Leggi il testo di Micol Di Veroli

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L’EROTISMO DELLA CARNE
di Micol Di Veroli
L’eros e l’arte si compensano, si compenetrano come il concetto di amore e morte già associato nella
mitologia e fondamento di un pensiero simbolico che pone la sua catena di oggetti mentali al di là della sola
passione, evidenziando la pulsione di cannibalismo e distruzione presente in ogni forma di eccitazione.
Il piacere è nera delizia per l’animo umano, contorce la volontà, acceca la realtà, solletica l’inquietudine sino
alla deprimente follia ed infine convoglia l’impeto artistico verso un’unica rappresentazione di lussuria
spirituale che mediante una spasmodica catarsi libera sull’opera il proprio pulsante climax di piacere. Il
sentimento di lascivia rappresenta quindi non solo un cedevole abbandono al peccato ma un elogio supremo
all’estetica ed all’estro creativo che scevro da inutili moralismi affina i sensi e le sensazioni. L’artista ritrova
nell’eros le stesse intime sofferenze di Andea Sperelli protagonista de Il Piacere di Gabriele D’annunzio ed
ogni corruzione dell’animo, ogni insana orgia di sensi diviene sacro pretesto per indagare sul ruolo dell’arte e
della vita umana costruita attorno alla forme armoniche.
La mostra Il Piacere è la dimostrazione tangibile dell’esistenza di un comune pensiero erotico che al di là di
confini geografici ed ideologici manipola e soggioga la fertilità creativa dando vita ad affascinanti figurazioni
lungi dall’esaurire la loro carica di stupore e meraviglia. In ogni opera il centro focale si sposta sul corpo, altare
erotico supremo ed unico punto di mediazione tra vita e morte, tra caos e perfezione. Un corpo non solo
involucro contenitore di vita ma alchemico alambicco distillatore di cocenti passioni. Cosi ogni muscolo, ogni
nervo teso, ogni cavità ossea anela il desiderio come fosse una pugna solenne, un combattimento di sensi in
cui non importa vincere o perdere, possedere od essere posseduti. Le lussuriose vesti, gli oscuri travestimenti
e le sinuose nudità delle opere in mostra cedono al trionfo dell’erotismo della carne. Una visione radicale che
si pone oltre il concetto di rappresentazione della libido, restituendo immagini in cui ci sembra di intuire,
attraverso l’eterea epidermide, la concitata tensione dei precordi, la levigata torsione degli intestini e la massa
in movimento del muscolo cardiaco come se tutti gli organi interni avessero un proprio senso del desiderio ed
un reale diritto al piacere. Molti sono i sottili stratagemmi che traghettano i sensi verso il caos orgasmico ed
ogni artista presentato in mostra raffigura il proprio sancta sanctorum custode dei vizi e delle passioni
lussuriose.
L’universo intriso di eccitazione dipinto da Andy si manifesta come un lisergico momento dispercettivo, un
freeze frame che cattura ogni morboso accento di piacere sul volto di provocanti soggetti femminili. In ogni
accesa vampata di colore la forte pressione pop si concentra su matasse luminescenti di crine e morbide
labbra dischiuse che spostano la fonte del piacere su precisi punti cardinali. Dettagli che partendo da una
struttura compositiva pseudo-razionale si allargano su visioni dilatate e psichedeliche.
Matteo Basilè indaga sugli eccessi del piacere in uno spettacolo allegorico che attraverso un sardonico uso
del barocco sfiora il delirio mitologico. Ogni opera fotografica sottende un raffinato gusto per l’immagine
pittorica e riproduce il dramma di un uomo che nella sua ambiguità diviene sommo timoniere del proprio
destino attraverso il peccaminoso potere dell’eros. Nei vermigli piumaggi e nelle ampie gorgiere si nasconde la
strisciante imitatio del vizio e dell’eccesso che devasta figure efebiche, veri e propri monstrum capaci di
affascinare lo sguardo per la loro mesmerizzante difformità.
Francesco Arena concentra i suoi interventi visuali su primissimi piani di volti infiammati dal desiderio. Sono
frammenti di bramosia ansanti ed esangui, lineamenti scossi dalla frenesia di un orgasmico piacere che
ottenebra gli sguardi e soffoca ogni grido di lussuria.
Saturno Buttò affianca voluttà e martirio della carne in rappresentazioni crepuscolari che si fissano sulla tela
come miraggi erotici. La raffinata leziosità di ogni immagine, ornata da elementi iconografici e minuziosi
panneggi, rimanda ad una dimensione spirituale e preraffaelita. Un chiaro riferimento al concetto di Eros e
Thanatos che si estende sulle rotondità delle chimeriche figure femminee.
Corpicrudi Vs Matteo Levaggi sezionano la bellezza in un’asettica danza di candide carni. Dietro la voluttà di
una perfetta ed artefatta visione estetica la passione brucia come fuoco sotto la cenere ed ogni scatto cattura
anatomie scultoree che si ergono a simbolo di una passione repressa che si lascia divorare da affamati
sguardi.
Luca Curci si affida alla liquida sensualità di un fluido amniotico che sommerge corpi e sensazioni in un
rubino intreccio di polpa. Ogni opera seziona l’eros e lo amplifica in una visione che rappresenta un
microcosmo emozionale ove ogni molecola di piacere si muove rapidamente sull’epidermide levigata.
Claudio Di Carlo sposta la sua visione dell’eros sulla morbosità, sul feticismo di gesti e particolari anatomici
che emergono dalla materia pittorica con primitiva religiosità. Il taglio prospettico ottunde ogni possibile
appiglio visivo e condanna lo sguardo alla famelica osservazione di una sensualità reiterata nel gesto e negli
incavi di un corpo simulacro della sua stessa perversione.
Roberta Fanti accosta le sue immagini ad un percorso di espiazione fisica che raggiunge il culmine del
desiderio attraverso un delirio mistico misurato dalla fredda immobilità degli oggetti. La rassicurante solidità
minimalista di questi ultimi si oppone alla lacerante sottomissione di un corpo schiavo della propria sensualità,
avviluppato in un affascinante Karada che sospende la carne pronta alla sua degna punizione.
Massimo Festi cela la passione dietro la maschera della curiosità, metafora di una coscienza del
disorientamento che sottintende una pletora di desideri e simboli sessuali. La visione prospettica è dominata
dalla centralità dei soggetti che attendono impazienti la loro ricompensa adescando lo spettatore con la sola
forza ancestrale della voluttà.
Japi honoo attribuisce al corpo una sensualità surreale che pone ogni immagine in bilico tra la cultura
lowbrow e quella sci-fi. Il potere erotico di ogni soggetto non si esaurisce con la mera ostentazione di rotondità
femminee bensì crea una breccia attraverso i sensi mediante drappi sensuali, mutazioni genetiche e colori
ipnotici.
Jessica Iapino inscena una rappresentazione della passione negata, sentimento fortemente respinto che
accentua la compulsività della bramosia. Cintura di castità come mezzo di contenzione fisica che assume un
profondo significato sulla fiducia reciproca, sul controllo della sessualità e concentra il concetto di piacere sui
soli organi riproduttivi. L’ostentazione del corpo come feticcio si completa con un intervento video che affianca
bambole gonfiabili a nenie infantili nella fredda rappresentazione di un candore ferocemente macchiato.
L’arte mediante l’espressione del piacere comprende il desiderio smanioso del sapere e la curiosità nei
confronti di forme estetiche pungenti che risvegliano nell’occhio di chi le guarda una nuova pulsione vitale. Le
opere di tutti gli artisti presentati in mostra costituiscono, nella loro meravigliosa eterogeneità, una sacra
mappa del desiderio che estende i propri confini oltre il corpo e la carne arrivando all’estremo eremo dell’ego
in cui nasce la passione, carburante eterno del piacere e per definizione simbolo bifronte di sofferenza e
travaglio.