nuovo numero del giornalino

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nuovo numero del giornalino
Parrocchia di San Giuseppe - Melito P.S.
“TU AL CENTRO DEL MIO CUORE”
Pange lingua.
Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.
Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della Sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della Sua dimora quaggiù.
Nella notte dell’ultima Cena,
sedendo a mensa con i Suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della Legge,
si diede in cibo agli Apostoli
con le proprie mani.
Il Verbo fatto carne cambia con la Sua parola
il pane vero nella Sua carne
e il vino nel Suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.
Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran Sacramento;
l’antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.
Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.
Amen.
San Tommaso d’Aquino
Opere di misericordia corporale
“Vestire gli ignudi”
L’atto di vestire la nudità pone l’intera esistenza umana sotto il segno della
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cura che un altro (a partire dalla madre) ha e manifesta per noi.
Il vestirsi è un’arte che il bambino impara grazie alla madre che lo veste;
l’anziano poi deve spesso farsi aiutare a vestirsi e a svestirsi. E durante
l’esistenza sono le situazioni di povertà e di miseria che possono spogliare dei
beni e ridurre alla nudità. Una nudità che significa non solo esposizione alle
inclemenze del tempo, ma anche umiliazione, indegnità, inermità, assenza di
difese, pericolo. La nudità è abbandono allo stato di natura, mentre il vestito
è opera di cultura e distingue l’uomo dagli animali.
Gente che non ha la sufficienza per coprirsi ce n’è sempre stata nel mondo. Lo
diceva tanti e tanti secoli fa anche il libro di Giobbe (24,7): «Nudi passan la
notte, senza panni, non hanno da coprirsi contro il freddo». Quando il freddo
si accompagna alla nudità, e se vi si aggiunge anche fame e sete, allora la situazione diventa insostenibile.
È opera di misericordia donare un vestito, indumenti intimi, calzature a chi ne
è privo. È misericordia vera se gli indumenti donati sono in ottimo stato, possibilmente nuovi, acquistati con nostro sacrificio, magari risparmiando sui nostri vestiti, evitando l’esibizionismo del capo firmato. Certa carità, fatta con
vestiti vecchi e rattoppati, liberandoci di cose inutili che noi non indosseremmo mai, viene identificata dalla gente semplice come “carità pelosa”.
C’è anche una nudità che coincide con l’assenza di un tetto.
Nelle grandi città ci sono i cosiddetti “baraccati”. Le baracche sono l’ultimo
anello di una serie di abitazioni chiamate “improprie”. Impropria significa
molto spesso: umidità che deturpa e consuma, assenza di servizi igienici,
promiscuità per la ristrettezza dei locali, rischio di malattie infettive. Le baracche non ci sono ovunque; abitazioni improprie esistono in ogni città. La carità
in questi casi deve procedere strettamente collegata con la giustizia sociale e
deve tradursi nell’impegno politico perché il diritto alla casa sia una realtà per
ogni uomo.
Esiste poi una nudità più profonda e sottile. L’atto di vestire chi è nudo impli3
ca un prendersi cura del suo corpo, un’intimità dunque, un toccare e misurare
il corpo per poterlo adeguatamente vestire.
Ma implica anche un prendersi cura della sua anima, in quanto il vestito protegge l’interiorità e sottolinea che l’uomo è un’interiorità che necessita di custodia e protezione. Il vestito traduce quel senso di pudore che forse è il più
antico gesto che distingue l’uomo dagli animali e che non si limita all’ambito
sessuale, ma ha a che fare con la totalità dell’essere umano, e soprattutto con
il senso dell’identità e della soggettività.
Vestire gli ignudi significa allora restituire ad ogni persona il rispetto di sé,
l’amore verso se stessa, l’adorazione del mistero della vita che ha ricevuto e
di cui è responsabile.
Non si tratta più di fornire vestiti a chi non ne ha, o coperte a chi ha freddo. Si
tratta di rivestirci dei valori dei quali ci stiamo lentamente privando, in nome
del progresso
o della libertà.
Vestire gli ignudi è rivestire i nostri fratelli e noi stessi di quei valori che fanno
grande l’uomo, o - più semplicemente - gli permettono di dirsi uomo veramente.
Bella e utile è quindi l’esortazione di San Paolo a rivestirci ogni giorno dei veri
valori: «Fratelli, rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di
misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza… Non conformatevi alla mentalità di questo mondo» (Col 3,12 e Rom 12,2).
Vestire gli ignudi: la prima opera di misericordia corporale e spirituale praticata dal Creatore. Quando Adamo ed Eva s’accorsero delle conseguenze del loro
peccato, Dio, con inaudita tenerezza, procurò un vestito per coprire la loro
nudità e il loro peccato.
Il Miracolo Eucaristico di Parigi - Les Billettes.
A Parigi, al numero 24 di Rue des Archìves, vi è una bella chiesa del 1700, ap4
partenente ai luterani, con accanto un magnifico chiostro in stile gotico. In
quel luogo, nel 1290, si verificò un importante miracolo eucaristico.
Nel 1290 quella via si chiamava Rue des Jardins, aveva poche costruzioni e
c’era molto verde. Ogni casa aveva un bel giardino.
Di quanto successo non restano reliquie. Vicende varie hanno portato a perdere ogni cosa, ma restano molti documenti scritti, che inducono a ritenere
che la storia abbia veramente un solido fondamento.
Il testo di riferimento è la “Storia della Chiesa di Parigi”, scritto da Mons.
Rupp, anziano nunzio apostolico, che ha narrato gli avvenimenti che oggi presentiamo.
Nel luogo dove ora sorge la chiesa luterana, abitava un ebreo di nome Jonathas, che faceva l’usuraio. Ce l’aveva a morte con i cattolici, in particolare
odiava il Sacramento dell’Eucarestia.
Seguendo l’impulso di questo odio, un giorno organizzò una cosa orribile.
Tra i suoi clienti, aveva una donna cattolica alla quale aveva dato dei soldi in
cambio di un pegno prezioso. La donna voleva riscattare quel pegno a lei molto caro, ma non possedeva la somma necessaria.
L’ebreo le fece una proposta: «Se tu mi porti un’Ostia consacrata, io ti restituisco il pegno senza volere nient’altro».
La donna era titubante ma alla fine cedette al ricatto. Il 2 aprile di quell’anno
si celebrava la Pasqua. La donna andò a fare la Comunione e poi nascose l’Ostia consacrata e la portò all’ebreo Jonathas ottenendo la restituzione del pegno.
Jonathas cominciò a sfogare il suo odio e la sua rabbia contro quell’Ostia. Sapeva bene che per i cattolici in essa vi era realmente Cristo. E poiché odiava
Cristo, odiava quell’Ostia.
Prese un coltello e cominciò a infierire contro quel pezzetto di pane. Ma con
sua grande meraviglia, dai tagli che procurava sull’Ostia, cominciò a scorrere
sangue.
Quel fatto non calmò il suo furore, anzi lo eccitò. ]onathas prese l’Ostia e la
gettò nel fuoco del caminetto della sua casa, ma l’Ostia si alzò al di sopra delle
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braci e delle fiamme, continuando a perdere sangue.
Jonathas la prese e la gettò nella pentola che bolliva sul fuoco e l’Ostia, dopo
aver arrossato di sangue l’acqua, si levò in aria, prendendo l’aspetto di un
crocifisso. Restò in aria per diverso tempo.
L’ebreo non riusciva più ad afferrarla. Cominciò a spaventarsi. Accorsero i suoi
familiari, e anche loro si spaventarono. Chiesero aiuto. Si sparse la voce del
prodigio, arrivarono altre persone che videro il fenomeno.
Finalmente, da sola, l’Ostia scese e si depositò nella scodella che una donna
cattolica, del gruppo dei curiosi accorsi a vedere, teneva in mano. Quella donna la portò dal sacerdote della sua parrocchia, la chiesa di Saint Jean en Grève.
Il sacerdote, conosciuto il racconto di quanto era accaduto, la depose in un
tabernacolo dove rimase per diverso tempo. Poi venne costruito un reliquiario per conservarla alla venerazione dei fedeli.
La storia riferisce che Jonathas, sconvolto da quanto era accaduto nella sua
casa, si convertì al Cristianesimo insieme a sua moglie, ai suoi figli e anche ad
altri ebrei suoi amici. La sua casa cominciò subito ad essere indicata con il
nome di “Casa del miracolo”, e un anno dopo il prodigio re Filippo il Bello volle recuperarla per fame un luogo di culto.
La affidò a Réimer Fleming che la trasformò in una cappella. In seguito, nel
giardino che circondava la casa, fu costruito un piccolo convento, con un chiostro in stile gotico, affidato alle Carmelitane di Rennes.
Intorno al 1756, l’originale Cappella venne ristrutturata e ingrandita diventando la Chiesa “des Billettes”.
Dopo la Rivoluzione francese, e precisamente nel 1808, Napoleone ne fece
dono ai luterani.
Quel miracolo fu sempre vivo nella memoria dei parigini. In ricordo di quel
miracolo, il popolo aveva cambiato nome a “Rue des Jardins” facendola diventare “Rue où Dieu fut bouilli”, ovvero “Via dove Dio venne bollito”.
E negli antichi documenti si trova citata anche con questo nome.
Nel 1400 venne composta una rappresentazione poetica, in un prologo e quat6
tro atti, dal titolo “Mistero dell’Ostia Santa”.
Esistono miniature, vetrate, dipinti che ricordano il fatto.
Nella chiesa di Saint Jean en Grève, dove si conservava l’Ostia miracolosa, veniva recitato un “Ufficio liturgico della riparazione”, composto appositamente
per quanto era accaduto in casa dell’ebreo Jonathas.
Durante le celebrazioni del Corpus Domini, quell’Ostia veniva portata in processione insieme alle altre reliquie che ricordavano il prodigio. Ma dopo che
la chiesa “des Billettes” passò ai luterani, purtroppo le reliquie vennero smarrite.
Questo è il racconto, mille volte ripetuto, che i parigini si son tramandati di
generazione in generazione.
Che cosa c’è di vero in questa storia meravigliosa? Si è tentati di non vedervi
che il prodotto della immaginazione antisemitica del Medioevo. Tuttavia i documenti contemporanei del fatto sono unanimi nel narrarlo. Giovanni Villani,
nel VII libro della sua illustre "Storia di Firenze", ne parla al capitolo 136.
L’evento è localizzato nel tempo (2 aprile 1290), nello spazio (Rue des Billettes), in una casa che diventerà cappella dal 1295 e lo è anche oggi.
Oltre che il testo di Mons. Rupp cui sopra abbiamo fatto riferimento, qualche
altra prova storica la si può ricavare dal libro “A Parigi, via dei Giardini” scritto
dalla Sig.ra Moreau-Rendu.
L’autrice, dopo una minuziosa ricerca di documenti, tutti sottoposti a un rigoroso esame, concluse con sicurezza per l’autenticità dei fatti.
Due documenti contemporanei attestano questi avvenimenti. Anzitutto una
relazione del miracolo; l’originale è certamente scomparso al tempo della rivoluzione francese, ma nel 1604, il consigliere di Stato, Girolamo Séguier,
fabbriciere d’onore a Saint Jean en Grève, ne aveva pubblicato il testo.
Altro documento che fa riferimento al miracolo è conservato negli Archivi nazionali e proviene dal libro del coro di Saint Jean en Grève: le nove lezioni del
mattutino de “L’Office de la Rèparation”, preghiera che si celebrava in quella
chiesa, con l’approvazione del Vescovo di Parigi, la domenica detta di "Quasi
modo".
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Altri fatti sono ugualmente significativi: la confisca della casa di Jonathas,
chiamata "La Casa dei Miracoli", da parte del re Filippo il Bello che registra un
atto di vendita datato il 1291 e la trasformazione di questa casa in oratorio
dopo una bolla che era stata ottenuta da Papa Bonifacio VIII.
Ulteriore testimonianza a riprova della veridicità degli avvenimenti narrati si
può trarre dal fatto che in tante occasioni di pubbliche cal, le Autorità ecclesiastiche ordinarono processioni verso la Chiesa “des Billettes”. Famosa fu
quella che si tenne il 15 maggio 1446 per implorare la pace, alla quale parteciparono circa 10.000 persone.
Bisogna anche menzionare la testimonianza apportata dall’arte. Anzitutto da
parte della letteratura, per esempio, un "Mistero dell’Ostia Santa" del secolo
XV che comprende un prologo e quattro atti in versi. Poi dalla pittura: miniatura di un cartolario del secolo XVI conservato negli Archivi nazionali che rappresenta la scena del sacrilegio; un’altra miniatura della stessa epoca conservata nella Biblioteca nazionale che riproduce il medesimo soggetto; infine dalle vetrate, per esempio a Saint Etienne du Mont e a Saint Nicolas de Troyes.
In presenza di tanti documenti e testimonianze, sembra dunque molto imprudente negare il fatto del prodigio.
Gli ebrei perciò non sono messi in causa, ma solamente l’usuraio Jonathas:
del resto, si dice che alla vista del miracolo, la sua donna e i suoi figli e altri
suoi correligionari, chiesero il battesimo: perché Dio non compie mai per
niente i suoi prodigi, ma li fa sempre servire per la salvezza degli uomini.
Buona e santa festa di San Giuseppe a tutti.
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