CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB(2015_09_12)

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CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB(2015_09_12)
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Corriere della Sera Sabato 12 Settembre 2015
#
Tempiliberi
Viaggi
Benessere
Food
Moda
Design
Tecnologia
Famiglia
Nascosti dietro un nickname giudicano, bocciano e insultano le vite degli altri: sono
gli «odiatori» professionali. E si nutrono del nostro successo. Vero o esibito che sia
L’invidia digitale
di Michela Proietti
Le ferie esasperano gli animi, le foto di vacanze
belle e impossibili postate su Instagram accentuano lo scontento. «Se tutti sono in una spiaggia, ad accendere un barbecue o a guardare fuochi d’artificio e tu sei rimasto a casa, ti assale la
sensazione di essere rimasto tagliato fuori»,
scrive il New York Times. Le reazioni da spettatore passivo sono opposte. A volte si attorcigliano
intorno a un frustrato «slacktivism», che porta a
cliccare il tasto like anche quando non si vorrebbe, per il perverso meccanismo del «desiderio
triangolare»: chi è amato da tutti merita di essere amato anche da noi, pur senza una ragione
evidente. Se il post ha fatto il pieno di like, proprio noi vogliamo tirarci indietro (e rischiare di
sembrare invidiosi)? Una buona percentuale di
persone decide di «unfolloware» chi gli fa saltare i nervi a ogni post, mentre gli haters duri imboccano la catartica via dell’insulto.
Se il «troll» interveniva a gamba tesa, in modo
insensato, divertendosi a disallineare le posizioni degli altri, l’hater è il portavoce di quella rivalità che sibila all’orecchio di tutti noi. «La Rochefoucauld riteneva che nell’avversa fortuna dei
nostri amici c’è sempre qualcosa che non ci dispiace», ha scritto Alessandro Piperno proprio
sul Corriere. Appare dunque automatico che la
fortuna sfacciata dei nostri amici digitali ci infa-
C
 Con il
termine
«hater» si
identificano
quegli utenti
che sul web
disprezzano,
diffamano o
criticano
distruttivament
e una persona,
un lavoro, una
persona o uno
stile di vita.
Secondo
l’Urban
Dictionary
l’hater «è
qualcuno che
non è per nulla
felice del
successo di
un’altra
persona. Non
desidera
essere la
persona che
disprezza, ma
vuole solo
colpirla».
L’hater vuole
«ridimensionar
e» e riportare al
proprio livello
la persona che
attacca
Single
La regola di Dante
L’unica vera arma contro gli haters è
l’indifferenza: come teorizzò Dante
nei confronti del «nemico» Cecco
d’Ascoli
ILLOZOO / CRISTOBAL OJEDA
Chi sono
i sono parole quasi scomparse e, con la sparizione, sembrano aver cancellato il vizio a cui erano
associate: chi è un invidioso? Un goloso? E un
lussurioso? Sulla carta, nessuno. Sul mondo digitale, tutti. I peccati capitali oggi vivono e si nutrono molto meglio nel web, che nella vita in
carne e ossa. Fare sexting — scambiarsi messaggi ad alto contenuto erotico in rete — non è scabroso come ammettere di avere sempre la testa
lì. Parlare di foodporn — l’adorazione feticista
del cibo — non cambia la sostanza delle cose:
come dei sopravvissuti a terribili carestie, non
siamo mai sazi. Solo che adesso, l’abbuffata ha
sembianze più eleganti e socialmente comunicabili.
Ma è soprattutto l’invidia che veleggia tra blog e
social con un volto nuovo. Dare dell’invidioso a
qualcuno oggi è poco politically-correct: l’accusato invoca il diritto, costituzionalmente garantito, di critica. E l’accusatore rischia di essere
considerato un presuntuoso. Oltre che aggrappato a termini desueti da caccia alle streghe.
Gli invidiosi 2.0 si raggruppano in realtà sotto
l’etichetta di haters, odiatori. I vendicatori del
web agiscono schermati da un nickname e imperversano on line con commenti durissimi, insulti, provocazioni. Spesso le invettive, contro
questo o quel personaggio, tracimano: gli haters
si trasformano in capponi di Renzo, e litigano tra
di loro. «Che c’è, non posso dire la mia?». «Sì,
puoi, ma così sembri invidioso». «Ah ci risiamo
con questa storia, ma invidioso di chi!». Copioni
che si ripetono sotto i temi più diversi: il risentimento si spalma tra la figlia «di», raccomandata
e neppure bella, e fatti tragici, come la morte accidentale di un imprenditore, «colpevole» di essere alla guida della sua fuoriserie.
Secondo l’Urban Dictionary l’hater «è qualcuno che non è per nulla felice del successo di
un’altra persona. Non desidera essere la persona
che disprezza, ma vuole solo colpirla duramente». Ma è davvero così? Nel volume «Persone che
scompaiono. Vergogna e apparire» (Borla) lo
psicanalista Benjamin Kilborne annota che
«l’invidia gioca un ruolo importante nella difesa
dalla vergogna per il difetto: piuttosto che sentire che si è noi stessi a mancare di qualcosa, ci si
può sentire invidiosi di qualche altra persona
che ha qualcosa che noi non abbiamo... Non sono io che manco di qualcosa, ma sei tu che hai
quello che voglio».
La differenza rispetto ad altre epoche, passa
attraverso il bersaglio: Madame Bovary tentava
Dietrofront
Un anno fa Mark
Zuckerberg ha deciso
di bocciare il tasto per il
«non mi piace»
di far svaporare l’invidia verso i bei matrimoni
delle altre con bagni di canfora. Patrick Bateman, protagonista di American Psycho, invidioso fino a uccidere, era concentrato sul suo rivale
Paul Owen, insopportabilmente di successo.
Gli haters hanno un pubblico più ampio: si
muovono fluidi tra profili Facebook e Instagram
con piglio da stalker e si gettano nell’arena dei
commenti con una violenza che d’estate si affila.
stidisca, soprattutto se esibita, a portata di clic,
pronta ad aggiornarsi a ogni refresh.
Solo un anno fa, quando Mark Zuckerberg ha
pensato di fornire agli utenti di Facebook lo strumento per esprimere il proprio dissenso, ha fatto un passo indietro. Il tasto «non mi piace» è
stato reputato pericoloso e dunque bocciato.
«Abbiamo bisogno di studiare meglio la cosa.
Non vogliamo umiliare gli altri sul social
network», ha spiegato Zuckerberg.
«L’invidioso ha un lato nascosto da adulatore
e uno molto manifesto da imitatore. Una volta al
potere, replica ciò che ha criticato, scoprendo il
suo lato poco creativo e insicuro — spiega il sociologo Franco Ferrarotti, che parla di confronto
antagonistico —. Non si invidia più una singola
caratteristica, è un’invidia esistenziale, e la rete
vive un momento incontrollabile, in cui ognuno
può dire tutto ciò che gli passa in mente». Ma difendersi è possibile. «La sovrana indifferenza è
la risposta a chi cerca un ruolo attraverso l’insulto». La formula magica l’ha scritta un invidiato
di rango come Dante, guardato di traverso da
Cecco d’Ascoli. «A ogni attacco, ricordiamoci del
verso: “segui il tuo corso e lascia dir le genti”».
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di Antonella Baccaro
C’E’ POSTA
PER NOI?
BENE, MA NON
AL LAVORO
C
apita anche ai grandi di
schiacciare il tasto «invio»
della posta elettronica
senza pensarci troppo. Figuriamoci ai comuni mortali. La vicenda di Hillary Clinton, candidata democratica alla presidenza Usa, messa sotto accusa per
aver adoperato un account privato per comunicazioni di lavoro anche top secret quando era
segretario di Stato, si presta a
molte osservazioni. L’uso della
posta elettronica ha migliorato
le nostre vite, accelerando i tempi delle comunicazioni, ma anche travolgendo il nostro normale livello di riservatezza.
L’idea che quello che scriviamo
sia «cosa nostra» può indurre
in errori che, se non diventano
affare di Stato, possono tuttavia
essere imbarazzanti fino al
punto di mettere a rischio beni
preziosi come la reputazione,
ma anche il lavoro. Scrive una
lettrice del forum on line Supplemento singolo, dove si discute di singles, e non solo, che
un suo amico single è abituato
a usare la casella postale lavorativa per le sue comunicazioni
private. Peccato che non si tratti
solo di vaghi scambi di battute
o di inviti a cena, ma di posta
«bollente», una corrisponden-
za degna di una chat erotica che
intercorre in orari inconsueti
rispetto a quelli lavorativi.
«Tanto chi mi leggerà mai?» è il
commento dell’interessato.
Niente di più sbagliato: oltre a
essere inopportuno, l’uso indebito dell’account di lavoro può
essere causa di sanzioni fino al
licenziamento soprattutto con
le nuove regole più stringenti,
approvate dal governo, del Jobs
act.
La sensazione di impunibilità però deve essere molto forte
se in America è potuto scoppiare lo scandalo Linkedin, il social network che incrocia con-

Che cosa ci
insegnano
le gaffe di
Hillary e le
avances
fatte su
Linkedin
tatti esclusivamente professionali. Ne scrive The Atlantic raccontando come alcuni signori
abbiano inviato commenti personali, inviti e richieste (sei single?) a giovani iscritte per cercare contatti di lavoro. Una di
queste ha pubblicato lo scambio su Twitter, rivelando una
pratica non isolata. Eppure esistono tanti siti per appuntamenti. In nessuno di questi però il profilo professionale
emerge cosi chiaramente. Possibile che questi signori non
abbiano altre frecce al proprio
arco tranne il curriculum?
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