Mostra/Apri - Facoltà di Architettura

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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Architettura “Valle Giulia”
Dipartimento Ar_Cos
Tesi di Dottorato in Architettura e Costruzione, Spazio e Società
Guglielmo Malizia - relatore prof. Dina Nencini
La residenza urbana in Grecia - 1980 / 2005
Volume I - Inquadramento generale
PREFAZIONE
La presente tesi fa parte di in una serie di ricerche, svolte nella scuola di dottorato Draco, sul social
housing in Europa dal 1980 al 2005: ciascun dottorando si è impegnato ad indagare la recente
produzione di edilizia residenziale pubblica in un Paese della UE a sua scelta.
La scelta della Grecia, da parte mia, è derivata da una naturale attrazione per quel paese, per il suo
clima, per il suo paesaggio, per i suoi abitanti e la loro lingua, per la sua storia. Per Atene poi, dove
si ha l’impressione di trovarsi al centro del mondo, forse per la calma che suscita l’assorbimento
dei contrasti: ordine e disordine si dissolvono l’uno nell’altro, oriente e occidente acquistano lo
stesso volto. Nelle sue architetture moderne di marmo e vetro una grazia speciale raffina le rigide
e pesanti strutture cementizie.
Secondo il formato suggerito dal Collegio dei Docenti, la tesi si articola in tre volumi.
Nel primo si delinea un inquadramento ad ampio raggio dell’architettura e dell’urbanistica
contemporanee in Grecia, con particolare riferimento all’edilizia residenziale e a tutte le
problematiche ad essa collegate.
Nel secondo volume si presenta una selezione di casi studio analizzati. Non essendoci praticamente
alcun esempio di social housing vero e proprio, ovvero di abitazioni realizzate da una committenza
pubblica, a parte un paio progetti, sono tutte polykatoikie (palazzine) costruite da imprenditori
privati, e destinate a famiglie di ceto prevalentemente medio-alto. Questo ha comportato la
modifica, nel titolo, di housing con residenza urbana.
Il terzo volume consiste in un breve saggio sull’inattualità tecnologica dell’architettura, che esula
dalla specificità dell’argomento trattato nelle altre due parti. Si tratta di un testo parallelo al corpo
della tesi, in cui il dottorando è invitato a esporre delle riflessioni personali su argomenti della
disciplina a sua scelta.
Il lavoro è stato svolto nel corso degli ultimi tre anni.
Nel 2008 mi sono dovuto costruire una base di conoscenze di carattere generale sull’architettura
greca contemporanea e su tutti quegli aspetti (culturali, economici, politici) che l’hanno influenzata.
Ho cercato di comprendere a fondo la poetica e le opere dei suoi migliori interpreti.
Nel 2009 ho raccolto il materiale con una serie di viaggi ad Atene, visitando gli edifici che
intendevo analizzare, documentandomi nelle biblioteche (in particolare in quelle dell’Università
Tecnica di Atene, dell’ Archivio di Architettura Neoellenica della Fondazione Benaki, dell’Istituto
di Architettura Neoellenica, della Technical Chamber of Greece), e discutendo con architetti di cui
mi interessava il lavoro e professori che si occupano di temi simili a questo.
Nel 2010 mi sono dedicato alla stesura definitiva della tesi, aiutato dalle frequenti discussioni con
il Collegio dei Docenti e dalla costante assistenza del Relatore.
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RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento particolare va alla professoressa Dina Nencini, che accompagna la mia
formazione da ormai molti anni, ai professori del Dipartimento ArCos che hanno puntualmente
revisionato il lavoro di ricerca.
Ringrazio anche i professori Eleni Fessas-Emmanouil, Suzana Antonakakis, Dimitris Antonakakis
e Vassilis Ghikapeppas dell’Università Tecnica di Atene; Andreas Giakoumakatos dell’Università
di Salonicco; Georgios A. Panetsos e Yannis Aesopos dell’Università di Patrasso; Paola Cofano
del Politecnico di Milano. Gli architetti Pantelis Nicolacopoulos, Dimitris Tsakalakis, Dimitris
Theodoropoulos, Nikos Anatollitis, Kyriaki Goni.
Un ringraziamento va agli amici, insostituibili, Livia Porro, Pietro Zampetti e Giulia Villoresi.
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INDICE
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INTRODUZIONE
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L’ARCHITETTURA GRECA DEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI
La ricostruzione
Anni di conservatorismo architettonico
Il riferimento alla grecità come espressione di verità
L’interpretazione di Pikionis
L’interpretazione di Konstantinidis
La ricostruzione di Santorini
L’architettura rappresentativa
L’affermazione del Modernismo
L’apice del modernismo
La stagione dei concorsi
L’allontanamento dal Modernismo
Le esperienze più recenti
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L’URBANISTICA IN GRECIA NEL NOVECENTO
Premessa
I primi tentativi di pianificazione
Eroiche visioni sulla scia del IV congresso CIAM (Atene 1933)
La pianificazione dal Dopoguerra agli anni Settanta
Il ridimensionamento del disegno urbano negli ultimi trent’anni
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L’EDILIZIA RESIDENZIALE IN GRECIA NEL NOVECENTO
La diffusione degli appartamenti
Il sistema privato dell’antiparoche
L’architettura delle prime residenze di massa
Lo sviluppo delle tipologie residenziali dal Dopoguerra agli anni Settanta
Le esperienze degli ultimi trent’anni
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ATENE E LA POLYKATOIKIA
Atene
La polykatoikia
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ANTOLOGIA CRITICA
Kenneth Frampton, A note on Greek Architecture: 1938 – 1997
Heleni Fessas - Emmanouil, The last twenty – five years: from post – modern dispute
to the Dionysiac and chaotic threshold of the 21st century
Aris Konstantinidis, selezione di brani da On Architecture
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CRONOLOGIA DEI PRINCIPALI AVVENIMENTI DEL NOVECENTO IN GRECIA
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INDICE ANAGRAFICO DEI PROGETTISTI GRECI
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BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE
Questo Volume costituisce un inquadramento ad ampio raggio, necessario per comprendere i
progetti che verranno illustrati, come casi studio dell’architettura residenziale greca tra il 1980 e il
2005, nel volume centrale di questa tesi.
È composto di quattro capitoli volti a fornire altrettante chiavi d’accesso all’argomento focale.
Il primo traccia, in una prospettiva storica, i lineamenti dell’architettura greca contemporanea,
cercando di metterne in risalto i tratti permanenti, la reazione alle differenti situazioni politiche
ed economiche attraversate dal dopoguerra ad oggi, le diverse tendenze generazionali, la
centralità di un problema fondamentale: il rapporto tra tradizione e modernità, tra regionalismo
e internazionalismo.
Il secondo capitolo racconta brevemente i difficili tentativi di pianificazione urbana intrapresi in
Grecia nel corso del secolo scorso, rilevando un’evidente anomalia rispetto alle coeve storie degli
stati centro-europei: una sorta di incapacità dell’iniziativa pubblica a governare lo sviluppo del
territorio.
Il terzo capitolo si concentra sull’edilizia residenziale, soffermandosi sugli esempi più significativi,
sulle diverse interpretazioni del problema abitativo da parte dei migliori architetti greci del
Novecento, con particolare attenzione per le esperienze più recenti. Per molti versi è come
ripercorrere le stesse difficoltà di gestione dei problemi insediativi incontrate nel capitolo
precedente: qui l’assenza dell’iniziativa pubblica lascia l’intero settore nelle mani della speculazione
privata.
Il quarto capitolo affronta la questione più tecnica del legame costitutivo tra la tipologia
residenziale della polykatoikia, che possiamo identificare con la nostra palazzina, e la forma della
città greca, in particolare Atene. Si tratta di un caso unico per la coerenza con cui l’intero territorio
metropolitano viene occupato da uno stesso tipo edilizio, senza mediazioni di scala.
A seguire sono raccolti alcuni brani di autori illustri che rappresentano i cardini su cui poggia
questo primo volume e una serie di apparati volti fornire alcuni dati essenziali sull’argomento
trattato.
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L’ARCHITETTURA GRECA DEGLI ULTIMI CINQUANT’ANNI
La ricostruzione
Gli sforzi di ricostruzione in Grecia iniziarono subito dopo la fine della guerra, nel 1945. La
direzione del coordinamento di questi fu presa da Constantinos Doxiadis, allora giovane e
vigoroso architetto e pianificatore che possedeva tutti i requisiti per condurre l’impresa a buon
fine. Mentre il paese era ancora sotto l’occupazione tedesca, Doxiadis aveva formato una squadra
di esperti per registrare i danni subiti dalle strutture edilizie e urbane, e aveva già elaborato una
previsione di ciò che sarebbe stato necessario in futuro, oltre a stabilire principi e metodi sui quali
la successiva ricostruzione avrebbe dovuto basarsi. Idee e progetti di ricostruzione furono proposti
anche da altri architetti con la speranza di un futuro migliore per la Grecia. Sfortunatamente
questo impegno fu largamente frustrato da una situazione politica instabile e dalla successiva
guerra civile del 1946-49, che inflisse alla nazione terribili ferite difficili da rimarginare.
Il conflitto civile rese la discontinuità causata dalla Guerra nel progresso della moderna architettura
greca assai più compromettente, non solo perché prolungò la depressione economica e l’arresto
nel settore dell’edilizia fino alla fine degli anni Quaranta, ma anche perché provocò un radicale
sconvolgimento ideologico e sociale. L’incapacità dello stato di pianificare e implementare una
politica di sana ristrutturazione economica e di sviluppo regionale, e la campagna di persecuzione
anti-comunista nelle province causò un rapido accrescimento delle città, Atene in particolare,
ed esacerbò il problema degli alloggi. Alla fine tale problema venne risolto dalle imprese private
coi loro metodi poco ortodossi. Nuove case vennero così costruite illegalmente nelle aree
suburbane al di fuori dei piani regolatori, o all’interno di questi col sistema dell’ antiparochi o
quid pro quo. Con tale sistema il proprietario di un immobile piccolo e malandato cedeva il lotto
ad un imprenditore che ci costruiva un nuovo edificio di appartamenti, dei quali alcuni sarebbero
andati al proprietario in cambio della disponibilità del terreno. Lo Stato incoraggiò questo sistema
aumentando il numero di piani consentiti perché offrivano un duplice vantaggio: da una parte
costituivano una soluzione per acquietare il problema degli alloggi, mentre dall’altra lo sviluppo
dell’edilizia avrebbe potuto stimolare la ripresa economica. Grazie al sistema del quid pro quo,
la costruzione di edifici di appartamenti ebbe un notevole incremento e, in concomitanza con
significativi progetti di infrastrutture per i trasporti pubblici e per il turismo,produsse una rapida
crescita dell’economia greca, ma, allo stesso tempo, ne cronicizzava i difetti strutturali. Inoltre,
la mancanza di pianificazione e controllo dell’attività edilizia, di fatto affidata agli speculatori,
ebbe effetti gravemente dannosi sull’ambiente urbano: aumento delle disuguaglianze regionali,
inadeguata organizzazione tecnica e amministrativa delle città, demolizione di molti degli edifici
principali nei centri urbani. D’altra parte la sconfitta della Sinistra nella guerra civile aveva permesso
la progressiva ascesa della borghesia in uno stato di torpore ideologico, mentre si rafforzavano
più che mai i poteri conservatori, ai quali si allinearono sia i nuovi ricchi emersi durante i dieci anni
di guerra, sia le classi medio basse. Si venne così a creare un’atmosfera tutt’altro che stimolante.
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Anni di conservatorismo architettonico
A partire dal 1950 circa, il mercato delle costruzioni dilagò
ad Atene, dominato da una schiera di architetti riconosciuti,
come Kitsikis, Kapsambelis, Vourekas e Sakellarios, che
adottarono una sorta di Classicismo semplificato per i
loro progetti urbani e una versione moderna di alcuni
motivi pittoreschi per le ville suburbane. In entrambi i
casi la contaminazione fu operata in maniera tale da dare
l’impressione di un’architettura capace di rispondere
alle moderne esigenze di funzionalità e confort, pur
continuando ad indossare uno stile nazionale, e quindi
facilmente riconoscibile. Chiaramente si metteva in atto
uno strappo con il razionalismo degli anni Trenta.
In ogni caso, la maggior parte dei protagonisti del
modernismo d’anteguerra non erano più in attività: Nikos
Mitsakis era morto in un incidente automobilistico nel nel
1941; Panos Tselepis si era trasferito in Francia a lavorare
con Lurçat; Papadaki e Polyvios Michailidis erano emigrati
negli Stati Uniti; Ioannis Despotopoulos allontanato
dalla scuola di architettura nel 1946 per via delle sue
posizioni politiche chiese asilo in Svezia, mentre Kyriakos
Panayotakos, Vasileios Douras ed altri avevano ricoperto
diverse cariche pubbliche uscendo così dalla scena delle
proposte progettuali.
Solo Patroklos Karantinos e Thoukydidis Valentis erano
ancora in attività ed ebbero un ruolo importante nella
continuità col Moderno. Il primo entrò al Ministero
dell’Educazione nel1946, e sia in quella sede che per conto
proprio (spesso in occasione di concorsi) produsse molti
progetti, la maggior parte dei quali non fu realizzata. I
suoi primi progetti dopo la guerra, il complesso scolastico
di Thiva (1948) e la nuova scuola ecclesiastica a Pathmos
(1947-52) non vennero molto considerati, così come il
blocco di appartamenti ad Atene (1950). I progetti che
riabilitarono la sua reputazione furono quelli realizzati
successivamente, quando il Modernismo riacquistava il
prestigio perduto.
Al contrario il primo progetto di Valentis dopo la guerra,
l’edificio dei mutui dell’Aeronautica (1947-49), si distinse
PERIKLIS SAKELLARIOS, VILLA A PSYCHICO,
1951
TUKIDIDIS VALENTIS, EDIFICIO PER UFFICI
AD ATENE, 1956-58
NICOS VALSAMAKIS, EPOLYKATOIKIA AD
ATENE, 1955-57
11
come tipicamente moderno nel contesto ateniese per l’evidenza della struttura portante, per le
finestre orizzontali, e la morfologia elementare, malgrado un’articolazione piuttosto classica del
prospetto. Sia questo edificio che il successivo palazzo per uffici su Omonia, con le loro facciate
dominate dalla griglia ortogonale furono dei modelli per progetti analoghi ed ebbero una sensibile
influenza anche sugli architetti conservatori.
Il passo decisivo verso la riabilitazione del Moderno avvenne per merito di un giovane architetto,
Nicos Valsamakis, che costruì il suo primo palazzo di appartamenti nel 1953, prima ancora di
essere laureato. Si tratta di un piccolo edificio nel centro di Atene che, con una griglia a sbalzo
su un piano terra arretrato, formata dai solai dei balconi e dagli esili pilastri, ed equilibratamente
enfatizzata, esprime un sereno Classicismo, mentre l’utilizzo di alcuni materiali naturali (legno
per le ringhiere, pietra per il basamento) lascia un riferimento alla costruzione vernacolare,
anche se solo lievemente allusivo. Tutto sommato l’impressione è quella di una pura architettura
moderna, libera da ogni legame con le convenzioni stilistiche prevalenti. Nel successivo palazzo
di appartamenti, in cui introdusse un’asimmetria accuratamente pianificata, Valsamakis si
impose come raffinato interprete del vocabolario moderno, un degno continuatore degli sviluppi
precedenti la guerra.
I progetti di Valentis e Valsamakis non furono gli unici esempi a segnare la riaffermazione del
Modernismo nel dopoguerra, ma di certo servirono da paradigma ed incoraggiarono altri
architetti: sorgendo in zone centrali della capitale e realizzati nel pieno rispetto dei termini dettati
dalla speculazione commerciale, dimostrarono che lo stile moderno era perfettamente capace di
rispondere allo stesso mercato precedentemente dominato da un o stile conservatore.
Un riferimento astratto alla grecità come espressione di verità
La tendenza a esprimere un’esigenza di grecità o di un ritorno alle radici nella vita culturale
greca del dopoguerra, che aveva assunto aspetti differenti nel corso degli anni Venti e Trenta,
potrebbe apparire conservatrice; invece non ci fu alcuna affinità tra questa e lo spirito Classico
invocato e dibattuto in termini convenzionali dalle classi conservatrici. Questa nuova tendenza
interpretò l’esigenza di grecità come un’esigenza di verità; e questo uso della tradizione greca
come riferimento astratto esercitò una vivace influenza su diversi aspetti del Modernismo. Infatti
i più dotati rappresentanti di questa tendenza (in letteratura, nelle arti figurative o in musica)
riuscirono a produrre valide combinazioni del Modernismo con quelli che consideravano i valori
di fondo della tradizione greca.
L’interpretazione di Pikionis
Dimitris Pikionis si era distinto nel periodo tra le due guerre come principale rappresentante di
questa tendenza in architettura. Aveva frequentato l’accademia delle Belle Arti dal 1910 al 1912
ed ammise di essere stato profondamente influenzato da Julien Guadet. Il movimento moderno
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lo attraeva perché “prometteva di poter incarnare la verità
organica” e perché “era austero e fondamentalmente
semplice; era dominato dalla geometria che comunicava
un progetto capace di guidare il nostro tempo”1. Ma dopo
aver realizzato la scuola al Lycabetto (1933), la sua unica
opera in puro stile moderno, non sentendosi soddisfatto,
giunse alla conclusione che “[…] lo spirito universale
deve essere integrato con lo spirito delle tradizioni”2.
Successivamente egli non smise mai di sostenere le
proprie idee entusiasticamente e di cercare la maniera più
appropriata per applicarle ai suoi progetti. La sua ricerca
intrapresa prima della guerra con la Scuola Sperimentale
di Salonicco (1935) e un palazzo di appartamenti ad Atene
(1938), continuò poi con la casa-studio per la scultrice
Frosso Efthymiadi a Patissia (1949), la casa Potamianos
a Filothei (1954), gli studi preliminari per l’insediamento
di Aixoni (1951-54) e l hotel Xenia a Delfi (1955). Questa
raggiunse il suo apice nel suo progetto indubbiamente più
importante, la sistemazione dell’area del Filopappo (1951
- 57), e nel campo da gioco per bambini a Filotei (1961 65).
Nell’idea di Pikionis è facile individuare le fonti più
eterogenee e forse talvolta contraddittorie, che però
erano sintetizzate in una globale visione poetica, da cui
sgorgava la sua attitudine creativa3. Pikionis credeva che
l’arte autentica fosse prima di tutto obbedienza alle leggi
eterne ed universali, che tale principio sia stato rispettato
da tutte le grandi civiltà storiche (ciascuna in accordo con
la propria natura), e che questo fosse il principio al quale
l’arte moderna aveva cercato di rivolgersi. Per cui egli fu un
grande estimatore di Paul Cézanne e Auguste Rodin, e anche
di Pablo Picasso, Paul Klee e del suo coetaneo Le Corbusier.
Pikionis credeva inoltre che la millenaria tradizione greca
fosse la più alta manifestazione della tradizione universale,
e condusse appassionati studi sugli sviluppi artistici di
1 D. Pikionis, Autobiographical Notes, 1958
2 Ibid.
3 Per quanto riguarda le origini del pensier di Pikionis, S. Condaratos,
Dimitris Pikionis in context, in Dimitris Pikionis, Architect 1887-1968: a
sentimental topography, Lodra 1989
DIMITRIS PIKIONIS
CASA STUDIO A EFTHYMIADI (1949)
SISTEMAZIONE DELL’AREA DEL FILOPAPPO
(1951-57)
CASA A FILOTHEI, 1953-55
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quella, dalle sculture del periodo arcaico alle più umili creazioni dell’artigianato vernacolare, nella
continua ricerca di conferme circa la corrispondenza dell’ordine. Egli teneva inoltre in grande
considerazione che sebbene i modi espressivi della tradizione greca fossero strettamente affini
a quelli dell’Oriente e radicalmente differenti da quelli occidentali, inseguirono continuamente
“la giusta sintesi delle opposte correnti e tendenze, [...] la loro fusione in una forma nuova”4.
Essendo sempre disposto ad apprezzare le virtù degli altri e a comprenderne la verità e la bellezza
intrinseche, Pikionis adottò nei suoi progetti un approccio fondamentalmente eclettico, il cui
contenuto fu sempre elevato dalla profondità della sua ricerca e dalla sua straordinaria sensibilità
plastica. Nei suoi progetti degli anni Cinquanta e Sessanta propone appunto un’elaborazione
poetica in cui fa coesistere forme dell’architettura vernacolare macedone, bizantine, dell’antica
Grecia. Questa posizione fu da lui teorizzata, nel 1950, in un affascinante testo concernente la
questione della forma, nel quale spiegò come produrre variazioni a partire dai semplici motivi che
hanno attraversato la tradizione greca: «Le variazioni che possono essere date in questo modo
alla forma essenziale sono davvero infinite. La linea stessa può portarti misticamente all’antico, al
medievale, al primitivo, al moderno, al neoclassicismo popolare. Si tratta di possedere o meno il
linguaggio mistico della forma, grazie al quale si può esprimere quella configurazione particolare
e quella profonda essenzialità della tradizione e del periodo storico attraverso il simbolo».
L’architettura concreta è espressione simbolica, naturale e culturale, del luogo, realizzata
componendo consapevolmente varie immagini in un insieme che è riconoscibile dalla coscienza
collettiva.
La casa costruita da Pikionis a Filothei per la famiglia Potamianos esprime bene l’attenzione con
cui egli assemblava tipologie, materiali e forme tradizionali in una struttura moderna in cemento
armato. I riferimenti all’architettura vernacolare del nord della Grecia, della Macedonia occidentale
(in particolare il Monte Pelion) sono evidenti.
La cura dell’architetto riguarda anche le piante del giardino e la sua decorazione con componenti
architettoniche e oggetti che testimoniano la lunga storia della Grecia. Oltre che da tali riferimenti
alla tradizione, la suggestione è provocata dalla moderna logica delle forme pure e dei materiali
semplici e da una consapevole ingenuità che imprime ai vari accorgimenti il marchio di un voluto
ritorno alle origini.
Comunque il criterio di base nella selezione dei suoi modelli riguardò sempre l’intima geometria
dell’opera, la corrispondenza all’interno della sua struttura ad un’armonia cosmica come garanzia
di autenticità e di senso profondo.
Anche nel suo più celebre progetto, la sistemazione dell’area del Filopappo, con la ricostruzione
della cappella di S. Demetrio e l’adiacente padiglione turistico, Pikionis riuscì a coniugare memorie
dall’architettura arcaica, classica, bizantina e vernacolare con i modi e le forme propri di un’attitudine
modernista e anche con influenze dalle case e dai giardini giapponesi, che diventeranno poi più
evidenti nel campo giochi per bambini a Filothei. Egli tentò inoltre di conciliare nella pratica
un’inclinazione romantica verso il pittoresco con la teoria classica dell’ordine armonico. Tuttavia,
4 D. Pikionis, op.cit.
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nonostante le loro origini, tutte queste componenti erano reinterpretate e rielaborate in modo
che il risultato finale sembrasse senza tempo, o, come l’autore avrebbe voluto, Greco, ma “di un
periodo immaginario, che potrebbe essere esistito, ma non ebbe mai l’opportunità di divenire
reale”5. Se l’adattamento al luogo, l’utilizzo dominante di materiali naturali e la semplicità della
costruzione trasmettono un’impressione di spontaneità, ad uno sguardo più attento si colgono
subito le complessità compositive e anche una certa sofisticatezza manierista che dimostrano
come le opere siano il risultato di un diligente processo compositivo. Pikionis sapeva fin dall’inizio
come ”la qualità naturale che nelle persone semplici si ritrova esplicitamente nell’istinto, nelle
persone più colte richiede il ricorso a risorse della mente e dello spirito ben diverse dall’istinto”6.
Per questo motivo egli si sforzò di raffinare il proprio talento innato attraverso un’attenta
osservazione, l’analisi riflessiva ed un costante impegno pratico. Nessuno ha saputo seguirlo in
questo difficile cammino: coloro che hanno provato ad imitarlo hanno sempre prodotto risultati
mediocri. D’altra parte il suo insegnamento ed il suo lavoro ebbero un effetto stimolante sui
suoi allievi che adottarono un atteggiamento più critico rispetto alle sue posizioni e su un certo
numero di architetti più giovani che, senza essere stati personalmente a contatto con lui, seppero
apprezzare la profondità della sua ricerca.
L’interpretazione di Konstantinidis
L’esigenza di grecità intesa coma esigenza di verità fu anche coltivata, sebbene in maniera piuttosto
diversa, da Aris Konstantinidis, più giovane di Pikionis di venticinque anni. Laureatosi all’Università
Tecnica di Monaco nel 1936, Konstantinidis cominciò a svolgere l’attività professionale prima della
guerra, ma emerse chiaramente nel dopoguerra pubblicando due articoli e due saggi brevi7. In
questi, prendendo come riferimenti le strutture rurali di Mikonos e le vecchie case di Atene, egli
espresse molto lucidamente il suo interesse per un’architettura vera, che sia al passo con i tempi,
ma in armonia con i requisiti propri di un luogo, come avviene nelle opere umili e anonime che
sono “evidenti, sobrie, elementari, e parlano il linguaggio della natura”; un’architettura, come
scrisse successivamente, che sappia riflettere “i nostri caratteri più autentici”8. Come nei testi
di Pikionis anche in quelli di Konstantinidis estetica ed etica sono inseparabili. Entrambi erano
di certo stati influenzati da John Ruskin, e Konstantinidis avevana subito anche l’influenza della
critica culturale di Adolf Loos. Molti sono i punti di contatto tra i pensieri di questi due autori,
a partire dai riferimenti metafisici di base. Nonostante le sue ossessioni, Pikionis assunse un
atteggiamento pluralista rispetto alle tradizioni, cercando l’autenticità nella moltitudine delle
sue manifestazioni storiche, e il modello essenziale in forme specifiche che egli reinterpretava
ed incorporava nei suoi progetti. Konstantinidis, da parte sua, sembra interessato solo a quegli
aspetti della tradizione riconducibili ad un astratto tipo elementare o ad una rudimentale logica
5 Dimitris Pikionis, Il problema della forma (1946), in Dimitris Pikionis, Keimena, Atene 1982.
6 in Dimitris Pikionis, Keimena, Atene 1982.
7 Aris Konstantinidis, Due “villaggi” a Mykonos, Atene 1947, e Antiche case ateniesi, Atene 1950.
8 Aris Konstantinidis, Due “villaggi” a Mykonos, Atene 1947, e L’architettura dell’architettura, Atene 1992.
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ARIS KONSTANTINIDIS
COMPLESSO TURISTICO A EPIDAURO, 1958-62
CASA STUDIO A EGINA, 1974-78
costruttiva. Egli sosteneva infatti che l’architettura dovrebbe “svolgersi [...] conformemente ad
alcune verità basilari o radici lontane dai giochi morfologici o estetici e senza imitare l’esteriorità di
ciò che è stato in passato quando c’erano altre tecniche, altri materiali e anche differenti contesti
sociali e politici”.
Nel 1972, presentando schizzi e fotografie di diversi rifugi improvvisati che aveva incontrato nei
dintorni di Atene o in campagna (variazioni contemporanee sulla capanna primitiva di Laugier)
scrisse a proposito di questa architettura anonima: “Certamente primitiva, ma così vera, bella
e spontanea, o così contemporanea, potrei aggiungere, così compatibile con la nuova direttiva
dell’epoca moderna verso un’architettura autentica, capace di lavorare onestamente con tutti
i materiali a disposizione e di dedicarsi alle funzioni vitali occupandosi delle necessità reali e
non di interessi personali”9. Per creare questo collegamento tra il contemporaneo e il primitivo,
Konstantinidis scavalcava la storia, e in questo senso fu un autentico razionalista, rappresentante del
Movimento Moderno e del suo spirito utopico, come esprime ancor più chiaramente affermando
che “l’architettura è internazionale. È internazionale come lo sono il clima, le necessità di igiene
e di conoscenza, la medicina. I mezzi di comunicazione sono ormai gli stessi in tutto il mondo e
da questo punto in poi anche l’architettura ha in se tutti i caratteri nazionali ed internazionali. Ne
deriva che, se l’architettura è internazionale, ogni paese esprime talune caratteristiche proprie”.
Il primo progetto importante di Konstantinidis fu una piccola casa di vacanze a Sykia, vicino Corinto,
nel 1951, un manifesto su come egli intendeva la verità in architettura. Si tratta di una struttura
spoglia in muratura e cemento a vista, assolutamente moderna per l’articolazione e la mancanza
di ogni riferimento alle forme della tradizione locale, ma che assume un aspetto del tutto naturale
e spontaneo all’interno del paesaggio.
In quest’opera Konstantinidis creò un modello che sviluppò con assoluta coerenza in una serie
di progetti successivi, dal complesso turistico vicino al teatro di Epidauro (1958-62) e la casa di
vacanza a Anavyssos (1961-62), alla casa sul monte Pendeli (2974) e la casa-studio a Egina (197478). In particolare la piccola residenza estiva di Anavyssos, sulla costa del golfo di Sardonico, a sud
di Atene, è diventata un modello di riferimento per molti progetti analoghi; le pareti sono costruite
9 Aris Konstantinidis, Life vessels or the problem of a ”genuine” Greek Architecture, Atene 1947, in Architecture in
Greece 1/72.
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CASA DI VACANZE A SYKIA, 1951
MOTEL XENIA, KALAMBAKA 1962
con pietra del luogo e sostengono il peso di una lastra di cemento sulla quale sono evidenti i segni
lasciati dalle casse di legno usate per le colate; il corpo centrale della casa è circondato da un
portico a forma di L che affaccia a sud-ovest, verso il mare. Il complesso di cinque abitazioni per
l’isola di Egina, di cui solo le due summenzionate furono edificate, presenta lo stesso approccio
con pochissime variazioni.
Nell’edificio residenziale costruito nell’esclusivo sobborgo di Filothei, a nord di Atene, tra il 1971
e il 1973, l’architetto, affronta il progetto, con la stessa sensibilità per il contesto (questa volta
urbano) e la stessa intelligenza costruttiva. Il cemento armato a vista fa da cornice all’intonaco
bianco. Le facciate sono dominate da ampi balconi collegati da una leggera struttura metallica che
all’ultimo piano sostiene una pergola dal disegno raffinatissimo, che esprime tutta l’essenza della
composizione architettonica per Konstantinidis.
Anche nei suoi progetti più grandi, come i quartieri residenziali per l’OEK (l’istituto delle case
popolari) ( 1955-57), gli hotel e i motel che realizzò a capo dell’EOT (l’ente nazionale del
turismo) (1958-67), e il museo archeologico di Ioannina (1965-66), rimase fedele ai suoi principi
fondamentali. Il suo onesto senso della costruzione si esprimeva con la struttura a scheletro
portante in cemento armato, i muri e le aperture articolati con la massima chiarezza geometrica,
l’organizzazione degli spazi modulata sulla base di una griglia rettangolare, e la ripetizione di
elementi standardizzati. I suoi edifici hanno forme semplici e chiare, con la tessitura e il colore dei
materiali come unici elementi decorativi. Con dei modi rudimentali Konstantinidis produsse alcuni
dei progetti più significativi del modernismo greco. Comunque il suo più grande risultato resta la
maniera in cui, senza fare alcun ricorso a espedienti scenografici, questi progetti si integrano con
il paesaggio greco. Il motel a Kalambaka ne è un esempio evidente.
Konstantinidis non ebbe mai l’opportunità di insegnare in Grecia, ma con i suoi progetti e i suoi
scritti esercitò una grande influenza sull’architettura greca. Il suo semplice stile architettonico, in
completo accordo con i metodi costruttivi del periodo, fu assimilato da molti altri architetti. Ma
soprattutto fu lo spirito della sua poetica ce ispirava e continua a ispirare i più riflessivi dei suoi
giovani colleghi.
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DECAVALLAS ASS.TI, RESIDENZE A SANTORINI, 1956
VOUREKAS/PROKOPIS/VASSILIADIS
HOTEL HILTON AD ATENE, 2958-63
La ricostruzione di Santorini
Nel 1956 un disastroso terremoto colpì l’isola di Santorini, famosa per la sua forma unica e
l’architettura tradizionale. La ricostruzione dell’isola fu guidata dalla direzione urbanistica del
ministero dei lavori pubblici (direttore: Achilleas Spano, capo del dipartimento: P. Vassiliadis). Il
primo gruppo di progettazione inviato sull’isola consisteva di quattro giovani architetti appena
laureati al politecnico di Atene (Savas Condaratos, Vassilis Bogakos, Nicos Sapountzis e Vassilis
Grigoriadis) guidati da Constantinos Decavallas, che aveva da poco compiuto gli studi post laurea
negli Stati Uniti e in Inghilterra. Oltre alla ristrutturazione degli edifici esistenti, la missione del
gruppo comprendeva anche la progettazione di nuovi complessi residenziali. Chiaramente la natura
dell’isola e il carattere della sua architettura tradizionale non potevano essere ignorati. Ma né le
condizioni di progetto, né la volontà degli architetti coinvolti permise alcun ricorso a espedienti
scenografici imitativi delle forme locali. Decavallas e i suoi associati optarono per un approccio
puramente razionalista, che li condusse alla standardizzazione e a una parziale prefabbricazione,
e prese dal repertorio locale solo qualche caratteristica generale che potesse essere incorporata
senza forzature in una moderna pratica progettuale. Alcuni progetti di Le Corbusier furono presi
da esempio in questo senso.
La ricostruzione di Santorini fu forse il primo tentativo programmatico di ristabilire una connessione
con il Modernismo del periodo tra le due guerre e con la sua visione della grecità. Questo risulta
ancora più evidente nel piccolo edificio scolastico realizzato sull’isola dagli stessi architetti.
L’architettura rappresentativa
Gli approcci alla tradizione di Pikionis, Konstantinidis e degli architetti di Santorini, ebbe di fatto
una diffusione limitata. Quando la questione della grecità riguardava progetti di natura più
monumentale, le soluzioni scelte erano sempre più convenzionali. Se lo stile dominante ad Atene
attorno al 1950 era rappresentato da un Classicismo semplificato (modernizzato), si può dire che
dieci anni dopo si affermò un Modernismo classicheggiante, esemplificato principalmente da due
progetti: l’ambasciata americana di Walter Gropius / TAC (1959-61), e l’hotel Hilton di E. Vourekas,
P. Vassiliadis e S. Staikos (1958-63). La sua forma, organizzata in maniera rigidamente simmetrica,
18
GROPIUS/TAC, AMBASCIATA DEGLI USA AD ATENE, 1959-61
il colonnato perimetrale, l’atrio centrale e il marmo bianco di rivestimento, costituivano un
riferimento diretto alla Grecia classica, mentre allo stesso tempo, e più significativamente,
rifletteva le tendenze correnti nell’architettura americana, che raggiunsero il loro culmine appena
dopo nel Lincoln Center di New York. Questo edificio risultava infatti tipicamente moderno per
l’articolazione dei volumi.
Quasi contemporaneamente Pavlon Mylonas, che si era distinto da studente nell’ambito del
recupero delle forme tradizionali in Grecia e si era misurato con lo stile moderno negli studi post
laurea negli Stati Uniti, affrontava in maniera assai diversa il progetto per un hotel di lusso sulle
pendici del monte Parnithos. Egli combinò degli interni decorati e arredati secondo i modelli
dell’architettura tradizionale di Hydra, Tessaglia e Macedonia, con una struttura architettonica
spiccatamente moderna, basata su audaci ed ingegnose soluzioni morfologiche e costruttive.
Il sopravvento del Modernismo
Dopo la fine degli anni Cinquanta, la corrente moderna cominciò prendere il sopravvento con
una serie di progetti sia pubblici che privati, dal momento che l’esigenza di nuove costruzioni
cresceva diversificandosi notevolmente. Nonostante il successo di Pikionis e Konstantinidis,
questa seconda ondata di Modernismo in Grecia fu in buona parte dovuta all’influenza di modelli
stranieri, importati sia tramite la diffusione delle riviste, sia dagli architetti che avevano studiato
all’estero. Lo stesso era certo capitato anche prima della guerra, ma ora le influenze erano
molto più varie, spesso eterogenee: alla riscoperta del purismo corbuseriano e del Bauhaus si
aggiungevano le opere successive dei maestri, in particolare Mies van der Rohe, e di Richard
Neutra, Eero Saarinen e Paul Rudolph o dei progetti di Alfonso Reidy, Oscar Niemeyer e Kenzo
Tange. La rapida modernizzazione delle tecniche costruttive svolse un ruolo considerevole
nell’assimilazione di questi modelli. Risalta come in questo periodo, che durò fino alla fine degli
anni Settanta, architetti di differenti generazioni e con diverse provenienze contribuirono ad una
coerente affermazione del Modernismo.
Tra i pionieri del periodo tra le due guerre, Patroklos Karantinos portò a termine i suoi più importanti
lavori del dopoguerra negli anni Sessanta: ad Atene il Ministero dell’Istruzione(1956-62), e a
19
PATROKLOS
KARANTINOS,
ARCHEOLOGICO DI SALONICCO, 1960
MUSEO
VOUREKAS/PROKOPIS/VASSILIADIS,HOTEL
HILTON AD ATENE, 2958-63
DOXIADIS ASS., PIERCE COLLEGE AD AGHIA
PARASKEVI, 1956-60
20
Salonicco i nuovi edifici del campus universitario (la
facoltà di scienze nel 1955-62, e l’università tecnica in
collaborazione con Yannis Liapis e Elias Skroumbelos
nel 1957-62), l’istituto di ricerca Theagheneio
(1958-63) e il museo archeologico dall’esemplare
organizzazione degli spazi.
Ci fu poi Ioannis Despotopoulos, rientrato dalla
Svezia, che nel 1961 vinse il concorso per il centro
culturale di Atene con una proposta razionalista di
estremo interesse, ma di cui fu costruita solo la scuola
di musica molti anni dopo (1969-71). Tra i veterani di
posizioni più conservative, E. Vourekas e P. Sakellarios
mostrarono nel progetto per l’YMCA di Atene (195859) la loro propensione allo stile razionalista.
Vourekas Sakellarios e Vassiliadis, insieme ai loro
associati Decavallas e A. Georgiadis realizzarono gli
stabilimenti balneari Astir a Glyfada (1957-59) e a
Vouliagmeni (1958-60), rimarchevoli per il modo in
cui strutture basse e leggere si inserivano liberamente
nel paesaggio costiero.
Tra gli autori della generazione successiva, oltre
alla figura protagonista di Konstantinidis, svolse un
ruolo di primo piano anche Constantinos Doxiadis,
la mente della ricostruzione postbellica fino al
1950. Nel 1952, rientrato in Grecia dopo un breve
soggiorno in Australia, avviò l’attività professionale
col titolo internazionale di Doxiadis Associates, che
sviluppò un programma di vasta risonanza in Iraq.
In breve estese i suoi affari ad altri mercati in Asia,
in Africa, e persino in America, lavorando ad una
scala senza precedenti in Europa. Doxiadis svolse la
propria attività con alcuni collaboratori del Ministero
della Ricostruzione nei primi tempi, e poi con molti
giovani architetti ai quali veniva offerta l’occasione
di lavorare su importanti progetti architettonici e
urbanistici. Razionalista puro, Doxiadis impose ai
suoi collaboratori una stretta aderenza alla tettonica,
affine a quella di Konstantinidis, ma più anonima
di quest’ultimo proprio per via dell’elaborazione
collettiva dei lavori. Tra i relativamente pochi
progetti realizzati in Grecia da Doxiadis Associates, sono
di particolare interesse la sua sede di uffici alle pendici
del Lycabetto (1955-61), il complesso del Pierce College
nei dintorni di Aghia Paraskevi (1956-60), e il villaggio di
Aspra Spitia, vicino Itea, nella Grecia centrale, dove venne
alloggiato il personale delle industrie siderurgiche.
Tra gli architetti della stessa generazione meritano di
essere menzionati anche Aristomenis Provelenghios e
Leon Crantonellis. Il primo che si trasferì a Parigi all’inizio
della guerra civile, lavorò sia nello studio di Le Corbusier
che da progettista autonomo. Quando rientrò in Grecia
nel 1957, si impegnò notevolmente per l’Associazione
degli Architetti greci, e fino al 1967, quando il colpo di
stato militare lo costrinse a lasciare nuovamente il paese,
realizzò pochi progetti, dei quali la casa studio a Kypseli
(1958) esprime il suo debito all’opera di Le Corbusier.
Crantonellis, dopo una lunga e fruttuosa carriera nell’ufficio
di Doxiadis (fino al 1962), produsse due valide prove del
proprio talento creativo: la sua casa a Plaka (1962-63),
una reinterpretazione in stile moderno delle antiche case
di Atene, che Konstantinidis aveva tanto apprezzato, e un
coplesso per uffici (1973-77) dalla composizione dinamica
di stampo brutalista.
NICOS VALSAMAKIS
HOTEL AMALIA AD ATENE, 1957-59
L’apice del Modernismo
L’aspetto più interessante del Modernismo del dopoguerra
fu comunque l’opera degli architetti più giovani, laureati
tra il 1945 e il 1955. Nicos Valsamakis realizzò un brillante
esempio di sobrio razionalismo nell’hotel Amalia al centro
di Atene (1957-59), e mantenne una posizione di prestigio
EDIFICIO PER UFFICI AD ATENE, 1958-59
PADIGLIONE DELLA BANCA NAZIONALE A
SALONICCO, 1960
21
con una serie di progetti che seguono l’esempio di Mies van der Rohe ed erano caratterizzati
dall’audacia delle soluzioni morfologiche e costruttive: un palazzo per uffici ad Atene, che fu il
primo a sviluppare l’idea del curtain wall (1958-59), il padiglione della Banca Nazionale nel centro
direzionale di Salonicco (in collaborazione con S. Vassiliou, 1960), la propria casa a Filothei (196163), e una casa di campagna ad Anavyssos (1961-63).
Nello stesso periodo emergeva un altro celebre architetto, Takis Zenetos, che dopo i suoi studi in
Francia aveva diretto la riconversione della vecchia fabbrica di birra Fix (1957-63). L’enorme pelle
allungata di muratura e vetro con cui Zenetos coprì la precedente facciata non aveva precedenti
nel paesaggio ateniese. La singolare ingenuità di Zenetos, dovuta alla sua tendenza ad affrontare
ogni problema in maniera indifferente alle convenzioni, e alla sua fiducia nelle capacità delle
nuove tecnologie è confermata da tutti i suoi progetti. Tra questi si distinguono l’edificio di
appartamenti ad Atene con i pannelli scorrevoli in vetro verso i balconi e la casa satellite a Nea
Kifissia (entrambi in collaborazione con M. Apostolidis, 1959-60), la casa di campagna a Kavouri
con la sua veranda a sbalzo (1959-61), il teatro all’aperto sul Lycabetto con la sua parabolica cavea
in metallo (1965-67), e la scuola secondaria a Aghios Dimitrios, con la sua disposizione circolare
a corte e le profonde lame di ombreggiamento orizzontali. Gli studi di pianificazione elettronica
che Zenetos elaborò tra il 1969 e il ‘73 dimostrano che egli fu l’unico architetto greco ad essersi
occupato di prefigurazioni utopiche.
Valsamakis e Zenetos non sono gli unici architetti di talento della prima generazione del dopoguerra.
Anche altri realizzarono apprezzabili progetti, ma pochi (tra cui certamente Liapsis, Skroumbelos,
Decavallas e Fatouros) proseguirono nell’attività creativa per un lungo periodo di tempo.
TAKIS ZENETOS
TEATRO SUL LYCABETTO, 1964-67
STUTTURE ELETTRONICHE, 1962
La stagione dei concorsi
In ogni caso, si fece presto strada la seconda generazione, quella degli architetti laureati tra il
1955 e il 1965. Questi si affermarono partecipando con successo ai concorsi e organizzando il
loro lavoro su solide basi professionali: molti di loro formarono dei gruppi di progettazione, e
avviarono la propria attività con associati altamente qualificati.
Le iniziative pubbliche più importanti di questi anni passarono per i concorsi, ma non furono quasi
mai realizzate, se non alcuni anni dopo. Il primo grande concorso, nel 1957-58, fu quello per la
galleria nazionale e attirò un vasto numero di partecipanti di ogni età. Il primo premio fu vinto da N.
Moustopoulos, P. Mylonas e D. Fatouros, ma il progetto fu realizzato solo tra il 1966 e il ‘75, in un altro
sito, sviluppato da Mylonas e Fatouros. Il concorso successivo, per il politecnico di Salonicco, andò
22
a un gruppo di architetti appena laureati (Nicos Dessylas,
Dimitris Kontagyris, Antonis Lambakis, Pavlos Loukakis),
ma il progetto fu poi realizzato da Karantinos, Liapsis e
Skroumbelos, che avevano vinto il secondo premio. Cinque
anni dopo Lipsias e Skroumbelos vinsero il primo premio al
concorso per il terminal passeggeri al Pireo, che si impose
per la dinamicità della copertura sospesa (1964-69). Alcuni
degli architetti più giovani si distinsero in altri concorsi,
e realizzarono progetti molto interessanti: la residenza
studentesca a Salonicco, progettata da Dessylas, Kontagyris,
Lambakis e Loukakis (1966-69); il complesso universitario
di Salonicco comprendente gli uffici amministrativi, le
facoltà di Legge e Teologia, di Constantinos Papaioannou
e Kostas Fines (1966-67); la residenza studentesca per
il politecnico di Atene, degli stessi architetti; la facoltà
di Teologia dell’università di Atene, di Lazaros Kalyvitis e
Yorgos Leonardos (1973-76); il museo archeologico di Chios,
da Dimitris e Susanna Antonakakis e E. Goussi Dessylla
(1965-72); e il palazzo di uffici per le Ferrovie Elleniche, di
S. Molfessis e Th.Papayannis (2967-72).
Ad eccezione degli ultimi due progetti (il museo, dove
la logica tettonica di Konstantinidis è combinata con un
arrangiamento libero e abbastanza pittoresco dei cortili, e il
palazzo di uffici con la sua doppia parete in pannelli di vetro
e gli avvolgibili di alluminio), l’influenza di Le Corbusier e
del Brutalismo è riscontrabile in tutti questi progetti.
nel settore privato è riscontrabile una maggiore ricchezza
e varietà nell’elaborazione delle facciate. Tra questi ci
sono l’ampliamento della fabbrica di tabacco Papastratos,
di Nicos Kalogeras, Panos Koulermos e Spyros Amourgis
(1965-68), il complesso della Hoechst Hellas di Papayannis,
I. Benechoutsou e G. Pantopoulos (1970-72), l’ospedale di
maternità Leto di Kiriakos e Adela Kiriakidis (1967-70), il
palazzo di uffici degli stessi architetti a Kolonaki (1971-74),
e quello di A. Vourekas-Petalas al Pireo (1973-75).
Gli edifici di appartamenti, le case suburbane e le case di
vacanza (tutte strutture in cui generalmente gli architetti
hanno una maggiore libertà nell’articolazione dei volumi e
più disponibilità economica), fornirono ottime opportunità
per la sperimentazione.
D. E S. ANTONAKAKIS, CON E. GOUSSI
DESSYLLA MUSEO DI CHIOS, 1965-72
DESSYLAS/KONTAGYRIS/LAMBAKIS, RES.
STUDENTESCHE,1966-69
ANDREASVOUREKAS-PETALAS,
PER UFFICI AL PIREO, 1973-75
EDIFICIO
KIRIAKOS E ADELA KIRIAKIDIS, EDIFICIO
PER UFFICI AD ATENE, 1971-74
23
L’allontanamento dal Modernismo
Dal 1965 al 1975 comparve una tendenza a prendere le distanze dagli stereotipi modernisti.
Questa tendenza era dovuta sia alla volontà di tenere il passo con le correnti internazionali, sia a
personali esigenze espressive.
Verso la fine di questo periodo gli architetti abbandonarono sia l’ortodossia modernista sia il
tradizionalismo dogmatico. L’esigenza di grecità, con i suoi fondamenti metafisici e i suoi caratteri
etnocentrici, smise di essere il centro della riflessione teorica. Questo certamente non comporta
un’indifferenza nei confronti della tradizione, ma si diffuse un nuovo atteggiamento nei confronti
di quella, un atteggiamento più critico e di grande libertà. La ricerca degli immutabili valori greci fu
sostituita da una sensibilità verso la topografia specifica, da un’attenzione alle condizioni climatiche,
dall’uso di materiali locali e da un’acquisizione selettiva dal repertorio stilistico e formale della
tradizione più agevolmente integrabile nei parametri dell’architettura contemporanea. L’opera di
Dimitri e Susanna Antonakakis è esemplare sotto questo aspetto. Fu infatti per definire questa
che A. Tzionis e L. Lefaivre introdussero l’espressione regionalismo critico, che Kenneth Frampton
ha poi adottato e diffuso, attribuendogli il senso di una strategia alternativa al Modernismo,
una strategia capace di esprimere sensibilità per l’ambiente e la cultura locale10. Anche quando
si usava uno stile quasi vernacolare, quando il soggetto e le condizioni locali favorivano tale
approccio, come nella casa di vacanza di Fatouros (1971-72), questo non rappresentava altro che
la nuova libertà conquistata dagli architetti istruiti in pieno Modernismo. Dopo il 1975 questa
nuova libertà favorì la penetrazione di correnti Postmodern di vario tipo dall’Europa occidentale
e dagli Stati Uniti. Di certo la Grecia non contava né iniziative di pianificazione sul modello della
carta d’Atene, né uno strepitoso successo dell’International Style, che avrebbero costituito le
ragioni per un’adesione a posizioni contrastanti. Ciò nonostante alcuni architetti greci adottarono
l’iconografia postmoderna pubblicizzata dalle riviste internazionali, in particolare quando
constatarono l’attrazione da essa esercitata sui clienti. Molti dei progetti di quegli anni furono
goffe applicazioni dei nuovi stereotipi formali. L’atmosfera postmoderna ha indubbiamente
esercitato la sua influenza anche sugli architetti più creativi, inclusi quelli che hanno proseguito
la tradizione moderna in Grecia. È proprio a questa atmosfera che si deve attribuire, almeno in
parte, una più complessa sintassi spaziale, un più espressivo utilizzo di forme e materiali, e una
più spiccata sensibilità per le condizioni locali, che costituiscono i caratteri della maggior parte
dei progetti di questo periodo, senza considerare le particolari correnti in cui potrebbero essere
classificati. Va infine considerato che questa ricerca per carattere e significato sembra essere stata
spesso ispirata da una sobria assimilazione dell’insegnamento di Pikionis e Konstantinidis.
Fu ancora una volta Valsamakis che riuscì a rinnovare il suo metodo mantenendo il proprio senso
di misura. Due nuove case, una a Filothei (1971-73) e l’altra a Kifissia (1972-74), e una casa di
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Alexander Tzonis e Liane Lefaivre, The grid and the pathway; the work of Dimitris and Suzana Antonakakis, in
Architecture in Greece 15. Mentre di Kenneth Frampton bisogna segnalare, oltre all’ultimo capitolo della sua Storia
dell’Architettura Moderna: Prospects for a Critical Regionalism, in Perspecta 20/1983; e Towards a Critical Regionalism: six points fora n Architecture of Resistance, in The Anti-Aesthetic. Essays on Post-Moern Culture, Port Townsend
1983.
24
vacanza a Sunio (1974-76) si caratterizzano per la loro organizzazione fortemente introversa e
la loro plasticità mediterranea, fatta di volumi geometrici rivestiti con intonaco bianco. Le stesse
caratteristiche saranno poi espresse ancor più esplicitamente nell’hotel Amalia a Olimpia (197679).
Dimitri e Susanna Antonakakis, da parte loro, sembravano preferire complesse articolazioni dello
spazio, nette distinzioni tra forma e colore, e una struttura semplice in materiali molto comuni.
Nella loro casa di vacanze a Oxylitos in Eubea (1973-74) e nel loro primo edificio di appartamenti
ad Atene (1973-75) elaborarono una versione del tutto personale di Brutalismo greco, desunta
dalla loro interpretazione non solo della lezione di Loos,
Le Corbusier e Aldo van Eyck, ma anche di Pikionis e
Konstantinidis. Tutti i loro progetti seguenti confermano
questo impegno iniziale alla ricerca di un regionalismo
critico. L’esposizione e la vista determinano i rapporti tra
lo spazio interno e quello esterno, e costituiscono i punti di
partenza della progettazione. Questo approccio funzionale,
che deriva soprattutto dalla specificità del luogo, si esprime
in maniera ancor più evidente nell’organizzazione degli NICOS VALSAMAKIS, CASA A SUNIO,
1974-76
spazi interni, la cui fluidità è regolata da griglie invisibili, ma
capaci di ordinare il complesso. Si tratta di un’architettura
generalmente asimmetrica poiché le volumetrie e le
aperture mostrano all’esterno la complessità degli interni. I
materiali impiegati sono prevalentemente cemento a vista
con i segni lasciati dalle casseforme, murature rivestite
d’intonaco, porte e infissi in legno, parapetti con grate
metalliche o in cemento. Il modo in cui i materiali sono
combinati può ricordare la tradizione greca vernacolare
ma è in continuità con il Moderno, emancipato però da
ogni traccia di alta tecnologia. Quella di Dimitris e Suzana
Antonakakis è prima di tutto un’architettura a dimensione
umana e artigianale, che richiede un impegno eccezionale
nella risoluzione di articolazioni estremamente complesse.
Di questo sono emblematici esempi una casa non lontana
dall’Acropoli di Atene (progettata nel 1979), e una casastudio per un artista ad Aigina (progettata nel 1990).
Alexandros Tombazis, un po’ più giovane degli Antonakakis e
con dichiarata ammirazione del Metabolism giapponese, si
segnalò con due sorprendenti strutture in cemento, la sede
degli uffici della società di cementi Herakles a Lykovryssi
(1972-75), e le torri di appartamenti Difros, una sorta di
megastruttura a Neo Psychiko (1971-75).
DIMITRIS E SUZANA ANTONAKAKIS, CASA
AD ATENE, 1978-81
25
ALEXANDROS TOMBAZIS
SEDE DELLA HERAKLES, LYKOVRYSSI, 1972-75
CASA DI VACANZE “ELIOS 1” A TRAPEZA, 1977-79
Tombazis realizzò anche la sede del fondo di investimenti per lo sviluppo industriale ad Atene
(1973-76), con la sua elegante pannellatura di vetro. L’ingenuità tecnologica e l’intelligenza stilistica
che Tombazis dimostrò poi nel corso della sua carriera, sempre sulle tracce del suo interesse
primario per l’architettura bioclimatica, lo rese per certi versi il continuatore del lavoro intrapreso
da Zenetos. Da questo punto di vista la casa di vacanze ad energia autonoma Helios I, che ha
realizzato a Trapeza Aigialeias, nel Peloponneso (1977-78), costituisce una sorta di manifesto
dell’architettura bioclimatica.
I fratelli Tasso e Dimitri Biris resero esplicito fin dai loro primi progetti il loro impegno
nell’elaborazione dello stile brutalista, in cui la complessità dell’articolazione spaziale era
combinata con un’atmosfera costruttivista. Un esempio eloquente di questa indagine è il
loro edificio polifunzionale a Galatsi (1976-77). La loro opera si rivolge secondo le loro stesse
affermazioni a «un’architettura che la natura genera da se: le grotte, le rocce, la terra, le pieghe ed
ogni altra traccia lasciata dall’acqua, dal vento o dal tempo. [...] Un’architettura che è “la madre
di tutte le architetture”»11. Non trascurano tuttavia il fatto che «le stesse tecniche di costruzione,
gli stessi linguaggi estetici si possono applicare più o meno in tutto il mondo, trascendendo i
confini dei singoli luoghi»12. Il loro lavoro ha il carattere di una ricerca che avanza costantemente,
riconoscendo e rispettando l’influenza dei maestri. Già agli inizi, con la casa di Ekali, progettata
nel 1972 e l’edificio a tre piani a Politeia (1980), la scelta critica di una continuità tra il locale e
il moderno era evidente. Essa arriva ad esprimersi in modo quasi mistico nei concorsi per due
luoghi carichi di valenze storiche: il centro conferenze nel sito archeologico di Olimpia (1989,
menzione) ed il Nuovo Museo dell’Acropoli (1991, secondo premio).
Interessante è poi il caso della casa e ufficio progettata e costruita a Marussi da Yorgos ed Eleni
Manetas tra il 1966 e il 1990. Inizialmente una semplice casa, in muratura e cemento armato,
è andata evolvendosi continuamente seguendo i mutevoli bisogni degli architetti-inquilini.
Forme piuttosto innovative sono state adattate ai limiti tecnologici del mercato greco affidandosi
soprattutto all’alta flessibilità delle strutture in metallo. Si tratta di un vero e proprio cantiere
in cui si trovano idealmente espresse sia le condizioni sociali ed economiche della Grecia che i
11 Da un’intervista di Andreas Giacumacatos a Tassos e Dimitris Biris, in Architecture in Greece 27/1993.
12 Ibidem.
26
TASSOS E DIMITRIS BIRIS
CASA A EKALI, 1972-75
CASA A POLITHEIA, 1980
fattori culturali e architettonici, il tutto coordinato da una consapevole logica moderna.
Molto diverso è invece il lavoro di Kyriakos Krokos, dedito anche alla pittura e cultore del
neoclassicismo greco ottocentesco nella sua forma più essenziale, seguendo le tracce di Pikionis.
Sebbene i suoi progetti non prevedano l’utilizzo delle moderne tecnologie, nella sua poetica si
possono riscontrare evidenti segni di una logica moderna. La struttura portante dei suoi edifici
è generalmente uno scheletro in cemento a vista. La natura dei materiali è immediatamente
riconoscibile: i muri sono di mattoni, gli infissi di legno, i parapetti di mattoni o di metallo, le
pavimentazioni e i muri dei giardini sono in pietra. Il modo in cui sono lavorate le superfici di
cemento o di pietra, la cura nell’incastro dei mattoni, i dettagli pittorici riscontrabili nel metallo
e nel legno e la scelta dei colori per l’intonaco costituiscono gli aspetti più notevoli dei suoi
edifici. La composizione è poi arricchita da riferimenti al linguaggio del neoclassicismo greco e
da reminiscenze della grande tradizione architettonica ellenistica o bizantina, senza che tuttavia
diventi un collage. Il Museo della cultura bizantina, a Salonicco, che vinse il primo premio in un
concorso tenutosi nel 1977, presenta forme, la cui collocazione, scelta e lavorazione dei materiali
evocano una memoria architettonica persino arcaica.
Gli stessi disegni di Krokos hanno questo carattere, nonostante la logica moderna della
costruzione. Le case successivamente costruite a Filothei (1989) ed Ekali (1991) adattano lo stesso
spirito ai particolari requisiti di un’abitazione privata. Queste rivelano una paziente ricerca delle
potenzialità racchiuse anche nella materia più semplice, nobilitata grazie alle rifiniture scultoree
della superficie e alla loro organizzazione.
KYRIAKOS KROKOS
MUSEO BIZANTINO A SALONICCO,
1977-83
CASA A EKALI, 1977-83
CASA VETTAS A FILOTHEI, 1989-91
27
MICHALIS SOUVATZIDIS
CASA STUDIO AD ATENE, 2985-93
CENTRO DI ARTI VISIVE AD ATENE, 1991-97
Michalis Souvatzidis è il rappresentante più giovane della generazione che si è formata negli anni
‘60. Egli disegna semplici prismi, utilizzando materiali ordinari. Il fondamento teorico del luogo,
che pure presenta numerosi riferimenti al pensiero di Konstantinidis, conduce ad una diversa,
attenta, interpretazione del discorso moderno del dopoguerra. Souvatzidis parte dal Brutalismo
per liberarlo dai suoi aspetti primitivi e spontanei. La sua stessa residenza-ufficio vicino al parco
Attico di Atene (1985), così come il Centro delle Arti Visive, in una stretta e rumorosa via della
capitale (1991), sono realizzati in una composizione di alluminio e vetro, calcestruzzo e intonaco,
con dettagli che non richiamano alcuna forma storicamente riconoscibile.
Le esperienze più recenti
Negli anni ’70, Dimitris Issaias e Tassis Papaioannou, Andreas Kourkoulas, Maria Kokkinou e
Alexandros Patsouris frequentarono tutti la Facoltà di Architettura del Politecnico di Atene, nella
quale Dimitris Antonakakis e Tassos Biris insegnavano composizione. Solo due degli architetti
più affermati di quella generazione studiarono all’estero: Christos Papoulias in Italia e Pantelis
Nicolacopoulos negli Stati Uniti. A differenza della generazione precedente, formatasi in piena
diffusione del Modernismo quando l’influenza di Dimitris Pikionis era ancora molto forte, con la
seconda generazione le certezze che avevano caratterizzato la scena architettonica internazionale
del periodo precedente vennero meno. Quella nuova fu un’epoca segnata dalla fine della dittatura
(1974) e dall’attesa generale di un nuovo inizio. La distanza che separa le due generazioni non è
dunque misurabile semplicemente in termini di tempo, riguarda un profondo cambiamento nei
modi di pensare, che non si espresse in nuove forme o in nuove tendenze, ma in uno spirito
d’indagine, in un’attitudine critica, in una cauta incertezza nei confronti di un’avanguardia
trionfalistica.
L’architettura di Dimitris Issaias e Tassis Papaioannou esprime la nuova condizione con scelte
semplici. Le forme in cui la loro architettura si realizza dipendono dal tipo di edificio e dalla sua
funzione, e solo in secondo piano dalla sua dimensione simbolica. In genere la logica architettonica
è semplicissima: gli spazi sono organizzati in vista della vita quotidiana, i materiali e le rifiniture non
sono particolarmente ricercati, per cui è sufficiente la competenza di una manodopera ordinaria.
La struttura portante, in cemento a vista, è così evidente da divenire l’elemento predominante;
28
ISSIAS/PAPAIOANNOU
CASA SUL MONTE PENDELI, 1989-92
CASA A RIBARI, 1992-95
parapetti, infissi, camini, applicazioni esterne, come i brises-soleil sono in metallo (in genere
acciaio). L’allestimento di questi materiali impedisce di aggiungere qualsiasi elemento decorativo.
Con la precisione dei materiali e l’esatta corrispondenza di funzione e costruzione vengono
evidentemente riaffermati i fondamenti del Moderno. Nonostante siano assenti riferimenti
regionalistici, molti aspetti sono allo stesso tempo ascrivibili ad una logica locale: l’architettura
vissuta come un mestiere, la costruzione degli edifici in relazione alla vita reale e secondo le
condizioni dell’edilizia greca, l’indifferenza degli architetti nei confronti delle ostentazioni
avanguardistiche. La casa alle pendici del monte Pendeli, a nord di Atene, fu progettata nel
1989. Gli spazi sono distribuiti lungo due assi perpendicolari, il primo in direzione dell’ingresso
principale, il secondo della vista sulla città. La combinazione delle masse e la relazione tra i vuoti
e i pieni rimandano al linguaggio del Razionalismo. Progettata nel 1992, la casa a Ribari, a sud di
Atene (vicino capo Sounio) è un edificio isolato in mezzo ad una natura aspra. È piuttosto distante
dal mare ma offre una vista su due lati opposti: da una parte l’Egeo, dall’altra il golfo di Saronico.
Gli spazi sono distribuiti lungo un ideale camminamento che taglia orizzontalmente la pendenza.
La struttura portante e i muri sono di cemento a vista, sul quale sono stati lasciati i segni delle
casseforme, e danno un senso conforme all’asperità dello sfondo.
Andreas Kourkoulas e Maria Kokkinou, hanno realizzato una serie di edifici che esprimono un
particolare interesse per le analisi tipologiche e lo studio delle componenti architettoniche, e si
distinguono per il controllo delle dimensioni, l’attento inserimento nel contesto urbano o rurale,
la predominanza dei materiali comuni su quelli particolari, il bilanciamento nella dimensione e
nel ritmo delle aperture e la scelta di colori terrosi. Caratteristici sono gli esempi della casa di
campagna sul golfo di Saronico, progettata nel 1988 come estensione di un edificio preesistente,
e il grande centro civico nel sobborgo di Marussi, a nord di Atene (1992-93). Si tratta di una
pratica tutta tesa a saldare gli spazi intermedi in ambienti pieni di smagliature.
Alexandros Patsouris ha progettato nel 1987 un condominio nel centro di Atene, in un’area
altamente edificata. L’edificio adotta in maniera critica la moderna tipologia degli edifici di
appartamenti ateniesi. Patsouris adopera i materiali semplici e le normali tecniche di costruzione
in una disposizione scultorea delle parti, emancipate da ogni riferimento alla grecità.
Nell’architettura di Christos Papoulias un autentico simbolismo si esprime attraverso un concetto
29
KOURKOULAS/KOKKINOU
CASA A LEGRENA, 1988-90
ALEXANDROS PATSOURIS
POLYKATOIKIA AD ATENE 1987
trasversale di costruzione. È un modo di costruire in continuità con la natura del luogo, che
potrebbe forse definirsi ctonio. Il teatro a Thisseio, progettato tra il 1995 e il 1996, è costruito
nel vecchio cantiere di un falegname, un metro al disopra della città antica; il pavimento è in
terra battuta, le pareti sono quelle dell’edificio precedente. La galleria d’arte nel Mercato Centrale
(1995) occupa il primo piano di un’anonima sede di uffici. È un ilare e ottimistico neoplasma che
si espone a tutte le contraddizioni e i paradossi cancellando ogni indizio della sua presenza dalla
facciata del palazzo. La casa costruita sull’isola di Hydra è un intervento in linea con la sua visione
ctonia della natura (1990), la planimetria è tratta direttamente dal terreno.
Di formazione culturale e disciplinare fortemente legata all’esperienza del Movimento Moderno,
la poetica di Pantelis Nicolacopoulos si distingue per il grande rigore scientifico e metodologico, e
per la profonda coscienza delle regole compositive e delle tecniche costruttive. L’immaginazione
dispiegata nelle sue architetture e nei suoi progetti urbani si confronta sempre criticamente con la
storia dell’architettura e dei luoghi, in una lettura lucida che riflette l’opera di un architetto nel suo
paese: la Grecia. Interpreta l’architettura come un sistema che, tramite delle regole geometriche,
si colloca tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda. Attraverso questo codice si realizza
la mediazione tra l’uomo e l’universo. Un modo per ottenere la continuità tra spazio naturale e
spazio costruito è attraverso lo studio del movimento, come avviene per esempio nella casa a
Kiourka, dove si incrociano due assi di percorrimento, stabilendo una chiara relazione tra l’edificio
e il paesaggio. Nel progetto di un’opera pubblica riesce ad ottenere la continuità non attribuendo
CHRISTOS PAPOULIAS
TEATRO AD ATENE, 1995-98
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CASA A HYDRA, 1990-92
PANTELIS NICOLACOPOULOS
CASA A KIOURKA, 1995
CASA A PSYCHICO, 2000-2006
la soluzione del problema urbano ad un unico edificio, ma realizzando una serie di luoghi e di
costruzioni di scala minore e meglio inseriti nel contesto, come per esempio nella proposta per
il nuovo museo dell’acropoli. si tratta insomma di un autore che, al pari dei maestri, è capace di
concentrarsi esclusivamente sugli aspetti fondamentali dell’architettura – costruzione, funzione
e forma - senza ricorrere a riferimenti eterogenei. Questa chiarezza metodologica si riversa nella
composizione delle sue opere, che si distinguono per l’armonia delle loro forme, la naturalezza
del loro inserimento nel contesto.
Questi architetti rappresentano la paziente e necessariamente divergente ricerca di un’architettura
del nostro tempo, in un paese le cui radici affondano in un tempo antichissimo. È possibile
riscontrare nella maggior parte dei loro progetti l’intreccio tra la logica del Moderno e quella
del luogo. Questi sono i due poli che hanno determinato il campo dialettico dell’architettura
contemporanea in un paese che ricopre certo una posizione intermedia ma che è fiero tanto di
identificarsi nelle espressioni della cultura occidentale, quanto della propria differenza.
PANTELIS NICOLACOPOULOS, CASA A TINOS, 2006
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L’URBANISTICA IN GRECIA NEL NOVECENTO
La storia della pianificazione urbana in Grecia consiste in una lunga lista di planimetrie disegnate,
ma quasi mai attuate, o al limite solo parzialmente, con infiniti cambiamenti e revisioni.
L’amministrazione non ha mai saputo far fronte alle gravi carenze di infrastrutture e spazi pubblici, e
alle diffuse pratiche di abusivismo edilizio13, con la mancanza, tra l’altro, di un registro fondiario.
Se si dovesse giudicare la situazione in termini convenzionali, la sua valutazione sarebbe senz’altro
di condanna, ma una fugace esposizione dei fenomeni negativi nasconde parte della verità, dato
che le città greche, quelle almeno che sono ancora oggi in crescita, si distinguono anche per la loro
dinamismo e vitalità14. Persino Atene, per molti una vera e propria mostruosità, ha acquistato nel
tempo dei sostenitori che sono adesso nella posizione di rivelare il suo fascino nascosto usando
argomenti di diverso genere.
In altre parole, tutti quelli che si riferiscono all’urbanistica in Grecia dovrebbero farlo secondo
criteri non ortodossi di valutazione, che sono in contrasto con molti pregiudizi fortemente radicati
sull’aspetto che dovrebbe avere una città. D’altra parte, se si allarga l’orizzonte fino ad includere
il periodo di inizio secolo, si nota che la maggior parte di quelli che sono oggi considerati sintomi
contemporanei erano già presenti a quel tempo ed erano causa di preoccupazioni per esperti ed
opinione pubblica. Sicuramente ci sono delle differenze; forse quella più importante è quella della
misura dell’intervento, molto aumentata con l’aiuto delle tecnologie moderne e l’incremento
della speculazione edilizia; un’altra differenza emerge dal passaggio al consumismo della società
di massa, ancora in fase germinale nella prima parte del secolo, ma ora componente decisiva
nella forma e nel carattere delle città.
Ciò considerato, riesaminare il piano urbanistico delle città greche del Novecento ha senso
solo rivolgendosi principalmente alle caratteristiche di lunga durata, senza badare a possibili
divergenze o deviazioni. Il senso di continuità precedeva infatti il periodo considerato: il passaggio
dall’Ottocento al Novecento non fu accompagnato da alcun particolare cambiamento nell’assetto
territoriale greco, la cui pianificazione continuò ad aderire saldamente alla posizione di sempre,
quella di stare al passo con gli sviluppi dell’Europa occidentale.
I primi tentativi di pianificazione
Come i Balcani e gli altri stati mediterranei dell’est, la Grecia orientò le proprie speranze sui
piani meraviglia realizzati da esperti stranieri su commissione del governo, come quelli di
Ludwig Wagner nel 1908 e di Thomas Mawson nel 1914. Il pretesto, nel caso della Grecia andò
oltre l’europeizzazione; emerse anche dalla Grande Idea di ricostituire l’impero bizantino con
13 Esempio lampante di questo fenomeno è stata la sistematica distruzione, con incendi dolosi, di aree forestali dove
è vietato costruire, come nel caso del grande incendio del 1995 al Monte Pendeli.
14 Il sistema delle città greche è stato in costante cambiamento fin dalla fondazione del moderno stato greco, in linea
con gli assestamenti economici e geopolitici.
32
ERNST HEBRARD, RICOSTRUZIONE DELL’AREA
CENTRALE DI SALONICCO, 1917
Costantinopoli al centro. Per questa
ragione, Atene fu progettata per essere la
capitale non di un semplice stato, ma di
un vero e proprio impero, sulla linea delle
altre capitali colonialistiche europee15.
A differenza dell’Ottocento, che vide la
creazione di nuove città, i nuovi piani del
Novecento furono rivolti esclusivamente
ai grandi centri urbani, soprattutto
Atene, e poi anche Salonicco, la cui
incorporazione nello Stato greco al tempo
della Guerra dei Balcani fu accompagnata
da un incendio che ne distrusse il centro
(1917). Così Salonicco ebbe un nuovo
centro disegnato dal rinomato urbanista
Ernst Hébrard (1918-21)16, mentre Atene
già all’epoca si rivolgeva verso sogni
grandiosi e irrealizzabili.
In seguito alla guerra greco turca, a
partire dal 1922, la popolazione di Atene
è decuplicata. Oltre a questo, durante il
THOMAS MAWSON, PIANO DI SVILUPPO PER ATENE, 1914
RISTRIBUZIONE DEI RIFUGIATI DEL ’22 NELL’AREA DI ATENE
COMITATO KALLIGAS, PIANO PER ATENE, 1924
15 Questo fu probabilmente lo spirito cui Atene
deve la realizzazione dei nuovi edifici monumentali (come la Trilogia Neoclassica), dei grandi assi
(come Vassilis Sofia), e delle piazze principali
(come Omonia e Syntagma), tutti derivati dai modelli europei.
16 Il progetto di Hebrard per Salonicco rappresenta un caso unico nella storia delle pianificazioni in Grecia. In nessun altro caso interventi di
quella portata poterono infatti progredire.
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periodo tra le Guerre, si verificò una grande affluenza di rifugiati nei maggiori centri urbani della
Grecia in seguito ad agitazioni politiche, spesso violente, in luoghi abitati da comunità greche,
dalla Russia all’Asia Minore.
L’ultimo sforzo consapevole di organizzare il disegno urbano di Atene fu portato avanti dal cosiddetto
comitato Kalligas, nel quale Hébrard giocò ancora una volta un ruolo principale al fianco di Petros
Kalligas. Il comitato lavorò per un lungo periodo, dal 1919 al 1924, ma non fu in grado di incidere
in modo decisivo sullo sviluppo della città. Bisogna pure notare che lo stesso Primo Ministro
Eleftherios Venizelos, un politico con una chiara inclinazione per la modernizzazione, prese parte
attiva nelle problematiche dell’urbanistica: fu responsabile della conversione del vecchio Palazzo
Reale in edificio del Parlamento, con la parallela costruzione del Monumento al Milite Ignoto ai
suoi piedi (1929) e l’imponente Corte di Giustizia su progetto di Alexandros Nikoloudis (1928-31)
vicino l’acropoli.
Tutte le proposte dei primi due decenni del secolo avevano in comune la caratteristica di integrare
un modello chiaramente riconoscibile di organizzare lo spazio urbano con la mappa amorfa
degli insediamenti disordinati, ed erano basate su presupposti di organizzazione omogenea
e valorizzazione monumentale correnti a quel tempo. Vennero predisposte reti stradali più
consistenti, e individuate le localizzazioni per nuovi centri direzionali. Le proposte si occuparono
anche di dare risalto ai monumenti antichi e bizantini, che erano generalmente sparsi nel tessuto
urbano17.
Mentre questi progetti ambiziosi rappresentavano un desiderio collettivo di modernizzazione, in
pratica le città crescevano con l’applicazione di meccanismi del tutto reali. Il ruolo principale fu
giocato dalla speculazione privata dei terreni, che determinò il mercato delle locazioni e il grado
di edificazione (grande quantità e bassa qualità). Perciò lo stato di necessità si allineò ad una
situazione che stava già prendendo forma, e nuove aree edificabili vennero incluse nel piano
cittadino, attraverso un disegno stradale correttivo. In pratica, il piano regolatore fu il risultato
di ampliamenti successivi, che chiaramente portava i segni di discontinuità progettuale. Per non
minacciare gli interessi dei proprietari terrieri, i tracciati stradali di estensione del piano furono
rudimentali, le strade le piazze più piccole possibile, raramente furono previste parchi o altri
servizi pubblici.
Eroiche visioni sulla scia del IV Congresso CIAM (Atene 1933)
Negli anni Trenta, con la larga diffusione del Movimento Moderno, si riaccesero le speranze di
riforma delle città greche. Tale intento fu espresso durante il IV Congresso CIAM , tenutosi ad Atene
nel 1933, e in pubblicazioni parallele18, ma senza avere riscontri reali. Le uniche realizzazioni del
Movimento Moderno su ampia scala furono i numerosi gruppi di edifici scolastici ed ospedalieri
costruiti in tutta la Grecia, mentre progetti più grandi, come quelli di Nikos Mitsakis per l’Università
17 Sono interessanti a questo proposito gli articoli di N. Kalogirou (in Architecture in Greece 24/1990), e di G.T.
Koutopis (in Architecture in Greece 28/1994).
18 S. Papadaki, in Technica Chronika 31/1933.
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di Salonicco, rimasero irrealizzati.
Stesso destino incontrarono le proposte
dell’urbanista Martin Wagner, il quale,
invitato a parlare del Progetto Atene nel
193519, affermò la necessità di costituire
un’organizzazione per finanziare i progetti
in questione.
Di fronte all’inutilità di promuovere piani
grandiosi ma irrealizzabili, si dovettero
trovare altre modalità più attuabili di
soddisfare le esigenze più urgenti, prima
fra tutte la domanda di alloggi. La causa
dell’aumento improvviso di questa
esigenza durante il periodo tra le Guerre
fu l’affluenza di rifugiati nei maggiori
centri urbani della Grecia, in seguito ad
agitazioni politiche, spesso violente, in
luoghi abitati da comunità greche, dalla
Russia all’Asia Minore.
Gli sforzi compiuti per ovviare alla
crescente esigenza di alloggi si rivelarono
comunque insufficienti a rispondere alla
domanda popolare; di conseguenza,
la costruzione abusiva (pratica già
diffusa nell’Ottocento) assunse enormi
proporzioni, estendendo (spesso in
luoghi abbandonati ed inadatti come
in letti di fiume o in pendii scoscesi) la
struttura del tessuto urbano con i campi
di fortuna creati per ricoverare i profughi.
In seguito questi quartieri divennero la
dimora di nuove ondate di coloni che
sfuggivano dai combattimenti della
guerra civile (1946-49) o si trasferivano
nelle città durante la definitiva ondata di
inurbamento in Grecia. In quest’ultimo
caso la costruzione abusiva portò alla
formazione di vaste espansioni urbane
PIANO PER PSYCHICO, 1923
PIANO PER EKALI, 1922
KOSTAS BIRIS, PIANO DI RICOSTRUZIONE PER LA CAPITALE,
1945
����������������
M. Wagner, in Technica Chronika 98/1936.
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ad ovest di Atene, vicino alla zona industriale lungo il fiume Kifissos. Ciò causò una netta divisione
socio-economica nella popolazione della capitale greca, che non è stata ancora del tutto attenuata
dal passare del tempo.
Naturalmente i successivi programmi della Municipalità di Atene per ristrutturare il tessuto urbano
inclusero l’integrazione di Atene Ovest (carente di ogni servizio pubblico) con i nuclei centrali
della città, attraverso un parco che toccava i principali siti archeologici20. Più tardi questa idea
prese forma nella proposta del Ministero della Cultura, di unificare i siti archeologici di Atene.
L’idea di una riforma generale della città non fu mai abbandonata, nemmeno nei periodi bui
dell’occupazione tedesca (1941-44). Ne è una prova l’audace visione di Kostas Biris per la
riorganizzazione di Atene (1945). Era previsto un Parco Atene, che avrebbe ampliato la zona di scavi
intorno all’Acropoli congiungendola con l’Accademia di Platone, mentre il centro amministrativo
della città sarebbe stato spostato in una città satellite vicino Megara. In pratica si dimostrò
impossibile anche solo costruire ed ampliare gli assi stradali necessari, poichè nel frattempo, con
la costruzione degli edifici di appartamenti, aumentava notevolmente la densità edilizia.
Anche le proposte di Dimitris Pikionis, negli anni Quaranta, per Nea Peramos (Eleusi) ed Aixoni
(Glyfada) si rivelarono ugualmente irrealizzabili, come anche i suoi progetti per Rodi nel 1946.
La pianificazione dal Dopoguerra agli anni Settanta
Solo gravi disastri naturali come incendi o terremoti furono in grado di creare, almeno
potenzialmente occasioni per una radicale riorganizzazione del tessuto urbano delle città greche.
Un caso significativo fu quello di Santorini, dove, dopo il devastante terremoto del 1956, furono
ampliati paesi con edifici di residenziali e servizi pubblici e fu realizzato per intero un nuovo centro
a Kamari21. Il progetto fu una combinazione di successo dei principi del movimento Moderno con
adattamenti ai modelli morfologici e tipologici locali.
Più recentemente un caso simile fu quello di Kalamata danneggiata dal terremoto del 1986,
ristrutturata con progetti a lungo termine realizzati da Grigoris Diamantopoulos.
Solo dopo la Guerra divenne oggetto di interesse per gli esperti e per la pubblica amministrazione
il problema del traffico. Da questa preoccupazione derivarono, già nel 1945, varie proposte sulla
costruzione di strade e schemi di ampliamento sulla base di un preciso disegno urbano, prima con
l’ampliamento della metro (K. Biris, 1953) e poi con la proposta di regolamentazione del traffico
(W. Smith 1963). Di conseguenza il disegno oscillava tra il tentativo disperato di continuare con
una pianificazione globale, come proposto dal ministero dei lavori pubblici nei suoi vari Piani della
Città, e le puntuali proposte correttive.
Nel 1960 furono presentati due progetti per l’ubicazione di un nuovo centro cittadino: uno lungo
l’autostrada Kifissos ad opera di Constantinos Doxiadis, e l’altro al Phaliron Delta per mano di
George Candilis22.
20 Municipalità di Atene, Athina, Protasi ghia anabathmisi tou kentrou. Strtikes parenvaseis.
21 Decavallas e altri, Architektoniki 45 e 46/1964. Lavvas e Condaratos in Architecture in Greece 6/1972.
22 È singolare che tale progetto fu inserito nell’offerta per la candidatura di Atene ai Giochi Olimpici del 1996
36
La pianificazione a vasta scala si risolse in un
fallimento anche con l’occasione, durante
gli anni Sessanta, di una nuova stagione
ricca di proposte di organizzazione per vari
centri urbani e aree turistiche23. D’altra
parte lo sfruttamento del territorio urbano
continuava ad aumentare costantemente. Il
graduale aumento della densità edilizia e delle
volumetrie fabbricabili consentite portarono,
poco a poco, ad una situazione d’intasamento,
almeno per quanto riguarda le zone centrali
delle città. Mentre inizialmente tale fenomeno
si verificò solo nei grandi centri urbani, le nuove
disposizioni legislative introdotte durante i
sette anni di dittatura (1967-74), consentendo
un significativo incremento degli indici di
fabbricabilità, diffusero quello che si potrebbe
chiamare modello ateniese all’intero paese,
producendo irreparabili danni nei piccoli centri
e nelle aree rurali, che fino a quel momento
erano rimaste relativamente incontaminate e
che così venivano soffocate da insediamenti
industriali o turistici (ad esempio la speculazione
incontrollata di isole come Mikonos, Corfù e
Rodi). Nuove restrizioni all’edificazione furono
introdotte in Grecia alla fine degli anni Settanta,
mentre si cominciava anche a investire nello
sviluppo di aree d’interesse storico, come
le fortezze di Akronauplia, Pylos e Avlida.
Durante gi anni Ottanta venne introdotta una
regolamentazione volta a preservare l’ambiente
naturale, la quale non riuscì comunque ad
evitare il costante aumento della diffusione
edilizia in aree suburbane e la devastazione di
paesaggi di unica bellezza.
CONSTANTINOS DOXIADIS, PIANO STRATEGICO PER
L’AREA DI ATENE, 1960
TAKIS ZENETOS, SVILUPPO TURISTICO A PLAKIA, 1966
RIQUALIFICAZIONE DEL CENTRO DI ATENE, 1979
23 La successiva ondata di commissioni per la pianificazione di insediamenti a varie scale fu avviata dal
Ministero dell’Ambiente e dei Lavori Pubblici negli anni
Ottanta.
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Il ridimensionamento del disegno urbano negli ultimi trent’anni
Data l’impossibilità di successo nell’applicazione di piani regolatori generali, l’urbanistica greca
si rivolse ad interventi di scala minore, in particolare al recupero di zone malandate. Il primo
progetto di questo tipo, e forse il solo perfettamente riuscito, fu il rinnovamento della Placa, il
centro storico di Atene, tra il 1973 e il 197824. I fattori chiave nella sistemazione dell’area furono il
vincolo, per ogni isolato, ad ottenere i permessi per l’utilizzo del terreno e l’abolizione del traffico
automobilistico da buona parte delle strade25. Seguirono simili progetti di recupero per altre parti
del centro (Thiseio, Metaxourgeio e Psyrri), ma senza probabilmente la dovuta completezza.
In maniera simile un programma di conservazione e rinnovamento fu applicato al centro storico
di Salonicco, ed era basato principalmente sul controllo degli indici edilizi e sulla disposizione di
regolamenti riguardanti l’aspetto degli edifici di nuova costruzione, i quali furono aspramente
criticati perché volti all’imitazione delle forme tradizionali.
Tale politica di conservazione ricevette nuovi impulsi a partire dal 1975, anno europeo del
patrimonio architettonico, i quali presero forma in un programma di risanamento degli edifici del
centro storico di Atene e successivamente di molte altre città storiche.
Tale campagna conservativa non ebbe naturalmente sempre lo stesso successo, cadendo spesso
vittima dell’incontrollata speculazione turistica. Gli interventi meglio riusciti furono senz’altro
quelli di cui fu responsabile la sovrintendenza archeologica (come nel caso di Hydra, Patmos,
Monemvasia), mentre quelli attuati dal Ministero dell’Ambiente e dei Lavori Pubblici furono assai
meno efficaci. Tuttavia negli ultimi due decenni c’è sempre stata una latente contraddizione tra
la tendenza a conservare i beni storici e quella volta al loro utilizzo26. In questo senso sono di
particolare interesse gli esperimenti di Rodi e Rethymno, derivati da un accordo di programma
tra le municipalità e la sovrintendenza archeologica, che hanno attuato il recupero nel senso di
ristrutturazione e riuso degli edifici antichi.
Nonostante i recenti impegni nella decentralizzazione, l’interesse, anche negli anni più recenti,
è stato catalizzato dai due maggiori centri, Atene e Salonicco. A quest’ultima il 1997, anno in
cui era città capitale della cultura europea, offrì l’occasione di realizzare un gran numero di
attrezzature culturali, emancipandola dalla situazione di inferiorità rispetto alla capitale. Mentre
ad Atene la realizzazione di una serie di grandi progetti, come il potenziamento dell’aeroporto,
l’autostrada Stavros-Eleusi, l’ampliamento della rete metropolitana e l’unificazione dei siti
archeologici, ha ricevuto un ulteriore impulso dall’evento dei Giochi Olimpici del 2004, mentre
gli sforzi per migliorare il centro stanno ancora continuando. Esemplare in questo senso è il
24 Il gruppo di progettisti fu diretto da Dionysis Zivas. Contemporaneamente il Ministero della Cultura promosse un
programma di restauro degli edifici della Plaka con a capo Iordanis Dimakapoulos. Il progetto della Plaka ha ricevuto
il premio Europa Nostra nel 1982.
25 La prima zona pedonale in Grecia fu in una parte di Voucourestiou nel 1979. L’esperimento ebbe talmente successo che stimolò simili progetti nella stessa Atene ed in altre città. Il più grande attuato di recente è quello di Ermou,
nella zona commerciale di Atene, del 1997.
26 Questi problemi si imposero a Salonicco tra il 93 e il 94 in occasione di due controversie assai dibattute sul riuso
della fortezza Eptapyrgio/Genti-Koule, e sul parcheggio sotterraneo in piazza Diikitiriou dopo il ritrovamento di reperti archeologici durante gli scavi.
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progetto di riqualificazione del triangolo commerciale ad Atene (Athinas/Ermou/Stadiou) diretto
da Anastasios Aravantinos.
In ogni caso, come in tutti i precedenti, le uniche operazioni riuscite furono i progetti direttamente
collegati all’imprenditoria privata che hanno introdotto nuove pratiche e nuovi usi nella vita della
città. In particolare il distretto Ladadika e il Milos Centre a Salonicco, e i distretti Psyrri e Gazi ad
Atene, creando nuovi poli ricreativi e teatrali, sono emblematici sintomi del dinamismo delle città
greche.
D’altra parte, sebbene i recenti concorsi di risanamento per le aree urbane, specialmente a
Salonicco, hanno spesso proposto progetti di alta qualità, le rispettive realizzazioni, quando
attuate dagli enti pubblici, sono state di basso profilo.
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L’EDILIZIA RESIDENZIALE IN GRECIA NEL NOVECENTO
La diffusione degli appartamenti
Già dopo la seconda guerra mondiale Ilias Iliou si riferisce con ammirazione al nuovo coraggioso
mondo dei blocchi d’appartamenti in un testo intitolato In praises of boxes.
Secondo un studio sulle abitazioni pubblicato dalla TEE (Consiglio per lo sviluppo tecnico in Grecia)
nel 1981 “la forma dell’appartamento in un edificio multipiano è diventata il modello più diffuso
per l’abitazione. Anche nelle case unifamiliari o nelle aree rurali si ripete la disposizione del tipico
appartamento urbano’, una disposizione nella quale “il futuro residente è del tutto generico e
impersonale”. L’introduzione a questo testo definisce la casa come il nucleo che determina, forse
più di ogni altro parametro, la condizione di una cultura nazionale.
La storia delle abitazioni in Grecia è in gran parte la storia della diffusione degli appartamenti
nelle città. Ciò denota la transizione dal concetto qualitativo di kat-oikìa (casa da abitare) a quello
quantitativo di dia-merisma (appartamento da dividere). Ricopre naturalmente grande importanza
anche la continua produzione di case unifamiliari, ma si può affermare che su ampia scala le città
di case siano state semplicemente trasformate in agglomerati di blocchi di appartamenti. Atene
e l’Attica, dove si concentra circa metà della popolazione, rappresentano certamente il caso più
esemplare di questo fenomeno. Attualmente l’appartamento è la tipologia abitativa più comune
non solo nei centri urbani principali, ma anche nelle piccole città di provincia.
Fu logicamente l’affluenza nelle città e la conseguente esigenza di abitazioni a favorire, nel corso
del XX secolo, lo sviluppo di questa tipologia. In seguito alla guerra greco turca, a partire dal
1922, la popolazione di Atene è decuplicata. Oltre a questo, durante il periodo tra le Guerre, si
verificò una grande affluenza di rifugiati nei maggiori centri urbani della Grecia in seguito ad
agitazioni politiche, spesso violente, in luoghi abitati da comunità greche, dalla Russia all’Asia
Minore. A partire da questo periodo la ricostruzione del paese è stata una questione urgente al
fine di collocare centinaia di migliaia di persone che erano affluite nelle città dalle campagne.
Questo improvviso aumento dell’esigenza di alloggi diede allo stato la sua prima occasione di
applicare un meccanismo di costruzioni sovvenzionate, fornendo innanzitutto alloggio ai rifugiati
e poi, dopo la guerra, alle famiglie della classe operaia. Le prime case di questo tipo, realizzate
anche grazie al sostegno delle organizzazioni internazionali, furono eseguite sulla base di disegni
importati dai paesi più avanzati, ma verso la fine di questo periodo gli stessi architetti greci
cominciarono a concepire progetti in linea con il linguaggio Moderno.
Contemporaneamente alla realizzazione di edifici sovvenzionati all’interno della città, lo stato
incoraggiò anche la costruzione di alloggi a finanziamento privato nelle periferie, sulla base di
piani prestabiliti, come a Nea Smyrni. Allo stesso tempo furono realizzati anche quartieri, sempre
in periferia, per residenti di classe medio-alta, come Ilioupoli, Holargos, Psychiko.
40
Il sistema privato dell’antiparoche
Il caso della Grecia è unico in Europa perché circa tutta la produzione di abitazioni è stata fin
dall’inizio nelle mani del settore privato. Solo poche case sono state costruite dallo Stato durante
il periodo tra le due guerre, per rispondere alle necessità dei rifugiati, e dopo la guerra sotto
forma di blocchi di appartamenti costruiti dall’OEK (l’istituto autonomo per le case popolari).
Nella seconda metà del secolo le richieste di abitazioni dei Greci sono state risolte con un sistema
noto come antiparoche (scambio): una famiglia era invitata a cambiare la propria terra o la propria
casa per due, tre o più appartamenti di un edificio da costruire sullo stesso terreno, mentre il
costruttore, ottenuto il terreno senza bisogno di comprarlo, poteva investire i propri fondi
esclusivamente nella costruzione dell’edificio. Inoltre, egli avrebbe potuto vendere in anticipo gli
appartamenti col progetto preliminare, minimizzando i rischi dell’investimento.
In tali condizioni, l’edificio residenziale ha cominciato a seguire delle direttive chiaramente
commerciali, spesso a discapito della sua qualità abitativa.
La maggior parte dell’ambiente edificato, ad Atene come nelle altre città, non ha mai beneficiato
di una pianificazione, nonostante fosse stata promessa in varie occasioni. La città è diventata un
vero e proprio agglomerato di singole fabbriche abitative senza alcun disegno generale e con seri
problemi infrastrutturali.
Ciò ha però determinato anche alcuni aspetti positivi, come l’assenza di una rigida zonizzazione;
per cui la costante presenza di una commistione di attività sia in centro che in periferia dona alle
città greche un’aria molto più socievole.
L’architettura delle prime residenze di massa
I primi condomini apparvero nei primi del Novecento come esempi di un genere allora definito
palazzo multipiano, quali ad esempio quelli di Ernst Ziller, ma la loro vera diffusione si ebbe
nel periodo tra le due Guerre e specialmente negli anni Trenta. La parola usata per indicarli,
polykatoikia (molte abitazioni), fu coniata da Kyprianos Biris, e si trattava di un tipo di costruzione
rivolto alla classe media ateniese.
Intorno al 1920, la Grecia oscillava tra il Classicismo Ellenocentrico, di Anastasios Metaxas, e
l’eclettismo con influenze dell’Art Nuveau e della Secessione, di Vasileios Tsagris. Nel 1921 i primi
architetti greci si laurearono al Politecnico di Atene (fondato nel 1917), trovando il loro spazio
nella professione accanto ai veterani che avevano studiato prevalentemente a Monaco o Parigi. In
questo periodo l’arrivo di un approccio diverso fu preannunciato nel lavoro di Emmanouil Kriezis,
Aristotelis Zachos e Dimitris Pikionis.
Nel 1922 arrivò l’umiliante sconfitta nella guerra con la Turchia, causata dalla grandiosa idea di
espandere la nazione e dal tentativo di includere Smirne nel territorio greco. A causa di questa
catastrofe, la Grecia fu inondata di profughi (oltre un milione dei quali solo nell’agosto del 1922,
di cui oltre duecentomila si stabilirono ad Atene e nel Pireo), emigranti costretti a rientrare.
Tali accadimenti ebbero naturalmente un impatto diretto sulla diffusione degli edifici
41
KOSTAS KITSIKIS ,
ALOPEKIS, ATENE (1930-33)
VALENTIS/MICHAILIDIS,
ZAIMI, ATENE (1933-34)
multipiano.
Nei primi anni Venti furono introdotte misure legislative che
determinarono l’altezza massima consentita per le nuove
costruzioni, e posero dei vicoli sia per la morfologia esterna che
per gli spazi interni; ad esempio la realizzazione di sporgenze
(erker) oltre il limite del lotto, che era ancora permessa fino a
1,40 metri nel 1923, fu riveduta nel 1937 da Kostas Kitsikis, che
le ridusse a 40 centimetri.
Avvenne inoltre, a partire dal 1922, la conversione dei palazzi di
due-tre piani in condomini di più piani con ascensore, spesso ad
opera di architetti molto qualificati, come N. Nikoloudis, Dimitris
Fotiadis, Kostas Kitsikis, Kyriakos Kyriakidis e Kyprianos Biris.
Nel 1929 il nuovo regolamento edilizio introduceva una serie di
altre misure che riguardavano gli edifici di appartamenti (come
la realizazione di cortili interni), ma sfortunatamente non furono
mai messe in pratica.
La grande attività edilizia di quegli anni costituì l’occasione per
il Modernismo di prendere piede sulla scena architettonica
greca con l’utilizzo del sistema costruttivo a scheletro portante
in cemento armato (domino) e con l’adesione formale alle
semplici volumetrie prismatiche. I palazzi d’abitazione disegnati
da Constantinos Kyriakidis, Georgios Kontoleon, Kyriakos
Panayotakos, Thoukydidis Valentis e Polyvios Michailidis, Rennos
Koutsouris, Angelos Siagas e Vasileios Douras sono caratteristici
del periodo.
Sullo sfondo di questa ondata di moderni edifici residenziali,
la proposta di Dimitris Pikionis è un’interessante parentesi.
Pikionis, che aveva lavorato con Nikos Mitsakis, è tornato alla
LASKARIS/KYRIAKOS QUARTIERE ALEXANDRAS, ATENE (1933-35)
42
ALLOGGI PER I PROFUGHI, ATENE (1933-35)
tradizione locale, come dimostra il su palazzo di appartamenti ad Atene (1935), in cui i riferimenti
all’architettura tradizionale macedone fanno presagire gli sviluppi successivi della sua poetica.
Anche Salonicco, il centro cosmopolita del nord della Grecia (molto più in contatto con il resto
d’Europa), ha aderito al Modernismo oltre a proporre interessanti ed eclettiche variazioni sulla
falsariga dell’Art Deco europea.
Gli edifici realizzati da Valentis e Michailidis assomigliano ai progetti del Razionalismo italiano per
l’interpretazione della logica costruttiva moderna. Per gli architetti di quel tempo i condomini
hanno rappresentato una modalità nuova, più civilizzata e urbana, di alloggio.
Durante questo periodo, lo stato fece sentire la sua presenza solo nella costruzione di 127 complessi
residenziali sovvenzionati pubblicamente, realizzati in due fasi: dal 1934 al 1936 e dal 1936 al
1939. Tali progetti, detti blocchi dei rifugiati, hanno in genere tre piani, con scale e lavanderia in
comune (sul tetto o nel seminterrato), con una superficie minima all’interno (appartamenti di 2030 metri quadrati). Dimitris Kyriakos e Kimon Laskaris furono gli architetti della maggior parte di
questi complessi, situati tra uno e quattro chilometri di distanza dal centro di Atene. Esemplare è
il complesso di Alexandras nella periferia di Atene da loro realizzato.
Si deve tenere presente che questi edifici furono costruiti in un periodo di crisi. Sebbene il paese
fosse relativamente calmo durante l’amministrazione di Eleftherios Venizelos dal 1928 al 1932,
l’ultimo anno vide la Grecia dichiarare bancarotta e il 1936 fu testimone della dittaura di Ioannis
Metaxas, che durò fino allo scoppio della guerra nel 1940. Come in quasi tutti gli altri paesi europei
durante le ostilità le attività di costruzione furono sospese. Oltretutto in Grecia la sospensione si
protrasse di altri cinque anni a causa della terribile guerra civile che sconvolse il paese tra il 1946
e il 1949.
Lo sviluppo delle tipologie residenziali dal Dopoguerra agli anni Settanta
Nei primi anni Cinquanta ci fu un tentativo di dotare il moderno condominio urbano di una
forma pura e moderna, come reazione definitiva all’ecletticismo conservativo di Kostas Kitsikis,
Kostantinos Kapsambelis ed Emmanouil Vourekas. Il nuovo approccio espresse il suo carattere
programmatico direttamente e senza fronzoli ornamentali. Persino all’inizio della carriera dei più
importanti architetti del periodo (Aris Konstantinidis, Takis Zenetos e Nicos Valsamakis) troviamo
progetti che, in modi diversi, vanno nella stessa direzione: quella della ricerca di una soluzione
tipologica generale.
Aris Kostantinidis ha tradotto nel modo più appropriato il tentativo di “un’organizzazione costruttiva
capace di essere applicata come modello, sempre lo stesso o con varianti simili, in tutti i casi e
per tutti gli edifici”; e inoltre che fosse “anche un modello di organizzazione funzionale di ogni
progetto di architettura, come se tale assetto funzionale fosse indirizzato ad un progetto ideale; un
modello architettonico, capace di rendere gli stessi spazi adatti ad usi diversi secondo le circostanze
o la necessità”. Tra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta Konstantinidis ha disegnato una
serie di importanti progetti residenziali, sia case unifamiliari per clienti benestanti, sia, durante
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il periodo 1955-57 in cui fu a capo dell’OEK (l’istituto autonomo per le case popolari), abitazioni
collettive per famiglie a basso reddito. Questi ultimi progetti, a Filothei, Rentis e Nea Philadelphia
(Atene), rappresentano un nuovo modello di blocchi di appartamenti in cui la struttura portante in
cemento armato si distingue nei colori e nella plasticità dai muri di riempimento e dagli infissi allo
scopo di evidenziare la loro diversa natura. Le strutture impiegate in verande e parapetti spiccano
come un’uniforme maglia di delicati elementi metallici; la composizione è sempre organizzata
secondo griglie rettangolari. L’obiettivo della flessibilità era per lui una reale necessità; il modello
e la griglia non erano nient’altro che strumenti che permettevano una innumerevole serie di
variazioni. Le abitazioni si assomigliavano tutte per il semplice fatto di svolgere tutte la stessa
funzione di contenitori di vita, e divergevano nei dettagli, proprio come le persone si assomigliano
e differiscono le une dalle altre.
Ma fino a che punto la soluzione del modello è in grado di permettere tali variazioni e
diversificazioni? Takis Zenetos pensava che “l’ideale sarebbe stato dividere lo spazio in una
magli ordinata secondo una norma stabilita, all’interno della quale sarebbero state posizionate
strutture standard riempite di materiali diversi a seconda delle circostanze e le preferenze dei
residenti. Questo sistema avrebbe permesso continui adeguamenti all’evoluzione dei materiali
degli scopi per cui erano stati costruiti”. Zenetos replicò alla critica incalzante contro l’architettura
moderna che la standardizzazione dei componenti e la ripetizione delle forme portava alla
monotonia, argomentando che “lì c’è un obiettivo di varietà, alternanza ed evoluzione, e invece
di reagire all’architettura come arte, si dovrebbe ricercare un nuovo potenziale per flessibilità e
libertà che diano la forma soddisfacente che cerchiamo”. L’architettura di Zenetos, di alta qualità
estetica e tecnologica era tesa a portare, attraverso un avanzato sistema costruttivo, a soluzioni
tipiche flessibili al cambiamento e all’adattamento, senza rovinare l’immagine dell’insieme.
L’idea base della sua polikatoikia nel centro di Atene (1959) fu, come recita una didascalia scritta
dall’architetto: “Dividere lo spazio con una griglia di guide per tramezzi scorrevoli o fissi di vario
tipo: opaco, semitrasparente, trasparente, illuminante, riscaldante, ecc., con proprietà isolanti
oppure no. Standardizzazione, industrializzazione, flessibilità, e variazione della monotonia
dell’attuale impiego dell’industria edilizia”. In questo, come in altri complessi sempre ad Atene
e in periferia (Psychiko), Zenetos raggiunse un caratteristico tipo di espressione formale. I piani
superiori non sono altro che lastre orizzontali impilate l’una sull’altra senza un visibile sostegno,
dato che la struttura della costruzione è arretrata rispetto alla facciata di vetro e appare solo al
piano pilotis nel basamento.
Forse la più caratteristica e tipica forma, quella che costituirà poi un costante riferimento
nell’evoluzione blocco d’appartamenti ateniese, è data dal progetto di Nicos Valsamakis
giovanissimo (1953) nel centro di Atene. Ci sono impressionanti somiglianze tra questo edificio o
quelli che egli stesso disegnò successivamente sempre ad Atene e i progetti dell’architettura del
Razionalismo italiano degli anni Trenta. Si possono riscontrare somiglianze anche con gli edifici
di appartamenti dell’avanguardia greca degli anni Trenta, come quelli di Thoukydidis Valentis e
Polyvios Michailidis o Vasileios Douras. Secondo lo stesso Valsamakis, ciò in cui si era impegnato
era “un tentativo di rivitalizzare le facciate dei blocchi di appartamenti”. Inoltre nel suo lavoro
44
già si prefiguarava un’attenzione a nuovi sistemi per la
protezione dal sole. Tali considerazioni portarono Valsamakis
all’adozione della doppia facciata: quella reale dell’edificio,
con materiali scuri e nascosti e una sporgente, separata
dalla prima dalla profondità dei balconi, come una grata
bianca rettangolare sospesa per quattro piani d’altezza.
Questa sembra la facciata di un volume appoggiato sopra un
basamento rientrante costruito in pietra, il piano terra. Qui
le colonne portanti di cemento spiccano dalla muratura. In
questo modo, l’ardita composizione comporta la completa
astrazione della griglia dalla sua funzione strutturale. Non è
una coincidenza che per gli architetti greci del Dopoguerra
la purezza formale del blocco di appartamenti di Valsamakis
sembri condensare la quintessenza del Razionalismo greco.
Fu un punto di riferimento per le generazioni future, un
modello che fu poi applicato in una grande quantità di
variazioni, prima nella costruzione di edifici contigui del
centro della città, e poi nei blocchi isolati della periferia,
con i loro pilotis aperti.
Durante il primo decennio post bellico, molti illustri architetti
(Constantinos Decavallas, Doxiadis Associates, Ioannis
Koustis, Kostas Gartzos, Anastasia Tzakou, Yorgos ed Eleni
Manetas, e molti altri) disegnarono importanti progetti
basati sui concetti spiegati prima. La predominanza della
griglia, del prisma rettangolare, l’assenza di applicazioni
decorative, l’abbondante luce che inonda le stanze, la
distinzione tra elementi portanti e portati, le piante
essenziali e ben organizzate e la purezza delle forme sono
gli aspetti caratteristici di questi progetti. Essi si rifanno ad
una logica moderna ed astratta, con evidenti riferimenti
alle composizioni del movimento de Stijl e ai progetti di Le
Corbusier, Mies van der Rohe e del Razionalismo Italiano,
combinati con successo con i materiali, tecniche costruttive
e condizioni climatiche locali.
Gli schemi dell’ alloggio sociale del dopo-guerra furono
realizzati più ampiamente negli anni Sessanta. Ad ogni
modo, progetti di edilizia sovvenzionata continuarono
ad essere rarissimi in Grecia, e gli edifici privati ebbero
sempre un ruolo predominante. La difficoltà di ottenere
fondi per la costruzione di condomini fu risolta dal sistema
NICOS VALSAMAKIS
SEMITELOU, ATENE (1951-53)
PAPAILIOPOULOS/SPANOS
HARA, ATENE (1959-61)
ARGYROPOULOS/DECAVALLAS
ATENE (1960-62)
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imprenditoriale dell’antiparochi (o quid pro quo), attraverso il quale il proprietario del sito in cui
era costruito il blocco riceveva un certo numero di appartamenti finiti in cambio della terra.
Il blocco di appartamenti di Thalis Argyropoulos e Constantinos Decavallas al Lycabetto (1960),
che si affaccia su tre strade, è una delle prime interessanti elaborazioni della sintassi del blocco
di appartamenti urbano, applicato ad un luogo con particolari caratteristiche di pendenza e
orientamento.
Allo stesso modo, i blocchi di appartamenti della Environmental Design Company ( Andreas Simeon,
Alexandros Collaros, Savas Condaratos) e quelli di Yorgos ed Eleni Manetas danno una dimensione
alleggerita alla composizione plastica dei grandi complessi di appartamenti suburbani; il primo
gruppo si era spesso impegnato nell’elaborazione di superfici orizzontali, mentre il secondo si
concentrò nella gestione dei prismi cubici in composizioni in cui le masse sono scomposte in piani
liberi con marcate differenze tra loro. Tra i più grandi complessi di appartamenti, l’unità Hara ad
Atene, realizzata da Ippolytos Papailiopoulos e Achilleas Spanos (1959-61) spicca come caso unico
per gli standards greci.
La distribuzione degli appartamenti si basava generalmente su un’unica soluzione tipica,
con variazioni dimensionali a seconda del numero di familiari che dovevano accogliere. Gli
appartamenti erano divisi in distinte zone funzionali per il giorno e per la notte, e per ragioni di
economia le colonne dell’acqua erano concentrate verso il vano scale, nel centro della pianta, al
fine di guadagnare spazio per le stanze a discapito dei ballatoi.
La massimizzazione delle volumetrie fu naturalmente l’obiettivo principale dei costruttori, di
conseguenza il progetto ideale cadde preda di astuti speculatori che furono in grado di sfruttare
le pratiche di standardizzazione a proprio beneficio e con dure conseguenze per l’ambiente
urbano: appartamenti troppo piccoli, mal costruiti, con ballatoi bui (verso cui si aprono talvolta
le finestre di cucine, bagni e a volte anche stanze); così furono gli edifici costruiti per alloggiare
un’alta percentuale della popolazione urbana. La gamma di variazioni formali sul modello del
blocco di appartamenti urbano instauratosi nel periodo precedente iniziò il suo declino, e si fece
chiaro il modo in cui la vita nelle città greche si era deteriorata.
Le esperienze degli ultimi trent’anni
Negli ultimi decenni, le costruzioni sovvenzionate sono state gestite da un organismo autonomo,
che però negli ultimi anni si occupa quasi esclusivamente di gestire gli alloggi sociali, con l’unica
eccezione del Solar Village a Pefki, progettato da Alexandros Tombazis (1978-89) per i beneficiari
degli alloggi a basso costo.
Nei primi anni Settanta ci furono nuove proposte per il progetto dei blocchi multipiano. Durante
questo periodo, l’opposizione internazionale all’ortodossia e al dogmatismo del Modernismo,
che dominava allora l’establishment architettonico, raggiunse l’apice in una serie di correnti che
avevano in comune il prefisso post. In Grecia, che fu sempre un paese periferico con forti caratteri
locali e ripercussioni degli sviluppi internazionali, i concetti di Modernismo (internazionale) e di
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grecità (locale) erano costantemente ridefiniti. Durante
gli anni immediatamente successivi alla restaurazione
della democrazia (dal 1974 in poi) quando la Grecia si
risollevava dopo sette anni di dittatura, il cambiamento
politico fu accompagnato dal diverso modo di percepire
e mettere in pratica l’architettura. Lentamente la ricerca
del modello assunse una diversa fisionomia attraverso
una serie di approcci che fondamentalmente portarono
alla fine di quella stessa ricerca (questo mentre i New York
Five cercavano di ampliare il vocabolario morfologico di Le
Corbusier).
In Grecia, un certo numero di progetti con diversi obiettivi
portò a nuove direzioni, come si può vedere chiaramente
nei complessi di alloggi realizzati da Alexandros Tombazis
a Neo Psychiko (1971-75), da Dimitris e Tassos Biris (197780), da Dimitris e Suzana Antonakakis (1972-74), e da
Yorgos Theodossopoulos (1980- 82), ad Atene.
Il lavoro di Tombazis rivelò dall’inizio un interesse per i
sistemi di costruzione tecnologica avanzata e per nuove
modalità di risparmio energetico. Tale interesse si concentrò
in particolare sull’uso di materiali strutturali o tecnici a
vista e su una dedizione al dettaglio dell’articolazione
costruttiva. Sia sul piano della distribuzione che su quello
della costruzione, la griglia è usata da Tombazis come
punto di partenza per soluzioni più dinamiche che danno
forme complesse alla massa nei blocchi di appartamenti
di stampo brutalista, come nelle case unifamiliari. La
griglia è anche la struttura organizzativa che rende
possibile la personalizzazione delle unità. Nel complesso
di appartementi Difros, il desiderio dell’architetto è
di costruire residenze col più alto grado possibile di
indipendenza e privacy. Perciò gli appartamenti a due piani
sono organizzati, per tutta la profondità dell’edificio, in
colonne verticali e la monotonia del complesso è interrotta
spostandoli in avanti o indietro. Perciò, anche se vengono
ripetute unità individuali, il complesso nel suo insieme è
celebre per la variazione volumetrica.
Partendo da un diverso approccio rispetto ai principi
dell’architettura moderna, si segnalano i lavori di Tassos
e Dimitris Biris. Nei loro blocchi di appartamenti a
A. TOMBAZIS NEO PSYCHIKO (1971-75)
T. E D. BIRIS, POLYDROSSO (1977-80)
D. E S. ANTONAKAKIS, ATENE (1972-74)
47
Polydrosso, emergono differenze rispetto alla soluzione tipica, e in questo progetto la ricerca
portata avanti da Zenetos e Konstantinidis assume una forma più tangibile. Nel descrivere
tale blocco di appartamenti, Tassos Biris vide in esso la prova della “contemporanea tipologia
residenziale” che comunque, “non dovrebbe essere confusa con la standardizzazione”. In realtà,
questa nuova tipologia comporta una serie di valori, principi simbolici, universali e archetipici,
che nel tempo sono stati parte integrante del concetto di abitazione. Come dice Biris, “creare uno
spazio abitabile all’interno di una precisa tipologia non significa ogni volta privare tale ambiente
della sua capacità di essere unico ed irripetibile. Più che esprimere l’idea di condominio, il blocco
di appartamenti di Polydrosso si pone come un’aggregazione, “un piccolo quartiere di case-cubo
ordinate verticalmente”. Scopo dichiarato dagli architetti non era quello di un gioco compositivo
di volumi, ma la creazione di nuovi relazioni tra le differenti parti di un edificio residenziale
multipiano. La griglia di costruzione in cemento a vista domina l’aspetto da ogni punto di vista,
e serve da guida o sistema per le singole variazioni o la diversificazione delle unità, e non come
forma di espressionismo costruttivo. Questo progetto dei Biris porta nello stesso tempo, in due
direzioni: da una parte, integra e continua il programma Moderno, secondo le sue intenzioni
ma senza le forme rigide degli anni Cinquanta; dall’altra, tende ad interrompere la formalità e
la chiara linea del volume puro per mezzo di una gran quantità di componenti colorati e un gran
numero di elementi sporgenti.
Il blocco di appartamenti a Benaki realizzato da Dimittris e Suzana Antonakakis/ Atelier 66,
raggiunge negli appartamenti un livello di individualità tale da porsi al polo opposto del blocco
di appartamenti di Valsamakis a Semitelou. Il progetto conserva la griglia e l’esposizione della
struttura che gli architetti greci hanno ereditato dopo la Guerra attraverso lo studio di Mies van
der Rohe, Le Corbusier e del brutalismo del periodo precedente. L’opera di Aldo van Eyck (e i
riferimenti ad essa nel lavoro di Dimitris Fatouros) fu un punto di partenza per gli Antonakakis
nella loro elaborazione della relazione tra lo spazio interno ed esterno. La facciata dell’edificio
cede sotto la sua pressione, e l’ingresso acquista un valore primario. Le zone sono diversificate
quanto possibile per creare una varietà di spazi semi aperti, pianerottoli, cortili, viste inaspettate
e spazi la cui diversità enfatizza l’individualità della parte in rapporto al tutto. L’edificio nel
suo insieme non è più in grado di contenere le unità come negli esempi precedenti, essendo
formato, piuttosto, da frammenti diversi coesistenti. Il disegno della facciata è l’impronta di tale
diversificazione proponendo volumi e spazi di diverse dimensioni in varie posizioni all’interno del
sistema. La griglia è nascosta nello sfondo, la formalità è contenuta, l’individualizzazione domina
il complesso.
Non molto dopo, in modo piuttosto simile agli sviluppi descritti sopra, Yorgos Theodossopoulos
disegnò un complesso residenziale per il quale non fu nemmeno usato il termine di polykatoikia
nel quartiere Metz ad Atene.
In questo progetto, fu organizzata, per quanto riguarda la pianta, una grande varietà di appartamenti
che andavano dai 70 ai 300 metri quadri per superare qualsiasi idea di standardizzazione. Gli
ingressi separati degli appartamenti e la presenza di aree esterne di passaggio, contengono chiari
e consapevoli riferimenti all’architettura tradizionale greca. Le piante tipiche sono rivedute e
48
Y. THEODOSSOPOULOS,
ATENE (1980-82)
YORGOS ED ELENI MANETAS, POLITEIA (1992)
ISV,
PALAIO FALIRIO (2001)
diversificate.
Su più ampia scala, due nuove città a Xanti e Komotini furono costruite dall’impresa statale
EKTENEPOL (1978-83) come parte di un piano ambizioso per lo sviluppo della Tracia, una zona
di confine con seri problemi demografici. Tuttavia, il rafforzamento della disponibilità di alloggi
locali non fu accompagnato dall’atteso aumento del numero di posti di lavoro, il che condusse al
fallimento dell’operazione.
Molti edifici convenzionati furono invece realizzati in grandi aree di sviluppo di lusso, sia per turismo
che per alloggi, in periferia o in campagna. Esempi rappresentativi sono il Daedalus Hotel a Kos
di Nicos Valsamakis (1988-91) e il complesso di alloggi realizzato da Demetri Porphirios a Spetses
(1996). Ancora una volta, l’iniziativa privata ha superato lo stato, creando grandi insediamenti ad
alto reddito e lasciando al settore pubblico solo i compiti non redditizi dell’attività urbanistica.
Alla fine degli anni Ottanta, si sono sviluppati in parallelo una serie di orientamenti contrastanti,
nessuno dei quali è riuscito ad avere il sopravvento sugli altri. Il Modernismo, con i suoi vari
riferimenti alle condizioni locali, ha continuato nella direzione tracciata negli anni Trenta e
Cinquanta, migliorando la sua sintassi nel blocco di appartamenti di B. Ioannou, T. Sotiropoulos,
A. Van Gilder a Palaio Falirio, N. Dimopoulou, R. Saiti, G. Stathopoulos, N.Christodoulea a Nea
Smyrni e G. Mavridis al Lycabetto, come anche nei lavori di architetti più anziani quali Yorgos ed
Eleni Manetas a Kifissia e a Palaio Faliro.
I riferimenti alla tradizione che apparvero dapprima nei progetti di Pikionis e nelle recenti case
unifamiliari diventano ora evidenti anche nei blocchi di appartamenti, sebbene nostalgicamente,
come un eclettismo di massa contemporaneo, una eco distante del progetto di Heyden Street.
Le nuove Disposizioni generali in materia edilizia, introdotte nel 1985, sono state ripetutamente
modificate con riferimento al massimo ingombro, al rapporto con il contesto, e alle più rigide
norme antisismiche, spesso abrogate o rivedute dal Consiglio di Stato. Ancora oggi si osserva poi il
continuo deterioramento dell’ambiente e delle condizioni del traffico, i piani di decentralizzazione
e i progetti più importanti che non sembrano mai avere fine, i piani stradali mai messi in pratica
e la legalizzazione di strutture illegali piuttosto che una programmazione adeguata. Gli architetti
sanno di essere responsabili solo di una piccola e frammentaria porzione degli edifici costruiti in
Grecia; gli occasionali progetti ben disegnati sono sommersi dal dilagare degli edifici improvvisati,
49
scadenti ed invadenti. I risultati del giorno d’oggi sviluppano le fondamenta poste da importanti
architetti di cui si è parlato, ma il generale assetto culturale e sociale (non l’ambiente finanziario,
poiché non c’è mancanza di fondi nel settore privato) non crea le condizioni per un lavoro creativo
liberamente svolto.
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ATENE E LA POLYKATOIKIA
Atene
Secondo Frampton “Atene è di certo la città moderna per eccellenza”; secondo Christiaanse “Un
perfetto esempio di Generic City”27. Di fatto, in un contesto di confusione culturale, durante il
secolo scorso, la città di Atene è stata trasformata brutalmente in un grande insieme di blocchi
di appartamenti, in cui si è concentrata quasi la metà della popolazione del paese. La tipologia
edilizia della polykatoikia costituisce integralmente la città di Atene, dal centro alla periferia.
Sembra che vi siano alcuni caratteri culturali che hanno reso l’arrivo della modernità in Grecia
molto più influente rispetto a quanto non sia avvenuto nelle altre parti d’Europa. La storia della
città diventa un fatto estraneo tra le zone urbane che ripetono blocchi di appartamenti, dando
forma al futuro.
Secondo Pophyrios “l’architettura moderna ha contribuito a determinare la città contemporanea
in Grecia, mettendo irreversibilmente da parte la memoria”28. La concentrazione delle varie
polykatoikie è nella maggior parte dei casi il risultato di un accumulo casuale di decisioni incerte
prese delle amministrazioni pubbliche; mentre la produzione di alloggi, come si diceva prima, è
stata quasi completamente nelle mani del settore privato. Come Aesopos e Simeoforidis hanno
spiegato, “La polykatoikia è al tempo stesso un’infrastruttura e una sovrastruttura. La polykatoikia
rappresenta allo stesso tempo, il mezzo e il risultato”29. È interessante come le decisioni delle
singole famiglie abbiano avuto effetti di vasta portata per lo sviluppo urbano: la ripetizione di uno
stesso tipo di edificio si espande continuamente, in maniera neutrale, dal centro al bordo della
città, senza soluzione. Frampton sostiene che “questo tipo di urbanizzazione, come in nessun altro
luogo del mondo contemporaneo, è espressione dell’inconscio collettivo di un popolo”. Aesopos e
Simeoforidis evidenziano questa unicità così: “Se il centro urbano è una zona distinta da caratteri
storici, formata da spazi ed edifici pubblici ad alta densità, nella città greca contemporanea non
c’è un vero e proprio centro, con l’eccezione di qualche piccola area storicamente definita intorno
a piazze specifiche o assi determinati”30.
In linea di massima si può dire che l’intera città greca sia una periferia: tutta composta da
polykatoikie private di sei piani di altezza e uno spazio pubblico in-between, copre in maniera
indifferenziata il paesaggio naturale. E questo è senz’altro vero se la periferia è caratterizzata da
una programmazione ridotta o minima, dalla preponderanza di aree residenziali e costruzioni a
basso costo, con la eccezione di alcuni quartieri che rappresentano una versione greca della città
giardino, che non è periferica nella città greca contemporanea. In ogni parte della città, la varietà
e l’imprevedibile combinazione dei programmi non seguono alcun criterio di modernizzazione.
27 Citazioni dai contributi dei due studiosi alla pubblicazione Metapolis 2001, a cura di Aesopos e Simeoforidis, Atene
2001.
28 D. Porphyros, Neoelleniki Architektoniki, Atene 1984
29 Aesopos e Simeoforidis, Metapolis 2001, Atene 2001.
30 Ibidem.
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La densità edilizia rimane sempre costante, le strade sono strette, l’alternanza di pieni e vuoti
avviene ad una scala contenuta, gli spazi pubblici sono trascurati e non definiti.
Atene non assomiglia affatto alla città funzionalista del XX secolo, perché essa non è divisa in aree
monofunzionali e non assomiglia in nulla ad una città. La dimensione sociale di Atene si potrebbe
paragonare ad una struttura medievale, in cui commercianti ed artigiani, ricchi e poveri, giovani
e meno giovani vivono e lavorano fianco a fianco. Tale struttura urbana presenta il problema
dell’integrazione. La necessità di soddisfare le esigenze abitative di ampie fasce della popolazione
ha portato, nel corso del ventesimo secolo, ad un notevole aumento della densità delle aree
urbane, e quindi alla creazione di condizioni favorevoli per la convivenza di diversi gruppi sociali.
La differenziazione sociale di Atene avviene così in maniera verticale. Nel loro studio su questa
caratteristica Maloutas e Karadimitriou hanno osservato che la differenziazione sociale verticale
rappresenta la volontà delle classi medie di continuare a vivere nel centro, come è avvenuto in
molte altre città dell’Europa centroccidentale, nonostante le considerevoli modifiche introdotte
dallo sviluppo industriale31. La maggior parte della popolazione di Atene definisce se stessa come
ceto medio. Si è comunque verificata una recente migrazione dei più ricchi verso la periferia.
L’impressione di una debole segregazione sociale nella città greca è pertanto una conseguenza
della rarità di giustapposizione dei distretti con abitanti di diverse fasce sociali, così come di una
relativa omogeneità della società.
Dopo la Guerra la politica non ha saputo assumersi il problema della pianificazione. Favorendo
costruttori privati e tralasciando le iniziative di pubblica utilità, la struttura spaziale che ne risultò
fu di quasi nessun valore culturale. Nonostante ciò, muovendosi attraverso Atene, si vede che le
strade sono sempre piene di vita. Da una sorta di interludio tra la strada, lo spazio pubblico della
città e la polykatoikia, gli edifici privati si sono trasformati in elementi anche pubblici, irradiando il
loro valore sociale al di là dei limiti reali delle costruzioni. D’altra parte, la città entra nell’edificio al
livello stradale ed è in grado di trasgredire le separazioni convenzionali dei diversi ambiti spaziale
fino al piano superiore, mettendo accanto usi pubblici e privati. Questo contributo urbano
rappresenta il carattere distintivo della polykatoikia. Diventa un ambiente modernista in cui la
vita contemporanea può svilupparsi liberamente32.
Nella città greca, con poche eccezioni, non ci sono spazi pubblici progettati, sono semplicemente
residui degli spazi costruiti. Tracciati casuali, piazze non disegnate, vuoti urbani, mercati all’aperto,
espansioni e concentrazioni che non seguono criteri razionali, insomma spazi inadeguati ad un uso
sociale costituiscono lo spazio pubblico della città greca. Questa mancanza di progettualità degli
spazi pubblici determina la vulnerabilità della loro esistenza, la possibilità della loro occupazione
da indipendenti usi privati che alla fine portano alla diminuzione della loro importanza e, infine,
alla loro scomparsa. Gli spazi pubblici della città greca, insomma, benché siano costantemente
animati da un’intensa vitalità, non avendo alcun valore rappresentativo, si presentano come
31 Maloutas e Karadimitriou, Vertical social differentiation in Athens: alternative or complement to community segregation, in International journal of urban and regional research, 25/2001.
32 H. Sarkis nel suo contributo alla pubblicazione Metapolis 2001, a cura di Aesopos e Simeoforidis (Atene 2001)
giunge ad affermare che “Il distinto carattere e, oserei dire, la bellezza di Atene si trovano in tali momenti di equilibrio
tra articolazione ed uniformità, tra separazione e continuità”.
52
episodi effimeri.
Secondo l’analisi tradizionale, le differenze tra il nuovo e la tradizione si trovano nella struttura
dello spazio così come nel suo utilizzo. Il centro storico di Atene è una zona di costruzione densa
e continua, dove lo spazio urbano è ben delimitato dai confini edilizi, un luogo chiuso. Questo
ambiente è animato dall’integrazione di tutte le tradizionali funzioni urbane. La simultanea
presenza di queste funzioni è ciò che rende la città dinamica. Nel nuovo centro, invece, lo spazio
è il residuo dei singoli edifici, dove le connessioni tra i principali poli d’attrazione assumono
un’importanza fondamentale.
La Polykatoikia33
Gli edifici cubici bianchi che costituiscono il volto dell’ Atene contemporanea, sono noti
comunemente come poIykatoikia. Si tratta di un fenomeno tipologico basato sull’iniziativa privata,
che ha subito un notevole impulso dalle diverse situazioni economiche e sociali dal 1930 fino ad
oggi. È l’elemento predominante che costituisce il tessuto principale della città. La polykatoikia
definisce più di ogni altra cosa lo spazio pubblico di Atene.
Ci sono diversi modi per definire la polykatoikia associandola a riferimenti storici dell’architettura:
Frampton cita la cité industrielle, che Tony Garnier ha proposto all’inizio del secolo scorso; Aesopos
e Simeoforidis hanno descritto l’ edificio di appartamenti greco tipico come “la realizzazione del
sistema Dom-ino di Le Corbusier”.
Al fine di indagare le caratteristiche della polykatoikia, dal punto di vista dell’abitabilità e della
relazione tra gli utenti, e per capirne il modello e il suo significato simbolico, è necessario
considerarla prima di tutto come prodotto. “Le case di appartamenti ad Atene, come l’intero
ambiente urbano, sono il segno più chiaro delle logiche commerciali e burocratiche allo stesso
tempo”34. La polykatoikia viene venduta e acquistata da piccoli e grandi acquirenti, seguendo le
leggi del libero mercato: domanda e offerta giocano un ruolo ben più rilevante delle questioni
estetiche e funzionali nella progettazione di questo tipo di edificio. L’architetto è quindi tenuto
a fornire una soluzione per un determinato edificio con enormi restrizioni, che sono il sistema
della compravendita, il Regolamento Generale Edilizio e la sua interpretazione da parte della
burocrazia, gli standard stabilito per gli appartamenti, che corrispondono a specifiche condizioni
sociali.
“La differenziazione sociale ed economica si riflette nella disposizione all’interno della città, nella
sottile differenziazione, che si può apprezzare nella forma, nella qualità delle costruzioni e nelle
33 Un’esauriente analisi della Polykatoikia è riportata nell’antologia critica in appendice: Yannis Aesopos, Polykatoikia
as an Urban Unit (pubblicato come Die ‘Polykatoikia’ als Modul der modernen Stad, in Bauwelt, 29, 2004).
Per uno studio approfondito e dettagliato si segnalano due tesi dottorato svolte di recente intorno a questo tema:
Richard Woditsch, Public and private spaces of the polykatoikia in Athens, PhD presso il Dip. Arch. Ox. della IV Facoltà
- Planen Bauen Umwelt dell’Università Tecnica di Berlino, Berlino 2009; e Anastasia Paschou, Urban block in post-war
Athens development, form and social context, PhD presso l’ETH di Zurigo.
34 Antonakakis 1978.
53
dimensioni di edifici ed appartamenti”35. Infatti le differenze principali tra le diverse polykatoikie
sono date dal costo a metro quadro, dalla validità della sua distribuzione interna, dalla sua
ubicazione, dal ceto degli abitanti, ecc. Tre grandi categorie si possono distinguere dal punto di
vista dello status sociale: la polykatoikia a basso reddito nelle periferie della città, la polykatoikia
borghese nei quartieri più centrali della città, e la polykatoikia di lusso nei quartieri dell’alta
borghesia principalmente nel centro di Atene. In genere gli architetti non sono coinvolti in tutte
queste tre categorie: delle prime infatti se ne occupano soltanto piccole imprese di costruzioni;
la polykatoikia della classe media viene progettata in parte da architetti, ma principalmente da
ingegneri; quelle di lusso invece sono quasi sempre progettate dagli architetti.
Nonostante le loro differenze sociali sono notevolmente simili per i seguenti aspetti: il sistema
costruttivo trilitico in cemento armato; l’alta flessibilità funzionale; l’utilizzo di materiali semplici,
alla portata anche dei lavoratori meno qualificati, come ghiaia, sabbia, cemento, pietra, legno
e alluminio36. Vi è una chiara organizzazione distributiva. Per ragioni di economia, le colonne di
adduzione e scarico delle acque sono collocate, con il vano scale, al centro della pianta in modo
da ridurre la lunghezza dei corridoi e risparmiare spazio per le camere. La polykatoikia di solito
non supera i sei piani di altezza e presenta anche nell’estensione planimetrica dimensioni perlopiù
costanti. In linea di massima, il piano terra (di altezza fino a cinque metri) contiene piccoli spazi
commerciali. Sopra di esso ci sono gli appartamenti (con un’altezza di circa tre metri), che si
dividono in due zone distinte: la zona pubblica con la vista verso la strada, su cui si affaccia con ampi
balconi, mentre le aree private sono situati sul retro, con dimensioni che variano a seconda della
qualità della costruzione. Ogni appartamento è composto da un piccolo ingresso, un soggiorno/
sala da pranzo, la cucina, due o tre camere da letto, uno o due bagni, e una piccola camera di
servizio. Il soggiorno è ovviamente la sala principale dell’appartamento in termini quantitativi
e qualitativi. La sua forma è generalmente rettangolare, talvolta a forma di L. La televisione ne
costituisce il fuoco verso il quale sono collocati divani e poltrone. Le librerie hanno una funzione
decorativa oltre che funzionale. Grazie ad un’opera d’arte in genere il soggiorno esprime lo stato
degli abitanti della casa. La sala da pranzo è parte del soggiorno, non sono quasi mai separati.
I corridoi sono di dimensioni e forme variabili. Possono essere compatti e piccoli, ma possono
anche acquisire dimensioni tali da assolvere a delle funzioni specifiche. In ogni caso sono sempre
senza luce diretta. Le diverse camere da letto sono utilizzate dai vari membri della famiglia a
seconda del loro formato: una stanza matrimoniale per i genitori e una o due piccole per i figli.
Nella maggior parte dei casi la cucina è piuttosto piccola male orientata e scarsamente illuminata
spesso affaccia nelle chiostrine, e ha una forma il più delle volte allungata. Non esistono ripostigli,
ma le loro funzioni sono assolte da balconi, bagni di servizio, nicchie. Le polykatoikie presentano
35 Aesopos, Op. Cit.
36 Tournikiotis nel suo contributo alla pubblicazione Landscape of modernization; Greek architecture 1960s and
1990s, a cura di Aesopos e Simeoforidis (Atene 1999) constata che “le regole dell’architettura greca sono ancora soggette ad una logica semplice, per certi versi artigianale. D’altra parte, i mezzi impiegati sono in linea con richieste di
costruzione parsimoniose per soddisfare le modeste esigenze delle famiglie medio borghesi. Le imprese costruttrici
sono di piccola o media entità, mentre il settore pubblico con la sua permanente mancanza di iniziativa, si limita a
stabilire i limiti di tale attività edilizia”
54
facciate simili, caratterizzate dai ricorsi orizzontali dei balconi lineari, e dal piano terra porticato.
I balconi, sempre molto profondi, estendono la vita privata della residenza verso la città e sono
uno spazio vitale esterno per circa metà dell’anno, come consentito dal clima. I balconi possono
essere protetti da tende che diventano un importante elemento di facciata. Le verande si trovano
nella parte superiore e sono dimensionate generosamente per offrire spazio ai giochi dei bambini.
Agli attici si possono vedere, di tanto in tanto, estensioni illegali, come coperture in legno per la
protezione solare.
Una differenza tra polykatoikie si può trovare nell’organizzazione degli spazi all’interno della
costruzione. Il porticato ad esempio costituisce una variante frequente all’uso commerciale del
piano terra, definendo la soglia tra la polykatokia e lo spazio pubblico con un filtro basamentale.
L’entrata costituisce l’indicazione del ceto sociale degli abitanti, di cui la grandezza dell’androne
è il segnale più evidente. Verso la scala e l’ascensore si trova in genere un piccolo spazio per il
portiere, salvo nei condomini più popolari dove non c’è. Le scale, a seconda dello status sociale
della costruzione, possono spiccare senza piedistallo verso i piani superiori, al fine di non sprecare
pavimento nell’androne, o avere una partenza più solenne. Ci sarà in ogni caso un sistema di
illuminazione adeguato alla loro destinazione. Anche gli ascensori possono differire notevolmente
per il loro livello di comfort. I ballatoi sono poco illuminati dalla luce diretta e in genere non
presentano particolari qualità. Le chiostrine sono regolate dalla normativa edilizia. Cucine,
bagni, scale sono spesso illuminati e areati da questi spazi, che non possono essere chiamati spazi
comuni, come ad esempio un cortile, perché sono estremamente piccoli e non accessibili. Non
sono altro che pozzi di luce, che risultano semplicemente come spazi non edificati.
Un risultato evidente della normativa sulla volumetria degli edifici si riscontra negli arretramenti
degli ultimi piani dal filo stradale, a seconda dell’altezza massima del fabbricato e del distacco
dagli edifici di fronte, lasciando così spazio per terrazze panoramiche. I tetti sono poco utilizzati,
nonostante vi si trovino i più grandi spazi comuni delle polykatoikie. In genere sono stanze
condominiali che vengono affittate a studenti o giovani coppie.
Un aspetto interessante è la gerarchia sociale esistente all’interno degli stessi edifici. Si tratta di
una differenziazione sociale in verticale, che comporta una varietà nelle dimensioni e nei requisiti
degli alloggi ai vari livelli, corrispondente alla differenza del loro valore immobiliare. Nella maggior
parte dei casi questa differenziazione è contenuta all’interno di un ampio spettro sociale e genera
particolari relazioni tra gli abitanti. Questa differenziazione verticale è un fenomeno che si è
verificato principalmente nel corso degli anni Sessanta e Settanta.
Basandosi su precisa sistematizzazione e tipizzazione dell’edificio, la polykatoikia è uno schema
che permette vari adattamenti. Sebbene nato come aggregazione di unità abitative, la polykatoikia
si è dimostrata capace di ospitare una varietà di usi diversi dal residenziale, e forse proprio questa
capacità di adattamento dev’essere stata la causa principale della sua ripetibilità.
Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta si affermò la pratica dell’autocostruzione, anche a causa
dell’assenza dell’iniziativa statale. Naturalmente si produssero così edifici con molte anomalie per
quanto riguarda la funzionalità e la salubrità e degli alloggi. Le tecniche costruttive erano molto
semplificate poiché le attrezzature per l ‘edilizia erano ridotte al minimo. Si adottarono le nuove
55
tecniche, facilmente apprese nei cantieri ufficiali, applicando pochi e lenti cambiamenti. Pur non
essendo identiche alle costruzioni tradizionali in pietra, si trattava comunque di una versione
aggiornata di quelle. Il calcestruzzo, mischiato a mano sul sito e poi trasportato sulle scale nei secchi
di latta, divenne il materiale da costruzione principale. Da questa adozione (ad un grado molto
elementare) delle nuove tecniche edilizie, derivò l’aspetto moderno delle polykatoikie diffuse sul
territorio. Bianche facciate disadorne, volumi cubici, scheletri in cemento armato spesso visibili,
ampie aperture, pilotis per il parcheggio delle auto, in perfetta linea coi principi modernisti.
Ad Atene circa il 95 per cento degli edifici sono stati costruiti ad un ritmo molto rapido, ed in
maniera spesso illegale. Del disordine urbano che ciò ha generato si tende spesso ad incolpare gli
architetti, che in realtà hanno avuto la parte minore in questo processo, quasi interamente gestito
da costruttori e ingegneri.
La commercializzazione degli alloggi ha portato ad un’uniformità globale della domanda, con
la predominanza di un certo modello standardizzato in tutte le sue caratteristiche, tipologiche,
costruttive, morfologiche. Tra gli acquirenti della classe media urbana è sempre valido il mito,
diffusosi negli anni Cinquanta, dell’appartamento come fonte di comfort, lusso, sicurezza e reddito
stabile.
L’intervento dello Stato si è sempre basato su una serie di incentivi diretti e indiretti volti a
promuovere la proprietà della casa e il mercato immobiliare. Tali incentivi consistono nel tollerare
la costruzione di case in aree non previste dai piani regolatori (con la conseguente legalizzazione)
per incrementare lo scambio e contenere i prezzi delle materie prime per l’edilizia37.
La crescita della popolazione di Atene senza le necessarie infrastrutture urbane ha aumentato
le gravi preoccupazioni ambientali circa il territorio dell’Attica. Il processo di urbanizzazione
selvaggia che si basava sulla riproduzione di polykatoikie ha distrutto quel meraviglioso paesaggio.
L’accumulo di polykatoikie, insieme ad una mancanza di pianificazione urbana, ha lasciato solo
una irrilevante quantità di aree libere per la realizzazione di parchi e giardini38.
Le autorità pubbliche hanno sempre cercato di normalizzare lo sviluppo urbano tramite i
regolamenti edilizi, le cui prescrizioni si distinguono in primarie e secondarie: le prime sono
quelle che regolano gli indici di fabbricabilità, l’altezza massima degli edifici e i distacchi in base
alle dimensioni della strada e la zona della città in cui l’edificio è situato; le prescrizioni secondarie
regolano la superficie minima dei pozzi di luce, le altezze dei piani, le dimensioni dei vani scala,
l’estensione dei balconi e dei vari elementi di facciata.
Con l’ultima modifica della normativa edilizia nel 1985, in cui ad esempio la predisposizione dei
parcheggi è stata resa obbligatoria per la prima volta, il fabbricato urbano ha raggiunto il limite del
suo sviluppo potenziale dal punto di vista tipologico e formale. Negli anni Ottanta l’architettura è
37 Paradossalmente, “a giudicare dalla percentuale di case di proprietà in Grecia, che è uno dei più alti nell’unione
europea (il 70 per cento nel 1986), questa politica degli alloggi può essere considerata come un successo”, almeno
secondo l’indagine condotta da A. Madanipour, G. Cars e altri, Social exclusion in European cities, Londra 2000.
38 P. Dragonas, in un articolo apparso in rete nel 2004, scrive: “Questo processo di urbanizzazione non ortodossa che
si basava sulla in finita riproduzione della polykatoikias ha devastato il paesaggio dell’Attica. L’ottimismo degli anni ‘60
è stato sostituito dalla nostalgia per quello che i migranti dalle campagne si erano lasciati alle spalle. L’epoca modernista doveva finire e Atene è diventata negli anni Settanta e Ottanta una città soffocata”.
56
stata dominata dal formalismo storicista del post-modernismo, combinato con l’interesse per la
conservazione degli insediamenti storici e degli edifici vernacolari e neoclassici.
Negli anni Novanta un nuovo processo di modernizzazione ha accompagnato l’apertura dell’
architettura greca al panorama architettonico internazionale. In questo periodo, caratterizzato
dalla fine della guerra fredda e dall’afflusso di immigrati dall’Est Europa e dall’Asia, la Grecia ha
ospitato i Giochi Olimpici del 2004.
“La mescolanza di forme ed elementi storici è un sintomo culturale della società greca che incarna
fenomeni tipici della post-modernità. Il ruolo del committente privato è determinante in questo,
in particolare di quei clienti che sono in grado di incidere sullo sviluppo della città, impegnando
la loro immagine attraverso l’architettura: tali clienti sono le banche, le società di assicurazioni,
le grandi agenzie di comunicazione. Allo stesso tempo Atene sembra aver ceduto agli stili di vita
prevalenti, con la diffusione di negozi, caffè, e show-room e la proliferazione di arte contemporanea
all’interno del tessuto urbano attraverso musei e gallerie d’arte, mentre la grande distribuzione,
le reti di vendita al dettaglio, e le strutture di intrattenimento stanno cominciando a costituire il
paesaggio periferico della città, con la Goody, i MacDonalds, i supermercati Carrefour e Praktiker,
e i cinema multisala Village Center che dilagano”39.
La Grecia si presenta così come un paese alla periferia d’Europa, con caratteristiche uniche,
sempre diviso tra l’adesione agli sviluppi internazionali e la dedizione all’identità locale.
39 Aesopos e Simeoforidis, Op. cit.
57
58
ANTOLOGIA CRITICA
In questa appendice antologica sono raccolti quattro brani che costituiscono altrettanti riferimenti
fondamentali per gli argomenti precedentemente trattati.
I primi due sono dei saggi storico-critici che inquadrano l’architettura greca degli ultimi cinquanta
anni con la massima lucidità. Nel primo Kenneth Frampton (forse il più autorevole testimone
vivente dell’architettura contemporanea) racconta come l’esempio del Movimento Moderno sia
stato continuamente rielaborato dai principali architetti geci, a partire dai due grandi maestri
Dimitris Pikionis e Aris Konstantinidis. Nel secondo Eleni Fessa-Emmanouil (tra i più importanti
docenti e saggisti greci che si occupano di questi temi) oltre a commentare le principali opere
ateniesi dell’ultimo trentennio del secolo scorso, analizza a fondo il clima culturale e sociale in cui
esse sono state realizzate, mettendo in evidenza le condizioni spesso sfavorevoli in cui si trovano
ad operare gli architetti.
Il testo seguente è (a sua volta) una raccolta di brani dall’opera On Architecture di Aris Konstantinidis,
apparsa in una traduzione italiana nella bella monografia appena pubblicata da Paola Cofano.
Questi scritti chiariscono la poetica del massimo artista greco, la profondità con la quale si interroga
sui problemi essenziali della disciplina: costruzione, vita, natura, bellezza, verità.
L’ultimo brano è una descrizione di Yannis Aesopos (architetto e docente di progettazione
all’Università Tecnica di Patrasso) della polykatoikia. In modo sintetico, ma del tutto esauriente,
sono messi in luce i caratteri tipologici di questa palazzina e il suo ruolo modulare che determina
la conformazione urbana delle città greche.
59
Kenneth Frampton, A note on Greek Architecture: 1938 – 1997
(da Landscape of modernization – Greek Architecture 1960s and 1990s, a cura di Yannis Aesopos
e Yorgos Simeoforidis, Atene 1999)
While the evolution of modern architecture in Greece over the past half century has been subject
to the swings and variations experienced in the rest of Europe, Greece has been particularly
privileged with regard to the Modern movement in two important respects. In the first place,
the avant—garde architecture of the 20s and 30s was not far removed from the traditional
whitewashed vernacular of the Cycladic islands. ln fact, certain Modernist manifestations, above
all Le Corbusier’s Purism, had been partially inspired by these same prototypes. Thus, spare,
cubic, orthogonal compositions were able to find ready acceptance at an everyday level in Greece.
indeed, one may claim that Athens is one of the few cities in the world where a normative modern
international architecture accounts for a large part of the inner urban fabric. In the second place
Greece is blessed with a benevolent climate, for most of the year, and this, together with the
varied topography which is to be found throughout, has had a mediating influence on modern
abstraction. Indeed this combination meant that while modern structures could be simply detailed
and still withstand the climate, the received functionalist norms invariably had to be modified in
order to accommodate themselves to the contours of a given site.
The dislocation of Greek culture brought about by the German occupation and further after 1945
by the violent disruptions caused by the Greek Civil War that lasted in one form or another from
1945 to 1949 and which was settled politically in favour of the right, largely through outside
intervention, left the country bitterly disillusioned and divided and led both during and after
the War to the enforced exile of many intellectuals, including the architects Georges Candilis,
Aristomenis Provelengios and Takis Zenetos. These architects left Greece to study and work in
Paris, with Provelengios and Zenetos returning eventually to practice in the 50s. Certain key
figures remained in place, however, throughout the turmoil, among them two absolutely seminal
architects - Dimitris Pikionis and Aris Konstantinidis - who, in their separate careers and at
different times, became progressively sceptical about the socio-cultural erosion of Greek culture
and identity through the norms and forms of the modernization process.
First among these figures and the elder of the two was the painter/architect Dimitris Pikionis,
who became disillusioned with functionalism as early as 1932, on the completion of his white,
flat—roofed, rationalist school at the foot of Lycabettus Hill in Athens. One year later he will
project an experimental school in Thessaloniki which, while adhering to functionalist principles in
terms of its general layout and strip fenestration, nonetheless indulged in shallow—pitched roofs,
with tiled covering and deep overhangs, together with open Ioggias drawn from the Macedonian
vernacular. Eighteen years later, soon after the end of the Civil War, Pikionis started to work on
the most significant undertaking of his career, which as it so happens was not a building at all
but a promenade set on the Philopappos Hill in Athens, adjacent to the Acropolis and under
continual construction from 1951 to 1957. Paved almost exclusively out of random dressed stone,
including some archaeological fragments and painstakingly assembled like a gigantic mosaic over
60
the undulations of the heavily contoured site, this park was not so much projected and realized
in the conventional sense, as it was laid in place by the architect himself. Two strands of poetic
speculation weave back and forth through this work, both literally and metaphorically. The first
of these is the evocation of a mythical Greek identity, legible as much by the body as by eyes;
a palimpsest, part vernacular-part archaic, linked however indirectly to the Italian Novecento
painter Giorgio de Chirico, by whom Pikionis had been influenced by in his youth. The second
oneiric strand was the erection on the perimeter of extremely flimsy constructions, porticoes and
fences. These were made out of timber poles, bamboo and and/or thatch and, we now know,
were consciously modeled in some measure on Japanese paradigms. The result was a
metaphysical landscape, simultaneously sensuous and dematerialized. Within the mores of
everyday Athenian life Pikionis’ Philopappos is a work that is at once both popular and hermetic.
However, its continued existence and appreciation testifies to the fact that as a generic ‘earthwork’
it tends to transcend our received perceptions about both aesthetics and function, for here the
surface of the ground is kinetically experienced through the gait, that is to say it depends upon
the locomotion of the body and the sensuous impact of this movement on the nervous system as
a whole. There is, moreover, as Pikionis puts it, the ‘acoustical’ resonance of the site as the body
negotiates the surface1.
The work of Aris Konstantinidis (an equally seminal figure and perhaps the more heroic of the
two) would experience a rather different trajectory, even though the two men would share a
common preoccupation with what was then still the living Greek vernacular, differentiated from
region to region and island to island. In my view, other than Pikionis, Konstantinidis was the only
Greek of his generation who was so singularly susceptible to the Greek landscape, and hence so
committed to the creation of a critical modern architecture that despite its unequivocal modernity
would be appropriate to the time and place in which it was built. Just such an architecture was
surely manifested in the small stone house with which he began his career in Eleusis in 1938,
and in a similar but altogether more sophisticated house that he erected out of the local stone in
Sykia in 1951. Unlike Pikionis, Konstantinidis remained unequivocally committed to the revelation
of the twentieth century building technology - the trabeated reinforced concrete skeletal frame
and the sub—frame of its infill sun screening, shutters, etc., notwithstanding his habitual excursus
into rubble stone walling and the occasional sweeping monopitched roof as this appears in the
monumental Xenia Hotel that he built in Kalambaka in 1962. That this was a modern reinterpretation
of the principles of the vernacular rather than its sentimental simulation was evident from the
way in which the building disposed of itself in relation to both climate and the site2.
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Dimitris Pikionis was born in Piraeus in 1887 and educated as a painter and as an architect in Athens, Paris and Munich. In private practice from 1923 to his death in 1968. His Lycabettus School in Athens was a functionalist work but
thereafter his work became increasingly inflected towards the vernacular, culminating, in his elaborate landscaping
of Philopappos Hill in Athens [1950-57).
2 Aris Konstantinidis was born in Athens in 1913 and educated there and in the Technical University of Munich between 1931 and 1936. He served as an architect to the government in various capacities from 1938 to 1957. His move to
the National Tourist Organisation of Greece marks the beginning of his most fertile period, when he designed a whole
series of hotel buildings between 1958 and 1964.
61
Toward the end of his professional career, in 1975, Konstantinidis would publish an elegiac
evocation of the Greek vernacular in which he was able to demonstrate its close tie to the
landscape from which it stems and within which it remains embedded. In his Elements of SelfKnowledge, compounded of photographs, sketches, poetic citations and aphoristic statements,
Konstantinidis sets forth the ontological limits of all architectural form. For Konstantinidis the
vernacular lies forever beyond time because nobody can determine its age. Such a work may
still be encountered, even now, in the rock walls of Andros or the terraces of Sifnos, both equally
timeless in that they illustrate all too precisely the words of Fernand Leger: “Architecture is not
art, it is a natural function. It grows out of the ground like animals and plants”3. In contrast
to this condition in which culture and life are not yet separated, Konstantinidis wrote of the
spurious character of the new when it is pursued as an end in itself: “As for the efforts of the
so-called new architecture to produce something unprecedented and advanced (admittedly, the
modern age has discovered some new truths - in fact, it has discovered many, so many that
Matisse once felt compelled to cry out: “No more new truths”), let us accept once and for all
that a truly unprecedented and advanced work is not that which uses superficial brilliance to
make temporary sensational impact, or that which seeks to take one by surprise by means of
ostentatious, acrobatic contortions, based on momentary finds, but only that which is justified by
a continued, living tradition, that which endures because it is put to the test again and again, with
each new context, so that it expresses afresh inner experiences, secretly nurtured disciplines,
forms that have truly been handled over and over again. What we may accept as reality cannot
possibly be what we see ready-made around us, but much more what we attempt to visualize in
a dream, all of us together and each one of us separately, the dream of a new -truly new- life,
shaped like a poem”4.
The tradition established by Pikionis and Konstantinidis was picked up by the mid-60s by Dimitris
and Suzana Antonakakis, who founded their Atelier 66 in 1964, through their trabeated Chios
Museum, executed in a manner that was extremely close in its syntax and intent to the similar
but larger loannina Museum designed by Konstantinidis at virtually the same time. In addition
to their Greek roots, their work was to be informed by three important strands in the modern
tradition, all of which date from the 50s: the béton brut manner of Le Corbusier, the Structuralist
organicism of Aldo Van Eyck and the reinterpreted classicism of Mies van der Rohe, this last being
particularly evident in the spatial order of their early works. And yet, despite these influences, what
is remarkable about Atelier 66 is the way in which they have been able to synthesize the mutual
legacy of Pikionis and Konstantinidis resulting in domestic works which are carefully articulated in
terms of use, privacy and micro-climate, as in the stone-faced, brutalist housing that they realized
in Distomo in 1969 or in the labyrinthic, neo-Corbusian apartment building they built in Benaki
Street in Athens in 1975. Of those that left Greece to study and work in Paris in the aftermath of the
Civil War something further must be added, first with regard to Georges Candilis, who following
3 Aris Konstantinidis, Elements of Self—KnowIedge: Towards o True Architecture, Athens, 1975, p. 290.
4 lbid., p. 313.
62
his apprenticeship with Le Corbusier on the Marseilles Unite, made a seminal contribution to the
invention of low-cost, low-rise housing systems for application in the Third World, and second,
the unequivocally political Takis Zenetos who, unlike Pikionis and Konstantinidis, believed in the
manifest destiny of modernization and technology for the liberation of mankind. One cannot
help wondering, in retrospect, if his tragic suicide in 1977 was not a direct outcome of his despair
in the face of the perverse application of technology as a means of perpetuating our inherently
wasteful consumer society, already extending beyond the bounds of reason twenty years ago. Up
to the mid-70s it was still possible to believe that universal technique could and indeed would
eventually be applied to more beneficial environmental ends in Greece as elsewhere, as Zenetos’
built works amply testify. Certainly we can see this in his Ayios Dimitrios School (1970-76), his
Amalias Avenue apartments (1959) and the svelte megastructure of his magnificent Fix Brewery
(1957) all of which were realized between the years of 1957 and 1969. A new Iiberative world
was surely implied by the free planning of the classrooms around the periphery of Zenetos’
school, particularly because this active didactic perimeter surrounded an equally active, circular
theatrical space in the centre. While the Ayios Dimitrios School was a social condenser of heroic
proportions, comparable to the canonical open air schools realized by Beaudoin and Lods and
by Bijvoet and Duiker, in France and Holland in the 30s, Zenetos’ work of the 60s and 70s was
somewhat uneven, ranging from brilliant displays of programmatic and productive ingenuity to
virtuoso formal exercises influenced by Bruno Zevi’s organic ideology or, let us say, passing from
highly sophisticated essays in tectonic plasticity to moments of technological exhibitionism. An
entire world may be said to separate the structural/planar articulation of Zenetos’ pre—fabricated,
skeletal Lycabettus Theatre (1964) from his Amalias Avenue apartments, close, in their fugal
immateriality, to the facade of Giusseppe Terragni’s Casa del Fascio or to certain later works by
the Spanish architect Alejandro de Ia Sota.
The triumph of the white Greek Rationalism, integral to a nation-wide school building program
of the 20s and 30s and realized by such architects as Mitsakis, Panayotakos, Valentis, Karantinos
and even the young Pikionis, has remained the underlying Greek modern tradition right up to
the end of the century, as is evidenced by countless works produced in the last thirty years more
or less in this manner; a line of post-War revival that began with Doxiadis’ own offices, Athens,
designed in 1955. This received line has held its ground from one generation to the next despite
a regrettable regression into historicizing, stylistic Post Modernism in the 80s, detectable in the
work of Alexandros Tombazis, Nicos Valsamakis and even occasionally in the architecture of
Atelier 66, most particularly perhaps in their rather decorative Ionian Bank, built in Rhodes in
1983. One may argue that decorativeness as opposed to tectonic ornament has been the Achilles’
heel of Greek architecture throughout the last half—century, particularly as this often manifests
itself in the interiors of what would otherwise be undeniably rigorous works. In any overview of
Greek production, two attributes surely stand out above all others; first the profound and all but
unconscious feeling of Greek architects for the transformation of landscape through built-form
and second, the truly subtle and rigorous planning ability of Greek architects, that is to say, their
intrinsic capacity to organize and orchestrate architectonic space as one passes from one logically
63
ordered project to the next. Few architectural cultures of the 20th century have been able to attain
and maintain such a high normative level. Against this one has to set the repetitious and loosely
empirical character of the received architectural language; the generally rather loose assumption
of a syntax compounded of brutalist, boarded reinforced concrete, generic orthogonal modern
fenestration, often of indifferent proportion, the occasional spiral stair or glass block panel,
plus a prerequisite wall or two in rubble stone construction. This rather indifferent recitation
of modern tropes could not be farther removed from the specific language of either Pikionis or
Konstantinidis. Needless to say, here and there, a more sensitive and critical figure cuts away
from the common denominator of the received code to give the culture a sharper focus and the
promise of true renewal as we find this in Christos Papoulias’ Epikentro art gallery in Athens (1997)
or in A. Kouvela-Panayotatou’s remarkably sensitive répétition differente in a domestic key, her
battered and canted house in Santorini of 1994. In both these works the interior is as powerful as
the exterior, although clearly in the case of the gallery the latter does not apply. Last but not least
in bringing this gloss to a close, mention must be made of the work of Kyriakos Krokos, above
all for his truly remarkable brick and concrete Byzantine Museum completed at Thessaloniki in
1993. Here at least we are in the presence of a rigorously tectonic work of the highest possible
caliber, for all that its dense layering of tradition may be regarded by some as too conciliatory,
particularly by those that favour the cult of rupture rather than the continuity of critical culture.
But here surely, given the commodified age in which we live, we have once again the promise of
a modernity of depth from which to launch a new beginning.
64
Heleni Fessas - Emmanouil, The last twenty – five years: from post – modern dispute to the
Dionysiac and chaotic threshold of the 21st century
(da Heleni Fessas - Emmanouil, Essays on Neohellenic Architecture, Atene 2001)
The fall of the dictatorship in 1974 and the Year of European Architectural Heritage (1975), and
their repercussions, created a natural boundary between the past and what is as yet too close
to be approached historically. We are still not sufficiently far removed to be able to decipher and
comment lucidly on events in Athenian town planning and architecture during the last quarter of
the 20th century. It is moreover difficult to speak briefly about the city’s eventful course from the
vision of change in the 1980s to the nightmarish uncertainty of the post-cold-war world and of
globalization. I should like to point out here just a few of the external factors that have influenced
this course. The emphasis on the visual and ephemeral aspect of architecture, more or less at the
expense of its functional, social and cultural dimensions, was the main trend in the last quarter of
the 20th century. The rapid succession of styles in international and Athenian architecture during
the past twenty years - post-modernism, late modernism, deconstruction and neo-modernism was the result of social and cultural changes under later capitalism. They met the needs of the
consumption-oriented, individual-centered, pleasure-seeking and “neo-conservative” societies of
this age. These were the “needs” created by the mass media, which are either controlled by the
few or are monopolies, through the power of information or misinformation and the seduction
of advertising. Thus in postmodern societies, the ephemeral, the superficial, the pleasant, and
the “Dionysiac” thrive, while steadfast models and stable values are rejected; the logic of fast
profit with minimum effort prevails, and creation is replaced by a combination of packaged goods
and standardized ideas. In such societies, the wrapping counts more than the content or the
intention, and substantial control passes from politics to capital. Beyond this dominant trend,
there are international and local differentiations which were reinforced by the enormous upheaval
of 19895. The revival of nationalism in the Balkans and the phenomena of escapism among young
people due to their dreary, alienating daily life are developments
that have also affected life in Athens. For example the optimism of architects and town planners
in Athens in the 1960s gave way to scepticism, uncertainty and the present marginalization of
distinguished colleagues of theirs with brilliant studies and distinctions, but who are now building
very little if anything, and who are unjustifiably absent from the major projects in the capital and
the construction boom unfolding in view of the Athens Olympic Games in 2004.
Regarding urban planning matters in the capital, for the first time developments are not altogether
negative. The prevailing trend in these past 25 years has of course been the disappearance
of the Attic landscape through the incoherent and ugly construction of suburbs on coasts,
farmlands and forests. This has led from the pale grey anonymity of Athens in the 1950s and
5 The year 1989 has been called “the year of upheavals”, because during that year “the Berlin Wall was torn down,
democracy was painted red in Tienanmen Square the republics of the Soviet Union demanded their independence
and Albanians and Serbs clashed for the first time in Kosovo”, To allo Vima, 20.6.1999.
65
60s to the present motley conglomeration of forms in its broader region6. The collapse of the
communist governments in eastern Europe burdened the Greek capital with two other very
serious problems: the influx of waves of foreign national and ethnic Greek refugees into older
downgraded districts of Athens (Metaxourgio, Kato Patissia, Kypseli, etc.) and their sometimes
problematic relations with the local population. On the contrary, the situation in the historic
centre and in reindustrialized regions in and around the capital, such as Lavrion, Gazi and Pireos
Street, appears visibly improved. This development is in line with the international trends to
upgrade city canters and to protect architectural heritage. It was the result of an intense and
coordinated effort by specialists and the state. The way was paved by two projects: “Study of
the Athens Old Town” (1973-75, architect-professor Dionyssis A. Zivas) and “Dealing with the
problems of Plaka” (1978, D. A. Zivas; associate architects Y. Michail, K. Ioannou, M. Graphakou, E.
Maistrou, A. Paraskevopoulou and E. Methenitou; traffic experts G. Giannopoulos and C. Zekos);
the latter study was awarded the Europa Nostra medal.
Also, despite the objections and delays, significant projects were carried out to improve the
quality of life in Athens. Urban planning reforms began in 1979, on the initiative of the Minister
of Public Works Stephanos Manos (the first pedestrian walkway in Athens on Voukourestiou St.,
the new Master Plan of 1979, Development Law 947/1979, etc.). These reforms were stepped
up by Antonis Tritsis, architect, town planner and Minister of the Environment, Physical Planning
and Public Works (many Athenian streets became pedestrian walkways, studies were conducted
to protect and improve old districts of the capital, etc.) and then took on a more radical character
with the Master Plan of 1983 and Development Law 1337/1983 (e.g. development policy for the
western Attica basin and particularly for old districts of unauthorized housing, improvements of
old refugee neighborhoods and industrial districts). One common feature of these reform efforts
was the upgrading of the local government’s role in town-planning applications. But the local
authorities turned out to be ill-prepared to meet their new obligations. It is of course a fact that
municipal initiatives have improved the quality of life in the Attica basin, even if they did
not bring about a corresponding aesthetic upgrading. Athens has been privileged from that point
of view to have had some very active mayors such as Dimitris Beis, Miltiadis Evert and Dimitris
Avramopoulos7. Local government, however, did not have the ability to promote the main goals
of the 1979 and 1983 town-planning reforms8.
The efforts by Manos and Tritsis were undermined when their successors backed down on
important issues, such as the scheduled reduction of the building density. The implementation
of the General Building Regulations of 1985, for example, did away with the spirit of the Tritsis
reforms because it accelerated urban sprawl across the entire Attica basin. Then developers came
along and offered the smog-weary Athenians who were abandoning shabby apartment buildings
6 In a televised interview in 1999, painter and academician Panagiotis Tetsis compared the appearance of Athens to
a rag rug.
7 See, inter alia, Dimitris Avramopoulos, Municipal Policy in the recreation of Athens, the Architects’ Association
Bulletin, 9-10/ 1997, pp. 37-41.
8 P. Yetimis, Ekistic policy in Greece. The limits of reform, Athens 1989, pp. 175-180.
66
in droves a substitute for their dreams of green space, fresh air and a place of their own. The
construction companies were offering building complexes of primary or summer residences and
popular maisonettes, with a pseudo—luxury, new-looking
or eccentric façade - post-modern, late modern or other. These properties, which became
demythologized with the passage of time, were initially bought by the middle classes. Later
the fashion of building residential complexes and maisonettes became more generalized, both
among the working strata of the population and among the higher income groups. The margins
for architectural creation or innovation in the commercialized residential estates proved to be
narrower than one might have expected, which doesn’t mean there were none at all. But they
existed only in special cases, such as when experienced or talented architects happened to be
engaged in such projects together with open-minded contractors.
But in the architectural affairs in the capital, the adverse phenomena of the past were exacerbated.
For example, the relations between the state bureaucracy and the architect’s art, which were
always problematic, declined. This was due partly to the expansion of the public sector, but more
to the attitude of those in charge. The same was true of quality architecture in the private sector.
So, while the state, private capital and the press showed a lively interest in architectural issues, in
practice they operated in a short-sighted, petty political way. Architects were usually not selected
or promoted on a merit basis, and thus their social role was downgraded as was the quality of
their institutions (e.g. architectural competitions and
the legislation re: awarding designs for public projects). For instance, instead of dealing
constructively with the problems of architectural competitions and updating the legislation
regarding public buildings, preference was shown for adopting the non-transparent and
demoralizing design-construction system, in which architects and designers were employees of
the builder or directly dependent on him. In addition, apart from the unfair competition of their
university colleagues, the free-lance designers of public facilities and buildings were now being
pushed aside systematically by their employers’ confidential advisors9. The upshot of all this was
the difficulty of creating a public facility and worthwhile new buildings for public
use. The qualitative and symbolic downgrading of the buildings in the capital was also due to
the fact that they were regarded as either a means for solving the problem of accommodating
employees, or as an opportunity to maximize land use. This type of miserable attitude did not
leave much room for differentiating public structures from their bland, incoherent and overdeveloped surroundings10.
On the contrary, considerable progress was made in urban renewal and in the utilization of old
buildings to accommodate banks, state and municipal services in the capital city. This occurred,
despite the fact that the fashion for protecting historic buildings more frequently led to their
abuse than to their improvement. The first notable and highly influential restorations were done
9 Some typical cases are the new Acropolis Museum and the Athens Concert Hall. See Helen Fessas-Emmanouil,
Greek Architecture in the Counterbalancing Decades of the ’60s and the ’90s, in Landscapes of Modemisation. Greek
Architecture. 1960s and 1990s.
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H. Fessas-Emmanouil, Prestige architecture in post-war Greece: 1945-1975, p. 62.
67
on two buildings by Ernst Ziller. The first was the Excelsior Hotel in Omonia Square, the interior of
which was remodeled as a branch of the National Bank of
Greece (design 1977-80, technical service of the NBG, architect Grigoris Tsiveriotis), and the
second was the restoration of the Othon Stathatos mansion (1887) to its initial state by the
architect Pavlos Kalligas (1975-76). From then on, the National Bank became one of the leaders
in renovating historic buildings in the capital (e.g. the Melas mansion designed by Ziller in Kotzia
Square, which was restored by NBG architects Dionyssis Vlahopoulos and Grigoris Tsiveriotis,
in consultation with Yannis Liapis and John Travlos, between 1976 and 1989 and lighted in an
exemplary fashion). The example of the NBG was followed by other banks. In renovating heritage
buildings of the 19th and early 20th century, a dominant position was held by the architects
Pavlos Kalligas, mainly in the northern suburbs, and Alexandros S. Kalligas (b. 1932) in Athens
(restoration and remodeling or additions to important buildings such as: the 18th-century building
of the NBG Educational Institute in Plaka, 1975-83, associate architect Aristides Romanos; the
eclectic National Mortgage Bank building at 40 Panepistimiou St, for which the study was carried
out in 1980; and the neoclassical Arsakio designed by Lysandros Kaftantzoglou that is today being
used to house the Council of State). Of the recent restorations, that of the Kazoulis villa (1905) in
Kifissia stands out, a work by the collaborating architectural firms of M. Tylianakis and Arsy S.A.
(Michalis Fotiadis, Eleni Vourloumi, Pantelis Massouridis). And finally, the restoration of one of
the most important monuments of 19th-century Athens was masterfully designed and supervised
by architect-professor Yannis Kizis (1992-98, collaborating architect D. Levendis, co-supervisor Y.
Baibas). This was the Catholic Church of St Dionysios on Panepistimiou Street (1853-65, designed
by Leo von Klenze, supervised and amended by Lysandros Kaftantzoglou).
But most of the creative renovation has been done on ordinary buildings (e.g. old houses,
warehouses) or places with special memories, such as an abandoned factory or a historic site,
which can be revitalised by acquiring a new use. Significant instances of such renovation are
provided by four theatres and two galleries: (a) on Kykladon St. (1981-82), work by Kyriakos
Krokos (1941-1998); (b) the Karolos Koun theatre on Frynichou St (1984-85), work by the Prague
Quadrennial award-winning architect Manos Perrakis (b. 1937)11; (c) the I Pyli Theatre-Cultural
Centre at 38 Amalias St (1982-83) designed by Agni Kouvela-Panayotatou (b. 1943); (d) the Exarchia
Theatre at 69 Themistokleous St (1986-87) inventively renovated by Constantinos Decavallas; (e)
the Ileana Tounta Gallery (1985-88), artfully designed by architects Eni Dimitriadi (b. 1943) and
Giorgos Drinis (b. 1943); and (t) the minimalist solution of architect Christos Papoulias (b. 1953)
for the Epikentro Gallery (1996).
It is a known fact that the gap between the protagonists of Athenian urban development and the
real creators is widening. The new face of the capital is being shaped by flagrantly commercial
architecture, thereby pushing architectural quality to the sidelines or outside Attica. In busy spots
or thoroughfares with heavy traffic, such as Kifissias, Vouliagmenis and Syngrou, commercial
buildings and complexes of glass, glass-and-mirror, steel, granite and marble impose their
11 In 1991, Manos Perrakis was awarded a gold medal for his theatrical architecture at the International Exhibition
of Theatrical Architecture and Set Design in Prague.
68
volume and post-modern or late modern aesthetic on passers-by. With their hard lines, advanced
technology, transient decorative style and gaudy luxury, the office buildings underscore the
economic power of their tenants, while the shopping centers are shown off as “background”
for the heady consumerism and luxurious life of the new ruling classes. Sometimes adorned
with imitation pediments and columns, possibly even amputated, and sometimes with eccentric
collages of features alluding to both past and present (such as the buildings of Elias Barbalias), they
have become the pre-eminent prestige buildings of the capital, but without ensuring the much
desired air of the modern megalopolis. Signs bearing the names “I. Vikelas, Architect”, “Babis
Vovos” (Construction Company) and “Architect Stelios Ayiostratitis” dominate glass buildings and
shopping centres on Kifissias Ave and elsewhere12. Many glass buildings on Kifissias Ave and in
the centre of Athens, which were built by “Babis Vovos, International Contractor” are included in
the output of Italian architect Vittorio Mazzuconi, who cites the Greek architect Ioannis Vikelas
as his associate. The best known of these are the Agora Center in Paradisos Maroussi (12 Kifissias
St, 1983-87), the shopping centres and office complexes Amalieion (1985) and Polis Center (19901995) on Kifissias Ave and the Akademia Center (1990-98) in downtown Athens.
There is, however, glass architecture that isn’t pushy, arrogant or hostile to the natural or manmade environment, and that has been able to get away from commonplace equations such as:
granite or marble + glass + pediment = quality. For example, glass and marble have been used by
many architects with moderation, discretion and taste on office buildings, shops, banks, industrial
plants, and in cultural activities, or in the design of interior spaces. These architects include:
Ioannis Vikelas (e.g. Museum of Cycladic Art, 4 N, Douka St, design 1985), Vassilis Grigoriadis
(office building, 3 Bakou St, 1986-90, associate architect A. Panagopoulou), Alexandros Samaras
(e.g. the administration building and automobile showroom of the Karenra S.A. - Mandyla Group
of Companies on Vouliagmenis Ave, Argyroupoli, 1992, and the office building and the shipping
branch of Alpha Credit Bank - Laskaridis Group of Enterprises, 89 Akti Miaouli St, Piraeus, 199698), Michalis Fotiadis (b. 1938) and Pantelis Massouridis (b. 1940) (e.g. office building, corner of
Papadia and Adrianou streets, 1976-80, associate architect L. Giannousis), Giorgos Triantafyllou
(e.g. jewellery shop in Nea Smyrni, 1986 and showroom for light fixtures, 1987), Babis Ioannou Takis Sotiropoulos - A. van Gilder (various stores in Kolonaki and the Allen furniture showroom,
1995), Takis Koumbis (Tissus-Metridis shop, 911 Ilioupoleos St, associate architect Spyros Milias,
et al.), etc.
For other architects, glass was to become an outlet for technological and expressive quests.
Alexandros Tombazis and his associates combined it with state-of-the-art technology, giving
priority to the systematic solution of the psychological, energy and environmental problems of
glass architecture (e.g. on the Avax S.A. office building on the slopes of Lycabettus, 1992-93 and
12 Representative examples of the work of Vikelas and his associates during the 1980s - e.g. the Galleria shopping
centre in Glyfada (I. Metaxa St., 1980) and others - were published in a presentation of his work by Dimitris Philippides in Architecture in Greece, 21/ 1987, pp. 158-175. Among the more recent works by the firm I. Vikelas &
Associates is the monumental office building complex (1990s, 44 Kifissias Ave, Paradissos). A typical work by Stelios
Aghiostratitis and his associates is the office complex Anavryta in Kifissia, 1989-90.
69
the office building of GEK S.A. on Alexandras Ave, 1991-94). Pioneering work was done by the
A.N. Tombazis Associates firm on bioclimatic design and
the utilization of passive energy systems which has received international recognition.
Characteristic products of this work in Attica are S. Sofianos’s passive solar energy building in Ekali
(“Helios 2”, design 1979) and Solar Village III in Pefki-Lykovrisi (a housing estate consisting of 435
solar housing units built by the Workers’ Housing Organisation, 1979-1989).
Quality architecture has been produced, as always in small quantities, by both older and younger
creators. And as always, some of them go along with the prevailing fashion, others oppose it, while
yet others continue to reflect, experiment and put forward their own personal views on matters
of typology, form and the relationship between architecture and history, society, culture and
technology. Dimitris and Suzana Antonakakis still hold their critical stance toward the dominant
trends, proposing alternatives to the urban and suburban architecture of the capital in their own
recognizable way. Among their noteworthy and highly
influential works during the period in question is the home of Pavlos Zannas on Filopappou (197880) and the country house in Spata (1973)13.
Before his untimely death, architect Giorgos Theodosopoulos (1938-1988) and his colleague
Katerina Thanou (b. 1952), with their apartment building in Mets (63 Archimidous and Dompoli
Sts, 1980-83), proposed a way to overcome the disadvantages of this type of building. With its
14 different apartments, most of which have their own entrance, the Mets building constitutes a
special type of urban maisonette complex in the row-building system. Other interesting aspects
of this late modern multi-residence is its robust plasticity, its visual allusions to elements from the
Greek architectural tradition, the picturesquely landscaped open space and the continuation of
the alternative “dialogue” with the city which began with the Antonakakis’s apartment building
on Em. Benaki St. Glass, glass bricks, bare concrete and unplastered bricks are the favourite
building materials of the most restless architects, those who, refusing to follow fashion, propose
an alternative architecture and intervene with the intention of transforming both the row-building
system of Athens and its free-standing one. Of particular interest is the scholarly intervention by
the architects Alexandros Christofellis (1946-1991) and Yannis Kouvdos (b. 1949) in Kallithea (office
building and showroom of the Kouvdos furniture factory, 218 Thiseos St, consulting architect A.
E. Tzakou, design 1985), the radically innovative building by architect Michalis Souvatzidis (b.
1946) on Charilaou Trikoupi St (Eikastikos Kyklos Art Centre, 1992-97) and the bioclimatically
designed apartment building in the Attiko Alsos (1985-1993). Despite the differences between
the internationalist and theoretical approach of Christofellis and the more empirical gestures of
Souvatzidis, with their local ethos, the two architects have a common goal: their work constitutes
a conscious act of resistance to trivial, monetaristic, fashionable architecture.
Another architect who kept a conscious distance from the new trends was Kyriakos Krokos (19411998). Strongly influenced by the stirring ruins of his homeland, he produced original, creative
architecture based mainly on construction quality and on the sound handling of materials. The
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See Kenneth Frampton (ed.),Atelier 66. The Architecture of Dimitris and Suzana Antonakakis, New York: Rizzoli,
1985, pp. 58-65 and 70-75.
70
few works this architect built before his premature death were the result of genuine sensitivity,
talent in painting and a conscious quest. In addition to the remodeled theatre on Kykladon St
mentioned earlier, other interesting works by Krokos in Attica are: the Vettas residence in Filothei
(1989-91) and the remodeling of the 1970 apartment building in Athens, on the corner of Metaxa
and Chiou Streets, as the private Fassianos Museum (1990-95).
Noteworthy architecture has also been produced on a free-lance basis by men and women who
address the architectural problems of their times with knowledge, a sense of responsibility and
talent. Suffice it here to name just a few characteristic examples. Yorgos and Eleni Manetas (b.
1937 and 1939), having assimilated the new currents creatively, renewed the suburban apartment
building in terms of function and style. Later, they took up residential-maisonette complexes with
success. The quality of complex buildings with special and difficult technology, such as health and
welfare units, industrial plants, etc. has improved visibly. Architects Kyriakos Kyriakidis (b. 1937)
and Adela Paizi-Kyriakidi (b. 1942) made a decisive contribution to upgrading hospital architecture
in the capital with the obstetrical hospitals Lito (1967) and Hera in Holargos (1978, associate
architects L. Niakaki and A. Hassapi), the obstetrical and gynaecological clinic Iaso (1993, associate
architects A. Zeginoglou, A. Irving, S. Clark, L. Niakaki and G. Bikos) and the Henri Dunan hospital
(design 1995, in collaboration with the firms of Harry Bougadellis and of Kostas Xanthopoulos —
Margarita Milissi).
During these years, apart from his significant private homes, Nicos Valsamakis created a landmark
building in Athenian architecture: the Alpha Credit Bank administration building on 44 Stadiou St
(1978-1990, associate architect Kostas Manouilidis). An imposing, solid piece of architecture, with
harmonious proportions, it expresses the anti-modern spirit of the times, reconciling it with the
urban tradition of Athenian neoclassicism. Here, the cultivated talent, experience and knowledge
of this tireless creator revitalised in an exemplaiy way the rules of composition and morphology
for prestige architecture in the heart of a city with vivid classical memories. This is why the Alpha
Credit Bank building had such a great impact, as well as being an object of criticism on the part
of those who envision alternative, anti-urban solutions. In his later works, Valsamakis followed a
milder neo-modern line.
One of the most characteristic trends of the 1990s was the higher level of ideas on the part
of younger architects about the city, public space, the relationship between architecture and
landscape, theory and practice. These are mainly architects who have a strong theoretical
background, but limited practical experience. The awards received by their designs in Greek and
international architectural competitions rarely end up unaltered in practice. But they are becoming
more widely known through publications, magazines (Tefchos, Architektones, A3, Architektoniki
Antilipsi, Metapolis, Ktirio, The World 0f Buildings, etc.), exhibitions, and the informative events
to promote architectural ideas and designs that have suddenly proliferated. But this proliferation
also has its negative aspect: it can easily lead to sterile “architecture on paper” or to empty
theorizing that is unrelated to reality, and for that reason, cannot influence it.
In the blending of theory and practice, the presence of Tassos Biris (b. 1942) and Dimitris Biris (b.
1944), architects and professors at the National Technical University of Athens, is dominant. The
71
Biris brothers, with a significant architectural tradition behind them14, have received distinctions
in many competitions, mainly owing to their multi-leveled reflections on an open relationship
between buildings and the city, their interest in tradition, technology and man, their experimental
designs and expressive works, and the bold colors of their structures. The projects they have
designed in the capital, although limited in extent, have been praised for their originality, and
include buildings such as the National Tourist Organisation refreshment stand and outdoor
swimming pool at the Zea Marina in Piraeus (1970-72), their award-winning apartment building
in Polydroso, Halandri (1977-80, associate architect M. Kafritsa), the multiple-use building in
Galatsi (1976-77, associate architects Tassis Papaioannou and Maria Kafritsa), and the offices
of the construction company Elliniki Technodomiki (1998, interior decor by architect Artemis
Anninou), and others15.
The late modern and neo-modern work by architects Tassis Papaioannou (b. 1953) and Dimitris
Isaias (b. 1955) is also a product of investigation and reflection. They were distinguished in
nationwide architectural competitions (e.g. their first design award in the competition for the
National Resistance Museum and the Electra Apostolou Memorial in Neo Irakleio, which was
designed in 1989 in cooperation with architect E. Vassou). Their projects often stand out for their
originality and economy of expressive means (e.g. their duplex in Penteli 1989-92, and their office
building behind the Athens Tower, 1999). Similar reflections can be found on the part of younger
architects with theoretical interests, who intervene experimentally in both the urban and the
periurban space. I would mention indicatively the projected intervention by the architect Amalia
Kotsaki in the last unconstructed lot on Solonos Street, with the erection of the Nikotian Pianos
building (design 1999, collaborating architect Thanassis Moutsopoulos). An attempt is made on
this Athenian building to test the solution of aesthetic isolation from the street through an optic
filter which gives the building its own internal façade16.
Other architects with strong theoretical background have creatively assimilated the codes of the
prevailing current trends, the trends of post-modernism, deconstruction and neo-modernism.
Some of them create works that transcend their foreign models aesthetically. Typical examples
of such efforts are: (a) the Michaniki office complex in Maroussi, a work by architects Andreas
Kourkoulas (b. 1953) and Maria Kokkinou (b. 1956), with their colleague Yannis Peponis as
consultant and associate architects L. Giannousi, I. Ditsas, E. Leptourgou, I. Bertaki, K. Paniyiris
and T. Panou (1993-96); (b) the deconstruction-style Emfientzoglou home in Anavryta (1991-96)
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Tassos and Dimitris Biris are the sons of architect Kyprianos Biris who, apart from his voluminous interwar and
postwar architectural work, was a regular professor of construction and dean of the NTUA School of Architecture, as
well as under-secretary for Development (1974-77). Their uncle was architect Kostas Biris, who wrote the monumental book Athens from the 19th t0 the 20th century, Athens 1995.
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See the monograph devoted to the two architects in Architecture in Greece 27/ 1993 (edited by A. Giacumacatos),
pp. 44-122.
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Amalia Kotsaki has received awards in a good number of architecture competitions, the most important of which
was the European Competition Europan 2 on the theme Intervention in four squares of Medieval Rhodes in which
she collaborated with the architect Rozalia Christodoulopoulou. She also obtained the 2000 Athens Academy award
for young architects (under 40 years old).
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originally designed around a curved central corridor 200 m. long, with loosely articulated areas
and a great variety of volumes, scale and views, a work by architects Katerina Diakomidou (b.
1955), Nikos Haritos (b. 1959) and Christos Papoulias (in the first stage of the study), which was
short-listed among 35 candidates for the Fifth Mies van der Rohe Award for European Architecture;
and (c) the A. and E. Papadopoulos residence (1992) at 31 S. Karagiorga St, Aghia Paraskevi, a
bold work by architect Georgios Panetsos (b. 1960) who had both the ability and theoretical
background to express the deconstruction spirit of the age in an inspired way.
And finally, there are also young architects who have been able to get away from trendy neomodernism, i.e. from the formalist revival, or the superficial appropriation of the modern
architectural heritage. Their abilities and education make it possible for them to express the true
spirit of the Modern Movement through their own new creations and to prove its value over time.
This group includes the home in Kiourka (design 1988-89) by architect Pantelis Nicolakopoulos (b.
1954), which stands out because of its clarity and quality on all levels: composition of volumes,
articulation of functions, form, inclusion in the landscape and technology . These are virtues
reminiscent of works by the protagonists of architecture in the 1960s, Takis Zenetos, Nicos
Valsamakis and Aris Konstantinidis17.
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The residence designed by Nicolacopoulos in Kiourka was selected, as was his Emfientzoglou home, among the 35
projects to receive the Fifth Mies van der Rohe Award for European Architecture (1996). Nicolacopoulos was one of
Greece’s main participants in the 7th International Exhibition of Architecture, Venice Biennale 2000.
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Aris Konstantinidis, selezione di brani da On Architecture
(da Paola Cofano e Dimitris Konstantinidis, Aris Konstantinidis 1913 – 19993, Milano 2010)
Il problema
[...] Perché sempre, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, l’autentica architettura è stata e sarà
l’architettura per quel determinato paesaggio, I’architettura per quella determinata persona,
I’architettura per quel determinato clima [...]
Nota preliminare alla monografia Aris Konstantinidis
[...] Tutta la nostra vita, tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere sono registrati e conservati
nell’autentica opera architettonica, in modo che la qualità della nostra presenza contrassegni
il corso della storia e del mondo. E allora oggi, come in ogni “bella” epoca, ci soffermiamo su
tutte le leggi per una vita, si fa per dire, più confortevole (quante parole d’ordine salvifiche non
dilaniano la nostra carne e la nostra anima...), e vediamo nel profondo dell’anima, nel profondo
del paesaggio, persino nel profondo della luce e delle ombre della materia, che è deteriorabile
ed effimera e presuntuosa e pusillanime. E iniziamo (perché ogni volta, sempre, è come se
ricominciassimo daccapo) dai dati più fondamentali e positivi: la persona per un verso, il clima e
il paesaggio per un altro. E sulla scorta della memoria (la memoria interiore) del passato, e sulla
scorta dell’entusiasmo e della fiducia nel futuro, tentiamo di comporre, oggi per noi, uno stile
di vita semplice e comune a tutti, per edificare poi, con la mente e con il cuore, gli spazi della
nostra vita (nella lingua strettamente tecnica diremmo i contenitori della nostra vita), secondo
uno spirito che tende alla qualità totale, per quanto è consentito dalla nostra levatura, per quanto
può la nostra anima.
Infatti, soltanto se vogliamo un buono e comune stile di vita possiamo produrre un’architettura
autentica, ossia opere belle e di tutti, subordinando tutta la “tecnica” e tutta la nostra attrezzatura
meccanica e materiale a uno spirito che si batterà a favore della qualità e della verità [...]
Ogni costruzione del passato é in rapporto con le nostre attuali problematiche
[...] Vorrei dire, inoltre, che nella nostra battaglia odierna per una vita autentica e una esistenza
spirituale non bastano semplicemente il sapere contemporaneo e i mezzi (tecnici, scientifici e altri
ancora) di cui dispone la precarietà dell’oggi. E, quindi, non è soltanto del presente che abbiamo
bisogno per edificare qualcosa di contemporaneo (perché così saremmo destinati alla solitudine
e all’abbandono...), ma anche di un qualcosa del passato che, simile un donatore di sangue, ci
salverà quotidianamente, cosi come il corpo di un neonato si fa e cresce anche con il nutrimento
che accetta dai suoi padri. E la conclusione e: cerchiamo di trovare sempre, negli edifici delle
epoche più remote, lo spirito genuine dell’atemporale, dell’eterno, e su di essi esercitiamo la
nostra menta alla carriera cha la offrirà una vita a un’arte contemporanea dignitosa. E ancora:
sa noi uomini di oggi saremo genuini e autentici nella nostra più nuova formazione intellettuale,
allora riusciremo a vedere e a scoprire quella verità che aveva conquistato chi ci ha preceduto
[...]
Architettura
[...] Comunque, anche noi abbiamo oggi qualcosa di diverso nei confronti di chi ci ha preceduto: il
modo con il quale veniamo a contatto con il nostro habitat naturale. con la natura a il paesaggio.
Perché oggi amiamo il paesaggio e la natura diversamente, quando rivendichiamo di vivere in
modo più salubre, quando facciamo dello sport, quando ci rapportiamo al paesaggio a alla natura
non come immagine, ma coma spazio vitale. E viviamo nella natura, con la natura, cosi come
viviamo negli ambienti interni. E la novità, e si tratta di una novità assoluta, nell’architettura
contemporanea, é che miriamo a collegare il dentro con il fuori in UN insieme armonico.
[...] E se l’architetto è evidentemente in primo luogo soprattutto un costruttore, tuttavia egli
è, in fondo, un ispirato organizzatore della vita, che compone spazi e plasma forme, secondo
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intelligenza, vitalità e principi etici. Quando la sua opera esiste come un organismo vitale, cosi
come anche I`essere umano che ci vive e ci abita à un organismo vitale, allora l’ameremo e la
faremo nostra.
Architettura contemporanea o tradizione anonima
[...] Ma facciamoci adesso una domanda sostanziale: perché costruiamo? Perché facciamo
architettura?
“Perché la natura non è per niente confortevole, perché se la natura fosse confortevole scriveva ai suoi tempi Oscar Wilde - il genere umano non avrebbe escogitato I’architettura”. Ecco
un’osservazione e una constatazione molto giuste. Infatti, non potendo vivere completamente
nudi in mezzo alla natura, abbiamo accettato un abito per il nostro corpo, poi un tetto e delle
pareti. E abbiamo preservato il nostro corpo (dal freddo, dal caldo, dalla neve, dalla pioggia)
quando gli abbiamo dato un rivestimento (con un tessuto, con un tetto, con un muro) anche
quando costruivamo (e costruiamo) contenitori per una vita più confortevole, ossia case, in una
scala che ci si addice e per tutte le necessità, sia psichiche che materiali.
E non costruiamo, tuttavia, contro la natura, ma costruiamo con la natura, ossia in un’armonica
correlazione con essa. E poiché, come già si diceva, non abbiamo bisogni soltanto materiali,
costruiamo anche con la forza del cuore. Per vedere, cioè, la natura che ci circonda, sia con i
nostri occhi che con i nostri sensi - e con gli occhi della nostra anima - per tenere, inoltre, gli occhi
aperti, spalancati, per cogliere tutti gli aspetti che i vari paesaggi sono in grado di offrirci (colline,
montagne, pianure, terra e pietre e rocce, ma anche mari), pur senza ignorare, ovviamente,
anche le condizioni climatiche prevalenti nel vari paesaggi, perché in base a esse troveremo come
costruire di volta in volta nel modo più corretto i contenitori della nostra vita.
E così è sempre accaduto, in ogni epoca, per ogni persona e da parte di ogni persona, in tutte le
civiltà. E a questo punto vorrei sostenere che il clima (con le sue temperature, con la sua umidità
e con i suoi venti), il paesaggio (con le sue montagne e le sue colline, con la sua terra e le sue
pietre e le sue rocce e le sue acque) e il determinato momento storico e temporale, plasmano e
formano, in una certa ma decisiva misura, Io spirito e I’anima e il carattere di ogni persona (la nota
teoria di Taine). E allora vorrei ripetere che ogni architettura, come ogni persona, si sviluppa e si
modella in accordo con il paesaggio che la circonda (per non dire che la genera) e in accordo con
il clima che predomina in ogni singolo ambiente naturale, anche se altri fattori giocano un ruolo
importante: le condizioni socio - politiche, economiche e tecniche, o vincoli che dir si voglia, i
progressi scientifici e tecnologici, al pari delle svariate scoperte che spesso scuotono la tranquillità
della vita quotidiana.
Tuttavia, se e vero che tutte le civiltà e tutte le epoche si sono date la loro architettura, con
la tecnica come loro principale strumento, é altrettanto vero e certo che in tutte le epoche le
autentiche forme architettoniche si manifestavano in accordo o in rapporto con quel dato
ambiente naturale. Ed è così che tutti gli uomini si sforzano sempre di dare un qualche significato,
un qualche contenuto, un qualche schema e una qualche forma alla loro vita, costruendosi la
loro architettura con I’aiuto e la collaborazione del paesaggio naturale. In modo da farci dire che,
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nel caso dell’architettura, l’arte non e poi tanto disgiunta dalla natura. Ossia che l’architettura
elaborata dall’uomo (l’arte) non è disgiunta dall’architettura che costruisce la natura stessa, con
le sue montagne, le sue colline, le sue pianure e le sue rocce. E se talvolta in una costruzione
realizzata dall’architettura umana abbiamo l’impressione di riconoscere le linee o gli schemi o la
morfologia che caratterizzano qualche paesaggio, non dovremmo affatto stupirci se ci capiterà di
verificare, in qualche inaspettata circostanza, che un determinato paesaggio, con le sue montagne
e le sue colline, ci riporta alla memoria le linee, gli schemi e le forme che avevamo amato in una
o più opere architettoniche del nostro tempo o di un’epoca passata [...]
L’architettura oggi
[...] E quindi oggi creiamo ambienti vitali nei quali l’edificio e il paesaggio compongono insieme
un organismo - un complesso sintetico ed estetico - tale- da rendere l’architettura il nido della
nostra vita, Io spazio della nostra anima.
Ludwig Mies Van Der Rohe. Ottant ’anni
[...] Quando ero un giovane studente (1931-1936), amavo e ammiravo Mies per la sua onesta
posizione in un mondo dove ogni talento inventava ogni giorno una nuova architettura. E oggi
sono in grado di apprezzare il suo pensiero limpido e la sua creatività nel progettare artisticamente,
come qualcosa di esemplare. E se a volte mi capita di avere I’impressione che i suoi edifici
appaiono in un certo senso monotoni e molto legati al presente, e che ospita tutti i problemi
edilizi, ossia tutte le funzioni della vita, sotto Io stesso edificio - scheletro sempre identico, in modo
tale che qualsivoglia edificio (abitazione, scuola, museo, sala per concerti o addirittura chiesa) si
presenta all’esterno sempre e solo come una scatola di vetro (e quindi il suo aspetto non parla
del suo mondo interiore), devo comunque osservare che quando Mies diceva che “il minimo è il
massimo”, con questo aforisma indicava una delle strade più giuste per il futuro dell’architettura
contemporanea. E devo notare inoltre che Mies ci ha indicato, con il suo lavoro, che in architettura
sentimento e ragione, razionalità e visione onirica, devono cooperare [...]
Architettura e turismo
[...] Forse per una inquietante maggioranza del nostro Paese si pone oggi il problema del turismo
e si sostiene con fanatismo che prima di tutto si deve unilateralmente nutrire un corpo e che
prima di tutto dobbiamo soddisfare unilateralmente i nostri bisogni materiali. Come se fossimo un
popolo bambino, che per la prima volta vede la luce del monde. E in seguito - dato che c’é tempo
- pensare allo spirito e all’anima, ai principi morali e alla bellezza, all’amore, alla passione e al
sogno. Come se non sapessimo che la vita ha una sua complessità e che ciascuno (singolarmente
e tutti insieme) vive in realtà di tutto, vive del denaro, del corpo, delle spirito, della qualità, del
paesaggio e dell’arte. Per amare, per sentire, per avere accanto a sé anche amici e non soltanto
estranei. E, infine, in modo da non sfruttare soltanto ciò che ha avute gratuitamente in fatto di
paesaggio, clima, monumenti, tradizione e storia, ma vivendo tutto questo e nutrendosi della sua
bellezza. Disperazione e strazio ti assalgono quando vedi che il Paese sfiorisce perché vogliamo
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organizzare una industria del turismo senza lasciare in piedi niente d’intatto e d’incontaminato,
nemmeno l’angolo più minuscolo, nemmeno il più minuscolo paesaggio o monumento. Per
spalancare le braccia a tutti i turisti, alle folle che con il passare del tempo diventano orde,
aggressive e implacabili. E ciò che abbiamo fatto fino a oggi nella nostra quotidiana attività edilizia
(case, sobborghi ecc.), con la quale abbiamo disseminate alla rinfusa e disordinatamente, in tutti i
paesaggi, bruttezza e scompiglio e affollamento, lo trasferiamo adesso anche alle opere turistiche,
con gli insediamenti turistici, su montagne, coste e isole, in fortezze e antiche città, ignorandone
la storia e Io spirito, accanto a inestimabili siti archeologici [...]
Contenitori di vita o il problema di un’autentica architettura
[...] Ed è ciò che fece anche il primo uomo in ogni territorio, in ogni clima, cercando di trovare
un modo per proteggersi la testa e anche il corpo, di trovare una copertura per potervisi ficcare
sotto. E la trovò, prima sotto un albero o sotto una roccia sporgente o all’interno di una caverna,
e in seguito sotto una tenda (di fogIiame o di pelle) o sotto un ombrello, e queste due costruzioni
sono, direi, la prima opera architettonica. [...] L’architettura quindi ha, soprattutto e in primo
luogo, funzione di copertura a poi qualunque altra. E ogni casa è, essenzialmente, un tetto. Perciò,
ritengo cha possa facilmente esistere una casa cha sia solo tetto, cioè senza muri, sotto la quale
sentirci protetti, mentre non possiamo avere una casa fatta solo di muri, senza tetto. Perché in
questo caso non ci sentiremmo per niente a nostro agio, trovandoci con la testa scoperta [...]
Contenitori di vita o il problema di un’autentica architettura
Ma il problema non si risolve soltanto con il tetto. Intendo dire che dobbiamo trovare il modo di
fissare questo tetto a una certa altezza sopra le nostre teste. Naturalmente questo modo I’abbiamo
trovato con qualche altro sistema costruttivo, ossia con muri o con pilastri che mantengono il
tetto più in alto o più in basso. Con muri di pietre o con pilastri di legno, in questo secondo caso
costruiremo un telaio a sostegno della costruzione del tetto. Ma ai giorni nostri, anche su pilastri
di cemento può poggiere un tetto, che a sua volta è dello stesso nuovo materiale, oppure su
pilastri di acciaio, con una struttura sottile come una tela di regno che sostiene il tetto, mentre i
muri che delimitano i vari ambienti non sostengono niente.
Ho comunque l’impressione che, in tempi più remoti, anche i nostri avi, che non avevano i nuovi
materiaIi di cui disponiamo oggi, o che lavoravano quasi esclusivamente con materiali naturali
(pietra o legno), lavorassero a una struttura, persine con la pesante e corpulenta pietra. infatti,
anche quando costruivano con la pietra come si trova in natura (con il legno costruivano a loro
volta delle strutture) facevano una differenziazione tra gli elementi costruttivi, che dovevano
portare tetti o s0ffitti, e tra gli elementi che non dovevano sostenere né tetti né soffitti, ma che
delimitavano soltanto uno spazio rispetto al territorio circostante oppure separavano spazi interni
in stanze grandi e piccole. Quindi oserei dire che anche in tempi remoti il buon edificatore che
cercava di differenziare gli elementi portanti dagli elementi non portanti, costruiva a sua volta
delle strutture anche con la pietra, permetteva cioè alla pesante e corpuIenta pietra di lavorare
staticamente, come una struttura portante, perché anche allora era di primaria importanza dare
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sostegno a un tetto prima, e poi chiudere i vari spazi con dei muri. E, nei limiti che la pietra gli
imponeva, l’antico artigiano ne limitava le dimensioni per costruire anche pilastri sempre di pietra.
come possiamo verificare non solo nei templi antichi, ma anche nelle chiese gotiche, nelle quali
il loro primordiale spirito costruttivo esige una struttura portante nella misura in cui Io consente
il materiale della pietra. Una struttura che si presenta un po’ corpulenta e più monumentale,
mentre le nostre strutture a telaio odierne (di cemento armato e di acciaio) si rivelano più sottili
e leggere. Le chiese gotiche si ergono ancora oggi come se fossero costruite con uno dei nostri
odierni materiali, come se fossero telai (nella loro struttura costruttiva) di cemento armato,
mentre sono di pietra. E con un’audacia, un’audacia costruttiva, che è davvero ammirevole e nello
stesso tempo d’avanguardia.
A questo punto s’impone una conclusione: l’architettura nacque in ogni luogo per offrire un tetto,
per coprire. E, costruttivamente, l’architettura cerca di trovare una struttura che sosterrà un tetto
ad una determinata altezza sopra la superficie della terra. E compone spazi, interni ed esterni, a
seconda del clima di ogni luogo. E dove il clima è inospitale e il paesaggio buio, l’uomo si chiude
dentro. Mentre là dove il clima è mite e ospitale e il paesaggio bello e luminoso, l’uomo vuole
stare fuori. E tutto il gioco in architettura sta, quindi, nell’organizzare lo spazio del paesaggio in
modo da viverci bene e comodi, in ambienti talora più chiusi, talora più aperti e, molto spesso,
contemporaneamente in ambienti chusi o aperti o semiaperti, in stanze, cioè, e in cortili, ma
anche sotto tettoie e porticati. Infatti, da che mondo è mondo, in tutti i paesaggi e in tutte le
epoche (sempre in relazione al clima del posto), l’uomo non ha costruito soltanto ambienti chiusi
o aperti, ma ha costruito anche ambienti semiaperti, ambienti di passaggio che stavano tra il
dentro e il fuori. Per consentire a tutti di passare nelle loro occupazioni quotidiane (sia negli edifici
pubblici che privati) moltissime ore sotto porticati, tettoie e vestiboli. E non solo nelle località
più meridionali e calde dove |’architettura aveva vissuto, già nei tempi più remoti, i suoi momenti
più felici con porticati e tettoie in ogni edificio, ma persino nelle località più settentrionali, umide
e buie. Anche lì, infatti, c’erano alcune città (e case) fin dall’antichità comode e belle, perché
anche i nordici modellavano gli edifici e le piazze delle loro città con porticati, tettoie e atri. Non
tanto, forse, per imitare coloro che vivevano in climi più caldi, ma perché anche nei climi nordici è
possibile stare e muoversi, con il freddo e con la pioggia, sotto un porticato e sotto una tettoia, in
uno spazio di passaggio semiaperto, e sentirsi comodi e a proprio agio e godersi la vita [...]
Nell’architettura greca gli spazi di passaggio semiaperti furono sempre un elemento primordiale,
organico e compositivo. Cortili, tettoie e vestiboli a Cnosso e a Festo, nei monasteri bizantini, cortili
e tettoie anche nelle semplici case, a partire dai tempi di Omero fino a oggi, laddove l’architettura
greca è anonima ed esprime ciò che esigono il paesaggio e la natura, in conformità a quanto tutti
gli abitanti dello stesso paesaggio vedono e si curano di avere come necessario e indispensabile
[...] Quanto più anche oggi ci sforziamo di perseguire qualità e perfezione (per cos’altro vale la
pena sforzarsi?), tanto più vediamo emergere soluzioni che già in passato, in tempi molto remoti,
erano emerse per l’uomo e per il sue ambiente naturale, ossia per ogni singolo paesaggio. Ogni
edificio spunta (e l’architettura è questo) in ogni singolo paesaggio, al pari di un albero o di una
pianta, per formare un tutt’uno.
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Ma perché tutto ciò (pur così ovvio) accada serve innanzi tutto qualcos’altro: una fiducia e un
amore per la vita di oggi come per l’uomo nuovo. Allora il primo e basilare punto di partenza
per qualcosa di contemporaneo non possono che essere la vita odierna e I’uomo odierno. E non
importa se ciò che costruiamo è nuovo o senza precedenti, ma se ciò che costruiamo è qualcosa
di necessario e di autentico. Perché, come disse giustamente un saggio (Lichtenberg): “Il nuovo
non è sempre vero e il vero non è sempre nuovo”. E nell’opera architettonica che è contenitore
di vita, non vediamo un eccentrico gioco dettato dalla moda o il parto che vuole essere la
dimostrazione di una qualche ricchezza e imposizione e violenza sociale (oppure un’orgia di
funambolismo tecnico), ma ci vediamo la personificazione di tutto il nostro essere, l’espressione
del nostro mondo interiore, in una Iingua che ne salvaguarderà lo spirito, l’equilibrio e la qualità.
E in questo caso, I’autentica architettura (per ogni luogo e per ogni persona) non è una entità
plastica immota, davanti alla quale ci poniamo come semplici spettatori soltanto per riverirla,
ma è una cosa viva alla quale lavoriamo e con la quale viviamo (e che a sua volta vive con noi),
nello spazio del paesaggio e nel suo proprio spazio, ma anche nella durata della sua vita. Dunque
niente è per definizione ultimato una volta per tutte. Ma tutto, cioè ogni opera architettonica
autentica, è qualcosa d’incompiuto e questa sua incompiutezza ne costituisce la sua compiutezza
in quanto, per vivere davvero deve poter essere ricreato assecondando ogni nuova necessità
della vita. Simile a uno strumento flessibile (strumento di vita) che ingrandisce o rimpicciolisce
per accogliere quanto e veramente reale e necessario, oggi e domani e dopodomani. E che sarà
anche bello (e soltanto così sarà realmente bello) poiché risolverà nel corso degli anni problemi
vitali basilari e fondamentali affrontandoli come disse il poeta (Goethe) “con occhi che sentono e
mani che vedono”.
Una lettera aperta
[...] E non resisto alla tentazione, carissimo signor Doumanis, di non ricordarmi adesso di un
caso molto pertinente e caratteristico (non bisogna dimenticarsi di niente: il passato illumina il
presente e viceversa).
Un caso reale che mostra chiaramente quale linea e quale tesi lei segua a proposito di questo così
bollente problema dell’architettura nel nostro Paese, nel momento in cui molti di noi architetti, con
gran fatica e travaglio, ci sforziamo di fondare un’architettura autentica. Che in quanto autentica,
sarà anche greca. Quando, cioè, anche lei permette che vengano alla superficie della nostra vita
architettonica opere architettoniche che si contrappongono alla verità e a quanto è imperiosamente
utile e necessario. Promuovendole largamente e “senza prudenza, senza pietà, senza pudore” (per
ricorrere ancora una volta a Kavafis) quando lei dovrebbe quanto meno ignorarle. Come lei fece
in quel direi incredibile parto pubblicato nel fascicolo 2/1971di Problematiche degli spazi interni,
una sua edizione parallela accanto ad Architecture in Greece, alle pagine 57-66. Un’architettura
assolutamente proibitiva - e non lo dico solo io... – per i nostri giorni. E in uno spirito di frainteso
eclettismo (ammesso che l’eclettismo abbia una qualche giustificazione nell’architettura della
nostra epoca), dove tra spazi interni ed esterni s’intrecciano, verbosamente, pletoricamente,
ostentatamente e con cattivo gusto, i più incredibili elementi tradizionali: terrecotte di frontoni
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di edifici classicheggianti incorporati nel piedistallo di un tavolo in muratura; architravi cicladici a
loro volta incorporati, I’uno sopra l’altro, in un muro: croci scolpite e candelieri di vecchie chiese
un po’ qua, un po’ là in posizioni strategiche; vecchie cassepanche, una grata di una moschea
musulmana; un tavolo ispanico accanto a icone bizantine, e un vassoio d’argento della corazzata
Averoff [...]; e vasche e fontane e imboccature di pozzi, che sono stati sistemati e disposti in
posizione verticale nei cortili perché fanno una bella decorazione, come spiega con grande
modestia il proprietario (tipo castellano) nella Abitazione a Liopessi. E tutto ciò naturalmente
combinato con le esigenze della vita contemporanea (bagni rivestiti di marmo, celle frigorifere
e cucine rivestite a loro volta di tavole di legno...) per valorizzare e preservare [...] la tradizione
greca. Come chiarisce il castellano quando fa da guida ai turisti che vengono a vedere la grande
impresa (ci sono capitato anch’io in una simile visita guidata) e tutti, o quasi tutti i turisti se ne
vanno affascinati ed entusiasti. Come entusiasta e (a buon diritto) anche il cicerone, perché su
un tavolo ha collocato, come per caso, anche il suo suscitato fascicolo (il 2/1971di Problematiche
degli spazi interni), nel quale è presentato il suo lavoro [...] riconosciuto anche da una rivista di
architettura [...]
Mykonos
[...] La verità e che il bianco della calce nell’Egeo, sotto un cielo e un sole così luminosi, diventa
spesso - e quando il paesaggio è quasi del tutto privo di alberi - fastidioso e accecante per gli occhi.
Per un altro verso, tuttavia, combatte in un certo senso il caldo e mantiene le case fresche, come
se le rivestisse di un abito bianco, Io stesso che molte persone indossano d’estate per preservare
il loro corpo dalla calura. Forse è questa una ragione per cui a Mykonos tutte le case sono bianche.
Bianche come se fossero africane e non greche, quando i colori di Polignoto (il colore del mattone
abbinato all’ocra e al nero o anche all’indaco) legano meglio ogni casa tinteggiata in questo modo
con il paesaggio che la circonda. Cioè con il paesaggio greco, il cui grande pregio non risiede
soltanto nella sua qualità plastica e nella sua nitidezza, ma anche nella sua bellezza cromatica.
Quindi, anche ogni architettura che si voglia integrare bene in questo paesaggio greco (e sotto
un sole accecante), non può che mostrare di amalgamarsi anche con il colore. Combinazione che
era stata risolta molto felicemente degli antichi Greci nei loro templi e nelle loro sculture, i quali,
come diceva cosi giustamente Rodin, cercavano e trovavano le forme insieme al colore. E, come
dice ancora Io stesso scultore, la forma ben modellata offre il colore, e il bel colore offre, ossia
sorregge e giustifica, la figura tutta intera.
Eppure questo candore che intende rinfrescare le case e che le mantiene pulite, ha una sua
bellezza e grazia, anche se acceca e non amalgama ogni edificio con il suo ambiente naturale.
Perché questo generalizzato imbiancare con la calce viva ha anche, forse, una sua bellezza morale,
volendo mostrare, come se si trattasse di una legge a sua volta morale, che anche I’anima (e non
solo il corpo), e la vita umana nella sua totalità, vogliono e devono essere lavate e pulite [...]
Ma, prima di abbandonare queste case con una sola stanza, osserviamo qualche altra casa,
anch’essa disseminata in campi a pendii, parsino su arenili, cioè le piccole cappelle dell’isola, cha
tanto assomigliano, nella loro pianta, alla casa con una sola stanza, anche se queste ultime sono
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case par esseri umani, mentre le prime sono case di Dio. Infatti, là dove nelle casette si trova il
mezzanino par dormire, nelle cappelle si trova l`altare, dietro una piccola iconostasi. E ancora:
coma nella casetta con un solo ambiante, davanti alla porta c’è un piccolo cortile, così nella cappella
c’è un piccolo sagrato. Si potrà così osservare che entrambe, casa a cappella, sono elaborate
secondo Io stesso modello, se non con le stesse dimensioni. Una soluzione formale comune per
Dio a per |’uomo, par cui sia l’uno cha l’altro abitano gli stessi ambienti. Tra le due una piccola
differenza esiste: la cappella è alloggiata in una copertura ogivale, mentre la casetta à coperta
da una terrazza orizzontale. Si tratta, direi, dell’unico elemento morfologico cha ci permette di
distinguere questa casetta dalla cappella. Perché nel loro aspetto esteriore, a in particolare nella
loro facciata, casetta e cappella si stagliano con la stessa fisionomia, come volti umani, con occhi
che ti guardano e con bocche che parlano. E che ti sfidano, quindi, a conoscerla anche nel loro
spazio interno che, in particolare nella cappella, ti offrirà un’ulteriore gioia, una sorta di stupore
inaspettato. E questo stupore te lo causa la piccola iconostasi lignea tinteggiata con colori intensi,
gli stessi dalle barche a dei caicchi, luminosi a pieni di vita, che diventano ancora più espressivi
grazie alle tendine di semplice cotonina sempre dai colori vivaci, che ogni donna compera nei
negozi giù al porto, e con i lumi ad olio accesi dalla mattina alla sera e le piccole icone, la maggior
parte delle quali sono ben fatte. E se la facciata esterna, in ogni cappella, appare simile a un volto,
come ho già detto, ogni piccola iconostasi ti si presenta come un ricco abito di buona fattura sul
corpo snello di una ragazzina.[...]
La semplice verità é che in questa isola, Mykonos (come succede anche in altri paesaggi greci),
che si tratti di case, di chiese, di cappelle, di mulini a vento, di colombaie, di muri di cinta, di
muretti, di cortili lastricati, di vicoli o vicoletti, ovunque o comunque s’impongono la qualità, fatta
di vita o di luce, e forme ben tratteggiate, testimonianze di un linguaggio sublime. Quando cioè
ogni edificio, ogni architettura é come un pensiero, come una profonda meditazione, come un
atto poetico (“poeticamente abita |’uomo [...]”, diceva Holderlin in una delle sue ultime poesie)
in un mondo che non può essere soltanto razionale, quando può essere anche bello [...]
Architettura e tradizione, con riferimento al programma dell’EOT sugli insediamenti tradizionali
[...] Tradizione non significa copiare gli elementi morfologici esteriori della vecchia casa, e se
Io facciamo con materiali e criteri costruttivi contemporanei non produciamo architettura, ma
scenografia. Mantenere in vita la tradizione significa essere uomini del proprio tempo e produrre
opere moderne e innovatrici. Quindi mantenere in vita la tradizione non significherà dare vita alle
stesse case di ogni epoca del passato (quale altra epoca con ambizioni creative Io ha mai fatto?),
ma vorrà dire bandirla per sostituirla con altre nuove, in quanto i vecchi edifici li vedrai come
defunti, cosi come quando una persona anziana cessa di vivere carica di anni, il suo posto viene
preso da un suo giovane discendente [...]
Arte contemporanea a tradizione
[...] Ciò che chiamiamo tradizione altro non è che la vera essenza che ogni epoca (intenzionalmente
o anche involontariamente) trasmette all’epoca successiva, e che |’epoca più recente accoglie
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consapevolmente, avendola prima trovata - o meglio, ritrovata - attraverso una sua forza più
moderna e fiduciosa. E ciò naturalmente significa che I’epoca più moderna accoglie le vecchie
verità, poiché essa ha prima trovato autonomamente la propria verità, constatando allora che,
quanto avevano trovato, detto e creato a modo loro gli antichi, Io trovano, Io dicono e Io creano di
nuovo, identico e invariato nella sua sostanza essenziale, i loro eredi, in un modo tutto loro. Infatti
succede questo: mentre oggi ci affanniamo a creare qualcosa di perfetto e di autentico (se no a
che pro faticare tanto?) vediamo che riusciamo a creare cosa che sono esistite già tantissimi anni
fa. E allora a come se ogni nuova epoca non possa creare niente di originala, dato cha tutto già
preesiste. Ma si tratta di una constatazione cha non ha nessuna connotazione negativa per ogni
epoca cha sia via via succeduta e per ogni creazione artistica contemporanea. Anzi, presenta una
connotazione positiva, se siamo disposti ad accettare (e dovremmo farlo se c’importa lavorare
con autenticità) che può esistere qualcosa di autenticamente contemporaneo, di perfetto per il
giorno d’oggi, proprio perché ieri è preesistito qualcosa di autentico a di perfetto e sia perché in
seguito verrà qualcosa di perfetto a di autentico, in un domani, in una qualche epoca futura cha a
sua volta racchiuderà in sé il mondo di una autenticità a di una perfezione sempiterne [...]
82
Yannis Aesopos, Polykatoikia as an Urban Unit
(pubblicato come Die ‘Polykatoikia’ als Modul der modernen Stad, in Bauwelt, nr.29, 2004)
The infinite repetition of these indifferent buildings (the
polykatoikias)…creates, in the end, a particularly civilised level of
urban construction, with no other like it in any other place of the
contemporary world.
Kenneth Frampton, 1987
Urban Unit: Structure and Program
What took place during the after-War modernisation period of the 1950s and 1960s in Greece
was a rapid urbanization process that transformed the Greek cities into large urban centers
–modern cities par excellence– based on the development and the infinite repetition, in numerous
variations, of the flexible, multi-programmatic building type of the poly-katoikia (= multi-dwelling),
the apartment building, which can be considered as the contemporary Greek city’s “urban unit”.
The polykatoikia is the Greek realisation of Le Corbusier’s “Dom-ino System”: a concrete frame
of repetitive concrete slabs that incorporates a staircase and an elevator shaft. The result is
a building type that offers construction simplicity, economy and durability, a prototype to be
repeated infinitely, a basis for a new vernacular architecture of modernity.
Based on its structural logic –concrete frame and non-bearing walls- the polykatoikia can be
completed and occupied in stages remaining for periods of time in an unfinished state. In fact,
the building’s state and degree of completion often represents the inhabitants’ family condition:
as the family expands, an additional floor or part of a floor can be completed to offer living space
for the new family members.
The polykatoikia’s program, though initially prescribed as housing (remember: polykatoikia =
multi-dwelling), is adapted to the flexible construction system offering innumerable alternatives:
housing, office, ministry, store, warehouse, manufacture, restaurant, laboratory, super market,
coffee-shop, fast-food restaurant, furniture exhibition space, bar, car-repair shop.
Constructing the City
The polykatoikia’s success in offering a pragmatic response to the pressing demands of
modernisation was manifested through its repétition différente and resulted in an intense “private
urbanisation” that led to the construction of a “private city” made up of repetitive polykatoikias.
This private urbanisation process, often with minimum organization or programming, produced
space that was indeed based on the small-to-medium scale of the unit itself and not on any largescale organising master plans. Due to the pressing character of this process, no time or attention
was paid by neither the state nor the architects to the design and significance of public space
which remained undesigned and neglected and constantly treated as a residue of private space.
The small-to-medium scale character of the contemporary Greek city was also fostered by the
division of urban land into small lots that suggested multiple smallsize land-owners and an increased
difficulty for any large-scale development. At the same time, contrary to what took place in other
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European countries, the Greek state chose not to be involved in housing production, giving up the
entire field to private small-to-medium size contactors. The contractors did not actually purchase
the lot on which they would build, but rather, through the system of “antiparochi”, took hold of
the land by exchanging it with a percentage of the future building, a specific number of future
apartments.
Legal Framework
The development of the polykatoikia can be viewed through the development and transformations
of the building regulation that was each time in effect. The most important General Building
Regulations (GBR) that operated as the legal framework for the production of the Greek
polykatoikias were those of 1929, 1955, 1973 and 1985. The polykatoikia started its life before
World War II as a high-income urban dwelling produced in small quantities. Prerequisite for its
existence was a law passed by the Greek government in 1929 that instituted horizontal property;
from then on parts of the same building could belong to different owners. This law acted as a
precursor to the first GBR that was passed in the same year. The 1929 GBR specified maximum
street elevation height at 120% of the street’s width; beyond this height one top floor apartment
could be set back from the elevation (the “retiré” apartment). The same GBR allowed balconies
as well as enclosed volumes (the “Erker”) to cantilever 1.40 meter from the building’s elevation,
producing interesting sculptural plays on the building’s street elevation. The buildings constructed
according to the 1929 GBR were the first modern architectural realizations in Greece and are
collectively known as the “Bauhaus polykatoikias”.
As already mentioned earlier, Greece’s post-War reconstruction effort led to the rapid urbanization
of the country’s major cities, especially Athens. The polykatoikia was the unit of this urbanization
process and the vehicle for economic development. The first post-War General Building Regulation
passed in 1955 sought to support the building boom that was under way. It disengaged the street
elevation height from the total building height, a regulation that resulted in the production of
more and wider “retirés” (set-back apartments) and a stepped section; the retirés, though not as
large in surface as other apartments on lower floors, provided large verandas usually packed with
plants or even trees and soon became the most expensive apartments of the polykatoikia. The
1955 GBR also prescribed covered ground-level spaces (“stoas”) that belonged to the building’s
volume but were of public use to be realised as a continuation of the street; this way street-level
activities and especially commerce would be enhanced in the congested urban centers. The 1955
GBR instituted construction of free-standing polykatoikias for the development of the suburbs
and abolished enclosed cantilevered volumes (“Erkers”), allowing only balconies to protrude
beyond the street building line. This way, the defined, surface-based sculptural play of street-front
elevations of the pre-War period was replaced by an infinite number of cantilevering balcony slabs
generating fragmented street elevations that blurred the limit between interior and exterior and
instigated the perception of Greek urban space as a formless, homogeneous whole. It is exactly
this obscure formal constitution of the Greek city that provokes to most people anxiety and,
often, repulsion towards the city itself. The spatial coexistence of stoas, balconies, retirés that
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the GBR fostered produced all the significant examples of polykatoikias of the 1950s and 1960s
that are still reference projects of the specific building type. I am here refering to the Polykatoikia
on Amalias Avenue in Athens (1959-1960) by Takis Zenetos and Margaritis Apostolidis, the
Polykatoikia on Vassilisis Sofias Avenue in Athens (1955) and the Polykatoikia on Kifissias Avenue
in Athens (1957-58) both by Nikos Valsamakis, the “Assyrmatos” Polykatoikia in Athens (1967) by
Elli Vassilikioti working for the Housing Service of the Ministry of Public Works, the Polykatoikia
on Papadiamantopoulou Street in Athens (1954-57) by Ioannis Liapis and Elias Scroumbelos and,
finally, the Polykatoikia on Deinokratous Street in Athens (1960-62) by Thales Argyropoulos and
Constantin Decavalla.
In 1973 a new GBR was passed in many ways similar to the one of 1955. A key new feature of this
GBR was the introduction of the empty ground-level entrance space defined only by columns (the
“pilotis”) whose surface did not count as part of the total building surface. The pilotis were meant
to expand the space of the street by lifting the buildings from the ground.
In 1985 a new GBR was passed based on a different logic: the building had to be included within
an “ideal prism” (a three dimensional enclosure defined by the street width and the maximum
building height). Additional to the use of balconies the 1985 GBR introduced the use of semicovered space, a covered space defined by three walls but with an open façade. With the 1985 GBR
the use pilotis was expanded; however, given that the GBR did not require obligatory underground
parking, in most cases, the pilotis ended up being used as a congested parking space. No longer
having to mark the building’s elevation on the street building line, the 1985 GBR produced an
infinite number of volumetric experimentations within the three-dimensional boundaries of the
ideal prism, more complex designs that were distanced from the initial repetitive floor plan and
floor elevation designs of the 1950s and 1960s. The noteworthy examples of polykatoikias of
this most recent period seek to break down the repetitive floor and elevation structure either
by creating a sculptural play through the grouping of parts of the building together and the
production of smaller, identifiable units within the whole or by questioning the polykatoikia’s
constituent elements -the pilotis, the balconies and the retirés- through the elaboration of the
building’s section.
Architecture and the City
The architecture of the polykatoikia from the 1950s onwards produced the architecture of the
contemporary Greek city. Together with the non-designed public space they constitute the abstract
framework for the exchange between private and public. Roof-tops, various-size linear balconies
with coloured awnings, ground-level stoas and pilotis, upper-floor retirés and erkers as well as the
unfinished, evertransformable state of the buildings operate as physical tools for the realization
of a fragmented urban facade, a soft border between public and private. The sense of a spatial
flow between interior and exterior, private and public, goes hand-in-hand with a programmatic
flow: private life spills into the street and its sidewalks, partially occupying them, appropriating
them, transforming them, destroying them, becoming public life; public life expands into the
buildings, exploring them, peeking into their interiors, revealing private life. The public space
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of the contemporary Greek city, in its manifold expressions (streets, empty lots, small and large
squares, street expansions, waterfronts, sidewalks, small alleys, stoas, building interiors), its
minimum configurations and design presence, is a field of random flows of activity, an ‘intelligent
landscape’ where hedonistic experience is introduced through density and indeterminacy of
events, unpredictability of views, improvisation of movements.
The simultaneous sense of excitement –produced by the unpredictable and the transformable–
and disenchantment –produced by the banal and the neglected– that the city provokes establishes
a continuous condition of alertness. The modern, abstract, repetitive (however different)
architecture of the polykatoikia in its manifold expressions is the basis of this condition.
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CRONOLOGIA DEI PRINCIPALI AVVENIMENTI DEL NOVECENTO IN GRECIA
All’inizio del secolo
Come negli altri paesi che hanno conosciuto la dominazione turca e la severa chiesa ortodossa,
la società greca si presentava chiusa e autoritaria, con un potere concentrato nelle mani dei
latifondisti e dei militari, oltre che degli uomini di chiesa. Corruzione, brigantaggio e lotta politica
violenta furono elementi costanti della storia greca.
1919-1922
Si ebbe la dura guerra contro la Turchia che si concluse in maniera disastrosa, con un gran numero
di profughi provenienti da quel paese e che mise fine alla millenaria presenza greca in Anatolia.
1930
Dopo gli anni del governo liberale di Venizelos che aveva tentato una politica di pacificazione con i
paesi vicini si ebbe, nel periodo successivo alla crisi del 1929, la dittatura nazionalista di Metaxas.
La nuova dittatura si ispirava ai regimi fascista e nazista di Italia e Germania, e come questi dava
luogo a una sorta di paternalismo popolare che si concretizzava in alcune iniziative di legislazione
sociale.
1940
Il paese venne invaso dall’Italia, e successivamente dall’esercito tedesco e bulgaro che imposero il
consueto brutale regime di occupazione conosciuto dagli altri paesi soggetti al nazismo. La Grecia
fu uno dei paesi che conobbe le maggiori sofferenze durante la guerra e fra il 1941 e 1942 si ebbe
una grave carestia che contribuì alla degenerazione della vita del paese.
Ottobre 1944
Atene venne liberata dai britannici e venne insediato un governo di unità nazionale comprendente
anche i comunisti, presieduto dal socialdemocratico Papandreu. Il governo ebbe vita brevissima,
il 3 dicembre si tenne una manifestazione comunista che degenerò in scontri, e le truppe
britanniche dovettero faticare moltissimo per riconquistare la città. Comunque il governo inglese
si adoperò per una mediazione, venne nominato reggente della Corona l’arcivescovo Damaskinos,
personaggio molto apprezzato dalla popolazione.
Febbraio 1945
A Yalta Stati Uniti e Unione Sovietica si spartiscono le rispettive zone di influenza in Grecia ed
esercitano (soprattutto gli USA) il controllo sulle formazioni politiche dello Stato. La casa reale
è debole e compromessa, gruppi estremistici di destra e di sinistra indeboliscono lo Stato e
fomentano le tensioni sociali.
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1945
Nel 1945 scoppia la guerra civile che sconvolgerà il paese fino al 1949.
1949-1967
Dopo la guerra civile il paese viene retto da coalizioni di centro con maggioranza instabile e la CIA
agisce facilmente su qualsiasi iniziativa governativa. In vista delle elezioni fissate per il 1967 vari
gruppi di ufficiali si coalizzano meditando iniziative per impedire che l’Unione di Centro ottenga
la maggioranza in Parlamento.
21 aprile 1967
Papadopoulos entra nello Stato Maggiore e annuncia il colpo di Stato. Il re Costantino II non si
oppone sostanzialmente, ma ottiene la concessione che nella formazione del nuovo governo sia
un civile a detenere la carica di primo ministro. Formalmente viene mantenuta la legalità.
Inizia la dittatura dei colonnelli altresì detta La Giunta. (salvaguardia del’identità nazionale e
religiosa in chiave anticomunista).
13 dicembre 1967
Costantino II progetta un contro colpo di stato e insieme alla famiglia e al primo ministro vola a
Kavala (nord della Grecia) dove lo attende un controllo militare fedele della corona. Anche marina
e aereonautica si dichiarano fedeli al re. In poche ore i quadri intermedi dell’esercito arrestano i
generali monarchici e marciano verso Kavala.
14 dicembre 1967
Costantino II fugge a Roma e ci resta fino alla fine della Giunta e dopo il referendum di abolizione
della monarchia, quindi non rientrerà mai più in Grecia da monarca.
13 agosto 1968
Tentativo di assassinare Papadopoulos.
11 novembre 1968
I funerali di Papandreu (leader liberale) si trasformano in una manifestazione contro la Giunta.
19 settembre 1970
Uno studente si da fuoco a piazza Matteotti a Genova per protestare contro la Giunta.
1972
La Grecia esce dal Consiglio d’Europa per prevenire l’espulsione.
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1973
Referendum per l’abolizione della monarchia e per l’approvazione di una nuova costituzione.
Grazie ai brogli il testo viene approvato quasi all’unanimità. Il 1 giungo Papadopoulos viene
nominato presidente della repubblica.
14 novembre 1973
Gli studenti del Politecnico di Atene si barricano nell’università, entrano in sciopero e allestiscono
una stazione radio. Migliaia di lavoratori si uniscono alla protesta degli studenti.
17 novembre 1973
Un carro armato abbatte i cancelli del Politecnico. Negli scontri che seguono all’intervento restano
uccisi 24 civili.
25 novembre 1973
Il generale Dimitrios Ioannides rimuove dal potere Papadopoulos tentando comunque di
mantenere il potere nelle mani dei militari.
Luglio 1974
Il tentativo di Ioannides di rovesciare l’arcivescovo Makarios III, presidente di Cipro, attraverso un
colpo di stato militare condotto dall’organizzazione filo-ellenica EOKA-B condusse la Grecia sull’orlo
della guerra con la Turchia: l’arcivescovo come risposta all’azione greca, invade militarmente la
parte nord dell’isola instaurando un governo filo-turco, non riconosciuto dal diritto internazionale.
La prospettiva della guerra contro la Turchia fece sì che una parte degli ufficiali più anziani togliesse
il suo appoggio alla Giunta ed a Ioannides. I membri della giunta militare, dopo aver nominato
presidente Phaedon Gizikis, convocarono una riunione di uomini politici con l’obiettivo di formare
un governo di unità nazionale che portasse il paese alle elezioni. Essendo stata osteggiata
l’originaria ipotesi di affidare l’incarico di primo ministro a Panagiotis Kanellopoulos, il presidente
Gizikis infine si risolse a proporre l’incarico a Konstantinos Karamanlis, che dal 1963 risiedeva a
Parigi dopo essere stato più volte primo ministro negli anni ‘50. Karamanlis accettò e giunse ad
Atene a bordo dell’aereo personale del presidente francese Giscard d’Estaing.
Elezioni del novembre 1974
Vittoria di Nuova democrazia, partito fondato da Karamanlis che viene confermato nel ruolo di
primo ministro.
8 dicembre 1974
Con un nuovo referendum viene definitivamente abrogata la monarchia.
Viene varata una nuova costituzione e viene nominato presidente della repubblica Tsatsos.
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maggio del 1975
I rappresentanti del regime militare vengono condannati a morte ma la pena è commutata in
ergastolo. Il tribunale speciale continua le sue sessioni fino al 1977.
28 maggio 1979
Viene firmato il trattato per regolare l’ingresso del paese nel Mercato Comune Europeo.
18 ottobre 1981
Il Partito socialista di Papandreu (figlio) vince le elezioni e Nuova Democrazia passa
all’opposizione.
1988
Scoppia lo scandalo Koskotas che avrebbe comportato la sconfitta del Pasok alle elezioni e il rinvio
a giudizio di Andreas Papandreou. Inizia una fase di governi transitori.
1990/1993
Il Partito conservatore torna a governare, seppure con una maggioranza risicata, con Costantino
Mitsotakis.
10 ottobre 1993
Il Partito Socialista riprende il governo e Papandreu, che nel frattempo è stato assolto dalle
accuse di implicazione nello scandalo Koskotas, riceve il suo terzo mandato come presidente della
Repubblica.
1996
Papandreu da le dimissioni e lo sostituisce Costas Simitis.
7 marzo 2004
Si interrompe l’egemonia del Pasok, vince le elezioni Costas Karamanlis del partito dei neo
conservatori
Ottobre 2009
Il Pasok torna a governare il paese con Papandreou (nipote) in una condizione di crisi economica
che compromette l’andamento del paese da un paio di anni.
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INDICE ANAGRAFICO DEI PROGETTISTI GRECI DEL NOVECENTO
1° generazione
Ernst ZILLER (1837 – 1923)
Vitaliano POSELLI (1838 – 1918)
Piero ARRIGONI (1856 – 1940)
Anastasios METAXAS (1863 – 1937)
Xenophon PAIONIDIS (1863 – 1933)
Vasileios KOUREMENOS (1874 – 1957)
Alexandros NIKOLOUDIS (1874 – 1944)
Emmanouil KRIEZIS (1880 – 1967)
Constantinos KIRIAKIDIS (1881 – 1942)
Dimitrios KYRIAKOS (1881 – 1971)
Eli MODIANO ( 1881 – 1968)
Aristotelis ZACHOS (1872 – 1939)
Vasileios G. TSAGRIS (1882 – 1942)
2° generazione
Dimitris PIKIONIS (1887 – 1968)
Kostas KITSIKI (1892 – 1969)
Dimitris FOTIADIS (1894 – 1974)
Emmanouil LAZARIDIS (1894 – 1961)
Panos N. TZELEPIS (P. N. DJELEPY)
(1894 – 1978)
Leonidas BONIS (1896 – 1963)
Georgios KONTOLEON (1896 – 1952)
Nikos MITSAKIS (1899 – 1941)
Rennos KOUTSOURIS (1901 – 1998)
Kiriakos PANAYOTAKOS (1902 – 1982)
Ioannis DESPOTOPOULOS (Jean DESPO)
(1903 – 1992)
Patroklos KARANTINOS (1903 – 1976)
Vasileios DOURAS (1904 – 1981)
Vasileios KASSANDRAS (1904 – 1973)
Kimon LASKARIS (1905 – 1978)
Periklis SAKELLARIOS (1905 – 1985)
Emmanouil VOUREKAS (1905 – 1993)
Stamo PAPADAKI (1906)
Polyvios MICHAILIDIS (1907-1960)
Thoukydidis VALENTIS (1908 – 1982)
Achilleas SPANOS (1909 – 1975)
Cleon CRANTONELLIS (1912 – 1978)
Arthouros SCHEEPERS (1912)
Prokopis VASSILIADIS (1912 – 1977)
3° generazione
Constantinos DOXIADIS (1913 – 1975)
Aris KONSTANTINIDIS (1913 – 1993)
Aristomenis PROVELENGHIOS (1914)
Pavlos MYLONAS (1915)
Titos KOURAVELOS (1921)
Elias SKROUMBELOS (1921)
Yannis LIAPIS (1922 – 1993)
Thalis AGRYPOULOS (1923)
Iason RIZOS (1923 – 1997)
Ippolytos PAPAILIOPOULOS (1924 – 1982)
Nicos VALSAMAKIS (1924)
Constantinos DECAVALLAS (1925)
Nikos DESSYLLAS (1926)
Andreas SIMEON (1926)
Takis ZENETOS (1926 – 1977)
Dimitris FATOUROS (1928)
Alexandros COLLAROS (1929)
Dimitris KOUTSOUDAKIS (1930)
Panayotis VOKOTOPOULOS (1930) (abps)
4° generazione
Nikos SAPOUNTZIS (1931)
Ioannis VIKELAS (1931)
Vassilis BOGAKOS (1932)
Vassilis GRIGORIADIS (1932)
Alexandros S. KALLIGAS (1932)
Dimitris ANTONAKAKIS (1933) (con Suzana
ANTONAKAKIS)
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Savas CONDARATOS (1933)
Kostas FINES (1933)
Panos KOULERMOS (1933)
Antonis LAMBAKIS ( 1933 – 1992)
Pavlos LOUKAKIS (1933)
Ioanna BENEHOUTSOU (1934)
Dimitris KONTARGYRIS (1934)
Constantinos PAPAIOANNOU (1934)
Thymio PAPAYANNIS (1934)
Vassilis SGOUTAS (1934)
Suzana ANTONAKAKIS (1935) (con Dimitris
ANTONAKAKIS)
Nikos KALOGERAS (1935)
Antonis STYLIANIDIS (1936)
(con Vanghelis STYLIANIDIS)
Kyriakos KIRIAKIDIS (1937)
Yorgos MANETAS (1937) (con Eleni MANETAS)
Manos PERRAKIS (1937)
Spyros AMOURGIS (1938)
Lazaros KALYVITIS (1938)
Seva KARAKOSTA (1938)
Yorgos THEODOSSOPOULOS (1938 – 1998)
Eleni MANETAS (1939) (con Yorgos MANETAS)
Yorgos PANTOPOULOS (1939 – 1994)
Elias PAPAYANNOPOULOS (1939 – 1998)
Alexandros TOMBAZIS (1939)
Yorgos LEONARDOS (1940)
Yannis KOUKIS (1941)
Kyriakos KROKOS (1941 – 1998)
Tassos BIRIS (1942) (con Dimitris BIRIS)
Agnes COUVELAS-PANAYOTATOU (1943)
Dimitris BIRIS (1944) (con Tassos BIRIS)
Takis EXARCHOPOULOS (1944)
Dimitris KATAROPOULOS (1944)
Nikos THEODOSSIOU (1944)
Yannis TSIOMIS (1944)
5° generazione
Anghelos ALTSITZOGLOU (1945)
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Antonia VALANOU-CHRISTOFELLI (1945) (con
Alexandros CHRISTOFELLIS)
Alexandros CHRISTOFELLIS (1946-1991) (con
Antonia VALANOU-CHRISTOFELLI)
Anastasios KOTSIOPOULOS (1946)
Michalis SOUVATZIDIS (1946)
Kostas NIKOLAIDIS (1947)
Aristomenis and Yorgos VAROUDAKIS (1947)
Nassos E. CHAMILOTORIS (1948) (R.C.Tech)
Theofanis BOBOTIS (1949)
Demetri PORPHYRIOS (1949)
Tassos SOTIROPOULOS (1949) (ISV architects)
Yorgos APOSTOLAKOS (1950)
Vassilis DOURIDAS (1950) (R.C.Tech)
Babis IOANNOU (1950) (ISV architects)
Nikos KTENAS (1951)
Michalis MANIDAKIS (1951)
Vanghelis STYLIANIDIS (1951) (con Antonis
STYLIANIDIS)
George Arahovitis (1952) (DOMORINTHOS
architects)
Dania DOURIDA (1952) (R.C.Tech)
Eleni GALLI (1952)
Dimitris ISSAIAS (1952)
Andreas KOURKOULAS (1953) (KOURKOULAS /
KOKKINOU architects)
Tassis PAPAIOANNOU (1953)
Christos PAPOULIAS (1953)
A.SPANOMARIDIS (1953) (Mimnermou 2
architects)
I.ZAHARIADIS (1953) (Mimnermou 2
architects)
Kostas ADAMAKIS (1954)
Liana Bobou-Arahovitou (1954)
(DOMORINTHOS architects)
Maria KOKKINOU (1955) (KOURKOULAS /
KOKKINOU architects)
Morpho PAPANIKOLAOU (1955)
(PAPANIKOLAOU / SKELLARIDOU architects)
Alexandros PATSOURIS (1955 – 1998)
Dimitris POTIROUPOULOS (1955) (con Liana
Nella- POTIROUPOULOU)
Rena SKELLARIDOU (1955) (PAPANIKOLAOU /
SKELLARIDOU architects)
V. BASKOZOS (1956) (MOB architecture)
Harry BOUGADELLIS (1956)
Dimitris PHILIPPITZIS (1956)
Katerina TSIGARIDA (1956)
Alexandros VAN GILDER (1956) (ISV architects)
Dimitra NIKOLAOU (1957)
Maria RIZOU (1957) (AETER)
Pantelis NICOLACOPOULOS (1958)
Liana Nella- POTIROUPOULOU (1959) (con
Dimitris POTIROUPOULOS)
Dimitris TSAKALAKIS (1960)
Charis CHARITATOS (1962)
D. TSANGARAKI (1962) (MOB architecture)
Athina PAPADOPOULO (1965)
97
98
BIBLIOGRAFIA
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Yorgos Theodossopoulos
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Edilstampa, Roma 2006
104
Riviste principali
• Architektonika themata – Architecture in Greece (rivista annuale che si occupa
esclusivamente della produzione architettonica in Grecia)
• Themata chorou + tecnon - Art and design in Greece (rivista annuale che si occupa
esclusivamente della produzione architettonica in Grecia)
• Domes (rivista mensile che si occupa della produzione architettonica internazionale, con
particolare attenzione alla Grecia)
105
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Architettura “Valle Giulia”
Dipartimento Ar_Cos
Tesi di Dottorato in Architettura e Costruzione, Spazio e Società
Guglielmo Malizia - relatore prof. Dina Nencini
La residenza urbana in Grecia - 1980 / 2005
Volume II - Atlante dei casi studio
INDICE
INTRODUZIONE
ATLANTE DEI CASI STUDIO
REGESTO DELLE OPERE REALIZZATE
INTRODUZIONE
In questo volume sono illustrati nel dettaglio alcuni progetti residenziali realizzati in Grecia tra il
1980 e il 2005.
Il dato più rilevante, e che ha notevolmente condizionato la ricerca, è la quasi totale assenza
dell’iniziativa pubblica in questo settore. Infatti tra i progetti selezionati ce n’è solo uno
commissionato dall’ente pubblico preposto (l’OEK, Istituto per le case dei lavoratori); si tratta
del Solar Village di Pefki, ad Atene, progettato da Alexandros N. Tombazis. Costruito all’inizio
degli anni Ottanta, rappresenta l’ultima significativa impresa dell’organismo statale. Di recente
è stato poi realizzato l’Olympic Village, sempre ad Atene, per ospitare gli atleti durante i Giochi
Olimpici del 2004, e da riconvertire successivamente in abitazioni sociali. Purtroppo però questa
seconda opportunità ha portato ad un risultato per nulla interessante, almeno dal punto di vista
architettonico. La causa di questo insuccesso va forse rintracciata, come molti sostengono, nel
fatto che la progettazione sia stata svolta all’interno degli uffici tecnici dell’OEK, anziché essere
affidata a progettisti esterni, magari mediante concorso. Per questo motivo non si è ritenuto
opportuno di inserirlo tra i casi illustrati in questo studio.
Questa mancanza di social housing comporta che in Grecia l’intera progettazione di edilizia
economica destinata alle classi sociali meno agiate venga affidata dai privati a geometri o, nei casi
migliori, a ingegneri. I complessi di abitazioni popolari restano così privi di qualsiasi qualificazione
architettonica. Ne consegue che i progetti qui presentati, tranne rare eccezioni (come l’edificio
di Anastasopoulos e Gikapeppas a Galatsi del 2005-07), sono destinati ad abitanti di estrazione
sociale medio/alta.
La tipologia prevalente è certo quella della polykatoikia, descritta ampiamente nel primo volume
della tesi; ovvero di quella tipica palazzina mediterranea, che costituisce il tassello modulare dalla
cui ripetizione sono formate le città greche. L’altezza è sempre compresa tra 4 e 9 piani, con un
vano scala che serve generalmente 1 o 2 appartamenti per piano. Il numero di alloggi per questo
tipo di edifici è quindi mediamente intorno alla decina. Altre tipologie sono riscontrabili nei pochi
complessi con capacità abitative maggiori, ma sempre contenute nelle 40 unità. Si tratta in questi
casi di un’edificazione in linea (come nel progetto di Tombazis a Palaio Faliro del 1993, in quello
di Dsakalakis e Papadopoulos a Metaxurgeion del 2006, quello dei TRAC architects a Patrasso
del 2007, o in quello, seppur di modeste dimensioni, dei fratelli Biris a Chalandri del 1980). Il
complesso residenziale a Chania dei Varoudakis del 1997 e quello a Tebe degli Ark-sign del 2002
costituiscono invece delle interessanti ibridazioni tra case a schiera e in linea.
La volumetria degli edifici è generalmente compresa in linee molto semplici, talvolta schematiche,
ma viene fortemente movimentata dalle grandi superfici aperte di balconi e terrazze, e dalla
variazione degli appartamenti. Si riscontra infatti una volontà degli architetti a differenziare le
varie unità, all’interno dello stesso condominio, sia in orizzontale che in verticale: gli attici sono
sempre occupati da alloggi con requisiti ben superiori rispetto agli altri piani. È inoltre evidente
una spiccata predilezione per gli appartamenti duplex, che sono molto frequenti.
Si tratta nel complesso di un’architettura razionale dominata dalla logica costruttiva domino del
cemento armato, da un elevato equilibrio formale, da finiture semplici ed eleganti e da colori
tenui; il rivestimento esterno è quasi sempre d’intonaco. Le opere che esprimono meglio questa
poetica mediterranea sono forse quelle di Dimitris Tsakalakis: la polykatoikia a Voula del 2002 e
quella a Sitia del 2004. Ma sono da segnalare anche i progetti degli altri architetti che operano
con la stessa onestà compositiva: Mastroiannis e Koufopanos, i Varoudakis, Mavridis e Orfanou, i
Rokas, Apostolakos e Apostolakou, Anastasopoulos e Gikapeppas.
È interessante rilevare come le declinazioni stilistiche degli architetti che si sono più affermati
nel corso degli anni Ottanta siano più accentuate e riconoscibili: il neo-brutalismo dei Birisi, il
regionalismo degli Antonakakis, il tecnicismo di Tombazis, il neoplasticismo dei Manetas sono
puntualmente confermati nelle loro opere qui presentate, come in quelle dei loro allievi. Restano
comunque riscontrabili alcune proprietà comuni a quella specificità greca prima delineata,
soprattutto nell’equilibrio formale che non si discosta mai troppo dalle proporzioni classiche.
Trovano spazio in questa rassegna anche progetti fortemente influenzati dalle tendenze
internazionali, come quello di Dragonas e Christopoulou a Pangrati del 2002 (che ha riscosso
molto successo) o quello dei TRAK architects a Patrasso del 2007. Una raffinata interpretazione
della polykatoikia in chiave contemporanea-internazionale è senz’altro quella di Yannis Aesopos
ad Atene del 2003.
Dopo i 26 casi studio è sembrato opportuno inserire un regesto delle opere, ben più numerose,
che sono state prese in considerazione nel corso di questo studio.
ATLANTE DEI CASI STUDIO
Grecia
Atene
D
ES
FR
GB
1. Attica
2. Eubea
3. Euritania
4. Focide
5. Ftiotide
6. Beozia
7. Calcidica
8. Emazia
9. Kilkis
10. Pella
11. Pieria
12. Serres
13. Salonicco
14. Chania
15. Heraklion
16. Lasithi
17. Rethymno
18. Drama
19. Evros
20. Kavala
21. Rodopi
22. Xanthi
23. Arta
24. Ioannina
25. Preveza
26. Thesprotia
27. Corfu
28. Kefallinia
29. Lefkada
30. Zakynthos
31. Chio
32. Lesbo
33. Samo
34. Arcadia
35. Argolide
36. Corinzia
37. Laconia
38. Messenia
39. Cicladi
40. Dodecaneso
41. Karditsa
42. Larissa
43. Magnesia
44. Trikala
45. Acaia
46. Etolia-Acarnania
47. Elide
48. Florina
49. Grevena
50. Kastoria
51. Kozani
a Monte Athos
1. Atene
2. Kallithea
3. Moschato
4. Tavros
5. Egaleo
6. Agia Barbara
7. Chaidari
8. Peristeri
9. Petroupoli
10. Ilion
11. Kamaterò
12. Agion Anargyri
13. Nea Chalchidona
14. Nea Filadelfia
15. Nea Ionia
16. Iraklio
17. Metamorfosi
18. Likovrissi
19. Pefki
20. Maroussi
21. Kifisià
22. Melissia
23. Nea Eritrea
24. Ekali
25. Nea Pentelis
26. Penteli
27. Vrilissia
28. Chalandri
29. Agia Paraskevi
30. Cholargos
31. Papagos
32. Neo Psichikò
33. Psichiko
34. Filothei
35. Galatsi
36. Zografo
37. Kesariani
38. Vironos
39. Ymetto
40. Dafni
41. Nea Smirni
42. Paleo Falirou
43. Agios Dimitrios
44. Ilioupoli
45. Argiroupoli
46. Alimo
47. Elliniko
48. Glifada
1. Edificio per appartamenti ia Atene (Chalandri), D. Biris, T. Biris
14. Edificio per appartamenti a Atene (Vrilissia), MOB architects
2. Edificio per appartamenti a Atene (Lycabetto), Atelier 66
15. Edificio per appartamenti a Atene (Voula), D. Tsakalakis
3. Quartiere residenziale a Atene (Pefki), A. Tombazis
16. Complesso residenziale a Atene (Voula), ISV architects
4. Edificio per appartamenti a Atene (Metz), Y. Theodossopoulos
17. Edificio per appartamenti a Atene (Ilissia), S. Tsiraki, T. Biris
5. Edificio per appartamenti a Atene (Cholargos),
I. D. Mastroyannis, V. Ch. Koufopanos
18. Edificio per appartamenti a Atene (Glyfada),
G. Apostolakos, V. Pavlidou - Apostolakou
6. Edificio per appartamenti a Atene (Didotou st.), A. Patsouris
19. Edificio per appartamenti a Atene (Vrilissia), MOB architects
7. Edificio per appartamenti a Atene (Palaio Faliro),
Y. Manetas, E. Komili - Manetas
20. Edificio per appartamenti a Nicosia (Cipro), G. Patsalosavvis
21. Edificio per appartamenti a Sitia (Creta), D. Tsakalakis
8. Complesso residenziale a Atene (Palaio Faliro), A. Tombazis
22. Complesso residenziale a Tebe, Ark - sign architects
9. Complesso residenziale a Chania (Creta), A. Varoudakis, Y. Varoudakis
23. Edificio per appartamenti a Atene (Parnithos st.), Y. Aesopos
10. Edificio per appartamenti a Atene (Nea Filotei),
G. Mavridis, E. Orfanou
24. Edificio per appartamenti a Atene (Galatsi)
A. Anastasopoulos, V. Gikapeppas
11. Edificio per appartamenti a Atene (Perissos), A. Rokas, N. Rokas
12. Edificio per appartamenti a Atene (Glyfada),
Stathoulopoulos, Georgaki
25. Edificio per appartamenti a Atene (Metakourgeion),
G. Daskalaki, Y. Papadopoulos, T. Biris
26. Edificio per appartamenti a Patrasso, TRAC achitects
13. Edificio per appartamenti in Atene (Pangrati),
P. Dragonas, B. Christopoulou
IT
P
GR
luogo/quartiere
Halandri, Atene
1985
1980
autore
Dimitri Biris, Tassos Biris
anno
1977-80
1990
2000
1995
01
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Polydrosso
Halandri
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
T. Biris, D. Biris, M. Kafritsa
committente/ente promotore/promotor
privato
progetto strutturale/structural engineer
C. Argiropoulos, P. Loukeles
calendario dell’opera
1977: progetto
1980: completamento delle opere
impresa realizzatrice/contractor
E. Barbalias
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
546
60
15
mq
spessore del corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12 m
6 + 1 int.
distribuzione interna
2 corpi scala servono ciascuno 2 alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-01
pag
1 Polydrosso, Atene
Dimitri Biris, Tassos Biris
3 c.
4 c.
9 duplex, 6 simplex
1980
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un edificio per appartamenti composto da quindici alloggi, di cui sei a un solo piano e nove duplex.
Gli alloggi sono piuttosto grandi, prevedendo quattro o cinque abitanti ciascuno.
Due corpi scala servono tutti gli appartamenti.
L’immagine dell’edificio si caratterizza per una notevole complessità volumetrica, ottenuta grazie alle grandi terrazze a
tutti i livelli e all’estromissione dei corpi scala cilindrici dei
duplex. Ogni unità abitativa risulta autonoma e gli affacci
sono molto differenziati.
Una certa complessità informa anche la distribuzione interna
degli alloggi, in particolare quelli degli ultimi piani. Questi
sono organizzati su più livelli, presentando ambienti posti al
mezzanino e terrazze abitabili su due livelli differenti.
Lla copertura dell’edificio è caratterizzata dalla presenza di
parasole metallici, costituiti da elementi reticolari.
Design+art in Greece, 15/1984
Architecture in Greece, 27/1993
Savas Condaratos, Wilifried Wang; 20th Century architecture,
Greece; HIA, DAM, Prestel, Athens 1999
Bibliografia
GR-01
pag
2 Polydrosso, Atene
Dimitri Biris, Tassos Biris
1980
D
ES
FR
1
GB
IT
B
C
B
A
P
2
GR
B
A
C
B
3
B
A
B
C
4
1 - sezione longitudinale
GR-01
pag
2 - pianta del sesto piano
3 Polydrosso, Atene
3 - pianta del quinto piano
4 - pianta del quarto piano
Dimitri Biris, Tassos Biris
1980
D
B
ES
A
FR
5
GB
IT
P
B
A
GR
6
A
B
7
5 - pianta del terzo livello di alloggi A e B 6 - pianta del secondo livello di alloggi A e B 7 - pianta del primo livello di alloggi A e B
GR-01
pag
4 Polydrosso, Atene
Dimitri Biris, Tassos Biris
1980
D
ES
FR
GB
8
9
10
11
IT
P
GR
8 - la fotografia dell’interno di un appartamento simplex mostra la permeabilità fra il soggiorno e la cucina. Interior designer: S. Anyfantis 9 - negli appartamenti duplex le scale a chiocciola contribuiscono a conformare e suddividere la zona giorno. 10 - le terrazze sulla copertura sono caratterizzate dal parasole metallico. 11 - il parasole posto sulla copertura dell’edificio serve anche le terrazze del piano inferiore. 12 - assonometria 13 - schizzi di studio che mostrano la particolare attenzione dei progettisti all’illuminazione naturale.
12
GR-01
13
pag
5 Polydrosso, Atene
Dimitri Biris, Tassos Biris
1980
luogo/quartiere
Lycabetto, Atene
1985
1980
autore
Atelier 66
1990
anno
1978-82
1995
02
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Lycabetto
GR
Doxapatri
progettisti degli edifici/buildings architects
Suzana Antonakaki, Dimitris Antonakaki
committente/ente promotore/promotor
privato
progetto strutturale/structural engineer
A. Athanasiadis
calendario dell’opera
1978: progetto
1982: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
312
25
9
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
10 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 2-3
alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-02
pag
1 Lycabetto, Atene
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
Atelier 66
3 c.
4 c.
4 duplex, 5 simplex
1982
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un edificio per appartamenti composto da nove
alloggi, di cui cinque a un solo piano e quattro duplex.
Un unico corpo scala ellittico serve tutti gli appartamenti.
Il basamento ospita spazi destinati ad esercizi commerciali.
Sul retro si aprono dei piccoli cortili, di pertinenza degli alloggi che si sviluppano nei primi due livelli.
L’organizzazione degli spazi interni è molto varia, ma la grande importanza attribuita alla zona giorno costituisce il comune denominatore fra tutti gli appartamenti. Lo schema distributivo infatti risulta imperniato sul soggiorno, che costituisce
l’ingresso all’abitazione e lo spazio centrale su cui affacciano
gli altri ambienti.
Il volume si sviluppa in modo piuttosto compatto, nonostante
i numerosi balconi che caratterizzano il prospetto principale,
concludendosi in alto in un piano attico.
GR-02
pag
2 Lycabetto, Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 18/1987
Atelier 66
1982
D
ES
I
H
FR
1
GB
IT
G
F
P
2
GR
C
E
D
3
B
4
A
5
GR-02
pag
3 Lycabetto, Atene
Atelier 66
1982
D
ES
FR
GB
IT
6
P
GR
7
8 - vista del cortile posteriore
1 - pianta del quarto piano
9 - vista di uno dei cancelli sulla strada
2 - pianta del terzo piano
10 - schema aggregativo
3 - pianta del secondo piano
11 - assonometria
4 - pianta del primo piano
5 - pianta del piano terra
6 - pianta del secondo livello dell’alloggio A
7 - pianta del primo livello dell’alloggio A
GR-02
pag
4 Lycabetto, Atene
Atelier 66
1982
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
8
9
10
11
GR-02
pag
5 Lycabetto, Atene
Atelier 66
1982
luogo/quartiere
Pefki, Likovryssi, Atene
1985
1980
autore
Alexandros N. Tombazis
anno
1978- 1984
1990
2000
1995
03
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Pefki, Lykovrissi
GR
progettisti del piano/masterplan architects
Alexandros N. Tombazis e associati
committente/ente promotore/promotor
Workers Housing Organisation
progettisti degli edifici/buildings architects
Alexandros N. Tombazis e associati
calendario dell’opera
1978-81: progetto
1984-89: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento pubblico
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
44116
799
435
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
10 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 2 alloggi per piano
densità fondiaria/density
densità/density
n° di piani massimo/floor number
18,11
9,86
6
ab/ha
all/ha
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-03
pag
1 Pefki, Likovryssi, Atene
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
duplex, simplex
Alexandros N. Tombazis
1978
D
ES
FR
Planimetria generale dell’insediamento, scala 1:5000
N
L
M
L
D A
F
B
C
E
L
H
Legenda:
A - piazza centrale
B - centro di aggregazione e centro informativo sull’energia solare
C - negozi
D - biblioteca
E - centro energetico
F - asilo
G - scuola elementare
H - centro di avviamento professionale per giovani lavoratrici
I - palestra
L - area verde attrezzata er i bambini
M -interseasonal storage
N - area boschiva
GB
IT
P
G
N
GR
I
L
descrizione dell’intervento
Questo insediamento, chiamato “Solar Village 3”, è costituito
da una serie di isolati a destinazione residenziale, organizzati intorno a una piazza centrale.
In prossimità di tale piazza sono distribuiti servizi, a carattere culturale (biblioteca, scuole, centro informazioni sull’energia solare, centro di avviamento professionale per giovani
lavoratrici), commerciale (negozi, mercato), un impianto
sportivo.
Gli edifici residenziali sono costituiti da una serie di unità
affiancate, in modo da ottenere una morfologia longitudinale
a stecca. Ogni isolato è servito da una zona verde attrezzata. La tipologia degli alloggi varia in base al numero di piani
in cui questi sono articolati (uno o due) e alla loro metratura
(60 mq, 80mq, 100mq). Gli edifici sono piuttosto bassi: a due
piani quelli che presentano al prorpio interno appartamenti di
100mq, da due a sei piani gli altri.
La caratteristica dell’intervento è l’attenzione rivolta al problema ambientale del risparmio energetico: un’elevata efficienza energetica è ottenuta grazie all’isolamento degli edifici (i
GR-03
pag
2 Pefki, Likovryssi, Atene
consumi energetici sono ridotti del 60%) e un ulteriore risparmio (15-20%) è ottenuto grazie all’energia solare di cui si servono tutti le strutture pubbliche. Il complesso è fornito di cinque diversi tipi di impianti solari, progettati in Germania.
Bibliografia
Architecture in Greece 20/1986, 24/1990
Design + Art in Greece 24/1993
Alexandros N. Tombazis
1978
TIPO 1, CASE A SCHIERA
D
ES
FR
GB
IT
P
Sezione
GR
Pianta del primo piano
Pianta del piano terra
GR-03
pag
3 Pefki, Likovryssi, Atene
Alexandros N. Tombazis
1978
TIPO 2, CASE IN LINEA
D
ES
FR
GB
IT
P
Sezione
GR
Pianta del piano terra
GR-03
pag
4 Pefki, Likovryssi, Atene
Alexandros N. Tombazis
1978
TIPO 3
D
ES
FR
GB
IT
Sezione
P
GR
Pianta del piano tipo
GR-03
pag
5 Pefki, Likovryssi, Atene
Alexandros N. Tombazis
1978
D
ES
FR
Sopra: assonometria.
Sopra: la piazza centrale con la biblioteca a sinistra, in fondo), la
copertura della hall (con i lucernai longitufinali) e quella della sala
espositiva (con i lucernai piramidali)
Sotto: biblioteca (sulla sinistra, in fondo) e caffetteria (sulla destra)
Sotto: centro energetico
GB
IT
P
GR
Sotto: vedute aeree dell’insediamento
GR-03
pag
6 Pefki, Likovryssi, Atene
Alexandros N. Tombazis
1978
luogo/quartiere
Metz, Atene
1985
1980
autore
Yorgos Theodossopoulos
anno
1980-82
1990
2000
1995
04
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Metz
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Yorgos Theodossopoulos
privato
calendario dell’opera
1980: progetto
1982: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
450
20
7
5
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12,5 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 2 - 3
alloggi per piano.
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-04
pag
1 Atene
Yorgos Theodossopoulos
7 simplex
1982
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo edificio per appartamenti, posto in una delle zone più
centrali e antiche di Atene, si caratterizza per il rapporto di
continuità con il contesto e con l’architettura tradizionale.
La scomposizione del corpo di fabbrica in volumi, sottolineata dalla bicromia, contribuisce a collegare figurativamente
l’edificio alla tipologia edilizia diffusa nel quartiere (piccole
abitazioni a uno o due piani).
I rimandi all’architettura tradizionale sono evidenti nell’accentuazione dello spessore murario, come nei dettagli decorativi (cornici, balaustre), nelle bucature strombate e negli archi.
Il piano terra è occupato da un parcheggio, collegato ai piani
superiori da un corpo scala che serve tutti gli appartamenti,
eccetto due, un simplex e un duplex, serviti da scale indipendenti.
GR-04
pag
2 Atene
Bibliografia
Savas Condaratos, Wilifried Wang; 20th Century architecture,
Greece; HIA, DAM, Prestel, Athens 1999
Yorgos Theodossopoulos
1982
D
ES
FR
1
GB
IT
B
A
P
C
GR
2
3
GR-04
pag
3 Atene
Yorgos Theodossopoulos
1982
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
1 - pianta del primo piano, scala 1:500
2 - sezione, scala 1:500
3 - pianta dell’alloggio A, scala 1:200
4 - la scala che collega uno degli alloggi al parcheggio sottostante.
5 - le bucature strombate e le cornici rimandano all’architettura tradizionale. La bicromia distingue i diversi volumi.
5
GR-04
pag
4 Atene
Yorgos Theodossopoulos
1982
luogo/quartiere
Cholargos, Atene
1985
1980
autore
Mastroyannis, Koufopanos
anno
1987-1989
1990
2000
1995
05
2005
D
eS
FR
Atene
GB
IT
P
Cholargos
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
I. D. Mastroyannis, V. Ch. Koufopanos
privato
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
D. Fountas, D. Krufos
1987: progetto
1988-89: completamento delle opere
impresa realizzatrice/contractor
TeChnIKI DoMA
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
342
25
6
5
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
14,5 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 2
alloggi per piano.
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-05
pag
1 Atene
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
I. Mastroyannis, V. Koufopanos
3 c.
4 c.
4 simplex, 2 duplex
1987
D
eS
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
L’edificio è composto da due corpi di fabbrica distinti, di
dimensioni simili, che ospitano ciascuno una colonna di
appartamenti.
Ballatoi esterni collegano i due volumi fra loro e con il corpo
scala comune, che costituisce un terzo volume più piccolo.
Al piano terra si trovano esercizi commerciali.
La tipologia degli alloggi è piuttosto varia: tre dei simplex
sono pensati per essere abitati da nuclei familiari, mentre
uno, della medesima metratura degli altri, è quasi interamente occupato dalla zona giorno con cucina a vista, presentando una sola camera da letto.
I duplex occupano gli ultimi due livelli di entrambi i corpi. Al
livello superiore si aprono grandi logge.
GR-05
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 21/1990
I. Mastroyannis, V. Koufopanos
1987
D
eS
FR
1
GB
D
IT
E
P
2
GR
C
3
A
B
4
GR-05
pag
3 Atene
I. Mastroyannis, V. Koufopanos
1987
D
eS
FR
GB
5
IT
P
GR
6
1 - pianta del quarto piano
2 - pianta del terzo piano
3 - pianta del secondo piano
4 - pianta del primo piano
5 - pianta del secondo livello dell’alloggio D
6 - pianta del primo livello superiore dell’alloggio D
7 - fotografia del plastico
8 - vista interna da una delle logge, verso i ballatoi esterni
GR-05
pag
4 Atene
I. Mastroyannis, V. Koufopanos
1987
D
eS
FR
GB
IT
P
GR
7
8
GR-05
pag
5 Atene
I. Mastroyannis, V. Koufopanos
1987
luogo/quartiere
Didotou st., Atene
1985
1980
autore
Alexandros Patsouris
anno
1987-1991
1990
2000
1995
06
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Alexandros Patsouris
privato
calendario dell’opera
1987: progetto
1991: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
320
30
8
7
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
16 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 2 - 3
alloggi per piano.
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-06
pag
1 Atene
n° camere per alloggio
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
Alexandros Patsouris
3 c.
4 c.
3 simplex, 5 duplex
1991
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un edificio per appartamenti, che ospita esercizi
commerciali al piano terra.
Un unico corpo scala serve tutti gli appartamenti, che sono
molto vari: quasi tutti duplex, eccetto un simplex e due monolocali.
Tutti gli alloggi sono articolati intorno all’ambiente centrale,
la cui importanza nella disribuzione degli spazi interni è sottolineata dall’altezza maggiore e dall’articolazione su più
livelli.
Le grandi vetrate che illuminano questi grandi vani caratterizzano la facciata. Tutti gli alloggi sono dotati di terrazze.
GR-06
pag
2 Atene
Bibliografia
Art + design in Greece, 27/1996
DOUMANIS Orestis, Contemporary architecture in Greece,
Architecture in Greece press, Athens 2005
AA.VV., 20th Century architecture Greece, Prester, Athens 1999
Alexandros Patsouris
1991
D
G
G
ES
2
1
FR
GB
D
D
IT
F
P
4
3
GR
D
C
E
B
A
6
5
C
B
A
7
GR-06
pag
3 Atene
Alexandros Patsouris
1991
1 - pianta del settimo piano
2 - pianta del sesto piano
3 - pianta del quinto piano
4 - pianta del quarto piano
5 - pianta del terzo piano
D
6 - pianta del secondo piano
7 - pianta del primo piano
8 - sezione
9 - pianta di un alloggio E e di un alloggio B
ES
10, 11, 12 - viste del prospetto principale
13 - vista di uno spazio interno a doppia altezza,
illuminato da un lucernaio
FR
GB
8
IT
P
GR
D
D
EE
9
GR-06
pag
4 Atene
Alexandros Patsouris
1991
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
10
11
12
GR-06
13
pag
5 Atene
Alexandros Patsouris
1991
luogo/quartiere
Palaio Psychiko, Atene
1985
1980
autore
anno
Y. Manetas, E. Komili-Maneta 1990
1990
1995
07
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Palaio Phaleron
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
Yorgos Manetas, Eleni Komili - Maneta
committente/ente promotore/promotor
privato
calendario dell’opera
1990: progetto
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
476
32
8
8
mq
spessore del corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 1 alloggio per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-07
pag
1 Atene
Y. Manetas, E. Komili - Maneta
8 simplex
1990
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di una torre a pianta rettangolare di 8 livelli, a destinazione esclusivamente residenziale.
Un unico corpo scala, di dimensioni in pianta piuttosto ridotte, serve tutti gli alloggi. Questi sono tutti simplex, distribuiti
uno ad ogni piano.
La metratura di ogni appartamento è di circa 130 mq.
L’organizzazione degli spazi interni è piuttosto semplice: un
corridoio di disimpegno distribuisce tutti gli spazi, separando
le zona giorno dalla zona notte. Tale disimpegno costituisce
anche il vano di ingresso all’appartamento.
Ogni alloggio è dotato di spazi esterni: le numerose logge
contraddicono la purezza volumetrica del parallelepipedo,
caratterizzando la sua immagine esterna.
GR-07
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 29/1998
Y. Manetas, E. Komili - Maneta
1990
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
1
1 - pianta del piano tipo
2 - vista d’insieme dell’esterno, che mostra il complesso gioco delle bucature
e delle logge.
3 - vista d’innuasieme dell’esterno, che mostra un fronte caratterizzato dalla
vetrata continua verticale del corpo scala e dalle finestre a nastro dei soggiorni.
4 - l’ingresso dell’edificio al piano terra
GR-07
pag
3 Atene
Y. Manetas, E. Komili - Maneta
1990
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
2
3
4
GR-07
pag
4 Atene
Y. Manetas, E. Komili - Maneta
1990
luogo/quartiere
Palaio Phaleron, Atene
1985
1980
autore
Alexandros N. Tombazis
anno
1990-93
1990
2000
1995
08
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Palaio Phaleron
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Alexandros N. Tombazis
privato
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
B. Abakoumkin, G. Labros, LAK
1990: progetto
1990-93: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
3560
170
30
9 + 2 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
16 m ca.
distribuzione interna
3 corpi scala servono
1 - 2 alloggi per piano.
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
n° camere per alloggio
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-08
pag
1 Atene
Alexandros N. Tombazis
3 c.
4 c.
30 simplex
1990
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un intervento di grandi dimensioni che, oltre
all’edificio analizzato, chiamato “Eden Mare”, ne comprende
un altro, chiamato “Eden Park”, più una struttura sportiva con
palestra e piscina.
Il complesso ospita più funzioni.
Il progetto di A. N. Tombazis è costituito da un basamento,
che ospita negozi al pianterreno e uffici al primo e secondo
piano, e uno sviluppo di altri 6 piani a destinazione residenziale.
Il basamento si caratterizza per l’uso di un rivestimento
diverso e da una volumetria compatta.
Superiormente, invece, il corpo di fabbrica è articolato in
volumi di dimensione varia, ma tutti ugualmente scanditi
dalla modularità della struttura a vista, che ospitano le logge.
Gli appartamenti sono dotati di un’ampia zona giorno, tre o
quattro camere da letto e ambienti di servizio.
GR-08
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 28/1997
Alexandros N. Tombazis
1990
B
D
A
ES
FR
C
D
GB
E
IT
1
P
GR
B
A
C
F
E
2
GR-08
pag
3 Atene
Alexandros N. Tombazis
1990
D
ES
FR
GB
IT
1 - pianta del piano tipo
P
2 - pianta del terzo piano
3 - pianta di un alloggio B
4 - sezione trasversale
5 - il fronte commerciale sul Poiseidonos avenue, che separa
il complesso dal mare.
6 - la corte interna.
7 - la piscina del complesso
3
8 - il viale che conduce a Eden Park
9 - l’ingresso principale a Eden Mare
3
4
GR-08
pag
4 Atene
Alexandros N. Tombazis
1990
GR
D
ES
FR
GB
IT
5
P
GR
6
7
8
9
GR-08
pag
5 Atene
Alexandros N. Tombazis
1990
luogo/quartiere
autore
A.Ioannis, Rethimno, Creta A. Varoudakis, Y. Vaoudakis
1985
1980
1990
1995
anno
1992-97
09
2000
2005
D
ES
FR
Creta
GB
IT
P
Rethimno
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Aristomenis Varoudakis, Yorgos Varoudakis
privato
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
M. Troullinos
1992: progetto
1993-97: completamento delle opere
impresa realizzatrice/contractor
metodo di finanziamento
kataskeuastiki Rethimnou A.E.
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
2550
100
29
4
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
16 m ca.
distribuzione interna
Ogni rampa serve 1 - 2
alloggi.
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-09
pag
1 Rethimno, Crete
A. Varoudakis, Y. Varoudakis
3 c.
4 c.
13 duplex, 16 simplex
1992
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questoedificio per appartamenti si presenta come una
aggregazione di unità semi-indipendenti disposte in linea.
La successione di tali unità descrive una curva ad andamento variabile: nella concavità di tale curva è ricavato uno spazio di accesso comune.
Compositivamente questo progetto si basa sulla contrapposizione fra l’articolazione del fronte sud-occidentale, data
dalle numerose rampe di scale e dai pianerottoli di accesso
agli alloggi, e la linearità della curva che caratterizza il prospetto nord-orientale. Perpendicolarmente a questo è disposto un corpo minore, che ospita alcuni alloggi.
Nei due edific gli alloggi simplex occupano il piano terra,
mentre ai duplex dei piani superiori si accede tramite scale,
ognuna delle quali serve mediamente due appartamenti.
Nell’edificio princiale, in corrispondenza del punto dove la
curvatura è massima, si verifica un’eccezione: un unico
corpo scala serve un alloggio simplex per ogni piano.
GR-09
pag
2 Rethimno, Crete
Bibliografia
Design + art in Greece, 30/1999
A. Varoudakis, Y. Varoudakis
1992
D
I
G
F
F
ES
F
H
F
F
FR
F
F
F
F
GB
F
F
IT
P
1
GR
D
C
A
A
B
E
B
A
A
B
A
A
A
2
GR-09
pag
3 Rethimno, Crete
A. Varoudakis, Y. Varoudakis
1992
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
3
1 - pianta del piano primo
2 - pianta del piano terra
3 - pianta di un alloggio A
4 -vista della scala esterna posta nel punto di massima curvatura della parete.
5 - ogni appartamento è dotato di spazi esterni, costituiti da logge dispost lungo la parete curva.
7 - l’accesso agli alloggi avviene attraverso rampe di scale, che servono uno o due appartamenti ciascuna.
GR-09
pag
4 Rethimno, Crete
A. Varoudakis, Y. Varoudakis
1992
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
4
GR-09
5
pag
5 Rethimno, Crete
A. Varoudakis, Y. Varoudakis
1992
luogo/quartiere
Nea Filothei, Atene
1985
1980
autore
G. Mavridis, E. Orfanou
anno
1994-1995
1990
2000
1995
10
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Nea Filothei
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
G. Mavridis, E. Orfanou
privato
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
B. Politopoulos
1994: progetto
1995: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
144
25
6
6
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
8m
distribuzione interna
1 corpo scala serve 1 alloggio
per piano.
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-10
pag
1 Atene
G. Mavridis, E. Orfanou
6 simplex
1994
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di una colonna di appartamenti simpex, serviti da un
corpo scala.
La volumetria allungata e slanciata, presenta uno spigolo
acuto risolto dalla forma curva delle terrazze.
Lo schema distributivo degli ambienti interni, con il soggiorno piuttosto ridotto a vantaggio della zona notte, soddisfa la
richiesta dei committenti di abitazioni da occupare con le
rispettive famiglie. Ogni alloggio è dotato di spazi esterni.
La fabbrica è posta su pilotis e circondata da un giardino.
Al piano terra e nel piano interrato di trovano i garages.
GR-10
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 33/2002
G. Mavridis, E. Orfanou
1994
B
D
ES
FR
1
GB
IT
A
P
GR
2
3
GR-10
pag
3 Atene
G. Mavridis, E. Orfanou
1994
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
1 - pianta del terzo, quarto e quinto piano
2 - pianta del primo e del secondo piano
3 - pianta del piano terra
4 - pianta di un alloggio B
5 - vista esterna
6 - vista dell’ingresso
GR-10
pag
4 Atene
G. Mavridis, E. Orfanou
1994
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
5
6
GR-10
pag
5 Atene
G. Mavridis, E. Orfanou
1994
luogo/quartiere
Perissos, Atene
1985
1980
autore
A. Rokas, N. Rokas
anno
1997 - 2000
1990
2000
1995
11
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Perissos
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
A. Rokas, N. Rokas
privato
calendario dell’opera
1997: progetto
2000: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
165
15
4
6 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
11 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-11
pag
1 Atene
A. Rokas, N. Rokas
4 simplex
1997
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo edificio è costituito da quattro alloggi, per quattro
famiglie: due più anziane e due costituite dai figli e i nipoti dei
primi. Nonostante la differenza di età fra gli abitanti, la tipologia degli appartamenti non varia: si tratta di alloggi di piccolo
taglio con spazi esterni piuttosto ampi. Al piano interrato si
trovano studi e ambienti di servizio, al pianterreno un parcheggio. All’ultimo livello la terrazza e una piccola cucina
sono in comune.
La purezza volumetrica è contraddetta dalle logge, che scavano il parallelepipedo o aggettano verso l’esterno.
GR-11
11
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 33/2002
A. Rokas, N. Rokas
1997
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
1
2
1 - sezione
3 - vista della zona giorno di un alloggio
2 - pianta del quarto piano
4, 5 - viste esterne
GR-11
pag
3 Atene
A. Rokas, N. Rokas
1997
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
3
4
GR-11
5
pag
4
D. Tsakalakis
2005
luogo/quartiere
Glyfada, Atene
1985
1980
autore
anno
12
V. Stathoulopoulos, A. Georgaki 1997 - 1999
1990
1995
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Glyfada
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
V. Stathoulopulos, G. Georgaki
privato
calendario dell’opera
1997: progetto
1999: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
360
15
5
4 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
9m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-12
pag
1 Atene
V. Stathoulopoulos, G. Georgaki
4 c.
4 simplex, 1 duplex
1997
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Il piccolo complesso residenziale è costituito dall’aggregazione fra un volume alto quattro piani, servito da un corpo scala,
che ospita un alloggio per piano, e un volume più basso, di
due piani, occupato da un alloggio duplex.
L’organizzazione degli alloggi si basa sull’importanza data
agli spazi esterni (giardini e terrazze).
La volumetria è complessa, presentando una certa varietà di
forme e dimensioni. L’esterno, inoltre, è caratterizzato dalle
balaustre, che diventano elementi decorativi, e dalla bicromia.
GR-12
11
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 32/2001
V. Stathoulopoulos, G. Georgaki
1997
D
ES
FR
C
GB
IT
1
P
GR
A
B
2
1 - pianta del primo piano
2 - pianta del piano terra
3 - piante di un alloggio A
4 - vista complessiva dall’edificio
5, 6 - viste di dettaglio dei prospetti
GR-12
pag
3 Atene
V. Stathoulopoulos, G. Georgaki
1997
D
ES
FR
GB
IT
3
P
GR
4
GR-12
pag
4 Atene
V. Stathoulopoulos, G. Georgaki
1997
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
5
GR-12
pag
5
6
V. Stathoulopoulos, G. Georgaki
1997
luogo/quartiere
Pangrati, Atene
1985
1980
autore
anno
P. Dragonas, B. Christopoulou 1999-2002
1990
1995
13
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Pangrati
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Panos Dragonas, Barbara Christopoulou
privato
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
N. Markakis
1999: progetto
2002: completamento delle opere
impresa realizzatrice/contractor
D. & E. Markakis
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
360
30
7
10 + 2 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano.
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
n° camere per alloggio
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-13
pag
1 Atene
P. Dragonas, B. Christosopoulou
7 simplex
1999
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
La torre è costituita da una colonna di appartamenti serviti da
un corpo scala, posta su una sorta di “podio” di due piani, più
largo, occupato da un club a diretto contatto con la strada.
Gli alloggi sono costituiti da una sala centrale, che ne costituisce l’ingresso, sulla quale affacciano la cucina e la zona
notte, a sua volta articolata attorno a un corridoio di disimpegno.
Nonostante l’uniformità dello schema distributivo, il volume è
articolato dalla diversa forma e dimensione delle terrazze,
così da ottenere un’immagine esterna di forte impatto visivo.
GR-13
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 35/2004
AA.VV., Fourth Biennale of young Greek architects, EIA, Athens
2004
DOUMANIS Orestis, Contemporary architecture in Greece,
Architecture in Greece press, Athens 2005
AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century,
EIA, Athens 2009
P. Dragonas, B. Christosopoulou
1999
D
ES
FR
1
GB
IT
P
4
GR
2
3
5
GR-13
pag
3 Atene
P. Dragonas, B. Christosopoulou
1999
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
6
1 - pianta del settimo piano
2 - pianta del terzo piano
3 - pianta del piano terra
4 - sezione
5 - vista d’insieme dell’edificio.
6 - pianta dell’alloggio del terzo piano
7 - la vista dalla strada sottolinea il forte impatto visivo della torre
rispetto al contesto urbano.
8, 9, 10 - viste d’insieme dell’edificio.
7
GR-13
pag
4 Atene
P. Dragonas, B. Christosopoulou
1999
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
8
9
GR-13
pag
10
5 Atene
P. Dragonas, B. Christosopoulou
1999
luogo/quartiere
Vrilissia, Atene
1985
1980
autore
MOB architects
1990
anno
1999-2002
1995
14
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Vrilissia
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
MOB architects (V. Baskosos, D. Tsagaraki & associates)
privato
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
P. Malandraki, K. Papadopoulos
1999: progetto
2002: completamento delle opere
impresa realizzatrice/contractor
EUROHOME O.E.
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
1100
50
12
4 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12 m
distribuzione interna
1 corpi scala serve
3 alloggi per piano.
altre attività presenti/other activities
n° camere per alloggio
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-14
pag
1 Atene
MOB architects
3 c.
4 c.
6 simplex, 6 duplex
1999
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo edificio è costituito da due corpi di fabbrica, collegati
all’ultimo livello da un ballatoio.
I primi due piani sono occupati da alloggi duplex, dotati di
uno spazio esterno al pianterreno.
Ai piani superiori sei alloggi simplex (tre per piano) sono
distribuiti da ballatoi, serviti da un corpo-scala.
Gli alloggi del piano attico sono forniti di grandi terrazze, che
ne costituiscono l’accesso. Due di questi appartamenti
hanno copertura curva, che caratterizza la volumetria complessiva. Questa risulta piuttosto articolata, nonostante l’uniformità di taglio e distribuzione interna degli appartamenti,
grazie all’estromissione dei volumi che ospitano le logge.
GR-14
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 35/2004
SKOUSBOLL Karin, Greek architecture now, Studio Art Bookshop,
2006
MOB architects
1999
F
G
D
ES
FR
G
1
GB
IT
A
P
C
D
B
D
GR
E
2
A
B
C
D
D
E
3
GR-14
pag
3 Atene
MOB architects
1999
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
1 - pianta del secondo piano
2 - pianta del primo piano
3 - pianta del pianterreno
4 - pianta di un alloggio F
5 - particolare degli aggetti laterali
delle logge
6 - vista di uno dei giardini privati
7, 8, 9 - viste esterne che mostrano
i corpi aggettanti che ospitano
le logge e il disegno dei
prospetti
4
GR-14
pag
4 Atene
MOB architects
1999
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
5
6
8
7
GR-14
pag
5 Atene
9
MOB architects
1999
luogo/quartiere
Voula, Atene
1985
1980
autore
Dimitris Tsakalakis
anno
2001 - 2004
1990
2000
1995
15
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Voula
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
D. Tsakalakis
privato
calendario dell’opera
2001: progetto
2003-2004: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
340
50
4
5 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano.
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-15
pag
1 Atene
D. Tsakalakis
4 simplex
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un edificio suddiviso in due corpi di fabbrica, che
racchiudono una corte. Per via dell’andamento del terreno,
uno dei due corpi è posto a un livello più alto. Questo ospita
un garage a due piani e quattro appartamenti simplex, serviti da un corpo scala.
Il volume più basso è costituito da otto alloggi duplex, di cui
quattro hanno accesso indipendente al pianterreno, mentre
quelli che occupano il secondo e terzo piano affacciano su
un ballatoio, collegato al corpo scala attraverso un terzo
corpo più piccolo, a ponte, in cui è collocato un appartamento duplex.
Gli alloggi, nonostante le metrature contenute (60 mq ca. i
duplex, 40 mq ca. i simplex) presentano uno spazio comune
piuttosto ampio, separato dalla zona notte, e spazi esterni
costituiti da terrazze o logge.
GR-15
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 33/2002
D. Tsakalakis
2001
D
ES
FR
GB
IT
1
2
P
GR
3
GR-15
pag
3 Atene
D. Tsakalakis
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
1 - pianta del piano tipo
2 - pianta del piano terra
3 - pianta di un alloggio tipo
4 - vista prospettica
5 - vista esterna
5
GR-15
pag
4 Atene
D. Tsakalakis
2001
luogo/quartiere
Voula, Atene
1985
1980
autore
ISV
anno
2000-2002
1990
1995
16
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Voula
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
ISV (M. Ioannou, T. Sotiropoulos, A. van Gilder)
privato
calendario dell’opera
2000: progetto
2002: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
4000
50
16
5
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
17 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 appartamento simplex
per piano.
1 accesso serve 2 appartamenti duplex.
altre attività presenti/other activities
n° camere per alloggio
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-16
pag
1 Atene
ISV
3 c.
4 c.
4 simplex, 12 duplex
2000
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
‘L’intervento occupa un lotto rettangolare di forma allungata,
lungo il quale si dispongono le diverse unità che lo compongono. Una serie di basse ville bifamiliari è conclusa da un
volume maggiore, costituito da un edificio per appartamenti.
Gli edifici sono circondati da un giardino e il complesso risulta unitario, nonostante l’uso di diverse tipologie residenziali.
La metratura delle unità abitative è ampia (200 mq per le
case a due piani, 170 mq per gli appartamenti ad un solo
piano) e queste sono dotate di spazi aperti riparati dal sole,
costituiti da logge per gli appartamenti e terrazze protette da
parasole nelle abitazioni a due piani.
GR-16
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 36/2005
Architecture in Greece, 39/2005
ISV
2000
D
ES
FR
1
GB
IT
1 - pianta del piano terra di una delle case bifamiliari
2 - pianta del primo piano di una delle case bifamiliari
3 - vista prospettica del complesso a volo d’uccello
4 - pianta del piano terra di un alloggio tipo
P
5 - pianta del primo piano di un alloggio tipo
6 - vista di dettaglio della piscina, messa in relazione con il mare
non lontano (visibile sullo sfondo).
GR
7 - vista di dettaglio di una delle terrazze, rese ombrose dai
parasole.
8 - vista interna del portico di accesso all’edificio per appartamenti.
2
3
GR-16
pag
3 Atene
ISV
2000
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
5
6
GR-16
pag
4 Atene
ISV
2000
D
ES
FR
GB
IT
P
7
GR
8
GR-16
pag
5 Atene
ISV
2000
luogo/quartiere
Ilissia, Atene
1985
1980
autore
Sofia Tsiraki
1990
anno
2000 - 2005
1995
17
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Ilissia
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Sofia Tsiraki, Tassos Biris
Nicolaos Sofialakis
progetto strutturale/structural engineer
calendario dell’opera
Stavros Polychronakis
2000 - 2001: progetto
2005: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
120
15
5
6 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
7,2 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-17
pag
1 Atene
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
S.Tsiraki
5 simplex
2000
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo piccolo edificio ospita al suo interno, oltre a cinque
appartamenti, una galleria d’arte.
Tale spazio espositivo, dedicato principalmente alla scultura,
occupa un grande vano al pianterreno e un ulteriore sala
interrata.
Al di sopra si sviluppa l’edificio per appartamenti, che presenta alloggi fra loro uguali per i primi quattro piani ed uno più
piccolo al piano attico.
Tutti gli appartamenti sono di taglio piuttosto piccolo e godono della vista del parco, sul quale affacciano le logge.
GR-17
pag
2 Atene
Bibliografia
Domes, gennaio 2006
AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century,
EIA, Athens 2009
AA.VV., Fifth Biennale of young Greek architects, EIA, Athens 2006
S. Tsiraki
2000
D
A
GALLERIA
ES
FR
1
2
GB
IT
P
GR
3
4
GR-17
5
pag
3 Atene
S. Tsiraki
2000
D
ES
FR
GB
IT
P
1 - pianta del pianterreno
2 - pianta del piano tipo
3 - pianta di un alloggio tipo
GR
4 - prospetto verso il parco
5 - prospetto laterale
6 - vista del fronte sul parco
7 - vista interna della galleria espositiva
9 - schizzo della vista dal parco
7
GR-17
6
8
pag
4 Atene
S. Tsiraki
2000
luogo/quartiere
Glyfada, Atene
1985
1980
autore
anno
18
G. Apostolakos, Y. Apostolakou 2001 - 2003
1990
1995
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Glyfada
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
G. Apostolakos, Y. Pavlidou - Apostolakou
privato
calendario dell’opera
1997: progetto
1999: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
220
25
7
4
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
15 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 - 2 alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-18
pag
1 Atene
G. Apostolakos, Y. Apostolakou
7 simplex
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un intervento di edilizia residenziale, che presenta varie tipologie di alloggi.
Ai primi tre piani si trovano due appartamenti per piano: qui
la variazione è stata data suddividendo il piano in senso trasversale, al pianterreno, oppure in senso longitudinale al
primo e secondo piano. Questo è stato reso possibile grazie
al posizionamento del vano scala al centro del corpo di fabbrica.
L’ultimo piano è occupato interamente da un unico alloggio.
La volumetria è scomposta in piani verticali e orizzontali
(muri e terrazze aggettanti), mentre in alcuni punti emerge la
struttura reticolare a travi e pilastri.
In particolare la parete che divide il corpo di fabbrica a metà
in senso longitudinale è evidenziata all’esterno con un diverso trattamento cromatico e materico.
GR-18
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 36/2005
G. Apostolakos, Y. Apostolakou
2001
D
E
ES
FR
1
GB
IT
C
P
D
GR
2
A
B
3
GR-18
pag
3 Atene
G. Apostolakos, Y. Apostolakou
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
1 - pianta del terzo piano
2 - pianta del primo e del secondo piano
3 - pianta del pianterreno
4 - pianta di un alloggio C
5 - vista esterna
6 - vista di una delle terrazze all’ultimo livello
4
GR-18
pag
4 Atene
G. Apostolakos, Y. Apostolakou
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
5
6
GR-18
pag
5
G. Apostolakos, Y. Apostolakou
2001
luogo/quartiere
Vrilissia, Atene
1985
1980
autore
MOB architects
1990
anno
2001
1995
19
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Vrilissia
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
MOB architects
(V. Baskosos, D. Tsagaraki & associates)
privato
calendario dell’opera
2001: progetto
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
630
40
13
4 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
16 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
2-3 alloggi per piano
più un’unità bifamiliare
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-19
pag
1 Atene
MOB architects
3 c.
4 c.
11 simplex, 2 duplex
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo complesso residenziale è costituito da due corpi di
fabbrica separati.
Il maggiore dei due è alto cinque piani, ognuno dei quali è
occupato da tre appartamenti di metratura piuttosto ampia,
dotati di tre camere da letto ciascuno, una comoda zona giorno e vari spazi aperti. Al piano attico gli appartamenti si riducono a due.
L’altro edifcio, più piccolo, è costituito da due alloggi duplex.
Il complesso comprende anche una parte non edificata,
sistemata a giradino.
Nel piano interrato si trova, oltre ad alcuni vani tecnici, un
parcheggio.
L’esterno è caratterizzato figurativamente dalla scomposizione delle logge in elementi bidimensionali e dalla bicromia.
GR-19
pag
2 Atene
Bibliografia
Design + art in Greece, 38/2007
MOB architects
2001
E
D
ES
FR
D
C
C
C
C
D
GB
IT
1
P
GR
B
2
A
A
2
GR-19
pag
3 Atene
MOB architects
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
3
1 - pianta del primo piano
2 - pianta del pianterreno
3 - pianta di un alloggio D
4, 5, 6 - viste esterne che mostrano l’articolazione volumetrica.
GR-19
pag
4 Atene
MOB architects
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
5
GR-19
6
pag
5 Atene
MOB architects
2001
luogo/quartiere
Nicosia, Cipro
1985
1980
autore
G. Patsalosavvis
anno
2001 - 2005
1990
2000
1995
20
2005
D
ES
FR
Cipro
GB
IT
P
Nicosia
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
G. Patsalosavvis, J. Constantinidou,
T. Tourva, M. Emmanuel
privato
calendario dell’opera
2001: progetto
2005: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
530
50
9
6 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
14 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 - 2 alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-20
pag
1 Nicosia, Cipro
G. Patsalosavvis
9 simplex
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo complesso residenziale si distingue per la purezza
volumetrica. Si tratta di un parallelepipedo, in cui una delle
dimensioni prevale in modo deciso sulle altre.
Questo ha consentito di suddividere trasversalmente ogni
piano in due alloggi speculari. Il corpo scala è al centro fra i
due.
Agli ultimi tre livelli si trova, invece, un solo alloggio per
piano: la sezione longitdinale del volume risulta dimezzata.
In contrasto con l’omogeneità dei prospetti esterni, il nucleo
centrale si articola intorno a un vano a tutta altezza, su cui si
affacciano ballatoi, che distribuiscono gli alloggi e il corpo
scala. La struttura in c. a. a travi e pilastri è lasciata a vista,
contribuendo a caratterizzare questo spazio.
GR-20
pag
2 Nicosia, Cipro
Bibliografia
Architecture in Greece 41/2007
G. Patsalosavvis
2001
D
ES
FR
GB
1
IT
P
GR
2
3
GR-20
pag
3 Nicosia, Cipro
G. Patsalosavvis
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
5
GR-20
pag
4 Nicosia, Cipro
G. Patsalosavvis
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
6
1 - pianta del secondo piano
2 - pianta del primo piano
3 - pianta del pianterreno
4 - pianta di un alloggio A
5 - sezione
6 - vista che mostra l’uniformità dei prospetti esterni.
7, 8 - viste che mostrano la complessa articolazione dell’ingresso al vano scala.
7
GR-20
pag
5 Nicosia, Cipro
8
G. Patsalosavvis
2001
luogo/quartiere
Sitia, Creta
1985
1980
autore
Dimitris Tsakalakis
anno
2001 - 2004
1990
2000
1995
21
2005
D
ES
FR
Creta
GB
IT
P
Sitia
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
D. Tsakalakis
privato
calendario dell’opera
2001: progetto
2003-2004: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
340
50
13
5 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
18 m
distribuzione interna
1 corpi scala serve
1-2 alloggi per piano.
Al quinto livello un ballatoio serve 5 alloggi.
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-21
pag
1 Sitia, Creta
D. Tsakalakis
3 c.
4 c.
4 simplex, 9 duplex
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un edificio suddiviso in due corpi di fabbrica, che
racchiudono una corte. Per via dell’andamento del terreno,
uno dei due corpi è posto a un livello più alto. Questo ospita
un garage a due piani e quattro appartamenti simplex, serviti da un corpo scala.
Il volume più basso è costituito da otto alloggi duplex, di cui
quattro hanno accesso indipendente al pianterreno, mentre
quelli che occupano il secondo e terzo piano affacciano su
un ballatoio, collegato al corpo scala attraverso un terzo
corpo più piccolo, a ponte, in cui è collocato un appartamento duplex.
Gli alloggi, nonostante le metrature contenute (60 mq ca. i
duplex, 40 mq ca. i simplex) presentano uno spazio comune
piuttosto ampio, separato dalla zona notte, e spazi esterni
costituiti da terrazze o logge.
GR-21
pag
2 Sitia, Creta
Bibliografia
Architecture in Greece, 40/2006
AA.VV., The dispersed urbanity of the Aegean archipelago, Hellenic
Ministry of Culture 2006
D. Tsakalakis
2001
B
B
D
D
ES
FR
1
2
GB
IT
B
B
P
D
GR
C
C
C
C
3
C
C
4
A
A
A
A
5
GR-21
C
C
A
A
A
A
6
pag
3 Sitia, Creta
D. Tsakalakis
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
7
1 - pianta del quinto piano
2 - pianta del quarto piano
3 - pianta del terzo piano
4 - pianta del secondo piano
5 - pianta del primo piano
6 - pianta del piano terra
7 - pianta di un alloggio di tipo B
8, 9 - viste del fronte dei duplex: i due piani intermedi, le cui logge sono caratterizzate cromaticamente, ospitano la zona notte degli alloggi. Al
piano terra l’accesso agli appartamenti avviene dalla strada.
10, 11 - schemi assonometrici aggregativi .
GR-21
pag
4 Sitia, Creta
D. Tsakalakis
2001
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
8
9
10
11
GR-21
pag
5 Sitia, Creta
D. Tsakalakis
2001
luogo/quartiere
Tebe
1985
1980
autore
Ark - sign
1990
anno
2002 - 2006
1995
22
2000
2005
D
ES
FR
Tebe
GB
IT
P
GR
progettisti del piano/masterplan architects
committente/ente promotore/promotor
G. Diamantopoulos (urban plan: 1977)
privato
progettisti degli edifici/buildings architects
calendario dell’opera
M. Kazolea, T. Katerini, S. Kolidas, P. Tsakopoulos
progetto strutturale/structural engineer
2002: progetto
2006: completamento delle opere
K. Kourkoutis
impresa realizzatrice/contractor
KADMOS A.E.T.E.
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
3000
140
32
5 + 3 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
12 - 15 m
distribuzione interna
8 corpi scala servono
1 - 2 alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-22
pag
1 Tebe
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
Ark - sign
3 c.
4 c.
8 simplex, 24 duplex
2002
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un intervento a scala urbana, che si inserisce nell’ambito del piano del 1977. Tale piano ha come obbiettivo
quello di decongestionare il centro della città, favorendo lo
sviluppo delle zone periferiche.
L’insediamento residenziale è costituito da diverse unità abitative, aggregate intorno a una grande corte sistemata a giardino, e circa 2000 mq di negozi.
Gli alloggi sono di dimensioni modeste, quasi tutti disposti su
due piani. Quelli ai piani inferiori hanno accesso indipendente e un piccolo spazio esterno privato.
Nei piani interrati è collocato un parcheggio.
Gli edifici sono costituiti da un’aggregazione di volumi di
dimensioni diverse, ben distinguibili fra loro grazie alla bicromia.
GR-22
pag
2 Tebe
Bibliografia
Design + art in Greece, 39/2008
AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century,
EIA, Athens 2009
Ark - sign
2002
D
ES
FR
1
GB
A
A
A
D
C
C
IT
A
P
A
GR
A
A
A
A
A
A
A
B
2
1 - sezione
2 - pianta del pianterreno
3 - pianta del pianterreno di un alloggio A
4 - vista dell’insediamento dall’esterno
5 - vista complessiva della corte interna
6 - interno di uno degli alloggi duplex
7 - vista della corta interna
GR-22
pag
3 Tebe
Ark - sign
2002
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
3
4
GR-22
pag
4 Tebe
Ark - sign
2002
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
6
GR-22
7
pag
5 Tebe
Ark - sign
2002
luogo/quartiere
Nea Filothei, Atene
1985
1980
autore
Y. Aesopos
1990
anno
2003
1995
23
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Nea Filothei
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Yannis Aesopos
privato
calendario dell’opera
2003: completamento delle opere
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
165
16
4
5 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
9m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
4 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-23
pag
1 Atene
Yannis Aesopos
7 simplex
2003
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo piccolo intervento risulta dall’aggregazione di due
tipologie residenziali diverse: può essere letto come una
casa monofamiliare, alla quale è sovrapposto un edificio per
appartamenti.
L’abitazione al pianterreno costituisce il basamento dell’edificio. Uno spazio intermedio dà accesso alla colonna di alloggi simplex sovrastante, servita da un corpo scala. Questo è
estromesso dal volume principale e presenta una struttura a
telaio in acciaio e vetro.
L’alloggio duplex è organizzato intorno a un grande spazio
centrale a doppia altezza, su cui si aprono le camere e i servizi, caratterizzato da grandi lucernai ellittici sulla copertura.
NeiI simplex superiori i vani sono distribuiti da un corridoio
centrale, mentre l’accesso avviene nel soggiorno. Questo
affaccia su una grande loggia.
GR-23
pag
2 Atene
Bibliografia
DOUMANIS Orestis, Contemporary architecture in Greece,
Architecture in Greece press, Athens 2005
Yannis Aesopos
2003
D
ES
1
FR
B
GB
2
IT
1 - sezione
2 - pianta del piano tipo
P
3 - pianta del secondo piano
4 - pianta del pianterreno
3
5 - pianta di un alloggio B
GR
6 - vista interna dell’appartamento duplex al pianterreno
A
7 - scala d’accesso al piano intermendio
8 - vista del piano intermedio
4
5
GR-23
pag
3 Atene
Yannis Aesopos
2003
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
6
7
8
GR-23
pag
4
Yannis Aesopos
2003
luogo/quartiere
Pangrati, Atene
1985
1980
autore
anno
24
A. Anastasopulou, V. Gikapeppas 2005 - 2007
1990
1995
2000
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Pangrati
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Anta Anastasopoulou, Vassili Gikapeppas,
Christina Markou
privato
calendario dell’opera
progetto strutturale/structural engineer
2005: progetto
2007: completamento delle opere
Christos Zallas, Spouros Kouzangelis
metodo di finanziamento
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
140
30
8
9
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
10 m
distribuzione interna
1 corpo scala serve
1 alloggio per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
3 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-24
pag
1 Atene
A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005
4 c.
8 simplex
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di una torre di nove piani, ognuno dei quali, escluso
quello di accesso, ospita un appartamento.
Il volume si caratterizza per la sua semplicità, contraddetta
solo dalle logge e dal corpo scala cilindrico.
Anche la suddivisione degli spazi interni degli alloggi è piuttosto semplice: l’ingresso è posto fra la zona giorno, costituita da un unico ambiente, e la zona notte, organizzata intorno
a un disimpegno. Un ulteriore ambiente, al centro, è in comunicazione con il soggiorno attraverso un’apertura.
Dai soggiorni si accede alle logge, piuttosto grandi, che con
i parapetti in muratura e i parasole metallici verniciati di rosso
caratterizzano il prospetto prinicipale.
GR-24
pag
2 Atene
Bibliografia
AA.VV., The dwelling in Greece from the 20th to the 21st century,
EIA, Athens 2009
A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
5
1 - pianta del piano tipo
2 - vista della torre, inserita nel proprio contesto urbano
3 - vista delle logge
4 - viste dei parasole metallici
GR-24
pag
3 Atene
A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
2
3
GR-24
4
pag
4 Atene
A. Anastasopoulou, V. Gikapeppas 2005
luogo/quartiere
Metaxourgeion, Atene
1985
1980
G. Daskalaki, V. Papadopoulos
autore
anno
2006 - 2009
1990
2000
1995
25
2005
D
ES
FR
Atene
GB
IT
P
Metaxourgeion
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
Georgia Daskalaki, Yannis Papadopoulos
Tassos Biris (consultant architect)
GEK TERNA S.A.
progettisti paesaggisti/landscape architects
calendario dell’opera
Elli Pagalou
2005: progetto
2005-2007: completamento delle opere
progetto strutturale/structural engineer
N. Pagonis, N. Chroneas, Ch. Kinatos
impresa realizzatrice/contractor
metodo di finanziamento
TERNA S.A.
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
3000
120
40
5 + 1 int.
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
10 - 18 m
distribuzione interna
4 corpi scala servono
2 - 3 alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
uffici/office
commerciale/commercial
altri usi/other use
GR-25
pag
1 Atene
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
G. Daskalaki, V. Papadopoulos
3 c.
4 c.
37 simplex, 3 duplex
2006
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Si tratta di un edificio a corte. L’accesso ai corpi scala avviene attraerso questo spazio aperto centrale. Alcuni ambienti
per esercizi commerciali affacciano all’esterno.
Alla varietà di tagli e di schemi distributivi degli alloggi corrisponde un’articolazione volumetrica, tale che è difficile identificare un corpo di fabbrica unitario. La diversa dimensione e
forma diterrazze e bucature accentuano questa caratteristica
dell’edificio.
Il complesso è dotato di uno spazio collettivo che ospita una
piscina.
La copertura è caratterizzata da elementi tecnici, che assumono un particolare valore formale, e dalla variazione di pendenza delle falde.
GR-25
pag
2 Atene
Bibliografia
Domes, maggio 2009
G. Daskalaki, V. Papadopoulos
2006
D
M
V
ES
U
O
FR
T
GB
P
R
IT
Q
S
P
1
GR
L
L
L
M
A
B
I
C
H
D
G
F
E
2
GR-25
pag
3 Atene
G. Daskalaki, V. Papadopoulos
2006
1 - pianta del primo piano
D
2 - pianta del pianterreno
3 - pianta di un alloggio di tipo V
4 - vista della copertura e della corte
5 - vista che mostra la complessa articolazione delle logge e delle bucature
ES
6 - vista della piscina
FR
GB
IT
P
GR
3
GR-25
pag
3 Atene
G. Daskalaki, V. Papadopoulos
2006
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
4
6
5
GR-25
pag
5 Atene
G. Daskalaki, V. Papadopoulos
2006
luogo/quartiere
Patrasso
1985
1980
TRAC architecture+construction
autore
anno
2007
1990
2000
1995
26
2005
D
ES
FR
Patrasso
GB
IT
P
GR
progettisti degli edifici/buildings architects
committente/ente promotore/promotor
N. Travasaros, T. Travasaros, D. Travasaros & divercity,
D. Karabella
privato
calendario dell’opera
progetto strutturale/structural engineer
2007: progetto
Yannis Kiourtis
impresa realizzatrice/contractor
metodo di finanziamento
TRAC architecture + construction
finanziamento privato
dati intervento
superficie/surface area
abitanti/habitants
alloggi/dwellings
n° di piani massimo/floor number
5800
130
30
5
mq
spessore corpo di fabbrica/building dimension
ca.
16 m
distribuzione interna
4 corpi scala servono
1 - 2 alloggi per piano
n° camere per alloggio
altre attività presenti/other activities
esclusivo uso residenziale
1 c.
2 c.
tipi di alloggio/dwelling type
GR-26
pag
1 Patrasso
3 c.
4 c.
26 simplex, 4 duplex
TRAC architecture + construction
2007
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
descrizione dell’intervento
Questo edificio in linea è servito da quattro corpi scala, ognuno dei quali distribuisce uno o due appartamenti per piano.
La volumetria è compatta e l’omogeneità delle unità abitative
è evidenziata dalle fasce continue delle logge, che corrono
lungo tutto il prospetto principale.
Fa eccezione solo una delle colonne di appartamenti, ad una
delle estremità della stecca, che si distingue dal resto sia per
la volumetria, caratterizzata dall’accentuazione di un angolo
acuto, sia per la tipologia abitativa, presentando alloggi di
taglio più piccolo, fra cui un monolocale.
GR-26
pag
2 Patrasso
Bibliografia
Domes, maggio 2008
TRAC architecture + construction
2007
D
ES
G
F
FR
GB
E
IT
D
P
C
GR
B
A
GR-26
pag
3 Patrasso
TRAC architecture + construction
2007
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
1 - pianta del secondo piano, scala 1:500
2 - pianta di un alloggio G, scala 1:200
3 - vista delle terrazze che affaciano sul mare
4, 5 - viste del pianterreno
GR-26
pag
4 Patrasso
TRAC architecture + construction
2007
D
ES
FR
GB
IT
P
GR
3
4
GR-26
5
pag
5 Patrasso
TRAC architecture + construction
2007
REGESTO DELLE OPERE REALIZZATE
1
2
Biris, Biris
Kouvela
1977 - 1980
1977 - 1980
Polydrosso, Halandri, Atene
15 alloggi
Exarchia, Atene
3 alloggi
3
4
Photiadis, Massouridis
Atelier 66
1977
1978 - 1982
Antikyra, Beotia
160 alloggi
Doxapatris st., Atene
9 alloggi
5
6
Atelier 66
Exarhopoulos, Papastamatis
1978 - 1981
1978
Olos Pinotsi 17, Atene
3 alloggi
Kareas, Atene
5 alloggi
7
8
Exarhopoulos
Manetas
1978
1978
Nea Philotei, Atene
3 alloggi
Filothei, Atene
6 alloggi
9
10
Manetas
Souvatzidis
1978
1978 - 1979/81
Palayo Psychico, Atene
5 alloggi
Papagou, Atene
4 alloggi
1
11
12
Souvatzidis
Tombazis
1978 - 1981
1978 - 1984/88
Halandri, Atene
7 alloggi
Pefki, Attica
435 alloggi
13
14
Biris, Biris
Didaskalou
1979 - 1981
1979 - 1980/83
Halandri, Atene
6 alloggi
Kalamaria, Salonicco
12 alloggi
15
16
Manetas
Biris, Biris
1979
1980 - 1985
Kifissia, Atene
6 alloggi
Politeia, Atene
3 alloggi
17
18
Manetas
Manetas
1980
1980
Palayo Psychico, Atene
6 alloggi
Palayo Psychico, Atene
3 alloggi
19
20
Manidakis
Rogan, Papassidelis
1980
1980 - 1983
Kifissia, Atene
Parkopoulo, Atene
4 alloggi
2
21
22
Theodossopulos
Tombazis
1980
1980 - 1981/83
Metz, Atene
Komotini, Atene
134 alloggi
23
24
Atelier 66
Manetas
1981
1981
Voula, Atene
Kifissia, Atene
8 alloggi
25
26
Manetas
Tombazis
1981
1981 - 1982/87
Palayo Psychico, Atene
14 alloggi
Glyfada
6 alloggi
27
28
Souvatzidis
Andreadakis, Bakas
1986 - 1993
1987 - 1989
Attica Park, Atene
3 alloggi
Rethimno, Creta
29
30
Manetas
Mastroyannis, Koufopanos
1987
1987 - 1988/89
Kifissia, Atene
15 alloggi
Holangos, Atene
6 alloggi
3
31
32
Patsouris
Manetas
1987/88 - 1988/91
1988
Dodiotou st., Atene
7 alloggi
33
Kifissia, Atene
4 alloggi
34
Mastroyannis, Koufopanos
Stylianidis, Stylianidis,
Papathomas
1988
1988 - 1989
Kifissia, Atene
5 alloggi
Holangos, Atene
3 alloggi
35
36
Kokkindou
Manetas
1989 - 1990/91
1989
Heraklion, Atene
15 alloggi
Kifissia, Atene
9 alloggi
37
38
Manetas
Zeppos, Gergiadis
1989
1989
Kifissia, Atene
5 alloggi
Kavouri, Atene
9 alloggi
39
40
Faturos
I. S. V.
1990
1990 - 1993
Palama st., Thessaloniki
6 alloggi
Palayo Faliro, Atene
4 alloggi
4
41
42
Kouvela, Panaghiotatou
Manetas
1990
1990
Voula, Atene
4 alloggi
Palayo Phaleron, Atene
8 alloggi
43
44
Tombazis, Kalligas
Apostolakos, Apostolakou
1990 - 1990/93
1991/92 - 1994/96
Palayo Phaleron, Atene
(più di) 20 alloggi
Maroussi, Atene
6 alloggi
45
46
Gerakis
Manetas
1991/92 - 1993/94
1991
Glyfada, Atene
4 alloggi
Kifissia, Atene
5 alloggi
47
48
Varoudakis
Varoudakis
Dexameni, Chania, Creta
1992 - 1993/97
19 alloggi
Aghios Ioannis, Rethimno,
Creta
1992 - 1993/97
49
50
Andreadakis, Baka
Souvatzidis
1993 - 1994/95
1993 - 1995
Rethimno, Creta
Neo Heraklion, Atene
4 alloggi
5
51
52
Karakosta, Papanikolau
Manetas
1994
1994
Beotia
10 alloggi (a schiera)
Glyfada, Atene
4 alloggi
53
54
Mavridis, Orfanou
Karakosta
1994 - 1995
1995 - 1997
Nea Filothei, Atene
5 alloggi
Ano Glyfada, Atene
3 alloggi
55
56
I. S. V.
Karakosta
1996 - 2000
1996 - 1999
Papagou, Atene
3 alloggi
Palayo Psychico, Atene
4 alloggi
57
58
Gyfotopoulos, Filippa
Mavridis, Orfanou
1997 - 1997/2002
1997
Aghia Paraxevi, Atene
9 alloggi
Lycabetto, Atene
4 alloggi
59
60
Rokas, Rokas
Stathoulopoulos, Georgaki
1997 - 2000
1997 - 1999
Perissos, Atene
4 alloggi
Glyfada, Atene
6 alloggi
6
61
62
Filippopuolou, Mourelatos
I. S. V.
1998 - 2000
1998 - 2000
Pangrati, Atene
3 alloggi
Voula, Atene
5 alloggi
63
64
Manetas
Sarof, Papadopoulos
1998 - 2001
1998
Palayo Psychico, Atene
Nicosia, Cipro
6 alloggi
65
66
Dragonas
Loukopulos
1999 - 2002
1999/2000 - 2000/2002
Pangrati, Atene
7 alloggi
Corinto
6 alloggi
67
68
M. O. B.
Tsakalakis
1999 - 1999/2002
1999
Virilissia, Atene
16 alloggi
Voula, Atene
4 alloggi
69
70
dkt architects
(Desilas, Katsika, Tsiatas)
I. S. V.
2000 - 2004
2000 - 2002
Pigadakia, Voula, Atene
10 alloggi
7
71
72
Kotionis, Kolipoulou
Photiadis
2000/01 - 2001/03
2000 - 2003
Palayo Phaleron, Atene
(più di) 9 alloggi
Psyhico, Atene
73
74
Sgouros
Tsiraki
2000 - 2004
2000 - 2001/2004
Aghio Nicolao, Creta
Ilissia
5 alloggi
75
76
3 T (Travasaros)
Anastasospoulo, Gikapeppas
2001 - 2003
2001 - 2003
Patrasso
9 alloggi
Halandri, Atene
4 alloggi
77
78
Apostolakos, Apostolakou
Horiti
2001 - 2001/03
2001
Glyfada, Atene
8 alloggi
Kolonaki
3 alloggi
79
80
Kaklamani
M. O. B.
2001/02 - 2002/03
2001
Atene
Virilissia, Atene
13 alloggi
8
81
82
Nikiforiadis, Skaraki
Patsalosavvis
2001 - 2002
2001 - 2005
Chania, Creta
Nicosia, Cipro
9 alloggi
83
84
Tsakalakis
Ark Sign
2001 - 2002/05
2002 - 2006
Sitia, Atene
Thiva
(più di) 20 alloggi
85
86
Domorinthos
Manetas
2002
2002
Nea Smirni, Atene
9 alloggi
87
Politeia, Atene
88
M - Plus
Abakoumkin, Kavaddas,
Kalogiannis, Boutis
2002/03 - 2004/07
2003
Nea Smirni
5 alloggi
Voula, Atene
89
90
Abakoumkin
Aesopos
2003 - 2004
2003
Halandri, Atene
4 alloggi
Atene
9
91
92
Andreadaki, Baka
Christovasilis
2003/04 - 2005
2003 - 2006
Rethimno, Creta
93
Paroutsis,
Haralambiau - Moskou
Nicosia, Cipro
2003
3 alloggi
Marousi
94
Anastasopoulos, Gikapeppas
Atene
2004 - 2005
9 alloggi
95
96
Antonakakis, Momembasitou
Delendas
2004 - 2005
2004 - 2005/06
97
98
Manziou
Pangea, Lamprinou
2004 - 2005/08
2004 - 2005/07
99
100
Stasinopoulos
Anastasopoulos, Gikapeppas
2004
2005 - 2007
Marousi
Keramikos, Atene
3 alloggi
Galatsi
9 alloggi
10
101
102
Maurogheorghi
Tsakalakis
2005 - 2006
2005
103
104
Daskalaki, Papadopoulos
Gavalas & associates
2006 - 2009
2006 - 2007/08
105
106
Tsigarida
TRAC
2006
2007
Aghia Paraskeui
Metaxourgeion, Atene
40 alloggi
East Suburbs, Thessaloniki
Patrasso
30 alloggi
107
Sotoviki
Aghia Paraskevi, Atene
2008
11
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Architettura “Valle Giulia”
Dipartimento Ar_Cos
Tesi di Dottorato in Architettura e Costruzione, Spazio e Società
Guglielmo Malizia - relatore prof. Dina Nencini
La residenza urbana in Grecia - 1980 / 2005
Vol.III - L’inattualità tecnologica dell’Architettura
2
PREMESSA
Come già anticipato nella prefazione generale, occorre avvertire che il terzo volume di questa
tesi esula dall’ argomento specifico trattato nei due precedenti, per dare spazio a riflessioni di
carattere più generale sulla disciplina architettonica, secondo l’esplicita richiesta del Collegio dei
Docenti.
Si tratta di un breve testo critico che affronta, seppur in maniera parziale, un tema centrale per la
comprensione dell’architettura e del suo ruolo attuale: la tecnica.
3
4
INDICE
7
INTRODUZIONE
Che cos’è l’architettura
0
RIFLESSIONI SULLO STATO ATTUALE DELL’ARCHITETTURA
L’architettura come espressione del proprio tempo
L’inattualità tecnologica dell’architettura
L’inattualità simbolica dell’architettura
L’attuale panorama della cultura architettonica
Per il progresso dell’architettura
0
LA QUESTIONE DELLA TECNICA
La natura della tecnica
Il carattere della tecnica
“Tecnicizzazione”: senso e finalità
Ontologia del presente
0
LE ARTI E LA TECNICA
Il ruolo della tecnica in architettura
Gli orizzonti neotecnologici dell’arte
0
BIBLIOGRAFIA
5
6
INTRODUZIONE
Credo che un’attività prpropriamente scientifica come la ricerca non possa che avere un
ruolo limitato nell’ambito di una disciplina artistica quale è l’architettura. Un ruolo limitato
sostanzialmente all’aspetto tecnico, e quindi più generico della materia, ovvero allo studio dei
materiali da costruzione e delle loro proprietà tecnologiche.
D’altra parte l’alto grado di responsabilità civile di quest’arte impone agli architetti di coltivare la
loro coscienza tramite una costante riflessione teorica sui valori radicati nella vocazione spirituale
dell’uomo, oltre che sugli scopi pratici legati alla struttura specifica di ogni epoca. Per questo
motivo il fine principale della didattica in architettura dovrebbe essere quello di comprendere la
stretta connessione tra i due livelli essenzialmente differenti dello scopo e del valore1.
Credo sia inoltre ragionevole sostenere che la riflessione teorica degli architetti ruoti sempre
attorno a due domande fondamentali: “che cos’è l’architettura?” e “qual è il suo ruolo attuale?”.
Che cos’è l’architettura?
L’architettura è l’arte del costruire2; e il costruire è la tecnica che ha come fine la costruzione,
ovvero la produzione di oggetti utili alla vita. Attraverso quest’attività primordiale gli uomini
stabiliscono la propria relazione con l’ambiente in cui vivono, e trasformandolo lasciano le tracce
più evidenti e durature della loro esistenza. In questo senso la costruzione può essere intesa come
concretizzazione dei diversi modi che l’uomo ha di stare nel mondo, orientandosi, appropriandosi
del territorio, disponendo su di esso materiali utili alla vita e organizzandoli; si potrebbe definire
sostanza dell’abitare.
Forse però l’intero ambito del costruire è troppo vasto per definire l’architettura, infatti esistono
svariati tipi di costruzione e non tutti sono oggetto della nostra arte, anche se, come sostiene
Vitruvio, “l’architetto deve essere in grado di giudicare tutte quelle opere che le singole arti
1 A questo proposito Mies van der Rohe nel Discorso inaugurale in qualità di direttore del dipartimento di Architettura presso l’Armour Institute of Technology (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture,
gli scritti, Milano 1996) disse: “La vera educazione non si riferisce soltanto agli scopi, ma anche ai valori. Nei nostri
scopi siamo legati alla struttura specifica della nostra epoca. I valori invece sono radicati nella vocazione spirituale
dell’uomo. La nostra definizione degli scopi determina il carattere della nostra civiltà, la nostra definizione dei valori
l’altezza della nostra cultura. Per quanto lo scopo e il valore siano essenzialmente differenti e derivino da livelli diversi, essi sono tuttavia strettamente connessi. A che cosa si devono riferire i nostri valori se non ai nostri scopi, e dove
dovrebbero trovare gli scopi il loro significato se non nei valori? Solo questi due piani sono fondamentali per l’esistenza umana. Il primo garantisce all’uomo la sua vita materiale; l’altro rende possibile l’esistenza spirituale dell’uomo.
Ma se queste affermazioni sono vere per qualsiasi attività umana, persino per la manifestazione più modesta di un
valore, tanto più lo sono per il campo dell’architettura. Nelle sue forme più semplici, l’architettura trova le sue radici
nelle considerazioni pratiche. Ma essa raggiunge, al di là di tutti i livelli di valore, il regno dell’esistenza spirituale, il
mondo del significato, la sfera della pura arte”.
2 il termine tedesco baukunst esprime nella sintesi suprema questa definizione.
7
costruiscono”3. La distinzione fondamentale per il nostro tipo di costruzioni consiste nel loro
carattere tettonico, nella loro fondazione, nel fatto che debbano essere solidali al terreno, almeno
durante l’espletamento delle loro funzioni4.
Inoltre, a seguito della specializzazione dei saperi avvenuta in età moderna, l’architetto ha dovuto
rinunciare non solo al dominio delle opere idrauliche e meccaniche, ma anche di quelle che sono
diventate appannaggio dell’ingegneria civile, nonostante la loro incidenza nel paesaggio le renda
un problema anche o soprattutto artistico, come sosteneva Mies riguardo le autostrade5. A questo
punto, riducendo la definizione di partenza, sarà forse più corretto chiamare architettura l’arte di
edificare, ovvero l’arte di costruire gli edifici.
Ora, stabilito l’ambito dell’edilizia, viene spontaneo interrogarsi sulla qualità artistica che distingue
l’architettura all’interno di esso. Quesito che rimanda alla più generale differenza tra arte e tecnica:
come si avvera quel senso di natura che solo distingue l’arte bella dall’arte in genere, ovvero dalla
tecnica6?
L’architetto, progettando le nuove costruzioni, deve continuamente elaborare delle soluzioni
razionali ai problemi pratici che si pongono di volta in volta. È solo nell’atteggiamento spirituale
con il quale si affrontano tali problemi che sembra possibile ritracciare la differenza artistica.
L’attenta cura nella costruzione, la sincera dedizione alla disciplina, l’onesta comprensione delle
condizioni, informano l’opera di una speranza ulteriore, che trascende il raggiungimento degli
scopi più immediati7. È come se ci fosse una finalità seconda dell’arte rispetto alla tecnica; una
finalità metafisica che non può essere perseguita consapevolmente, ma solo come una vocazione.
Questo potrebbe corrispondere a quel senso di unità riflesso dall’opera d’arte proprio come dallo
spettacolo naturale che suggerisce l’esistenza di un ordine universale, del cosmo.
Così, quando l’edilizia avviene artisticamente, si ha l’architettura.
La domanda circa il ruolo attuale dell’architettura costituisce l’argomento centrale delle riflessioni
che seguono.
Il resto del testo è formato da due approfondimenti sul tema della tecnica, dal momento che
essa emerge sempre come termine centrale in ogni discorso sul tempo presente (in quanto suo
3 Vitruvio, De Architectura, I.1 “Architecti est scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, cuius iudicio
probantur omnia quae ab ceteris artibus perficiuntur opera.”
4 In tal senso William Morris, in The Prospects of Architecture in Civilization (in: On Art and Socialism, Londra 1947),
giungeva a sostenere che “l’architettura è l’insieme delle modifiche e delle alterazioni operate sulla superficie terrestre in vista delle necessità umane, eccettuato solo il puro deserto”.
5 Ludwig Mies van der Rohe, Le autostrade come problema artistico (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der
Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996).
6 Viene qui ripresa la teoria di Kant per cui “dinanzi a un prodotto dell’arte bella si dev’essere consapevoli che si tratta
di arte e non di natura, e tuttavia la conformità a scopi nella forma di esso deve parere così libera da ogni costrizione
di regole arbitrarie, come se fosse prodotto della semplice natura”. (Immanuel Kant, Critica della facoltà di giudizio,
cap. 45)
7 A tale riguardo è emblematica la seguente frase di Mies van der Rohe: “L’arte del costruire inizia dal modo accurato
di mettere insieme due mattoni” (da un colloquio con Christian Norberg-Schultz del 1958; trad. it. in Fritz Neumeyer,
Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996).
8
carattere determinante) e sull’arte (in quanto sua primitiva), e quindi in ogni riflessione sul ruolo
attuale dell’architettura.
Nel primo approfondimento ho cercato di inquadrare la questione della tecnica nei suoi aspetti più
generali: come proprietà della natura umana, come modo di orientarsi tra le cose nel mondo, come
compimento della storia europea, come fattore alienante, ecc.; mentre il secondo approfondimento
riguarda il rapporto che lega indissolubilmente, ma in perenne tensione dialettica, le arti alla
tecnica, con riferimento specifico all’architettura, nel tentativo di riformulare con chiarezza gli
interrogativi posti alla dimensione artistica dal rinnovato scenario ipertecnologico.
9
10
RIFLESSIONI SULLO STATO ATTUALE DELL’ARCHITETTURA
L’architettura come espressione del proprio tempo.
Ogni costruzione è espressione del tempo in cui viene prodotta in primo luogo per la sua natura
tecnica1. Non rientra certo tra le intenzioni che la guidano quella di rappresentare i caratteri di
un’epoca, ma lo fa spontaneamente, non può non farlo, utilizzando i materiali a disposizione e
rispondendo a problemi attuali. L’architettura inoltre, rispetto alla costruzione in genere, esprime
ancora più chiaramente lo spirito del tempo grazie alla sua qualità artistica che si esprime
nell’ordinare armoniosamente tutti gli elementi che costituiscono l’opera, aumentandone così
l’intelligibilità.
Dovere intellettuale dell’architetto è quello di interrogarsi sul presente cercando di chiarirne
l’intima struttura, ma è bene che si guardi dal formalizzarne semplicistiche traduzioni nel linguaggio
architettonico. D’altra parte, quando si persegue esplicitamente il vago fine di rappresentare i
caratteri del proprio tempo, si finisce quasi sempre per scadere ad un tono caricaturale che rende
l’opera un vano ricettacolo di figure dell’attualità. Bisogna quindi essere coscienti del proprio
tempo e accettarlo, ma, nella pratica, preoccuparsi dei soli problemi di valore e di senso2.
Bisogna inoltre tener presente che l’architettura si evolve molto lentamente. Nel corso della
storia infatti possiamo apprezzare solo pochissimi momenti in cui sono avvenute trasformazioni
significative nei modi di concepire e di praticare l’arte del costruire; e non a caso ciò si è verificato
in concomitanza con i grandi passaggi epocali: dall’età antica a quella medievale, da questa a
quella moderna, e poi la contemporanea. È importante fare questa precisazione, seppur ovvia,
poiché oggi il fraintendimento del significato storico delle avanguardie ha portato ad una costante
volontà di distinzione dal passato (anche se molto recente), ad una ricerca continua di novità fine
a sé stessa, non motivata da esigenze reali3.
1 Infatti ogni epoca è segnata nella maniera più evidente dalle risorse naturali di cui si servono gli uomini e dal loro
modo di utilizzarle, quindi dalla tecnica.
2 Nel 1930, in un momento in cui ogni discussione sulla Neue Sachlichkeit era infervorato dai ben noti toni entusiastici circa la civilisation machiniste, Mies van der Rohe seppe inquadrare il problema della nuova era con estrema lucidità, come dimostrano le celebri parole conclusive del suo intervento al congresso del Deutcher Werkbund: «Il tempo
nuovo è una realtà; esso esiste indipendentemente dal fatto che noi lo accettiamo o lo rifiutiamo. Ma esso non è né
migliore né peggiore di qualsiasi altro tempo. Esso è semplicemente un dato di fatto ed è in sé indifferente ai valori.
Perciò non mi soffermerò a lungo sul tentativo di chiarire il tempo nuovo, di illuminarne i rapporti e di metterne a
nudo la struttura portante. Né vogliamo sopravvalutare il problema della meccanizzazione e della standardizzazione.
Vogliamo invece accettare come un dato di fatto la mutata situazione economica e sociale. Tutte queste cose percorrono la loro strada inevitabile e cieca ai valori. Decisivo sarà il modo in cui noi ci faremo valere in questa situazione.
Solo a questo punto cominciano i problemi spirituali. Quel che importa non è il che cosa, ma unicamente e solo il
come. Il fatto che produciamo dei beni, e quali mezzi usiamo per produrre, non significa nulla da un punto di vista
spirituale.» (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996).
3 L’avanguardia infatti è stata il modo in cui la pratica artistica si è posta il problema di essere critica nei confronti del
pensiero dominante, rompendo le regole accademiche; mentre oggi, che non esistono più regole accademiche cui
contrapporsi, si ripropongono schemi avanguardisti per affermare il pensiero dominante.
11
L’inattualità tecnologica dell’architettura.
L’architettura per ovvie ragioni ha una relazione fondamentale con tutti gli aspetti della cultura
e della vita sociale. È infatti evidente come economia, politica, religione, scienza abbiano
determinato le diverse inclinazioni che la produzione architettonica ha seguito nel corso della
storia. Ad un’attenta analisi si possono addirittura rilevare i diversi gradi di influenza che ciascuno
di questi dispositivi ha esercitato nei vari periodi, a seconda dei diversi assetti assunti dal sistema
di potere.
Tuttavia l’architettura, come le altre arti, ha solo con la tecnica un legame costitutivo. Del resto
fino alla nascita settecentesca dell’estetica non vi era distinzione tra arte e tecnica4; solo da allora
si creò una distanza critica tra le due e se ne poté parlare nei termini di un rapporto dialettico.
Per questa speciale parentela l’influenza esercitata dalla tecnica sull’architettura risulta ben
più diretta ed efficace di ogni altro contributo culturale. Basti pensare a quanto siano sfumati e
indefiniti, sebbene incontestabili, gli influssi del costume sulla produzione architettonica, rispetto
a come appaiano chiari quelli esercitati dai materiali da costruzione e dalle loro diverse tecnologie.
L’esperienza del movimento moderno dimostra come la nuova disponibilità industriale dell’acciaio
e del vetro nell’edilizia abbia determinato la più radicale rivoluzione architettonica che sia mai
avvenuta.
Oggi, con lo sviluppo delle tecniche informatiche, stiamo assistendo al tra­monto dell’età
industriale, almeno certamente a li­vello dell’immaginario collettivo. Questo non significa che non
vi saranno più luoghi ove si produrranno, con macchine sempre più sofisticate, beni materiali, ma
la macchina ha cessato di coincidere con il mito della mo­dernità come la fabbrica ha cessato di
es­sere un condensatore sociale della struttura urbana, un simbolo visibile di avanzamento e di
contrasti nello stesso tempo. Nessuno si chiede più come, dove e a qua­le prezzo siano costruiti i
beni materiali che utilizziamo. Tutto è divenuto servizio, informazione, selezionata di­sponibilità
che colloca sullo stesso piano ogni fatto, grande e piccolo.
Questa recente rivoluzione informatica, sebbene abbia profondamente mutato le dinamiche
sociali di cui l’architettura è senz’altro espressione, non ha portato elementi oggettivi che abbiano
sostanzialmente modificato la costruzione degli edifici, né quindi la loro forma. Questo perché
al centro dell’attuale mutamento storico vi è uno spostamento dell’interesse generale dai beni
materiali a quelli immateriali, mentre l’architettura avrà sempre a che fare prima di tutto con
materiali da costruzione grandi e pesanti, che assolvono funzioni inerti e statiche, non certo con
flussi elettronici dalla portata comunicativa-informatica. Si profila quindi per l’arte del costruire
un rinnovamento necessario si, perché cambiano gli stili di vita e la mentalità degli individui, ma
non sostanziale, poiché le tecniche costruttive rimangono in linea di massima le stesse.
Questa distanza dal cuore della ricerca tecnico scientifica, può far pensare ad un ruolo tutto
sommato marginale della nostra disciplina nell’attuale contesto culturale. Per questo si può
parlare di inattualità tecnologica dell’architettura. Ma non è detto che tale inattualità debba
necessariamente assumere una connotazione negativa.
4 È ben noto come nell’antichità greca la parola techne indicasse entrambi i concetti.
12
Bisogna comunque valutare che mentre la costruzione degli edifici non riceve elementi
strutturali realmente innovativi dai progressi tecnico scientifici in corso, l’elaborazione dei
modelli architettonici si avvale di sistemi di calcolo che consentono un agevole controllo di forme
dalle geometrie complesse, praticamente ingestibili con i tradizionali strumenti di disegno. Le
possibilità plastiche che ne conseguono restano però confinate nella sfera virtuale, almeno fino
ad una soluzione efficace per la loro realizzazione.
Solo la digitalizzazione del cantiere potrebbe rendere attuabili queste nuove proposte formali,
magari tramite una macchina di stampaggio capace di costruire a scala edilizia. Un tale sistema
produrrebbe una vera e propria frattura nella storia dell’architettura, anzitutto per la fusione
di tutto ciò che da sempre è stato articolato, e permetterebbe una volta per tutte di ridurre il
divario crescente tra progetto e costruzione. Solo allora sarà possibile verificare la sostenibilità
architettonica di forme davvero originali.
Forse l’unica vera novità apprezzabile nella produzione edilizia recente riguarda quell’apparato
sovrastrutturale degli edifici che regola il sistema delle relazioni che essi instaurano tra l’ambiente
interno e quello esterno. Molte ricerche sono oggi rivolte all’ottimizzazione del bilancio tra confort
e consumo energetico dei fabbricati e procedono prevalentemente su due binari: da una parte la
produzione di impianti di condizionamento sempre più sofisticati, e dall’altra la specializzazione di
materiali di tamponamento, rivestimento, isolamento, impermeabilizzazione efficaci ed ecologici
allo stesso tempo5.
In vista di un funzionamento più libero ed evoluto i futuri manufatti dovranno disporre di una
sorta di sistema nervoso, con centrali di calcolo e reti elettroniche, capace di regolare i processi
osmotici tra i differenti ambienti; le pareti di separazione diventeranno delle membrane sensibili
e interattive, mentre gli impianti circoleranno in maniera capillare e omogenea.
Il problema formale di come integrare tali dispositivi negli organismi edilizi non ha ancora trovato
delle soluzioni definitive e si presenta senz’altro come una delle sfide più interessanti per gli
architetti di oggi.
L’inattualità simbolica dell’architettura.
Il ruolo monumentale che l’architettura ha storicamente svolto si è notevolmente ridotto con
l’affermazione del mercato come sistema di potere dominante. L’architettura esprime per sua
natura caratteri quali la solidità, la durata, la presenza; mentre il mercato, per espandersi, utilizza
forme di comunicazione immediata, ben più consone alla sua natura indistinta e mutevole.
Si tratta infatti di una forma di potere indiretta, non istituzionale, che non si basa su principi
fondativi, né è retta da una gerarchia con responsabilità pubbliche definite, nonostante eserciti
un’influenza primaria sui poteri politici. Per queste ragioni non ha certo bisogno di acquisire
autorità tramite la dignità architettonica dei propri luoghi, né può trovare alcuna corrispondenza
5 Purtroppo la questione ecologica in architettura, nonostante si sia imposta già da anni come argomento di assoluta
priorità, viene ancora trattata in maniera molto superficiale e spesso demagogica.
13
simbolica nell’immagine degli edifici, se non per mezzo di deformanti corredi decorativi, volti
proprio a dissimulare la loro stessa logica costruttiva, la loro natura tettonica.
È l’evento ad aver preso il sopravvento sul monumento quanto a valenze rappresentative, data la
sua capacità di celebrare l’effimero e di rispondere alle esigenze di velocità e simultaneità vitali
per il frenetico meccanismo del consumo.
L’attuale panorama della cultura architettonica
A prima vista il panorama attuale della produzione architettonica risulta caratterizzato da un
eclettismo stilistico senza precedenti6. Questo potrebbe essere inteso come un adeguamento
della nostra pratica artistica alle logiche del mercato che portano a proporre una varietà spesso
illusoria dell’offerta e una distinzione talvolta grossolana dei prodotti7. A volte sembra che gli
architetti abbiano come unico modo di affermarsi quello di rendersi riconoscibili al pubblico in
maniera evidente, tentando inedite soluzioni formali senza seguire esigenze reali.
Comunque, per quanto la cultura architettonica presenti oggi un confuso panorama di tendenze,
è possibile individuare tra gli architetti più illustri due orientamenti sostanzialmente antitetici nel
modo di operare, e quindi di interpretare l’architettura e il suo ruolo nel mondo contemporaneo.
Uno è quello più integrato con l’attuale sistema socioeconomico, ed è il caso di architetti
altamente comunicativi, dal repertorio formale esuberante, come Koohlaas, Libeskind, Herzog
e De Meuron… L’altro è un orientamento più critico perseguito da architetti che si sforzano di
interpretare l’operare artistico come impegno intellettuale nella realtà e che sono più legati alle
forme tradizionali dell’architettura, come Gregotti, Siza, Meier…
Entrambe queste posizioni non sono naturalmente immuni da contraddizioni interne.
Da una parte infatti, rispondendo positivamente alle domande del mercato e assumendo i cardini
dell’attuale contingenza storica (come il dilagare del sistema delle comunicazioni e l’attuarsi della
globalizzazione) si rischia di negare l’ontologia stessa dell’architettura, che per sua natura è solida,
radicata ai luoghi specifici nei quali si insedia, per adottare quei caratteri di fluidità e virtualità,
che sono invece propri di quell’inafferrabile sistema finanziario-mercantile che governa il mondo
odierno. In questo caso la parte qualificante del lavoro dovrebbe consistere nel paradosso di
neutralizzare l’esser architettura dell’architettura, nel camuffarla in altro da sé, fino quasi a ridurla
a semplice immagine nel flusso mediatico che tutto comprende indistintamente. Ma fino a che
6 L’origine di questa anomalia eclettica si potrebbe far coincidere col successo, seguito alla crisi degli anni Settanta,
dei modelli statunitensi di ricerca formale (Khan, Venturi, Five architects) sulle sperimentazioni europee di pianificazione territoriale (Stearling, gruppo Gregotti, A.U.A.). Qualcosa di simile probabilmente avveniva allo stesso tempo
anche nel mondo dell’arte, tra modello americano (Warhol) ed europeo (Beuys).
7 Vittorio Greggotti, in Architettura, tecnica, finalità (Laterza 2002), giunge addirittura a rilevare che “sono almeno
una ventina di anni che dall’ibridazio­ne della tradizione dell’architettura con la sceno­grafia cinematografica e televisiva, i videoclip, gli spet­tacoli rock, la moda, insieme a tutto il loro contorno pubblicitario di mezzi di comunicazione di
massa, si è sviluppata una interessante attività, con proprie specifi­cità e regole, un’attività tutta volta a rappresentare
il gu­sto della maggioranza, coincidendo organicamente con le sue oscillazioni, preparando per esse adatte sceno­
grafie”.
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punto è lecito chiamare architetto, e quindi amico dell’architettura, chi adempie ad un simile
mandato?
D’altra parte la pretesa di esprimere con l’architettura una posizione di dissenso rispetto
all’andamento generale delle cose presenta l’inevitabile rischio di ricondurre le nuove opere a
modelli anacronistici, offuscandone così quell’aspetto essenziale di essere espressione del proprio
tempo. Fino a che punto è sostenibile tale posizione alla luce del fatto che l’architettura, come
ogni forma d’arte, sia necessariamente espressione della classe dominante e quindi funzionale al
potere vigente?
Si tratta insomma di scegliere se accettare il fatto di svolgere una pratica inattuale senza però
tradire la tradizione dell’architettura e quindi l’architettura stessa, oppure sacrificare l’ontologia
disciplinare dedicandosi all’interpretazione-rappresentazione, quando non imitazionecelebrazione, dei portati dell’attuale situazione storica.
Ma in ogni caso, e questo è il vero problema di oggi, si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte
ad un’estetica artificiale, in cui nulla assume quel senso di necessità, il quale solo può conferire
autenticità all’opera d’arte8.
Viene a questo punto da domandarsi se tale perdita di autenticità derivi dalla caduta dei valori
che ha segnato il compimento della storia europea nell’epoca della tecnica9; o se la mancanza
di fermenti e di proposte culturali (dai quali le pratiche artistiche ricevono linfa vitale), insieme
ad una generale incapacità di condividere nuovi progetti di vita, dipenda semplicemente dalla
condizione di benessere diffuso nei paesi del capitalismo avanzato10.
Per il progresso dell’architettura
Negare che l’architettura in questo periodo si trovi ad una fase di svolta, data la sua inattualità
tecnologica, non diminuisce certo l’interesse per le soluzioni progettuali-formali che vengono
prese nell’affrontare i diversi temi che offre l’attualità. Ci troviamo infatti ad operare nel solco di
una gloriosa tradizione, quella del movimento moderno, con una coscienza sempre più matura
soprattutto per quanto riguarda la questione ambientale.
D’altra parte lo svilimento del ruolo monumentale dell’architettura, la sua inattualità simbolica,
non ne riduce per nulla l’impiego civile, la sua necessità per la vita e il progresso della società, il
suo nobile valore politico.
Ciò che purtroppo sembra si stia oggi definitivamente perdendo è la concezione classica del bello
8 Per senso di necessità si intende la qualità specifica dell’opera d’arte che la fa apparire come se fosse opera di natura, secondo la teoria kantiana (cfr. Premessa).
9 Vittorio Greggotti, in Architettura, tecnica, finalità (Laterza 2002), sostiene che “nel passaggio dal moderno alla
contemporaneità, ciò che sembra essenzialmente essere andato perduto è ogni progetto di finalità o meglio ogni illusione intorno alla sua possibile costituzione e, nel no­stro caso, ogni possibilità di assegnare alle forme archi­tettoniche
una capacità simbolica interpretabile come tensione verso le migliori speranze collettive di qua­lità e di senso”.
10 Infatti, ad una superficiale ricognizione dei precedenti storici, nuovi progetti di vita sembrano potersi determinare
solo in condizioni di necessità e di conflitto.
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come splendore del vero, e quindi la sua ricerca come ricerca di verità11. In tale perdita consiste il
pericolo più grande per la nostra disciplina, come forse anche per le altre discipline artistiche.
Il concetto che la bellezza non sia un valore aggiunto alle cose, ma consista nella chiarezza della
loro stessa natura, impone, nel nostro caso, a concentrarsi prima di tutto sugli aspetti fondamentali
dell’architettura (struttura, funzione e forma12) ed affrontarli in maniera organica, piuttosto che
con intenti prevalentemente scenografici o decorativi. Questo concetto, per quanto semplice e
condivisibile, sembra che vada sempre riformulato e riaffermato, altrimenti il corso spontaneo
degli eventi porta a farlo trascurare. Basti pensare al fatto che, nonostante l’entusiasmo e la
convinzione con cui meno di un secolo fa lo hanno riproposto i maestri del movimento moderno,
oggi viene continuamente tradito dall’eclettismo stilistico che domina la produzione architettonica
corrente.
Inoltre è spesso difficile rintracciare il senso delle proporzioni nelle opere che vengono
correntemente pubblicate, in alcuni casi addirittura ci si trova di fronte a sistematiche deformazioni
dell’ordine logico-compositivo. (A volte viene da chiedersi cosa penseranno di noi gli uomini del
futuro nell’esaminare tale stravaganza). Rischiamo così di perdere il frutto di una ricerca millenaria
sull’armonia delle forme, sulla loro corrispondenza alle leggi generali della natura, insomma ciò
che ci trasmette un sentimento di appartenenza e sintonia con l’universo. Cosa di più potrebbe
esprimere un’arte positiva come la nostra?
Tale perdita sembra derivare principalmente dal rischioso fraintendimento del significato storico
delle avanguardie. Se infatti in un determinato momento storico fu necessario abolire le regole
accademiche per fondare una nuova arte, oggi non ha certo senso rinunciare anche a quanto
di buono ci fosse nella tradizione precedente, come ad esempio i principi di composizione
armonica13. A maggior ragione se si riscontra che nemmeno gli stessi fondatori della modernità
furono disposti a rinunciare a tale patrimonio.
In conclusione, bisognerebbe tornare ad usare un linguaggio comune, quello dell’architettura,
dell’arte di edificare, senza distinzioni eclatanti. Questo permetterebbe di tornare ad apprezzare
le piccole differenze, che forse sono le uniche autentiche differenze artistiche, le uniche capaci
di manifestare la tonalità espressiva propria di ogni autore14, che risuona come fondo costante
nell’armoniosa organizzazione dei materiali.
11 Verità intesa secondo la definizione tomistica di adequatio rei et intellectus (Tommaso d’Aquino, De Veritate, dalle
Quaestiones disputatae).
12 Secondo la triade vitruviana di ratio firmitatis, utilitatis, venustatis.
13 Probabilmente il tentativo migliore in questo senso e stato fatto da Rudolf Wittkower con il celebre saggio Principi
architettonici nell’età dell’Umanesimo nel 1962.
14 Il concetto di tonalità espressiva è tratto dalla teoria della composizione tracciata da Franco Purini in Comporre
l’architettura. «Il compositore – scrive Purini - deve poi fare in modo che la tonalità che egli sceglie non sia mai resa
incerta dalla presenza di alternative, anche quando egli avesse scelto un’organizzazione per frammenti diversi. L’idea
di una tonalità conforme implica l’esistenza di una corrispondenza precisa tra il programma dell’opera, la sua destinazione e il linguaggio con cui essa è risolta. Tale rapporto deve risultare appropriato, e questo risultato si raggiunge solo
quando l’atmosfera generale della composizione non presenta scarti ingiustificabili o improvvisi mutamenti di rotta
nella direzione della scrittura, a meno che non sia proprio l’inversione brusca di una tessitura compositiva l’obiettivo
di una ricerca formale». Qui ho tentato di riferire questo concetto della tonalità all’autore invece che all’opera, come
se si trattasse di una qualità propria della personalità creativa piuttosto che di una scelta operativa.
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Allora che si traccino linee rette o ondulate, che si utilizzino schermi e superfici interattive piuttosto
che pietra e mattoni nel rivestimento di un muro, diventa poco rilevante dal punto di vista artistico;
ciò che importa è solo l’atteggiamento spirituale con cui ci si relaziona all’opera. In questo senso
possiamo ripetere, con Mies, che “quel che importa non è il che cosa, ma unicamente e solo il
come”15.
15 Mies van der Rohe, intervento al congresso del Deutcher Werkbund (trad. it. in Fritz Neumeyer, Ludwig Mies van
der Rohe – le architetture, gli scritti, Milano 1996).
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LA QUESTIONE DELLA TECNICA
Lo sviluppo delle scienze naturali e in particolare l’incremento della loro fruibilità a partire dalla
metà del XVIII sec. stimolò la nascita di teorie della tecnica all’interno della filosofia sociale - e
quindi il sorgere delle prime posizioni pessimistiche nei confronti della tecnica1. In ogni caso, in
età illuministica né i fautori né gli avversari di questa distinguono ancora tra gli effetti generali
del rischiaramento scientifico e le conseguenze del continuo perfezionarsi delle tecnologie
concrete. Inoltre, nei secc. XVII e XVIII è ancora rara la distinzione fra scienza e tecnica, emersa
attraverso un lungo pro­cesso di classificazione delle pratiche, che solo al­la fine del secolo scorso
e nei primi decenni del nostro ha finito per connotare come tecnica il sot­togruppo delle pratiche
umane concernenti il comportamento nei confronti della natura diretto alla produzione di beni.
Acquisiscono così un peso sempre crescente i problemi filosofici concernenti la natura della
tecnologia, le modalità dei cambiamenti e delle innovazioni che ne segnano la storia, la sua
influenza su cultura e società.
Fin dall’inizio è possibile individuare due principali indiriz­zi tematici nei quali si può ritenere
articolata la “fi­losofia della tecnologia”: l’esame critico del mon­do tecnologico contemporaneo e
l’analisi teoreti­ca dei tratti caratteristici e distintivi dell’agire tec­nologico.
L’orientamento “sociologico” - che considera, so­vente con toni pessimistici, l’impatto etico e
poli­tico degli sviluppi «tecnoscientifici» nel contesto delle società industriali avanzate - si radica
nella tradizione critica della scuola di Francoforte (sfociando in approfondimenti come quelli di
J. Habermas2) e nelle analisi sulla tecnologia intesa come fenomeno sociale, svolte anch’esse
nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale principalmente dal filosofo francese J.
Ellul3. Nucleo concettuale degli studi condotti in questo ambito è il cosiddetto “determinismo
tecnologico” il quale, attribuita una relativa autonomia al mon­do degli artefatti rispetto alle
originarie intenzio­ni progettuali umane, ha richiesto di valutare le trasformazioni provocate dalle
tecnologie nella sfera sociale. Ne è emersa un’impostazione che ha reso possibile leggere in modo
unitario il fe­nomeno della modernità, tesa a utilizzare scienza e tecnologia per acquisire un pieno
dominio sulla natura, evidenziando nel contempo i rischi di un conseguente, inevitabile dominio
sull’uomo. La generale crisi del determinismo, ritenuto un concetto troppo semplice e astratto
per rendere con­to della complessità del reale, ha condotto a una revisione di tale prospettiva4 e a
delineare un “costruttivi­smo sociale della tecnologia”5. Quest’ultima posizione teorica sottoli­nea,
1 Basti pensare alle posizioni di Rousseau. Particolarmente emblematica in proposito la sua risposta negativa alla
questione “Se il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi” (tema di un concorso
bandito dall’accademia di Digione nel 1750), in J.J. Rousseau, Discorsi sulle Scienze e sulle Arti. Sull’origine della
disuguaglianza fra gli uomini.
2 J. Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica (1968).
3 J. Ellul, La tecnica, rischio del secolo (1954).
4 con lavori come quelli di L. Mumford, Tecnica e cultura (1934), e Il mito della macchina (1970), o di D. Ihde, Tec­
nica e prassi (1979).
5 sostenuto, in parti­colare, da A. Feenberg in Tecnologia in discussio­ne (1999).
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da un lato, come l’intervento tecnico non sia “neutro” e gli strumenti che utilizziamo plasmino il
nostro ambiente sociale, e dall’altro come il progresso delle tecnologie non sia irreversibil­mente
lineare ma caratterizzato da una comples­sità di ordine superiore, la quale evolve attraver­so
sempre nuove sinergie tra le funzioni assolte dalle tecnologie, tra queste ultime e i loro am­bienti,
tra tali sistemi e più ampi contesti sociali e culturali. All’interno di questo orizzonte concet­tuale
vengono sviluppati dibattiti significativi sul­la sostenibilità dell’innovazione tecnologica in re­lazione
alle problematiche ecologiche o alle que­stioni bioetiche.
L’orientamento “epistemologico” considera invece le strutture, gli obiettivi e i metodi della
tecnologia. Accanto a concezioni che la definiscono in un quadro di continuità concettuale con le
tecniche antiche intese come forme di arte poietica oppure la ritengono semplice applicazione
dei risultati scientifici, si vengono sviluppando prospettive al­ternative che ne sottolineano
l’autonomia e la differenza tanto dall’orizzonte tecnico quanto da quello scientifico. All’interno
di questo quadro si possono individuare un indirizzo “empirista”, in­teressato a concrete pratiche
concernenti la tecnologia più tradizionale e soprattutto rivolto alle tecnologie informatiche tipiche
di quella che A. Borg­man considera la “frattura postmoderna”6; una prospettiva “strumentalista”,
incentrata in particolar modo sulle tesi pragmatiste di J. Dewey7.
La natura della tecnica
La tecnica può essere intesa, in senso semplicemente strumentale, come la capacità di
supplire con artefatti alle carenze adattative che contraddistinguono l’uomo in quanto animale
non specializzato; oppure, in senso che si potrebbe definire “protetico”, come una sorta di
prolungamento inorganico - come una “protesi”, appunto - indissociabile dall’uomo perché
cooriginario alla sua identità specifica o, se si vuole, al suo essere. Le moderne riflessioni sulla
natura della tecnica oscillano tra questi due paradigmi, tra i quali tuttavia, sussiste una differenza
non trascurabile. Secondo il primo, infatti, la tecnica corrisponderebbe a una particolare forma di
sapere progettuale e operativo proprio di una specie zoologica che “a un certo punto” avrebbe
cominciato a esercitarla per produrre artificialmente ciò di cui la natura non l’aveva dotata.
Stando al secondo, invece, l’estensione artificiale farebbe parte “fin dall’inizio” di questa specie
zoologica, la quale, a differenza di tutte le altre, recherebbe qualcosa di esterno e di inorganico
nel suo medesimo essere naturale e dunque più che progettare artefatti sarebbe essa stessa il
risultato di un “pro-getto”, di una proiezione esterna avvenuta prima e indipendentemente da
ogni controllo riflessivo.
Al di là delle differenze, in ogni caso, i due paradigmi ci presentano la tecnica come uno dei requisiti
decisivi dell’ominazione: il primo si attesta su una concezione compiutamente antropologica della
tecnica, mentre l’altro tende a spostare l’accento sulla sostanziale indistinguibilità di antropogenesi
e tecnogenesi.
6 A. Borgman, Attraversando la frattura postmoderna.
7 J. Dewey, L’arte come esperienza (1934).
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La tecnica è dunque un’integrazione dell’inorganico nell’ambito dell’organico, un’integrazione
crescente, sottolinea Gehlen, che resta subordinata alla progettualità dell’uomo e da questa guidata,
anche se quest’ultima non potrebbe essere ricondotta soltanto all’elemento di una razionalità
volta al conseguimento di fini (e dunque alla prassi sperimentale impostasi in epoca moderna),
sussistendo nell’atteggiamento tecnico un altrettanto decisiva componente inconscia o istintiva.
La tecnica, in tal senso, risponde al «bisogno che l’uomo sente di interpretarsi inserendosi nella
natura e differenziandosi poi da essa» seguendo una “logica recondita” che appare con chiarezza
se la si osserva da un punto di vista evolutivo: essa evolve, infatti, nel senso di una “progressiva
oggettivazione del lavoro umano e di un crescente disimpegno dell’uomo”8. Per quanto possa
rendersi responsabile di trasformazioni decisive nel modo in cui l’uomo abita il mondo, la tecnica
è comunque riconducibile a un fondamento antropologico nel senso che appartiene all’essere
dell’uomo il progetto di farsi surrogare o supplire da qualcos’altro.
Se ora assumiamo il punto di vista della paletnologia, potremo constatare il significativo
spostamento d’accento con cui qui ci viene riproposto un quadro sostanzialmente conforme
a quello che abbiamo appena ricostruito. Anche in questo caso, infatti, la comparsa di utensili
segna la vera e propria frontiera dell’umanità, ma l’utensile stesso non è presentato tanto come il
risultato di una progettazione, quanto come una sorta di necessaria “secrezione” del corpo, come
una “esteriorizzazione” determinata, a sua volta, dalla comparsa di tre caratteristiche somatiche
distintive di una nuova specie zoologica prodottasi in seguito a una mutazione: la stazione eretta,
la liberazione della mano da funzioni locomotorie e la faccia corta. Sotto un certo profilo, queste
caratteristiche rappresentano dei vistosi difetti adattativi, in quanto la mano e la dentatura di questo
animale, non essendo più in grado di garantire funzioni di aggressione e di preparazione diretta
del cibo, debbono necessariamente delegarle a protesi esterne. Ma questa delega corrisponde
anche a un decisivo processo di liberazione: sollevata da compiti locomotori o direttamente
aggressivi, infatti, la mano può espandere sé stessa in oggetti risultanti da operazioni costruttive
complesse, proprio come la bocca può predisporsi alla fonazione e al linguaggio. Cosicché si dovrà
dire che l’utensile sta alla mano come il linguaggio sta alla faccia. E si dovrà aggiungere che da
questo momento in poi (cioè fin dall’inizio, fin dalla comparsa dell’ominazione) i più importanti
eventi evolutivi umani sono di ordine tecnico e non biologico per cui, come scrive con efficacia
Leroi-Gourhan9, «tutta l’evoluzione umana contribuisce a porre al di fuori dell’uomo ciò che, nel
resto del mondo animale, corrisponde all’adattamento specifico». Ciò significa che il “proprio”
dell’uomo è, da un punto di vista evolutivo, “fuori di lui”: è il mondo tecnico che, originariamente
nato da una “esteriorizzazione” del corpo, assume un’importanza crescente, fino a presentarsi
come un universo dotato di “vita propria”.
8 Gehlen, A., L’uomo nell’era della tecnica (1957).
9 Leroi Gouran, A., Il gesto e la parola (1964).
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Il carattere della tecnica
Quanto appena detto pone il problema imbarazzante di determinare il gioco delle parti tra
l’interno (le facoltà dell’uomo) e l’esterno (le protesi tecniche), ovvero di stabilire se l’uomo sia
il progettista della tecnica o non piuttosto il progettato, cercando di evitare il riduzionismo di
un’interpretazione unilaterale.
Per rispondere a questa esigenza di chiarimento ci si può rivolgere alle riflessioni di Heidegger10.
Al di là delle analisi e delle valutazioni dei fenomeni storici che essa determina, la tecnica non è
per Heidegger frutto di alcun tradimento della ragione “pura” perché finalizzata al conseguimento
di uno scopo, ma è solidale - prima ancora che con la scienza - con la metafisica. Essa è necessa­
riamente indirizzata verso il nichilismo in quanto i suoi artefatti sono segnati da una particolare mo­
dalità che concepisce l’essere come ente tecnica­mente manipolabile, e la ragione come razionalità
rispetto a scopi tecnici. La tesi heideggeriana respinge quindi ogni comprensione strumentale della
tecnica, intendendola come un modo essenziale di orientarsi nel mondo e di incontrare le cose.
«La techne - scrive Heidegger - è un modo dell’”aletheuein”. Essa disvela ciò che non si pro-duce
da sé stesso», ciò che non ha le capacità di condursi da solo nella presenza e dunque richiede una
“poiesis”, un peculiare coinvolgimento produttivo dell’uomo. Ora, la conclusione fondamentale
e decisiva di Heidegger è che la “tecnica moderna” resta, bensì, un modo dell’”aletheuein”, solo
che questo modo «non si dispiega in un pro-durre nel senso della poiesis» perché piuttosto esso
vige in quanto “pro-vocazione” (Herausforden) la quale pretende dalla natura che essa fornisca
energia che possa come tale essere estratta (herausgefordert) e accumulata».
La natura, in tal modo, appare come un “fondo” (Bestand) rispetto a cui non è più in gioco un
“poiêin”, un pro-durre, ma un richiedere, uno Stellen, un porre richiedente che implica, quali modi
caratteristici della tecnica moderna, il mettere allo scoperto, il trasformare, l’immagazzinare, il
ripartire e il commutare. Tutti questi modi secondo Heidegger, si possono unitariamente definire
con il termine “Ge-Stell” (impianto, im-posizione), che sta a indicare la riunione e l’unificazione
dell’insieme delle modalità del porre richiedente secondo cui l’essente nel suo complesso ci viene
incontro, si fenomenizza in senso essenziale.
Bisogna a questo punto dire che per Heidegger il disvelamento (la verità come “aletheia”) è
sempre solo in parte accessibile all’uomo, che vi si trova in generale coinvolto in modo tale da
non poterselo in nessun caso rappresentare come un oggetto posto dinanzi a lui e totalmente
dominabile. È vero piuttosto che di volta in volta spetta all’uomo di “corrispondere” a ciò che
gli viene destinato e che a questo suo compito non può essere garantito da alcuna certezza,
presentandosi piuttosto come un rischio che riguarda intimamente l’essere dell’uomo. Heidegger
pensa che il “Ge-Stell” sia tale da configurare questo rischio nella sua versione estrema: cioè
come minaccia che all’uomo possa venire addirittura negata la possibilità di corrispondere
autenticamente all’appello con cui la tecnica moderna lo reclama per sé. Ed è proprio su questo
punto che Heidegger sente il bisogno di accennare alla questione dell’arte, cui riconosce la
possibilità di salvare l’uomo dal rischio estremo di fronte a cui lo trattiene la tecnica moderna.
10 in particolare, in M. Heidegger, La questione della tecnica (1954).
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L’aspetto qualificante di questa tesi heideggeriana è da vedere nel suo carattere radicalmente
storico: appartiene infatti all’essenza della tecnica in quanto aletheia il suo accadere, il suo aprire
di volta in volta orizzonti destinali nel cui ambito l’uomo si ritrova e cerca, per quanto è possibile,
di autocomprendersi.
È questo lo schema in base al quale Heidegger presenta la tecnica come “compimento” della
storia europea. La tecnica cioè vi viene implicitamente riconosciuta come un “segno storico” che,
messo adeguatamente a fuoco, può rivelare la possibilità e il senso della storia in quanto tale.
E questo perché si suppone che essa testimoni più di ogni altra cosa la circolarità costitutiva
dell’esistenza uma­na e che, più in particolare, riveli in essa il principio di ogni au­tentica esperienza
storica11.
La prima di queste due tesi ricalca, almeno in parte, una tradi­zione classica che ha il suo prototipo
nel secondo coro dell’Anti­gone, un passo che Heidegger ricorda in più di una occasione12. Nel coro,
la tecnica è apertamente presentata come il tratto distintivo della specie umana, ma nello stesso
tempo come un tratto opaco e ambiguo, come un “problema”. Il punto è che in essa si esprime
la facoltà, esclusivamente umana, di aprire strade non previste dal corso normale della natura,
di rendere possibile ciò che fino a quel momento era impossibile e di creare così un orizzonte
di possibi­lità e di senso che non ha né sostegno né misura se non in se stesso. Proprio questo
aspetto di innovazione radicale, che il coro tragico registra con stupita preoccupazione, è ciò che
nel mondo moderno lega la tecnica alla storia.
Nella prospettiva moderna l’idea di storia è costruita innanzi tutto sulla possibilità di distinguere
gli “eventi” storicamente significativi dai semplici “fatti”: i fatti senza storia della vita quoti­diana
o quelli scanditi dalla necessità di una legge di natura. Il cri­terio basilare della distinzione è che
i fatti, in un modo o nell’altro, hanno luogo sul presupposto di una rete di rimandi e connessioni
che è già data, e che il nuovo accadimento non pone minimamente in discussione. Un vero evento
storico deve invece istituire, in tutto o in parte, il proprio orizzonte di riferimento, creandolo da sé
e imponendolo “contro” il modello di autocomprensione vigente fino a quel momento. Per i casi
esemplari di una simile innovazione creativa si è imposto, fin dal XVIII secolo, l’uso del termine
“rivolu­zione”, che rimarca espressamente la circolarità dell’evento: quasi un rivolgimento su se
stesso, come la mossa di un gioco che isti­tuisce da sé la propria regola. È impossibile spiegare
l’immenso potere di fascinazione che il concetto di “rivoluzione” ha eserci­tato in tutta l’età
moderna, se non si coglie il flesso logico tra que­sta particolare figura della storia e la struttura
della “libertà creativa” in cui la cultura moderna riponeva la più alta dignità dell’uomo. In un tale
orizzonte culturale, un atto che rivendichi a sé questa strut­tura varrà come la massima espressione
dell’umano e potrà quindi contare su un entusiasmo diffuso e istintivo - esattamente al modo in
cui la Rivoluzione francese affascinò le classi colte di tutta Eu­ropa in quel processo che, secondo
11 L’uomo è cioè quell’ente la cui caratteristica empirica è d’istituire, nel linguaggio e nella prassi, l’orizzonte di una comprensione ontologica del mondo. Prassi e linguaggio, in al­tri termini, presentano la stessa circolarità autoinclusiva dei
“segni storici”, di modo che questi ultimi non fanno in fondo che riflet­tere e svelare un intreccio inerente alla condizione
umana; il che spiega perché in Essere e tempo la struttura nascosta della storicità sia presentata come la vera chiave di
ogni aspetto dell’esistenza uma­na, a cominciare dalla dimensione in apparenza del tutto antisto­rica della vita quotidiana.
12 Ad esempio in M. Heidegger, L’inno Der Ister Holderlin.
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Kant, costituiva appunto il vero segno storico della modernità. Un’eco di questa fascinazione,
peral­tro, è ancora viva nel concetto di “rivoluzione scientifica” di Thomas Kuhn13, che distingue
dalla pratica scientifica di routine, aderente a un paradigma già dato, le scoperte realmente
capaci di schiudere un nuovo paradigma. È logico però che sia la tecnica, più che la scien­za, il
prototipo di questa potenza rivoluzionaria, proprio perché, come cantava l’antico coro tragico,
essa apre strade hyper elpida, al di là di ogni speranza o aspettativa condivisa. Al culmine della
mo­dernità quindi, allorché ciascun processo storico si ridefinisce come successione sistematica di
innovazioni radicali, la tecnica diviene l’asse portante di questa ridefinizione.
Le rivoluzioni sono per definizione un che di eccezionale, di­stinto dal corso normale degli eventi,
appunto perché “eccedono” il paradigma vigente e ne aprono uno nuovo. Ma se l’eccezione
diventa la regola, se cioè l’innovazione radicale diventa l’aspettativa che più di ogni altra guida la
comunicazione e se il paradigma in vigore è proprio quello di una rivoluzione perma­nente, ci si
verrebbe a trovare in una specie di paradosso logico. Ogni evento radicalmente innovativo, infatti,
non farebbe a rigore che confermare il paradigma già vigente, decadendo così immediatamente
a semplice fatto di cronaca. D’altro canto la sem­plice attività di routine, per essere tale e tenersi
“all’altezza dei tempi”, non potrà che predisporsi a quell’eccezionalità che è ormai la norma,
impegnandosi a organizzare, anticipare e prevedere l’im­prevedibile. Il massimo della storicità
viene a coincidere così con una specie di sospensione della storia, in cui ogni nuova rivoluzione
è, nello stesso tempo, una puntuale conferma del modello e delle aspettative già vigenti, in
una specie di eterno ritorno dell’uguale che rende strutturalmente impossibile ogni vero nuovo
inizio.
Allora, forse, per Heidegger l’epoca presente è proprio la realizzazione di questo paradosso storico
e il termine “epoca della tecnica” va inteso esattamente in questo senso.
“Tecnicizzazione”: senso e finalità
Nella filosofia tedesca del secolo scorso, l’oggetto prioritario d’interesse non sono le tecniche in
se stesse, ma i processi di “tecni­cizzazione”: un termine che, del resto, compare esplicitamente
sia in Husserl14 sia negli autori di tradizione marxista. In altre parole, la questione non concerne
prioritariamente delle “operazioni conosci­tive”, ovvero dei metodi nuovi e ingegnosi di conoscenza
e controllo dell’ambiente, ma delle “operazioni sociali” che investono dapprima de­gli ambiti
particolari e specifici della prassi umana, per estendersi poi via via fino a coprire questa prassi nel
suo complesso.
Il riferimento al marxismo qui è d’obbligo, perché la “madre” di tutti questi processi è proprio
la tecnicizzazione del lavoro manuale operaio analizzata a suo tempo da Marx; ed è chiaro che,
già nel­l’analisi di Marx, l’accento non cade sulla qualità intrinseca delle invenzioni e dei saperi
messi al servizio della produzione industria­le, ma sul “mutamento di senso” imposto all’attività
13 T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962).
14 E. Husserl, La crisi delle scienze europee (1954).
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lavorativa, rias­sunto in modo esemplare nel termine “alienazione”. Fin d’ora, in­somma, il vero
problema filosofico di base è questo mutamento di senso in se stesso, e non le sue eventuali
cause contingenti.
Successivamente, com’è noto, il primo conflitto mondiale fun­gerà da catalizzatore generale,
imponendo una tecnicizzazione del­la guerra e di tutte le attività a essa correlate. Anche in questo
caso, però, nella coscienza storica l’enfasi non cade sulla gran quantità di nuovi ritrovati tecnologici
sperimentati al fronte, ma sul fatto che “la guerra non è più la stessa cosa”, che cioè il suo “senso”
è mutato tanto radicalmente da produrre nei singoli una impressione di assoluta “insensatezza”.
L’essenziale è che il mutamento di senso imposto alla prassi esibisca in tutti questi casi marcate
analogie, innanzi tutto alla superficie dei fenomeni - come uso delle macchine, standardizzazione
dei procedimenti, ricerca della massima riproducibiità seriale ecc. -, poi nelle strutture profonde:
nel fatto, per esempio, che l’attività del singolo è inserita ora integralmente nell’ingranaggio di
un si­stema che si autoriproduce; che dunque la paternità e la guida del­l’azione spettano non al
singolo, ma al sistema in quanto tale, e così via.
Il dubbio è che la tecnica moderna possa incidere su1 senso pri­mario della prassi umana, senza
che la cultura o la politica siano in grado di controllare o anche soltanto di capire la reale portata
di tale mutamento.
La vera chiave della teoria, sotto questo riguardo, è un lascito della filosofia classica, e cioè la
distinzione aristotelica tra praxis e poiesis15, che in modo più o meno sotterraneo gioca un ruolo
decisivo sia in Marx sia in Heidegger. Provando però a dipanare con un po’ di pazienza il lungo
filo di questa tradizione, si troverà al suo fondo dei nodi concettuali tuttora ben stretti e lontani
da una soluzione univoca.
Per Aristotele, tra l’attività produttiva (poiesis) e la prassi vera e propria sussiste una differenza
categoriale. La produzione ha infatti come unico scopo il “risultato”, vale a dire un prodotto di­stinto
dall’attività che lo ha generato; il fine della prassi è invece l’attività medesima: più esattamente
l’”eupraxia”, la buona prassi, in­somma l’”agire bene”. Di conseguenza, il valore e l’eccellenza (arete)
della prassi non potranno mai essere misurati dagli “effetti” che essa produce. Non è in base ai
suoi effetti che un’azione è ritenuta giu­sta, generosa o nobile, ma in base alle modalità interne
dell’ azione in se stessa. La produzione, viceversa, è misurata esclusivamente dal prodotto, e il
modo in cui esso è stato raggiunto è sostanzial­mente irrilevante. Infine, considerata in se stessa,
un’attività pro­duttiva risulta sempre incompleta e imperfetta, perché è intera­mente subordinata
al risultato e sparisce nel momento preciso in cui il prodotto è realizzato. Non così invece la
prassi che, avendo il suo scopo in sé medesima, è tanto più portata a permanere quanto meglio
realizza il suo fine. Il “piacere” è la manifestazione più natu­rale di questa tendenza dell’azione
felice a durare nel tempo. La gloria dell’azione eticamente nobile e la perfetta libertà dell’attività
contemplativa ne sono le forme sublimi.
Su queste premesse è logico che, tra le attività umane, alla prassi vera e propria sia riconosciuto
un primato indiscusso rispetto alla produzione, e difatti tutti gli aspetti propriamente “umani”
15 Aristotele, Etica nicomachea.
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della facoltà di agire - creatività, libertà, responsabilità mo­rale - si configurano appunto come
attributi della prassi, inscindi­bili dalla sua circolarità “autotelica”. Viceversa, per il solo fatto di
mirare a un risultato imposto dall’esterno, la produzione non è né pienamente libera né, in fondo,
pienamente umana: vigono in essa la necessità e il bisogno in una forma che, benché già umana,
è ancora prossima alla condizione del vivente in generale.
Questa gerarchia si riflette immediatamente nella valutazione della “tecnica”. Per Aristotele
infatti l’arte o tecnica (il greco, come il latino, non distingue tra i due concetti) è una particolare
forma di conoscenza preposta alla sola attività produttiva, e non alla prassi vera e propria. La
competenza tecnica permette, in altri termini, di raggiungere nella maniera più efficace e rapida
un determinato ri­sultato, ma solo sul presupposto che esso possa essere trattato e valutato in se
stesso, prescindendo dalla modalità e dal senso del­l’azione. “Come” venga raggiunto il risultato (se
in modo nobile, ele­gante, giusto o viceversa) non fa alcuna differenza dal punto di vista tecnico. Di
qui il fatto che la competenza tecnica debba essere necessariamente diversa e inferiore rispetto
alla vera e propria “sag­gezza pratica” (phronesis), secondo un ordine gerarchico che rispec­chia
alla lettera quello tra prassi e produzione: è alla phronesis che spetta il compito d’istituire il senso
della prassi; la techne può solo guidare e perfezionare le attività produttive.
La tecnica, in questa prospettiva, è vista come un fattore alienante perché tratta la prassi come
mera pro­duzione, distorcendone il senso per piegarlo all’ottimizzazione di un prodotto che sarà
poi scambiato e valutato come semplice merce, scisso ormai dall’azione che l’ha generato.
Bisogna però rilevare una difficoltà nel fatto che il “senso” dell’azione e il suo “prodotto” non
sono poi così facil­mente distinguibili, tant’è vero che Aristotele usa per entrambi la parola “telos”
(scopo, fine), distinguendo la finalità “assoluta” della pras­si (telos aplos) da quella “relativa”
della produzione. In questa chiave, l’attività produttiva non costituisce una sfera d’azione per suo
conto, ma è essa stessa un’articolazione della prassi: «La conoscenza legata alla prassi è principio
e guida anche di quella legata alla produzione, dato che chi produce lo fa in vista di qualcosa, e
ciò che si produce non è fine in assoluto, ma in relazione a qualcosa o qualcun altro. Il fine pratico
è invece tale in assoluto, perché il fine è l’agire bene, e a questo mira il desiderio». In parole
povere, anche un’attività produttiva avrà un senso e rinvierà in qualche modo a una forma di vita.
Un artigiano tenderà cioè senz’altro a realizzare buone prestazioni professionali, produrre merci
e avere risultati, ma è logico supporre che questo “scopo” non esaurisca il “senso” dell’azione,
e che si faccia bene o male a perseguire proprio que­sto scopo a seconda di quanto esso risulti
congruente con un dato modello di felicità e di vita giusta. Anche il valore della tecnica, in questa
prospettiva, può trasformarsi in modo decisivo. È vero infatti che la tecnica non incide sullo
scopo della produzione, che è dato per presupposto, ma solo sui mezzi. Il punto è però che la
stessa saggezza pratica condivide tale limitazione, perché i suoi ragionamenti espliciti riguardano
comunque solo i mezzi, e non il telos aplos della prassi. Di per sé, questo scopo assoluto coincide
sempre e solo con l’agir-bene ma, ovviamente, questa determina­zione formale acquisterà un
contenuto diverso in ogni nuova cir­costanza, a seconda delle infinite variabili che definiscono
volta per volta il contesto effettivo dell’azione. In concreto, il “senso” del­l’azione coinciderà così
con un “giusto mezzo” che muta in forma imprevedibile in ogni situazione nuova, e un postulato
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basilare del­l’etica aristotelica è che la capacità di cogliere, volta per volta, que­sto “giusto mezzo”
non è equiparabile a un calcolo astratto o all’ap­plicazione di una regola. Più in generale, non è
richiesta qui solo una particolare facoltà conoscitiva, ma una speciale sintonia fra lin­guaggio e
desiderio, che matura solo in un lungo processo di affi­namento e disciplina.
Ogni concreta prestazione tecnica viene ad avere così un dop­pio valore: da un lato è la produzione,
qui e ora, di un particolare risultato; dall’altro è, come esercizio, produzione e perfezionamento
della facoltà in se stessa, giacché è «costruendo case che si diventa costruttori e suonando la cetra
citaredi. Così è compiendo azioni giuste che diventiamo giusti, e compiendo azioni coraggiose,
coraggiosi»; e questo non solo nella fase del primo apprendi­mento, ma in misura anzi crescente
man mano che il perfezionamen­to tecnico procede. A differenza che nell’apprendimento guidato
biologicamente, qui non si avanza infatti verso un modello d’a­zione via via più definito e lineare,
ma, al contrario, verso una cre­scente duttilità e indeterminatezza. Aristotele presenta questo
aspetto osservando che, a differenza di ogni potenza naturale, le disposizioni acquisite sono
sempre accompagnate da una specifica “potenza-di-non”: chi cioè “può” (perché “sa”) suonare
il pianoforte, può anche “non” suonarlo, mentre se il legno ha per natura la potenza di prendere
fuoco, non può non bruciare. Chi dispone cioè di una potenza tecnica, ha in suo potere la scelta di
attuarla o meno, il che comporta una possibilità effettiva, logicamente distinta da quella espressa
da una capacità naturale. Questa ricchezza di alternative cresce, appunto, man mano che ci si
avvicina alla forma perfetta di maestria tecnica. A differenza del principiante, che dispone di una
gamma comunque ridotta e relativamente rigida di moduli di azio­ne, il virtuoso è definito da una
crescente libertà, da una sovranità che lo svincola tendenzialmente da ogni regola, mettendo in
suo potere la scelta di applicarla o non applicarla a seconda dell’occa­sione contingente.
Benché infatti Aristotele tenda in genere a separare la competenza tecnica dalla di­mensione della
prassi vera e propria, è da notare che il processo di autoperfezionamento è presentato inve­ce
come un tratto assolutamente analogo in entrambi i piani.
Le forme di competenza tecnica nel mondo moderno sono state ridefinite in modo che alla logica
tradizionale del “perfezionamento” si è sostituita, in tutto e per tutto, quella dell’”ottimizzazione”
del pro­dotto, basata su una cesura tra le pratiche di decisione e le semplici attività esecutive, che ha
esasperato fino all’inverosimile la distinzione aristotelica fra la tec­nica e la vera intelligenza pratica.
L’introduzione delle macchine nei processi produttivi ha proce­duto infatti scindendo le attività in
due poli ben distinti: da un lato un insieme di pratiche di pianificazione e programmazione, cui
spetta interamente il compito di “decidere” ciò che, nel senso più lato, è giusto o non giusto fare;
dall’altro una rete di attività puramente “esecutive”, esentate da qualsiasi legame con il “senso”
dell’azione e va­lutate perciò esclusivamente in relazione al prodotto. Naturalmen­te, solo attività
di questo secondo tipo potevano essere automatiz­zate e affidate in tutto o in parte alle macchine:
di qui l’interesse a scomporre il più nettamente possibile i due momenti. Con il risultato che un
numero crescente di ruoli e di attività sociali, riducendosi a mera esecuzione, perdeva realmente
ogni relazione con quello che fino ad allora era stato il suo “senso”, vale a dire il rimando alla
forma di vita che lo costituiva in quanto prassi.
Una volta ristrutturata come semplice esecuzione, un’attività produttiva razionalizzata risul­terà
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tanto più efficace quanto più in essa sarà immediata, sicura e istintiva l’applicazione di regole
che hanno ormai assunto l’univo­cità di veri e propri comandi. Anche l’addestramento tecnico
non avrà quindi più l’obiettivo di affinare la sensibilità e l’inventiva ma, all’opposto, quello di
plasmare un comportamento che ubbidi­sca senza sforzo a una stessa sequenza di regole, quali
che siano le circostanze esterne. Il metro del progresso non sarà quindi il grado di libertà acquisita
come potenza-di-non, ma la semplice misura quantitativa del prodotto per unità di tempo. Non
è quindi un caso che questo genere di attività - in primo luo­go, ovviamente, quella dell’operaio
alla catena di montaggio - sia valso per decenni come paradigma della disumanizzazione imposta
dalla tecnica16.
È su questo sfondo che va inquadrata la svolta introdotta dalle tecnoscienze umane. Il suo
valore non sta nell’aver semplicemente esteso la tecni­cizzazione anche alle attività di decisione
e di controllo, ma nell’a­ver progressivamente demolito questo modello dualistico, spin­gendo a
concepire le attività decisionali e quelle esecutive come articolazioni di un unico processo. Non
è un caso, ovviamente, che il mutamento di prospettiva abbia coinciso con una trasforma­zione
materiale delle attività produttive, che rende oggettivamen­te obsoleta una distinzione netta tra
i due campi. In una società avanzata del presente, anche la produzione in senso stretto tende in
effetti sempre di più a risolversi in una rete di attività comuni­cative, in cui creatività e inventiva
sono le doti più apprezzate.
Ontologia del presente
È noto che la tarda modernità è segnata da una difficoltà pro­fonda di comprendere se stessa. Il
mondo appare radicalmente mu­tato, le condizioni di esistenza talmente nuove da rendere vano
il ricorso ai modelli tradizionali di cultura; e nessuno, a quanto pare, ha la certezza di conoscere
le cause o il senso della grande trasfor­mazione in corso. Di qui l’urgenza dell’interrogativo che,
secondo Foucault, ci autorizza a catalogare gran parte della filosofia mo­derna sotto il titolo di
“ontologia del presente”, vale a dire: «Che cosa sta succedendo adesso?»
Fino alla fine degli anni cinquanta, a questo interrogativo era comune che si rispondesse indicando
in primo luogo gli sviluppi della tecnica, e l’idea era che le nuove tecnologie trasformassero a tal
punto le regole del gioco da rendere marginale o subalterno ogni altro aspetto dell’evoluzione
moderna, dalla religione alla politica. La bomba atomica e l’esplorazione del­lo spazio erano i
simboli canonici di questa interpretazione del pre­sente: la prima, perché paralizzava il conflitto
politico con lo spet­tro della distruzione della specie; la seconda, perché apriva le porte di un
cosmo in cui né dio né l’uomo hanno voce in capitolo, e «solo le macchine e i congegni moderni
possono essere quello che sono»17. Eppure, nei decenni successivi l’interesse speculativo per la
tecnica doveva subire un drastico ridimensionamento, tanto più sorpren­dente se si pensa che mai
come negli ultimi anni il peso della tec­nica sulle forme di vita si è fatto capillare.
16 Non solo in ambito marxista; cfr. E. Junger, L’operaio. Dominio e forma (1932).
17 Heidegger in riferimento allo Sputnik che con la bomba atomica è un simbolo frequentissimo nella letteratura di
quegli anni.
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Non che, in genere, la rilevanza epocale della tecnica sia stata contestata apertamente. In forma
indiretta ne troviamo anzi una qualche conferma in entrambi i modelli d’interpretazione del
pre­sente più seguiti in questo scorcio di secolo, vale a dire la teoria del “postmoderno”, che
ha dominato la discussione dagli anni ottanta in poi, e quella della “globalizzazione”, che tiene
banco da qualche anno a questa parte. In entrambe, però, è ugualmente palpabile la ten­denza
a far recedere la questione della tecnica sullo sfondo, impu­tando ad altri aspetti del presente la
responsabilità della vera rot­tura epocale con il passato. Lyotard, per esempio, apre il suo saggio
sulla condizione postmoderna proprio evocando un momento cen­trale dell’evoluzione tecnologica
come “l’informatizzazione della società”18 ma, nei fatti, lo sviluppo ul­teriore della teoria concede
uno spazio minimo a questo aspetto. Tanto che Luhmann, a qualche anno di distanza, potrà
osservare criticamente che l’intera discussione su moderno e postmoderno si è svolta, in sostanza,
più sul piano “semantico” dei concetti, delle ideologie e delle presunte metanarrazioni che non su
quello delle trasformazioni strutturali19. Analoga­mente, quale che sia il significato che si attribuisce
al termine “gb­balizzazione”, vale in genere come assodato il legame tra questo processo e un alto
grado di evoluzione tecnica, ma ci si limita per lo più a lasciarlo sullo sfondo, a vantaggio di aspetti
più stretta­mente politici del fenomeno, come la crisi dello Stato nazionale.
Già in Heidegger, in effetti, l’”irreversibilità” dello sviluppo della tecnica era fuori discussione.
Chiedersi quindi astrattamente se questa evolu­zione fosse in sé un bene o un male appariva
già allora meno che futile. A definire i margini legittimi di una riflessione critica era piuttosto
l’ipotesi che lo sviluppo tecnico, benché irreversibile in se stesso, fosse passibile però di diverse
declinazioni, con la conse­guente necessità di distinguere tali opzioni e prendere partito, even­
tualmente, per l’una o per l’altra. Il saggio di Heidegger presenta esattamente questa impostazione:
la tecnica, cioè, vi risulta “in al­to grado ambigua”, tanto da costituire al medesimo tempo un estre­
mo “pericolo” come anche, a certe condizioni, l’unica possibile “sal­vezza”. La maggiore difficoltà,
nel testo, è che la distinzione tra l’uno e l’altro volto della tecnica risulta affi­data, alla fine, solo
a poche indicazioni decisamente criptiche, gra­vate per di più del peso di una teoria ontologica
generale. Forse a causa di queste difficoltà interpretative o, più semplicemente, sotto l’influenza
di un’attualità storica che sembrava procedere a tappe forzate in una sola direzione, fatto sta
che il riferimento al­l’ambivalenza della tecnica sparì in fretta dalla discussione teorica, per fare
spazio all’idea di una evoluzione assolutamente monoli­tica, che non concede in pratica alcun
margine di scelta. I saggi di Anders20 attestano con particolare efficacia tale visione uni­voca delle
cose, in cui tutto ciò che concerne il senso della tecnica appare ormai già deciso una volta per
tutte. A questo punto, non restavano logicamente aperte che due strade. O presentare l’analisi
teorica come puro atto di testimonianza di fronte all’ineluttabile, riservando caso mai solo alla
prassi una qualche residua capacità di resistenza, com’è il caso appunto in Anders. O decidersi a
relegare sullo sfondo l’evoluzione tecnica, per chiedersi se, fermo restando questo sfondo, non
fossero dopo tutto altre le domande decisive, le opzioni sul tappeto e le vere poste in palio.
18 J. F. Lyotard, La condizione postmoderna (1989).
19 N. Luhmann, Osservazioni sul moderno (1992).
20 G. Anders, L’uomo è antiquato Vol. I (1956) e Vol. II (1980).
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È una coincidenza forse non accidentale che questo passaggio di consegne sia matu­rato negli
anni sessanta, dopo la risoluzione della crisi di Cuba, nel momento in cui persino l’esistenza degli
ordigni nucleari comin­ciava a profilarsi non più come una minaccia diretta, quanto come lo sfondo
di un nuovo confronto politico tra opzioni concorren­ziali. Negli anni successivi, in ogni caso, anche
i simboli della tec­nicizzazione sarebbero mutati: alla bomba si sostituirà la macchina intelligente,
il computer, la cui penetrazione nelle forme di vita è destinata non a chiudere dilemmi e conflitti,
ma ad aprine di nuo­vi; ed è appunto all’identificazione di queste nuove forme di con­flitto politico
che si rivolgono ora prioritariamente le formule teo­riche emergenti.
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LE ARTI E LA TECNICA
La relazione che l’arte intrattiene con la tecnica ha qualcosa di costitutivo. Nell’antichità greca,
del resto, la parola “techne” copriva entrambi i concetti, e solo in epoca moderna, con la nascita
settecentesca dell’estetica, si è profilata la possibilità di una dissociazione e dunque lo spazio per
una serie di rapporti significativi, aperti a diverse forme di dissidio e di alleanza.
Benché la distinzione tra arte e tecni­ca sia non solo legittima ma anche necessaria e meritevole
di essere salvaguardata, è difficile fondarla su tratti distintivi che non risultino di volta in volta
fortemente discutibili o addirittu­ra da revocare. È del tutto evidente che nessuno oggi se la
sentirebbe di invocare il requisito della bellezza per differenziare un’opera d’arte da un og­getto
tecnico, dal momento che il fenomeno del disegno industriale ha cancellato questa opposizione,
e le stesse avanguardie stori­che ci hanno da lungo tempo addestrati ad apprezzare il brutto,
l’anodino e il triviale.
«Dinanzi a un prodotto dell’arte bel­la - dice Kant1 - si deve essere consapevoli che si tratta di
arte [cioè di tecnica] e non di natura, e tuttavia la conformità a scopi nella forma di esso de­
ve apparire così libera da ogni costrizione di regole arbitrarie, come se fosse un prodotto della
semplice natura». Nell’arte bella, in altri termi­ni, la tecnica viene in qualche modo, comunque
determi­nante, ricondotta nell’ambito della physis, la spontaneità autogene­rativa della natura.
L’arte bella - l’arte nel senso este­tico moderno - si lascia definire dalla bellezza in modo così
inade­guato, che Kant avverte addirittura l’esigenza di usare un’altra paro­la (e un altro concetto,
s’intende), chiamandola “geistreiche”, “ani­mata”, “ricca di spirito”. La spontaneità creatrice di
cui si è appena detto viene così interpretata da Kant come la capacità di conferire alla materia
sensibile una forma che offre al pensiero l’occasione di “animarsi”, cioè di estendersi in modo
indeterminato su molti con­cetti senza che nessuno di essi possa dimostrarsi appropriato a esau­
rire la ricchezza di senso dei materiali messi in opera.
Ma se l’arte, infine, è inter­pretabile come un libero dispiegamento della componente creativa e
riflessiva interna alla tecnica, allora il giudizio che abbiamo enunciato all’inizio dicendo che l’estetica
moderna avrebbe operato una dissociazione dell’arte dalla tecnica (dalla techne in senso greco)
dev’essere meglio precisato. Si dovrà ulteriormente sottolineare, cioè, che l’assunzione dell’arte
nel dominio dell’estetica ha reso possibile la sua dissociazione dalla tec­nica, con conseguenze
indubbiamente importanti e caratterizzanti, ma in nessun modo determinanti e conclusive. Da un
lato, infatti, l’arte moderna ha inaugurato una direttrice di schietta ed esplicita presa di distanza
dalla tecnica, non di rado caratterizzata da risvolti critici e ironici: e basti pensare qui al ready
made di Duchamp e a tutto ciò che il gesto perfor­mativo che lo istituisce in opera ha significato
per l’arte moderna; dall’altro, per contro, è accaduto che essa abbia guardato alla tecni­ca come
a una fonte diretta di opportunità espressive, e qui si dovrà pensare alle arti tecnologicamente
assistite come il cinema e la fo­tografia — e alle relative teorizzazioni, a cominciare da quella di
1 E. Kant, Critica della facoltà del giudizio.
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Benjamin — via via fino alle attuali esperienze estetiche in campo elettronico e multimediale.
L’arte, in somma, ha da sempre il compito di trasferire nell’oggetto tecnico un frammento
dell’esperienza globale del mondo come rappresentazione di tensioni, speranze, contraddizioni
e come possibilità altra. L’intenzionalità dell’arte mette tra parentesi l’idea di tecnica come puro
mezzo razionale rispetto allo scopo. Peraltro, poiché le tecniche nascono in una condizione e
per risolvere specifici problemi e poi evolvono, non è possibile pensare ad esse come mezzo
neutrale. Essendo cioè il mezzo comunque dotato di senso a partire dalle ragioni e condizioni
storiche della sua stessa costituzione, tali condizioni stabiliscono speciali relazioni con la pratica
delle arti, ragioni che possono essere trasformate e sospese, ma pur tuttavia restano confitte in
ogni tecnica. La tecnica per le pratiche artistiche non è quindi un mezzo che progredisce sempre,
senza perdite, ma un materiale disponibile e, come ogni materiale, esso è dotato di un peso e
di una sostanza storica con cui l’opera deve fare i conti utilizzandolo per modificarne il senso. Il
processo di ogni composizione è cioè sempre processo di risignificazione delle materie e delle
tecniche in quanto materiali. Ogni pratica artistica possiede inoltre le sue tecniche specifiche che
sono rinnovate, ampliate o ristrette al fine di misurarsi con le condizioni utilizzandole (o anche
negandole), ma senza di esse, secondo il nostro pensiero di oggi, la pratica artistica non può in
alcun modo esplicarsi. Da questo punto di vista bisogna però disinguere l’architettura – e in certo
modo anche la musica - dalle altre arti, poichè non opera la propria costruzione direttamente per
mezzo dei materiali ma per mezzo del progetto di uso dei materiali «en tant qu’elle est médiate
au lieu d’etre immédiate»2.
A partire dall’era della meccanizzazione ciò che si è progressivamente trasformato è il ruolo
svolto dalle tecniche nel processo creativo anche attraverso il loro stesso cambiamento di senso
e posizione. Esse, oltre che essere materiali essenziali del fare, sono nello stesso tempo divenuti
prima contenuto preminente e poi assoluto. Questo mutamento è avvenuto non solo perché esse
assumono la tecnica scientifico-produttiva quale forma globale del progresso umano e del suo
mito di crescita infinita e ne mimano l’invasività, ma anche perché rappresentano (più o meno
consciamente) il fatto che la tecnica da strumento di cui le altre forze si servono è divenuta scopo
che si serve di tali forze. Pare quindi evidente che la scienza tecnologico-produttiva sia divenuta
oggi in modo diretto, e non solo in quanto rappresentazione della forma attuale del potere,
contenuto centrale e finalità del fare artistico. È con tale contenuto essenziale che si allinea
anche l’articolazione delle tecniche conformative e morfologiche delle arti. Esse, cioè, non solo
danno forma alle tecniche come contenuto principale delle relazioni sociali, ma si costituiscono
imitativamente senza residui sia rispetto ai prodotti, sia rispetto ai modi di produzione, proprio
anche quando suppongono di liberarsene attraverso un formalismo esibizionistico che altro non è
se non imitazione dei processi di mercato, cioè del contenuto essenziale delle tecniche nel mondo
contemporaneo.
«Gli stessi appelli all’integrità del mondo naturale, che affollano oggi i discorsi di molti artisti visivi
e architetti, sovente non sono altro che preoccupazioni compensative e tentativi di allearsi con
2 A. C. Quatremère de Quincy, Essais sur la nature, le but et les moyens de l’imitation dans les Beaux Arts.
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le giuste preoccupazioni popolari intorno alla sopravvivenza del globo affinché la coincidenza
tra tecniche scientifico-produttive e tecniche morfologiche sia continuamente riaffermata dalla
calligrafia dell’”artista”. Resterebbe quindi, a chi lavora con le pratiche dell’arte, il compito, per
mezzo dell’uso strategico delle proprie tecniche specifiche, di mettere in chiaro le contraddizioni
di quella coincidenza e utilizzarle per alimentare le possibilità di conformazione del proprio fare.
Queste tecniche potrebbero porre in evidenza tale possibile non coincidenza anche in misura
minima, con la presenza nell’opera di qualche frammento non riconducibile né alle finalità della
tecnica né a quelle di qualche illusoria autonomia»3.
Dalla fine del XVIII secolo, per il miracoloso funzionamento produttivo della macchina che divora
l’arte, per la sua apparente indipendenza dalla volontà soggettiva e per il suo carattere sostitutivo
del mondo naturale che ne consegue, la tecnica è divenuta il segno del meraviglioso che sostituisce
le meraviglie dell’arte. Tuttavia nell’arte è presente in tutta la sua evidenza un altro imperativo,
erede dello storicismo dell’ultimo trentennio del XIX secolo ma anche dell’evoluzionismo
naturalista primottocentesco: non solo la forma segue la funzione, ma le forme mutano al mutare
delle funzioni; sicché ogni epoca esige le proprie forme ed esse devono in qualche modo essere
coerenti con i caratteri generali dell’epoca stessa. E poiché il carattere preminente dell’epoca è la
tecnica ed essa è fondata sul nuovo e sull’invenzione produttiva, anche nell’arte il nuovo diventa
misura assoluta del valore. Creatività tecnica e figurativa si confondono volontariamente: peraltro
l’inventore coincide in larga misura con il tecnico in tutto il XIX secolo e alla fine anche l’artista è
trascinato nel vortice della coincidenza tra novità e qualità.
L’arte delle avanguardie introietta il tema della macchina in forme assai diverse: ironiche e di
radicale messa in questione per i dadaisti, politicamente ottimistiche e pedagogiche per il
Bauhaus, che chiede alla macchina di compiere il miracolo della liberazione dell’uomo dalla fatica
e, su questa liberazione, poter costruire “la cattedrale del socialismo”. Per far questo si deve
sviluppare anche il lavoro di gruppo, in opposizione al soggettivismo dell’artista romantico e in
omaggio al principio di una nuova forma di oggettivazione (una nuova “Sachlichkeit”) del processo
artistico. Per i futuristi è soprattutto il movimento ad aprire l’arte a una costante condizione di
instabilità creativa, condizione connessa strutturalmente per essi all’idea di modernità come
velocità, dinamismo e persino violenza. Per i puristi è la chiarezza matematica e geometrica della
macchina che viene presa a modello figurativo, mentre per i costruttivisti la macchina è soprattutto
strumento etico e produttivo per la sua costruzione di una nuova società: nella macchina come
simbolo del progresso tecnico si alleano il nuovo sociale e il nuovo dell’arte4.
Poiché l’arte è considerata specchio dell’ambiente fisico e sociale ed esso è oggi essenzialmente
quello della tecnica quale sistema di mezzi anche economicamente coordinati e diffusi, l’arte
non può che rappresentarne le diverse interpretazioni. Le arti si muovono all’imitazione del
rinnovamento costante che è la legge della tecnica produttiva, contro ogni imitazione della
lentezza infinita della crescita delle forme naturali e contro la quota di metaforica eternità che è
3 V. Gregotti, Architettura, tecnica, finalità.(2002)
4 Una recente ricapitolazione delle avanguardie con specifica attenzione ai diversi modi di relazionarsi alle tecniche
di produzione è in R. de Fusco, L’architettura delle quattro avanguardie.
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contenuto tradizionale delle arti. Le arti sono infatti evento tecnico tra i molti.
Una differenza tra il mondo della meccanizzazione e l’oggi consiste nel fatto che la meccanizzazione
aveva effetti non solo metaforici ma quasi sempre diretti, materiali, visibili e misurabili sul mondo
fisico: anche sulla invenzione delle cose dell’arte, almeno di quelle connesse con il costruire degli
oggetti, pitture, sculture, architetture e ambienti, mentre il mondo informatico sembra avere
sulle cose dell’arte prevalentemente un effetto allegorico, concettuale, di immagine su immagine,
di evento su evento, un effetto costitutivo di nuovi omogenei e transitori ma intangibili miti
collettivi.
La discussione intorno alla riduzione delle arti a oggetto ha lasciato il posto alla riduzione delle
arti a immagine, immateriale e iperrealista, simulazione e modello nello stesso tempo, e in questo
senso è andata perduta ogni connessione con la tecnica in quanto costruttività materiale, mentre
è enormemente cresciuta l’importanza della stessa in quanto contenuto generale.
Un’altra rilevante differenza tra il tempo del macchinismo e quello informatico è connessa al
consenso collettivo generalizzato che caratterizza il mondo dei sistemi tecnici di rete sul piano delle
forme espressive ancor prima che su quello tecnico, mentre l’influenza della meccanizzazione sulle
forme espressive è rimasta oggetto di contesa profonda, almeno sino alla metà del XX secolo.
D’altra parte, mentre il modo informatico mette in discussione profondamente il sistema delle
tecniche tradizionali, si serve ancora dei linguaggi figurativi dell’avanguardia, pur svuotandoli
degli antichi contenuti e utilizzandoli secondo un intercambiabile eclettismo capace di riconciliarli
con le mitologie elaborate dalle comunicazioni di massa.
Il ruolo della tecnica in architettura
Le tecniche si presentano all’architettura come materiali, come lo sono la condizione sociale o
quella geografica o la stessa storia dell’architettura, tutti materiali a cui la progettazione deve
far assumere un’organizzazione orientata a risolvere il problema architettonico del quale questi
stessi materiali contribuiscono a proporre alcune condizioni. Questo vale almeno sino a quando la
tecnica non pretende di divenire contenuto preminente di ogni azione in funzione del suo stesso
progredire o degli scopi economici ad esso connessi.
Si possono schematicamente distinguere tre aspetti delle tecniche in architettura: le tecniche
materiali, quelle dell’organizzazione, quelle morfologiche. Le prime si riferiscono specificamente
alla costruzione nei suoi diversi aspetti: strutturali, di scelta del modo di lavorare e selezionare i
materiali, della loro messa in opera, dei sistemi di giunzione e di sovrapposizione e dei loro dettagli
relativi. Le seconde riguardano le dimensioni e le sequenze degli spazi abitabili, chiusi o aperti,
i loro modi di costituirsi in organismo nello stesso tempo riconoscibile e disponibile agli usi, ma
anche tecniche in quanto modi di costituzione del progetto, individuazione di metodi e procedure
delle gerarchie e dei sistemi di comunicazione tra progettista ed esecutore, e infine le tecniche
organizzative che attengono alla rispondenza tra programma e opera e al controllo produttivo del
progetto. Le tecniche morfologiche riguardano invece i criteri e i modi di dar forma e misura ai
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materiali e di costituire fra tutte le parti l’unità (continua o discontinua che sia) dell’opera5. Inoltre
esse attengono ai modi di rappresentarsi dell’opera nella sua formazione e nel suo risultato. Il
primo gruppo di tecniche – quelle materiali – ha a che vedere con la pratica e fa riferimento alle
esperienze accumulate, alle abilità; il secondo – quelle dell’organizzazione – è piuttosto connesso
all’idea di programma in quanto tecnica del fare sovente per fini definiti e in quanto possibilità
combinatoria; il terzo gruppo – le tecniche morfologiche – è quello in cui la prassi è chiamata
principalmente a rispondere alla questione del senso nell’operare artistico. L’opera si costituisce
solo nella presenza delle diverse tecniche convergenti verso le finalità generali dell’opera, cioè
verso l’opera stessa e, per mezzo di essa, in rapporto alle sue funzioni pratiche e simboliche, e in
relazione critica rispetto alle condizioni generali della disciplina e della sua tradizione.
C’è poi da rilevare che, come sostiene Vittorio Gregotti6, generalmente nel discorso architettonico
«abbiamo, della tecnica, una concezione esageratamente tecnica, che marca, del pro-getto,
l’aspetto pro-duttivo piuttosto che quello di pro-iezione, mentre tendiamo a mettere in ombra la
tecnica in quanto regole del trans-formare specifiche della progettazione architettonica. Quella,
cioè, che potremmo piuttosto chiamare tecnica della trasformazione di senso attraverso la figura
architettonica. Tale tecnica del trasformare non è che parzialmente tecnica della composizione
architettonica nel suo marmoreo rifarsi a tradizioni, modelli, tipi, parti di una famiglia di cose
definita una volta per tutte; né tanto meno si tratta di tecnica dell’organizzazione “linguistica”
dell’architettura. Si tratta di uno speciale modo di essere della tecnica le cui regole emergono con
la costruzione dell’opera, che coinvolgono senso e necessità e si presentano compiute e nello
stesso tempo inutilizzabili solo al termine dell’opera».
Il mutamento subito dal ruolo dell’architetto conseguentemente alla meccanizzazione e alla
scientifizzazione di alcuni processi costruttivi, almeno dalla metà del XVIII secolo, consiste
principalmente nel fatto che egli non produce più costruzioni ma progetti come prodotti finiti, anzi
come realtà compiute, anche se poi “il cantiere” richiederà una serie di interventi di aggiustamento
pur importanti. È il progetto, quindi, in quanto sostanza teorica dell’architettura che deve essere
capace di contenere e illuminare la “fabbrica”. Ma senza l’uso del pensiero pratico il progetto non
è in grado di illuminare nulla; manca l’oggetto su cui si proietta la sua luce, la sostanza materiale
da ordinare; si attua quella «perdita della vicinanza» di cui parla Adorno7 e che è fatale per l’opera.
Talvolta oggi si ha l’impressione che tale operazione diretta sia diventata estremamente difficile
e che la tecnica si ponga in primo piano come costruttrice di un complicato gioco di schermi e di
riflessioni alla fine del quale la luce del progetto arriva fioca sulle cose della fabbrica. Da questo
punto di vista un ruolo determinante occupano quindi proprio le tecniche di progetto, cioè da
un lato il metodo con cui la risoluzione dei problemi gradatamente prende forma progettuale e,
dall’altro, le rappresentazioni con le quali esse vengono fissate e comunicate in funzione della loro
organizzazione costruttiva. Anche da questo punto di vista l’età della macchina aveva le proprie
5 Nella tradizione letteraria dell’architettura quest’ultima categoria, un tempo predominante nei “trattati”, ha subito
un drastico ridimensionamento a partire dalla rivoluzione funzionalista dell’architettura moderna.
6 V. Gregotti, Architettura, tecnica, finalità.
7 Th. W. Adorno, Teoria estetica.
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preferenze figurative: un linguaggio fondato sulla distinzione analitica delle parti, su elementi che
non vogliono prefigurarne la percezione prospettica. La rappresentazione in assonometria per
la suo obiettività, vince sulla prospettiva pittorica; inoltre un sistema sempre più formalizzato di
simboli, misure e annotazioni muove anche dalla necessità di integrare in un progetto unitario
tecniche di origine diverse, che hanno a loro volta subito processi di scientifizzazione e di
unificazione interna e di autonomia sia produttiva che di messa in forma, processi che si vuole
unificare estendendo l’unità dei principi e dei metodi per la costituzione della forma architettonica
ai prodotti a essa connessi. Soprattutto è ben presente lo sforzo di estendere il dominio della
progettazione, e con esso il territorio dell’architettura, alla risoluzione di problemi collegati alle
diverse scale d’intervento, di riconoscere una complessità e contraddittorietà del reale che non
ammette semplificazioni e propone invece connessioni complesse.
Negli ultimi vent’anni le tecniche di rappresentazione sono state tanto assimilate (e unificate)
dalla grafica dei computer che hanno finito per esercitare ampia influenza sulla grammatica del
progetto. I sistemi di rendering assimilano la rappresentazione architettonica a forme iconiche
di iperrealismo surrealista, proponendo sia il superfantastico sia un rassicurante esistente. Con il
sorgere dell’età dell’informazione lo strumento di rappresentazione divorzia da ogni tecnica e si
impadronisce del linguaggio architettonico attraverso la grammatica delle affascinanti immagini
che appaiono sullo schermo del calcolatore. Non vi sono più approssimazioni successive ma solo
scale “al vero” che producono, nello stesso tempo, il massimo del distacco dalla realtà empiricotecnica e il massimo della normalizzazione espressiva mediatizzata e sublimata8. La tecnicità della
rappresentazione travolge ogni contenuto esplicativo, con un’ermeticità che intende sottolineare
il valore dell’immagine in quanto messaggio che in sé garantisce: mai come in questi casi il mezzo
è, in tutta la sua tecnicità, il messaggio.
Per quanto riguarda la realizzazione delle opere invece, una differenziazione di contesti, di
esigenze e di obiettivi richiedono apprendimenti tecnici particolari, professionalità distinte. Le
categorie di figure professionali che hanno a che vedere perifericamente con l’architettura si
sono enormemente moltiplicate. L’attributo di “tecnico” si è connotato sempre più del significato
di specialista di programmi e di controlli nel tentativo di suscitare affidabilità allontanandosi
“nobilmente” da qualsiasi forma di materialità che è tradizionalmente connessa alla nozione di
tecnica della costruzione. A questo corrisponde puntualmente una diminuzione quantitativa e
qualitativa dei tecnici artigiani della materialità. La conseguente perdita di competenze artigianali,
alla quale si sta progressivamente sostituendo il montaggio dei semilavorati, ha un riflesso sulle
scelte di progettazione, che si muovono così verso prodotti prefiniti (dove la tecnologia specifica
del prodotto è demandata ad altre responsabilità) più sensibili alle pressioni del mercato dei
prodotti industriali.
La tecnica delle costruzioni non è una tecnica unitaria: con la scientifizzazione di alcuni dei suoi
processi e con la meccanizzazione essa diviene sempre più organizzazione di tecniche collocate
8 Per un’esauriente interpretazione dei portati dell’immagine digitale si segnala F. Purini, Digital divide, in Architettura e cultura digitale (a cura di M. Unali e L. Sacchi).
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su differenti livelli di avanzamento, con diverse tolleranze nelle misure, che richiedono, a
livello di montaggio, procedimenti differenziati. Essendo le informazioni tecniche divenute poi
tanto numerose e tanto rapidamente sostituite da nuove informazioni, il tecnico è colui che sa
individuarne e sceglierne un segmento adatto al caso specifico e che su di esso opera con la
garanzia dell’aggiornamento oltre che dell’abilità specifica; le diverse culture specialistiche hanno
così teso a dissociarsi dalla partecipazione comprensiva di una cultura dell’insieme delle opere.
Bisogna ricordare, inoltre, che, nonostante i perfezionamenti, le tecniche della costruzione
presentano lunghe inerzie negli aspetti strutturali. Anche se esse elaborano continuamente nuove
possibilità, esiste pur tuttavia una relativa stabilità in alcuni principi di costruzione per tempi
più o meno lunghi, alcuni prototipi innanzitutto: il trilite, l’arco nelle sue diversissime versioni,
le murature a gravità, l’ossatura a telaio, il contrafforte ecc., tutti in qualche modo archetipi
strutturali, realizzati con diversi materiali, dimensioni e gerarchie e secondo combinazioni
sovente assai complesse che sono giunti, in epoche diverse, a possedere anche un contenuto
iconografico specifico importante. Questa stabilità è anche abitudine, memoria, tradizione con i
suoi consolidamenti e le sue permanenze, ma è anche prova della necessità di una resistenza e di
una lentezza, costitutive dell’opera d’arte. Nella loro evoluzione queste richiedono, insieme alla
trasformazione delle tecniche nei trattamenti dei materiali e dei semilavorati, una complessa e
lenta formazione di maestranze e mezzi, un’organizzazione molto varia delle imprese costruttrici,
oltre che, quale elemento determinante, un confronto con il mutare dei costi di produzione, di
trasporto e di messa in opera.
Tuttavia il problema delle tecniche nel progetto di architettura non si limita ai principi tettonici,
ma attra­versa tutti i livelli di definizione dell’organismo archi­tettonico. La logica che connette
questi diversi livelli è la regola stessa della costruzione del significato del manufatto: il modo in
cui le tecniche della costruzione si rivelano o nascondono, divengono metafore di sé stesse o si
trasformano in elementi della decorazione, dipendono e costruiscono la logica specifica dell’ar­
chitettura. «Il n’y a pas de détails dans la construc­tion», diceva il grande architetto Auguste Perret,
in­tendendo con questo che il dettaglio non è una parte trascurabile, ma un elemento essenziale
della defini­zione di un’architettura. È l’arte come tecnica del det­taglio, cioè della differenza, della
discrezione e della sua necessità morfologica rispetto all’insieme, che fa ri­conoscere la specificità
del modo con cui il caso è trat­tato, che disloca il senso comune rivelando la natura del giunto,
del ritmo, della materia, del passaggio tra le superfici. Il dettaglio è inoltre vicino a una categoria
speciale di tecniche della costruzione, esposte in primo piano alla percezione ravvicinata del
manufatto, alla sua manipolazione tattile.
Il lavoro tecnico di architettura, in quanto lavoro nobilmente materiale, è inoltre fondato,
nell’articolazione dei dettagli e nella loro relazione con gli elementi della struttura e della fisiologia
degli impianti, su una costante interazione tra soggetti diversi, per aggiustamenti successivi, in cui
gli elementi empirici si ordinano progressivamente secondo una reciproca necessità.
La relativa omogeneità delle culture tecniche impiegate nell’architettura antica rendeva sovente
il dettaglio costruttivo-decorativo demandabile. Non più nei tempi della meccanizzazione, dove
cultura tecnica esecutiva e cultura architettonica richiedevano, a causa della loro distanza,
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un progetto integrale fortemente dettagliato al fine di far convergere l’opera verso un’unità
complessiva. L’ambito del dettaglio è divenuto dominio dell’industria di semilavorati e quindi
la progettazione è divenuta montaggio che sovente confronta volontà culturalmente diverse di
for­ma-immagine, prodotte secondo intenzioni del tutto indipendenti dalla progettazione stessa.
Tutto questo sino a quando uno scopo puramente estetico o puramente tecnico non sposta
l’architettura fuori dai propri fon­damenti, come oggi sta avvenendo.
Il compito degli architetti antichi che consisteva essenzialmente nel trasformare, montandole,
materie in elementi di architettura, si è trasformato così in quello più modesto di assemblare
prodotti presignificati tentando di far assumere ad essi un nuovo senso, lavorando sulla loro
disunità o cercando fra queste un comune terreno di connessione, cioè in qualche modo
negando l’idea di montaggio come tecnica compositiva, ma nello stesso tempo utilizzando il
montaggio come tecnica costruttiva. Contraddittoriamente la posizione dell’architettura (la più
esposta all’operazione tecnica di assemblaggio) risulta oggi essere quella di chi ne usa meno la
logica compositiva in quanto tecnica espressiva; l’eterogeneità è, quando la si utilizza, del tutto
linguistica o citazionista, raramente proviene dalla eterogeneità dei materiali. Ma le proposte
degli anni recenti sembrano anche rispondere ai temi della complessità tecnica con i principi
della “carrozzeria”, cioè del montaggio di superfici esterne totalmente distaccate dalle condizioni
tecnico-distributive dell’organismo, concentrando (e limitando) la propria adesione al mondo
tecnologico (la cui mimesi resta lo scopo complessivo) alla superficie sottile dell’involucro, esterno
o interno che sia, rinviando ad esso l’unità formale dell’intero sistema. Questo, liberato dalle
necessità del principio dell’organicità dell’insieme, può assumere qualsiasi forma, anche la più
capricciosa, che concentra così il proprio messaggio sull’apparizione sintetica dell’immagine. I
materiali si fanno sottili, trasparenti, possibilmente non riconoscibili, tendono a diventare materie
senza materialità.
Ne discende che il complesso delle tecniche impie­gate nella costruzione rappresenta nell’insieme
un ma­teriale allo stesso tempo particolarmente resistente e particolarmente ambiguo offerto
alla significazione dell’architettura. Tale complessità può essere naturalmen­te superata di colpo
accettando di separare nettamente costruzione da forma e significato, al prezzo, però, di mettere
in questione l’ontologia stessa dell’architettura. In questo senso la “civilisation macchiniste” si
offriva co­me difesa di quell’ontologia al prezzo di inglobare le offerte tecniche moderne e il loro
processo produttivo co­me uno dei contenuti preminenti del progetto, con tut­te le perdite che
questo implica. Ciò che resta al tra­monto dell’era della macchina, al trasformarsi delle tec­nologie
in pura opportunità orientata all’immagine de­ducibile dal successo della comunicazione delle
reti, è il contenuto tecnico stesso, divenuto stile.
Gli orizzonti neotecnologici dell’arte
La questione è ora quella dell’esperienza artistica, così come la in­tendiamo nella modernità,
all’incontro con l’universo digitale-informatico delle nuove tecnologie basate sui flussi audiovisivi
elet­tronici, sulla produzione di immagini sintetico-virtuali, sulla possi­bilità di mutare la stessa
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fisiologia organica del corpo mediante l’in­nesto di protesi computerizzate. Spesso questa
dimensione viene vi­sta esclusivamente in chiave apologetica, come uno straordinario ac­
crescimento di opportunità. Tuttavia a porsi in maniera problematica non sono tanto le modalità
dell’incrocio tra arti e ultratecnologie, bensì la domanda se siamo attrezzati per la ridefi­nizione
profonda dello statuto dell’arte che quell’incrocio porta con sé.
Un’ovvietà troppo facilmente condivisibile come quella secondo cui gli artisti hanno sempre
utilizzato le tecnologie del loro tempo viene spesso usata per delegittimare ogni ulteriore
interrogativo, dichia­rando una sorta di non luogo a procedere per chiudere così la que­stione. Al
contrario, si dovrnno mantenere aperte le questioni e di­slocarle sulla soglia critica tra l’esperienza
artistica e i linguaggi della megamacchina. Gli artisti, ap­punto, hanno sempre sfruttato le tecnologie
del loro tempo, svilup­pandone le inedite, implicite possibilità. Oggi avviene la stessa cosa. Ma il
rapporto si è invertito. Nelle società in cui ancora prevale l’au­torità della tradizione culturale,
questa non viene minacciata dallo sviluppo dei sottosistemi di azione razionale tra cui troviamo al
pri­mo posto quello tecnico-tecnologico; nelle società capitaliste, in cui fonte e legittimazione del
dominio è il sistema di divisione sociale del lavoro, tali sottosistemi si espandono incessantemente
stabilendo la centralità produttiva, sociosimbolica, psicologica dell’innovazione.
Se precedentemente erano gli artisti a forgiare l’immagine complessiva del loro tempo, è perché
il processo tecnologico, di cui pure si servi­vano, permaneva nei propri confini, non era ancora
abbastanza po­tente da dislocare o annichilire la singolarità. Oggi egemone è la Tec­nica, diventata
l’orizzonte autocentrato e insuperabile del sistema, l’autorità che in ultima istanza decide, e che
è giunta a mostrare com­piutamente la struttura e la forma generale dell’espropriazione. Dal­le
ideologie e le poetiche costruttiviste, futuriste, produttiviste fino all’arte elettronica, lo sviluppo
tecnoscientifico è stato dunque progressivamente sempre meno un re­ferente come un altro
per l’arte, e sempre più l’ecosistema in cui es­sa si inserisce, che seleziona e impone i modelli
della comunicazione sociale, dell’interazione umana, dell’immaginario estetico. Bisogna quindi
domandarsi se esista ancora un’autonomia dell’universo arti­stico, oppure la sua risoluzione nei
linguaggi neotecnologici az­zera la possibilità stessa di porre una simile domanda. È inoltre da
determinare fino a che punto il ciberspazio ospita materiali dialoganti, e fino a quale inve­ce essi
non bruciano la necessaria distanza tra differenti che riman­gono tali su cui ogni autentico dialogo
si fonda. Sembra comunque evidente che se l’”Impianto”, il Ge-Stell heideggeriano è un mezzo
divenuto scopo a se stesso9, non esiste ragione per cui le tecnologie ad esso afferenti debbano
continuare ad essere nei confronti dell’arte un semplice medium espressivo. Per­ché mai proprio
all’arte la tecnica dovrebbe fare uno sconto? La lente converge allora sui rapporti tra mezzo
tecnico e linguaggio, che nel­la sfera artistica si rivelano particolarmente delicati, quasi un’arma a
doppio taglio. Qui, infatti, per un aspetto, non essendo in presenza di uno scopo utilitaristicamente
determinato da raggiungere, la tec­nica potrebbe dirsi un’esposizione di “pura medialità”; per
un altro aspetto, dato che l’opera nulla sarebbe prescindendo dalla partico­lare tecnica che la
produce, tale medialità può riconoscersi partecipare direttamente alla costituzione degli scopi
9 cfr. Il carattere della tecnica al capitolo precedente.
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progettuali ed espres­sivi.
Spesso gli artisti affermano che i mezzi e le tecniche sono indif­ferenti: l’importante è “esprimersi”.
Solo un artista può legittima­mente sostenere tale tesi senza scrupoli teorico-filosofici, per la buo­
na ragione che li supera operando. Certo che anche con le ipertec­nologie si possono visualizzare
emozioni e mondi poetici, ma si ha talora l’impressione che pro­prio i sostenitori più convinti
degli ultramedia ne diano sul versante artistico una lettura riduttiva, minimalista, che finisce per
risultare contraddittoria. Si afferma (a buon diritto) che il tec­nocosmo non è solo un apparato
funzionale agli scopi prefissi, ma segna anche un mutamento epocale che ridefinisce le nostre
coordi­nate percettive, che riorienta il nostro rapporto psicologico e simbolico con il mondo;
nello stesso tempo, tuttavia, si pretende spesso che le tecnologie ad esso afferenti continuino a
rivestire per l’artista la funzione di un materiale espressivo qualunque, come il marmo, il colore o
la grafite. Ma né marmo né colore né grafite, in quanto tecniche socializza­te, rimodellano con la
medesima potenza, pervasività e forse irre­versibilità i nostri processi conoscitivi ed emozionali.
Ogni singola tec­nica è storicamente determinata e solidale con le sue omologhe ap­partenenti
allo stesso sistema morfologico e al medesimo contesto temporale: è indistinguibile dall’insieme
di esperienze percettive che ha permesso e continua a permettere, è inseparabile dall’universo
so­ciosimbolico che ineluttabilmente porta con sé. Ma precisamente in forza di tutto questo,
un’operatività artistica che si lasciasse inte­gralmente abitare dalle modalità ipertecnologiche
finirebbe per ri­sultare subalterna a ciò che si illude di poter utilizzare come un me­ro strumento;
finirebbe per smarrire la sua capacità di verticalizza­zione, la sua preziosa e finora inesorcizzata
alterità.
Le ultratecnologie rappresentano per l’artista prima di tutto un universo da esplorare. Ma se
l’arte gioca sul loro stesso terreno rin­correndone affannosamente le accelerazioni e le priorità,
adeguan­dosi ai loro parametri, allora risulterà inevitabilmente perdente, si ri­durrà a mostrarsi
soltanto «al passo con i tempi». Sono già presenti ed operanti malintesi o male im­postati rapporti
tra intenzionalità artistica e tecnosfera, in conse­guenza di una sorta di “ipnosi ultratecnologica”,
che è doveroso considerare.
In primo luogo si potrebbe richiamare il rischio di una ipervalu­tazione del medium, promosso
a strumento per un’immediata auto­legittimazione dell’opera. Eppure sappiamo bene che non
v’è alcun legame automatico tra la scelta del mezzo tecnologicamente più avanzato e la qualità
artistica o l’interesse estetico del prodotto. Usare un me­dium arcaico come il pennello nell’era dei
computer di quarta o quin­ta generazione non è di per sé affatto regressivo. E vale la reciproca:
l’aggiornamento dei mezzi non è minima prova del fatto che il dialo­go tra arte e tecnologia sia
stato inventivamente allestito. Per di più, un’esibizione autolegittimante del mezzo può portare
con sé due pericoli. Il primo è che l’utilizzo diffu­sivo delle neotecnologie si sviluppi su direttrici
di così basso profilo (pensiamo solo all’interattività, che per ora si rivela spesso una farsa) da
trasformare l’esperienza artistica nel regno della mediocrità so­cialmente condivisa. Quando l’arte
è dappertutto (ma è di estetiz­zazione che si dovrebbe parlare), significa che ha drammaticamente
perso di valore. L’altro pericolo è che l’appiatti­mento sui modelli comunicativi globali e standardizzati
alimenti la perniciosa equiparazione tra l’arte e l’informazione-comunicazione estetica.
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Bisogna tra l’altro valutare la possibilità che venga a profilarsi una situazione in base alla quale
l’arte si riduce - nei confronti della potenza autoinnovativa dei lin­guaggi telematici - a svolgere
una funzione ornamentale, gregaria: quella di aggiungere un surplus di esteticità-inventivitàimmaginati­vità a ciò che non ne ha bisogno semplicemente perché queste ca­ratteristiche le
possiede già in misura autonoma e distintiva. Non esiste nulla di più letteralmente reazionario
che pensare all’arte come variante metaforica, come licenza poetica della tecnica.
In fine il rischio più grande: che l’arte non sia più un ri­schio, che non sappia più tendere il
linguaggio fino al limite estremo tanto da rimetterlo alla possibilità dello scacco, del fallimento, del
naufragio, figure essenziali delle arti moderno-contemporanee. Dunque che non sia più capace di
rappresentare un pericolo, di in­dicare il pathos di un’emergenza. Perché l’impatto così massivo,
in­dustrialmente assistito e promozionalmente facilitante delle ultra­tecnologie, potrebbe alla fine
rivelarsi un dispositivo neutralizzato­re, un rito consolatorio, una rete protettiva con cui garantirsi
pre­ventivamente quella legittimazione a buon mercato che farebbe pas­sare una volta per tutte
l’esperienza artistica dalla sfera dell’interes­se (in cui ne va del vicendevole, reciproco essere nel
mondo) a quel­la dell’interessante, in base a cui l’arte non è più bandita (Platone che la definiva
“divino terrore”) ma blandita. Allora forse è precisamen­te all’incontro con la pervasività capillare e
orizzontale, declinata in chiave edenico-liberatoria, delle neotecnologie, che occorrerebbe alzare
il tiro e tornare a domandarsi se l’arte sia davvero ormai defi­nitivamente preda di un’insipida e
incurante tolleranza liberal-de­mocraticista in base alla quale si può far tutto perché tutto è diven­
tato innocuo, oppure se abbia residue possibilità di rivelarsi «peri­colosa», se mantenga ancora
intatta la capacità di “dar da pensare” squilibrando i nostri assetti concettuali ed emotivi: ciò che
ne atte­sterebbe la persistente crucialità, l’inaggirabile e feconda decisività.
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