Ma è proprio vero che leggiamomeno?
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Ma è proprio vero che leggiamomeno?
31 Corriere della Sera Sabato 1 Novembre 2014 Tempiliberi Benessere Food Moda Chi è l’uomo “sale e pepe” più sexy tra George Clooney, Richard Gere e Barack Obama? Il sondaggio lanciato da InStyle.com non lascia spazio a dubbi: Clooney stravince George Clooney 75,44% 16,9% Richard Gere 7,66% Barack Obama Design Tecnologia Famiglia ILLUSTRAZIONE DI DAVIDE FORLEO Viaggi Chi è il più sexy del reame in grigio? I numeri Secondo uno studio dell’istituto di ricerca demoscopia Pew, negli Stati Uniti l’88 % dei Millennial (la generazione del nuovo millennio) ha letto un libro nell’ultimo anno, contro il 79% di chi ha più di 30 anni. Il National Literary trust rivela che il 52 per cento dei nativi digitali ha eguali capacità di concentrarsi, di ricordare e di capire i testi scritti sulla carta e quelli letti sullo schermo del computer. David Carr sul New York Times ha osservato: «Siamo spugne davanti a un idrante sempre aperto». Single Più web e (forse) meno libri, ma il risultato dell’era post Internet è che in realtà ci dedichiamo di più alla lettura. Con alcune sorprese Ma è proprio vero che leggiamo meno? di Costanza Rizzacasa d’Orsogna E’ il solito refrain. «Non riesco più a leggere un romanzo», «ho la soglia di attenzione di un treenne», «ormai leggo solo la timeline di Twitter». Succede soprattutto ai trentenni (e ai quaranta-cinquantenni che si credono tali, ma questa è un’altra storia): iperconnessi e però nati quando Internet non era ancora accessibile a tutti. Un piede nella carta stampata e uno sul web, figli di nessuno. Rimpiangono un’età dell’innocenza, di quando si perdevano per ore dentro i libri. Ricordano pomeriggi mai esistiti passati sotto un albero a leggere Platone. Si stava meglio quando si stava eccetera. C’è cascata, per tirarsela, anche il ministro della cultura francese, Fleur Pellerin: «Non leggo un libro da due anni». Tutto questo ha un nome. Reading insecurity, l’insicurezza della lettura: l’ansia di non saper più leggere, di non assorbire, nell’era digitale, quanto un tempo. È dappertutto, e contagiosa. Tanto che da Spritz a Spreeder impazzano le app per migliorare la velocità di lettura e comprensione (la prima è anche preinstallata nel nuovo smartwatch Samsung). La scienza acuisce il dubbio. Online non leggiamo ma scremiamo, dicono: i nostri occhi co- Gratis Su Internet possiamo accedere gratuitamente a più di un miliardo di siti Ammissioni Il ministro della Cultura francese, Fleur Pellerin ha confessato: non leggo un libro da 2 anni Per affezionati Con i suoi trenta milioni di iscritti spopola online il club della lettura «Goodreader» me scanner. «Leggiamo per informarci», come se valesse meno. Distratti da link, video e popup, ma anche email e social: un vortice di allettanti contenuti a portata di clic. Addirittura, a giugno, uno studio della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, suggeriva che Google ci rende stupidi. Atrofizzando la capacità di far domande e uccidendo la voglia di sapere. Mentre il fuoco di fila di stimoli estranei impedirebbe la costruzione della memoria a lungo termine. «Siamo spugne davanti a un idrante perennemente aperto», osservava David Carr sul New York Times. «Se Virginia Woolf aveva ragione, e il Paradiso è un continuo infinito leggere — ha ironizzato Kathy Waldman su Slate — allora ci hanno buttati fuori». Ma è proprio così? Davvero Internet ha ucciso l’«ingaggio» profondo e prolungato con un testo? Davvero i pixel rendono le nostre idee vaghe ed effimere? Davvero passavamo sei ore con la testa dentro un libro, immuni alla tv e agli impegni quotidiani (e se è così, non era perfino un po’ infantile)? O non siamo nostalgici di un Eden che non è mai stato, di idealizzate maratone di lettura che in realtà facciamo oggi nel vivere online? Sembra, quest’ostentata nostalgia, la replica dello scontro medievale tra tradizione ora- le e scritta: dove saremmo oggi se avesse prevalso la prima? Chi rimpiange il papiro alzi la mano. «Certo che Internet sta ricablandoci il cervello — replica il Guardian a quanti sostengono che il web promuove l’ignoranza —. Si chiama apprendimento, gente». Tanto più che uno studio del Pew rivela come i Millennial leggano più libri delle generazioni precedenti. L’88%, negli States, ne ha letto uno nell’ultimo anno, contro il 79% degli over 30. Internet ha democratizzato la lettura: possiamo accedere quasi gratuitamente a infiniti documenti, un miliardo e più di siti. E con gli e-book portiamo con noi una biblioteca. Leggere più velocemente, poi, vuole dire poter leggere di più. Quanto impiegheremmo oggi per una ricerca se non ci fosse Internet? Non sarà, la nostra, mal riposta filosofia del sacrificio, che se non costa fatica poi non vale? Così, se uno studio sul magazine Slate del columnist del New York Times Farhad Manjoo dimostra come pochissimi sul web finiscano un articolo, i pezzi lunghi trovano nuova casa e culto online, non solo su siti specifici come Longreads.com. Proprio il New York Times ha vinto il Pulitzer per un progetto di 10mila e più caratteri che fonde testo, foto, video e mappe interattive (i deplorati collegamenti ipertestuali, che permettono all’utente di decidere per sé il livello di lettura), creando un’esperienza coinvolgente. E secondo il National Literary Trust, il 52% dei nativi digitali ha eguali capacità di concentrazione, di comprensione e di memoria dalla carta allo schermo. Per non parlare delle migliaia d’iniziative social dedicate alla lettura. Dal club della lettura online Goodreads, coi suoi 30 milioni d’iscritti (+10 % in un anno) e 34 milioni di recensioni, all’hashtag #unamoredilibro, che ha sbancato Twitter. Spopola il bookcrossing, condivisione gratuita di libri tramite tracciamento web, e grazie ai social network interagiamo come mai prima con le case editrici (non a caso Sandro Veronesi ha presentato il nuovo libro ai blogger). Così, nei giorni scorsi, una maratona di 36 ore di lettura di Anna Karenina è diventata un fenomeno virale, con milioni di utenti che hanno seguito su YouTube russi di tutto il mondo leggere le avventure dell’eroina di Tolstòj. © RIPRODUZIONE RISERVATA di Antonella Baccaro PERCHE’ GLI UOMINI NON SI RIBELLANO LA LEZIONE DI NICK SUL POTERE A mici, compagni, amanti, mariti, padri. Uomini. Non c’è ruolo in cui il sesso «forte» oggi non venga tacciato di inadeguatezza. Non parliamo delle chiacchiere di una combriccola di fanciulle single un po’ arrabbiate. Ci riferiamo all’immagine che si può trarre da libri, film, serie tv, insomma da tutte le forme di rappresentazione della realtà, drammatiche o meno che siano. Prendiamo il film del momento, «Gone girl» (che è in realtà un bellissimo libro di Gillian Flynn edito da Rizzoli): il protagonista Nick Dunne, interpretato da un Ben Affleck appositamente imbolsito e scientificamente spaesato, all’inizio appare un bonaccione che un bel giorno scopre la sparizione della moglie. Un passo dopo lo ritroviamo nelle vesti di un marito fallito un po’ manesco, per poi diventare un potenziale, grossolano assassino. Infine, quando si scopre che potrebbe essere solo la vittima di una mente malata, quando si spera che possa trovare il suo riscatto, il personaggio ripiomba in un’inspiegabile debolezza, restando prigio- niero di una tela ordita da una donna diabolica. Il film è stato criticato dalle femministe perché traccerebbe un profilo di donna molto negativo, ma in realtà chi esce peggio è proprio il protagonista, lucidamente incapace di sottrarsi a una persona mentalmente compromessa. Ma perché gli uomini non fanno niente per riscattare la loro immagine? Perché non esiste un movimento a difesa del maschio tanto vituperato? Non avevamo trovato una risposta fino a quando non abbiamo visto il finale del film di Mariti in crisi, padri inadeguati Non c’è ruolo in cui non escano male cui abbiamo parlato. C’è nell’atteggiamento di Nick l’acquiescienza di chi ritiene troppo faticoso ribaltare una situazione e dunque vi si adatta perfettamente, alla fine riuscendo a riprenderne il controllo. È come se tutto questo agitarsi del mondo femminile per acquisire un ruolo fosse considerato un inevitabile fastidio, lo scotto da pagare per secoli di prevaricazione. Ma sotto sotto c’è anche la consapevolezza che l’immagine sarà anche pessima, ma il potere degli uomini è ben lungi dall’essere tramontato. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 8727381