L`insuccesso del processo di pace nel Sahara

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L`insuccesso del processo di pace nel Sahara
anno secondo | n. 3 | 2013
ISNN 2280-1669 © 2013 editpress
L’insuccesso del processo di pace nel Sahara
Occidentale: protagonisti e responsabilità
di Souadou Lagdaf
1. Premessa
La classificazione della regione del Sahara Occidentale tra i territori non
autonomi da parte delle Nazioni Unite e la lotta ultraquarantennale della
sua popolazione per l’autodeterminazione hanno indotto diversi studiosi e
osservatori a considerarla l’ultima colonia del continente africano.
Il Sahara Occidentale fu colonia spagnola dal 1884 al 1975 quando, a
causa dell’abbandono da parte della Spagna, divenne oggetto di spartizione tra il Marocco e la Mauritania, sancita nell’accordo di Madrid del 14 novembre 1975. Ciò annientò nei saharawi la speranza dell’autodeterminazione benché «la maggior parte degli osservatori, compresi quelli delle Nazioni Unite e della CIA, fossero giunti alla conclusione che la popolazione
del Sahara spagnolo fosse favorevole all’indipendenza. Essendo stato interrotto il principio dell’autodeterminazione, la strategia di Hassan II era
quella di intervenire prima che il voto avesse luogo»1.
L’accordo fu concluso in un momento storico molto difficile per la Spagna
di Franco, contrassegnato da grande confusione politica. Il Generalissimo
era sul letto di morte e il re Hassan II vedeva nella incertezza della situazione politica spagnola l’opportunità di creare un diversivo per l’esercito
del suo paese, diventato una seria minaccia al suo trono. I territori coloniali spagnoli rappresentavano lo scenario ideale per tale progetto. Le idee
nazionaliste nasseriane dominavano ancora lo scenario arabo e il Marocco non faceva eccezione: Hassan II aveva subìto due attentati dai quali era
uscito prodigiosamente indenne. Il primo, verosimilmente mal organizzato, avvenne il 10 luglio 1971, durante i festeggiamenti per il suo quarantaPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
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duesimo compleanno, e lasciò un centinaio di vittime tra i partecipanti. Il
secondo, il 16 agosto dell’anno successivo, fu un attacco contro l’aereo reale durante il rientro del sovrano da una visita all’estero. La fragilità della
monarchia convinse il re Hassan II a trovare una soluzione e l’occupazione
della vicina colonia spagnola era l’imperdibile occasione per la quale aveva
preparato 350.000 persone da far marciare sui territori del Sahara Occidentale2 ancora sotto l’amministrazione spagnola.
La situazione politico-strategica mondiale era cambiata ed erano lontani gli anni del fallito tentativo di avvantaggiarsi della critica situazione
dell’Algeria – appena uscita da un’intensa lotta di liberazione – per allargare i confini del regno marocchino nella regione meridionale algerina. Le
mire di Hassan II sull’Algeria avevano scatenato la memorabile guerre des
sables nell’ottobre 1963. Il progetto espansionistico sulla colonia spagnola
fu perfezionato attraverso consultazioni con la Francia e gli Stati Uniti. Hassan II era consapevole che, questa volta, la Francia lo avrebbe sostenuto per
compensare il mancato appoggio durante la guerre des sables. Per gli Stati Uniti, che vivevano gli anni della guerra fredda, impedire la nascita di un
nuovo paese socialista, che avrebbe rafforzato il fronte opposto, legittimava
qualsiasi gesto estremo. Di conseguenza, per agevolare l’intento del sovrano
nordafricano, Washington e Parigi esercitarono pressioni su Madrid.
La Mauritania di Wald Dadah, l’altra parte contraente nell’accordo di
Madrid, doveva trovare una soluzione per frenare le ambizioni espansionistiche della monarchia nordafricana; rivendicare i territori dell’ex
Sahara Spagnolo era l’unica strategia possibile per distogliere Rabat da
qualsiasi pretesa futura sul paese. Per Nouakchott, che fino a quel momento era preoccupata di difendere i confini ereditati dalle potenze coloniali, diventare parte contraente dell’accordo di Madrid era un rafforzamento della sua posizione politica ed il riconoscimento di un suo diritto
di sovranità che smentisse qualsiasi rivendicazione del regno alawita sulla Mauritania. Non è un caso che il suddetto accordo tripartito, che garantiva alla Spagna i suoi interessi economici nella regione, dividesse in
parti disuguali i 266.000 km2 di territorio nel rispetto della continuità
geografica con i confini dei due contendenti.
2. Verso la decolonizzazione
La Spagna era sollecitata dall’impellenza di una parte dell’opinione internazionale, sensibile al tema della decolonizzazione che si manifestava nelle
diverse risoluzioni dell’ONU a favore della riconquista dell’indipendenza
dei territori africani ancora sotto la dominazione europea3. Sul territorio
subiva gli attacchi militari contro le sue postazioni per mano del nascente esercito del Fronte Popolare di Liberazione de Saguia el Hamra e Rio
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d’Oro (Fronte Polisario), nato all’inizio degli anni settanta del secolo scorso4. Pertanto essa decise, nel 1974, che fosse l’ora di celebrare un referendum per l’autodeterminazione della popolazione autoctona. Dei contenuti
e delle circostanze di questa decisione fu informata l’Assemblea Generale
durante il discorso del ministro degli esteri spagnolo Cortina Mauri all’inizio di ottobre5. Nello stesso anno Madrid avviò un censimento della popolazione, in vista del suddetto referendum, che portò alla rilevazione di
73.497 abitanti aventi diritto6.
La mancata organizzazione del referendum previsto dalla Spagna, in
seguito alla cessione del territorio e alla rioccupazione di questo per parte del Marocco e della Mauritania, orientò il destino della popolazione del
Sahara Occidentale verso una guerra su due fronti. Quella contro la Mauritania durò circa tre anni e si concluse ad Algeri il 5 agosto 1979 con l’accordo di pace tra Nouakchott e il Fronte Polisario7. A seguito del ritiro della
Mauritania dal conflitto e della sua significativa dichiarazione di neutralità, l’ostilità si ridusse a quella tra il Fronte Polisario e il Marocco che si affrettò ad occupare anche i territori meridionali del Sahara Occidentale appena lasciati dalla Mauritania.
Mentre le Nazioni Unite si limitavano, invano, ad invitare il Marocco ad
uscire dei territori occupati del Sahara Occidentale seguendo l’esempio
della Mauritania, l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) sposava in
pieno la questione saharawi considerata da essa l’anello mancante per la
completa liberazione del continente. Già nel 1976, l’OUA chiese il riconoscimento del Fronte Polisario come movimento di liberazione africano8 e
la maggior parte dei suoi membri sostennero la Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) sin dalla sua nascita avvenuta il 27 febbraio 1976.
Nonostante ciò, per assistere ad una discussione condivisa sul referendum d’autodeterminazione, bisognò attendere fino al XVIII summit dei capi
di stato e di governo dell’OUA, tenutosi nel giugno 1981 nella capitale keniota, Nairobi. In quella particolare occasione, a sorpresa di tutti, l’allora re del
Marocco, per dimostrare una sua benevolenza verso gli interessi dell’Organizzazione, accettò lo svolgimento di un referendum per la popolazione dei
territori contesi, decisione accolta subito dall’Organizzazione africana.
Prendendo atto con apprezzamento dell’impegno solenne di Sua Maestà il Re
Hassan II di accettare lo svolgimento di un referendum nel Sahara occidentale, per consentire alla popolazione di quel territorio di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. … decide di istituire un comitato di attuazione con
pieni poteri composto da Guinea, Kenya, Mali, Nigeria, Sierra Leone, Sudan e
Tanzania per garantire, con la cooperazione delle parti interessate, la messa a
punto delle raccomandazioni del comitato ad hoc. … Esorta le parti in conflitto
a osservare un cessate il fuoco immediato e INVITA il comitato di applicazione
ai garantire l’osservanza del cessate il fuoco senza indugio9.
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Era un momento molto difficile per il Marocco caratterizzato dal malcontento sociale che si trasformava in scioperi generali affrontati con dura
repressione da parte del regime. Di conseguenza l’apertura diplomatica di
Rabat, scrive Martine de Froberville, avvenne per evitare il suo isolamento all’interno dell’Organizzazione che avrebbe favorito il consenso dei paesi africani all’ammissione della Repubblica Sahrawi all’OUA10.In effetti,
nell’incontro con la commissione incaricata di porre le basi per lo svolgimento del referendum, Hassan II affermò la sua intenzione di accettare un
cessate il fuoco ma non il negoziato con il Fronte Polisario che «è equivalente per il Marocco … alla resa incondizionata». In alternativa, il re dichiarò di voler trattare sul controllo dei confini con l’Algeria e Mauritania, requisito, secondo lui, necessario per osservare un durevole cessate il fuoco
tra le parti; inoltre, espresse il suo rifiuto, in questa occasione, al ritiro del
suo esercito dai territori saharawi11.
Sebbene fosse evidente che, con l’approvazione del referendum, il re
marocchino non intendeva concedere l’indipendenza al Sahara occidentale, gli sforzi dell’OUA continuarono e al summit di Addis Abeba del giugno
1983 essa ribadì la precedente risoluzione AHG/Res. 103(XVIII), sollecitò
le parti in conflitto ad avviare dei negoziati e chiese «alle Nazioni Unite in
collaborazione con l’OUA di provvedere una Forza di pace da stabilire nei
territori contestati per garantire la pace e la sicurezza durante l’organizzazione e lo svolgimento del referendum»12. L’adozione della risoluzione 104
(XIX) dell’OUA fu facilitata dall’astensione della RASD – che nel frattempo
era stata ammessa in seno all’OUA (agosto 1981) – dai lavori del summit
africano. Nel 1983, durante la XXXVII sessione dell’Assemblea Generale
dell’ONU, in un discorso solenne, il re riconfermò la sua disponibilità a facilitare la missione degli osservatori per realizzare un cessate il fuoco e un
referendum “giusto, equo e leale”, sostenendo davanti all’Assemblea che il
suo paese avrebbe rispettato i risultati della consultazione referendaria. La
guerra sanguinosa in corso, aggravata dalla costruzione dei muri sui territori saharawi intrapresa all’inizio degli anni ottanta, e la ferma posizione
dell’Organizzazione africana di sostenere il movimento di liberazione del
Fronte Polisario allontanarono la possibilità dell’applicazione del piano di
pace africano che svanì definitivamente con l’uscita del Marocco dall’OUA.
Grazie all’impegno dei paesi non allineati e di gran parte di quelli africani,
il piano passò nelle mani delle Nazioni Unite che accolsero il testo della risoluzione OUA 104 (XIX) includendolo nella risoluzione ONU 3840 del dicembre 1983. Fu lo stesso consigliere del monarca, Reda Guedira, a ribadire che suo paese aveva chiesto all’ONU di assumere la questione del Sahara
Occidentale in quanto il Marocco era uscito dall’Organizzazione africana13.
All’inizio degli anni ottanta, in piena guerra con il Fronte Polisario, tornò
l’incubo della minaccia dell’esercito marocchino al trono di Hassan II che
regnava dal 1961, nonostante egli avesse indebolito, durante questi anni, le
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sue forze armate allontanandone la maggior parte verso i territori del Sahara Occidentale e creando una rete di servizi segreti in contrapposizione
tra di loro. Il probabile assassinio del generale Dlemi, nel gennaio del 1983,
e l’arresto di diversi ufficiali ricordò ai marocchini la tragica fine degli ufficiali dell’esercito che avevano avuto ruolo diretto o indiretto nei colpi di
stato dell’inizio degli anni settanta.
Qualche anno dopo cominciarono ad affiorare i segreti dei misteriosi
anni di piombo14, le prigioni segrete, i detenuti politici, le uccisioni e i desaparecidos della feroce tirannia del re. Fu il caso della famiglia Oufkir e
della sua odissea, tenuta in carceri nascoste sin dall’attentato compiuto dal
capo famiglia nel 1972 contro Hassan II, a sconvolgere l’opinione mondiale. La scoperta della critica situazione dei diritti umani in Marocco, occultata per anni dal regime, salvò diversi prigionieri; grazie alle loro testimonianze e biografie si è venuti a conoscenza di una pagina di storia, celata
per molti anni, che ha rivelato le verità degli attentati e la loro organizzazione, i processi farsa dei coinvolti e la loro tragica fine15.
Grazie agli anni di piombo, il regno di Hassan II durò più di trentotto
anni durante i quali egli riuscì a proteggere il suo trono allontanando qualsiasi rischio e focalizzando l’opinione marocchina sul “neo nazionalismo”
ossia sulla questione del Sahara Occidentale: «la guerra del deserto costò
molto cara al Marocco ma, ovviamente, l’esercito šarif ha guadagnato posizioni sul terreno e, lungi dall’indebolire la monarchia, il conflitto ha permesso a re Hassan II di beneficiare di un consenso interno, dopo i complotti del 1971 e 1972”, osservava un editorialista di le Monde16.
3. Incontri ravvicinati
Gli anni ottanta videro segnali di ravvicinamento, dopo anni di crisi, tra i
due storici antagonisti nordafricani, l’Algeria e il Marocco17. La partecipazione del presidente algerino Chadli Bendjedid al summit di Oujda nel 1983
segnò un tentativo, apparentemente accolto dal re marocchino, di trovare una soluzione che favorisse l’avviò del piano di pace dell’Organizzazione
africana. In questa occasione l’Algeria era riuscita ad ottenere l’impegno di
Rabat a partecipare ad un incontro segreto con il Fronte Polisario, poi svoltosi ad Algeri nell’aprile 1983. Prima di questo appuntamento ne ebbe luogo
un altro, tra due delegazioni rappresentative delle parti, ottenuto, nel 1978,
grazie all’invito dell’allora presidente del Mali Moussa Traorè in occasione
dei negoziati che portarono alla pace tra la Mauritania e il Fronte Polisario;
il confronto fu però interrotto dalla notizia della morte del presidente Houari Boumedienne: per il Marocco era necessario attendere l’effetto del mutamento politico in Algeria, principale alleato del Fronte Polisario. Tuttavia
la morte di Boumedienne non cambiò nulla nella posizione algerina sul conflitto del Sahara Occidentale.
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Nel gennaio 1985 a Lisbona ebbe luogo il terzo incontro che riunì il ministro degli interni di Hassan II, Driss Basri, e Bachir Mustafa Sayad, considerato allora il secondo uomo nel movimento del Polisario. L’unico risultato di questi incontri segreti fu quello di mettere le due parti in conflitto
allo stesso tavolo, una soluzione considerata inottenibile dato che il Marocco continuava a negare al Fronte Polisario il ruolo di interlocutore nel
conflitto motivando l’adesione agli incontri con lo scopo di distogliere i leader del Polisario dalle loro idee indipendentiste. In realtà il disegno marocchino non era quello di trattare ma di convincere la controparte a desistere: «non per dire a queste persone che siamo pronti per negoziare con
loro, anzi per dimostrare a loro la loro marocchinità; … durante le due ore
e mezzo che [gli inviati marocchini] hanno passato con questi signori, hanno tentato di convincerli nel migliore dei modi che la cosa più opportuna è
[quella] di raggiungere la nazione marocchina»18.
Lo stesso Tˉahar Mas’ud scrive di un altro incontro segreto dalle circostanze ignote,˙curato dall’allora erede al trono dell’Arabia Saudita Fahd bin
‘Abd al-‘Azıˉza, a Giadda. Molto probabilmente fu un tentativo per invitare il Polisario a rinunciare all’indipendenza e alla sovranità; si ricordi che
l’Arabia Saudita è uno dei principali sostenitori economici della monarchia
nordafricana nella sua guerra di dominazione19.
Dopo anni di sollecitazione da parte dell’ONU e dell’OUA ad avviare negoziati diretti, rifiutati dal Marocco, Hassan II affermò al giornale francese Le
point che «le porte del suo castello erano aperte per i dirigenti sahrawi», un
chiaro riferimento al Fronte Polisario, specificando che le sue disponibilità
fossero per “discutere” e non per negoziare. Il 23 dicembre 1988 l’esecutivo
del Movimento, accolse le parole del monarca e decise di inviare per la prima
volta una delegazione che giunse il 3 gennaio 1989 all’aeroporto di Benguerir,
a 70 kilometri da Marrakech. La stessa sera, secondo fonti saharawi, o il giorno dopo, secondo quelle marocchine, avvenne il primo incontro, dall’esordio del cruento conflitto nordafricano, tra il re del Marocco ed esponenti del
fronte Polisario. L’atteso incontro “storico”20, che ambedue le parti avevano
voluto per trarne vantaggi propagandistici, fu segnato dalla memorabile frase di ammissione di Hassan II: «il Marocco è riuscito a dominare il territorio ma non a conquistare i cuori della popolazione del Sahara Occidentale».
Bisogna rilevare che il Fronte Polisario ha attuato una resistenza e una
lotta anticoloniale lontana da qualsiasi tipo di terrorismo e che, nonostante l’occupazione del suolo saharawi da parte dell’esercito di Hassan II e
tutte le conseguenze della dominazione, la lotta saharawi è rimasta sempre esterna ai territori e alla popolazione civile del Marocco; di questo il re
avrebbe dovuto prendere atto.
Dal rilevante incontro – durante il quale aveva sospeso le ostilità – il Fronte Polisario tornò pieno di aspettative e diramò un comunicato ad Algeri il
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9 gennaio in cui dichiarava che «l’incontro di Marrakech aprirà ora la strada per lo sviluppo qualitativo del processo di pace dell’ONU e dell’OUA e
inserirà una fase attiva per raggiungere un accordo completo e definitivo
tra le due parti che consenta [loro] di andare insieme, mano nella mano, a
un referendum libero ed equo per l’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale». Di tutt’altro parere era Hassan II il quale, qualche mese
più tardi parlando dell’incontro, lo ridimensionò in una dichiarazione trasmessa dalle televisioni marocchine e ripresa da quelle spagnole, sempre
attente alla questione della sua ex colonia, confermando che «stiamo discutendo, ma per sentirci e non nella forma dei negoziati. Questo può sembrare un po’ gesuita. Ma alla fine, è questo»21.
Causa o effetto dello straordinario incontro fu la sua coincidenza con le intense attività politiche e diplomatiche tra l’Algeria e il Marocco che sembravano finalizzate alla normalizzazione del loro rapporto. Questa intensa
azione culminò nella visita del Ministro dell’affari esteri algerino al Marocco, seguita da quella del suo collega Ministro dell’informazione a Marrakech, su invito del suo omologo e Ministro dell’interni, Driss Basri, all’epoca uomo chiave nel dossier del Sahara Occidentale. Inoltre, fu diramato
l’annuncio di un’imminente visita del Presidente algerino, poi avvenuta nel
mese successivo in coincidenza con il summit che portò alla firma dei capi
di stato di Algeria, Libia, Tunisia, Mauritania e Marocco dell’accordo costitutivo dell’Unione del Maghreb arabo (UMA) a Marrakech il 17 febbraio
1989. Valutando e correlando questi avvenimenti, emerge chiaramente che
l’incontro tra il re e il Polisario fu il prezzo della partecipazione algerina alla riconciliazione maghrebina in assenza del caso del Sahara Occidentale.
A potenziare questa ipotesi sono intervenute delle dichiarazioni avverse, da parte del sovrano di Rabat, diffuse il 21 settembre 1989, nelle quali
Hassan II affermava che i saharawi sono dei marocchini e che il re non negozia con dei marocchini; di conseguenza egli non avrebbe negoziato mai
con il Fronte Polisario. Occasione nella quale il re lanciò una intimidazione alla vicina Spagna del governo socialista di Felipe González22 che dimostrava simpatia per il Fronte Polisario, annunciando che avrebbe continuato la rivendicazione delle due enclave spagnole di Ceuta e Mellila.
4. L’evoluzione del piano di pace
Nel 1990, dopo diversi incontri segreti, altri dichiarati dalle parti e altrettante consultazioni separate guidate dall’allora Segretario generale delle
Nazioni Unite con la partecipazione di un inviato dell’Organizzazione per
l’Unità Africana (OUA), si giunse a un settlement proposal, in conformità con le risoluzioni 1514 (XV) e AHG/Res 104 (XIX)23. Come sottolinea lo
stesso rapporto del Segretario Generale S/21360 (18 giugno 1990), la proPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
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posta di regolamento principale prevedeva: il cessate il fuoco, lo svolgimento di un referendum d’autodeterminazione della popolazione saharawi attraverso il quale si potesse scegliere tra l’indipendenza o l’integrazione
con il Marocco, una base elettorale quale il censimento spagnolo del 1974,
il confinamento delle truppe degli eserciti dei due contendenti in posizioni prestabilite, sotto l’osservazione della missione ONU, e la sorveglianza
delle forze di polizia marocchine da parte dell’ONU che avrebbe assunto il
mantenimento dell’ordine pubblico.
Nonostante queste titubanze, Pérez de Cuéllar era molto ottimista. Rincuorato dagli accordi sulla modalità tecniche dello svolgimento del referendum, ottenuti dopo diversi incontri con le parti e avviati sin dal 1988, previde, nel suo rapporto S/21360, una missione per l’Organizzazione del referendum della durata di trentasei settimane. Essa, invece, dura da ventidue
anni. La creazione della MINURSO, la Missione delle Nazioni Unite per il
Referendum nel Sahara Occidentale, era tra i primi obiettivi da cui dipendeva la riuscita del piano di pace. Ad essa si giunse nell’aprile 1991 con la sua
approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza. L’arrivo della missione
ONU sul territorio e l’entrata in vigore del cessate il fuoco, avvenuto il 6 settembre 1991, diede il via all’inizio dell’atteso progetto al quale è tuttora legato il destino di migliaia di saharawi divisi tra i territori sotto l’occupazione
marocchina, l’esilio nel sud dell’Algeria e i paesi d’emigrazione.
Il rilancio del piano per il referendum nell’ultima colonia africana avvenne in seguito a un cambiamento nella politica internazionale, la caduta
del muro di Berlino nel novembre 1989, evento che secondo molti studiosi avrebbe agevolato la conclusione di questo conflitto come effetto della
fine dei due blocchi.
Inoltre, l’ottimismo del successo della comunità internazionale nella
guerra del Golfo fece pensare a una soluzione rapida e indolore; la guerra del Golfo era riuscita ad impedire un nuovo Sahara Occidentale nello
strategico golfo arabico, dando fine alle rivendicazioni dell’Iraq di Saddam sul vicino Kuwait.
Ma la critica situazione politica in Algeria all’inizio degli anni novanta non favorì l’accelerazione del processo. Anzi, per Hassan II si presentò
l’occasione di ostacolarne il percorso, o almeno rallentarlo, in previsione
dell’evoluzione degli avvenimenti in Algeria che avrebbero portato a nuove
alleanze e, forse, allo spostamento degli equilibri regionali in favore della
propria monarchia.
L’avvio dei lavori era favorito dalla presenza di una base elettorale rappresentata dal censimento lasciato dalla Spagna che avrebbe facilitato il
processo di identificazione; ma fu proprio questo lo scoglio su cui tutto il
piano rischiava di frantumarsi. L’inizio dell’organizzazione effettiva del piano coincide con la fine del mandato di Perez de Cuellar il quale, come suo
ultimo atto, apportò delle modifiche alla costituzione del corpo elettorale, il
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punto più sensibile per la realizzazione del piano. Ciò nonostante che ambo
le parti fossero consapevoli che il censimento del 1974 e i familiari dei censiti fossero l’unica base elettorale del piano approvato dalle parti24.
Il Marocco presentò una lista straordinaria di potenziali votanti per estendere il corpo elettorale «da 74.000 a 242.000»25; il re motivò tale decisione
ribadendo che il censimento spagnolo era incompleto, poiché molti dei saharawi – tra i quali anche alcuni leader del Fronte Polisario – erano rimasti
esclusi dal censimento spagnolo. Le caratteristiche particolari della struttura sociale saharawi erano chiare a tutti mentre si discuteva della messa in atto del piano di regolamento. La società saharawi è regolata da un sistema tribale complesso le cui caratteristiche sono risaltate dallo stesso censimento
spagnolo. Di conseguenza qualsiasi processo d’identificazione avrebbe dovuto essere confermato dai šuyu
ˉ h (pl. di šayh), i capi tribù. La complessità
˙ dal fatto che
˙ sia la popolazione sia i capi
della società saharawi è aggravata
tribù sono divisi geograficamente tra i territori del Sahara Occidentale controllati dal Marocco e i campi profughi amministrati dal Fronte Polisario.
Senza curarsi delle proteste del movimento saharawi, de Cuellar corrispose alle richiesta di Hassan II nel suo ultimo rapporto (S/23299) del dicembre 1991, ove presentò i famosi cinque criteri26 che sarebbero stati i nuovi canoni da seguire per la commissione di identificazione. Nell’anzidetto rapporto de Cuellar non considerava più il censimento spagnolo come
unica base elettorale; anzi questo divenne solo uno dei nuovi criteri di riconoscimento. Risulta inquietante il fatto che, solo qualche settimana prima del termine del suo ultimo mandato, il Segretario Generale dell’ONU
abbia sconvolto il piano di regolamento e lo spirito originale dell’accordo
introducendo i suddetti criteri. Non è un caso, infatti, che qualche mese
dopo egli abbia assunto il ruolo di consulente presso il gruppo finanziario
controllato direttamente da Hassan II, l’ONA Group (Omnium Nord-Africain)27. Durante il successivo mandato dell’egiziano Boutros Boutros-Ghali il piano di regolamento soffrì un’impasse dalla quale rischiava di non trovare uscita, visto il continuo scontro tra le parti sempre sul corpo elettorale
e sulle modalità d’identificazione. Boutros-Ghali propose addirittura che le
identificazioni si potessero svolgere in assenza della rappresentanza di una
delle parti; ciò avrebbe favorito le false testimonianze per avvantaggiare
una parte o l’altra e incrementare il numero degli identificati. Quando l’incarico del Segretariato generale passò nelle mani del ghanese Kofi Annan,
all’inizio del 1997, il piano di pace, e in particolare la parte concernente
l’identificazione aveva subìto diverse modifiche e, nonostante ciò, restava
il punto critico per la buona uscita del progetto ONU. Annan nominò subito come suo inviato speciale28 il diplomatico statunitense James Baker III;
l’impegno assunto da quest’ultimo aveva l’aspetto di una missione di Washington piuttosto che del Palazzo di vetro. Dopo diverse consultazioni con
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le parti e con i due paesi vicini, Mauritania e Algeria, Baker riuscì a risolvere il contenzioso processo d’identificazione; nonostante ciò, nel dicembre
1999, pochi mesi dopo la morte di Hassan II, la missione ONU, costretta
dalla divergenza tra le parti sempre in ambito del corpo elettorale, annullò
il referendum, che era previsto il 13 maggio dello stesso anno, per rinviarlo
alla fine del luglio del 2000. Questi rinvii consacrarono la fine del referendum previsto dal piano originale29.
La delicata fase di transizione del Marocco, caratterizzata dall’ascesa al
trono del giovane Muhammad VI, condizionò il piano di pace; la possibilità dell’indipendenza del Sahara Occidentale tornava ad essere un fattore
di instabilità per la fragile monarchia nordafricana. L’impossibilità dell’attuazione del piano spinse Baker a cercare soluzioni alternative; la prima fu
proposta nel rapporto del Segretario Generale S/2001/603, il cosiddetto
“Accordo quadro”, consistente in un’autonomia di cinque anni all’interno
del regno alawita seguita da un referendum.
Il rifiuto di alcuni aspetti dei contenuti dell’“Accordo quadro” da parte
del Fronte Polisario – era considerato un ostacolo a qualsiasi aspirazione
per l’indipendenza del territorio – convinsero Baker a presentare una seconda proposta alle parti nel rapporto del Segretario Generale 2003/565,
“il piano di pace per l’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale”, detto piano Baker 2. Questo fu rifiutato dal Marocco e caldeggiato dalla Francia con cui è legato da «une amitié particulière» consolidata, dopo la morte di Hassan II, dall’assunzione di Jacques Chirac del
ruolo di tutore del giovane sovrano30.
La mancata attuazione della seconda proposta di Baker, approvata dal
Consiglio di Sicurezza, mise fine all’impegno dell’ex Segretario di Stato
americano e alla speranza di una soluzione equa della controversia. I diversi incontri e negoziati, svolti in seguito, accentuarono la situazione di
stallo, di “non guerra, non pace”. Tutti i quindici anni di sforzi dei Segretari Generali delle Nazioni Unite e dei loro inviati speciali sono stati archiviati dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza S/RES/2007/1754. A
seguito di tale risoluzione la questione del Sahara Occidentale è stata sospesa e il suo destino legato a un rituale rapporto annuale del Segretario
Generale che mira principalmente all’invariato rinnovo del mandato della MINURSO per un’altro anno.
5. L’impasse
L’approvazione del Piano di regolamento da ambedue le parti suscitò diverse
perplessità determinate da alcuni aspetti del suo contenuto che non avrebbero favorito una parte o l’altra. È comprensibile che il Fronte Polisario lo
abbia accettato come garanzia dell’autodeterminazione ma non è concepibile che Hassan II lo abbia accolto perché gli avrebbe concesso la sovranità sui
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territori del Sahara Occidentale, dato che era palese che i saharawi del censimento spagnolo del 1974 avrebbero votato in maggioranza per l’indipendenza. Anzi, è proprio nelle estenuanti vicende che segnano la storia del Piano di
Pace che si trovano le ragioni per le quali l’acuto sovrano l’approvò.
Appena cinque anni dopo l’avvio del Piano di pace emersero nuove verità sul referendum che per Rabat sarebbe stato accettabile solo se avesse
avallato le sue rivendicazioni sul Sahara Occidentale. Ciò rende il Piano di
pace solo uno strumento che garantisce un cessate il fuoco vigilato dalle
NU. Con esso sì è posto fine a venti anni di guerra ma non si sono risolte le
reali cause di una disputa che entra nella lunga lista dei conflitti dormienti.
Proprio nel suo ultimo anno di vita il re Hassan II volle dare fine a qualsiasi
iniziativa che potesse portare ad una soluzione. Consapevole che i saharawi non avrebbero mai accettato l’adesione alla sua monarchia, si dichiarò
contrario a un Sahara Occidentale indipendente che avrebbe rappresentato un pericolo per l’ormai raggiunta stabilità del suo trono. «È certo che,
per l’Algeria e per il Marocco, è una cosa molto pericolosa da concepire che
i saharawi possano avere l’indipendenza. L’indipendenza non è solo contagiosa, ma essa è causa di disordine prima di stabilizzarsi, di divenire chiara
e serena. Dopo quanto tempo? Dio solo lo sa»31.
Il mantenimento dello statu quo favorisce il Marocco nel lungo termine
e deteriora la situazione del fronte Polisario che resta aggrappata alle garanzie della comunità internazionale di cui all’inizio si fidò ingenuamente;
a questa conclusione sono giunti anche gli esponenti del movimento:
Quando il Marocco ha accettato le proposte del Piano di regolamento per la celebrazione di un referendum di autodeterminazione nel territorio sotto la supervisione internazionale, [noi] i sahrawi, da conoscitori degli equilibrismi del
re del Marocco, abbiamo accolto con scetticismo l’autenticità della volontà del
Marocco di accettare e assumere le conseguenze di una soluzione pacifica – soluzione alla quale, come ricordato, si è opposto fermamente nel 1974 – attraverso una consultazione referendaria che soddisfa gli standard internazionali
di trasparenza, libertà e regolarità. Tuttavia, devo ammettere, abbiamo sovrastimato la capacità della comunità internazionale, rappresentata dalle Nazioni Unite, di imporre alle parti il rigoroso rispetto dei termini del Piano di pace
elaborato da questo organismo nei minimi dettagli, la cui la pietra angolare è il
censimento spagnolo del 1974, come base per la determinazione del corpo elettorale chiamato a pronunciarsi durante la consultazione32.
Il coinvolgimento dei diplomatici statunitensi, nel 1997, nel processo
di decolonizzazione dell’ex colonia africana, in un momento molto difficile per il Piano di pace che era sul punto di frantumarsi sulla questione dell’identificazione, salvò l’immagine delle Nazioni Unite e avvicinò l’ex
Segretario di Stato di Washington, James Baker III, alla risoluzione del
lungo conflitto. La determinazione e il carisma di Baker lo portarono, in
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pochi mesi, a risolvere la principale controversia sulle tribù contestate e
completare la raccolta degli appelli. Il mancato sostegno al piano Baker, da
parte del potere decisionale delle Nazioni Unite, lasciò sfuggire al suo successore, l’olandese Peter van Walsum, che «l’indipendenza del Sahara Occidentale non è un obiettivo realistico»33. A mitigare la protesta del Fronte
Polisario e le perplessità dei suoi alleati fu il ritorno dei diplomatici statunitensi alla scadenza del mandato di Walsum il 21 agosto 2008, quando fu
subito designato alla successione un grande conoscitore del mondo arabo
quale il diplomatico americano Christopher Ross. Dopo anni di tentativi di
trovare, invano, un accordo tra le parti sul tavolo dei negoziati, Ross, per
spingere il Consiglio di Sicurezza a prendere una posizione risolutiva, si
aggrappò alla preoccupante situazione dei diritti umani nei territori sotto
l’occupazione marocchina e alle gravi condizioni umane nelle quali vivono
i campi profughi nel sud dell’Algeria.
Non si può negare che il prolungarsi dell’impasse abbia ridimensionato
la questione del Sahara Occidentale da un conflitto armato a una controversia in cui il Marocco è passato dalla rivendicazione parziale del territorio – da condividere con la Mauritania – alla pretesa di possederlo totalmente. Esso accettò lo svolgimento di un referendum d’autodeterminazione, accogliendo la settlement proposal delle Nazioni Unite, per conseguire il cessate il fuoco e poter iniziare una terza fase in cui il referendum sarebbe divenuto un’opzione inaccettabile ma sostituibile con “l’autonomia”.
Questa ultima opzione è ancora sostenuta, come soluzione del conflitto,
dagli alleati di Rabat sebbene sia in contraddizione con il principio dell’autodeterminazione del popolo saharawi. Imporre l’autonomia agli esponenti del Fronte Polisario significherebbe molto per il Marocco: legalizzare la
tesi del makhzen che portò all’occupazione del Sahara Occidentale con il
beneplacito della comunità internazionale.
Nonostante la similitudine con il Sahara Occidentale e il favorevole epilogo del referendum di Timor Est nel 1999, che condusse all’autodeterminazione del popolo timorese e alla dichiarazione d’indipendenza nel 2002, il
piano delle NU per la colonia africana rimase debole. Anzi, in quegli anni la
parte occupante, grazie al cessate il fuoco e allo statu quo, riuscì a rilanciare la propria economia, soprattutto nel settore turistico, danneggiata durante gli anni della guerra durante i quali il Marocco permaneva nella lista
dei paesi sconsigliati per il turismo e per gli investimenti.
Ad aggravare la situazione derivante dalla mancata attuazione del referendum, che il Marocco aveva accettato in cambio del cessate il fuoco
da parte del Fronte Polisario, furono i rapporti con la vicina Algeria. Per
quanto il Piano di pace abbia accomunato il Fronte Polisario e il Marocco
sullo stesso livello del tavolo dei negoziati, sussiste il continuo tentativo
del Marocco di coinvolgere l’Algeria direttamente nel conflitto. I rapporPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
L’insuccesso del processo di pace nel Sahara Occidentale: protagonisti e responsabilità
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ti tra i due paesi sono rimasti compromessi irreversibilmente dalla guerre des sables e ulteriormente deteriorati, in seguito, dal sostegno algerino alla questione saharawi. In verità, la rivalità tra il Marocco e l’Algeria
resta un’anomalia nordafricana che continua a vincolare i paesi del Maghreb e a condizionare i diversi ruoli che potrebbero giocare i due paesi
all’interno dell’Unità africana e della Lega araba.
Anche se l’occupazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco e
il sostegno algerino al movimento indipendentista saharawi sembrano la
causa principale del contrasto tra i due antagonisti, in verità i due paesi
soffrono di divergenze più antiche: le continue rivendicazioni di Rabat sui
territori meridionali dell’Algeria, la chiusura dei confini tra i due paesi sin
dal 1994, in risposta alle accuse marocchine di una responsabilità algerina negli attentati di Marrakech, e, più recentemente, il traffico di droga dal
Marocco verso l’Algeria.
Tentare di coinvolgere direttamente l’Algeria nel conflitto era una strategia sperimentata, inutilmente, da Hassan II, alla quale non ha rinunciato
l’attuale classe dirigente marocchina che auspica la rinuncia al sostegno del
Fronte Polisario da parte dei governanti algerini in cambio di interessi da
definire. Convinto che l’appoggio algerino sia di ostacolo al riconoscimento
della sua sovranità sul Sahara Occidentale, continua ad esercitare pressione, altresì, attraverso la Francia, manifesto alleato, e la Spagna. Quest’ultima, che condivide con il Marocco molti interessi, si è trovata costretta a rinunciare a un ruolo chiave che potrebbe facilitare una soluzione equa e giusta per la popolazione della sua ex colonia. «Ci sono state controversie complesse con la Spagna a causa di Ceuta e Melilla, ma si è [trovato] l’accordo
tra Rabat e Madrid»34, ebbe a dire il Ministro degli esteri di Rabat.
Il silenzio di Madrid sulla questione è il prezzo pagato in cambio dell’oblio
marocchino sul problema delle due enclave; una condotta che non consente
di definire neutrale la posizione attuale della Spagna sul conflitto.
A rivelare la vera posizione della Spagna sulla decolonizzazione della sua ex colonia sono stati i documenti divulgati da wikileaks. Secondo
questi, il sostegno alla politica coloniale del Marocco si è accresciuta con
il governo socialista di Zapatero che sostenne, fin dall’inizio, la soluzione
di autonomia secondo il modello basco, incoraggiando Rabat a rendere
la propria proposta più credibile con la concessione di più poteri ai saharawi35. Lo stesso ministro socialista degli affari esteri, Miguel Ángel Moratinos, fu autore di una lettera non ufficiale che incoraggiava i membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza in questa direzione, proponendo la
sostituzione dei termini adoperati, come la decolonizzazione, la sovranità e l’indipendenza, con quelli di governo autonomo e amministrazione
autonoma36. Ciò spiega il commento del Presidente algerino: “I socialisti
spagnoli non sono stati onesti con i saharawi”, pronunziato nell’agosto
2005 durante il suo ricevimento del Presidente del Comitato delle relazioni estere del Senato spagnolo37.
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Inoltre, la responsabilità storica della Spagna non può esaurirsi con
l’occupazione marocchina del territorio; non a caso essa è membro del
“Gruppo di amici del Sahara Occidentale” insieme agli Stati Uniti, Francia,
Gran Bretagna e Russia, una posizione che pone la controversia magrebina
in un’impasse politica dovuta alla contrapposizione dei principi del diritto
internazionale avverso i concreti interessi economico-strategici delle parti più influenti all’interno dell’organismo decisionale delle Nazioni Unite.
6. La primavera araba e la lotta per i diritti umani
Nell’autunno del 2010 una pacifica protesta di migliaia di cittadini saharawi nei territori occupati dal Marocco attirò l’attenzione dei media internazionali ma questo singolare avvenimento non fu incanalato in alcun
processo esterno alla lotta per il riconoscimento dei diritti di un popolo
ancora in uno stato di occupazione coloniale. «Il 9 ottobre 2010 un gruppo di giovani e di famiglie saharawi si sono installati, a 18 km dalla città
di Laàyoune, nel Sahara Occidentale. La struttura del campo fu all’inizio
limitata ma, nel corso dei giorni, il numero degli occupanti è aumentato
per attestarsi tra le 20 e 25.000 persone durante il fine settimana»38. La
protesta dei cittadini della capitale dell’ex Sahara spagnolo era contro la
precaria situazione politico-economica riservata loro dal governo di sua
maestà Muhammad VI; la protesta fu infine violentemente soffocata dalle forze armate marocchine.
Sul piano politico la vicenda fu trascurata salvo che per la disapprovazione espressa da alcuni membri dell’Assemblea Generale sulla scelta del
momento e sulle modalità di smantellamento del campo eseguito da Rabat, in coincidenza con l’avvio degli attesi negoziati tra le delegazioni del
Marocco e del Fronte Polisario condotti dall’Inviato speciale del Segretario
Generale delle Nazioni Unite. Gli avvenimenti nei territori del Sahara Occidentale furono considerati un’ordinaria evoluzione del lungo conflitto, che
affligge questa regione da più di trentacinque anni, finché non è esplosa la
stagione della cosiddetta primavera araba in Tunisia e nei paesi vicini. Le
ribellioni dei paesi nordafricani hanno spinto alcuni studiosi a considerare
che i primi focolai delle proteste, per i diritti politici, economici e sociali,
siano stati quelli di Gdeim Izik nel Sahara Occidentale39.
La lieve opposizione del 20 febbraio in Marocco fu subito stroncata con
diversi strumenti quali la carcerazione degli attivisti, le promesse di riduzione dei poteri tradizionali del monarca a favore del capo del governo e
l’annuncio delle elezioni politiche nel paese nell’autunno del 2011 che poi
hanno portato alla vittoria del partito islamico di ‘Abdalilah Binkira
ˉn (Partito della giustizia e dello sviluppo)40. Una volta affidato l’incarico all’esponente del partito islamico, la primavera in Marocco si è conclusa, non secondo la volontà del popolo ma per mano del re.
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L’insuccesso del processo di pace nel Sahara Occidentale: protagonisti e responsabilità
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Adattandosi al cambiamento politico caratterizzato dall’ascesa dei movimenti islamici nella regione, per la prima volta dall’indipendenza del Marocco, fu incaricato un partito islamico per guidare il governo di coalizione.
In sostanza, se la vittoria della corrente islamista in Marocco era una necessità per la politica interna del paese, nulla sarebbe dovuto cambiare per
la questione del Sahara Occidentale che rimane di competenza del Palazzo
e del Makhzen. In effetti, nessuna apertura avvenne verso la riattivazione
del Piano di pace. Anzi, durante le elezioni politiche, alla popolazione saharawi nei territori occupati dal Marocco fu imposta la partecipazione alle
elezioni elettorali ed è continuata la politica di isolamento e di repressione
da parte dell’autorità di Rabat. Nei campi profughi furono richieste riforme e rinnovamento generazionale. La mancata attuazione del referendum
d’autodeterminazione ha spinto diversi giovani a chiedere un segnale di rigore da parte del Fronte Polisario. Il cambiamento auspicato dal Segretario
Generale, che sperava in un impatto del fenomeno della primavera araba
su una delle parti, è rimasto in sospeso.
Nei primi euforici mesi della primavera araba si attendeva un mutamento nella posizione degli altri membri del Maghreb che potesse anche
dare una scossa all’UMA (Unione del Maghreb Arabo). Mentre la nuova leadership tunisina cercava un ruolo guida in nord Africa che portasse alla
riattivazione dell’UMA, essa si trovò a trattare la questione saharawi come
una tappa obbligatoria. In questo contesto, mentre il leader del movimento Annahda, Rashed Ghannoushi, affermava durante la sua prima visita
istituzionale a Rabat il suo sostegno per conservare l’unità dei territori del
Marocco in segno di sostegno alla politica monarchica nel Sahara Occidentale, il presidente tunisino al-Marzuqi, durante la visita di stato ad Algeri,
sosteneva la necessità di lasciare la questione del Sahara Occidentale fuori delle faccende magrebine per superare il contrasto tra l’Algeria e la monarchia alawita. Nonostante la posizione dei politici del post-cambiamento
in Tunisia, la partecipazione e la solidarietà della popolazione con la questione saharawi ha fatto un passo avanti. Nella Libia post-Gheddafi non è
stata ancora presa una posizione ufficiale sul conflitto nordafricano. Nonostante il sostegno dello scomparso leader sin dall’inizio degli anni settanta
al Fronte Polisario, il suo cambio di posizione negli anni ottanta – quando
barattò il suo appoggio alla questione saharawi con la consegna dei suoi
oppositori in esilio in Marocco – non potrà non influenzare gli esponenti
dalla rivoluzione libica quando affronteranno la questione.
7. Conclusioni
Vista la situazione di stallo in cui versa la questione del Sahara Occidentale, da quando le Nazioni Unite hanno preso in mano la gestione del destino di quest’ultima colonia africana, cresce il sospetto che non vi sia staPolo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>
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ta mai la volontà di attuare il settlement proposal ma che l’obiettivo fosse
l’attuale impasse che affligge la decolonizzazione in questione. Della condizione attuale e dei ventidue anni di stallo l’unica a trarne vantaggi è Rabat. Mentre la situazione di blocco rischia di emarginare il Fronte Polisario, in un’epoca in cui la decolonizzazione, per molti, è passata, il suo ruolo rischia di passare in secondo piano a livello internazionale. Il Marocco,
nonostante la presenza della MINURSO che avrebbe il compito di garantire il mantenimento del cessate il fuoco e il rispetto degli accordi militari,
nel solo arco di tempo tra l’aprile 2011 e l’aprile 2012 ha fortificato le sue
postazioni militari sul territorio contestato, con nuove costruzioni e rinnovamento dei suoi armamenti:
Le violazioni in zona riservata includono la costruzione di nuovi edifici, l’impiego di pezzi pesanti di artiglieria di grosso calibro per sostituire attrezzature obsolete nei sottosettori di Smara e Mahbas, la costruzione di una torre antenna
di un sistema globale per le comunicazioni mobili (GSM) e l’installazione di un
nuovo radar mobile nel sottosettore di Smara, portando a 47 il numero totale di
violazioni dal 2005, relative all’installazione di radar mobili e fissi41.
Tali violazioni sono trascurate dai membri del Consiglio di Sicurezza
che, nell’ultima riunione sulla questione nell’aprile scorso, è stato incapace di portare avanti la proposta statunitense dell’estensione delle funzioni della MINURSO sul controllo dei diritti umani della popolazione
sia nei territori sotto la dominazione del regno del Marocco sia nei campi
profughi, per il forte ostacolo frapposto da Rabat, dalla Francia e da altri membri del Consiglio di Sicurezza42. Ciò rende l’autodeterminazione
della popolazione del Sahara Occidentale ostaggio degli organismi delle
Nazioni Unite sin dal 1974, quando l’Assemblea Generale troncò il processo di decolonizzazione intrapreso dalla Spagna, trascurando il parere
espresso dalla Corte dell’Aia circa l’inesistenza di vincoli di sovranità, tra
il Sahara Occidentale e il regno del Marocco e la Mauritania, che avrebbero potuto impedire l’attuazione del principio dell’autodeterminazione del
popolo saharawi e la decolonizzazione della colonia spagnola nel rispetto
della risoluzione ONU 1514 (XV)43.
Lo stesso Piano di pace si sta rivelando un garbuglio, discrepante con le
prospettive di una giusta ed equa soluzione del conflitto. L’inefficace strategia del Consiglio di Sicurezza per non imporre al Marocco l’attuazione
del piano Baker 2, approvato all’unanimità dei membri, comprova una
mancanza di volontà vincolata agli interessi geopolitici dei poteri forti che
tentano di intorbidire la situazione con uno sterile processo di negoziazione avviato dal 2007. Le Nazioni Unite, dopo più di venti anni di presenza
sul territorio, sembrano essere in attesa di un evento esterno nella regione che avvantaggi una delle parti. All’esplosiva situazione del Sahel contribuiscono le apprensioni per la guerra del Mali, la diffusione del Qa‘ida e
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L’insuccesso del processo di pace nel Sahara Occidentale: protagonisti e responsabilità
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di diverse organizzazioni islamiste radicali che possono rendere il Sahara
un nuovo Afganistan, zona di transizione e di rifugio di questi gruppi sulla sponda sud del Mediterraneo. Nonostante tutto ciò e malgrado le preoccupazioni espresse dall’inviato Ross – per le conseguenze sulla questione
saharawi – indotte dai cambiamenti che stanno sconvolgendo i paesi della
primavera araba44, l’ultima risoluzione ONU, la 2099 (2013), si è limitata
ancora a rinnovare, per un altro anno, il mandato della MINURSO benché
sia evidente a tutti che la mancata realizzazione del piano Baker 2 non farà
evolvere la questione del Sahara Occidentale.
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Souadou Lagdaf
Note
1 J. Mundy, Thirty years of conflict. How the US and Morocco seized the Spanish Sahara,
citato in I. Dalle, Hassan II entre tradition et absolutism, Fayard, Parigi, 2011, p. 487.
2 La “marcia verde” fu organizzata da Hassan II in persona e curata nei minimi dettagli. Essa
iniziò il 6 novembre 1975, dopo l’emissione del parere consultivo della Corte Internazionale
di Giustizia dell’Aia in cui si affermava che il Sahara Occidentale non era terra nullius e si
negava l’esistenza di legami giuridici tra la popolazione autoctona di questi territori, e i due
paesi contendenti, che potessero ostacolare l’autodeterminazione. Grazie alla sua scaltrezza,
Hassan II riuscì a convincere il suo popolo con un discorso che la Corte avesse dato ragione
alle sue rivendicazioni. Il re interpretò la frase della Corte, in cui viene affermato un legame
di vassallaggio “tra alcune e solo alcune tribù” di Tikna con la monarchia, in diritto di sovranità su tutto il territorio. Forse per questo motivo, egli accettò di dividere il territorio con la
Mauritania. La marcia di 350.000 cittadini marocchini sui territori del nord est del Sahara
Occidentale, ancora in mano dell’esercito spagnolo, fu condannata, sul momento, da Jaime de
Pinies, allora ambasciatore spagnolo in seno al Consiglio di Sicurezza, il quale invitò «il re a
desistere da questo progetto di invasione», S. Lagdaf, Una colonizzazione irrisolta, il Sahara
Occidentale dalla Spagna al Marocco, Bonanno, Acireale, 2011, p. 59. Vedi anche M. de Froberville, Sahara Occidental: la confiance perdue, l’Harmattan, Parigi,1996, p. 54.
3 La prima risoluzione in questo senso fu quella dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
A/res/1514 (XV) del 14 dicembre 1960. Dal 1965 fino al 1968 vi furono quattro risoluzioni
che invitavano la Spagna alla liberazione dei territori di Ifni e del Sahara Spagnolo. Dal 1969,
quando la regione di Ifni ottenne l’indipendenza, e fino al 1975, furono adottate annualmente
risoluzioni che sollecitavano Madrid ad applicare il principio dell’autodeterminazione della
popolazione dell’ex Sahara Spagnolo.
4 La denominazione Fronte Polisario è l’abbreviazione di Fronte Popolare per la Liberazione
della Saguía el Hamra e Río de Oro. Esso è nato il 10 maggio 1973 dal MLS, Movimento di Liberazione della Saguìa el Hamra e Rìo de Oro. La lotta del Fronte Polisario aveva assunto anche un
carattere politico con l’organizzazione di manifestazioni ma la detenzione del suo leader Basiri,
il cui destino fino a oggi attende di essere rivelato da parte di Madrid, e l’arresto di diversi membri durante l’intifada di Zemla, indebolì il gruppo. La creazione del Fronte Polisario richiamò
i membri del MLS e i militanti nazionalisti saharawi che vivevano in clandestinità fino a quel
momento. L’orientamento politico del Fronte Polisario si legge tra le righe della dichiarazione
del Congresso costituente del movimento: «il Fronte Polisario nasce come espressione unica
della massa, opta per la violenza rivoluzionaria e la lotta armata come strumento per trasportare il popolo arabo saharawi africano verso la totale libertà dal colonialismo», T. Mas’ud, Niza
ˉ‘
a
ˉs-Sahra
ˉ’ a
ˉl-Ġarbiyya bina a
ˉl-Maġrib wa a
ˉl-Polisario (Il conflitto del Sahara ˙Occidentale tra
˙ ˙
il˙Marocco
e il Fronte Polisario), Dar al-Mukhtar, Damasco, 1997, p. 32.
5 F. Briones, SAHARA: Cien años sin libertad, Alicante, Asociacion de amistad con el pueblo
saharaui de Alicante, 1993, p. 38.
6 Il censimento del 1974 dimostrò una notevole crescita della popolazione rispetto ai dati
registrati negli anni precedenti: il primo censimento da parte dell’amministrazione spagnola
fu svolto nel 1953 e contò 24.563 abitanti; nel secondo, effettuato dieci anni dopo nel 1963,
furono censiti 33.439 abitanti, nel 1970 il numero degli abitanti censiti continuò a crescere
raggiungendo il numero di 54.178. Felipe Briones, SAHARA: Cien años sin libertad, pag. 38.
L’incremento della popolazione in questi diciassette anni avvenne grazie anche alla politica
coloniale spagnola che spingeva la popolazione nomade alla sedentarietà. Un cambiamento
nello stile di vita che portò diverse tribù nomadi ad inserirsi nei centri urbani e nelle zone
limitrofe e spesso vicino le postazioni militari spagnole.
7 La guerra sanguinosa tra il Fronte Polisario e la Mauritania portò questo paese alla povertà
e all’instabilità interna caratterizzata da conflitti tra le diverse componenti della società: le
popolazioni arabe e le etnie di origine africana.
8 T. Mas’ud, op. cit, p. 87.
9 Risoluzione
˙
AHG/Res. 102-103 (XVIII), adottata nella diciottesima Assemblea ordinaria dei
capi di stato e di governo, 24-27 giugno 1981. Nairobi, Kenya.
10 M. de Froberville, Sahara Occidental, la Confiance Perdue, op. cit. p. 94.
11 T. Mas’ud, op. cit. p. 93.
˙
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12
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Risoluzione 104 (XIX) dell’OUA adottata ad Addis Abeba, 6-12 giugno 1983.
s.a., L’Assemblée générale de l’ONU “demande au Maroc et au Polisario d’entreprendre
des négociations directes”, «le Monde», 07 Décembre 1984.
14 È una definizione d’origine francese adoperata da giornalisti, oppositori marocchini e, in
seguito, dagli studiosi per descrivere un periodo della storia del Marocco di Hassan II, caratterizzato dalla prigionia, dalla scomparsa e dall’uccisione dei suoi oppositori. Si parlò molto
degli anni di piombo verso gli anni novanta quando uscirono le prime memorie e biografie di
vittime civili e militari che descrivono le crudeltà e le violenze subite per mano del sistema. Il
Marocco di Muhammad IV ha riconosciuto i crimini commessi durante il regno di suo padre
e, a seguito di ciò, nel 2004 fu nominato l’organismo “L’Instance équité et réconciliation” per
indennizzare le vittime degli anni di piombo.
15 Tra le letture consigliate: A. Marzouki, Tazmamart, cellule 10, Paris Méditérranée, Paris,
2001; M. Oufkir, M. Fitousi, La Prisonniere, French & European Pubns, New York, 2000; F.
Oufkir, Les jardins du Roi: Oufkir, Hassan II et nous, Le Livre de Poche, Paris, 2001.
16 s. a., Normalisation algéro-marocaine, «Le Monde», 18/05/1988.
17 Nel maggio 1984, durante un incontro tra Reda Guedira consigliere del re e il futuro ministro degli esteri algerino Taleb Ibrahimi, gli fu consegnato un documento dal titolo “proposition d’union algéro-marocaine” indirizzato all’allora presidente algerino. In un primo momento Ibrahimi osservò che i contenuti del documento escludevano due questioni importanti
per il suo paese “la questione del Sahara Occidentale” e “il trattato di fratellanza e concordia”
che lega l’Algeria alla Tunisia e alla Mauritania. Questo andamento di ravvicinamento tra i
due paesi portò nel 1988 al riavvio delle relazione diplomatiche tra l’Algeria e il Marocco,
dopo anni di lacerazione a seguito del riconoscimento dell’Algeria della nascente Repubblica
Araba Saharawi Democratica (1976). Avvenne anche l’arrivo straordinario del re del Marocco
ad Algeri per la partecipazione al summit della Lega Araba del 7-9 giugno 1988. Vedi s.a., Le
roi Hassan II à Alger, «Le Monde», 09/06/1988.
18 T. Mas’ud, op. cit. p. 82.
19 Ibid,
˙
p. 84.
20 Parteciparono all’incontro gli esponenti del Fronte Polisario: Bachir Mustapha Sayed,
considerato il numero due nel movimento accompagnato dal primo ministro della RASD,
Mahfoud Ali Beiba, e dal ministro della difesa Brahim Ghali; dalla parte della monarchia
marocchina accanto al re Hassan II: il suo consigliere diplomatico Réda Guédira, il ministro
degli interni e dell’informazione Driss Basri e il ministro degli affari esteri Abdellatif Filali.
21 La dichiarazione fu trasmessa dalle televisioni marocchine il 21 settembre 1989.
22 Gonzàlez svolse la sua prima visita nei territori controllati dal Fronte Polisario nel 1976, in occasione del primo anniversario dell’accordo di Madrid e dichiarò: «Abbiamo voluto essere qui oggi,
14 novembre 1976, per dimostrare con la nostra presenza la nostra disapprovazione all’Accordo
di Madrid del 1975. ... Come parte del popolo spagnolo, sentiamo vergogna non perché il governo abbia fatto una cattiva colonizzazione ma una peggiore decolonizzazione, consegnandosi nelle
mani di governi reazionari come quelli del Marocco e della Mauritania», F. Briones, op. cit., p. 64.
23 Vedi la risoluzione 1514 (XV), dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e
popoli coloniali, dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
24 “Avranno diritto di voto al referendum tutti i saharawi di 18 anni o più iscritti nel censimento condotto nel 1974 da parte delle autorità spagnole. I profughi saharawi che vivono fuori dai
territori saranno censiti con l’assistenza dell’Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) in
luoghi designati dal Rappresentante speciale”.
25 T. de Saint Maurice, Sahara Occidental 1991-1999, L’enjeu du référendum d’autodétermination, L’Harmattan, Paris, 2000, p. 26.
26 I cinque criteri di eleggibilità presentati da de Cuellar furono soggetto di negoziati tra le
parti prima della loro approvazione finale e sono: C1. Le persone in cui nome figura nel censimento spagnolo del 1974, ovunque esse si trovino adesso; C2. Gli appartenenti a una tribù
saharawi che erano residenti nel territorio nel 1974; C3. Gli appartenenti a una tribù saharawi
che erano assenti dal territorio nel 1974; C4. I figli, nati fuori dal territorio, da padre saharawi
nato nel territorio; C5. Gli appartenenti a una tribù saharawi che siano stati residenti nel territorio per sei anni consecutivi anteriormente al 01.12.1974.
27 L. Doyle, Perez de Cuellar Denies Reports of Morocco job, «The Independent», 04/02/1993.
28 Già la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 621 (1988) del 20 settembre autorizzava la
nomina da parte del Segretario Generale di un suo rappresentante per il Sahara Occidentale
13
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Souadou Lagdaf
con un ruolo fondamentale visto che avrebbe avuto l’autorità esclusiva su tutte le questioni
relative all’organizzazione e allo svolgimento del referendum.
29 Per ulteriori letture sui fatti storici di questo periodo e sulle tematiche trattate in questo paragrafo e nei seguenti, si rinvia a: E. Jensen, Western Sahara, anatomy of stalemate, Lynne
Rienner publishers, Inc, Colorado, 2005. T. Shelley, Endgame in the Western Sahara, What
future for Africa’s last colony?, Zed Books Ltd, London, 2004. S. Zunes & J. Mundy, Western Sahara, War, Nationalism, and Conflict irresolution, Syracuse University Press, New
York, 2010. Y. H. Zoubir, The Unresolved Western Sahara Conflict and Its Repercussions, in
«Journal of Middle Eastern and Islamic Studies» (in Asia) Vol. 4, No. 2, 2010.
30 Sembra che Hassan abbia chiesto al Presidente francese di vegliare sull’erede al trono per
garantire la stabilità della monarchia, una promessa che sembra sia stata mantenuta dall’ex
Presidente e dai suoi successori e sancisce la relazione economico-strategica tra il Marocco e
la Francia. T. Jean-Pierre, Majeste, je dois beaucoup a votre père. France-Maroc, une affaire
de famille, Editions Albin Michel, Paris, 2006. Le preoccupazioni di Chirac per il regno del
Marocco lo spinsero a considerare, in una dichiarazione sul futuro della regione, i territori del
Sahara Occidentale “una parte del sud del Marocco”, suscitando il disappunto del Fronte Polisario e del sostenitore strategico, l’Algeria. D. Bamford, Chirac yutir a
ˉ zmah m’ a
ˉ l-Polisario,
ˉ
(Chirac suscita una crisi con il Polisario), 04/12/2001, in «http://news.bbc.co.uk/hi/arabic/
news/newsid_1690000/1690752.stm».
31 F. Andre, A. Jacques, Un entretien avec Hassan II. Le problème sahraoui pourrait être
réglé dans le cadre de la régionalisation du Maroc. L’unité du Grand Maghreb se fera plus
rapidement que celle de l’Europe, in «Le Monde», 03/08/1998.
32 Relazione di B. Mustafa Sayed, Ministro degli Esteri e della Cooperazione della RASD, nella
conferenza su Los procesos de autodeterminaciòn de los pueblos coloniales, Università di
Barcelona, 18/07/1997.
33 A. Ortiz, El misterio Van Walsum, in «www.gees.org, Análisis», 03/12/2008.
34 D. Laalami, Trois “conditions” pour que l’Algérie rouvre ses frontières avec le Maroc,
26/04/2013, in «http://www.echoroukonline.com/ara/articles/162947.html».
35 Spanish Ambassador on Western Sahara, Migration, islamists, in data: 29/03/2006, ID:
58606, Origin: 06RABAT557, Source: Embassy Rabat, Classification: confidential, Dunno:
06RABAT539. Rabat Pol Counselors Informal Discuss Western, in data: 19/03/2007, ID:
100910, Origin: 07RABAT494, Source: Embassy Rabat, Classification: confidential.
36 In «http://wikileaks-a.blogspot.it/2010/12/blog-post_15.html».
37 I. Cembrero, España apoyó en el Sáhara una solución favorable a Marruecos, in «El
Pais», 13/12/2010.
38 Fidh & Organisation Marocaine des droits Humains, Sahara Occidental. Les affrontements
du 8 novembre 2010 à Laàyoune: Escalade dans un conflit qui s’éternise, marzo 2011, p. 8.
39 S. Errazzouki, Chomsky on the Western Sahara and the “Arab Spring”, 30/10/2012, in
«http://www.jadaliyya.com/pages/index/8093/chomsky-on-the-western-sahara-and-the%E2%80%9Carab-spring».
40 A. Hannoum, Tangier in the time of Arab revolutions: an ethnopolitical diary, in «The
Journal of North African Studies, 2013, Vol. 18, No. 2, 272–290».
41 Rapporto del Segretario Generale S/2012/197, 05 aprile 2012, p. 7.
42 Il fallito tentativo di estendere il mandato della MINURSO alla salvaguardia dei diritti
umani nel Sahara Occidentale fu accolta dalla popolazione nei territori sotto il controllo del
Marocco con manifestazioni, slogan e l’esposizione della bandiera della Repubblica saharawi. Delle manifestazioni così audaci ricordano che il 17 giugno 1970 il quartiere Zemla, della
capitale del Sahara Occidentale, divenne luogo di una storica protesta, la prima di carattere
politico, contro l’occupazione spagnola con il motto fuera España. Essa entrò nella memoria
storica saharawi come l’intifada di Zemla. I. Cembrero, Los saharauis redoblan sus protestas
contra Marruecos en El Aaiùn, «El Pais», 05/05/2013.
43 Il parere della Corte Internazionale di Giustizia fu pubblicato il 16 ottobre 1975.
44 L’arrivo dei marines americani alla base militare della US Air Force di Moron De La Frontera, in Spagna a poche ore di volo dai territori interessati, viene inteso come un segnale delle
preoccupazioni di Washington circa le situazioni nordafricane. L. Rezaoui, D. Henache, U.S.
Marines Move to North Africa, 27/04/2013, in «http://www.echoroukonline.com/ara/articles/162959.html».
Polo Sud | n. 3 | 2013 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-3>

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