Roma, Museo dell`Ara Pacis

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Roma, Museo dell`Ara Pacis
23 luglio 2008 delle ore 00:06
fino al 14.IX.2008
Jean Prouvé
Roma, Museo dell'Ara Pacis
Una mostra imperdibile ma ormai più che nota. Che offre la possibilità di tentare una chiave di
lettura almeno inedita per Jean Prouvé. Le cui sempre più frequenti celebrazioni iniziano ad
accumulare qualche luogo comune...
La mostra Jean Prouvé, la poetica dell’oggetto
tecnico è in tour mondiale da mesi e anche
considerando la sola Italia, l’allestimento al
Museo dell’Ara Pacis non è una prima, vista la
precedente tappa di Palazzo Te a Mantova. Una
mostra imperdibile ma ormai più che nota offre
la possibilità di tentare una chiave di lettura
almeno inedita per un personaggio le cui sempre
più frequenti celebrazioni iniziano ad
accumulare qualche luogo comune.
Partiamo da un paio di aggettivi che Bruno
Reichlin, uno dei curatori, si lascia sfuggire
nella sua introduzione a proposito di un Jean
Prouvé: “Corretto e un po’ ingenuo”.
Estendiamo con una certa tranquillità questa
definizione e costruiamoci un’immagine di
Prouvé preparatissimo nerd della carpenteria
metallica. Concentrato a livelli da sindrome
sull’organizzazione del flusso produttivo e sulla
gestione d’impresa capace di generare le serie
dei suoi oggetti.
Questa concentrazione lucida permise a un
Prouvé fabbro ventiseienne di bussare da
outsider allo studio Mallet-Stevens (noto
quanto e più di Le Corbusier, all’epoca),
ottenendo il primo incarico professionale di
prestigio. Incarico minimo -una cancellata per
la villa parigina dei Reifenberg- ma capace di
farlo accedere alla cerchia che si ritroverà
nell’Union des Artistes Modernes nel 1930 (con
Le Corbusier, Tony Garnier, Marcel Lods,
Eugène Beaudouin, oltre allo stesso MalletStevens).
La capacità di estendere un’attitudine personale
all’organizzazione di un’équipe porterà in
pochi anni Les ateliers Jean Prouvé di Nancy a
una sessantina di dipendenti e, nel dopoguerra,
alla riorganizzazione in senso industriale con i
nuovi stabilimenti di Maxéville.
Questo successo attrasse nel 1949 il gruppo
societario Aluminium Français, che divenne
partner degli Ateliers, con la prevedibile
conseguenza di uno stravolgimento del
concetto di lavoro calibrato sulla visione
personalissima di Prouvé. La progressiva
perdita di controllo da parte di Jean Prouvé sulla
sua stessa creatura è sintetizzabile nello
stravolgimento della gestione di impresa e
sviluppo, nel divieto che ricevette di accedere
ai locali di Maxéville e nelle sue dimissioni,
rassegnate nel 1953. Probabilmente quell’uomo
“corretto e ingenuo” e formidabile tecnicamente,
dal punto di vista delle relazioni con un
consiglio di amministrazione era, come dire,
piuttosto scomodo.
Prouvé stesso ammetteva: “Sono morto nel
1952”. E i suoi successivi tentativi di
reinserimento professionale con lo sganciamento
da Aluminium Français e l’apertura di due
nuove edizioni dello studio a Parigi suonano
soltanto malinconici a cinquant’anni di
distanza.
Così come malinconico suona anche il suo ruolo
di presidente della giuria al concorso per il
Centre Pompidou a Parigi del 1971. Oggi si
cerca di farlo passare come l’artefice della
vittoria di Piano e Rogers, dimenticando che a
vincere furono soprattutto le relazioni
internazionali di Rogers e che nei vari tentativi
di annullare il procedimento per impedire che
due trentenni sostanzialmente italiani costruissero
un museo nazionale francese con acciaio
tedesco s’invocò -con risonanza internazionaleanche il cavillo che Prouvé non avesse la licenza
di architetto. E non deve certo avergli fatto un
gran piacere.
Torniamo al periodo d’oro degli Ateliers.
Perché per evitare di associarsi a tutte queste
postume/posticce celebrazioni va rilevata
anche un’altra cosa non di poco conto. Il
considerare l’oggetto bicicletta, l’oggetto sedia,
l’oggetto casa allo stesso livello andò a palese
discapito dell’oggetto casa.
Un’abitazione non è l’insieme ingegneristico
delle sue prestazioni oppure l’evidenziazione a oggetto finito- del processo che lo ha
determinato. Leggere un’abitazione in questo
senso fa dell’atmosfera un fattore trascurabile.
Oggi le esperienze delle case à coque, a nucleo
portante, a stampella, a sgabello interessano e
incuriosiscono come manifestazioni del
dettagliato estro tecnologico di Prouvè. Ma la
differenza in termini di atmosfera tra le proposte
di case in serie per Citroën e -per dire- la casa
per le vacanze Seynave o l’abitazione per
Raymond Lopez è tutta in questa sensibilità
ambientale maggiore che la collaborazione con
gli architetti infondeva nel lavoro di Prouvé.
L’amarezza per l’estromissione dagli Ateliers
dev’essere stata decisiva sul piano personale.
Cinicamente possiamo dire che lo fu anche sul
piano professionale, e in positivo. La
sensazione è che Prouvé fu costretto a un lavoro
meno ambizioso, ma capace di esiti di una
qualità superiore. Tornando a essere quel
partner incredibile per un gran numero di
architetti, capace di dare il proprio contributo
evidentissimo a realizzazioni come il palazzo
delle fiere a Lille (architetti Paul Herbé e
Maurice Louis Gauthier), l’edificio per
appartamenti in place Mozart (architetto Lionel
Mirabeau), la sala della fonte Cachat a Evian
(architetto Maurice Novarina), così come prima
del 1950 era stata la partnership con Eugène
Beaudouin e Marcel Lods a determinare la
realizzazione della casa del popolo a Clichy.
Torniamo a Lungotevere in Augusta prima di
concludere. Oggetti, disegni, plastici e la
traiettoria personale di Jean Prouvé sono ora in
mostra a Roma nei locali più imbarazzanti tra
quelli offerti dal Museo dell’Ara Pacis. Niente
da dire sull’allestimento. Forse si poteva evitare
il modello cigolante 1:5 della facciata
dell’edificio in rue Mozart, che fa molto museo
della tecnica nord europeo e tra l’altro
rappresenta un automatismo che l’edificio
invece non possiede. Forse si potevano esporre
alcuni oggetti -soprattutto i tavoli- con una
inclinazione che consentisse di apprezzarli
meglio, invece di esporre il tavolo della
Triennale del ‘51 a zampe in su come durante
un trasloco. L’aspetto imbarazzante è invece
proprio quello offerto dalla sciatteria di questi
locali, con gli estintori posati sul pavimento,
sedie e tavoli di servizio scelti e disposti a caso,
ad avvilire ancor più il triste episodio
dell’edificio che li ospita.
È inevitabile immaginare quanto avrebbe
giovato a Prouvé uno slittamento temporale di
un centinaio di anni. Agli inizi del secolo la
notorietà dei suoi oggetti era limitata all’ambito
di semioscuri concorsi per attrezzature di edifici
pubblici, e nel campo della progettazione
architettonica il suo ruolo era inevitabilmente
di secondo piano rispetto a quello degli
architetti. Trasportando in avanti di un secolo
la capacità e la determinazione di questo uomo,
con una nozione ormai stabile e platinata di
design basata su una comunicazione globale,
inevitabilmente Jean Prouvé avrebbe ottenuto
un passaggio privilegiato nel mondo dell’architettura,
come quello concesso oggi a parecchie
coloratissime star del design internazionale.
Delle mezze tacche rispetto a questo maestro.
luca diffuse
mostra visitata il 19 giugno 2008
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Exibart.com
dal 19 giugno al 14 settembre 2008
Jean Prouvé - La poetica dell'oggetto tecnico
Museo dell’Ara Pacis
Lungotevere in Augusta (zona piazza Augusto
Imperatore) - 00186 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 9-19
Ingresso: intero € 6,50; ridotto €
4,50
Catalogo Skira, € 79
Info: tel. +39 0682059127; [email protected];
www.arapacis.it
indice dei nomi: Maurice Louis Gauthier,
Eugène Beaudouin, Maurice Novarina, Lionel
Mirabeau, Bruno Reichlin, Mallet-Stevens, Le
Corbusier, Tony Garnier, Jean Prouvé, Marcel
Lods, Paul Herbé, Rogers
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23 luglio 2008