 1985 1980 TRAC architecture+construction autore anno 2007 1990 2000 1995 26 2005 D ES FR Patrasso GB IT P GR progettisti degli edifici/buildings architects committente/ente promotore/promotor N. Travasaros, T. Travasaros, D. Travasaros & divercity, D. Karabella privato calendario dell’opera progetto strutturale/structural engineer 2007: progetto Yannis Kiourtis impresa realizzatrice/contractor metodo di finanziamento TRAC architecture + construction finanziamento privato dati intervento superficie/surface area abitanti/habitants alloggi/dwellings n° di piani massimo/floor number 5800 130 30 5 mq spessore corpo di fabbrica/building dimension ca. 16 m distribuzione interna 4 corpi scala servono 1 - 2 alloggi per piano n° camere per alloggio altre attività presenti/other activities esclusivo uso residenziale 1 c. 2 c. tipi di alloggio/dwelling type GR-26 pag 1 Patrasso 3 c. 4 c. 26 simplex, 4 duplex TRAC architecture + construction 2007 D ES FR GB IT P GR descrizione dell’intervento Questo edificio in linea è servito da quattro corpi scala, ognuno dei quali distribuisce uno o due appartamenti per piano. La volumetria è compatta e l’omogeneità delle unità abitative è evidenziata dalle fasce continue delle logge, che corrono lungo tutto il prospetto principale. Fa eccezione solo una delle colonne di appartamenti, ad una delle estremità della stecca, che si distingue dal resto sia per la volumetria, caratterizzata dall’accentuazione di un angolo acuto, sia per la tipologia abitativa, presentando alloggi di taglio più piccolo, fra cui un monolocale. GR-26 pag 2 Patrasso Bibliografia Domes, maggio 2008 TRAC architecture + construction 2007 D ES G F FR GB E IT D P C GR B A GR-26 pag 3 Patrasso TRAC architecture + construction 2007 D ES FR GB IT P GR 1 - pianta del secondo piano, scala 1:500 2 - pianta di un alloggio G, scala 1:200 3 - vista delle terrazze che affaciano sul mare 4, 5 - viste del pianterreno GR-26 pag 4 Patrasso TRAC architecture + construction 2007 D ES FR GB IT P GR 3 4 GR-26 5 pag 5 Patrasso TRAC architecture + construction 2007 REGESTO DELLE OPERE REALIZZATE 1 2 Biris, Biris Kouvela 1977 - 1980 1977 - 1980 Polydrosso, Halandri, Atene 15 alloggi Exarchia, Atene 3 alloggi 3 4 Photiadis, Massouridis Atelier 66 1977 1978 - 1982 Antikyra, Beotia 160 alloggi Doxapatris st., Atene 9 alloggi 5 6 Atelier 66 Exarhopoulos, Papastamatis 1978 - 1981 1978 Olos Pinotsi 17, Atene 3 alloggi Kareas, Atene 5 alloggi 7 8 Exarhopoulos Manetas 1978 1978 Nea Philotei, Atene 3 alloggi Filothei, Atene 6 alloggi 9 10 Manetas Souvatzidis 1978 1978 - 1979/81 Palayo Psychico, Atene 5 alloggi Papagou, Atene 4 alloggi 1 11 12 Souvatzidis Tombazis 1978 - 1981 1978 - 1984/88 Halandri, Atene 7 alloggi Pefki, Attica 435 alloggi 13 14 Biris, Biris Didaskalou 1979 - 1981 1979 - 1980/83 Halandri, Atene 6 alloggi Kalamaria, Salonicco 12 alloggi 15 16 Manetas Biris, Biris 1979 1980 - 1985 Kifissia, Atene 6 alloggi Politeia, Atene 3 alloggi 17 18 Manetas Manetas 1980 1980 Palayo Psychico, Atene 6 alloggi Palayo Psychico, Atene 3 alloggi 19 20 Manidakis Rogan, Papassidelis 1980 1980 - 1983 Kifissia, Atene Parkopoulo, Atene 4 alloggi 2 21 22 Theodossopulos Tombazis 1980 1980 - 1981/83 Metz, Atene Komotini, Atene 134 alloggi 23 24 Atelier 66 Manetas 1981 1981 Voula, Atene Kifissia, Atene 8 alloggi 25 26 Manetas Tombazis 1981 1981 - 1982/87 Palayo Psychico, Atene 14 alloggi Glyfada 6 alloggi 27 28 Souvatzidis Andreadakis, Bakas 1986 - 1993 1987 - 1989 Attica Park, Atene 3 alloggi Rethimno, Creta 29 30 Manetas Mastroyannis, Koufopanos 1987 1987 - 1988/89 Kifissia, Atene 15 alloggi Holangos, Atene 6 alloggi 3 31 32 Patsouris Manetas 1987/88 - 1988/91 1988 Dodiotou st., Atene 7 alloggi 33 Kifissia, Atene 4 alloggi 34 Mastroyannis, Koufopanos Stylianidis, Stylianidis, Papathomas 1988 1988 - 1989 Kifissia, Atene 5 alloggi Holangos, Atene 3 alloggi 35 36 Kokkindou Manetas 1989 - 1990/91 1989 Heraklion, Atene 15 alloggi Kifissia, Atene 9 alloggi 37 38 Manetas Zeppos, Gergiadis 1989 1989 Kifissia, Atene 5 alloggi Kavouri, Atene 9 alloggi 39 40 Faturos I. S. V. 1990 1990 - 1993 Palama st., Thessaloniki 6 alloggi Palayo Faliro, Atene 4 alloggi 4 41 42 Kouvela, Panaghiotatou Manetas 1990 1990 Voula, Atene 4 alloggi Palayo Phaleron, Atene 8 alloggi 43 44 Tombazis, Kalligas Apostolakos, Apostolakou 1990 - 1990/93 1991/92 - 1994/96 Palayo Phaleron, Atene (più di) 20 alloggi Maroussi, Atene 6 alloggi 45 46 Gerakis Manetas 1991/92 - 1993/94 1991 Glyfada, Atene 4 alloggi Kifissia, Atene 5 alloggi 47 48 Varoudakis Varoudakis Dexameni, Chania, Creta 1992 - 1993/97 19 alloggi Aghios Ioannis, Rethimno, Creta 1992 - 1993/97 49 50 Andreadakis, Baka Souvatzidis 1993 - 1994/95 1993 - 1995 Rethimno, Creta Neo Heraklion, Atene 4 alloggi 5 51 52 Karakosta, Papanikolau Manetas 1994 1994 Beotia 10 alloggi (a schiera) Glyfada, Atene 4 alloggi 53 54 Mavridis, Orfanou Karakosta 1994 - 1995 1995 - 1997 Nea Filothei, Atene 5 alloggi Ano Glyfada, Atene 3 alloggi 55 56 I. S. V. Karakosta 1996 - 2000 1996 - 1999 Papagou, Atene 3 alloggi Palayo Psychico, Atene 4 alloggi 57 58 Gyfotopoulos, Filippa Mavridis, Orfanou 1997 - 1997/2002 1997 Aghia Paraxevi, Atene 9 alloggi Lycabetto, Atene 4 alloggi 59 60 Rokas, Rokas Stathoulopoulos, Georgaki 1997 - 2000 1997 - 1999 Perissos, Atene 4 alloggi Glyfada, Atene 6 alloggi 6 61 62 Filippopuolou, Mourelatos I. S. V. 1998 - 2000 1998 - 2000 Pangrati, Atene 3 alloggi Voula, Atene 5 alloggi 63 64 Manetas Sarof, Papadopoulos 1998 - 2001 1998 Palayo Psychico, Atene Nicosia, Cipro 6 alloggi 65 66 Dragonas Loukopulos 1999 - 2002 1999/2000 - 2000/2002 Pangrati, Atene 7 alloggi Corinto 6 alloggi 67 68 M. O. B. Tsakalakis 1999 - 1999/2002 1999 Virilissia, Atene 16 alloggi Voula, Atene 4 alloggi 69 70 dkt architects (Desilas, Katsika, Tsiatas) I. S. V. 2000 - 2004 2000 - 2002 Pigadakia, Voula, Atene 10 alloggi 7 71 72 Kotionis, Kolipoulou Photiadis 2000/01 - 2001/03 2000 - 2003 Palayo Phaleron, Atene (più di) 9 alloggi Psyhico, Atene 73 74 Sgouros Tsiraki 2000 - 2004 2000 - 2001/2004 Aghio Nicolao, Creta Ilissia 5 alloggi 75 76 3 T (Travasaros) Anastasospoulo, Gikapeppas 2001 - 2003 2001 - 2003 Patrasso 9 alloggi Halandri, Atene 4 alloggi 77 78 Apostolakos, Apostolakou Horiti 2001 - 2001/03 2001 Glyfada, Atene 8 alloggi Kolonaki 3 alloggi 79 80 Kaklamani M. O. B. 2001/02 - 2002/03 2001 Atene Virilissia, Atene 13 alloggi 8 81 82 Nikiforiadis, Skaraki Patsalosavvis 2001 - 2002 2001 - 2005 Chania, Creta Nicosia, Cipro 9 alloggi 83 84 Tsakalakis Ark Sign 2001 - 2002/05 2002 - 2006 Sitia, Atene Thiva (più di) 20 alloggi 85 86 Domorinthos Manetas 2002 2002 Nea Smirni, Atene 9 alloggi 87 Politeia, Atene 88 M - Plus Abakoumkin, Kavaddas, Kalogiannis, Boutis 2002/03 - 2004/07 2003 Nea Smirni 5 alloggi Voula, Atene 89 90 Abakoumkin Aesopos 2003 - 2004 2003 Halandri, Atene 4 alloggi Atene 9 91 92 Andreadaki, Baka Christovasilis 2003/04 - 2005 2003 - 2006 Rethimno, Creta 93 Paroutsis, Haralambiau - Moskou Nicosia, Cipro 2003 3 alloggi Marousi 94 Anastasopoulos, Gikapeppas Atene 2004 - 2005 9 alloggi 95 96 Antonakakis, Momembasitou Delendas 2004 - 2005 2004 - 2005/06 97 98 Manziou Pangea, Lamprinou 2004 - 2005/08 2004 - 2005/07 99 100 Stasinopoulos Anastasopoulos, Gikapeppas 2004 2005 - 2007 Marousi Keramikos, Atene 3 alloggi Galatsi 9 alloggi 10 101 102 Maurogheorghi Tsakalakis 2005 - 2006 2005 103 104 Daskalaki, Papadopoulos Gavalas & associates 2006 - 2009 2006 - 2007/08 105 106 Tsigarida TRAC 2006 2007 Aghia Paraskeui Metaxourgeion, Atene 40 alloggi East Suburbs, Thessaloniki Patrasso 30 alloggi 107 Sotoviki Aghia Paraskevi, Atene 2008 11 Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Architettura “Valle Giulia” Dipartimento Ar_Cos Tesi di Dottorato in Architettura e Costruzione, Spazio e Società Guglielmo Malizia - relatore prof. Dina Nencini La residenza urbana in Grecia - 1980 / 2005 Vol.III - L’inattualità tecnologica dell’Architettura 2 PREMESSA Come già anticipato nella prefazione generale, occorre avvertire che il terzo volume di questa tesi esula dall’ argomento specifico trattato nei due precedenti, per dare spazio a riflessioni di carattere più generale sulla disciplina architettonica, secondo l’esplicita richiesta del Collegio dei Docenti. Si tratta di un breve testo critico che affronta, seppur in maniera parziale, un tema centrale per la comprensione dell’architettura e del suo ruolo attuale: la tecnica. 3 4 INDICE 7 INTRODUZIONE Che cos’è l’architettura 0 RIFLESSIONI SULLO STATO ATTUALE DELL’ARCHITETTURA L’architettura come espressione del proprio tempo L’inattualità tecnologica dell’architettura L’inattualità simbolica dell’architettura L’attuale panorama della cultura architettonica Per il progresso dell’architettura 0 LA QUESTIONE DELLA TECNICA La natura della tecnica Il carattere della tecnica “Tecnicizzazione”: senso e finalità Ontologia del presente 0 LE ARTI E LA TECNICA Il ruolo della tecnica in architettura Gli orizzonti neotecnologici dell’arte 0 BIBLIOGRAFIA 5 6 INTRODUZIONE Credo che un’attività prpropriamente scientifica come la ricerca non possa che avere un ruolo limitato nell’ambito di una disciplina artistica quale è l’architettura. Un ruolo limitato sostanzialmente all’aspetto tecnico, e quindi più generico della materia, ovvero allo studio dei materiali da costruzione e delle loro proprietà tecnologiche. D’altra parte l’alto grado di responsabilità civile di quest’arte impone agli architetti di coltivare la loro coscienza tramite una costante riflessione teorica sui valori radicati nella vocazione spirituale dell’uomo, oltre che sugli scopi pratici legati alla struttura specifica di ogni epoca. Per questo motivo il fine principale della didattica in architettura dovrebbe essere quello di comprendere la stretta connessione tra i due livelli essenzialmente differenti dello scopo e del valore1. Credo sia inoltre ragionevole sostenere che la riflessione teorica degli architetti ruoti sempre attorno a due domande fondamentali: “che cos’è l’architettura?” e “qual è il suo ruolo attuale?”. Che cos’è l’architettura? L’architettura è l’arte del costruire2; e il costruire è la tecnica che ha come fine la costruzione, ovvero la produzione di oggetti utili alla vita. Attraverso quest’attività primordiale gli uomini stabiliscono la propria relazione con l’ambiente in cui vivono, e trasformandolo lasciano le tracce più evidenti e durature della loro esistenza. In questo senso la costruzione può essere intesa come concretizzazione dei diversi modi che l’uomo ha di stare nel mondo, orientandosi, appropriandosi del territorio, disponendo su di esso materiali utili alla vita e organizzandoli; si potrebbe definire sostanza dell’abitare. Forse però l’intero ambito del costruire è troppo vasto per definire l’architettura, infatti esistono svariati tipi di costruzione e non tutti sono oggetto della nostra arte, anche se, come sostiene Vitruvio, “l’architetto deve essere in grado di giudicare tutte quelle opere che le singole arti 1 A questo proposito Mies van der Rohe nel Discorso inaugurale in qualità di direttore del dipartimento di Architettura presso l’Armour Institute of Technology (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996) disse: “La vera educazione non si riferisce soltanto agli scopi, ma anche ai valori. Nei nostri scopi siamo legati alla struttura specifica della nostra epoca. I valori invece sono radicati nella vocazione spirituale dell’uomo. La nostra definizione degli scopi determina il carattere della nostra civiltà, la nostra definizione dei valori l’altezza della nostra cultura. Per quanto lo scopo e il valore siano essenzialmente differenti e derivino da livelli diversi, essi sono tuttavia strettamente connessi. A che cosa si devono riferire i nostri valori se non ai nostri scopi, e dove dovrebbero trovare gli scopi il loro significato se non nei valori? Solo questi due piani sono fondamentali per l’esistenza umana. Il primo garantisce all’uomo la sua vita materiale; l’altro rende possibile l’esistenza spirituale dell’uomo. Ma se queste affermazioni sono vere per qualsiasi attività umana, persino per la manifestazione più modesta di un valore, tanto più lo sono per il campo dell’architettura. Nelle sue forme più semplici, l’architettura trova le sue radici nelle considerazioni pratiche. Ma essa raggiunge, al di là di tutti i livelli di valore, il regno dell’esistenza spirituale, il mondo del significato, la sfera della pura arte”. 2 il termine tedesco baukunst esprime nella sintesi suprema questa definizione. 7 costruiscono”3. La distinzione fondamentale per il nostro tipo di costruzioni consiste nel loro carattere tettonico, nella loro fondazione, nel fatto che debbano essere solidali al terreno, almeno durante l’espletamento delle loro funzioni4. Inoltre, a seguito della specializzazione dei saperi avvenuta in età moderna, l’architetto ha dovuto rinunciare non solo al dominio delle opere idrauliche e meccaniche, ma anche di quelle che sono diventate appannaggio dell’ingegneria civile, nonostante la loro incidenza nel paesaggio le renda un problema anche o soprattutto artistico, come sosteneva Mies riguardo le autostrade5. A questo punto, riducendo la definizione di partenza, sarà forse più corretto chiamare architettura l’arte di edificare, ovvero l’arte di costruire gli edifici. Ora, stabilito l’ambito dell’edilizia, viene spontaneo interrogarsi sulla qualità artistica che distingue l’architettura all’interno di esso. Quesito che rimanda alla più generale differenza tra arte e tecnica: come si avvera quel senso di natura che solo distingue l’arte bella dall’arte in genere, ovvero dalla tecnica6? L’architetto, progettando le nuove costruzioni, deve continuamente elaborare delle soluzioni razionali ai problemi pratici che si pongono di volta in volta. È solo nell’atteggiamento spirituale con il quale si affrontano tali problemi che sembra possibile ritracciare la differenza artistica. L’attenta cura nella costruzione, la sincera dedizione alla disciplina, l’onesta comprensione delle condizioni, informano l’opera di una speranza ulteriore, che trascende il raggiungimento degli scopi più immediati7. È come se ci fosse una finalità seconda dell’arte rispetto alla tecnica; una finalità metafisica che non può essere perseguita consapevolmente, ma solo come una vocazione. Questo potrebbe corrispondere a quel senso di unità riflesso dall’opera d’arte proprio come dallo spettacolo naturale che suggerisce l’esistenza di un ordine universale, del cosmo. Così, quando l’edilizia avviene artisticamente, si ha l’architettura. La domanda circa il ruolo attuale dell’architettura costituisce l’argomento centrale delle riflessioni che seguono. Il resto del testo è formato da due approfondimenti sul tema della tecnica, dal momento che essa emerge sempre come termine centrale in ogni discorso sul tempo presente (in quanto suo 3 Vitruvio, De Architectura, I.1 “Architecti est scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, cuius iudicio probantur omnia quae ab ceteris artibus perficiuntur opera.” 4 In tal senso William Morris, in The Prospects of Architecture in Civilization (in: On Art and Socialism, Londra 1947), giungeva a sostenere che “l’architettura è l’insieme delle modifiche e delle alterazioni operate sulla superficie terrestre in vista delle necessità umane, eccettuato solo il puro deserto”. 5 Ludwig Mies van der Rohe, Le autostrade come problema artistico (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996). 6 Viene qui ripresa la teoria di Kant per cui “dinanzi a un prodotto dell’arte bella si dev’essere consapevoli che si tratta di arte e non di natura, e tuttavia la conformità a scopi nella forma di esso deve parere così libera da ogni costrizione di regole arbitrarie, come se fosse prodotto della semplice natura”. (Immanuel Kant, Critica della facoltà di giudizio, cap. 45) 7 A tale riguardo è emblematica la seguente frase di Mies van der Rohe: “L’arte del costruire inizia dal modo accurato di mettere insieme due mattoni” (da un colloquio con Christian Norberg-Schultz del 1958; trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996). 8 carattere determinante) e sull’arte (in quanto sua primitiva), e quindi in ogni riflessione sul ruolo attuale dell’architettura. Nel primo approfondimento ho cercato di inquadrare la questione della tecnica nei suoi aspetti più generali: come proprietà della natura umana, come modo di orientarsi tra le cose nel mondo, come compimento della storia europea, come fattore alienante, ecc.; mentre il secondo approfondimento riguarda il rapporto che lega indissolubilmente, ma in perenne tensione dialettica, le arti alla tecnica, con riferimento specifico all’architettura, nel tentativo di riformulare con chiarezza gli interrogativi posti alla dimensione artistica dal rinnovato scenario ipertecnologico. 9 10 RIFLESSIONI SULLO STATO ATTUALE DELL’ARCHITETTURA L’architettura come espressione del proprio tempo. Ogni costruzione è espressione del tempo in cui viene prodotta in primo luogo per la sua natura tecnica1. Non rientra certo tra le intenzioni che la guidano quella di rappresentare i caratteri di un’epoca, ma lo fa spontaneamente, non può non farlo, utilizzando i materiali a disposizione e rispondendo a problemi attuali. L’architettura inoltre, rispetto alla costruzione in genere, esprime ancora più chiaramente lo spirito del tempo grazie alla sua qualità artistica che si esprime nell’ordinare armoniosamente tutti gli elementi che costituiscono l’opera, aumentandone così l’intelligibilità. Dovere intellettuale dell’architetto è quello di interrogarsi sul presente cercando di chiarirne l’intima struttura, ma è bene che si guardi dal formalizzarne semplicistiche traduzioni nel linguaggio architettonico. D’altra parte, quando si persegue esplicitamente il vago fine di rappresentare i caratteri del proprio tempo, si finisce quasi sempre per scadere ad un tono caricaturale che rende l’opera un vano ricettacolo di figure dell’attualità. Bisogna quindi essere coscienti del proprio tempo e accettarlo, ma, nella pratica, preoccuparsi dei soli problemi di valore e di senso2. Bisogna inoltre tener presente che l’architettura si evolve molto lentamente. Nel corso della storia infatti possiamo apprezzare solo pochissimi momenti in cui sono avvenute trasformazioni significative nei modi di concepire e di praticare l’arte del costruire; e non a caso ciò si è verificato in concomitanza con i grandi passaggi epocali: dall’età antica a quella medievale, da questa a quella moderna, e poi la contemporanea. È importante fare questa precisazione, seppur ovvia, poiché oggi il fraintendimento del significato storico delle avanguardie ha portato ad una costante volontà di distinzione dal passato (anche se molto recente), ad una ricerca continua di novità fine a sé stessa, non motivata da esigenze reali3. 1 Infatti ogni epoca è segnata nella maniera più evidente dalle risorse naturali di cui si servono gli uomini e dal loro modo di utilizzarle, quindi dalla tecnica. 2 Nel 1930, in un momento in cui ogni discussione sulla Neue Sachlichkeit era infervorato dai ben noti toni entusiastici circa la civilisation machiniste, Mies van der Rohe seppe inquadrare il problema della nuova era con estrema lucidità, come dimostrano le celebri parole conclusive del suo intervento al congresso del Deutcher Werkbund: «Il tempo nuovo è una realtà; esso esiste indipendentemente dal fatto che noi lo accettiamo o lo rifiutiamo. Ma esso non è né migliore né peggiore di qualsiasi altro tempo. Esso è semplicemente un dato di fatto ed è in sé indifferente ai valori. Perciò non mi soffermerò a lungo sul tentativo di chiarire il tempo nuovo, di illuminarne i rapporti e di metterne a nudo la struttura portante. Né vogliamo sopravvalutare il problema della meccanizzazione e della standardizzazione. Vogliamo invece accettare come un dato di fatto la mutata situazione economica e sociale. Tutte queste cose percorrono la loro strada inevitabile e cieca ai valori. Decisivo sarà il modo in cui noi ci faremo valere in questa situazione. Solo a questo punto cominciano i problemi spirituali. Quel che importa non è il che cosa, ma unicamente e solo il come. Il fatto che produciamo dei beni, e quali mezzi usiamo per produrre, non significa nulla da un punto di vista spirituale.» (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996). 3 L’avanguardia infatti è stata il modo in cui la pratica artistica si è posta il problema di essere critica nei confronti del pensiero dominante, rompendo le regole accademiche; mentre oggi, che non esistono più regole accademiche cui contrapporsi, si ripropongono schemi avanguardisti per affermare il pensiero dominante. 11 L’inattualità tecnologica dell’architettura. L’architettura per ovvie ragioni ha una relazione fondamentale con tutti gli aspetti della cultura e della vita sociale. È infatti evidente come economia, politica, religione, scienza abbiano determinato le diverse inclinazioni che la produzione architettonica ha seguito nel corso della storia. Ad un’attenta analisi si possono addirittura rilevare i diversi gradi di influenza che ciascuno di questi dispositivi ha esercitato nei vari periodi, a seconda dei diversi assetti assunti dal sistema di potere. Tuttavia l’architettura, come le altre arti, ha solo con la tecnica un legame costitutivo. Del resto fino alla nascita settecentesca dell’estetica non vi era distinzione tra arte e tecnica4; solo da allora si creò una distanza critica tra le due e se ne poté parlare nei termini di un rapporto dialettico. Per questa speciale parentela l’influenza esercitata dalla tecnica sull’architettura risulta ben più diretta ed efficace di ogni altro contributo culturale. Basti pensare a quanto siano sfumati e indefiniti, sebbene incontestabili, gli influssi del costume sulla produzione architettonica, rispetto a come appaiano chiari quelli esercitati dai materiali da costruzione e dalle loro diverse tecnologie. L’esperienza del movimento moderno dimostra come la nuova disponibilità industriale dell’acciaio e del vetro nell’edilizia abbia determinato la più radicale rivoluzione architettonica che sia mai avvenuta. Oggi, con lo sviluppo delle tecniche informatiche, stiamo assistendo al tramonto dell’età industriale, almeno certamente a livello dell’immaginario collettivo. Questo non significa che non vi saranno più luoghi ove si produrranno, con macchine sempre più sofisticate, beni materiali, ma la macchina ha cessato di coincidere con il mito della modernità come la fabbrica ha cessato di essere un condensatore sociale della struttura urbana, un simbolo visibile di avanzamento e di contrasti nello stesso tempo. Nessuno si chiede più come, dove e a quale prezzo siano costruiti i beni materiali che utilizziamo. Tutto è divenuto servizio, informazione, selezionata disponibilità che colloca sullo stesso piano ogni fatto, grande e piccolo. Questa recente rivoluzione informatica, sebbene abbia profondamente mutato le dinamiche sociali di cui l’architettura è senz’altro espressione, non ha portato elementi oggettivi che abbiano sostanzialmente modificato la costruzione degli edifici, né quindi la loro forma. Questo perché al centro dell’attuale mutamento storico vi è uno spostamento dell’interesse generale dai beni materiali a quelli immateriali, mentre l’architettura avrà sempre a che fare prima di tutto con materiali da costruzione grandi e pesanti, che assolvono funzioni inerti e statiche, non certo con flussi elettronici dalla portata comunicativa-informatica. Si profila quindi per l’arte del costruire un rinnovamento necessario si, perché cambiano gli stili di vita e la mentalità degli individui, ma non sostanziale, poiché le tecniche costruttive rimangono in linea di massima le stesse. Questa distanza dal cuore della ricerca tecnico scientifica, può far pensare ad un ruolo tutto sommato marginale della nostra disciplina nell’attuale contesto culturale. Per questo si può parlare di inattualità tecnologica dell’architettura. Ma non è detto che tale inattualità debba necessariamente assumere una connotazione negativa. 4 È ben noto come nell’antichità greca la parola techne indicasse entrambi i concetti. 12 Bisogna comunque valutare che mentre la costruzione degli edifici non riceve elementi strutturali realmente innovativi dai progressi tecnico scientifici in corso, l’elaborazione dei modelli architettonici si avvale di sistemi di calcolo che consentono un agevole controllo di forme dalle geometrie complesse, praticamente ingestibili con i tradizionali strumenti di disegno. Le possibilità plastiche che ne conseguono restano però confinate nella sfera virtuale, almeno fino ad una soluzione efficace per la loro realizzazione. Solo la digitalizzazione del cantiere potrebbe rendere attuabili queste nuove proposte formali, magari tramite una macchina di stampaggio capace di costruire a scala edilizia. Un tale sistema produrrebbe una vera e propria frattura nella storia dell’architettura, anzitutto per la fusione di tutto ciò che da sempre è stato articolato, e permetterebbe una volta per tutte di ridurre il divario crescente tra progetto e costruzione. Solo allora sarà possibile verificare la sostenibilità architettonica di forme davvero originali. Forse l’unica vera novità apprezzabile nella produzione edilizia recente riguarda quell’apparato sovrastrutturale degli edifici che regola il sistema delle relazioni che essi instaurano tra l’ambiente interno e quello esterno. Molte ricerche sono oggi rivolte all’ottimizzazione del bilancio tra confort e consumo energetico dei fabbricati e procedono prevalentemente su due binari: da una parte la produzione di impianti di condizionamento sempre più sofisticati, e dall’altra la specializzazione di materiali di tamponamento, rivestimento, isolamento, impermeabilizzazione efficaci ed ecologici allo stesso tempo5. In vista di un funzionamento più libero ed evoluto i futuri manufatti dovranno disporre di una sorta di sistema nervoso, con centrali di calcolo e reti elettroniche, capace di regolare i processi osmotici tra i differenti ambienti; le pareti di separazione diventeranno delle membrane sensibili e interattive, mentre gli impianti circoleranno in maniera capillare e omogenea. Il problema formale di come integrare tali dispositivi negli organismi edilizi non ha ancora trovato delle soluzioni definitive e si presenta senz’altro come una delle sfide più interessanti per gli architetti di oggi. L’inattualità simbolica dell’architettura. Il ruolo monumentale che l’architettura ha storicamente svolto si è notevolmente ridotto con l’affermazione del mercato come sistema di potere dominante. L’architettura esprime per sua natura caratteri quali la solidità, la durata, la presenza; mentre il mercato, per espandersi, utilizza forme di comunicazione immediata, ben più consone alla sua natura indistinta e mutevole. Si tratta infatti di una forma di potere indiretta, non istituzionale, che non si basa su principi fondativi, né è retta da una gerarchia con responsabilità pubbliche definite, nonostante eserciti un’influenza primaria sui poteri politici. Per queste ragioni non ha certo bisogno di acquisire autorità tramite la dignità architettonica dei propri luoghi, né può trovare alcuna corrispondenza 5 Purtroppo la questione ecologica in architettura, nonostante si sia imposta già da anni come argomento di assoluta priorità, viene ancora trattata in maniera molto superficiale e spesso demagogica. 13 simbolica nell’immagine degli edifici, se non per mezzo di deformanti corredi decorativi, volti proprio a dissimulare la loro stessa logica costruttiva, la loro natura tettonica. È l’evento ad aver preso il sopravvento sul monumento quanto a valenze rappresentative, data la sua capacità di celebrare l’effimero e di rispondere alle esigenze di velocità e simultaneità vitali per il frenetico meccanismo del consumo. L’attuale panorama della cultura architettonica A prima vista il panorama attuale della produzione architettonica risulta caratterizzato da un eclettismo stilistico senza precedenti6. Questo potrebbe essere inteso come un adeguamento della nostra pratica artistica alle logiche del mercato che portano a proporre una varietà spesso illusoria dell’offerta e una distinzione talvolta grossolana dei prodotti7. A volte sembra che gli architetti abbiano come unico modo di affermarsi quello di rendersi riconoscibili al pubblico in maniera evidente, tentando inedite soluzioni formali senza seguire esigenze reali. Comunque, per quanto la cultura architettonica presenti oggi un confuso panorama di tendenze, è possibile individuare tra gli architetti più illustri due orientamenti sostanzialmente antitetici nel modo di operare, e quindi di interpretare l’architettura e il suo ruolo nel mondo contemporaneo. Uno è quello più integrato con l’attuale sistema socioeconomico, ed è il caso di architetti altamente comunicativi, dal repertorio formale esuberante, come Koohlaas, Libeskind, Herzog e De Meuron… L’altro è un orientamento più critico perseguito da architetti che si sforzano di interpretare l’operare artistico come impegno intellettuale nella realtà e che sono più legati alle forme tradizionali dell’architettura, come Gregotti, Siza, Meier… Entrambe queste posizioni non sono naturalmente immuni da contraddizioni interne. Da una parte infatti, rispondendo positivamente alle domande del mercato e assumendo i cardini dell’attuale contingenza storica (come il dilagare del sistema delle comunicazioni e l’attuarsi della globalizzazione) si rischia di negare l’ontologia stessa dell’architettura, che per sua natura è solida, radicata ai luoghi specifici nei quali si insedia, per adottare quei caratteri di fluidità e virtualità, che sono invece propri di quell’inafferrabile sistema finanziario-mercantile che governa il mondo odierno. In questo caso la parte qualificante del lavoro dovrebbe consistere nel paradosso di neutralizzare l’esser architettura dell’architettura, nel camuffarla in altro da sé, fino quasi a ridurla a semplice immagine nel flusso mediatico che tutto comprende indistintamente. Ma fino a che 6 L’origine di questa anomalia eclettica si potrebbe far coincidere col successo, seguito alla crisi degli anni Settanta, dei modelli statunitensi di ricerca formale (Khan, Venturi, Five architects) sulle sperimentazioni europee di pianificazione territoriale (Stearling, gruppo Gregotti, A.U.A.). Qualcosa di simile probabilmente avveniva allo stesso tempo anche nel mondo dell’arte, tra modello americano (Warhol) ed europeo (Beuys). 7 Vittorio Greggotti, in Architettura, tecnica, finalità (Laterza 2002), giunge addirittura a rilevare che “sono almeno una ventina di anni che dall’ibridazione della tradizione dell’architettura con la scenografia cinematografica e televisiva, i videoclip, gli spettacoli rock, la moda, insieme a tutto il loro contorno pubblicitario di mezzi di comunicazione di massa, si è sviluppata una interessante attività, con proprie specificità e regole, un’attività tutta volta a rappresentare il gusto della maggioranza, coincidendo organicamente con le sue oscillazioni, preparando per esse adatte sceno grafie”. 14 punto è lecito chiamare architetto, e quindi amico dell’architettura, chi adempie ad un simile mandato? D’altra parte la pretesa di esprimere con l’architettura una posizione di dissenso rispetto all’andamento generale delle cose presenta l’inevitabile rischio di ricondurre le nuove opere a modelli anacronistici, offuscandone così quell’aspetto essenziale di essere espressione del proprio tempo. Fino a che punto è sostenibile tale posizione alla luce del fatto che l’architettura, come ogni forma d’arte, sia necessariamente espressione della classe dominante e quindi funzionale al potere vigente? Si tratta insomma di scegliere se accettare il fatto di svolgere una pratica inattuale senza però tradire la tradizione dell’architettura e quindi l’architettura stessa, oppure sacrificare l’ontologia disciplinare dedicandosi all’interpretazione-rappresentazione, quando non imitazionecelebrazione, dei portati dell’attuale situazione storica. Ma in ogni caso, e questo è il vero problema di oggi, si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte ad un’estetica artificiale, in cui nulla assume quel senso di necessità, il quale solo può conferire autenticità all’opera d’arte8. Viene a questo punto da domandarsi se tale perdita di autenticità derivi dalla caduta dei valori che ha segnato il compimento della storia europea nell’epoca della tecnica9; o se la mancanza di fermenti e di proposte culturali (dai quali le pratiche artistiche ricevono linfa vitale), insieme ad una generale incapacità di condividere nuovi progetti di vita, dipenda semplicemente dalla condizione di benessere diffuso nei paesi del capitalismo avanzato10. Per il progresso dell’architettura Negare che l’architettura in questo periodo si trovi ad una fase di svolta, data la sua inattualità tecnologica, non diminuisce certo l’interesse per le soluzioni progettuali-formali che vengono prese nell’affrontare i diversi temi che offre l’attualità. Ci troviamo infatti ad operare nel solco di una gloriosa tradizione, quella del movimento moderno, con una coscienza sempre più matura soprattutto per quanto riguarda la questione ambientale. D’altra parte lo svilimento del ruolo monumentale dell’architettura, la sua inattualità simbolica, non ne riduce per nulla l’impiego civile, la sua necessità per la vita e il progresso della società, il suo nobile valore politico. Ciò che purtroppo sembra si stia oggi definitivamente perdendo è la concezione classica del bello 8 Per senso di necessità si intende la qualità specifica dell’opera d’arte che la fa apparire come se fosse opera di natura, secondo la teoria kantiana (cfr. Premessa). 9 Vittorio Greggotti, in Architettura, tecnica, finalità (Laterza 2002), sostiene che “nel passaggio dal moderno alla contemporaneità, ciò che sembra essenzialmente essere andato perduto è ogni progetto di finalità o meglio ogni illusione intorno alla sua possibile costituzione e, nel nostro caso, ogni possibilità di assegnare alle forme architettoniche una capacità simbolica interpretabile come tensione verso le migliori speranze collettive di qualità e di senso”. 10 Infatti, ad una superficiale ricognizione dei precedenti storici, nuovi progetti di vita sembrano potersi determinare solo in condizioni di necessità e di conflitto. 15 come splendore del vero, e quindi la sua ricerca come ricerca di verità11. In tale perdita consiste il pericolo più grande per la nostra disciplina, come forse anche per le altre discipline artistiche. Il concetto che la bellezza non sia un valore aggiunto alle cose, ma consista nella chiarezza della loro stessa natura, impone, nel nostro caso, a concentrarsi prima di tutto sugli aspetti fondamentali dell’architettura (struttura, funzione e forma12) ed affrontarli in maniera organica, piuttosto che con intenti prevalentemente scenografici o decorativi. Questo concetto, per quanto semplice e condivisibile, sembra che vada sempre riformulato e riaffermato, altrimenti il corso spontaneo degli eventi porta a farlo trascurare. Basti pensare al fatto che, nonostante l’entusiasmo e la convinzione con cui meno di un secolo fa lo hanno riproposto i maestri del movimento moderno, oggi viene continuamente tradito dall’eclettismo stilistico che domina la produzione architettonica corrente. Inoltre è spesso difficile rintracciare il senso delle proporzioni nelle opere che vengono correntemente pubblicate, in alcuni casi addirittura ci si trova di fronte a sistematiche deformazioni dell’ordine logico-compositivo. (A volte viene da chiedersi cosa penseranno di noi gli uomini del futuro nell’esaminare tale stravaganza). Rischiamo così di perdere il frutto di una ricerca millenaria sull’armonia delle forme, sulla loro corrispondenza alle leggi generali della natura, insomma ciò che ci trasmette un sentimento di appartenenza e sintonia con l’universo. Cosa di più potrebbe esprimere un’arte positiva come la nostra? Tale perdita sembra derivare principalmente dal rischioso fraintendimento del significato storico delle avanguardie. Se infatti in un determinato momento storico fu necessario abolire le regole accademiche per fondare una nuova arte, oggi non ha certo senso rinunciare anche a quanto di buono ci fosse nella tradizione precedente, come ad esempio i principi di composizione armonica13. A maggior ragione se si riscontra che nemmeno gli stessi fondatori della modernità furono disposti a rinunciare a tale patrimonio. In conclusione, bisognerebbe tornare ad usare un linguaggio comune, quello dell’architettura, dell’arte di edificare, senza distinzioni eclatanti. Questo permetterebbe di tornare ad apprezzare le piccole differenze, che forse sono le uniche autentiche differenze artistiche, le uniche capaci di manifestare la tonalità espressiva propria di ogni autore14, che risuona come fondo costante nell’armoniosa organizzazione dei materiali. 11 Verità intesa secondo la definizione tomistica di adequatio rei et intellectus (Tommaso d’Aquino, De Veritate, dalle Quaestiones disputatae). 12 Secondo la triade vitruviana di ratio firmitatis, utilitatis, venustatis. 13 Probabilmente il tentativo migliore in questo senso e stato fatto da Rudolf Wittkower con il celebre saggio Principi architettonici nell’età dell’Umanesimo nel 1962. 14 Il concetto di tonalità espressiva è tratto dalla teoria della composizione tracciata da Franco Purini in Comporre l’architettura. «Il compositore – scrive Purini - deve poi fare in modo che la tonalità che egli sceglie non sia mai resa incerta dalla presenza di alternative, anche quando egli avesse scelto un’organizzazione per frammenti diversi. L’idea di una tonalità conforme implica l’esistenza di una corrispondenza precisa tra il programma dell’opera, la sua destinazione e il linguaggio con cui essa è risolta. Tale rapporto deve risultare appropriato, e questo risultato si raggiunge solo quando l’atmosfera generale della composizione non presenta scarti ingiustificabili o improvvisi mutamenti di rotta nella direzione della scrittura, a meno che non sia proprio l’inversione brusca di una tessitura compositiva l’obiettivo di una ricerca formale». Qui ho tentato di riferire questo concetto della tonalità all’autore invece che all’opera, come se si trattasse di una qualità propria della personalità creativa piuttosto che di una scelta operativa. 16 Allora che si traccino linee rette o ondulate, che si utilizzino schermi e superfici interattive piuttosto che pietra e mattoni nel rivestimento di un muro, diventa poco rilevante dal punto di vista artistico; ciò che importa è solo l’atteggiamento spirituale con cui ci si relaziona all’opera. In questo senso possiamo ripetere, con Mies, che “quel che importa non è il che cosa, ma unicamente e solo il come”15. 15 Mies van der Rohe, intervento al congresso del Deutcher Werkbund (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996). 17 18 LA QUESTIONE DELLA TECNICA Lo sviluppo delle scienze naturali e in particolare l’incremento della loro fruibilità a partire dalla metà del XVIII sec. stimolò la nascita di teorie della tecnica all’interno della filosofia sociale - e quindi il sorgere delle prime posizioni pessimistiche nei confronti della tecnica1. In ogni caso, in età illuministica né i fautori né gli avversari di questa distinguono ancora tra gli effetti generali del rischiaramento scientifico e le conseguenze del continuo perfezionarsi delle tecnologie concrete. Inoltre, nei secc. XVII e XVIII è ancora rara la distinzione fra scienza e tecnica, emersa attraverso un lungo processo di classificazione delle pratiche, che solo alla fine del secolo scorso e nei primi decenni del nostro ha finito per connotare come tecnica il sottogruppo delle pratiche umane concernenti il comportamento nei confronti della natura diretto alla produzione di beni. Acquisiscono così un peso sempre crescente i problemi filosofici concernenti la natura della tecnologia, le modalità dei cambiamenti e delle innovazioni che ne segnano la storia, la sua influenza su cultura e società. Fin dall’inizio è possibile individuare due principali indirizzi tematici nei quali si può ritenere articolata la “filosofia della tecnologia”: l’esame critico del mondo tecnologico contemporaneo e l’analisi teoretica dei tratti caratteristici e distintivi dell’agire tecnologico. L’orientamento “sociologico” - che considera, sovente con toni pessimistici, l’impatto etico e politico degli sviluppi «tecnoscientifici» nel contesto delle società industriali avanzate - si radica nella tradizione critica della scuola di Francoforte (sfociando in approfondimenti come quelli di J. Habermas2) e nelle analisi sulla tecnologia intesa come fenomeno sociale, svolte anch’esse nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale principalmente dal filosofo francese J. Ellul3. Nucleo concettuale degli studi condotti in questo ambito è il cosiddetto “determinismo tecnologico” il quale, attribuita una relativa autonomia al mondo degli artefatti rispetto alle originarie intenzioni progettuali umane, ha richiesto di valutare le trasformazioni provocate dalle tecnologie nella sfera sociale. Ne è emersa un’impostazione che ha reso possibile leggere in modo unitario il fenomeno della modernità, tesa a utilizzare scienza e tecnologia per acquisire un pieno dominio sulla natura, evidenziando nel contempo i rischi di un conseguente, inevitabile dominio sull’uomo. La generale crisi del determinismo, ritenuto un concetto troppo semplice e astratto per rendere conto della complessità del reale, ha condotto a una revisione di tale prospettiva4 e a delineare un “costruttivismo sociale della tecnologia”5. Quest’ultima posizione teorica sottolinea, 1 Basti pensare alle posizioni di Rousseau. Particolarmente emblematica in proposito la sua risposta negativa alla questione “Se il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi” (tema di un concorso bandito dall’accademia di Digione nel 1750), in J.J. Rousseau, Discorsi sulle Scienze e sulle Arti. Sull’origine della disuguaglianza fra gli uomini. 2 J. Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica (1968). 3 J. Ellul, La tecnica, rischio del secolo (1954). 4 con lavori come quelli di L. Mumford, Tecnica e cultura (1934), e Il mito della macchina (1970), o di D. Ihde, Tec nica e prassi (1979). 5 sostenuto, in particolare, da A. Feenberg in Tecnologia in discussione (1999). 19 da un lato, come l’intervento tecnico non sia “neutro” e gli strumenti che utilizziamo plasmino il nostro ambiente sociale, e dall’altro come il progresso delle tecnologie non sia irreversibilmente lineare ma caratterizzato da una complessità di ordine superiore, la quale evolve attraverso sempre nuove sinergie tra le funzioni assolte dalle tecnologie, tra queste ultime e i loro ambienti, tra tali sistemi e più ampi contesti sociali e culturali. All’interno di questo orizzonte concettuale vengono sviluppati dibattiti significativi sulla sostenibilità dell’innovazione tecnologica in relazione alle problematiche ecologiche o alle questioni bioetiche. L’orientamento “epistemologico” considera invece le strutture, gli obiettivi e i metodi della tecnologia. Accanto a concezioni che la definiscono in un quadro di continuità concettuale con le tecniche antiche intese come forme di arte poietica oppure la ritengono semplice applicazione dei risultati scientifici, si vengono sviluppando prospettive alternative che ne sottolineano l’autonomia e la differenza tanto dall’orizzonte tecnico quanto da quello scientifico. All’interno di questo quadro si possono individuare un indirizzo “empirista”, interessato a concrete pratiche concernenti la tecnologia più tradizionale e soprattutto rivolto alle tecnologie informatiche tipiche di quella che A. Borgman considera la “frattura postmoderna”6; una prospettiva “strumentalista”, incentrata in particolar modo sulle tesi pragmatiste di J. Dewey7. La natura della tecnica La tecnica può essere intesa, in senso semplicemente strumentale, come la capacità di supplire con artefatti alle carenze adattative che contraddistinguono l’uomo in quanto animale non specializzato; oppure, in senso che si potrebbe definire “protetico”, come una sorta di prolungamento inorganico - come una “protesi”, appunto - indissociabile dall’uomo perché cooriginario alla sua identità specifica o, se si vuole, al suo essere. Le moderne riflessioni sulla natura della tecnica oscillano tra questi due paradigmi, tra i quali tuttavia, sussiste una differenza non trascurabile. Secondo il primo, infatti, la tecnica corrisponderebbe a una particolare forma di sapere progettuale e operativo proprio di una specie zoologica che “a un certo punto” avrebbe cominciato a esercitarla per produrre artificialmente ciò di cui la natura non l’aveva dotata. Stando al secondo, invece, l’estensione artificiale farebbe parte “fin dall’inizio” di questa specie zoologica, la quale, a differenza di tutte le altre, recherebbe qualcosa di esterno e di inorganico nel suo medesimo essere naturale e dunque più che progettare artefatti sarebbe essa stessa il risultato di un “pro-getto”, di una proiezione esterna avvenuta prima e indipendentemente da ogni controllo riflessivo. Al di là delle differenze, in ogni caso, i due paradigmi ci presentano la tecnica come uno dei requisiti decisivi dell’ominazione: il primo si attesta su una concezione compiutamente antropologica della tecnica, mentre l’altro tende a spostare l’accento sulla sostanziale indistinguibilità di antropogenesi e tecnogenesi. 6 A. Borgman, Attraversando la frattura postmoderna. 7 J. Dewey, L’arte come esperienza (1934). 20 La tecnica è dunque un’integrazione dell’inorganico nell’ambito dell’organico, un’integrazione crescente, sottolinea Gehlen, che resta subordinata alla progettualità dell’uomo e da questa guidata, anche se quest’ultima non potrebbe essere ricondotta soltanto all’elemento di una razionalità volta al conseguimento di fini (e dunque alla prassi sperimentale impostasi in epoca moderna), sussistendo nell’atteggiamento tecnico un altrettanto decisiva componente inconscia o istintiva. La tecnica, in tal senso, risponde al «bisogno che l’uomo sente di interpretarsi inserendosi nella natura e differenziandosi poi da essa» seguendo una “logica recondita” che appare con chiarezza se la si osserva da un punto di vista evolutivo: essa evolve, infatti, nel senso di una “progressiva oggettivazione del lavoro umano e di un crescente disimpegno dell’uomo”8. Per quanto possa rendersi responsabile di trasformazioni decisive nel modo in cui l’uomo abita il mondo, la tecnica è comunque riconducibile a un fondamento antropologico nel senso che appartiene all’essere dell’uomo il progetto di farsi surrogare o supplire da qualcos’altro. Se ora assumiamo il punto di vista della paletnologia, potremo constatare il significativo spostamento d’accento con cui qui ci viene riproposto un quadro sostanzialmente conforme a quello che abbiamo appena ricostruito. Anche in questo caso, infatti, la comparsa di utensili segna la vera e propria frontiera dell’umanità, ma l’utensile stesso non è presentato tanto come il risultato di una progettazione, quanto come una sorta di necessaria “secrezione” del corpo, come una “esteriorizzazione” determinata, a sua volta, dalla comparsa di tre caratteristiche somatiche distintive di una nuova specie zoologica prodottasi in seguito a una mutazione: la stazione eretta, la liberazione della mano da funzioni locomotorie e la faccia corta. Sotto un certo profilo, queste caratteristiche rappresentano dei vistosi difetti adattativi, in quanto la mano e la dentatura di questo animale, non essendo più in grado di garantire funzioni di aggressione e di preparazione diretta del cibo, debbono necessariamente delegarle a protesi esterne. Ma questa delega corrisponde anche a un decisivo processo di liberazione: sollevata da compiti locomotori o direttamente aggressivi, infatti, la mano può espandere sé stessa in oggetti risultanti da operazioni costruttive complesse, proprio come la bocca può predisporsi alla fonazione e al linguaggio. Cosicché si dovrà dire che l’utensile sta alla mano come il linguaggio sta alla faccia. E si dovrà aggiungere che da questo momento in poi (cioè fin dall’inizio, fin dalla comparsa dell’ominazione) i più importanti eventi evolutivi umani sono di ordine tecnico e non biologico per cui, come scrive con efficacia Leroi-Gourhan9, «tutta l’evoluzione umana contribuisce a porre al di fuori dell’uomo ciò che, nel resto del mondo animale, corrisponde all’adattamento specifico». Ciò significa che il “proprio” dell’uomo è, da un punto di vista evolutivo, “fuori di lui”: è il mondo tecnico che, originariamente nato da una “esteriorizzazione” del corpo, assume un’importanza crescente, fino a presentarsi come un universo dotato di “vita propria”. 8 Gehlen, A., L’uomo nell’era della tecnica (1957). 9 Leroi Gouran, A., Il gesto e la parola (1964). 21 Il carattere della tecnica Quanto appena detto pone il problema imbarazzante di determinare il gioco delle parti tra l’interno (le facoltà dell’uomo) e l’esterno (le protesi tecniche), ovvero di stabilire se l’uomo sia il progettista della tecnica o non piuttosto il progettato, cercando di evitare il riduzionismo di un’interpretazione unilaterale. Per rispondere a questa esigenza di chiarimento ci si può rivolgere alle riflessioni di Heidegger10. Al di là delle analisi e delle valutazioni dei fenomeni storici che essa determina, la tecnica non è per Heidegger frutto di alcun tradimento della ragione “pura” perché finalizzata al conseguimento di uno scopo, ma è solidale - prima ancora che con la scienza - con la metafisica. Essa è necessa riamente indirizzata verso il nichilismo in quanto i suoi artefatti sono segnati da una particolare mo dalità che concepisce l’essere come ente tecnicamente manipolabile, e la ragione come razionalità rispetto a scopi tecnici. La tesi heideggeriana respinge quindi ogni comprensione strumentale della tecnica, intendendola come un modo essenziale di orientarsi nel mondo e di incontrare le cose. «La techne - scrive Heidegger - è un modo dell’”aletheuein”. Essa disvela ciò che non si pro-duce da sé stesso», ciò che non ha le capacità di condursi da solo nella presenza e dunque richiede una “poiesis”, un peculiare coinvolgimento produttivo dell’uomo. Ora, la conclusione fondamentale e decisiva di Heidegger è che la “tecnica moderna” resta, bensì, un modo dell’”aletheuein”, solo che questo modo «non si dispiega in un pro-durre nel senso della poiesis» perché piuttosto esso vige in quanto “pro-vocazione” (Herausforden) la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta (herausgefordert) e accumulata». La natura, in tal modo, appare come un “fondo” (Bestand) rispetto a cui non è più in gioco un “poiêin”, un pro-durre, ma un richiedere, uno Stellen, un porre richiedente che implica, quali modi caratteristici della tecnica moderna, il mettere allo scoperto, il trasformare, l’immagazzinare, il ripartire e il commutare. Tutti questi modi secondo Heidegger, si possono unitariamente definire con il termine “Ge-Stell” (impianto, im-posizione), che sta a indicare la riunione e l’unificazione dell’insieme delle modalità del porre richiedente secondo cui l’essente nel suo complesso ci viene incontro, si fenomenizza in senso essenziale. Bisogna a questo punto dire che per Heidegger il disvelamento (la verità come “aletheia”) è sempre solo in parte accessibile all’uomo, che vi si trova in generale coinvolto in modo tale da non poterselo in nessun caso rappresentare come un oggetto posto dinanzi a lui e totalmente dominabile. È vero piuttosto che di volta in volta spetta all’uomo di “corrispondere” a ciò che gli viene destinato e che a questo suo compito non può essere garantito da alcuna certezza, presentandosi piuttosto come un rischio che riguarda intimamente l’essere dell’uomo. Heidegger pensa che il “Ge-Stell” sia tale da configurare questo rischio nella sua versione estrema: cioè come minaccia che all’uomo possa venire addirittura negata la possibilità di corrispondere autenticamente all’appello con cui la tecnica moderna lo reclama per sé. Ed è proprio su questo punto che Heidegger sente il bisogno di accennare alla questione dell’arte, cui riconosce la possibilità di salvare l’uomo dal rischio estremo di fronte a cui lo trattiene la tecnica moderna. 10 in particolare, in M. Heidegger, La questione della tecnica (1954). 22 L’aspetto qualificante di questa tesi heideggeriana è da vedere nel suo carattere radicalmente storico: appartiene infatti all’essenza della tecnica in quanto aletheia il suo accadere, il suo aprire di volta in volta orizzonti destinali nel cui ambito l’uomo si ritrova e cerca, per quanto è possibile, di autocomprendersi. È questo lo schema in base al quale Heidegger presenta la tecnica come “compimento” della storia europea. La tecnica cioè vi viene implicitamente riconosciuta come un “segno storico” che, messo adeguatamente a fuoco, può rivelare la possibilità e il senso della storia in quanto tale. E questo perché si suppone che essa testimoni più di ogni altra cosa la circolarità costitutiva dell’esistenza umana e che, più in particolare, riveli in essa il principio di ogni autentica esperienza storica11. La prima di queste due tesi ricalca, almeno in parte, una tradizione classica che ha il suo prototipo nel secondo coro dell’Antigone, un passo che Heidegger ricorda in più di una occasione12. Nel coro, la tecnica è apertamente presentata come il tratto distintivo della specie umana, ma nello stesso tempo come un tratto opaco e ambiguo, come un “problema”. Il punto è che in essa si esprime la facoltà, esclusivamente umana, di aprire strade non previste dal corso normale della natura, di rendere possibile ciò che fino a quel momento era impossibile e di creare così un orizzonte di possibilità e di senso che non ha né sostegno né misura se non in se stesso. Proprio questo aspetto di innovazione radicale, che il coro tragico registra con stupita preoccupazione, è ciò che nel mondo moderno lega la tecnica alla storia. Nella prospettiva moderna l’idea di storia è costruita innanzi tutto sulla possibilità di distinguere gli “eventi” storicamente significativi dai semplici “fatti”: i fatti senza storia della vita quotidiana o quelli scanditi dalla necessità di una legge di natura. Il criterio basilare della distinzione è che i fatti, in un modo o nell’altro, hanno luogo sul presupposto di una rete di rimandi e connessioni che è già data, e che il nuovo accadimento non pone minimamente in discussione. Un vero evento storico deve invece istituire, in tutto o in parte, il proprio orizzonte di riferimento, creandolo da sé e imponendolo “contro” il modello di autocomprensione vigente fino a quel momento. Per i casi esemplari di una simile innovazione creativa si è imposto, fin dal XVIII secolo, l’uso del termine “rivoluzione”, che rimarca espressamente la circolarità dell’evento: quasi un rivolgimento su se stesso, come la mossa di un gioco che istituisce da sé la propria regola. È impossibile spiegare l’immenso potere di fascinazione che il concetto di “rivoluzione” ha esercitato in tutta l’età moderna, se non si coglie il flesso logico tra questa particolare figura della storia e la struttura della “libertà creativa” in cui la cultura moderna riponeva la più alta dignità dell’uomo. In un tale orizzonte culturale, un atto che rivendichi a sé questa struttura varrà come la massima espressione dell’umano e potrà quindi contare su un entusiasmo diffuso e istintivo - esattamente al modo in cui la Rivoluzione francese affascinò le classi colte di tutta Europa in quel processo che, secondo 11 L’uomo è cioè quell’ente la cui caratteristica empirica è d’istituire, nel linguaggio e nella prassi, l’orizzonte di una comprensione ontologica del mondo. Prassi e linguaggio, in altri termini, presentano la stessa circolarità autoinclusiva dei “segni storici”, di modo che questi ultimi non fanno in fondo che riflettere e svelare un intreccio inerente alla condizione umana; il che spiega perché in Essere e tempo la struttura nascosta della storicità sia presentata come la vera chiave di ogni aspetto dell’esistenza umana, a cominciare dalla dimensione in apparenza del tutto antistorica della vita quotidiana. 12 Ad esempio in M. Heidegger, L’inno Der Ister Holderlin. 23 Kant, costituiva appunto il vero segno storico della modernità. Un’eco di questa fascinazione, peraltro, è ancora viva nel concetto di “rivoluzione scientifica” di Thomas Kuhn13, che distingue dalla pratica scientifica di routine, aderente a un paradigma già dato, le scoperte realmente capaci di schiudere un nuovo paradigma. È logico però che sia la tecnica, più che la scienza, il prototipo di questa potenza rivoluzionaria, proprio perché, come cantava l’antico coro tragico, essa apre strade hyper elpida, al di là di ogni speranza o aspettativa condivisa. Al culmine della modernità quindi, allorché ciascun processo storico si ridefinisce come successione sistematica di innovazioni radicali, la tecnica diviene l’asse portante di questa ridefinizione. Le rivoluzioni sono per definizione un che di eccezionale, distinto dal corso normale degli eventi, appunto perché “eccedono” il paradigma vigente e ne aprono uno nuovo. Ma se l’eccezione diventa la regola, se cioè l’innovazione radicale diventa l’aspettativa che più di ogni altra guida la comunicazione e se il paradigma in vigore è proprio quello di una rivoluzione permanente, ci si verrebbe a trovare in una specie di paradosso logico. Ogni evento radicalmente innovativo, infatti, non farebbe a rigore che confermare il paradigma già vigente, decadendo così immediatamente a semplice fatto di cronaca. D’altro canto la semplice attività di routine, per essere tale e tenersi “all’altezza dei tempi”, non potrà che predisporsi a quell’eccezionalità che è ormai la norma, impegnandosi a organizzare, anticipare e prevedere l’imprevedibile. Il massimo della storicità viene a coincidere così con una specie di sospensione della storia, in cui ogni nuova rivoluzione è, nello stesso tempo, una puntuale conferma del modello e delle aspettative già vigenti, in una specie di eterno ritorno dell’uguale che rende strutturalmente impossibile ogni vero nuovo inizio. Allora, forse, per Heidegger l’epoca presente è proprio la realizzazione di questo paradosso storico e il termine “epoca della tecnica” va inteso esattamente in questo senso. “Tecnicizzazione”: senso e finalità Nella filosofia tedesca del secolo scorso, l’oggetto prioritario d’interesse non sono le tecniche in se stesse, ma i processi di “tecnicizzazione”: un termine che, del resto, compare esplicitamente sia in Husserl14 sia negli autori di tradizione marxista. In altre parole, la questione non concerne prioritariamente delle “operazioni conoscitive”, ovvero dei metodi nuovi e ingegnosi di conoscenza e controllo dell’ambiente, ma delle “operazioni sociali” che investono dapprima degli ambiti particolari e specifici della prassi umana, per estendersi poi via via fino a coprire questa prassi nel suo complesso. Il riferimento al marxismo qui è d’obbligo, perché la “madre” di tutti questi processi è proprio la tecnicizzazione del lavoro manuale operaio analizzata a suo tempo da Marx; ed è chiaro che, già nell’analisi di Marx, l’accento non cade sulla qualità intrinseca delle invenzioni e dei saperi messi al servizio della produzione industriale, ma sul “mutamento di senso” imposto all’attività 13 T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962). 14 E. Husserl, La crisi delle scienze europee (1954). 24 lavorativa, riassunto in modo esemplare nel termine “alienazione”. Fin d’ora, insomma, il vero problema filosofico di base è questo mutamento di senso in se stesso, e non le sue eventuali cause contingenti. Successivamente, com’è noto, il primo conflitto mondiale fungerà da catalizzatore generale, imponendo una tecnicizzazione della guerra e di tutte le attività a essa correlate. Anche in questo caso, però, nella coscienza storica l’enfasi non cade sulla gran quantità di nuovi ritrovati tecnologici sperimentati al fronte, ma sul fatto che “la guerra non è più la stessa cosa”, che cioè il suo “senso” è mutato tanto radicalmente da produrre nei singoli una impressione di assoluta “insensatezza”. L’essenziale è che il mutamento di senso imposto alla prassi esibisca in tutti questi casi marcate analogie, innanzi tutto alla superficie dei fenomeni - come uso delle macchine, standardizzazione dei procedimenti, ricerca della massima riproducibiità seriale ecc. -, poi nelle strutture profonde: nel fatto, per esempio, che l’attività del singolo è inserita ora integralmente nell’ingranaggio di un sistema che si autoriproduce; che dunque la paternità e la guida dell’azione spettano non al singolo, ma al sistema in quanto tale, e così via. Il dubbio è che la tecnica moderna possa incidere su1 senso primario della prassi umana, senza che la cultura o la politica siano in grado di controllare o anche soltanto di capire la reale portata di tale mutamento. La vera chiave della teoria, sotto questo riguardo, è un lascito della filosofia classica, e cioè la distinzione aristotelica tra praxis e poiesis15, che in modo più o meno sotterraneo gioca un ruolo decisivo sia in Marx sia in Heidegger. Provando però a dipanare con un po’ di pazienza il lungo filo di questa tradizione, si troverà al suo fondo dei nodi concettuali tuttora ben stretti e lontani da una soluzione univoca. Per Aristotele, tra l’attività produttiva (poiesis) e la prassi vera e propria sussiste una differenza categoriale. La produzione ha infatti come unico scopo il “risultato”, vale a dire un prodotto distinto dall’attività che lo ha generato; il fine della prassi è invece l’attività medesima: più esattamente l’”eupraxia”, la buona prassi, insomma l’”agire bene”. Di conseguenza, il valore e l’eccellenza (arete) della prassi non potranno mai essere misurati dagli “effetti” che essa produce. Non è in base ai suoi effetti che un’azione è ritenuta giusta, generosa o nobile, ma in base alle modalità interne dell’ azione in se stessa. La produzione, viceversa, è misurata esclusivamente dal prodotto, e il modo in cui esso è stato raggiunto è sostanzialmente irrilevante. Infine, considerata in se stessa, un’attività produttiva risulta sempre incompleta e imperfetta, perché è interamente subordinata al risultato e sparisce nel momento preciso in cui il prodotto è realizzato. Non così invece la prassi che, avendo il suo scopo in sé medesima, è tanto più portata a permanere quanto meglio realizza il suo fine. Il “piacere” è la manifestazione più naturale di questa tendenza dell’azione felice a durare nel tempo. La gloria dell’azione eticamente nobile e la perfetta libertà dell’attività contemplativa ne sono le forme sublimi. Su queste premesse è logico che, tra le attività umane, alla prassi vera e propria sia riconosciuto un primato indiscusso rispetto alla produzione, e difatti tutti gli aspetti propriamente “umani” 15 Aristotele, Etica nicomachea. 25 della facoltà di agire - creatività, libertà, responsabilità morale - si configurano appunto come attributi della prassi, inscindibili dalla sua circolarità “autotelica”. Viceversa, per il solo fatto di mirare a un risultato imposto dall’esterno, la produzione non è né pienamente libera né, in fondo, pienamente umana: vigono in essa la necessità e il bisogno in una forma che, benché già umana, è ancora prossima alla condizione del vivente in generale. Questa gerarchia si riflette immediatamente nella valutazione della “tecnica”. Per Aristotele infatti l’arte o tecnica (il greco, come il latino, non distingue tra i due concetti) è una particolare forma di conoscenza preposta alla sola attività produttiva, e non alla prassi vera e propria. La competenza tecnica permette, in altri termini, di raggiungere nella maniera più efficace e rapida un determinato risultato, ma solo sul presupposto che esso possa essere trattato e valutato in se stesso, prescindendo dalla modalità e dal senso dell’azione. “Come” venga raggiunto il risultato (se in modo nobile, elegante, giusto o viceversa) non fa alcuna differenza dal punto di vista tecnico. Di qui il fatto che la competenza tecnica debba essere necessariamente diversa e inferiore rispetto alla vera e propria “saggezza pratica” (phronesis), secondo un ordine gerarchico che rispecchia alla lettera quello tra prassi e produzione: è alla phronesis che spetta il compito d’istituire il senso della prassi; la techne può solo guidare e perfezionare le attività produttive. La tecnica, in questa prospettiva, è vista come un fattore alienante perché tratta la prassi come mera produzione, distorcendone il senso per piegarlo all’ottimizzazione di un prodotto che sarà poi scambiato e valutato come semplice merce, scisso ormai dall’azione che l’ha generato. Bisogna però rilevare una difficoltà nel fatto che il “senso” dell’azione e il suo “prodotto” non sono poi così facilmente distinguibili, tant’è vero che Aristotele usa per entrambi la parola “telos” (scopo, fine), distinguendo la finalità “assoluta” della prassi (telos aplos) da quella “relativa” della produzione. In questa chiave, l’attività produttiva non costituisce una sfera d’azione per suo conto, ma è essa stessa un’articolazione della prassi: «La conoscenza legata alla prassi è principio e guida anche di quella legata alla produzione, dato che chi produce lo fa in vista di qualcosa, e ciò che si produce non è fine in assoluto, ma in relazione a qualcosa o qualcun altro. Il fine pratico è invece tale in assoluto, perché il fine è l’agire bene, e a questo mira il desiderio». In parole povere, anche un’attività produttiva avrà un senso e rinvierà in qualche modo a una forma di vita. Un artigiano tenderà cioè senz’altro a realizzare buone prestazioni professionali, produrre merci e avere risultati, ma è logico supporre che questo “scopo” non esaurisca il “senso” dell’azione, e che si faccia bene o male a perseguire proprio questo scopo a seconda di quanto esso risulti congruente con un dato modello di felicità e di vita giusta. Anche il valore della tecnica, in questa prospettiva, può trasformarsi in modo decisivo. È vero infatti che la tecnica non incide sullo scopo della produzione, che è dato per presupposto, ma solo sui mezzi. Il punto è però che la stessa saggezza pratica condivide tale limitazione, perché i suoi ragionamenti espliciti riguardano comunque solo i mezzi, e non il telos aplos della prassi. Di per sé, questo scopo assoluto coincide sempre e solo con l’agir-bene ma, ovviamente, questa determinazione formale acquisterà un contenuto diverso in ogni nuova circostanza, a seconda delle infinite variabili che definiscono volta per volta il contesto effettivo dell’azione. In concreto, il “senso” dell’azione coinciderà così con un “giusto mezzo” che muta in forma imprevedibile in ogni situazione nuova, e un postulato 26 basilare dell’etica aristotelica è che la capacità di cogliere, volta per volta, questo “giusto mezzo” non è equiparabile a un calcolo astratto o all’applicazione di una regola. Più in generale, non è richiesta qui solo una particolare facoltà conoscitiva, ma una speciale sintonia fra linguaggio e desiderio, che matura solo in un lungo processo di affinamento e disciplina. Ogni concreta prestazione tecnica viene ad avere così un doppio valore: da un lato è la produzione, qui e ora, di un particolare risultato; dall’altro è, come esercizio, produzione e perfezionamento della facoltà in se stessa, giacché è «costruendo case che si diventa costruttori e suonando la cetra citaredi. Così è compiendo azioni giuste che diventiamo giusti, e compiendo azioni coraggiose, coraggiosi»; e questo non solo nella fase del primo apprendimento, ma in misura anzi crescente man mano che il perfezionamento tecnico procede. A differenza che nell’apprendimento guidato biologicamente, qui non si avanza infatti verso un modello d’azione via via più definito e lineare, ma, al contrario, verso una crescente duttilità e indeterminatezza. Aristotele presenta questo aspetto osservando che, a differenza di ogni potenza naturale, le disposizioni acquisite sono sempre accompagnate da una specifica “potenza-di-non”: chi cioè “può” (perché “sa”) suonare il pianoforte, può anche “non” suonarlo, mentre se il legno ha per natura la potenza di prendere fuoco, non può non bruciare. Chi dispone cioè di una potenza tecnica, ha in suo potere la scelta di attuarla o meno, il che comporta una possibilità effettiva, logicamente distinta da quella espressa da una capacità naturale. Questa ricchezza di alternative cresce, appunto, man mano che ci si avvicina alla forma perfetta di maestria tecnica. A differenza del principiante, che dispone di una gamma comunque ridotta e relativamente rigida di moduli di azione, il virtuoso è definito da una crescente libertà, da una sovranità che lo svincola tendenzialmente da ogni regola, mettendo in suo potere la scelta di applicarla o non applicarla a seconda dell’occasione contingente. Benché infatti Aristotele tenda in genere a separare la competenza tecnica dalla dimensione della prassi vera e propria, è da notare che il processo di autoperfezionamento è presentato invece come un tratto assolutamente analogo in entrambi i piani. Le forme di competenza tecnica nel mondo moderno sono state ridefinite in modo che alla logica tradizionale del “perfezionamento” si è sostituita, in tutto e per tutto, quella dell’”ottimizzazione” del prodotto, basata su una cesura tra le pratiche di decisione e le semplici attività esecutive, che ha esasperato fino all’inverosimile la distinzione aristotelica fra la tecnica e la vera intelligenza pratica. L’introduzione delle macchine nei processi produttivi ha proceduto infatti scindendo le attività in due poli ben distinti: da un lato un insieme di pratiche di pianificazione e programmazione, cui spetta interamente il compito di “decidere” ciò che, nel senso più lato, è giusto o non giusto fare; dall’altro una rete di attività puramente “esecutive”, esentate da qualsiasi legame con il “senso” dell’azione e valutate perciò esclusivamente in relazione al prodotto. Naturalmente, solo attività di questo secondo tipo potevano essere automatizzate e affidate in tutto o in parte alle macchine: di qui l’interesse a scomporre il più nettamente possibile i due momenti. Con il risultato che un numero crescente di ruoli e di attività sociali, riducendosi a mera esecuzione, perdeva realmente ogni relazione con quello che fino ad allora era stato il suo “senso”, vale a dire il rimando alla forma di vita che lo costituiva in quanto prassi. Una volta ristrutturata come semplice esecuzione, un’attività produttiva razionalizzata risulterà 27 tanto più efficace quanto più in essa sarà immediata, sicura e istintiva l’applicazione di regole che hanno ormai assunto l’univocità di veri e propri comandi. Anche l’addestramento tecnico non avrà quindi più l’obiettivo di affinare la sensibilità e l’inventiva ma, all’opposto, quello di plasmare un comportamento che ubbidisca senza sforzo a una stessa sequenza di regole, quali che siano le circostanze esterne. Il metro del progresso non sarà quindi il grado di libertà acquisita come potenza-di-non, ma la semplice misura quantitativa del prodotto per unità di tempo. Non è quindi un caso che questo genere di attività - in primo luogo, ovviamente, quella dell’operaio alla catena di montaggio - sia valso per decenni come paradigma della disumanizzazione imposta dalla tecnica16. È su questo sfondo che va inquadrata la svolta introdotta dalle tecnoscienze umane. Il suo valore non sta nell’aver semplicemente esteso la tecnicizzazione anche alle attività di decisione e di controllo, ma nell’aver progressivamente demolito questo modello dualistico, spingendo a concepire le attività decisionali e quelle esecutive come articolazioni di un unico processo. Non è un caso, ovviamente, che il mutamento di prospettiva abbia coinciso con una trasformazione materiale delle attività produttive, che rende oggettivamente obsoleta una distinzione netta tra i due campi. In una società avanzata del presente, anche la produzione in senso stretto tende in effetti sempre di più a risolversi in una rete di attività comunicative, in cui creatività e inventiva sono le doti più apprezzate. Ontologia del presente È noto che la tarda modernità è segnata da una difficoltà profonda di comprendere se stessa. Il mondo appare radicalmente mutato, le condizioni di esistenza talmente nuove da rendere vano il ricorso ai modelli tradizionali di cultura; e nessuno, a quanto pare, ha la certezza di conoscere le cause o il senso della grande trasformazione in corso. Di qui l’urgenza dell’interrogativo che, secondo Foucault, ci autorizza a catalogare gran parte della filosofia moderna sotto il titolo di “ontologia del presente”, vale a dire: «Che cosa sta succedendo adesso?» Fino alla fine degli anni cinquanta, a questo interrogativo era comune che si rispondesse indicando in primo luogo gli sviluppi della tecnica, e l’idea era che le nuove tecnologie trasformassero a tal punto le regole del gioco da rendere marginale o subalterno ogni altro aspetto dell’evoluzione moderna, dalla religione alla politica. La bomba atomica e l’esplorazione dello spazio erano i simboli canonici di questa interpretazione del presente: la prima, perché paralizzava il conflitto politico con lo spettro della distruzione della specie; la seconda, perché apriva le porte di un cosmo in cui né dio né l’uomo hanno voce in capitolo, e «solo le macchine e i congegni moderni possono essere quello che sono»17. Eppure, nei decenni successivi l’interesse speculativo per la tecnica doveva subire un drastico ridimensionamento, tanto più sorprendente se si pensa che mai come negli ultimi anni il peso della tecnica sulle forme di vita si è fatto capillare. 16 Non solo in ambito marxista; cfr. E. Junger, L’operaio. Dominio e forma (1932). 17 Heidegger in riferimento allo Sputnik che con la bomba atomica è un simbolo frequentissimo nella letteratura di quegli anni. 28 Non che, in genere, la rilevanza epocale della tecnica sia stata contestata apertamente. In forma indiretta ne troviamo anzi una qualche conferma in entrambi i modelli d’interpretazione del presente più seguiti in questo scorcio di secolo, vale a dire la teoria del “postmoderno”, che ha dominato la discussione dagli anni ottanta in poi, e quella della “globalizzazione”, che tiene banco da qualche anno a questa parte. In entrambe, però, è ugualmente palpabile la tendenza a far recedere la questione della tecnica sullo sfondo, imputando ad altri aspetti del presente la responsabilità della vera rottura epocale con il passato. Lyotard, per esempio, apre il suo saggio sulla condizione postmoderna proprio evocando un momento centrale dell’evoluzione tecnologica come “l’informatizzazione della società”18 ma, nei fatti, lo sviluppo ulteriore della teoria concede uno spazio minimo a questo aspetto. Tanto che Luhmann, a qualche anno di distanza, potrà osservare criticamente che l’intera discussione su moderno e postmoderno si è svolta, in sostanza, più sul piano “semantico” dei concetti, delle ideologie e delle presunte metanarrazioni che non su quello delle trasformazioni strutturali19. Analogamente, quale che sia il significato che si attribuisce al termine “gbbalizzazione”, vale in genere come assodato il legame tra questo processo e un alto grado di evoluzione tecnica, ma ci si limita per lo più a lasciarlo sullo sfondo, a vantaggio di aspetti più strettamente politici del fenomeno, come la crisi dello Stato nazionale. Già in Heidegger, in effetti, l’”irreversibilità” dello sviluppo della tecnica era fuori discussione. Chiedersi quindi astrattamente se questa evoluzione fosse in sé un bene o un male appariva già allora meno che futile. A definire i margini legittimi di una riflessione critica era piuttosto l’ipotesi che lo sviluppo tecnico, benché irreversibile in se stesso, fosse passibile però di diverse declinazioni, con la conseguente necessità di distinguere tali opzioni e prendere partito, even tualmente, per l’una o per l’altra. Il saggio di Heidegger presenta esattamente questa impostazione: la tecnica, cioè, vi risulta “in alto grado ambigua”, tanto da costituire al medesimo tempo un estre mo “pericolo” come anche, a certe condizioni, l’unica possibile “salvezza”. La maggiore difficoltà, nel testo, è che la distinzione tra l’uno e l’altro volto della tecnica risulta affidata, alla fine, solo a poche indicazioni decisamente criptiche, gravate per di più del peso di una teoria ontologica generale. Forse a causa di queste difficoltà interpretative o, più semplicemente, sotto l’influenza di un’attualità storica che sembrava procedere a tappe forzate in una sola direzione, fatto sta che il riferimento all’ambivalenza della tecnica sparì in fretta dalla discussione teorica, per fare spazio all’idea di una evoluzione assolutamente monolitica, che non concede in pratica alcun margine di scelta. I saggi di Anders20 attestano con particolare efficacia tale visione univoca delle cose, in cui tutto ciò che concerne il senso della tecnica appare ormai già deciso una volta per tutte. A questo punto, non restavano logicamente aperte che due strade. O presentare l’analisi teorica come puro atto di testimonianza di fronte all’ineluttabile, riservando caso mai solo alla prassi una qualche residua capacità di resistenza, com’è il caso appunto in Anders. O decidersi a relegare sullo sfondo l’evoluzione tecnica, per chiedersi se, fermo restando questo sfondo, non fossero dopo tutto altre le domande decisive, le opzioni sul tappeto e le vere poste in palio. 18 J. F. Lyotard, La condizione postmoderna (1989). 19 N. Luhmann, Osservazioni sul moderno (1992). 20 G. Anders, L’uomo è antiquato Vol. I (1956) e Vol. II (1980). 29 È una coincidenza forse non accidentale che questo passaggio di consegne sia maturato negli anni sessanta, dopo la risoluzione della crisi di Cuba, nel momento in cui persino l’esistenza degli ordigni nucleari cominciava a profilarsi non più come una minaccia diretta, quanto come lo sfondo di un nuovo confronto politico tra opzioni concorrenziali. Negli anni successivi, in ogni caso, anche i simboli della tecnicizzazione sarebbero mutati: alla bomba si sostituirà la macchina intelligente, il computer, la cui penetrazione nelle forme di vita è destinata non a chiudere dilemmi e conflitti, ma ad aprine di nuovi; ed è appunto all’identificazione di queste nuove forme di conflitto politico che si rivolgono ora prioritariamente le formule teoriche emergenti. 30 31 32 LE ARTI E LA TECNICA La relazione che l’arte intrattiene con la tecnica ha qualcosa di costitutivo. Nell’antichità greca, del resto, la parola “techne” copriva entrambi i concetti, e solo in epoca moderna, con la nascita settecentesca dell’estetica, si è profilata la possibilità di una dissociazione e dunque lo spazio per una serie di rapporti significativi, aperti a diverse forme di dissidio e di alleanza. Benché la distinzione tra arte e tecnica sia non solo legittima ma anche necessaria e meritevole di essere salvaguardata, è difficile fondarla su tratti distintivi che non risultino di volta in volta fortemente discutibili o addirittura da revocare. È del tutto evidente che nessuno oggi se la sentirebbe di invocare il requisito della bellezza per differenziare un’opera d’arte da un oggetto tecnico, dal momento che il fenomeno del disegno industriale ha cancellato questa opposizione, e le stesse avanguardie storiche ci hanno da lungo tempo addestrati ad apprezzare il brutto, l’anodino e il triviale. «Dinanzi a un prodotto dell’arte bella - dice Kant1 - si deve essere consapevoli che si tratta di arte [cioè di tecnica] e non di natura, e tuttavia la conformità a scopi nella forma di esso de ve apparire così libera da ogni costrizione di regole arbitrarie, come se fosse un prodotto della semplice natura». Nell’arte bella, in altri termini, la tecnica viene in qualche modo, comunque determinante, ricondotta nell’ambito della physis, la spontaneità autogenerativa della natura. L’arte bella - l’arte nel senso estetico moderno - si lascia definire dalla bellezza in modo così inadeguato, che Kant avverte addirittura l’esigenza di usare un’altra parola (e un altro concetto, s’intende), chiamandola “geistreiche”, “animata”, “ricca di spirito”. La spontaneità creatrice di cui si è appena detto viene così interpretata da Kant come la capacità di conferire alla materia sensibile una forma che offre al pensiero l’occasione di “animarsi”, cioè di estendersi in modo indeterminato su molti concetti senza che nessuno di essi possa dimostrarsi appropriato a esau rire la ricchezza di senso dei materiali messi in opera. Ma se l’arte, infine, è interpretabile come un libero dispiegamento della componente creativa e riflessiva interna alla tecnica, allora il giudizio che abbiamo enunciato all’inizio dicendo che l’estetica moderna avrebbe operato una dissociazione dell’arte dalla tecnica (dalla techne in senso greco) dev’essere meglio precisato. Si dovrà ulteriormente sottolineare, cioè, che l’assunzione dell’arte nel dominio dell’estetica ha reso possibile la sua dissociazione dalla tecnica, con conseguenze indubbiamente importanti e caratterizzanti, ma in nessun modo determinanti e conclusive. Da un lato, infatti, l’arte moderna ha inaugurato una direttrice di schietta ed esplicita presa di distanza dalla tecnica, non di rado caratterizzata da risvolti critici e ironici: e basti pensare qui al ready made di Duchamp e a tutto ciò che il gesto performativo che lo istituisce in opera ha significato per l’arte moderna; dall’altro, per contro, è accaduto che essa abbia guardato alla tecnica come a una fonte diretta di opportunità espressive, e qui si dovrà pensare alle arti tecnologicamente assistite come il cinema e la fotografia — e alle relative teorizzazioni, a cominciare da quella di 1 E. Kant, Critica della facoltà del giudizio. 33 Benjamin — via via fino alle attuali esperienze estetiche in campo elettronico e multimediale. L’arte, in somma, ha da sempre il compito di trasferire nell’oggetto tecnico un frammento dell’esperienza globale del mondo come rappresentazione di tensioni, speranze, contraddizioni e come possibilità altra. L’intenzionalità dell’arte mette tra parentesi l’idea di tecnica come puro mezzo razionale rispetto allo scopo. Peraltro, poiché le tecniche nascono in una condizione e per risolvere specifici problemi e poi evolvono, non è possibile pensare ad esse come mezzo neutrale. Essendo cioè il mezzo comunque dotato di senso a partire dalle ragioni e condizioni storiche della sua stessa costituzione, tali condizioni stabiliscono speciali relazioni con la pratica delle arti, ragioni che possono essere trasformate e sospese, ma pur tuttavia restano confitte in ogni tecnica. La tecnica per le pratiche artistiche non è quindi un mezzo che progredisce sempre, senza perdite, ma un materiale disponibile e, come ogni materiale, esso è dotato di un peso e di una sostanza storica con cui l’opera deve fare i conti utilizzandolo per modificarne il senso. Il processo di ogni composizione è cioè sempre processo di risignificazione delle materie e delle tecniche in quanto materiali. Ogni pratica artistica possiede inoltre le sue tecniche specifiche che sono rinnovate, ampliate o ristrette al fine di misurarsi con le condizioni utilizzandole (o anche negandole), ma senza di esse, secondo il nostro pensiero di oggi, la pratica artistica non può in alcun modo esplicarsi. Da questo punto di vista bisogna però disinguere l’architettura – e in certo modo anche la musica - dalle altre arti, poichè non opera la propria costruzione direttamente per mezzo dei materiali ma per mezzo del progetto di uso dei materiali «en tant qu’elle est médiate au lieu d’etre immédiate»2. A partire dall’era della meccanizzazione ciò che si è progressivamente trasformato è il ruolo svolto dalle tecniche nel processo creativo anche attraverso il loro stesso cambiamento di senso e posizione. Esse, oltre che essere materiali essenziali del fare, sono nello stesso tempo divenuti prima contenuto preminente e poi assoluto. Questo mutamento è avvenuto non solo perché esse assumono la tecnica scientifico-produttiva quale forma globale del progresso umano e del suo mito di crescita infinita e ne mimano l’invasività, ma anche perché rappresentano (più o meno consciamente) il fatto che la tecnica da strumento di cui le altre forze si servono è divenuta scopo che si serve di tali forze. Pare quindi evidente che la scienza tecnologico-produttiva sia divenuta oggi in modo diretto, e non solo in quanto rappresentazione della forma attuale del potere, contenuto centrale e finalità del fare artistico. È con tale contenuto essenziale che si allinea anche l’articolazione delle tecniche conformative e morfologiche delle arti. Esse, cioè, non solo danno forma alle tecniche come contenuto principale delle relazioni sociali, ma si costituiscono imitativamente senza residui sia rispetto ai prodotti, sia rispetto ai modi di produzione, proprio anche quando suppongono di liberarsene attraverso un formalismo esibizionistico che altro non è se non imitazione dei processi di mercato, cioè del contenuto essenziale delle tecniche nel mondo contemporaneo. «Gli stessi appelli all’integrità del mondo naturale, che affollano oggi i discorsi di molti artisti visivi e architetti, sovente non sono altro che preoccupazioni compensative e tentativi di allearsi con 2 A. C. Quatremère de Quincy, Essais sur la nature, le but et les moyens de l’imitation dans les Beaux Arts. 34 le giuste preoccupazioni popolari intorno alla sopravvivenza del globo affinché la coincidenza tra tecniche scientifico-produttive e tecniche morfologiche sia continuamente riaffermata dalla calligrafia dell’”artista”. Resterebbe quindi, a chi lavora con le pratiche dell’arte, il compito, per mezzo dell’uso strategico delle proprie tecniche specifiche, di mettere in chiaro le contraddizioni di quella coincidenza e utilizzarle per alimentare le possibilità di conformazione del proprio fare. Queste tecniche potrebbero porre in evidenza tale possibile non coincidenza anche in misura minima, con la presenza nell’opera di qualche frammento non riconducibile né alle finalità della tecnica né a quelle di qualche illusoria autonomia»3. Dalla fine del XVIII secolo, per il miracoloso funzionamento produttivo della macchina che divora l’arte, per la sua apparente indipendenza dalla volontà soggettiva e per il suo carattere sostitutivo del mondo naturale che ne consegue, la tecnica è divenuta il segno del meraviglioso che sostituisce le meraviglie dell’arte. Tuttavia nell’arte è presente in tutta la sua evidenza un altro imperativo, erede dello storicismo dell’ultimo trentennio del XIX secolo ma anche dell’evoluzionismo naturalista primottocentesco: non solo la forma segue la funzione, ma le forme mutano al mutare delle funzioni; sicché ogni epoca esige le proprie forme ed esse devono in qualche modo essere coerenti con i caratteri generali dell’epoca stessa. E poiché il carattere preminente dell’epoca è la tecnica ed essa è fondata sul nuovo e sull’invenzione produttiva, anche nell’arte il nuovo diventa misura assoluta del valore. Creatività tecnica e figurativa si confondono volontariamente: peraltro l’inventore coincide in larga misura con il tecnico in tutto il XIX secolo e alla fine anche l’artista è trascinato nel vortice della coincidenza tra novità e qualità. L’arte delle avanguardie introietta il tema della macchina in forme assai diverse: ironiche e di radicale messa in questione per i dadaisti, politicamente ottimistiche e pedagogiche per il Bauhaus, che chiede alla macchina di compiere il miracolo della liberazione dell’uomo dalla fatica e, su questa liberazione, poter costruire “la cattedrale del socialismo”. Per far questo si deve sviluppare anche il lavoro di gruppo, in opposizione al soggettivismo dell’artista romantico e in omaggio al principio di una nuova forma di oggettivazione (una nuova “Sachlichkeit”) del processo artistico. Per i futuristi è soprattutto il movimento ad aprire l’arte a una costante condizione di instabilità creativa, condizione connessa strutturalmente per essi all’idea di modernità come velocità, dinamismo e persino violenza. Per i puristi è la chiarezza matematica e geometrica della macchina che viene presa a modello figurativo, mentre per i costruttivisti la macchina è soprattutto strumento etico e produttivo per la sua costruzione di una nuova società: nella macchina come simbolo del progresso tecnico si alleano il nuovo sociale e il nuovo dell’arte4. Poiché l’arte è considerata specchio dell’ambiente fisico e sociale ed esso è oggi essenzialmente quello della tecnica quale sistema di mezzi anche economicamente coordinati e diffusi, l’arte non può che rappresentarne le diverse interpretazioni. Le arti si muovono all’imitazione del rinnovamento costante che è la legge della tecnica produttiva, contro ogni imitazione della lentezza infinita della crescita delle forme naturali e contro la quota di metaforica eternità che è 3 V. Gregotti, Architettura, tecnica, finalità.(2002) 4 Una recente ricapitolazione delle avanguardie con specifica attenzione ai diversi modi di relazionarsi alle tecniche di produzione è in R. de Fusco, L’architettura delle quattro avanguardie. 35 contenuto tradizionale delle arti. Le arti sono infatti evento tecnico tra i molti. Una differenza tra il mondo della meccanizzazione e l’oggi consiste nel fatto che la meccanizzazione aveva effetti non solo metaforici ma quasi sempre diretti, materiali, visibili e misurabili sul mondo fisico: anche sulla invenzione delle cose dell’arte, almeno di quelle connesse con il costruire degli oggetti, pitture, sculture, architetture e ambienti, mentre il mondo informatico sembra avere sulle cose dell’arte prevalentemente un effetto allegorico, concettuale, di immagine su immagine, di evento su evento, un effetto costitutivo di nuovi omogenei e transitori ma intangibili miti collettivi. La discussione intorno alla riduzione delle arti a oggetto ha lasciato il posto alla riduzione delle arti a immagine, immateriale e iperrealista, simulazione e modello nello stesso tempo, e in questo senso è andata perduta ogni connessione con la tecnica in quanto costruttività materiale, mentre è enormemente cresciuta l’importanza della stessa in quanto contenuto generale. Un’altra rilevante differenza tra il tempo del macchinismo e quello informatico è connessa al consenso collettivo generalizzato che caratterizza il mondo dei sistemi tecnici di rete sul piano delle forme espressive ancor prima che su quello tecnico, mentre l’influenza della meccanizzazione sulle forme espressive è rimasta oggetto di contesa profonda, almeno sino alla metà del XX secolo. D’altra parte, mentre il modo informatico mette in discussione profondamente il sistema delle tecniche tradizionali, si serve ancora dei linguaggi figurativi dell’avanguardia, pur svuotandoli degli antichi contenuti e utilizzandoli secondo un intercambiabile eclettismo capace di riconciliarli con le mitologie elaborate dalle comunicazioni di massa. Il ruolo della tecnica in architettura Le tecniche si presentano all’architettura come materiali, come lo sono la condizione sociale o quella geografica o la stessa storia dell’architettura, tutti materiali a cui la progettazione deve far assumere un’organizzazione orientata a risolvere il problema architettonico del quale questi stessi materiali contribuiscono a proporre alcune condizioni. Questo vale almeno sino a quando la tecnica non pretende di divenire contenuto preminente di ogni azione in funzione del suo stesso progredire o degli scopi economici ad esso connessi. Si possono schematicamente distinguere tre aspetti delle tecniche in architettura: le tecniche materiali, quelle dell’organizzazione, quelle morfologiche. Le prime si riferiscono specificamente alla costruzione nei suoi diversi aspetti: strutturali, di scelta del modo di lavorare e selezionare i materiali, della loro messa in opera, dei sistemi di giunzione e di sovrapposizione e dei loro dettagli relativi. Le seconde riguardano le dimensioni e le sequenze degli spazi abitabili, chiusi o aperti, i loro modi di costituirsi in organismo nello stesso tempo riconoscibile e disponibile agli usi, ma anche tecniche in quanto modi di costituzione del progetto, individuazione di metodi e procedure delle gerarchie e dei sistemi di comunicazione tra progettista ed esecutore, e infine le tecniche organizzative che attengono alla rispondenza tra programma e opera e al controllo produttivo del progetto. Le tecniche morfologiche riguardano invece i criteri e i modi di dar forma e misura ai 36 materiali e di costituire fra tutte le parti l’unità (continua o discontinua che sia) dell’opera5. Inoltre esse attengono ai modi di rappresentarsi dell’opera nella sua formazione e nel suo risultato. Il primo gruppo di tecniche – quelle materiali – ha a che vedere con la pratica e fa riferimento alle esperienze accumulate, alle abilità; il secondo – quelle dell’organizzazione – è piuttosto connesso all’idea di programma in quanto tecnica del fare sovente per fini definiti e in quanto possibilità combinatoria; il terzo gruppo – le tecniche morfologiche – è quello in cui la prassi è chiamata principalmente a rispondere alla questione del senso nell’operare artistico. L’opera si costituisce solo nella presenza delle diverse tecniche convergenti verso le finalità generali dell’opera, cioè verso l’opera stessa e, per mezzo di essa, in rapporto alle sue funzioni pratiche e simboliche, e in relazione critica rispetto alle condizioni generali della disciplina e della sua tradizione. C’è poi da rilevare che, come sostiene Vittorio Gregotti6, generalmente nel discorso architettonico «abbiamo, della tecnica, una concezione esageratamente tecnica, che marca, del pro-getto, l’aspetto pro-duttivo piuttosto che quello di pro-iezione, mentre tendiamo a mettere in ombra la tecnica in quanto regole del trans-formare specifiche della progettazione architettonica. Quella, cioè, che potremmo piuttosto chiamare tecnica della trasformazione di senso attraverso la figura architettonica. Tale tecnica del trasformare non è che parzialmente tecnica della composizione architettonica nel suo marmoreo rifarsi a tradizioni, modelli, tipi, parti di una famiglia di cose definita una volta per tutte; né tanto meno si tratta di tecnica dell’organizzazione “linguistica” dell’architettura. Si tratta di uno speciale modo di essere della tecnica le cui regole emergono con la costruzione dell’opera, che coinvolgono senso e necessità e si presentano compiute e nello stesso tempo inutilizzabili solo al termine dell’opera». Il mutamento subito dal ruolo dell’architetto conseguentemente alla meccanizzazione e alla scientifizzazione di alcuni processi costruttivi, almeno dalla metà del XVIII secolo, consiste principalmente nel fatto che egli non produce più costruzioni ma progetti come prodotti finiti, anzi come realtà compiute, anche se poi “il cantiere” richiederà una serie di interventi di aggiustamento pur importanti. È il progetto, quindi, in quanto sostanza teorica dell’architettura che deve essere capace di contenere e illuminare la “fabbrica”. Ma senza l’uso del pensiero pratico il progetto non è in grado di illuminare nulla; manca l’oggetto su cui si proietta la sua luce, la sostanza materiale da ordinare; si attua quella «perdita della vicinanza» di cui parla Adorno7 e che è fatale per l’opera. Talvolta oggi si ha l’impressione che tale operazione diretta sia diventata estremamente difficile e che la tecnica si ponga in primo piano come costruttrice di un complicato gioco di schermi e di riflessioni alla fine del quale la luce del progetto arriva fioca sulle cose della fabbrica. Da questo punto di vista un ruolo determinante occupano quindi proprio le tecniche di progetto, cioè da un lato il metodo con cui la risoluzione dei problemi gradatamente prende forma progettuale e, dall’altro, le rappresentazioni con le quali esse vengono fissate e comunicate in funzione della loro organizzazione costruttiva. Anche da questo punto di vista l’età della macchina aveva le proprie 5 Nella tradizione letteraria dell’architettura quest’ultima categoria, un tempo predominante nei “trattati”, ha subito un drastico ridimensionamento a partire dalla rivoluzione funzionalista dell’architettura moderna. 6 V. Gregotti, Architettura, tecnica, finalità. 7 Th. W. Adorno, Teoria estetica. 37 preferenze figurative: un linguaggio fondato sulla distinzione analitica delle parti, su elementi che non vogliono prefigurarne la percezione prospettica. La rappresentazione in assonometria per la suo obiettività, vince sulla prospettiva pittorica; inoltre un sistema sempre più formalizzato di simboli, misure e annotazioni muove anche dalla necessità di integrare in un progetto unitario tecniche di origine diverse, che hanno a loro volta subito processi di scientifizzazione e di unificazione interna e di autonomia sia produttiva che di messa in forma, processi che si vuole unificare estendendo l’unità dei principi e dei metodi per la costituzione della forma architettonica ai prodotti a essa connessi. Soprattutto è ben presente lo sforzo di estendere il dominio della progettazione, e con esso il territorio dell’architettura, alla risoluzione di problemi collegati alle diverse scale d’intervento, di riconoscere una complessità e contraddittorietà del reale che non ammette semplificazioni e propone invece connessioni complesse. Negli ultimi vent’anni le tecniche di rappresentazione sono state tanto assimilate (e unificate) dalla grafica dei computer che hanno finito per esercitare ampia influenza sulla grammatica del progetto. I sistemi di rendering assimilano la rappresentazione architettonica a forme iconiche di iperrealismo surrealista, proponendo sia il superfantastico sia un rassicurante esistente. Con il sorgere dell’età dell’informazione lo strumento di rappresentazione divorzia da ogni tecnica e si impadronisce del linguaggio architettonico attraverso la grammatica delle affascinanti immagini che appaiono sullo schermo del calcolatore. Non vi sono più approssimazioni successive ma solo scale “al vero” che producono, nello stesso tempo, il massimo del distacco dalla realtà empiricotecnica e il massimo della normalizzazione espressiva mediatizzata e sublimata8. La tecnicità della rappresentazione travolge ogni contenuto esplicativo, con un’ermeticità che intende sottolineare il valore dell’immagine in quanto messaggio che in sé garantisce: mai come in questi casi il mezzo è, in tutta la sua tecnicità, il messaggio. Per quanto riguarda la realizzazione delle opere invece, una differenziazione di contesti, di esigenze e di obiettivi richiedono apprendimenti tecnici particolari, professionalità distinte. Le categorie di figure professionali che hanno a che vedere perifericamente con l’architettura si sono enormemente moltiplicate. L’attributo di “tecnico” si è connotato sempre più del significato di specialista di programmi e di controlli nel tentativo di suscitare affidabilità allontanandosi “nobilmente” da qualsiasi forma di materialità che è tradizionalmente connessa alla nozione di tecnica della costruzione. A questo corrisponde puntualmente una diminuzione quantitativa e qualitativa dei tecnici artigiani della materialità. La conseguente perdita di competenze artigianali, alla quale si sta progressivamente sostituendo il montaggio dei semilavorati, ha un riflesso sulle scelte di progettazione, che si muovono così verso prodotti prefiniti (dove la tecnologia specifica del prodotto è demandata ad altre responsabilità) più sensibili alle pressioni del mercato dei prodotti industriali. La tecnica delle costruzioni non è una tecnica unitaria: con la scientifizzazione di alcuni dei suoi processi e con la meccanizzazione essa diviene sempre più organizzazione di tecniche collocate 8 Per un’esauriente interpretazione dei portati dell’immagine digitale si segnala F. Purini, Digital divide, in Architettura e cultura digitale (a cura di M. Unali e L. Sacchi). 38 su differenti livelli di avanzamento, con diverse tolleranze nelle misure, che richiedono, a livello di montaggio, procedimenti differenziati. Essendo le informazioni tecniche divenute poi tanto numerose e tanto rapidamente sostituite da nuove informazioni, il tecnico è colui che sa individuarne e sceglierne un segmento adatto al caso specifico e che su di esso opera con la garanzia dell’aggiornamento oltre che dell’abilità specifica; le diverse culture specialistiche hanno così teso a dissociarsi dalla partecipazione comprensiva di una cultura dell’insieme delle opere. Bisogna ricordare, inoltre, che, nonostante i perfezionamenti, le tecniche della costruzione presentano lunghe inerzie negli aspetti strutturali. Anche se esse elaborano continuamente nuove possibilità, esiste pur tuttavia una relativa stabilità in alcuni principi di costruzione per tempi più o meno lunghi, alcuni prototipi innanzitutto: il trilite, l’arco nelle sue diversissime versioni, le murature a gravità, l’ossatura a telaio, il contrafforte ecc., tutti in qualche modo archetipi strutturali, realizzati con diversi materiali, dimensioni e gerarchie e secondo combinazioni sovente assai complesse che sono giunti, in epoche diverse, a possedere anche un contenuto iconografico specifico importante. Questa stabilità è anche abitudine, memoria, tradizione con i suoi consolidamenti e le sue permanenze, ma è anche prova della necessità di una resistenza e di una lentezza, costitutive dell’opera d’arte. Nella loro evoluzione queste richiedono, insieme alla trasformazione delle tecniche nei trattamenti dei materiali e dei semilavorati, una complessa e lenta formazione di maestranze e mezzi, un’organizzazione molto varia delle imprese costruttrici, oltre che, quale elemento determinante, un confronto con il mutare dei costi di produzione, di trasporto e di messa in opera. Tuttavia il problema delle tecniche nel progetto di architettura non si limita ai principi tettonici, ma attraversa tutti i livelli di definizione dell’organismo architettonico. La logica che connette questi diversi livelli è la regola stessa della costruzione del significato del manufatto: il modo in cui le tecniche della costruzione si rivelano o nascondono, divengono metafore di sé stesse o si trasformano in elementi della decorazione, dipendono e costruiscono la logica specifica dell’ar chitettura. «Il n’y a pas de détails dans la construction», diceva il grande architetto Auguste Perret, intendendo con questo che il dettaglio non è una parte trascurabile, ma un elemento essenziale della definizione di un’architettura. È l’arte come tecnica del dettaglio, cioè della differenza, della discrezione e della sua necessità morfologica rispetto all’insieme, che fa riconoscere la specificità del modo con cui il caso è trattato, che disloca il senso comune rivelando la natura del giunto, del ritmo, della materia, del passaggio tra le superfici. Il dettaglio è inoltre vicino a una categoria speciale di tecniche della costruzione, esposte in primo piano alla percezione ravvicinata del manufatto, alla sua manipolazione tattile. Il lavoro tecnico di architettura, in quanto lavoro nobilmente materiale, è inoltre fondato, nell’articolazione dei dettagli e nella loro relazione con gli elementi della struttura e della fisiologia degli impianti, su una costante interazione tra soggetti diversi, per aggiustamenti successivi, in cui gli elementi empirici si ordinano progressivamente secondo una reciproca necessità. La relativa omogeneità delle culture tecniche impiegate nell’architettura antica rendeva sovente il dettaglio costruttivo-decorativo demandabile. Non più nei tempi della meccanizzazione, dove cultura tecnica esecutiva e cultura architettonica richiedevano, a causa della loro distanza, 39 un progetto integrale fortemente dettagliato al fine di far convergere l’opera verso un’unità complessiva. L’ambito del dettaglio è divenuto dominio dell’industria di semilavorati e quindi la progettazione è divenuta montaggio che sovente confronta volontà culturalmente diverse di forma-immagine, prodotte secondo intenzioni del tutto indipendenti dalla progettazione stessa. Tutto questo sino a quando uno scopo puramente estetico o puramente tecnico non sposta l’architettura fuori dai propri fondamenti, come oggi sta avvenendo. Il compito degli architetti antichi che consisteva essenzialmente nel trasformare, montandole, materie in elementi di architettura, si è trasformato così in quello più modesto di assemblare prodotti presignificati tentando di far assumere ad essi un nuovo senso, lavorando sulla loro disunità o cercando fra queste un comune terreno di connessione, cioè in qualche modo negando l’idea di montaggio come tecnica compositiva, ma nello stesso tempo utilizzando il montaggio come tecnica costruttiva. Contraddittoriamente la posizione dell’architettura (la più esposta all’operazione tecnica di assemblaggio) risulta oggi essere quella di chi ne usa meno la logica compositiva in quanto tecnica espressiva; l’eterogeneità è, quando la si utilizza, del tutto linguistica o citazionista, raramente proviene dalla eterogeneità dei materiali. Ma le proposte degli anni recenti sembrano anche rispondere ai temi della complessità tecnica con i principi della “carrozzeria”, cioè del montaggio di superfici esterne totalmente distaccate dalle condizioni tecnico-distributive dell’organismo, concentrando (e limitando) la propria adesione al mondo tecnologico (la cui mimesi resta lo scopo complessivo) alla superficie sottile dell’involucro, esterno o interno che sia, rinviando ad esso l’unità formale dell’intero sistema. Questo, liberato dalle necessità del principio dell’organicità dell’insieme, può assumere qualsiasi forma, anche la più capricciosa, che concentra così il proprio messaggio sull’apparizione sintetica dell’immagine. I materiali si fanno sottili, trasparenti, possibilmente non riconoscibili, tendono a diventare materie senza materialità. Ne discende che il complesso delle tecniche impiegate nella costruzione rappresenta nell’insieme un materiale allo stesso tempo particolarmente resistente e particolarmente ambiguo offerto alla significazione dell’architettura. Tale complessità può essere naturalmente superata di colpo accettando di separare nettamente costruzione da forma e significato, al prezzo, però, di mettere in questione l’ontologia stessa dell’architettura. In questo senso la “civilisation macchiniste” si offriva come difesa di quell’ontologia al prezzo di inglobare le offerte tecniche moderne e il loro processo produttivo come uno dei contenuti preminenti del progetto, con tutte le perdite che questo implica. Ciò che resta al tramonto dell’era della macchina, al trasformarsi delle tecnologie in pura opportunità orientata all’immagine deducibile dal successo della comunicazione delle reti, è il contenuto tecnico stesso, divenuto stile. Gli orizzonti neotecnologici dell’arte La questione è ora quella dell’esperienza artistica, così come la intendiamo nella modernità, all’incontro con l’universo digitale-informatico delle nuove tecnologie basate sui flussi audiovisivi elettronici, sulla produzione di immagini sintetico-virtuali, sulla possibilità di mutare la stessa 40 fisiologia organica del corpo mediante l’innesto di protesi computerizzate. Spesso questa dimensione viene vista esclusivamente in chiave apologetica, come uno straordinario ac crescimento di opportunità. Tuttavia a porsi in maniera problematica non sono tanto le modalità dell’incrocio tra arti e ultratecnologie, bensì la domanda se siamo attrezzati per la ridefinizione profonda dello statuto dell’arte che quell’incrocio porta con sé. Un’ovvietà troppo facilmente condivisibile come quella secondo cui gli artisti hanno sempre utilizzato le tecnologie del loro tempo viene spesso usata per delegittimare ogni ulteriore interrogativo, dichiarando una sorta di non luogo a procedere per chiudere così la questione. Al contrario, si dovrnno mantenere aperte le questioni e dislocarle sulla soglia critica tra l’esperienza artistica e i linguaggi della megamacchina. Gli artisti, appunto, hanno sempre sfruttato le tecnologie del loro tempo, sviluppandone le inedite, implicite possibilità. Oggi avviene la stessa cosa. Ma il rapporto si è invertito. Nelle società in cui ancora prevale l’autorità della tradizione culturale, questa non viene minacciata dallo sviluppo dei sottosistemi di azione razionale tra cui troviamo al primo posto quello tecnico-tecnologico; nelle società capitaliste, in cui fonte e legittimazione del dominio è il sistema di divisione sociale del lavoro, tali sottosistemi si espandono incessantemente stabilendo la centralità produttiva, sociosimbolica, psicologica dell’innovazione. Se precedentemente erano gli artisti a forgiare l’immagine complessiva del loro tempo, è perché il processo tecnologico, di cui pure si servivano, permaneva nei propri confini, non era ancora abbastanza potente da dislocare o annichilire la singolarità. Oggi egemone è la Tecnica, diventata l’orizzonte autocentrato e insuperabile del sistema, l’autorità che in ultima istanza decide, e che è giunta a mostrare compiutamente la struttura e la forma generale dell’espropriazione. Dalle ideologie e le poetiche costruttiviste, futuriste, produttiviste fino all’arte elettronica, lo sviluppo tecnoscientifico è stato dunque progressivamente sempre meno un referente come un altro per l’arte, e sempre più l’ecosistema in cui essa si inserisce, che seleziona e impone i modelli della comunicazione sociale, dell’interazione umana, dell’immaginario estetico. Bisogna quindi domandarsi se esista ancora un’autonomia dell’universo artistico, oppure la sua risoluzione nei linguaggi neotecnologici azzera la possibilità stessa di porre una simile domanda. È inoltre da determinare fino a che punto il ciberspazio ospita materiali dialoganti, e fino a quale invece essi non bruciano la necessaria distanza tra differenti che rimangono tali su cui ogni autentico dialogo si fonda. Sembra comunque evidente che se l’”Impianto”, il Ge-Stell heideggeriano è un mezzo divenuto scopo a se stesso9, non esiste ragione per cui le tecnologie ad esso afferenti debbano continuare ad essere nei confronti dell’arte un semplice medium espressivo. Perché mai proprio all’arte la tecnica dovrebbe fare uno sconto? La lente converge allora sui rapporti tra mezzo tecnico e linguaggio, che nella sfera artistica si rivelano particolarmente delicati, quasi un’arma a doppio taglio. Qui, infatti, per un aspetto, non essendo in presenza di uno scopo utilitaristicamente determinato da raggiungere, la tecnica potrebbe dirsi un’esposizione di “pura medialità”; per un altro aspetto, dato che l’opera nulla sarebbe prescindendo dalla particolare tecnica che la produce, tale medialità può riconoscersi partecipare direttamente alla costituzione degli scopi 9 cfr. Il carattere della tecnica al capitolo precedente. 41 progettuali ed espressivi. Spesso gli artisti affermano che i mezzi e le tecniche sono indifferenti: l’importante è “esprimersi”. Solo un artista può legittimamente sostenere tale tesi senza scrupoli teorico-filosofici, per la buo na ragione che li supera operando. Certo che anche con le ipertecnologie si possono visualizzare emozioni e mondi poetici, ma si ha talora l’impressione che proprio i sostenitori più convinti degli ultramedia ne diano sul versante artistico una lettura riduttiva, minimalista, che finisce per risultare contraddittoria. Si afferma (a buon diritto) che il tecnocosmo non è solo un apparato funzionale agli scopi prefissi, ma segna anche un mutamento epocale che ridefinisce le nostre coordinate percettive, che riorienta il nostro rapporto psicologico e simbolico con il mondo; nello stesso tempo, tuttavia, si pretende spesso che le tecnologie ad esso afferenti continuino a rivestire per l’artista la funzione di un materiale espressivo qualunque, come il marmo, il colore o la grafite. Ma né marmo né colore né grafite, in quanto tecniche socializzate, rimodellano con la medesima potenza, pervasività e forse irreversibilità i nostri processi conoscitivi ed emozionali. Ogni singola tecnica è storicamente determinata e solidale con le sue omologhe appartenenti allo stesso sistema morfologico e al medesimo contesto temporale: è indistinguibile dall’insieme di esperienze percettive che ha permesso e continua a permettere, è inseparabile dall’universo sociosimbolico che ineluttabilmente porta con sé. Ma precisamente in forza di tutto questo, un’operatività artistica che si lasciasse integralmente abitare dalle modalità ipertecnologiche finirebbe per risultare subalterna a ciò che si illude di poter utilizzare come un mero strumento; finirebbe per smarrire la sua capacità di verticalizzazione, la sua preziosa e finora inesorcizzata alterità. Le ultratecnologie rappresentano per l’artista prima di tutto un universo da esplorare. Ma se l’arte gioca sul loro stesso terreno rincorrendone affannosamente le accelerazioni e le priorità, adeguandosi ai loro parametri, allora risulterà inevitabilmente perdente, si ridurrà a mostrarsi soltanto «al passo con i tempi». Sono già presenti ed operanti malintesi o male impostati rapporti tra intenzionalità artistica e tecnosfera, in conseguenza di una sorta di “ipnosi ultratecnologica”, che è doveroso considerare. In primo luogo si potrebbe richiamare il rischio di una ipervalutazione del medium, promosso a strumento per un’immediata autolegittimazione dell’opera. Eppure sappiamo bene che non v’è alcun legame automatico tra la scelta del mezzo tecnologicamente più avanzato e la qualità artistica o l’interesse estetico del prodotto. Usare un medium arcaico come il pennello nell’era dei computer di quarta o quinta generazione non è di per sé affatto regressivo. E vale la reciproca: l’aggiornamento dei mezzi non è minima prova del fatto che il dialogo tra arte e tecnologia sia stato inventivamente allestito. Per di più, un’esibizione autolegittimante del mezzo può portare con sé due pericoli. Il primo è che l’utilizzo diffusivo delle neotecnologie si sviluppi su direttrici di così basso profilo (pensiamo solo all’interattività, che per ora si rivela spesso una farsa) da trasformare l’esperienza artistica nel regno della mediocrità socialmente condivisa. Quando l’arte è dappertutto (ma è di estetizzazione che si dovrebbe parlare), significa che ha drammaticamente perso di valore. L’altro pericolo è che l’appiattimento sui modelli comunicativi globali e standardizzati alimenti la perniciosa equiparazione tra l’arte e l’informazione-comunicazione estetica. 42 Bisogna tra l’altro valutare la possibilità che venga a profilarsi una situazione in base alla quale l’arte si riduce - nei confronti della potenza autoinnovativa dei linguaggi telematici - a svolgere una funzione ornamentale, gregaria: quella di aggiungere un surplus di esteticità-inventivitàimmaginatività a ciò che non ne ha bisogno semplicemente perché queste caratteristiche le possiede già in misura autonoma e distintiva. Non esiste nulla di più letteralmente reazionario che pensare all’arte come variante metaforica, come licenza poetica della tecnica. In fine il rischio più grande: che l’arte non sia più un rischio, che non sappia più tendere il linguaggio fino al limite estremo tanto da rimetterlo alla possibilità dello scacco, del fallimento, del naufragio, figure essenziali delle arti moderno-contemporanee. Dunque che non sia più capace di rappresentare un pericolo, di indicare il pathos di un’emergenza. Perché l’impatto così massivo, industrialmente assistito e promozionalmente facilitante delle ultratecnologie, potrebbe alla fine rivelarsi un dispositivo neutralizzatore, un rito consolatorio, una rete protettiva con cui garantirsi preventivamente quella legittimazione a buon mercato che farebbe passare una volta per tutte l’esperienza artistica dalla sfera dell’interesse (in cui ne va del vicendevole, reciproco essere nel mondo) a quella dell’interessante, in base a cui l’arte non è più bandita (Platone che la definiva “divino terrore”) ma blandita. Allora forse è precisamente all’incontro con la pervasività capillare e orizzontale, declinata in chiave edenico-liberatoria, delle neotecnologie, che occorrerebbe alzare il tiro e tornare a domandarsi se l’arte sia davvero ormai definitivamente preda di un’insipida e incurante tolleranza liberal-democraticista in base alla quale si può far tutto perché tutto è diven tato innocuo, oppure se abbia residue possibilità di rivelarsi «pericolosa», se mantenga ancora intatta la capacità di “dar da pensare” squilibrando i nostri assetti concettuali ed emotivi: ciò che ne attesterebbe la persistente crucialità, l’inaggirabile e feconda decisività. 43 44 BIBLIOGRAFIA AA. VV., Estetica e società tecnologica, a cura di R. Barilli, Bologna 1976. AA. VV., Tecnica e cultura, a cura di T. Maldonado, Milano 1979. AA.VV., Architettura e cultura digitale, a cura di L. Sacchi e M. Unali, Milano 2003. AA.VV., Le arti multimediali digitali, a cura di A. Balzala, Milano 2004. 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