pp. 1÷18 - Cantook.net

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pp. 1÷18 - Cantook.net
indows sociolo
diretta da Filippo Barbano
windows sociologia
Luigi Berzano - Cristopher Cepernich
Società
e movimenti
ellissi
Estratto della pubblicazione Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
WS3
windows sociologia
ellissi
Estratto della pubblicazione
windows sociolog
Diretta da Filippo Barbano
windows sociologia
Luigi Berzano - Cristopher Cepernich
Società
e movimenti
ellissi ®
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
Estratto della pubblicazione
Il catalogo è consultabile al sito Internet
www.ellissi.it
Luigi Berzano è autore dei capitoli 1, 2, 3, 6 e 7.
I capitoli 4, 5 e 8, con relativi ipertesti, sono opera di Cristopher Cepernich.
Daniela Molino ha curato gli ipertesti dei capitoli 2, 3, 6 e 7.
Progetto grafico e copertina a cura di
Gianfranco De Angelis
Finito di stampare presso
«Legoprint Campania Srl»
Via Murate 1/b - Napoli
per conto della Esselibri
nel mese di dicembre 2003
Tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale
©
ellissi è un marchio della ESSELIBRI S.p.A.
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Estratto della pubblicazione
Presentazione della collana “Windows Sociologia”
○○○○○○○○○○○○○○○○○○○○○
Si discute se la progressiva diffusione di Internet non provocherà, più o meno a
breve termine, la morte o l’estinzione del libro. Comunque si risponda, se è
vero, com’è vero, che Internet globalizzato (o globalizzata?) non potrà sostituire mai la letteraria individualità del libro, ed anzi si discosterà sempre più dalla
sua umana presenza, senza quindi estinguerla, è anche vero che il libro può
assumere tutte quelle forme e proprietà selettive, in sé e tra il testo ed il lettore,
che Internet globalizzato non potrà mai attribuirsi. Le potenzialità accumulative
stanno ad Internet, come le potenzialità selettive stanno al libro.
Le centinaia di libri, ordinati su metri di scaffali che occupano l’abitazione di
uno studioso professionale, o anche solo di una persona o di una famiglia
colta, non raramente provocano l’ingenuo interrogativo: “Ma li avete letti tutti
questi libri?”. Al che si può rispondere che se, per esempio, una vettura è costituita da decine di parti, centinaia di pezzi e di elementi principali e secondari,
tutti funzionali alla vettura completa come macchina, moltissimi saranno gli
attrezzi del meccanico, gli strumenti dell’aggiustatore, i quali useranno attrezzi
e strumenti non tutti in una sola volta, ma ora l’uno ora l’altro, facendo scelte
funzionali con il tutto e più o meno interattive con le parti.
Anche i rapporti tra ogni singolo testo ed il lettore, fruitore, utente ed i relativi
bisogni di informazione e di formazione sono legati all’interazione. In altre
parole, chi ha una certa quantità e qualità di libri, quando non sia solo un
bibliofilo o un bibliomane, ma uno studioso, o, anche solo un utente del libro,
a scopi vuoi informativi vuoi formativi, usa i suoi libri, né tutti simultaneamente, né uno solo singolarmente, ma sceglie ogni testo e per ogni occasione
interattivamente, sì che, alla fine di una vita, uno può anche dire di aver letto
volta per volta migliaia e migliaia di libri. Questo risultato selettivo non è lo
stesso risultato che quello cumulativo nella testa degli scorridori delle praterie
internettiane.
All’interazione tra i libri può seguire, in più o meno larga misura, una interazione
sia nei testi sia nella loro composizione, le quali potrebbero essere perseguite
come un programma di scrittura e di nuova editorialità. Rimando il lettore ad
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Presentazione
alcune mie precoci elucubrazioni circa la nozione di “editorialità” e la sua evoluzione, da una editorialità della parola scritta, la cui storia risale certamente alla
rivoluzione, a suo tempo avvenuta, della parola stampata, ad una editorialità
dell’immagine, come aspetto conseguente: il passaggio dai media tradizionali
ai media personalizzati, sul piano della esposizione simbolica. (Mi riferisco a
Nuove tecnologie: sociologia e informazione quotidiana, F. Angeli, Milano, 1982,
a cura di F. Barbano, p. 112, nota 115). La Collana “Windows Sociologia”
intende perseguire un programma relativamente nuovo di testi scientifici secondo, appunto, una editorialità innovativa.
L’efficacia, la bontà e la diffusione, sia di mercato sia di pubblico, di un libro,
dipendono massimamente dal grado di interattività contenuta nel testo e tra il
testo ed il lettore. Si va da un grado di interattività compatibile con bisogni di
ricezione informativa del lettore (avere nozioni, informazioni, orientamenti pratici, oppure scoprire personaggi, ambienti, trame, storie ecc.) ad un grado di
interattività compatibile con un bisogno di ricezione formativa, cioè di lettura
non solo lineare (dal principio alla fine, tipicamente nei testi sistematici e nella
narrativa) cioè in modo sequenziale, ma soprattutto selettivamente, cioè componendo, scomponendo e ricomponendo selettivamente, più e più volte a seconda del bisogno, il testo, con ampie possibilità di scelta. È a questo grado di
interattività selettiva che abbiamo non solo testi ma ipertesti, come intendono
essere quelli della Collana “Windows Sociologia”.
T.H. Nelson, inventore, a quanto mi risulta, della parola “ipertesto” così lo definisce: “Con ipertesto intendo scrittura non sequenziale, testo che si dirama e
consente al lettore di scegliere; qualcosa che si fruisce al meglio davanti a uno
schermo interattivo. […] un insieme di brani di testo tra cui sono definiti legami
che consentono al lettore differenti cammini” (T.H. Nelson, Literary Machines
90.1, Muzio, Padova, 1992, ed. or. 1981; citato in G.P. Landow, L’ipertesto.
Tecnologie digitali e critica letteraria, a cura di P. Ferri, Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 8, nota 18). Con la parola ipertesto si può anche intendere: “[…]
una serie di blocchi testuali o lessie (unità di lettura) e una serie di collegamenti
o rimandi (links) istituiti tra tali blocchi, tra porzioni di tali blocchi o all’interno
di un singolo blocco” (F. Ciotti, G. Roncaglia, Il mondo digitale. Introduzione ai
nuovi media, Laterza, Roma-Bari, 1999).
Così, ogni testo di “Windows Sociologia” è composto selettivamente di moduli
espositivi, tali da formare un vero e proprio ipertesto che risponde al bisogno
del lettore, o dello studente, di leggere il libro in maniera non solo sequenziale,
e di usarne in maniera del tutto libera. In altre parole, i testi di “Windows
Sociologia”, in quanto la loro composizione e struttura non si esauriscono nella
esposizione lineare, ma si servono di più moduli espositivi, di “finestre” appunto, favoriscono anche l’Autore, sia nel comporre e ricomporre insieme i mate-
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Estratto della pubblicazione
Presentazione
riali e le fonti che, abitualmente, ciascuno di noi appresta per una buona lezione accademica, sia nell’animare la scrittura con figure e schemi, tavole comparative, cronologiche, sinottiche, immagini e mappe di contenuti; cioè nell’esercitare una fantasia multirappresentativa del testo, propizia, non da ultimo, a
variazioni sui temi di interrogazione e verifica informativa e formativa.
Una collana di testi come quelli di “Windows Sociologia” va alla ricerca di un
adeguamento realistico e ben articolato della editorialità universitaria ai caratteri fondamentali della recente riforma universitaria, con il sistema cosiddetto
3+2 e relative conseguenze di diffusione pubblica e di mercato dei testi, e la
loro produzione circa le classi, le attività formative, il sistema dei crediti, i
prerequisiti conoscitivi e i debiti formativi.
A conclusione di questa breve presentazione della Collana “Windows Sociologia”
vorrei dire che, per l’orientamento critico e formativo che si vuol imprimere alla
Collana nel suo insieme, e che si intende esprimere in ognuno dei suoi testi
nella loro individualità singola, ogni Autore è invitato a dare, tra i blocchi
espositivi analitici, un particolare rilievo ai collegamenti o rimandi (links) di
significato dinamico e/o storicizzato: e di fare ciò, introducendo in ognuno dei
blocchi espositivi analitici, e fra di essi, la considerazione di uno o più processi
storico-sociali e culturali, così da integrare i cosiddetti fondamentali della conoscenza sociologica, nuova e tradizionale, con le loro masse critiche.
Torino, 5 febbraio 2002
Filippo Barbano
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Estratto della pubblicazione
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Nessuna presenza, come quella dei Movimenti, ha, in questi recenti anni di
inizio del Secolo – mi si permetta il bisticcio di parole – “movimentato” sia la
società sia, di conseguenza, la Sociologia e i Sociologi. Luigi Berzano e Cristopher Cepernich, ben interpretando i criteri propri della nuova testualità, voluta e ricercata nella presente collana, testualità alla cui forma essi hanno apportato notevoli innovazioni, hanno lungamente riflettuto sugli aspetti teorici
ed empirici della fenomenologia dei Movimenti ed ora ce ne offrono un ricco
paesaggio analitico, nonché storico-sistematico, secondo un precetto di storicità,
la cui rilevanza mi è caro sottolineare anche nella presente circostanza, quando
la storicità trova, nei Movimenti, appunto, la sua più chiara evidenza come
fonte integrativa di teoria e ricerca.
Lo status quaestionis relativo ai movimenti sociali è, come si può riscontrare in
queste pagine, di una notevole complessità, in relazione sia alla dinamica sia
alla varietà come fenomeni del campo sociologico, economico, politico, psicologico, antropologico nonché della informazione e della comunicazione. Credo
però sia indispensabile introdurre, preliminarmente, nei costrutti storico-sistematici dei due Autori, una chiara distinzione tra movimenti sociali e movimento societario; da un lato, al plurale, soggetti o attori storico sociali (MovimentiMovimento), dall’altro lato, al singolare, il movimento come processo societario
globale, appartenente cioè alla dinamica complessiva della società, nella quale
i movimenti si presentano (Movimento-Movimenti). Questa distinzione, da un
lato, ci salvaguarda dalle mere classificazioni dei movimenti e ne instaura la
storicità come fonte di teoria e ricerca sociale; dall’altro lato, l’accezione di
movimento, inteso come processo societario, è indispensabile, allo scopo di
determinare le condizioni dinamiche dei movimenti sociali come conseguenze,
non solo della loro forza autonoma, ma anche del mutamento e delle trasformazioni che avvengono nella società come un tutto.
Si possono ravvisare almeno tre ordini di tali condizioni: 1) l’ordine dinamico
della società generale, della sua complessità e delle sue fluttuazioni; 2) l’ordine
istituzionale consolidato dal “sistema” sociale, economico, politico, religioso,
culturale ecc.; 3) l’ordine delle identificazioni relazionali interattivo-simboliche:
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Prefazione
popolazionali, demografiche, etniche, antropologiche, territoriali e relativi processi di pluralizzazione. Questi tre ordini di condizioni sono determinanti allo
scopo di una ricomposizione della variegata foresta movimentistica, dal punto
di vista, per esempio, della globalizzazione, della conservazione della democrazia deperita, della rivoluzione delle Nuove Tecnologie.
Vorrei dare, qui di seguito, alcuni input alla lettura sui movimenti, con riferimento all’ambito dei tre ordini di condizioni sopra indicati. Intanto, l’esperienza del Movimento-Movimenti sembra poter offrire una connotazione alternativa alla onnipresente questione della Globalizzazione, cioè l’invasivo trasporto
mondiale del capitalismo industriale, dei suoi modi di produrre, di dare lavoro,
di misurare il salario e di fare mercato. Nell’ordine dinamico della complessità
sociale, il Movimento-Movimenti può rappresentare una fluttuazione opposta e
contraria, un processo di movimentazione diverso da quello della globalizzazione,
tale da rideterminare anche i tradizionali concetti di Sviluppo e di Progresso. Di
più: il Movimento-Movimenti, oltreché indicare alternative alla occidentalizzazione economico-finanziaria, rappresenta processi di movimentazione della società civile a livello totale, cioè della cosiddetta “società generale”, il cui concetto,
venuto nei decenni a svuotarsi di significato, potrebbe riprendere ora un senso
dinamico, contrapponendo, alla società “forte” degli interessi, la società “fluida”
dei beni simbolici, tanto che, a questo livello, il Movimento-Movimenti assume
la realtà e il significato di un processo di fluidificazione, avverso al processo di
densificazione sistemica (globalizzazione).
I punti di vista possono essere, dunque, fondamentalmente due: quello del
Movimento-Movimenti, cui ho fatto cenno appena più sopra, e il punto di vista
dei Movimenti-Movimento. Alla base, dunque, di ogni lettura della crescente
fenomenologia dei movimenti, possiamo raffigurarci una nuova metafora dello
Sviluppo e del Progresso sociale come tendenze alla fluidificazione, impressa
dai processi di composizione e ricomposizione del Movimento-Movimenti. Fluidificazione, versus, per esempio, le rigidità multinazionali, finanziarie e amministrative, nonché militari e, in particolare, versus la burocratizzazione delle
procedure e delle istituzioni della democrazia rappresentativa e partecipativa. A
questo proposito, un ulteriore pensiero strategico potrebbe essere quello che
contrappone alla società densificata di massa, la società fluidificata del Movimento-Movimenti. La presenza del Movimento-Movimenti ricondiziona
perlomeno altri due pensieri strategici: il pensiero della mobilizzazione demografica, popolazionale, migratoria, quale si riscontra oggi in continua dilatazione e ascesa, e il pensiero della mobilitazione interattivo-simbolica, ravvisabile
appunto nella coppia Movimento-Movimenti, Movimenti-Movimento.
La fioritura più ricca di studi e di ricerche sui movimenti la si ritrova, come si
può riscontrare anche in queste pagine, nell’ambito della sfera sociopolitica,
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Estratto della pubblicazione
Prefazione
centrale per tutta la fenomenologia dei movimenti politici, nella loro storia,
relativamente breve, nel corso della modernizzazione dai primi decenni del
secolo scorso, fino ad oggi, dall’irruzione delle folle alla esondazione delle masse.
Il movimentismo ha pure trasformato significati socio-politici e sensi di tradizionali concetti, venerandi per la democrazia, come rappresentanza, partecipazione, propaganda, consenso, conflitto ecc.
Possiamo parlare di una polarità, crescente, tra una insostenibile solidificazione
delle globalità sistemiche; ed una insostenibile fluidità dei movimenti pluralistici.
È stato principalmente il declino del “sistema” dei partiti che ha favorito la
fenomenologia dei movimenti, a partire dalla tradizionale antinomia: istituzioni-movimento, divenuta oggi piuttosto obsoleta, sia nell’ambito delle realtà
organizzative, come di quelle partitiche, spesso in stato di grave ossificazione,
sia nell’ambito riflesso della antinomia guerra-pace. Come la globalizzazione
ha generato le condizioni dell’antinomia global-nonglobal, espressione di movimento per eccellenza, così la internazionalizzazione delle relazioni di stati, nazioni e popoli, in ordine alla difesa e alla sicurezza, ci ha fornito le condizioni
nuove dell’antinomia guerra-pace, fortemente espressiva, di un MovimentoMovimenti ben noto, le cui contraddizioni riceverebbero una spiegazione decisiva, dal punto di vista delle condizioni della nuova fase pluralistica dei Movimenti-Movimento pacifista.
Allo scopo di venire a discutere, brevemente, sul terzo ordine delle condizioni
dinamiche dei movimenti sociali, vorrei, senza la pretesa di una tipologia, avvicinarmi ad essa, con la seguente classificazione: Movimenti-Movimento, in senso organizzativo, e Movimento-Movimenti, in senso interattivo-simbolico, più
semplicemente, la distinzione tra Movimento di organizzazione e Movimenti di
opinione.
Questa distinzione tra “organizzazione” ed “opinione” ebbi modo di proporla
molti decenni fa, in un intervento richiestomi dalla rivista «Occidente» (N. Bobbio)
applicandola allo Stato, ovvero alla situazione dei partiti in Italia, negli anni
della Prima Repubblica, classificando tra “partiti di organizzazione” e “partiti di
propaganda”. Intervento e distinzione che non ebbero successo, ancorché fotografassero pertinentemente, nel nostro sistema partitico di allora, la presenza di
partiti di organizzazione di massa in ascesa, come PC e DC, e il declino di
partiti di opinione come il Partito d’Azione, il Partito Liberale ecc.
La distinzione in parola sembra essere, ora, ancora più opportuna, se applicata
anche ai movimenti che trovano sempre più spazio di interattività simbolica in
una sfera pubblica sempre più fluidificata da mezzi di informazione e di comunicazione altamente pluralizzati e grandemente più sofisticati rispetto ai mezzi di
comunicazione di massa degli anni Trenta. In breve, attraverso la distinzione tra
movimenti di organizzazione e movimenti di opinione, la congiunzione sempre
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Prefazione
più coinvolgente tra sfera pubblica politica e cyberspazio, riporta alla ribalta anche la realtà della Pubblica opinione e dell’Opinione pubblica.
Per quanto concerne la realtà della Pubblica opinione, essa si produce e si
riproduce quotidianamente sotto i nostri occhi, nel senso della trasmutazione
continua in correnti di pubblica opinione, di una quantità di interessi, appartenenti sia alla sfera pubblica sia a quella privata, tradizionalmente catturati e
polarizzati da partiti e sindacati, i quali hanno sempre maggiore difficoltà a
riconoscere quanto e come quegli interessi sfuggano alla loro capacità rappresentativa e decisionale.
Per quanto concerne il concetto di Opinione pubblica, che il sistema dei partiti
di massa della Prima Repubblica ridusse a una rappresentazione del tutto
fantasmatica (The Phantom Public), a partire dalle trasformazioni degli anni
Settanta, quel concetto e la relativa realtà hanno trovato condizioni nuove, nella evoluzione che i movimenti di opinione sono venuti a rappresentare, nel
modo in cui, da una democrazia rappresentativa e partecipativa di tipo tradizionale si cerca di passare ad una democrazia “deliberativa”, ove l’Opinione pubblica è non solo “specchio” ma “filtro”. In definitiva, oggi più di ieri, la pubblica
opinione e l’opinione pubblica rappresentano una straordinaria fonte di dilatazione del numero di cittadini informati e in condizioni di informarsi.
«Le scienze sociali – è stato scritto – ci forniscono una grande quantità di elementi che comprovano l’idea che i singoli cittadini sono “razionalmente ignoranti” in materia di politica e sulla cosa pubblica […] la mancanza di incentivi a
informarsi più seriamente, a essere più coinvolti e anche più attenti, è una disgrazia sotto il profilo della teoria democratica» (cfr. J.S. FISHKIN, La nostra voce.
Opinione pubblica & democrazia, una proposta, Marsilio, Venezia, 2003: pp.
158-159; ed. or. 1955). Il fatto è che, a questo pessimismo sugli interessi democratici della gente si è sempre accompagnato un relativo pessimismo sulla efficacia dell’opinione pubblica. La congiunzione della teoria dei movimenti sociali di opinione e di organizzazione, può rappresentare un buon contributo al
miglioramento delle nozioni di pubblica opinione e di opinione pubblica, in
relazione alla necessità di combattere l’attuale ossificazione delle procedure e
delle istituzioni della democrazia, nonché la tribalizzazione delle formazioni
partitiche.
Movimenti si concretano in pubblica opinione, l’opinione pubblica si concreta
in movimenti, è solo in questa rete di connessioni che si può pensare alla formazione di una sfera pubblica europea. È pure in questa rete che si ritrovano le
connessioni tra conflitto di interesse e movimenti etici, che potrebbero essere
anche più forti di ogni critica al diritto di proprietà. Un movimento etico di
grande interesse, quello dei cosiddetti hackers, notoriamente collegato con il
movimento alter-global, delle organizzazioni terzomondiste e del forum sociale
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Estratto della pubblicazione
Prefazione
di Porto Alegre (cfr. M. Berra, A.R. Meo, Informatica sociale. Storia e prospettive
del software, Bollati Boringhieri, Torino, 2001).
Nell’assieparsi della fenomenologia movimentistica, tracce di una tipologia, forse,
ora, possono essere fatte emergere. Per esempio alle formulazioni precedenti:
Movimento (densificazione della complessità) – Movimenti (fluidificazione delle società complesse); Movimenti (plurali) – Movimento (monistico, sistemico)
ed ancora: Movimento organizzativo – Movimento di opinione, ora possiamo
aggiungere la formulazione Movimento globale – Movimento “glocale”. Tutte
queste formulazioni, nella loro storicità riflessa, esprimono l’idea sia del movimento connessa alla densificazione del sociale, sia dei movimenti come fluidificazione delle società complesse, riconoscendo, nel primo, i movimenti di massa
facenti capo agli omonimi partiti nelle società di massa dagli anni Trenta, società dissoltesi nei due decenni del secondo dopoguerra; e, nei secondi, i movimenti trasformati in condizioni cyberspaziali di globalizzazione e di pluralizzazione, ove il cosiddetto “glocalismo” ha una duplice rilevanza: dal punto di
vista popolazionale territoriale e dal punto di vista relazionale-identitario.
Il “glocalismo” (R. Robertson) sembra, da un lato, richiamare sia il territorio
popolazionale, sia forme di rivitalizzazione comunitaria; ma non si può ignorare la rilevanza del “glocalismo” nel cyberspazio generato dalle Nuove Tecnologie. Certo è che la problematica dei movimenti sociali, oltreché surclassare i
punti di vista partitici, depaupera anche il terreno classico cosiddetto della “società civile”, l’espressione tradizionale della cittadinanza o verso lo Stato o verso la democrazia. Quale la formazione e la vita della “società civile”, in presenza
dei processi di fluidificazione della complessità sociale? È, quello di “società
civile”, un concetto che avverte la presenza del movimentismo o lo nega? Il
parere di chi scrive è che il tratto d’unione della tematica della “società civile” e
della tematica dei Movimenti sia il Pluralismo. Del resto, anche la tematica
della cittadinanza è stata in qualche modo desertificata dalla problematica del
movimentismo. Società civile residuale come terzo settore o società civile come
funzione dei movimenti?
Ora il problema è che la marea movimentistica, nella sua attuale esondazione,
sappia, nelle nuove condizioni del Pluralismo, salvare sia la società civile sia la
cittadinanza relativa. Tutto si risolverà nella pluralizzazione e tutto si conserverà
nel pluralismo democratico. In questa prospettiva sembra oggi mancare alle Scienze
Sociali in genere una forma adeguata di pensiero strategico. Si tratta, per esempio,
di coniugare il tradizionale pluralismo classico dei molteplici soggetti, istituzioni
e procedure della democrazia, cioè il pluralismo gius-politico organizzativo, con
il pluralismo relazionale, interattivo-simbolico le cui regole, pre-giuspolitiche,
dovrebbero potersi ritrovare anche nella vague etica dei movimenti.
La trasmutazione dal capitalismo produttivo-industriale al capitalismo finan-
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Prefazione
ziario, negli ultimi decenni, ha già avuto l’effetto di eccitare spericolate illusioni
finanziarie, individuabili in veri e propri movimenti di opinione e di interessi,
dediti alle vicende della Borsa, con visibili conseguenze sul risparmio delle
famiglie di ceto medio; effetti micro e macroeconomici già a suo tempo denunciati da economisti come Keynes e Sraffa. Ma questo, di Sociologia della Finanza, è tutto un altro discorso, anche se ha a che fare con l’esperienza della immediatezza degli interessi, cioè con la discrasia crescente tra il cittadino consumatore, avvezzo al diretto risultato consumeristico, e il cittadino elettore, costretto
alla impotenza e, talvolta, esasperante lentezza dei risultati politici (cfr. G. Rossi, Il conflitto epidemico, Adelphi, Milano, 2003).
Per quanto riguarda la nuova stagione dei Movimenti, all’inizio del nuovo secolo, intanto, non c’è dubbio che si possa credere – date le condizioni di una
crescente immaterializzazione dei beni interattivo-simbolici, favorita dalle Nuove Tecnologie – in una loro possibile e crescente funzione di fluidificazione
degli ordini istituzionali consolidati dai sistemi economico-finanziari, politico
partitici, religiosi, culturali ecc. e dalle condizioni della società densificata di
massa; mentre è in aumento il “conflitto epidemico” attribuibile al groviglio di
interessi, conflitto che inquina le condizioni della partecipazione elettorale, in
declino anche a causa della tribalità con la quale si offrono i partiti, in una
democrazia cui si sta facendo perdere il senso della libertà.
È vero, come dice Dahrendorf: «Può essere che nascano nuovi partiti portando
una ventata d’aria nelle competizioni elettorali e nei governi rappresentativi. Ma
con tutta probabilità ciò non basterà a ridare ai governi eletti la legittimazione
popolare perduta. Ripensare la democrazia e le sue istituzioni deve essere quindi
una assoluta priorità per tutti coloro che hanno a cuore il costituirsi della libertà».
Se ciò è vero, con riferimento diretto alla situazione italiana, concludo chiedendomi che cosa riuscirà a sciogliere il groviglio economico-politico dei conflitti di
interesse, se non anche una forte opinione pubblica, diffusi movimenti di opinione, e, perché no?, consolidati, efficaci ed esemplari movimenti etici.
Filippo Barbano
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Estratto della pubblicazione
Prefazione
Alcune tracce bibliografiche
La relativa tiepidezza della cultura democratica del nostro Paese ha un segno
infallibile nella scarsità degli interessi per il concetto di Opinione pubblica, che
non è, ovviamente, l’attuale sondaggistica. Chi scrive mosse i suoi primi interessi sociologici dal concetto di Opinione pubblica: Concetto e natura dell’opinione pubblica, in «Studi Politici», III, n. 2-3, giugno-novembre 1954, pp. 246-287.
Le parole di Ralf Dahrendorf: Ora governano le minoranze e la democrazia va
in crisi, su «la Repubblica» del 21 maggio 2003, p. 17. Sempre più assiduamente ricercato, il concetto di “società civile”. Non si può prescindere dai due volumi, a cura di P. Donati e I. Colozzi, Generare “il civile”: nuove esperienze nella
società italiana, Il Mulino, Bologna, 2001, e La cultura civile in Italia: fra stato,
mercato e privato sociale, Il Mulino, Bologna, 2001. Nella attuale riviviscenza
di interessi per la formazione e la funzione della “società civile”, maggiore rilievo si dovrebbe dare alle correlazioni teorico-empiriche tra società civile ed opinione pubblica: specchio del politico e filtro dei conflitti di interesse.
I due volumi della ricerca Donati-Colozzi sono stati recensiti: F. Barbano, La
società civile perduta e i suoi ricercatori, in «Quaderni di Sociologia», n. 30, in
corso di pubblicazione. Un’ampia Nota sulla ricerca di Berra-Meo: F. Barbano,
Pubblici della scienza e lavoratori del software, in «Sociologia. Rivista Quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», XXXVI, n. 2, 2002, pp. 131-140. Sul
contesto delle trasformazioni movimentistiche: F. Barbano, La sociologia in Italia. Le trasformazioni degli anni ’70, Franco Angeli, Milano, 2003. Nonché i
miei due contributi: La sociologia politica in Italia e un Contributo bibliografico
ad un rinnovamento morfologico in Sociologia della politica, in Marta Losito (a
cura di), La sociologia politica in Italia, Franco Angeli, Milano, 2000, rispettivamente pp. 17-35 e 151-171.
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Estratto della pubblicazione
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
Anche questo inizio di terzo millennio si presenta fitto di movimenti sociali e
mobilitazioni collettive. Non tutto è finito con il Maggio ’68, il 1977, il 1989.
Svuotare la storia dei suoi movimenti sociali significa non riconoscere le speranze e le emozioni degli individui. Ma proprio per questo fondo emozionale, i
movimenti sociali sono più fonte di reazioni e sospetti che di analisi. Questo
esperimento di “volume ipertestuale” sceglie invece la strada della ricerca.
Come si vedrà scorrendone le pagine, fenomeni sociali quali le folle, i gruppi, i
comportamenti collettivi e i movimenti, sono stati trattati, all’interno del processo di sviluppo della teoria e della ricerca sociologica, con concetti e modelli
interpretativi diversi, ognuno dei quali è indicativo degli interessi e delle sensibilità che si sono succedute nel tempo.
In tale differenziazione di teorie, questo volume intende presentare gli approcci
sociologici allo studio dei movimenti secondo un metodo storico-sistematico,
ricostruendone il contesto storico in cui sono maturati i principali concetti e i
più importanti modelli interpretativi, nonché le metodologie di ricerca usate, le
acquisizioni cui sono pervenuti sotto il profilo della validazione empirica delle
ipotesi formulate.
Gli otto capitoli che compongono Società e movimenti passano in rassegna la
fenomenologia dei movimenti sociali, così scandita: folla, gruppo, comportamenti collettivi, movimenti sociali, comunità virtuali. Vengono poi presentati i
principali paradigmi di interpretazione del fenomeno: la psicologia collettiva di
fine Ottocento o socio-psicologia collettiva, l’interazionismo simbolico, lo struttural-funzionalismo, la mobilitazione delle risorse, i nuovi movimenti sociali, la
sociologia dell’azione.
In merito al termine “paradigma” per designare approcci o prospettive sociologiche, se da un lato il suo utilizzo rimane una questione complessa e controversa, dall’altro non sembra fuori luogo il suo uso per la sua valenza euristica. Il
riferimento a Thomas Kuhn (1), per indicare il complesso delle posizioni che
(1) T. Kuhn, Paradigmi e rivoluzioni nella scienza, Armando, Roma, 1983; T. Kuhn, La
struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1979.
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Estratto della pubblicazione
Introduzione
emergono in diversi periodi storici, e i “salti” di prospettiva cui è dato assistere
in concomitanza con le trasformazioni economiche e sociali del tempo, risulta
quindi utile.
Nel primo capitolo (Dalla folla al “popolo di Seattle”: forme sociali e teorie
sociologiche) saranno presentate le forme sociali di base dei movimenti e saranno sinteticamente anticipati i principali paradigmi interpretativi del fenomeno.
Il secondo capitolo, dal titolo La folla nelle interpretazioni irrazionalistiche di
fine Ottocento. L’attualità di Le Bon e il ritorno delle tribù, analizzerà gli elementi irrazionalistici connessi alle dinamiche che si stabiliscono tra gli aderenti ad
un movimento: dai primi studi di psicologia delle folle condotti nell’Ottocento
da Tarde e Le Bon, al ritorno di attualità di questi elementi, per esempio nel
concetto di “tribù” ripreso da Michel Maffesoli.
Nel terzo capitolo, Dai classici alla Scuola di Chicago. Gruppi, comportamenti
collettivi, bande metropolitane, si tratterà dello studio dei gruppi e dei comportamenti collettivi, dalle teorie classiche alle analisi pionieristiche della Scuola di
Chicago, fino alle elaborazioni dell’interazionismo simbolico.
Con il quarto capitolo (I gruppi nella sociologia industriale. La nascita delle
“human relations”) si affronterà la questione dei movimenti dal punto di vista
della sociologia industriale: è infatti in questo campo che la sociologia ha definito compiutamente il concetto di gruppo informale, certamente centrale nello
studio dei movimenti.
Il capitolo quinto (Gruppi sociali e partecipazione politica. Elitismo, lobbying
e democrazia) esplorerà l’interesse per i gruppi all’interno della sociologia
politica: se infatti i movimenti sono forse la principale forma di partecipazione politica non istituzionale, questi non possono essere compresi fino in fondo senza essere posti in relazione al concetto di gruppo così come impiegato
nell’ambito della politica istituzionale. Questo è ciò che si intende fare con
questo capitolo.
Il sesto capitolo (Perché gli individui si mobilitano? I modelli utilitaristici:
dall’homo oeconomicus alla teoria della scelta razionale) affronterà la questione
dei movimenti nella prospettiva del modello utilitaristico nel quale opera l’homo
oeconomicus. Saranno esposte le teoria della scelta razionale e della mobilitazione delle risorse.
Il settimo capitolo sarà dedicato ai Nuovi Movimenti Sociali, etichetta “affibbiata” da Alain Touraine ai movimenti postindustriali e postmaterialistici degli anni
Ottanta, che si caratterizzano per l’aspirazione a soddisfare più bisogni particolaristici che universalistici. Il capitolo si intitola I Nuovi Movimenti Sociali.
Rivendicazioni di bisogni, servizi, qualità della vita, identità.
16
Estratto della pubblicazione
Introduzione
L’ottavo ed ultimo capitolo, infine, intenderà render conto del dibattito attuale
sui movimenti sociali. Con un obbiettivo un poco più ambizioso, esso avanzerà
l’ipotesi dell’esistenza di un nuovo tipo di movimento sociale, dopo i movimenti di massa e i Nuovi Movimenti Sociali: si tratta dei movimenti che sono il
prodotto dell’Età dell’Informazione e della globalizzazione e che, per le ragioni
che vedremo, abbiamo chiamato movimenti g-locali.
Prima di lasciare il lettore alle pagine che seguono, sembra opportuno spendere
qualche parola per guidarlo ad un utilizzo corretto di questo manuale. Le finalità didattiche che con esso perseguiamo cercano qui di raccogliere e interpretare compiutamente lo spirito della collana Windows Sociologia diretta da Filippo
Barbano. Questo proposito ha indotto autori ed editore a scegliere una disposizione del testo assai peculiare, in grado di espandere e trasformare l’apparato
critico, allo scopo di renderlo più ricco e utile ai fini della didattica.
In virtù di tali considerazioni e propositi abbiamo optato per la separazione del
testo, collocando nelle pagine a destra il testo base che costituisce il percorso
primario di lettura; nelle pagine a sinistra si trovano invece gli approfondimenti, in funzione all’approfondimento di temi di particolare interesse e in corrispondenza di parole chiave che identificano questi argomenti.
In questo modo, il volume mantiene la soluzione (irrinunciabile su un supporto
cartaceo) di una lettura sequenziale del testo, ma questa è resa più didatticamente funzionale da una serie di ipertesti (finestre, appunto), che consentono
approfondimenti mirati in corrispondenza di precisi nodi tematici. È a questo
livello che la logica ipertestuale che ispira questa collana diviene funzionale
anche se applicata ad un testo non elettronico. È altresì a questo livello che il
lettore smette per un momento la logica di lettura sequenziale e sposa – almeno
per un poco – quella ipertestuale, interattiva e “aperta”.
In questo modo tentiamo di coniugare (ci auguriamo con equilibrio) la necessità irrinunciabile di una lettura ordinata, comoda e organizzata come il supporto “libro” richiede, con le opportunità di libera interattività offerte dallo strumento “ipertesto”, così come lo definiscono, per esempio George Landow e
Theodor Nelson. Scrive il primo: «L’ipertesto è un testo composto da blocchi di
parole (o immagini) connesse elettronicamente secondo i percorsi molteplici in
una testualità aperta e perpetuamente incompiuta descritta dai termini collegamento, nodo, rete, tela, percorso» (2). Conferma il secondo: «Con ‘ipertesto’
intendo scrittura non sequenziale, testo che si dirama e consente al lettore dei
scegliere […]. Non più limitati alla sola sequenza, con un ipertesto possiamo
(2) G. Landow, Ipertesto, Baskerville, Bologna, 1993.
17
Introduzione
creare nuove forme di scrittura che riflettano la struttura di ciò che scriviamo; e
i lettori possono scegliere percorsi diversi a seconda delle loro attitudini, o del
corso dei loro pensieri» (3).
Gli ipertesti che presenteremo faranno riferimento alle seguenti categorie:
Autori
Figure
e fotografie
Bibliografie
Testo
Citazioni
Definizioni
Auguriamo a tutti una “buona lettura”,
Luigi Berzano e Cristopher Cepernich
(3) T. Nelson, Literary machines 90.1, Franco Muzzio, Padova, 1992.
18
Estratto della pubblicazione
Capitolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
Dalla folla al “popolo di Seattle”:
forme sociali e teorie sociologiche
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1
Le società industriali avanzate producono sempre nuove forme sociali di
vita collettiva. In queste società il moltiplicarsi di nuove forme di stare insieme
è una delle conseguenze del fatto che in esse gli individui abitano e si muovono
più facilmente che nelle società tradizionali. Gli individui possono abitare e
muoversi più liberamente, aggirandosi tra luoghi, culture e popoli diversi. In
questi contesti, poiché le appartenenze e le identità primarie, forti e univoche,
sono meno rilevanti, tutti si sentono più attratti e capaci di migrare anche da un
gruppo all’altro.
Questo primo capitolo intende presentare queste molteplici forme sociali
collettive che la sociologia dei gruppi ha da sempre analizzato: dalla “folla”, che
tanto interesse ha sollevato tra gli studiosi di fine Ottocento, fino al “popolo di
Seattle”, che in questo inizio di millennio ha rappresentato la forma più insospettata di movimento sociale. Si tratta di ricostruire una “corrente calda” del
XIX secolo, fatta di mobilitazioni di uomini e di donne attorno a speranze,
progetti, interessi, emozioni. Le parole che hanno mobilitato queste masse sono
state: lavoro, giustizia, liberazione, pace, ambiente, diritti civili.
In questa ricostruzione risulta ben più difficile individuare la fenomenologia
delle forme sociali, più che non la sequenza delle teorie sociologiche che si
sono susseguite dall’inizio della sociologia per interpretare tali forme sociali.
Nell’insieme delle discipline sociologiche quella che ha coltivato maggiormente
quest’area di ricerca è la sociologia dei gruppi. L’esame del concetto di “gruppo” dimostra come esso includa, in modo indifferente, formazioni sociali di
tipo completamente diverso. Il termine gruppo è stato impiegato, molte volte,
per indicare molteplici forme sociali: insieme di individui, aggregati, classi, folle, movimenti, collettività, comportamenti collettivi, azioni collettive, categorie
sociali ecc. Come tutte le definizioni troppo generali, quella di gruppo ha indicato, di conseguenza, fenomeni tra loro del tutto diversi. Si pensi a espressioni
come “gruppo nazionale” per indicare l’intera popolazione di una regione o a
quella di “gruppo familiare” per comprendere una coppia di genitori con un
figlio; esse designano realtà sociali così diverse che non dovrebbero essere definite con lo stesso termine.
Alcune delle distinzioni di gruppo possono apparire arbitrarie. In realtà è
indispensabile distinguere le varie definizioni in base alla dimensione, alla qualità delle relazioni, alla durata del gruppo, alle forme di appartenenza. Alcuni
sociologi fin dagli anni Trenta hanno proposto di usare il termine collettività
per indicare in generale quegli insiemi di individui che, condividendo valori
comuni, hanno acquistato un senso di solidarietà e di obbligazioni reciproche.
I gruppi farebbero parte dell’insieme delle collettività, ma se ne differenzierebbero per la peculiarità loro propria dell’interazione diretta tra i membri. Questa
distinzione tra collettività sociale e gruppo è l’esempio di quanto vorrebbe fare
20
Dalla folla al “popolo di Seattle”
questo capitolo: elencare i nomi e i concetti che, dal sorgere della sociologia ad
oggi, sono stati usati per definire questo fenomeno così antico degli uomini che
si raggruppano tra loro. Questa ricostruzione sarà fatta con un metodo che i
manuali definiscono storico-sistematico. Di ogni concetto, cioè, se ne indicheranno sia gli elementi analitici che lo compongono e la teoria generale che lo
comprende, sia il contesto sociale e culturale in cui si è formato, oltre che gli
autori che lo hanno proposto.
In modo descrittivo, le forme sociali di cui tratta questo volume si possono
individuare nelle cinque seguenti: le folle, i gruppi, i comportamenti collettivi, i
movimenti sociali, le comunità virtuali. A sua volta la sociologia si è interessata
e ha interpretato questi fenomeni con i seguenti sei modelli teorici: la sociopsicologia collettiva, l’interazionismo, lo struttural-funzionalismo, la mobilitazione delle risorse, i nuovi movimenti sociali, la sociologia dell’azione. Non si
accenna in questo contesto a un modello marxista e neo-marxista poiché esso è
comunemente riferito alle classi sociali. Secondo questi ultimi modelli la rivoluzione e i movimenti sociali (i cui principali attori sono le classi sociali antagonistiche) nascono dalla contraddizione strutturale fra il capitale e il lavoro e la
mobilitazione collettiva avviene con il passaggio dalla classe in sé (priva di
coscienza collettiva) alla classe per sé (dotata di coscienza collettiva).
Il popolo di Seattle
Nel dicembre del 1999 decine di migliaia di persone si radunarono per le strade di
Seattle, negli Stati Uniti, per protestare contro la riunione del WTO, l’Organizzazione
Mondiale del Commercio. Si trattò di una mobilitazione imponente, che non aveva
precedenti negli USA dai tempi delle manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Le
conseguenze della protesta si dimostrarono importanti: i 5.000 delegati provenienti
da 135 Paesi restarono bloccati nei loro alberghi e la cerimonia d’apertura saltò; la
conferenza ebbe inizio con grande ritardo, perché la città si trovò come in stato d’assedio; ma, soprattutto, i manifestanti riuscirono ad attirare l’attenzione dei media di
tutto il mondo sul movimento anti globalizzazione e sulle sue rivendicazioni. Proprio
da quel momento, il movimento globale contro la globalizzazione venne chiamato
popolo di Seattle: per i media e per l’opinione pubblica mondiale quell’evento siglò
l’atto di nascita del movimento no global.
In verità, le mobilitazioni no global cominciarono ben prima dei fatti di Seattle. Già
nel 1988, nell’allora Berlino Ovest, si tenne una manifestazione ancora più importante per partecipazione: oggetto di contestazione erano le politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, ma in sostanza i manifestanti criticavano il
“pensiero unico” e il neoliberismo, che già si candidava ad essere il futuro modello
21
Estratto della pubblicazione
Capitolo 1
dominante. In seguito ci furono le dimostrazioni contro i vertici G7 (a Napoli nel
1994, ad Halifax, in Canada, nel 1995 e a Lione l’anno seguente) e G8 (a Denver, in
Colorado, nel 1997, a Birmingham nel 1998 e a Colonia nel 1999). Tra tutte, però, la
manifestazione del 1998 contro l’Accordo Multilaterale per gli Investimenti a Ginevra
(riunione che fallì i suoi obbiettivi principali) segnò una tappa fondamentale per gli
sviluppi del movimento no global.
In ogni caso è a Seattle che la contestazione, fino a quel momento portata avanti per
lo più da alcuni gruppi e da molti individui, si impose come un vero e proprio attore
collettivo, in grado di «organizzare un ritrovo di migliaia di persone, utilizzando la
tecnologia come supporto all’azione, capace di mostrarsi al mondo come soggetto
unito (nonostante la diversa composizione generazionale e sociale, nonostante le diverse istanze e rivendicazioni) e soprattutto fermamente intenzionato a dare continuità alla propria azione di protesta e non a ritornare nel silenzio, come era accaduto
nelle manifestazioni degli anni passati» (S. Ravazzi, 2002). Dopo Seattle, infatti, si
istituirono i forum di discussione (Social Forum) che attualmente si riuniscono in
tutte le parti del mondo con cadenza regolare.
1.1
Le cinque forme sociali dell’azione collettiva
Con l’apertura del Millennium round dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio il 30 novembre 1999 a Seattle, e le concomitanti proteste di decine
di migliaia di militanti, si sono rivelate alcune cose nuove. La prima è l’arresto
dell’avanzata unanime e pacifica verso la globalizzazione. La battaglia di Seattle, come venne poi definita la contestazione alla Conferenza del WTO, era
all’insegna dello slogan Che la nostra resistenza sia transnazionale come il capitale. Da allora “il popolo di Seattle” ha accompagnato tutti gli incontri delle
organizzazioni mondiali: Ginevra, Londra, Göteborg, Genova, Porto Alegre
ecc. Da Seattle in poi si è anche imposta una nuova forma di comportamento
collettivo (il movimento anti-globalizzazione), diverso sia dai tradizionali movimenti sociali sia dai nuovi movimenti sociali. A costituire la peculiarità di questo nuovo movimento anti-globalizzazione non sono stati soltanto i suoi obiettivi,
gli attori e le forme di mobilizzazione e di lotta, ma anche la sua stessa natura
globale, composta da reti che si incontrano solo episodicamente, pur essendo
connesse on line. Si tratta del primo movimento globale contro la globalizzazione.
Queste trasformazioni sociali hanno già avuto effetti anche su quelle discipline sociologiche che trattano dei gruppi e delle forme sociali collettive. Dopo
i capitoli sulle folle, sui gruppi, sulle azioni collettive, sui movimenti sociali,
tutti aggiungono ormai anche quello sulle forme assunte dal movimento antiglobalizzazione. L’interesse scientifico per tutti è di ricercare le logiche e le
motivazioni, in base alle quali gli individui si riuniscono per condurre insieme
22
Dalla folla al “popolo di Seattle”
delle lotte comuni. Come avviene il passaggio dalla motivazione individuale a
quella collettiva? Quale importanza hanno gli eventuali capi organizzatori e le
strutture organizzative? Quali sono, infine, le chances di successo di una mobilitazione collettiva e quanto queste dipendono da rapporti con altri gruppi,
associazioni, partiti o strutture statali? Da questi diversi ordini di interessi hanno preso avvio le tante teorie e ricerche che da fine Ottocento hanno costituito
la sociologia dei gruppi, pur riconoscendo che la categoria “gruppo” ha assunto
nomi e definizioni diverse come si indicherà in queste pagine introduttive.
1) La folla. I primi interessi scientifici per le forme sociali collettive si ritrovano a fine Ottocento attorno al tema delle folle in autori quali Hippolyte Taine,
Gabriel Tarde, Gustave Le Bon e gli italiani Scipio Sighele e Pasquale Rossi. In
consonanza con le teorie elaborate dalle scienze naturali, anche questi autori
seguono le teorie del contagio: anche le folle seguono il predominio dei caratteri inconsci, anziché di quelli coscienti del ragionamento. Le teorie sociologiche
successive si sono nettamente differenziate da quest’impostazione irrazionalistica dei comportamenti collettivi. Periodicamente, però, alcuni elementi della
psicologia delle folle di fine Ottocento ritornano ancora. Di recente il carattere
a volte improvviso e violento di alcuni movimenti collettivi ha indotto alcuni
studiosi a ricercare interpretazioni di tipo irrazionalistico. Questi movimenti
richiamerebbero l’opera di Le Bon La psychologie des foules, nella quale l’individuo è descritto come dissolto e “in fusione” nella folla. Aldilà delle forme
eccessive di Le Bon, anche sociologi quali Georg Simmel hanno analizzato lo
stato di “fusione” che si produce nella folla quando i suoi obiettivi sono di tipo
negativo. Rileggendo la tragedia Giulio Cesare di Shakespeare, Simmel osserva
come la folla di Roma si mobiliti prima contro Cesare e poi contro Bruto.
Ugualmente avviene per i partiti e i gruppi organizzati: anche questi si trovano
più in accordo su temi e obiettivi di carattere negativo che positivo.
Un richiamo recente al tema delle folle è quello di Michel Maffesoli nel libro
Il tempo delle tribù. Il declino dell’individuo. La ricerca del sociologo francese si
basa su un paradosso essenziale: nelle società moderne si stabilisce un costante
andirivieni tra la massificazione crescente e lo sviluppo dei microgruppi che
possono essere definiti “tribù”. Queste manifestano un “sociale autentico”, istintivo, quasi animale. Più in generale queste forme tribali sono l’espressione di
relazioni calde, fondate sulla prossimità e la fusione, sul contatto, sulla solidarietà improvvisa.
2) Il gruppo. Il gruppo sociale, parola e concetto, è entrato fin dall’inizio nella
sociologia tra quelli più ricorrenti e utili. Già a fine Ottocento, Ferdinand Tönnies, in un’opera classica della sociologia, ha distinto due tipi di gruppo: Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società o associazione). Nel gruppo-comunità
(famiglia, vicinato, villaggio, gruppo di amici) le relazioni che intercorrono tra i
23
Capitolo 1
membri sono intense e totalizzanti. Nel gruppo-società (associazione), le relazioni sono funzionali e strumentali: sono i gruppi economici e d’interessi specifici
nei quali i membri entrano per socializzare esigenze particolari.
Simmel ha analizzato in particolare il rapporto tra il numero dei membri e la
struttura del gruppo. Nel 1909 Charles Horton Cooley distinse tra gruppi primari e gruppi secondari: i primi caratterizzati da relazioni intime, “faccia a faccia” e da cooperazione; i secondi da relazioni funzionali e strumentali. Il grande
interesse sui gruppi si ebbe però nel decennio 1930-1940 con la sociometria di
Moreno, con gli studi di Homans e di Merton sui gruppi di riferimento. Nel
1955 Redfield, in una ricerca sulle “piccole comunità”, riferite soprattutto alle
società tribali, ha analizzato in particolare le relazioni che esistono tra i piccoli
gruppi e la società più vasta. Nel 1958 Georges Gurvitch ha formulato una
tipologia dei gruppi molto elaborata, comprensiva di 15 criteri di differenziazione, quali ampiezza, contenuti, ritmo, prossimità dei membri, base di formazione, accesso, grado di organizzazione, relazioni con la società inclusiva, relazioni con altri gruppi, tipo di controllo sociale, tipo di autorità, grado di coesione, funzione, orientamento.
Aldilà delle tante definizioni che sono state formulate, possiamo definire il
gruppo sulla base delle seguenti quattro dimensioni:
SOCIALE
ORGANIZZATIVA
DI POTERE
PSICOLOGICA
Un gruppo sociale è quindi un insieme più o meno grande d’individui, aventi tra loro rapporti d’interazione, di partecipazione a strategie comuni, di coscienza e volontà di presentarsi come parti di un soggetto unitario, e, nel caso vi
sia una delega a uno o più membri, di delega diretta. Questa definizione è
sufficiente a distinguere un gruppo sociale da altre forme sociali, quali: classe,
folla, movimento sociale, categoria sociale, aggregato.
Ma anche all’interno della definizione data è possibile individuare altre
tipologie di gruppi. In base alla numerosità dei membri si hanno diadi, triadi,
quadriadi, piccoli gruppi. In base ai ruoli svolti dai membri si hanno gruppi
totalizzanti, gruppi segmentali. In base al tipo di rapporto tra i membri si
hanno gruppi formali e gruppi informali, gruppi primari e gruppi secondari.
In base alle modalità d’appartenenza si hanno gruppi d’appartenenza e gruppi di riferimento.
3) I comportamenti collettivi. L’interesse per i comportamenti collettivi viene
comunemente collocato all’inizio della Scuola di Chicago, negli anni Venti del
24
Estratto della pubblicazione