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RIVISTA DI STUDI ITALIANI
CONTRIBUTI
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
PAOLO RIGO
Università degli Studi Roma Tre
N
ella poesia di Mario Luzi si possono esaminare vari elementi: la
trasmissione, l’intertestualità, la presenza costante di alcune figure o
immagini ricorrenti, esiste un vero e proprio tessuto retorico1. Tali
presenze si moltiplicano in rapporto alla produzione finale di Mario Luzi,
rispetto cioè a quell’insieme di testi che segnarono la quasi definitiva scelta
stilistica, poetica, ideale del poeta toscano, e cioè il trittico di raccolte indicato
– e unito dallo stesso Luzi per l’edizione del Meridiano Mondadori a lui
dedicato – con il titolo di Frasi della luce nascente2. Quale rapporto vige tra
luce e la poesia di Luzi? Quali caratteristiche, quali “improprietà”, quali
rapporti istaura la luce con il tessuto poetico luziano? Da quali testi – ed autori
– deriva l’immaginario relativo alla luce? Quale significato ha la luce in Luzi?
Le domande che bisogna porsi sono molte, si cercherà di proporre delle
risposte adeguate al caso trattato. Innanzitutto, scorgendo la vastissima
bibliografia luziana non si può fare a meno di notare come la luce diventi una
delle protagoniste della sua poetica. Oltre alla sezione del Meridiano, la luce è
presente, almeno, in un libro significativo ed esplicativo nel titolo stesso: La
luce3, libro che raccoglie alcuni saggi del poeta preposti al Paradiso dantesco.
1
Tavole delle abbreviazioni: di seguito sono riportate le sigle usate per la
citazione in nota delle opere analizzate in questo saggio:
- BNF, Per il battesimo dei nostri frammenti
- FICS, Frasi e incisi di un canto salutare
- SM, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini
Le tre opere compongono la sezione Frasi della luce nascente del corpus
poetico luziano.
2
Meridiano della Mondadori edito nel 1998 a cura di Stefano Verdino segue
la ripartizione delle precedenti antologie: una prima parte Il gusto della vita, la
seconda parte Nell’opera del mondo, infine l’ultima parte Frasi della luce
nascente.
3
M. Luzi, La Luce (dal Paradiso di Dante), Forte dei Marmi: Galleria
Pegaso, 1994.
437
PAOLO RIGO
La luce è la massima raffigurazione poetica alla quale si può cercare di
giungere, questo obiettivo è valido per tutta la nostra tradizione letteraria e
tale considerazione vale per lo stesso Luzi: “lo scrittore si eleva e si rende
degno dell’altezza della rivelazione in atto. Egli è al cospetto e per questo
ancora esterno alla gloria di questo supremo ordine in cui stasi e moto si
identificano nella profondità della Causa. Un primo grado stupefatto di
conoscenza”4, è il commento scritto da Luzi alla primissima visione di Dante.
È proprio nel nome tutelare di Dante che il poeta si interessa alla luce, come
ha notato anche Giovanni Raboni5, diverse sono i rimandi tra la Divina
Commedia e il corpus poetico di Mario Luzi: “tre come le età fondamentali
della vita, come le cantiche della “Commedia”, come i tempi di una sonata; e
ci si potrebbe sbizzarrire in chissà quanti altri accostamenti o rimandi […] e
forse, semplificazione per semplificazione, potremmo anche dire Purgatorio,
Inferno, Paradiso”. Dante, ma non solo, è l’autorità da cui vengono assorbiti i
modus poetandi che raffigurano la luce: elemento in Luzi, vero e proprio filo
conduttore che lo porta anche a fare delle scelte di gusto poetico, di critica; ed
in tal senso è interessantissimo l’antologia (dallo stesso curata) L’idea
simbolista6. Sebbene lo scopo della raccolta sia l’osservazione e la proposta di
una linea poetica simbolista che sia svincolata dalle questioni critiche (e
temporali) che rischiano di intrappolare il fenomeno sia geograficamente sia
cronologicamente, sebbene lo scopo finale sia, quindi, di cercare di costruire
una linea ideale del Simbolismo, che avrebbe il suo inizio nel romanticismo,
“estetico-religioso”7, di Novalis e la cui onda propulsiva terminerebbe nella
4
Ivi, p. 8.
G. Raboni, “Nelle poesie di Luzi la Commedia del ’900”, Corriere della
Sera, 24 Novembre, 1998, p. 27. L’accostamento con la Divina Commedia
non è un fatto nuovo, già Giorgio Caproni all’uscita di Nel Magma nel 1964
salutava la nuova opera dell’amico: “Luzi è riuscito per primo a donarci in
queste pagine impegnate fino all’osso un anticipo di quella che potrebbe
essere una ‘commedia’ d’oggi, affrescando quasi una sua discesa nell’erebo
del nostro essere qui e ora e così (ma sempre in rapporto con l’essere in
assoluto e con la storia)”, ora in G. Caproni, La scatola nera, Milano:
Garzanti, 1996, p. 173. Diversi sono i saggi che si sono interessati di alcune
intertestualità ma principalmente l’interesse si è manifestato fino alla
produzioni di Per il battesimo dei nostri frammenti (1985) come si può vedere
ad esempio in L. Gattamorta, “Luzi e Dante: figure e trame di una
intertestualità”, Strumenti Critici, Anno 2000, numero 2, pp. 193-217; L.
Gattamorta, “Stilnovismo e dantismo di Luzi da La barca a Quaderno
gotico”, Strumenti Critici, Anno 2002, numero 19, pp. 25-51.
6
M. Luzi, L’idea simbolista, Milano: Garzanti, 1960.
7
Ivi, p. 35.
5
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LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
poesia contemporanea8, i presupposti si perdono nella ricerca delle poesie
nelle cui immagini venisse trasmessa la raffigurazione di un tentativo di
descrivere l’altro, il non scorto, insomma, l’interesse si sposta su una sorta di
poesia mistica, la quale nelle immagini figurate trasmetta sì il simbolo, ma
anche un accenno ad un flusso spirituale. Lo stesso Luzi nello studio
effettuato su Mallarmè: “proprio questi nuovi poeti, per i quali la poesia,
essendo un atto assoluto e totale dello spirito, doveva risolversi in un modo di
religione, e nei due casi più vicini a noi nel tempo, in Eliot e in Ungaretti, di
religione cristiana”9. La ricerca luziana si sposta, quindi, anche criticamente
sulla luce: è innegabile che una quantità piuttosto grande di poesie raccolte, e
scelte, dall’autore, esaminino la natura della luce, proponendo delle immagini
di raffigurazione della medesima, legandosi a filo doppio con le poesie
dell’autore, e creando per noi una base di ricerca delle possibili influenze
subite da Luzi più o meno inconsciamente. Il verso “È oscuro il lume più
chiaro del sole”10 legato al rapporto oscurità-luce, presentissimo in Luzi e che
analizzeremo tra qualche paragrafo; oppure i “campi luminosi” di Baudelaire
che richiamano alla memoria “la spiga luminosa”11 o “una luce di frumento”12
versi creati dall’autore toscano per esprimere metaforicamente la presenza
della luce anche in rapporto con la natura13, influenza baudeleriana (e non
solo) che arriverà, forse, fino alle “luminose lande” di Terra ancora lontana,
terra arida14. Del resto il topos dei “pascoli” è presente da tempo
nell’ideologia cristiana tutta e, spesso in tale figura si scorge un legame con la
luminosità del Cristo-pastore15.
1.1 La luce e la trasparenza
Si proceda però con ordine, bisogna prima di tutto cercare di dare una
spiegazione seppur breve al significato stesso della luce nella poesia luziana:
8
Passando anche per autori del calibro di Poe, ecc., che ad una prima vista
avrebbero ben poco in comune. Si noti anche che gli autori antologizzati nella
raccolta sopra citata, sotto la sezione L’idea simbolista, sono ventinove, è
chiara l’allusione al trentesimo: Luzi stesso.
9
M. Luzi, Studio su Mallarmé, Firenze: Sansoni, p. 26.
10
Novalis, Astralis, in Luzi, L’idea simbolista, cit., p. 35.
11
Appena sopra il fiume, in FICS, p. 805.
12
Memoria della memoria, in FICS, p. 813.
13
E creando quindi una sorta di nuovo pneuma come egli stesso affermava in
Luzi-Verdino, La porta del cielo, conversazioni sul cristianesimo, Milano:
Fabbri Editori, 1997, p. 87.
14
SM, p. 1122.
15
Si veda Il vangelo secondo Giovanni, cap. X.
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PAOLO RIGO
“La luce è insieme l’evento e il linguaggio. Non possiamo d’altronde non
lasciarci convincere dal sottinteso dantesco, il quale sembra dire che è
impossibile parlare della luce se non luminosamente […] la luce è chiamata
ad esprimere l’inesprimibile”16. La luce non è solamente l’oggetto della poesia
luziana ma ne è anche motivo della stessa poesia, mezzo, come ha ben
individuato Emerico Giachery: “il motivo, ‘assunto’ nell’opera dello scrittore,
in cui diviene operante”17. In che modo la luce opera? Si consideri, ad
esempio, la poesia Bruciata la materia del ricordo18:
Bruciata la materia del ricordo ma non il ricordo.
Il ricordo impera ugualmente. È lui
che oltre la storia e oltre la finita reminiscenza
lungo tutta la lunga mattinata estiva osserva
la piazza prima in ombra inondata dalla trasparenza
tramutarsi in un vaso di fulgore offuscato dall’accecamento
con nient’altro tra ripa e ripa di pietra e marmo che la sua forza.
Lui solo e da sotto le tegole una buba
di colombi che quasi di troppa beatitudine la scolma.
Ricordo senza limiti, ricordo senza corpi né ombre.
La luce, la sua fiamma, il fuoco, evento già passato nella poesia, presente però
ad apertura di verso, nel “bruciata”, compie il movimento di
“transustanziazione della memoria”19. Il ricordo è tramutato, come tramuta
anche la piazza del ricordo, protagonista della poesia. Nel ricordo sembra
irradiarsi una visione di luce spirituale. La luce è in Luzi mezzo di
cambiamento, di metamorfosi. Importante è anche il ruolo della “trasparenza”,
caratteristica anche presente nella luce, ad esempio di Vola alta la parola:
non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
16
M. Luzi, La luce (dal Paradiso di Dante), Forte dei Marmi: Galleria
Pegaso, 1994, p. 31.
17
E. Giachery, “Il motivo della luce nella poesia di Mario Luzi”, in Luzi
cantore della luce, a cura di S. Verdino, Assisi: Cittadella, 2003, p. 93. È
interessante notare seppure forse sia una notazione di poco conto, che nel
Meridiano curato da Verdino, preposto alla sezione Frasi della luce nascente,
viene spiegato il titolo come il raggruppamento delle raccolte in cui il “motivo
centrale si sviluppa intorno alla luce”.
18
BNF, p. 601.
19
P. Renard, Mario Luzi, Frammenti e Totalità, Roma: Bulzoni editore,
1995, p. 51.
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LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…20
Il legame tra parola, luce e la caratteristica “trasparenza” è importante. Proprio
quest’ultima raffigurazione della luce-parola, definita “non disabitata
trasparenza” è in rapporto con il Paradiso dantesco, almeno per quanto
riguarda l’aspetto fisico della luce, delle sue proprietà e della sua capacità di
“attraversare il corpo”. Le intertestualità sono diverse e verranno trattate di
seguito, per ora interessa sottolineare come tra le raccolte e la terza cantica
dell’opera somma, esista un forte rapporto esplicitato dalla natura della luce,
dai suoi gradi, dal suo essere momento poetico, del resto come già notava
Renard a proposito dell’ultima poesia della sezione di Inseguimenti21: “come
il poeta dell’ultimo canto del Paradiso, Luzi si cimenta forse con un
approccio estatico e insieme matematico […] ove l’esistenza non ha più
luogo”. Il rapporto tra parola e fuoco è anche motivo centrale della poesia
C’era¸ sì, c’era - ma come ritrovarlo22 specialmente nei versi iniziali, “quello
spirito nella lingua / quel fuoco della materia”, ma il soggetto che compie
l’azione di ritrovamento dell’aderenza delle parole alle cose è posposto –
come spesso accade in Luzi23 – è “l’immemorabile evangelio”, il termine è
presente nel nono canto del Paradiso ai vv. 133-34, ed anche in questo caso è
presente in una situazione polemica: “Per questo l’Evangelio e i dottor magni
/ son derelitti”24.
Siamo di fronte ad un interesse nuovo anche per lo stesso Luzi: “C’è un
passaggio dal cromatismo alla luce, non solo fonte ma realtà fisica e
metafisica.[…] La luce è un mondo a sé, autonomo, che crea altro”25. Venga
posta l’attenzione su queste trame dantesche e si noti come in alcune poesie –
tratte da Per il battesimo dei nostri frammenti26 – la luce venga raffigurata in
modi e situazioni del tutto simili, cercheremo di capirne i movimenti
intertestuali e la presenza di tali figure nelle opere successive e in Dante negli
altri poeti senz’altro conosciuti da Luzi.
20
Vola alta la parola, in BNF, p. 591.
Sei tanto lontano, in BNF, p. 696, e in sé nasconde già un nuovo rapporto
con la luce e la ricerca divina.
22
BNF, p. 507.
23
Per un’analisi sull’uso della prolessi, come modulo costante in tutta la
raccolta, si veda Renard, Mario Luzi, Frammenti e Totalità, cit., pp. 108-11.
24
Aldilà della possibile somiglianza del contesto, l’influenza lessicale è
evidente.
25
M. Luzi, La luce, cit., p. 24.
26
Ricordiamo che la raccolta è stata edita nel 1985 ed è la prima componente
di Frasi della luce nascente.
441
21
PAOLO RIGO
1.2 L’ossimoro ombra-luce
Il primo legame che interessa analizzare è la presenza del binomio luceoscurità in Per il Battesimo dei nostri frammenti, la sua evoluzione nelle altre
due opere analizzate, Frasi ed incisi di un canto salutare, e Viaggio terrestre e
celeste di Simone Martini, il rapporto con la Divina Commedia – del resto
Dante è il poeta più presente nell’intertestualità luziana – e il rapporto di
questo paradossale stato con la “tradizione” letta e recepita da Luzi. Prima di
tutto è interessante specificare che il rapporto luce-oscurità è chiaramente
un’espressione ossimorica. Tra le varie figure retoriche, proprio l’ossimoro è
una delle più presenti nella poesia simbolista dato il suo “valore di diversità
totale”27, e l’interesse espresso dallo stesso Luzi per la luce si basa proprio sul
valore ossimorico del rapporto tra essa e la tenebra:
La luce ha il suo risalto proprio perché c’è la tenebra. Giovanni28 dice che
l’uomo ha preferito la tenebra, ma bisogna vedere se anche la tenebra a sua
volta non abbia una luce. C’è una luce nera, perché tutto nel nostro
linguaggio è metaforicamente diviso tra luce e tenebra. Forse anche nella
tenebra c’è l’opera di Dio29.
Dal passo citato si intuisce subito il valore religioso del rapporto luce-ombra
(o tenebra, o oscurità), ed il suo significato metaforico e non. Il rapporto in
questione, l’ossimoro, è presente principalmente in tre poesie di Per il
Battesimo dei nostri frammenti, e sono tre momenti piuttosto significativi. Il
primo componimento che andiamo ad esaminare è Ed eccolo, ancora
riconoscibile30 e prestiamo particolare attenzione ai versi:
“Resta, resta sul posto
fin quando non l’avrai scorta la luce
di quella oscurità” la mai
27
J. Cohen, Struttura e linguaggio poetico, Bologna: il Mulino, 1974, p. 24.
Il libro di Cohen nella sua analisi sulla struttura della poesia pura riflette
anche molto sul rapporto tra le pause metriche e gli spazi bianchi; le
riflessioni, sebbene fatte solamente sulla poesia francese, ed in particolare sul
fenomeno simbolista, possono anche essere recepite sul tessuto poetico di M.
Luzi.
28
Prima lettera di Giovanni, I, 6-7: “Se diciamo che siamo in comunione con
lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità.
Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli
uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato”.
29
Luzi-Verdino, La porta del cielo, cit., p. 34.
30
BNF, p. 581.
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LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
spenta agonia tutta si riaccende.
Il tema della poesia è la parusia di Cristo, come viene specificato da Verdino
nelle note del Meridiano da lui curato31; l’idea della luce nascosta tra le
tenebre, o che svela nelle tenebre – tra l’altro presenti in se stesso – legata ad
un tema così delicato come il secondo avvento messianico è riscontrabile nella
Prima lettera ai Corinzi di San Paolo e più precisamente: “Egli metterà in
luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori”32. Del resto
anche in Giovanni, I 5 è presente un verso simile: “la luce splende nelle
tenebre”. Il valore della luce tenebrosa è riscontrabile anche in Dionigi
Aeropagita33. Poeticamente è interessante l’osservazione di Renard fatta a
proposito di questo passo: “Bisogna ritrovare le idee oscure, fuggire le
semplificazioni tecnologiche, reinventare l’ossimoro costitutivo della nostra
limitatezza, saper ritrovare “la luce / di quella oscurità”. Lo stesso rapporto,
anche se in maniera più compressa, e con significato inverso, è presente in
Dante nel XV canto del Purgatorio, al verso 36: “Da vera luce tenebre
dispicchi”. L’accostamento tra luce ed ombra avviene anche in Saba “fra luci
ed ombre, in pace”34, però è una raffigurazione della vita tra momenti positivi,
le luci, e quelli negativi, le ombre. In Luzi l’accostamento è necessario, a
differenza della sola valenza estetica. Nel poeta toscano la situazione espressa
ossimoricamente, comporta la necessità di un passaggio dalle tenebre fino alla
luce, cioè di una conoscenza di entrambi. In questo messaggio, sebbene
logicamente espresso in pochi passi, è chiara l’analogia con il percorso
dantesco, dalla conoscenza del mondo infernale a quella paradisiaca,
insomma, per Luzi, per arrivare alla luce c’è bisogno dell’ombra, della
condizione tenebrosa, della sofferenza, proprio come accade nel Libro di
Giobbe, dove il protagonista arriva addirittura ad invocare le tenebre in un
forte contrasto con la luce e si veda ad esempio: “La luce si oscura nella sua
tenda, e la lampada che gli sta sopra si spegne” oppure “trae alla luce ciò ch’è
avvolto in ombra di morte”35. Soprattutto nella seconda ripresa, la luce viene
tratta dall’ombra, cioè la medesima condizione espressa da Luzi, che non a
31
S. Verdino, “Note all’opera poetica di Mario Luzi”, in M. Luzi, L’opera
poetica, a cura di S. Verdino, Milano: Mondadori, 1999, p. 1648.
32
Paolo, Prima lettera ai corinzi, IV, 5.
33
Si ricordi la conoscenza di Dio nella Prima lettera a Gaio, dove viene
riportata l’immagine della tenebra luminosa. Il testo è ripreso da Dionigi
Aereopagita, Tutte le opere, a cura di G. Bellini, traduzione a cura di P.
Scazzoso, Milano: Rusconi, 1981.
34
U. Saba, L’incisore, v. 15, in P. V. Mengaldo, Antologia dei poeti italiani
del Novecento (1978), Milano: Mondadori, 2008, p. 212.
35
Giobbe, 18, 6 e Giobbe, 12, 22.
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PAOLO RIGO
caso parlava del Libro di Giobbe come una prefigurazione del cristianesimo, e
il Dio rappresentato nel libro come “un Dio che condivida la sofferenza delle
sue creature, un Dio che prefiguri il Cristo”36. Il passaggio nell’ombra, la
necessità delle tenebre è presente anche nell’opera di Rilke, si veda la prima
quartina del IX dei Sonetti a Orfeo:
Solo chi già in alto levò la lira
anche tra ombre
presago può rendere
lode infinita37
La conoscenza, la vita infinita, lo stesso canto o poesia, vengono attraversati
dalla necessità della sofferenza, dell’oscurità. La luce come simbolo di
conoscenza è presente addirittura in Pasolini, sebbene con esiti e motivazioni
opposti a quelli luziani:
Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?38
Il rapporto tra luce e storia nella poesia, legate entrambe nell’ombra continua
in Prima o dopo l’esperienza39: “Niente, non ha ombra, / né luce negli occhi /
di lei quella differenza”, Luzi riflette sull’età a lui contemporanea, investita
dalla violenza – si ricordi che siamo nei primi anni ottanta, gli anni di piombo
– e tutto sembra vuoto, senza neanche la conoscenza dell’ombra. Il primo
passaggio con cui la luce diviene, quindi, motivo di conoscenza totale,
cristico, proprio come avviene nei celebri versi di Ungaretti, “Mi illumino /
d’immenso”, comportando l’arrivo ad illuminarsi, consistente nella necessità
dell’ombra, delle tenebre, nel loro attraversamento. Il rapporto ombra-luce è
presente anche nella poesia tedesca, ad esempio in Novalis, “E oscura il lume
più chiaro del sole”40, del resto lo stesso autore tedesco aveva scritto sulla
condizione della poesia e del poeta: “ogni rappresentazione è nei contrari, e la
36
M. Luzi, “Leggendo il libro di Giobbe”, in Luzi-Verdino, La porta del
cielo, cit., p. 137.
37
E si veda anche come la compresenza di entrambi gli elementi sia quasi
naturale in M. R. Rilke, Sonetto XXII, v. 12: “Tutto è quiete: / buio e chiarore
/ fiore e libro”, in M. R. Rilke, Sonetti a Orfeo, a cura di M. A. Mancini,
Roma: Newton, 1997, p. 68. C’è la necessità della compresenza totale degli
elementi contrastanti.
38
P. Pasolini, Tutte le poesie, Milano: Garzanti, 1998, p. 334.
39
BNF, p. 545.
40
Novalis, Astralis, in M. Luzi, L’idea simbolista, cit., p. 39.
444
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
sua libertà nei collegamenti lo rende illimitato”41. La condizione di
compresenza, è riscontrabile in per il Per il battesimo dei nostri frammenti
ancora in due testi, l’uno Lingua:
Luce da quel solare scintillamento?
O brividi d’oscurità?
L’una e gli altri, certo,
ancora non comprendevo…
Il rapporto tra gli elementi, la necessità cristiana dell’ombra come primo passo
verso la salvezza ancora non erano spiegati in Luzi. Questa endiadi, a cui è da
aggiungere il rapporto con il mezzo espressivo del poeta, in questo caso
denominato “lingua”, è presente anche in Rilke al Sonetto XXII, dove invece
della lingua per poesia troviamo la parte fisica del componimento: il “libro”42,
del testo di Rilke si noti anche il v. 11 “all’eccesso di luce abbagliante della
notte”.
La poetica della conoscenza della luce e il rapporto istaurato con l’oscurità,
è presente anche nel libro successivo e cioè Frasi e incisi di un canto salutare,
il primo incontro con la raffigurazione ossimorica è in E ora dove avrebbero
(I pastori)43, dove avviene il timore luziano: il rifiuto dell’esperienza mistica.
Il pretesto è la rivelazione del primo avvento, ed i protagonisti della poesia, i
pastori vengono così raffigurati:
quella profetizzata
e temuta natività
che essi vedevano ed adoravano
perduti
nella raggiante oscurità.
“Raggiante oscurità” è un ossimoro potentissimo, che esprime appieno la
condizione dei pastori luziani, e ricorda la richiesta di rifiuto espressa in
alcune tra le ultime poesie di Caproni, il “Lasciateci qua. Contenti”, v. 12, di
La piccola cordigliera, o: i transfughi44. La necessità del paradosso diviene
condizione della rappresentazione, di chi vuole spingersi a rappresentare il
disegno divino, lo stesso Luzi aveva espresso il parere di seguito riportato:
41
Novalis, Frammento numero 1221, in M. Luzi, L’idea simbolista, cit., p.
36.
42
R. M. Rilke, Sonetto XXII, v. 12: “Tutto è quiete: / buio e chiarore / fiore e
libro”, in M. R. Rilke, Sonetti a Orfeo, cit., p. 68.
43
FICS, 726.
44
G. Caproni, in Tutte le poesie, Milano: Garzanti, 2002, p. 595.
445
PAOLO RIGO
È il momento in cui il limite viene alle prese più direttamente con
l’illimitato; in cui vuole arrivare all’espressione ultima, lì è
contraddittorio. C’è perciò questa paradossalità. […] Questa “raggiante
oscurità” è l’ossimoro, guarda quel quadro lì di Venturino, sulla parete di
fronte: è la notte, il nero che è più luminoso di tutto. E ossimoro solo se la
riduciamo al nostro codice logico45.
Il paradosso legato all’oscurità è presente anche in un altro autore molto
legato al cristianesimo, e cioè Clemente Rebora. Rebora fin dal suo esordio
poetico nel 1913, con Frammenti lirici¸ ha espresso nelle sue poesie i suoi
tormenti interiori, sempre attirato dalla risposta cristiana, i suoi ultimi
componimenti, dopo anni di silenzio, sono tutti indirizzati alla religione, di
cui, ormai al tempo della scrittura, è divenuto membro attivo46. La sua attesa
nell’avvento è emblematicamente descritta nella poesia Dall’immagine tesa47
nell’ossimoro “nell’ombra accesa”, dove vige il contrasto tra l’animo del
poeta, la sua condizione di non ancora raggiunto dalla Grazia – e quindi in
ombra – e la sua attesa già indirizzata verso il desiderio di accoglierla. Siamo
davanti alla stessa condizione raffigurata da Luzi, tant’è che in entrambi è
presente la preposizione articolata che indica un’immersione nella condizione
rappresentata, il verso è composto da un sostantivo che indica lo stato
negativo, “ombra” per Rebora e “oscurità” per Luzi, divenuto ossimoro grazie
all’accostamento ardito di un aggettivo che esprime la possibilità di
un’illuminazione, “accesa” e “raggiante”, quest’ultimo è interessantissimo in
quanto nel suo stesso significato comprende l’idea della luminosità ed è
utilizzato anche da Dante “Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo”48. Questa
attesa nell’oscurità è spesso proposta in Frasi ed incisi di un canto salutare,
siamo nel 1990 e l’esplosione della luce è ancora attesa, si veda come
emblema della ricerca della luce all’interno dell’oscurità la poesia Cerchiamo
a volte di esserlo:
Cerchiamo a volte di esserlo
Fedeli alla consegna,
pari all’ammonimento, svegli
45
M. Luzi-Verdino, A bellariva, in Tutte le poesie, Milano: Garzanti, 2002,
p. 1081.
46
Nel 1936 è ordinato sacerdote.
47
Dall’immagine tesa, in C. Rebora, Tutte le poesie, Milano: Garzanti, 2001,
p. 161.
48
Paradiso, XXV, v. 49. Per quanto riguarda il significato di “raggiante”,
rimando alla voce del F. Sabatini-V. Coletti, Dizionario della lingua italiana,
Bologna: Rizzoli, 2008.
446
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
cioè, attenti ai molti inganni,
molto vigilanti.
I segnali sono lucenti e oscuri.
Sono nitide a leggersi le carte.
S’avvede o non s’avvede
l’epoca
di quel venire in luce
della sua occulta parte? s’interroga qualcuno
più acuto o più solerte:
e intanto
siamo continuamente altri,
continuamente tramutiamo noi,
i testimoni, noi gli attanti49.
È ancora una volta il carattere doppio, ossimorico, ma con valenza di una
compresenza totale, della luce e dell’oscurità, come ben si vede dal
riferimento ai segnali del sesto verso. Luzi, inoltre, ripropone ancora una volta
la polemica con la sua epoca e la “occulta parte”, ma è di nuovo la luce a
compiere un movimento di tramutamento, come avveniva del resto anche
nella raccolta precedente. Questa tensione di compresenza della luce e
dell’ombra, è presente anche in Ecco, si divide50, dove la riflessione del poeta
indica nella descrizione dell’arrivo dell’alba – pretesto per una riflessione sul
proprio destino – il simbolo della compresenza degli elementi opposti,
leggendo i versi: “verso la buia foce – o buia / invece è la sua anima, / e lo
sfocio / è un vivaio luminoso?” Ancora più interessante, perché viene legato
ad una tematica tipicamente religiosa, e in cui è dichiarato addirittura il
riturale, è il rapporto presente nella poesia Pasqua Orciana51, e precisamente
nei versi centrali:
Il fuoco e l’acqua aspettano
nel buio il loro battesimo.
Poi dissera la luce
la sua nera palpebra
I versi descrivono l’avvento della luce battesimale, della nuova conferma delle
promesse in occasione della pasqua, si noti soprattutto come il “fuoco”, legato
49
FICS, p. 755.
FICS, p. 763.
51
FICS, p. 939.
50
447
PAOLO RIGO
all’“acqua”52, abbia un cambiamento di stato tramite la luce. Interessante è
anche il rapporto con la “palpebra” – vedremo in seguito che la trasmissione
della luce avviene proprio tramite gli occhi53 – legata al rarissimo verbo
disserrare. La forza dell’azione è proprio nel verbo, il quale nient’altro
significa che aprire, ma nella sua etimologia è sottolineata la difficoltà di
aprire qualcosa che è chiuso, il verbo cioè esprime la distanza tra la palpebra
nera e la luce, che di solito è chiara. Un tema simile veniva anche espresso da
Rebora nel XII componimento dei suoi Frammenti lirici:
Sopra è l’oscura palpebra
Della notte, che appena laggiù schiusa
Un’ardente pupilla ha lasciato54
Confrontando le due poesie ci si rende chiaramente conto dei debiti di quella
luziana, siamo sempre in una notte, anzi nella palpebra del buio che viene
schiusa. Interessante è il lavoro che è stato fatto da Luzi, si è passati dal
semplice “schiusa” al “disserra” luziano.
Il rapporto tra luce e l’ombra, e lo scarto poetico rappresentato da questa
figura, continua in Frasi e incisi di un canto salutare, seguendo il motivo
della totalità della luce, che sarà poi centrale in Viaggio terrestre e celeste di
Simone Martini, proprio questo rapporto di totalità comprende, come avevamo
già visto dalle parole di Luzi, il paradosso, espresso anche in Ritirano la loro
ombra le cose55 e precisamente nei primi cinque versi:
Ritirano la loro ombra le cose,
si nascondono nella loro luce
i luoghi. È il tuo pieno mezzogiorno.
Non distrarti. Non perderne il fulgore
né quel numinoso ottenebramento.
Proprio l’“ottenebramento” essendo anche “numinoso” rincara la dose del
rapporto ossimorico di totalità nel “pieno mezzogiorno”, cioè il momento più
solare della giornata, nel quale “infatti la fusione di cosa, parola e luce è ciò
che assicura la perfetta integrità della forma, quella totalità che rappresenta
52
I due elementi del battesimo secondo la tradizione cristiana, come più volte
ricordato.
53
Sineddoche, che ha la sua origine nella Divina Commedia e più
precisamente in Paradiso, XXX, 87-89: “e sí come di lei bevve la gronda /
delle palpebre mie”.
54
C. Rebora, Frammento XII, vv. 42-44, in C. Rebora, Tutte le poesie, cit., p.
36.
55
FICS, p. 951.
448
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
anche il vertice della ricerca artistica, dell’incarnazione”56. La compresenza
degli elementi si conclude nella riflessione sull’arte e la creazione della poesia
Si ordina, epifania degli affreschi michelangioleschi, e precisamente ai versi:
“cosa Padre? / generando quelli abissi / di buio e luce”57. Proprio con Viaggio
terrestre e celeste finisce la costatazione della presenza dell’ossimoro luceoscurità:
“In giorni di nubi
e di caligine”
si oscurano
allora
nella semitenebra le fonti,
non ammutoliscono però.
Viene
da loro
come dissepolto un canto
cupo
che lentissimamente si trasmuta
in chiarore celestiale, in squilla,
ultraluminosa guglia.
Ha
una luce l’ombra,
una voce il nembo
nell’incommensurabile concento.
Lo sa, lui, perfettamente,
è cavata dalla roccia
del suo convincimento quella sapienza58.
I primi due versi della poesia sono ripresi dall’Antico Testamento59, ma preme
riscontrare ancora una volta la presenza dei due elementi opposti luce-ombra.
L’ossimoro in questo caso non si trova solamente nel quindicesimo verso
bensì la trasformazione del “canto / cupo” in “chiarore celestiale” ha in sé una
presenza del rapporto totalizzante su cui Luzi si interessa. Perfino il momento
56
L. Manigrasso, “Il crollo del discorso: la liberazione dalla forma nella
Dottrina dell’estremo principiante”, Nuova corrente, n. 54 (2007), p. 64. La
citazione si riferisce proprio alla poesia appena analizzata.
57
FICS, p. 961.
58
SM, p. 1034.
59
GIOELE, 2, 2 “dies tenebra rum et caliginis, dies nubi set turbinis” e
SOFONIA 1, 15 “dies tenebra rum et caliginis, dies nebulae et turbinis”.
449
PAOLO RIGO
della rivelazione, l’incontro con il divino di Sole, lei, si leva60 comporta
un’improvvisa oscurità e compresenza: “La luce non le pare luce / se non
piena di tenebre”. Accade, anche, nella rivelazione di Risveglio inquieto,
Angelica61, dove l’atto, che avviene per “accecamento”, è indistinguibile,
“ultima fornace / di tenebra? di lievitante luce?”. L’ossimoro torna anche nella
poesia Sibilla62, dove la veggente si rivolge direttamente all’essere: “risponda
/ da tutto il suo creato grembo / ombra e luce generante”. In ultimo, a
sottolineare la luce che si genera dall’ombra nell’itinerario poetico di Luzi è
presente anche la poesia “In giorni di nubi”63: “che lentissimamente si
trasmuta / in chiarore celestiale, in squilla / ultraluminosa guglia. / Ha / una
luce l’ombra”.
1.3 La luce, l’altezza, il simbolo dell’aquila
Una delle rappresentazioni della luce che mi ha colpito per il suo tessuto
poetico, sebbene poco presente nell’opera luziana, ed è anzi ritrovabile in due
sole poesie, è la metaforizzazione della luce come volatile:
Smania,
non sta nelle sue piume,
azzarda,
minuscolo impaziente,
un primo
prematuro strido
ed eccola
è versata, fende aria
e silenzio
ancora antelucana
di fuoco e canto, picchia
nitida sul mondo ne ha timore
lui stesso
in quella successiva titubanza timore o gioiosa meraviglia,
può qualcuno forse dirlo?
e dire se lo provoca, lo affretta
oppure è già dentro di lui il nuovo giorno
ed è già quello l’annuncio…?
60
SM, p. 1071.
SM, p. 1127.
62
SM, p. 1133.
63
SM, p. 1034.
61
450
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
E può
averlo cantato
il suo invincibile vangelo
e lo stesso la notte essere fitta?
Può?
grida sorpresa dal risveglio
lei, al colmo della sua pochezza64.
I volatili sono tra gli animali preferiti dai poeti e spesso incarnano simboli e
significati differenti65, ma quale tra i tanti volatili possibili è celato nei versi di
Luzi? A mio avviso il poeta compie una metaforizzazione della luce
nell’aquila. I motivi che mi portano ad individuare nel rapace l’uccello
prescelto, sono diversi e verranno spiegati proprio tramite la tradizione della
figura dell’aquila. Prima di passare all’esame dell’intertestualità e della storia
della tradizione poniamo alcune osservazioni: che movimenti compie
l’uccello di Luzi? La sua è una picchiata “nitida sul mondo”, cioè ad
un’altezza elevata, in più è portatrice non solo di luce, riferimento alla natura
stessa del fenomeno fuori dal gioco metaforico ma anche di “fuoco e canto”,
l’azione della luce-aquila è svolta nelle primissime ore del mattino, si tratta
anzi di un momento ancora immerso nella notte, svelato da “antelucana”66.
Sono presenti inoltre altri elementi, e cioè un “lui”, ed una “lei”. Chi si
nasconde dietro questi due pronomi? Personalmente credo che Luzi abbia
ripreso e assorbito diverse figure derivabili dalle “aquile” dantesche, volatili,
che per la studiosa Francesca Baraldi mostrano un’evoluzione atta alla
costruzione di una “sua immagine dell’aquila, portata a compimento solo alla
fine dell’opera. Nella Commedia i riferimenti all’aquila o aguglia si
infittiscono: dalle due citazioni dell’Inferno si passa alle cinque del
Purgatorio sino alle sei del Paradiso, dove il rapace diventa protagonista di
discorsi che occupano anche un canto intero”67. Presumo che la nostra
immagine riguardi più che altro la trasmissione di luce e carità riscontrabile
anche nel Paradiso. Nel primo canto, la visione verso la luce, è talmente forte
che Dante deve tenere “fissi li occhi al sole oltre nostr’uso”68, ispirato dal
movimento precedente di Beatrice, descritta con le stesse proprietà
64
BNF, p. 628.
Nel caso in cui si voglia approfondire la diffusione degli “animali” in
poesia, e soprattutto il loro ruolo nell’epoca medievale, cfr. F. Zamboni, Il
Bestiario d’Amore e la Risposta al Bestiario, Parma: Pratiche, 1987.
66
Dal latino ante, avanti e lucem, luce, cioè prima del giorno.
67
F. Baraldi, “Il simbolismo dell’aquila nella Commedia dantesca”, “I Castelli
di Yale”, Università di Ferrara, anno 2007-2008, p. 85.
68
Paradiso, I, v. 54.
451
65
PAOLO RIGO
dell’aquila. Lo sforzo dantesco – messo alla prova proprio come avveniva
nella tradizione comune medievale da parte dell’aquila e i suoi piccoli69 – è
descritto da Luzi stesso:
La prima epifania della luce nel Paradiso è solenne, l’accento che la
celebra è ieratico e tende a soggiogare la mente umana con la meraviglia e
lo stupore. La prima apparizione è forte anche per l’appariscenza che vi è
connessa. […] Questo primo incontro è freddo, austero, quasi didascalico,
tale da esaltare la disparità e la differenza di dimensione tra la grandezza
del messaggio e l’angustia di chi lo recepisce attraverso la vista70.
Questo concetto ossimorico espresso nel commento, non è forse presente
anche nella poesia di Luzi? In quel verso: “timore o gioiosa meraviglia”? È
logico supporre che la poetica dantesca abbia creato un forte tessuto
nell’opera di Luzi, sia come figure, che come temi, e la stessa mente,
identificata in quel “lei” anche da Stefano Verdino71, deve sopportare la luce,
al “colmo della sua pochezza”, cioè al massimo della sua capacità, proprio
come accade alla vista di Dante, che fissa la luce “oltre nostr’uso”. Inoltre, è
interessante notare come il momento della visione luziana – come avviene
nella visione dantesca dell’aquila nel IX canto del Purgatorio – si svolge
durante un risveglio mattutino quando la mente, che si nasconde dietro il “lei”
luziano, è “a le sue visïon quasi è divina”72. Un ultimo parallelo tra le “aquile”
dantesca e il volatile luziano, e sembra quasi che venga compiuta una sintesi
delle raffigurazioni dantesche in Luzi, è riscontrabile nel pronome “lui”, il
quale è soggetto di un’azione nei due versi: “può averlo cantato / il suo
indicibile vangelo?” È chiaro il riferimento a San Giovanni Evangelista, sulla
cui opera si apre anche Per il battesimo dei nostri frammenti: “In lei [la
parola] era la vita, / e la vita era la luce degli uomini”, lo stesso evangelista
era descritto nei canti XXV e XXVI del Paradiso come una manifestazione
lucentissima e “aguglia di Cristo”73, e la sua luce è una luce di conoscenza e
verità, contenuta anche nella sua opera. Nella poesia Alta, lei. Alta74, a
69
Isidoro di Siviglia, Etymologiae XII, VII, 10, a cura di A. V. Canale, Vol.
II, Torino: UTET, 2004, p. 80, “unde et pullos suos ungue suspensos radiis
solis obicit, et quos viderit inmobilem tenere aciem, ut dignos genere
conservat; si quos vero inflectere obtutum, quasi degeneres abicit”. La
“titubanza” potrebbe riferirsi ad un’insicurezza del volo e quindi della
trasmissione della luce.
70
M. Luzi, La luce, cit., p. 8.
71
S. Verdino, Apparato critico, cit., p. 1658.
72
Purgatorio, IX, v. 18.
73
Paradiso, XXVI, v. 53.
74
FICS, p. 931.
452
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
rafforzare la convinzione che l’aquila, il volatile luziano della luce, sia
collegabile alla stessa tradizione dantesca possiamo notare i versi centrali:
lei per darci la nascita
ed è qui, è sempre presente,
si afferra
con zampe
e con artigli
di aquila e leone
al luogo, all’ubicamento...
Motivo centrale della poesia è la luce emanata dalla abbazia di Sant’Anna in
Camprena, presso Pienza, e come spiega lo stesso autore “La chiesa fortifica
con il suo manto di luce”75. In questi versi proprio la chiesa è descritta come
un’aquila, ritorna quindi l’identificazione del volatile con la luce, ma non
solo, nei versi il volatile viene affiancato ad un movimento e proprietà di
rinascita proprio come nella tradizione cristiana, ad esempio di Gregorio
Magno76, l’aquila diviene simbolo di rinascita, ma anche in Sant’Agostino era
presente tale idea simbolica77. Inoltre la presenza dei due animali, “aquila” e
“leone”, spesso contrapposti nella tradizione cristiana, data la loro duplice
natura, celeste per il volatile, e terrena per il felino78, ma qui accomunate nella
luce fanno pensare alla raffigurazione della duplice natura di Cristo, umana e
divina, proprio come avviene nella Divina Commedia tramite l’animale mitico
del grifone, simbolo di unione delle due nature e per estensione del Cristo
stesso79. Sebbene nel linguaggio comune non riscontriamo una differenza, nel
patrimonio culturale di Luzi, questa differenza è ben distinguibile e conferisce
alla luce della chiesa la capacità di ricordare il mistero dell’avvento, unendo
entrambe le nature in un solo simbolo, e in due animali che potremmo legare
in modo ossimorico80. Un’ultima presenza dell’aquila in Luzi, sempre legata
75
Luzi-Verdino, La porta del cielo, cit., p. 126.
“Quia ad caelum, de quo venerat, rediit”, in Gregorio Magno, Moralia in
Job, XXVI, XLVII, 94 in Gregorio Magno, Opere di Gregorio Magno, a
cura di P. Siniscalco, Roma: Città Nuova, 1997, p. 583.
77
Agostino, Enarratio in Psalmum 102, V, v. 4, in Agostino, Opere di
Sant’Agostino, a cura di A. Pieretti, Roma: Città Nuova, 2005, p. 596.
78
Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XII, informazione presa da L. Pertile, La
puttana e il gigante, Ravenna: Longo, 1998, p. 252.
79
Purgatorio, XXXII.
80
La doppia natura di terrestre e celeste, oltre ad essere presente nel Viaggio
terrestre e celeste di Simone Martini è stato notato a proposito della
raffigurazione proprio della terra orciana e tramite la luce da C. Cosentino, “Il
453
76
PAOLO RIGO
al motivo della luce è in Rifulse, si screziò il diaspro81 ai versi “E in alto / le
aquila vanno più venti / e più rapidi / che in ogni altro mattino. / Inferno o
paradiso? / Pareva / o era tutta quella luce / una tormentosa insufficienza/ di
cosa - di luce, di verità?”
1.4 L’occhio e la veste di luce
Una delle immagini più interessanti nella poesia di Luzi rispetto al ruolo della
luce è data dalla trasmissione della medesima tramite gli occhi. L’occhio non
è solo organo visivo ma più spesso mezzo di trasmissione della luce o
contenitore di essa come si intuisce dalla primissima immagine tratta da
Prima o dopo l’esperienza?82, ma ciò che ci interessa di più è il modo in cui la
luce passa negli occhi di Luzi. È logico che la luce come fenomeno rientri
nella capacità sensoriale degli occhi ma in poesia è interessante notare come
questo rapporto sia stato sviluppato e raccontato. Uno delle immagini più
suggestive è quella del Paradiso dantesco nel XXX canto, dove gli occhi di
Dante, o ancor meglio le palpebre o per traslato le ciglia, si comportano come
se bevessero la luce:
Non è fantin che sí subito rua
col volto verso il latte, se si svegli
molto tardato da l’usanza sua,
come fec’io, per far migliori spegli
ancor de li occhi, chinandomi a l’onda
che si deriva perché vi s’immegli
e sì come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, così mi parve
di sua lunghezza divenuta tonda83.
Le palpebre come sineddoche per occhi è una figura che abbiamo già visto nel
rapporto ossimorico luce-ombra della poesia Pasqua orciana, ma come
ricevente di luce ma non solo, la troviamo nella poesia E ora, dopo un calo di
forze, eccolo84:
poeta e il pittore: brevi riflessioni sul Viaggio terrestre e celeste di Simone
Martini”, Nuova corrente, n. 54, (2007), p. 87 e riporto il passo: “quella terra
orciana che offre, attraverso la sua luce, una poetica sintesi di tempo terrestre
e di sovrumana eternità”.
81
BNF, p. 588.
82
Poesia già citata relativamente al rapporto tra luce ed ombra ed esattamente
nel verso: “Niente, non ha ombra / né luce negli occhi”.
83
Paradiso, XXX, vv. 79-90.
84
BNF, p. 633.
454
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
la resurrezione è quel fuoco d’acqua e di smeraldo,
quelle ciglia, quella trasparenza implacabile.
Se la sente puntata in viso quella luceandata a prendere dove? - quel vigore
portato su da quale profondità di plancton?
[…]
E quel soffio marino che l’accompagna
Sebbene la poesia non esprima concettualmente l’idea del fiume di luce
presente in Dante, possiamo però notare come il rapporto con l’acqua sia
comunque presente sia nell’ossimoro “fuoco d’acqua”, che nella “profondità
di plancton” e nel “soffio marino”. L’idea della sete di luce invece viene
presentata da Luzi nella poesia La rondine ultima rimasta85, dove la
protagonista della poesia, la rondine, è alla ricerca di una “luminosa caccia”, è
in preda ad un desiderio di luce, e nei primi due versi viene definita: “in alto
assetata di chiarore”86. Un rapporto tra la luce e l’occhio è presente anche in
due autori conosciuti da Luzi e proposti nell’idea simbolista più precisamente
in Coleridge e Becquer. In Coleridge è presente un rapporto di rivelazione
tramite “le palpebre socchiuse”, v. 56, Gelo a mezzanotte87 mentre dal
componimento LXXI delle Rime di Becquer notiamo i vv. 9-10, “Della luce
che l’occhio reca all’anima / le palpebre velavano il riflesso”88. Un bellissimo
legame tra la luce e gli occhi è rintracciabile nella poesia Atelier di Ardengo
Soffici: “I miei occhi magnetici attiran le luci”89, dove il legame tra l’organo e
le luci è fortissimo, creando una necessità, una proprietà – si ricordi come il
magnetismo è un fenomeno spontaneo – che ha in sé una forza pari a quella
della sete di Dante.
Il movimento della luce in rapporto agli occhi è così forte in Luzi da
compiere anche una trasformazione, ad esempio nella poesia Non tardò90 il
movimento della luce di una “stella cometa” diviene addirittura la “luce ferma
/ dei suoi occhi d’adesso..”, trasformazione della luce – ebbene dell’alba –
nella luce degli occhi è presente anche in In the morning you always come
85
FICS, p. 869.
Credo sia intuibile il valore sinestetico della visione della luce, “chiarore”,
legata all’“assetata”, cioè alla sete, al bere.
87
In M. Luzi, L’idea simbolista, cit., p. 58.
88
In M. Luzi, L’idea simbolista, cit., p. 87.
89
A. Soffici, Atelier, v. 15, in P. V. Mengaldo, Poeti del Novecento, cit., p.
343.
90
FICS, p. 773.
455
86
PAOLO RIGO
back91 di Cesare Pavese: “Luce grigia i tuoi occhi / dolci gocce dell’alba”, v.
4. Le palpebre come sineddoche di occhi – e ancor meglio come luogo
preferito della stessa luce – sono presenti in un’ultima poesia di Viaggio
terrestre e celeste di Simone Martini:
La luce, la cercava
lui da tempo
essendone già invaso
in tutti i suoi pensieri
e sensi
fin sotto le palpebre - e nel viso,
raggiava nella mattina piena
dove lui era, di transito...92
L’ultima immagine che mi appresto ad analizzare è la “veste” di luce. Ad
inizio del capitolo avevamo avvertito che la presenza dantesca sarebbe stata
molto pressante per quanto riguarda la raffigurazione della luce in Luzi, in
questo caso particolare svolge un ruolo egemone, e viene svolto sia come
nuova pelle, veste, o coltre luminosa chiesta o raffigurata da Luzi, sia nel suo
ruolo di trasparenza luminosa, descrizione della luce che compie un
movimento. Anzi, potremmo pensare ad un doppio movimento della luce: alla
luce come invasione e alla luce come diffusione. Possiamo riflette anche sul
ruolo della luce del Paradiso della Divina Commedia. La luce dantesca è
“chiara , lucente sustanza”93, “fiumana di faville”94, “etterna”95, è metafisica
pura e trascendenza assoluta, tutti questi fenomeni, così come la trasparenza e
l’ubiquità della luce sono riproposti da Luzi, egli “si immedesima pienamente
nel mondo interiore del pellegrino ultramondano, ne rivive l’excessus mentis,
un abbandono mistico mai svincolato dalla costante mediazione dell’intelletto
che permette a Dante di comunicare, sia pure per difetto, la sua progressiva
ammissione al Vero che si compie nel Paradiso”96. La primissima poesia in
cui Luzi scorge (nel “suo viaggio”) la corporeità della luce è Da dove era quel
ritorno?97, il tema testuale è la valle d’Orcia. La valle è così rappresentata:
tosata allora allora del suo vello
91
C. Pavese, Poesie edite e inedite, Torino: Einaudi, 1990, p. 125.
SM, p. 1006.
93
Paradiso, XXIII, v. 32.
94
Paradiso, XXXI, v. 13.
95
Paradiso, XXXIII, v. 124.
96
M. S. Titone, Cantiche del Novecento, Dante nell’opera di Luzi e
Pasolini, Firenze: Leo S. Olschki, 2001, p. 63.
97
BNF, p. 613.
92
456
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
e accesa più che mai
di tutta,
tutta la solarità
di esso - così la ritrovai
Possiamo notare subito come fuor di metafora la poesia non rappresenti altro
che la valle brulla, probabilmente spogliata dell’erba. Allo stesso tempo però,
il vello in una sorta di descrizione circolare compie la copertura della
medesima terra tramite la luce, la “solarità”, ed anche tramite l’“accesa”. Il
manto d’erba è stato metaforicamente sostituito con un manto di luce. In
questo caso si compie una metafora che rimanda in un primo momento
all’erba come lana, da cui il vello e la tosatura e poi continuando si giunge
fino alla luce. La metafora continua sulla base del vello e della lana, legata
alla luce, ha un suo background nei tre versi conclusivi di L’isola98 di
Giuseppe Ungaretti:
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato da fioca febbre.
In Per il battesimo dei nostri frammenti, la necessità di una descrizione di un
manto di luce, la corporeità della luce sono, ancora, solamente intuiti da Luzi,
tant’è che sono presenti altre due figure con riferimenti ad oggetti materiali,
cioè la luce non raffigura un effetto a sé, bensì un fenomeno già esistente e
riferibile ad una realtà umana, ma metaforizzata tramite la luce. Ad esempio la
“luminosa carne / di quel nume”, sebbene sia una metafora che goda di una
forza straordinaria, sia per l’accostamento di “nume” con “carne”, in parte
ossimoro99, sia per l’accostamento di un sostantivo basso, non poetico, o
difficilmente amato nella poesia contemporanea, cioè sempre la “carne”,
all’elemento aggettivale “luminosa”, esprime in realtà semplicemente un
monte illuminato100. Lo stesso significato è espresso anche in Trota in
98
G. Ungaretti, L’isola, v. 22, in P. V. Mengaldo, Antologia dei poeti italiani
del Novecento, cit., p. 402.
99
In parte se consideriamo la questione da un punto di vista linguistico, però
se spostiamo il punto di vista su una realtà cristiana, come ci era stato chiesto
da Luzi in Porta del Cielo, potremmo notare che l’accostamento nume-carne
cela la realtà dell’avvento di Cristo, per Luzi fenomeno reale.
100
Sebbene si potrebbe anche pensare ad un valore simbolico della montagna
come luogo di luce gloriosa e quindi alla tradizione scritturale
dell’equipollenza sancti-iusti-montes in Daniele 2, 35 o nella filosofia
cristiana fin da Agostino, io credo che il significato dell’espressione sia
457
PAOLO RIGO
acqua101 dove la “cristallina pelle” è dovuta alla descrizione della luce che si
riflette sul corpo del pesce. Senz’altro sono interessanti invece i movimenti
compiuti dalla luce in Colme le valli. Colme102 e in Lucania103. Esaminiamo i
testi con ordine. Nel primo componimento la protagonista è la luce, che “si
ricongiunge con me, / mi traversa l’opacità, / mi oltrepassa la trasparenza. O
femme”. In questo caso siamo davanti alla raffigurazione dell’anima della
madre di Luzi come se fosse luce. È la primissima raffigurazione immateriale
che incontriamo, assistiamo alla raffigurazione di un fenomeno non naturale,
non spiegabile scientificamente, se volessimo tentare di parafrase gli ultimi
versi qui riportati non potremmo farlo senza creare uno scarto nella lingua
d’uso comune, cioè è dovuto all’epifania che vige nella poesia: l’avvicinarsi
di un’anima al poeta. L’incontro tra Luzi e la madre è descritto sull’utilizzo di
tre verbi “si ricongiunge”, “mi traversa”, “mi oltrepassa” e sul significato
degli stati di “opacità” e “trasparenza”. L’azione si svolge tramite l’uso del
climax – tra l’altro si noti la forma riflessiva che va a sottolineare come il
movimento venga subito dal poeta – che sottolinea la fugacità dell’attimo. Il
momento epifanico vissuto da Luzi è inesprimibile e genera la creazione di
metafore. A mio avviso il doppio valore di “opacità” e “trasparenza”, oltre ai
movimenti compiuti dall’anima della madre, sembrano ricordare i movimenti
della luce beati nel Paradiso dantesco104.
Nel testo sono presenti poi alcuni dantismi come “superinfusa”105 o “morta
gora”106, ma ciò che ci preme sottolineare è il movimento che compie la luce,
che proprio come l’occorrenza “superinfusa” si può riscontrare nel canto XV.
Non credo sia un caso che Luzi incontri la propria madre e Dante incontra la
luce di un avo, definita: “ombra d’Anchise”. Mentre i tre versi “sole
improvviso / quel sole, mi colpì duro col taglio / della sua obliquità” di In
un’epifania della natura, per cui è il monte l’oggetto metaforizzato, non il
metaforizzante. Per la notizia sull’equipollenza sancti-iusti-montes vedi nota
numero 143 in M. Ariani, “Abyssus luminis: Dante e la veste di luce”, Rivista
di letteratura italiana, XI, 1993, p. 48.
101
BNF, p. 648.
102
BNF, p. 673.
103
BNF, p. 675.
104
Come nota anche M. S. Titone, Cantiche del Novecento, cit., p.170, a
proposito del movimento della luce in Il pensiero fluttuante della felicità, una
poesia di Luzi appartenente a Su fondamenti invisibili: “Il divino che si
manifesta è chiarità di fiamma, fulgore che penetra nelle creature e le feconda
di allegrezza. […] Proprio come avviene in Paradiso XXI, vv. 83-90”.
105
Paradiso, XV, v. 28.
106
Inferno, VIII, v. 31.
458
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
Lucania descrivono una tangibilità della luce, in metafora si intende, che in
parte rimanda alle caratteristiche fisiche della luce nella Divina Commedia107.
La sicurezza nell’itinerario poetico luziano, e la sempre più forte scoperta
dantesca, concedono al poeta una nuova spinta verso la descrizione del
rapporto luce-carne. In Frasi e incisi di un canto salutare il primo luogo è in
Eppure108 la poesia descrive la pentecoste cristiana, ma sono interessatissimi i
versi: “il verbo fatto carne / nella loro carne splende”. Luzi cerca di
interpretare non solo la descrizione della pentecoste fornita dagli Atti degli
Aposoli, II, bensì crea una compresenza di temi e modi. Per quanto riguarda la
questione della presenza del verbo, cioè del divino, ed il legame con la carne
umana, credo che fosse già stato espresso nel concetto dell’“indossare
Cristo”109 ed aldilà della considerazione sulla veste di luce e la sua
tradizione110, credo che al poeta toscano giocassero una forte influenza anche
autori recenti, oltre all’idea dantesca posta come tessuto basico, ad esempio in
Eliot nel Secondo mercoledì delle ceneri nel verso: “le ossa cantarono,
disperse e rilucenti”. La “carne” è vista da Luzi come un involucro umano,
che avrà una fine, e sarà poi sostituita, si veda ad esempio anche “divampò /
nelle sue carni - / sue? per un attimo / lo furono, / poi altro / le riprese in sé, /
quasi un universo plasma”, la poesia è un’epifania della croce, ed il ruolo di
Cristo diviene in Luzi esempio del percorso a cui deve essere sottoposta
l’umanità. Trovo però piuttosto interessante il valore del verbo “divampò”,
lega la carne alla luce, e per un attimo sembra di assistere all’unione della
carne umana con quella celeste111. Del resto la concezione del corpo come
involucro, riprendendo così la base dantesca, e la grande tradizione
cristiana112, ed è anche riportata nel pensiero di Von Baader, filosofi del
107
Per una conoscenza del fenomeno, cfr. M. Ariani, “Abyssus luminis: Dante
e la veste di luce”, Rivista di letteratura italiana, XI, 1993, pp. 9-71; S.
Finazzi, “La metafora scientifica e la rappresentazione della corporeitas
luminosa”, in La metafora in Dante, a cura di Marco Ariani, Firenze: Leo S.
Olschki, 2009, pp. 171-92; ed infine M. Ariani, “Emanazionismo e sinestesie
della luce fluente”, in La metafora in Dante, cit., pp. 193-219.
108
FICS, p. 735.
109
Paolo, Lettera ai Romani, 13, 14.
110
Cfr. M. Ariani, “Abyssum luminis: Dante e la veste di luce”, Rivista di
letteratura italiana, XI, 1993, pp. 15-28.
111
Modello assoluto ad esempio in Agostino, De civitate dei, X, 29, 2 e in
Tommaso, Summa Theologiae, III, 45, 2.
112
La questione della veste corporea in Dante è presente in Paradiso XXV,
92. La base della costruzione dell’immagine era già presente al tempo del
sommo poeta toscano, in diversi punti della tradizione giudaico-cristiana e
platonica: “il topos è stato assorbito nell’immaginario cristiano per la grande
459
PAOLO RIGO
romanticismo, raccolto da Luzi nell’antologia L’idea simbolista: “la carne
altro non è che anelito e desiderio dello spirito, che la ravvivi, e penetrando in
lei, la riveli e così la innalzi in sé e a sé”113, dove si intuisce l’idea che lo
spirito sia racchiuso nella carne. Invece in Non siate tristi114: “O è,
tormentoso, / il pedaggio tra la scorza / e la luminosa polpa?”, assistiamo alla
raffigurazione dell’involucro tramite l’utilizzo di una metafora vegetale.
Le trame dantesche si infittiscono in Frasi e incisi di un canto salutare
soprattutto in due poesie, la prima che è Come la vedono gli altri115, dove
oggetto della poesia è un’epifania della Madonna, che viene così raffigurata:
rappresa in sé, luminosa
di una quieta
luminosità d’alba,
[…]
È lì, saldo cristallo
nel proprio giacimento,
è lì, dentro la roccia
Presumo che la raffigurazione in questi sei versi sia molto simile alle
rappresentazioni dei beati nel Paradiso dantesco, non solo è presente l’idea
del “dentro” o comunque di una sorta di luce che nasconde come avviene ad
esempio in Paradiso VIII, 52 “la mia letizia mi tien celato”, espressa dal
“rappresa” ma anche la metafora del “cristallo”. Ricordiamo come per
descrivere le varietà di colore, intensità, e profondità della luce dei vari beati
nei propri cieli Dante abbia usato i cristalli, o le pietre preziose116, questo non
è presente in Luzi ma è interessante che anche l’autore a noi più vicino si sia
servito del mondo minerario, come vediamo dagli ultimi tre versi riportati,
forse si tratta di una sorta di influsso non consapevole. La raffigurazione della
Madonna celata di luce, è presente anche nel libro dell’Apocalisse: “una
donna vestita di sole”117. La visione della luce è costruita anche sui termini
danteschi, il “fulgore” e l’“incandescenza”, come per esempio in Non ci fu
mediazione agostiniana che ha ammesso, del platonismo, tutto quanto non
contrastasse con la dottrina rivelata. Tanto più che per un lettore dell’Antico e
del Nuovo Testamento, l’imagery testamentaria era comunque familiare”, in
M. Ariani, “Abyssus luminis: Dante e la veste di luce”, Rivista di letteratura
italiana, XI, 1993, cit., p. 16.
113
M. Luzi, L’idea simbolista, cit., p. 32.
114
FICS, p. 769.
115
FICS, p. 820.
116
Come ad esempio Paradiso XIV, vv. 52-54.
117
L’Apocalisse di Giovanni, 12, 1.
460
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
porta o veranda118 ancora una volta in rapporto con un movimento di
penetrazione: “entrando noi in quel lume / o quello in noi” e “che barriera era
caduta / tra noi e quel fulgore, / si trovò ciascuno, / dentro
quell’incandescenza”, e si vedano le parole di Salomone a Dante “questo
folgor che già ne cerchia”119 o “fulvido di fulgore” di Paradiso XXX, 62.
Il richiamo a Dante come nume tutelare di Frasi della luce nascente, e nel
rapporto istaurato da Luzi rispetto alla luce diviene addirittura esplicito in
Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini nell’invocazione Di quel flusso
di vita120: “quando, / quando, Dante, / la rivestita carne alleluiando?” è chiaro
il riferimento alla carne dantesca di Paradiso XIV, 43-45: “Come la carne
gloriosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta
quanta”. La presenza dell’“osso pulito / dall’aridità dei venti”, stadio
precedente alla richiesta della carne luminosa mette in relazione Luzi con
l’Eliot del Secondo mercoledì delle ceneri, come già citato in precedenza.
Il sostrato tematico di influenza sul fenomeno della “carne luminosa” nella
poesia di Luzi è vigente in altre poesie. La curiosità e la forte imagery
dantesca hanno senz’altro giocato un ruolo di condizionamento nelle metafore
della descrizione del fenomeno, il quale, stando alle poesie di Luzi e ponendo
Simone Martini come alter ego del medesimo121, sembra muoversi come se
fosse un contatto mistico, “la missione era quella di cogliere la ‘visione’,
l’antiveggenza”122. Proprio in tal senso continuano le ultime raffigurazioni:
La copre
esso, la oscura
o improvvisamente la rialluma.
C’è, è nell’aria,
sface
in luce
lei la sua sostanza
118
FICS, p. 911.
Paradiso, XIV, 56.
120
SM, p. 1117.
121
Come ha posto la critica più recente su Viaggio terrestre e celeste di
Simone Martini, “Diventa quindi evidente la dimensione tutta personale di
questo ritorno alle origini che avviene per improvvise illuminazioni”, C.
Cosentino, “Il poeta e il pittore: brevi riflessioni sul Viaggio terrestre e celeste
di Simone Martini”, Nuova corrente, n. 54, (2007), p. 87; ma vedi anche il
saggio A. E. Ruiz, “Sobre el Viaggio”, Revista de Occidente, n. 287, Aprile
2005, p. 121.
122
L. Manigrasso, “Il crollo del discorso: la liberazione dalla forma nella
Dottrina dell’estremo principiante”, Nuova corrente, n. 54 (2007), p. 320.
461
119
PAOLO RIGO
però non la consuma123
La poesia con il suo movimento di oscuramento, ottenebramento conserva in
“lei la sua sostanza” come una luce che non brucia, e si intuisce dal verso
“non la consuma”, richiama la veste dei beati di Dante del Paradiso, ed è
senz’altro interessante il verbo “sface”. Da una parte potrebbe intendersi come
qualcosa che si “sfa”, cioè una distruzione corporale, sarebbe però in
contraddizione con l’azione successiva “però non la consuma”, dall’altra
parte, a mio personalissimo avviso, potrebbe ricordare il “fasciare” dantesco,
“Dentro dai fuochi son gli spirti; / catun si fascia di quel ch’elli è incenso”,
Paradiso, XXVI, vv. 47-8. La pelle che riluce è utilizzata anche in un altro
componimento: la “pelle lucente” di S’accovaccia, s’allunga124 ma in questo
caso come metafora dell’acqua del fiume. Senz’altro importante è invece la
poesia Infrapensieri la notte125:
Il miracolo ritarda,
la sua trasmutazione
in luce, in radiosità
gli sarà data piena?
Se è vero come afferma Verdino che il tema principale della poesia sono i
colori di Simone Martini126, la “trasmutazione”127 viene richiesta sul Martini
stesso, cioè è ancora una volta ricercato il tema del nuovo corpo lucente,
chiaramente in questo caso credo che Luzi faccia riferimento alla luce, e al
relativo corpo, post secondo avvento, questi versi sono comunque una
continuazione della prima domanda rivolta a Dante: “quando, Dante, / la
rivestita carne alleluiando?”
Alla fine di Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini¸ è presente anche
la visione dell’“Essere”, quasi a chiusura delle “visioni” avute durante tutto il
libro e quasi a creare un parallelo, almeno strutturale con la Divina
Commedia, citiamo gli ultimi versi di È, l’essere, è128:
123
Quel viso, quella face, in SM, p. 1019.
SM, p. 1181.
125
SM, p. 1124.
126
S. Verdino, “Note all’opera poetica di Mario Luzi”, cit., p. 1779.
127
Già al tempo di Per il battesimo dei nostri frammenti, si notava che “Luzi
vive un’autentica rivoluzione copernicana all’interno del suo stesso poetare;
egli passa dalla Metamorfosi alla Trasmutazione”, G. Mazzanti, Dalla
metamorfosi alla trasmutazione: destino umano e fede cristiana
nell’ultima poesia di Mario Luzi, Roma: Bulzoni, 1993, p. 32.
128
SM, p. 1182.
124
462
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
Tutto senza ombra flagra.
È essenza, avvento, apparenza,
tutto trasparentissima sostanza.
È forse il paradiso
questo? oppure, luminosa insidia,
un nostro oscuro
ab origine, mai vinto sorriso?
In quest’ultima poesia che chiude il libro di Viaggio terrestre e celeste di
Simone Martini sono raccolte le immagini luziane trattate. È la visione
terrestre di un Paradiso, forse insidioso, colmo di paradossalità, di ossimori e
per questo totalizzante, colmo di luce, “la luce della dizione che illumina
l’oblio proprio incessantemente interrogandolo”129.
1.5 Occorrenze della luce
A. Per il battesimo dei nostri frammenti (1985)
“Torni ancora, torni luminosamente” in Torni ancora, torni luminosamente, 1;
“Tra acqua e terra, luce ed acqua / mischiate e in discordanza” in Nero di
sottosuolo o nero ultraceleste, 11-12;
“S’illumina” in A un tratto, 2;
“Forte sfolgorio” in A un tratto, 3;
“Sangue o luce?” in A un tratto, 6;
“La loro luce ingannevole” in Fonte? – quel febbricitare, 10;
“Disattento sole” in Di là o di qua dalla parola e dal suo silenzio?, 8;
“Cotto da sole e aria” in Lui il guerriero, 6;
“Disorientato dalla luce succhia quella sorgente” in In attesa gli si fa
incontro l’acqua diroccando, 2;
129
M. Cacciari, “Fondamenti invisibili”, in Pensiero e Poesia nell’opera di
Mario Luzi, a cura di M. Schermi, Firenze: Vallecchi, 1996, p. 23.
463
PAOLO RIGO
“Un occhio di luce vi si accende e la infiamma” in Lui il guerriero, lei
l’anima perversa?, 13;
“Mare luminoso” in In ogni nostro simile. Gli chiedo, 20;
“Indicibile accecamento” in Finché nel furore policromo, 17;
“Si sfece in una rissa / di lucciole e faville / il lume” in Non passò vento, non
mutò nulla nell’aria, 5-7;
“Tralucere / improvviso dell’inferno” in Gli uomini e la loro maschera, 1920;
“Acquosa luminescenza” in Prima di primavera, ma poco, 2;
“I loro fiori ne sono umidi e lucenti” in Come pesci in un’acqua luminosa, 3;
“Come luce o come pietra” in Lei che avvampa sotto un’antica cenere, 11;
“E mi perdo nel mare di luce che le è dietro” in Una, la donna, o
innumerabile, 19;
“Luce e canto” in Vero o ingannevole questo, 6;
B. Frasi e incisi di un canto salutare (1990)
“L’infuocato alterco” in Pace?- non terminato, 3;
“Tace/ e si riaccende / tra morte / ed immortalità / la lite / e il suo diverbio..”
in Pace?- non terminato, 46-51;
“Zig-zag d’una cangiante / medesima agonia /tra la luce del mondo / e la sua
nera carne” in Pace?- non terminato, 60-63;
“Potrebbe all’improvviso / il futuro disserrarsi / in luci, sfavillare il tempo” in
Non ha volto, si cela, 21-23
“Ma nuova / conoscenza, forse / ed illuminazione / di un bene avuto e non
ancora inteso” in Non ha volto, si cela, 46-49;
“E avrebbero / più fulmini / e crepe / nella volta / del loro accecamento / e
mille luminosi inciampi / potuto, costoro, illuminarli” in È oscura in loro, 4753;
464
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
“Si ergono alla luce / blocchi ancora ciechi / nella loro mole” in Quell’aperta
voragine, 17-19;
“E ora s’illumina, / ora si profonde” in Senza eco, senza esodo oltre, 23-24;
“-Li convoglia / verso la buia foce - o buia/ invece e la sua anima, / e lo sfocio
/ è un vivaio luminoso / che l’abbacina / e la vince?” in Ecco si divide, 19-25;
“Brucano / erba / e luce / in ozio quei cavalli” in Di chi erano cavalcature?, 912;
“Si perdono nella loro luce, sì” in Si attenuano, si sfanno, 2;
“In una luminosa plaga” in Pioggia, ora, che sente, 10;
“O altro / che lei ha già / da sempre / come luce, come tormento?” in Da dove,
da che punto?, 17-20;
“Le inonda / il passato ed il presente / di luce, d’inanità / È la foce o la
sorgente?” in Equiparata al nulla, 13-16;
“Viva lei, viva / la luce tutt’intorno” in È febbraio nel suo ricordi, 11-12;
“Le viene incontro / la illumina, lo vede” in Eccoli nel loro instancabile
andamento, 24-25;
“Spiga luminosa” in Appena sopra il fiume, 24;
“Luminoso oscillamento” in Mare. Mare sempre presente, 13;
“Una luce di frumento” in Memoria dalla memoria, 21;
“Rigata dalle lacrime / di luce delle sue alte lampade” in Non fu pari
all’attesa, 16-17;
“Terra di luce” in Passata Siena, passato il ponte d’Arbia, 2;
“Brucia nella sua luce / di pieno mezzogiorno / il messaggio / in quel viso di
ritorno” in L’infimo, il quasi, 19-22;
“Com’è della sue luce” in Che tarda?- ancora non si leva-, 11;
465
PAOLO RIGO
“Assetata di chiarore” in La rondine ultima rimasta, 2;
“Conosce pace e luce / desiderio di altra luce” in La rondine ultima rimasta,
20-21;
“Luminosa caccia” in La rondine ultima rimasta, 25;
“Essi alla luce che li plasma” in Giocano nubi e monti, 4;
“Quel flusso d’acqua e luce” in Inferma così, 30;
“Luminosi varchi” in Montagne. Quella montagna, 12;
“Entrare in quel miscuglio / d’aria e luci” in Montagne. Quella montagna, 1819;
Quella luce nella luce;
“Spera / di opacità e di luce” in Il ciuffo d’alberi notturno, 7-8;
“Quando un attimo t’illumina” in Passato il fiume, lasciato il cuore antico,
17;
“In quel diluvio / d’aria e luce, mitili / quasi di quel mare. / mitili dell’essere”
in Tra Erice e i Ciclopi, 23-26;
C. Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994)
“Rilucente” in Nella mente umana?, 20;
“Una sola luce li elimina” in L’uomo - o l’ombra-, 25;
“Ciascuno il filo / luminoso” in Mondo in ansia di nascere…ma stenta, 26-27;
“In quel punto di luce e di fusione / veniva meno il tempo / e ogni frontiera”
in Calava a picco su di lui il verdetto, 7-9;
“Fermo nell’anteluce” in Fermo nell’anteluce, 1;
“Della luce, della accecante identità” in In anno domini, 28;
Guizzò una luce d’angelo;
466
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
“Noi, luce, risalendo” in Genova, meraviglia, 9;
“Ancora quella ambigua / luminescenza” “ in Ancora quella ambigua, 1-2;
“Acclari” in Ancora quella ambigua, 16;
“Domandava elemosina / di luce e di pietà” in Petrarca, 13-14;
“Sostanza luminosa” in Dormitio virginis, 28;
“Quel fuoco / d’acqua e luce” in Notturna la sua anima s’allarma, 4-5;
“C’è luce / invece e sovrannaturale pace” in Al centro d’una ed universa
mente, 7-8;
“Lumen de lumine” in Al centro d’una ed universa mente, 15;
“Quel viso, quella face / nel tempo. / La copre / esso, la oscura / o
improvvisamente la rialluma. / C’è, è nell’aria, / si sface / in luce / lei la sua
sostanza / però non la consuma” in Quel viso, quella face, 1-10;
“Luminosa / caligine” in Ci aspetta, 3-4;
“Stupore d’ultramattina luce” in Stupore d’ultramattina luce, 1;
“S’infrasca il fiume, / si adombra / il luccichio, si abbuia” in S’infrasca il
fiume, 1-3;
“La fulmina la luce / nuova di nuove conoscenze” in Abesse, 15-16;
“E ciò le brucia – d’umiltà” in Abesse, 25;
“Pieno di musica e di luce” in Dove avvallava, ora, il tetro camminamento?,
7;
“Acqua senza luce / ma acqua. Poco dopo la perfonde / il sole all’uscita dallo
speco, / ne scintilla / essa, s’irradia / tramutata in luce, qui nell’aria, /
riverbera, fiammata / i lampi d’estate cittadina” in Acqua, notte di sotto i
ponti, 7-14;
“Lei luce, aria, fuoco, pura / vibrazione del mondo, culmine / di ogni creata
cosa…” in Acqua, notte di sotto i ponti, 20-22;
467
PAOLO RIGO
“Fulgori di raggere, / lampi, fiamme di vigore/” in Paillon-sombre, 15-16;
“La luce che da lei declina” in La luce che da lei declina, 1;
“S’intorbida la luminosa spera” S’intorbida la luminosa spera, 1;
“Iniezione di luce e vita” in Oloferne?, 12;
“Finchè esce la luce / dal suo incanto, cresce / si diffonde / e allora sul suo
esempio / alcuni / altri per discordanza / bruciano l’armonia nascente, /
sfibrano / con febbre ed ingordigia / quell’indicibile sostanza” in Primo
cantore, 10-19;
“Fino alla più luminosa / inesistenza-essenza” in Primo cantore, 26-27;
“Lo attira in quell’abisso / della sua troppa luce, / gli apre, /lui / che pure n’è
accecato / una scoscesa porta / per cui l’uomo è passato / solo prima. / Prima
di esserlo” in Quel vegliardo che quasi quasi danza, 8-16;
“Nell’universo plasma / che ora s’incendiava / sopra, nella luminosa volta” in
Dov’era lui?, 14-16;
“S’immerge / in quella tempra, / abbrivida, / ancora duro intoppo, / le sembra /
al dilagare della luce / finché, ecco / le entra il mondo / nei sensi, nella
conoscenza.” in Le scende per le braccia, 6-14;
“Rilucere dell’erba / fulgore della forsizia / l’allucciolio del fiume” in Non
ancora il radioso degli alberi, 5-7;
“Nessuno era più niente, luce, / luce regina solamente. / Così era, così sia per
sempre” in Ti prego, non ritornino, 27-29;
“D’aria / e luce? / di canto?” in Di che questa penuria, 4-6;
“Tra il fogliame e assume l’aria / la luce, la stagione.” in Guardalo, si dona,
6-7;
“Incandescente spera” In acqua e in aria, 16;
“Luce s’illuminò da luce” in Vibrò, 24;
468
LA LUCE SU DI SÉ:
IL BISOGNO DELLA LUCE NELL’ULTIMO LUZI
“Forte. Forte la luce / e già penetrata in ogni dove / nel più folto del fogliame”
in Forte. Forte la luce, 1-3;
“O un suo irrefrenabile lampeggiamento” in Le prode verdi, il flusso d’acqua
e luce, 8;
“Luminescente vasca” in San Sebastiano, 30;
“Entra, sera di sole, / sera estrema di solstizio / nel costato di Firenze, / ne
infila obliquamente / i tagli, le fenditure, / ne infiamma le ferite, / le croste, le
cicatrici, / ne infervora le croci, / le insanguina copiosamente” in Nel ricordo
o nel presente?, 2-10;
“Squillò, luce” Squillò, luce, 1;
“Sole senza riparo” in Pasceva noi, tutto di noi brucava, 2;
“In che paradiso di salute, / di luce e libertà, / arte, per incantesimo mi scorti?”
in Dove mi porti, mia arte?, 5-7;
“Per il fuoco dell’aurora / che lo avvamperà, lo spera” in Infrapensieri la
notte, 3-4;
“La luce non li inganna, / non li tradisce?” in Infrapensieri la notte, 24-25;
“Il miracolo ritarda, / la sua trasmutazione / in luce, in radiosità / gli sarà data
piena? Avrà / lui grazia sufficiente / a quella spiritualissima alchimia?” in
Infrapensieri la notte, 41-46;
“L’estremo accecamento / di che ultima fornace- / di tenebra? di lievitante
luce?” in Risveglio inquieto, Angelica, 12-14;
“Io l’accendo. Tutti noi attendiamo / l’avvento della luce / che ci unifica e ci
assolve” in Pittura, mi mancavi. Infine, eccolo, 21-23;
“Sbocciano / all’orlo in luce dell’estremo niente” in Stelle alla prima
apparizione, 4-5;
“Nuovi luminosi incanti, / nuove / celestiali incandescenze / di senso e
desiderio” in Nuovi luminosi incanti, 1-4;
“Ne scriveva / lui per luci / ed immagini una parte” in Scritto, sì, ma in quale,
3-5;
469
PAOLO RIGO
“Chiara / di luce azzurra / circea / quella ultima vacanza.” in Chiara, 1-4;
“Luminoso caos” in Dinanzi eccole a un tratto, 10;
“Luce sopra luce, / radioso, più radioso” in Dinanzi eccole a un tratto, 22-23.
__________
470