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BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI
CONTRIBUTI
DAI BALLETTI RUSSI ALLA MITOLOGIA DELLO SPORT.
ECHI DEL FUTURISMO NELL’ARTE DEL NOSTRO TEMPO
GIUSI DIANA
Palermo
I
n un sistema dell’arte contemporanea sempre più geopoliticizzato, dove i
destini economici di un paese spesso si incrociano con l’affermazione dei
suoi artisti in campo internazionale (vedi il caso di Cina e India), il ruolo
dell’arte italiana sembra oramai da troppo tempo relegato inevitabilmente ai
margini. Eppure di recente l’artista italiano Francesco Vezzoli (Brescia 1971)
è stato al centro di una clamorosa performance dal titolo: “Ballets Rousses
Italian Style, The Shortest Musical You Will Never See Again”, che lo ha
visto protagonista insieme ad esponenti di primo piano nel campo della
moda, della musica, dell’arte e dell’architettura internazionale. L’opera è
stata commissionata a Vezzoli dal MOCA il Museo d’Arte Contemporanea di
Los Angeles che il quattordici novembre ha celebrato con un esclusivo Galà
il trentesimo anniversario dalla sua fondazione.
Vezzoli insieme alla stilista Miuccia Prada ha ideato scene e costumi per
una performance che ha visto esibirsi la più trasgressiva icona della musica
pop americana Lady Gaga1 insieme ai ballerini del Bolshoi Ballet. Nei cinque
minuti della brevissima azione mentre Lady Gaga seduta al pianoforte
presentava il suo ultimo singolo dal titolo “Speechless”, circondata dai
danzatori del Bolshoi, lo stesso Vezzoli era presente sulla scena intento a
ricamare a piccolo punto 2. Il più corto musical di tutti i tempi è frutto di
un’opera collettiva: il copricapo indossato dalla cantante di origini italiane è
stato infatti disegnato dall’architetto Frank Gehry, mentre le maschere che
coprivano il volto dalla stessa Lady Gaga e di Francesco Vezzoli sono state
ideate dal premio Oscar Baz Luhrmann, regista di film musicali come “Mulin
Rouge”. E ancora, il pianoforte suonato da Lady Gaga, uno Stainway dipinto
di un vezzoso rosa costellato di iridescenti farfalle blu imbalsamate, porta la
firma dell’artista inglese Damien Hirst.
Bisogna risalire fino al futurista Fortunato Depero (Fondo 1892 - Rovereto
1960) per trovare un altro artista italiano coinvolto nella realizzazione di un
progetto tanto ambizioso che travalica i confini delle varie discipline
artistiche: musica, danza, moda, performance, arte visiva, architettura,
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spettacolo. Depero tra i futuristi fu quello maggiormente interessato a ciò che
oggi si definirebbe lo show-biz, è del 1916 infatti il suo incontro con Sergej
Diaghilev, una vera celebrità del tempo, l’impresario dei Balletti Russi, che
insieme al pittore Michail Larionov andò a trovarlo nel suo studio per
commissionargli la realizzazione delle scene e dei costumi del balletto “Le
Chant du Rossignol” con musiche di Igor Stravinskij. Il progetto di Depero
prevedeva, al posto del solito fondale dipinto, una sorta di giardino fantastico
in cui una flora stilizzata “esplodeva” tridimensionalmente sulla scena,
mentre i ballerini dovevano indossare costumi colorati e voluminosi. La
scenografia ora ricostruita al Mart di Rovereto rimase solo un progetto perchè
Diaghilev la giudicò irrealizzabile, affidandola successivamente ad Henri
Matisse, con grande disappunto dell’artista italiano.
Quell’opera mai realizzata trova una singolare eco nella recente
performance di Vezzoli, dove lo “stile italiano” viene coniugato proprio con
la memoria storica dei mitici Balletti Russi. Un evidente omaggio nell’anno
che celebra insieme i cento anni dalla nascita della più influente compagnia
di balletto del XX secolo, ma anche di un importante movimento
d’avanguardia come è stato il Futurismo.
Vezzoli ha chiamato a raccolta: Damien Hirst, Frank Gehry e Miuccia
Prada sull’esempio delle prestigiose collaborazioni di Diaghilev con i più
importanti artisti del suo tempo: Georges Braque, Henri Matisse, Michail
Larionov, Andrè Derain, Odillon Redon, Giorgio De Chirico, Maurice
Utrillo, ma anche madame Coco Chanel.
Tornando a Depero, al progetto mancato per “Le Chant du Rossignol”
seguirà nel 1918 la sua collaborazione con il poeta svizzero Gilbert Clavel
per la realizzazione dello spettacolo “Balli Plastici” andato in scena al Teatro
dei Piccoli di Roma, un’opera avanguardistica in cui gli attori-ballerini
venivano sostitutiti da marionette che si muovevano su musiche composte da
Béla Bartòk. Nel ’24 l’artista lavora al progetto del balletto meccanico
“Anihccam del 3000” rappresentato al Teatro Trianon di Milano, mentre
l’anno successivo espone per la prima volta negli Stati Uniti dove la sua
carriera di scenografo e costumista teatrale proseguirà disegnando costumi
per il Roxy Theatre di New York e collaborando con Léonide Massine per il
balletto “American Sketches” all’Autitorium di Wenamaker a New York. Di
questo periodo americano sono i disegni di aderenti calzamaglie decorate con
motivi futuristi che lasciano libero il corpo del danzatore.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale nel ’47 Depero cercherà
ancora una volta di tornare in America, dove pubblicherà “So I think So I
paint” la traduzione della sua autobiografia pubblicata in Italia nel ’40, ma
l’accoglienza riservatagli dal pubblico americano sarà apertamente ostile, in
quanto il Futurismo è stato ormai identificato come l’arte ufficiale del
Fascismo.
Ritornando ai nostri giorni, è singolare il fatto che proprio l’opera di un
artista americano tra i più conosciuti a livello internazionale Matthew Barney
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DAI BALLETTI RUSSI ALLA MITOLOGIA DELLO SPORT.
ECHI DEL FUTURISMO NELL’ARTE DEL NOSTRO TEMPO
(San Francisco 1967) dimostri quanto ingiusto sia stato il giudizio degli
americani su Depero e più in generale sugli altri esponenti dell’avanguardia
italiana, e quanto le intuizioni dei futuristi in campo artistico (al contrario di
quelle politiche) fossero incredibilmente profetiche.
Tra i diversi temi sviluppati dalla complessa poetica di Barney, che sarebbe
arduo tentare qui di sintetizzare, quello che più ci interessa è la presenza nei
suoi lavori della “mitologia dello sport” e del “mito della macchina”, che
iconograficamente nascono proprio in seno al Futurismo. È interessante
notare come Barney prima di dedicarsi a tempo pieno alla carriera di artista
sia stato anche modello e sportivo di professione. Il suo lavoro artistico più
noto è un ciclo narrativo in forma di opera-video in cinque episodi, ciascuno
della durata di un lungometraggio, dal titolo “Cremaster”3.
In “Cremaster 1” del 19954 a fare da grandioso sfondo ad un musical
troviamo il Branco Stadium della cittadina di Boise nell’Idaho, dove Barney
è cresciuto, mentre in “Cremaster 4” del 1994, ambientato nell’Isola di Man,
il mito della macchina e dello sport confluiscono in una gara motociclistica:
la “Tourist Trophy Motorcycle Race”, in cui due teams di sidercars
percorrono l’isola correndo specularmente. La presenza della macchina
ritorna in “Cremaster 3” del 2002, l’episodio centrale della saga, è infatti
ambientato nel Chrysler Building di New York in costruzione. Al piano terra
dell’edificio si svolge una scena epica che ha come protagoniste cinque
automobili Chrysler Imperial intente a distruggere un’altra Chrysler che
contiene al suo interno il cadavere del protagonista dell’episodio: Gary
Gilmore. Sempre nello stesso film compare quella che è stata definita la musa
di Cremaster: Aimee Mullins, campionessa americana delle para-olimpiadi
grazie all’uso di protesi agli arti inferiori. La Mullins che ha le gambe
amputate all’altezza del ginocchio, nell’ambito di una complessa scena che
ha riferimenti ai culti di Dioniso, personifica una donna-pantera.
Fin qui la citazione di quegli episodi in cui lo sport nelle sue varie accezioni
(i luoghi, i mezzi e i protagonisti) compare nel complesso repertorio di
immagini di Barney.
Una riflessione: la prestazione dell’atleta, meglio ancora se eccezionale
dato l’handicap, assurge nell’opera dell’artista americano ad una
interpretazione in chiave contemporanea delle imprese eroiche dei grandi
cicli epici. L’atleta, sembra dire Barney, è nella società del nostro tempo
quello che rappresentava l’eroe per il mondo classico.
A noi però interessa isolare un altro frammento; questa celebrazione del
super-corpo della Mullins potenziato attraverso le protesi tecnologiche ha
delle assonanze con quanto i futuristi italiani avevano intuito per primi: la
fusione tra l’uomo e la macchina e la nascita di mitologie (tra cui quella dello
sport) che narrano le eroiche gesta di questa nuova umanità.
“Forme uniche della continuità dello spazio” la celebre scultura del 1913 di
Umberto Boccioni si può considerare pertanto l’archetipo concettuale, prima
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che formale e stilistico, di tutta una serie di operazioni artistiche (come non
ricordare l’artista francese Stelarc e le sue protesi tecnologiche) che dagli
anni ’60 hanno iniziato ad indagare la nascita di questa nuova umanità ibrida
e “post-organica”5, di cui l’eroina Aimee Mullins è solo l’ultimo e più
affascinante esempio.
__________
NOTE
1
Al secolo Stefani Angelina Germanotta, di origini italiane.
Il ricamo a piccolo punto, da leggersi in chiave provocatoria, è uno dei
motivi ricorrenti nelle opere di Vezzoli.
3
Da “cremasterio”, muscolo genitale che presiede alla definizione
dell’identità sessuale dell’individuo.
4
Il ciclo non è stato girato secondo una sequenza temporale logica, il primo
film della serie è infatti Cremaster 4.
5
Si veda a questo proposito: Teresa Macrì, Il corpo postorganico, Genova:
Costa & Nolan, 2006.
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