Volume VII - N˚ 3/2015

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Volume VII - N˚ 3/2015
Volume ViI
N˚ 3/2015
Organo ufficiale SIGENP
Periodico trimestrale - Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB Pisa
Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - Settembre - Finito di stampare presso IGP - Pisa, settembre 2015.
TOPIC HIGHLIGHT
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
TRAINING AND
EDUCATIONAL CORNER
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
FOR CLINICAL PRACTICE
PEDIATRIC NUTRITION
& HEALTH AND FOOD SCIENCE
Prevenzione della malattia celiaca:
luci ed ombre
Il trapianto fecale in pediatria
Diagnostica allergologica in vivo nel
management delle gastroenteropatie eosinofile
Linee guida ESPGHAN per la gestione
della gastroenterite acuta
La dieta chetogena
macrogol 3350
la Soluzione
FIN DAI 6 MESI DI ETÀ
Dosaggio
21x28dipeg0715-2
pro kg
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ISSN 2282-2453
Volume ViI - N˚ 3/2015 - Trimestrale
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Sommario
93
EDITORIALE
M. Baldassarre
95
TOPIC HIGHLIGHT
Prevenzione della malattia celiaca: luci oppure ombre?
Prevention of celiac disease: light or darkness?
M. Baldassarre
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
134 FOR CLINICAL PRACTICE
Linee guida ESPGHAN per la gestione della gastroenterite
acuta nei bambini europei
ESPGHAN Guidelines for the management of acute
gastroenteritis in European children
T. Capriati A. Guarino, A. Lo Vecchio
98 CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Il trapianto fecale nelle patologie acute e croniche
gastrointestinali
Fecal microbiota transplantation in acute and chronic
gastrointestinal diseases
V. Giorgio, G. Ianiro, A. Galimberti, P. Valentini,
G. Cammarota, A. Gasbarrini
103 PEDIATRIC HEPATOLOGY
Le porfirie acute nel bambino: quando sospettarle,
come curarle
Diagnosing and treatment of acute porphyrias in children
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P. Ventura, S. Marchini,C. Rosafio
PEDIATRIC NUTRITION
108 & HEALTH AND FOOD SCIENCE
Dieta chetogena: fisiopatologia e indicazioni cliniche
Ketogenic diets: pathophysiology and therapeutic
implications
A. Maiorana, G. Cotugno, L. Manganozzi, C. Dionisi-Vici
Segreteria SIGENP
113 TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER
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La diagnostica allergologica in vivo nel management
delle gastroenteropatie eosinofile
In vivo allergy tests in the management of eosinophilic
gastroenteropathies
E. Ridolo, L. Bonzano, V. Melli, I. Martignago
116 IBD HIGHLIGHTS
Ruolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi
delle IBD
Role of environmental factors and diet in the
pathogenesis of pediatric IBD
M. Aloi, M. Distante
121 CASE REPORT
Ipertransaminasemia e fegato grasso: una diagnosi molto…
“sudata”!
Elevation of serum aminotrasferases and fatty liver in an obese
child: a very… “sweaty” diagnosis!
S. Brusa, M. Ambroni, F. Battistini
NEWS IN PEDIATRIC
123 GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Quando gli eosinofili invadono l’intestino:
terapie tradizionali e nuove immunoterapie dell’esofagite
e della gastroenteropatia eosinofila
Eosinophilic esophagitis and gastroenteritis:
traditional therapy and new immunotherapy
A. Cianferoni
130 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
La via “alternativa” per l’alimentazione enterale:
gastrostomia e gastrodigiunostomia percutanea
endoscopica (PEG e PEGJ) in età pediatrica
The alternative choice for enteral nutrition: percutaneous
endoscopic gastrostomy and percutaneous endoscopic
gastrojejunostomy (PEG and PEGJ) in paediatric age
P. Betalli, M. Colusso, M. Cheli
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ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
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devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse
nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
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Editoriale
Conserva e tratta il cibo
come se fosse il tuo corpo,
ricordando che nel tempo
il cibo sarà il tuo corpo
(B.W. Richardson)
Carissimi,
Mentre vi scrivo sta per concludersi EXPO 2015, grande kermesse espositiva dedicata ai vari aspetti
della Nutrizione a livello mondiale. La nutrizione rappresenta uno di quei fattori di capitale importanza
nella possibilità di modulare il nostro futuro in termini di salute fisica e mentale. Gli studi di epigenetica
nutrizionale ci stanno insegnando che il nostro destino non è scritto solo nel DNA: il genoma umano
può essere considerato come un libretto di istruzioni contenente l’informazione necessaria perché
sia costituito l’intero organismo, mentre l’epigenetica studia gli effetti che i diversi nutrienti possono
avere nei confronti del DNA o della cromatina attraverso modifiche non della loro sequenza, ma della
loro espressione. In periodi critici dello sviluppo (vita intrauterina, allattamento, divezzamento) un intervento di tipo nutrizionale può programmare lo sviluppo futuro dell’individuo ed il suo stato di salute.
Gran parte di questa modulazione avviene nei primi “mille giorni” dopo il concepimento. È importante
ricordare che l’apporto di LCPUFA attraverso la dieta della madre durante la gravidanza influenza lo
sviluppo del Sistema Nervoso Centrale del feto, il latte materno modula l’effetto del polimorfismo di
PPARg2 (peroxisome proliferator-activated receptor-g,fattore di trascrizione espresso negli adipociti
che ne regola la differenziazione, la sensibilità all’insulina, il metabolismo delle lipoproteine) sul tessuto adiposo, riducendo il rischio di obesità nei bambini allattati al seno.
Il nostro Giornale desidera farsi sempre più attento ai temi che riguardano la Nutrizione, in tutti i
suoi aspetti.
Avete certamente già avuto nelle mani il secondo numero del Giornale, dedicato alla nutrizione artificiale, procedura terapeutica che ha cambiato la prognosi “quoad vitam” e “quoad valetudinem”
di numerose patologie intestinali ed extraintestinali, consentendo a tanti bambini di vivere una vita
di relazione normale.
Anche in questo numero gli articoli dedicati alla nutrizione sono diversi. Leggerete l’articolo di Pietro
Betalli (Padova) che illustra le tecniche di posizionamento di gastrostomia e gastrodigiunostomia
percutanea endoscopica (PEG e PEGJ), che sono di ausilio all’alimentazione enterale, quando i
nutrienti non possono essere somministrati attraverso la bocca e l’esofago. Marina Aloi (Roma, La
Sapienza) ci offre un interessante excursus riguardante proprio il ruolo che i fattori nutrizionali giocano nello sviluppo delle malattie infiammatorie intestinali. Arianna Maiorana (Roma, Bambin Gesù),
ci spiega i principi della dieta chetogena, che è una vera e propria terapia per alcune patologie
neurologiche del bambino.
Parliamo poi di trapianto fecale (Valentina Giorgio, Roma, Università Cattolica-Policlinico Gemelli),
la nuova frontiera nella cura di alcune coliti, e di gastroenteropatia eosinofila, sia in termini di diagnostica (Erminia Ridolo, Parma), che di terapia (Antonella Cianferoni, Filadelfia-USA).
Paolo Ventura (Modena) ci descrive le Porfirie Acute, patologia certo non frequente ma sulla quale
ci piace richiamare l’attenzione perché crediamo che la conoscenza delle cose debba essere la più
ampia possibile.
Il caso clinico di questo numero è stato curato da Sandra Brusa (Imola), e non vi anticipo niente …
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:93-94
93
Editoriale
Maria Luisa Mearin (Leiden, Paesi Bassi) risponde nelle pagine della rubrica “Topic Highlight” a
domande riguardanti la possibilità di prevenire la malattia celiaca, con prospettive nuove ed interessanti.
Alfredo Guarino (Napoli) ci offre una sintesi mirabile riguardante le linee guida ESPGHAN sulla
diarrea acuta, scritte nell’intento di uniformare la pratica clinica nella gestione di un problema così
comune e diffuso.
Vi saluto augurandomi di incontrarvi numerosi al prossimo Congresso Nazionale che si svolgerà a
Bari, che è anche la città in cui vivo, dall’8 al 10 ottobre. Sicuramente il Presidente, Professor Carlo
Catassi, ed il Consiglio Direttivo della SIGENP, insieme agli organizzatori locali, Ruggiero Francavilla
e Flavia Indrio, ci avranno preparato un evento stimolante sul piano scientifico e culturale. Posso
poi assicurarvi che Bari saprà sorprendervi con le sue miti temperature ottobrine, con la sua capacità di accogliere, con la bellezza del suo borgo antico.
Buona vita a tutti e buona lettura.
94
a cura di
Mariella Baldassarre
TOPIC HIGHLIGHT
Prevenzione della malattia celiaca:
luci oppure ombre?
Prevention of celiac disease: light or darkness?
Introduzione
M. Luisa Mearin Manrique è una delle maggiori
esperte a livello europeo della malattia celiaca. È
nata a Madrid, ma ha svolto parte della sua formazione professionale in Olanda, dove risiede da
molti anni. Ha una lunga esperienza nella diagnosi e nel trattamento dei bambini con malattia celiaca, con l’ambizione di migliorarne la salute e
la qualità della vita. Le sue origini spagnole sono
magnificamente emerse durante uno strepitoso
flamenco ballato durante la serata finale dell’ultimo congresso ESPGHAN, tenutosi ad Amsterdam. Durante lo stesso Congresso ho potuto
chiacchierare un po’ con lei … Ne è scaturita l’intervista che leggerete in queste pagine.
1) La diagnosi di malattia celiaca in età pediatrica è triplicata negli ultimi 20 anni.
Qual è il motivo di questo aumento di incidenza? Ci sono differenze razziali?
Ci sono due possibili spiegazioni relative all’aumento nella diagnosi di malattia celiaca in età pediatrica. La prima è la maggiore consapevolezza
dei pediatri, perché è stato realizzato negli anni
un importante percorso di educazione sanitaria
sulla malattia celiaca: i pediatri hanno imparato a
sospettarla più spesso ed a riconoscerla meglio.
La seconda è che ci sia un aumento effettivo della
malattia celiaca nella popolazione. Alcuni autori
finlandesi hanno sottoposto a screening, dosando gli anticorpi antitransglutaminasi, due coorti di
sieri di pazienti in età pediatrica, una delle quali
recente e una che invece risaliva a vent’anni prima. Hanno evidenziato un aumento di incidenza
di celiachia nella coorte recente. È difficile spiegare perché si sia verificato questo, ma è ipotizzabile un cambiamento nei fattori ambientali, dal
momento che i geni non cambiano così rapida-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:95-97
M. Luisa Mearin Manrique si è laureata in Medicina presso L’Università Autonoma di Madrid (1972-1979) e dopo
aver conseguito il dottorato di ricerca
presso il Laboratorio di Gastroenterologia della “Leiden University Medical
Center (LUMC)”, si è specializzata in
Pediatria presso la stessa Università nel 1987. Dal 1994 è direttore
dell’Unità di Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica del Dipartimento di
Pediatria presso la LUMC e dal 1999
Professore Associato di Pediatria
nella stessa Università. Dal 2003 è
Direttore del Programma di Formazione in Gastroenterologia pediatrica della LUMC e della Libera Università di Amsterdam. M. Luisa Mearin è attivamente
impegnata nella ricerca sulle malattie gastrointestinali nell’infanzia, in particolare sull’epidemiologia,
immunologia, genetica, trattamento, prevenzione,
complicanze e qualità della vita nella malattia celiaca. È autrice di moltissime pubblicazioni inerenti tale
argomento su riviste internazionali.
Key words
Celiac disease • Screening • Prevention • Glutenfree-diet
Abstract
Pediatric celiac disease diagnoses tripled in 20
years for the awareness of the pediatricians,
and for an actual increase of celiac disease in
the population due to different factors (infections, more gluten consumption, different kind of
gluten). The children must be screened (secondary prevention) very early, perhaps at two-three
years of age, to avoid complications of celiac disease (tertiary prevention). At this moment, primary prevention of celiac disease is not possible.
Indirizzo per la corrispondenza
M. Luisa Mearin Manrique
Pediatric Gastroenterologist
Associate Professor
Leiden University Medical Center (LUMC)
Department of Pediatrics
PO Box 9600; 2300 RC LEIDEN; the Netherlands
E-mail: [email protected]
95
Intervista alla Prof. M. Luisa Mearin Manrique
mente. Si può pensare alle infezioni, al maggior
consumo di glutine, alle modifiche del glutine
stesso realizzatesi nell’agricoltura.
Sicuramente una combinazione dei due fattori
(maggiore diagnosi/aumento reale dell’incidenza di malattia) spiega l’aumento delle diagnosi
di celiachia in età pediatrica.
2) Quali bambini dovrebbero essere sottoposti a screening per malattia celiaca? A quale
età?
Tutti i bambini dovrebbero essere testati. Ora
sappiamo che non possiamo effettuare una prevenzione primaria della malattia celiaca, come
dimostrato dagli studi “Celiprev” in Italia e “Preven-cd” in Europa, modulando il modo ed il
tempo di introduzione del glutine nell’alimentazione dei bambini. Dobbiamo allora lavorare per
la prevenzione secondaria, che è rappresentata
dallo screening. Idealmente ci dovrebbe essere uno screening di massa. È più difficile capire
a che età attuare lo screening. Non credo che
abbiamo informazioni sufficienti al momento per
dare una risposta conclusiva.
La mia opinione personale è che i bambini devono essere sottoposti a screening molto precocemente per due ragioni: la prima ragione è che
proprio gli studi sulla prevenzione che ho citato
prima ci hanno dimostrato che la celiachia ha un
esordio precoce. La malattia inizia a dare segni
di sé a tre anni di età in circa il 50% dei bambini
provenienti da famiglie con parenti di primo grado celiaci. La seconda ragione è stata dimostrata
da uno studio effettuato in Olanda, in cui gli autori hanno sottoposto a screening i bambini all’età
di sei anni, dimostrando che già a questa età i
bambini che risultano positivi allo screening presentano una più bassa statura e sono già significativamente affetti da osteoporosi. Per evitare
questi danni è quindi necessario lo screening
prima dei sei anni, magari proprio a due-tre anni
di età.
3) Sensibilità al glutine non-celiaca: il glutine
è davvero il responsabile?
Chi può dirlo? Si tratta di una entità patologica
che stiamo ancora cercando di definire bene. La
prima domanda da porsi è se si tratti davvero
96
di una malattia. Io penso di sì. Esiste un certo
numero di persone, che non hanno la malattia
celiaca, ma che non si sentono bene se mangiano glutine. Essi sono spesso familiari di pazienti celiaci. È difficile distinguerli da persone
con celiachia o intolleranza ai “Fodmaps” (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides and Polyols” cioè oligosaccaridi,
disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli.
Si tratta di carboidrati a catena corta assorbiti in
modo incompleto nel tratto gastro-intestinale e
che possono dare adito a stati di fermentazione
nell’intestino, causando irritazione, gas, gonfiore
addominale, diarrea e costipazione, ndr). Quando qualcuno ci riferisce di non sentirsi bene
quando assume glutine, dobbiamo essere certi
che non sia affetto da celiachia o da allergia al
grano. Quando abbiamo con assoluta certezza
escluso queste due condizioni, possiamo prescrivere una dieta priva di glutine. Questo è un
approccio molto pratico, ma utile in questo momento. Le ricerche in atto dovrebbero sforzarsi
di eseguire ottimi studi randomizzati e di trovare marcatori biologici per diagnosticare questa
malattia, perché al momento non esiste un test
per la diagnosi.
4) Cosa sappiamo al momento sulla prevenzione della celiachia? Cos’è che invece ancora non sappiamo?
In questo momento sappiamo con assoluta certezza che non possiamo impedire l’insorgenza
della celiachia. Non abbiamo la possibilità di attuare una prevenzione primaria ma abbiamo la
prevenzione secondaria, cioè lo screening, e la
prevenzione terziaria, cioè il corretto trattamento. Il trattamento con la dieta priva di glutine può
essere considerato prevenzione terziaria, perché consente di prevenire le complicanze della
celiachia.
Se i risultati sulla nutrizione precoce in questo
momento non sono positivi, forse ci sono altre
possibilità da esplorare: dare per esempio maggiori o minori quantità di glutine o introdurre il
glutine in modo differente.
Un altro aspetto da considerare è la vaccinazione. Sono in corso alcuni studi in Australia, in cui
ai celiaci vengono somministrati piccoli peptidi
derivati dal glutine, non esattamente per la pre-
TOPIC HIGHLIGHT
Malattia celiaca e prevenzione
venzione ma per il trattamento della malattia celiaca. È stato dimostrato che questo trattamento
funziona nella terapia della celiachia e potrebbe
funzionare anche come trattamento preventivo.
Voglio sottolineare che anche l’allattamento al
seno non impedisce l’insorgenza della celiachia.
È importante dire alle madri che l’allattamento
al seno rappresenta il miglior nutrimento per
un bimbo ma non aiuta a prevenire la celiachia,
pertanto una madre celiaca, o con un altro figlio
celiaco, non deve sentirsi in colpa se non può
allattare al seno il proprio bimbo appena nato.
mai sostituire la dieta senza glutine ma potrebbe
aiutare in alcune situazioni, quando si ritiene che
un paziente possa essere a rischio per l’introduzione del glutine, contribuendo ad evitarne il
contatto.
Bibliografia di riferimento
Catassi C, Fasano A. Coeliac disease. The debate on
coeliac disease screening - are we there yet? Nat Rev
Gastroenterol Hepatol 2014;11:457-8.
Lionetti E, Castellaneta S, Francavilla R, et al. SIGENP
Working Group on Weaning and CD Risk. Introduction
of gluten, HLA status, and the risk of celiac disease in
children. N Engl J Med 2014;371:1295-303.
Lohi S, Mustalahti K, Kaukinen K, et al. Increasing prevalence of coeliac disease over time. Aliment Pharmacol Ther 2007;26:1217-25.
5) Ci sono nuovi farmaci per la terapia?
Ci sono moltissime ricerche in corso. Considerando le varie possibilità, penso che la terapia
enzimatica sia forse la scelta migliore. Gli enzimi
utilizzati scindono il glutine prima che arrivi al
duodeno. Vi è ancora un lungo cammino per arrivare alla fase IV, cioè alla sperimentazione clinica, ma i ricercatori stanno facendo uno sforzo
per accelerare i tempi. Questa terapia non potrà
Plugis NM, Khosla C. Therapeutic approaches for
celiac disease. Best Pract Res Clin Gastroenterol
2015;29:503-21.
Vriezinga SL, Auricchio R, Bravi E, et al. Randomized
feeding intervention in infants at high risk for celiac disease. N Engl J Med 2014;371:1304-15.
• La diagnosi di malattia celiaca in età pediatrica è triplicata negli ultimi 20 anni per una maggiore capacità di diagnosi
da parte dei pediatri e per un reale aumento dell’incidenza.
• Al momento attuale tutti gli studi hanno dimostrato che non è possibile la prevenzione primaria della malattia. Allatta-
mento al seno ed età di introduzione del glutine non hanno alcun ruolo in tal senso.
• Lo screening andrebbe esteso a tutti i bambini e andrebbe effettuato prima dei 5 anni di vita, per evitare l’insorgenza
precoce di osteoporosi ed il ritardo di crescita.
• Le nuove terapie, ancora in corso di studio, in particolare la terapia enzimatica, sono molto promettenti per quanto
riguarda l’efficacia ma non potranno probabilmente mai sostituirsi del tutto alla dieta priva di glutine.
97
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
a cura di
Osvaldo Borrelli
Il trapianto fecale nelle patologie acute
e croniche gastrointestinali
Fecal microbiota transplantation in acute and chronic
gastrointestinal diseases
Valentina Giorgio1 (foto)
Gianluca Ianiro2
Anna Galimberti1
Piero Valentini1
Giovanni Cammarota2
Antonio Gasbarrini2
UOC di Pediatria, Dipartimento per
la Tutela della Salute della Donna e
della Vita Nascente, del Bambino e
dell’Adolescente, Università Cattolica
del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli,
Roma; 2 UOC di Medicina Interna,
Gastroenterologia e Malattie del
Fegato, Dipartimento di Scienze Mediche, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli, Roma
1
Key words
Gut microbiota • Clostridium Difficile infection •
Fecal microbiota transplantation
Abstract
Fecal microbiota transplantation (FMT) involves the implantation of faeces taken from
a healthy donor to a patient, in order to treat a
specific disease. It was shown that FMT is an
effective treatment of recurrent Clostridium
Difficile infection (CDI). It is currently considered a promising therapeutic strategy for several pathological conditions associated with
an imbalance of the intestinal flora. To optimize the transplantation of fecal microbiota
and its effectiveness, future efforts should
include the definition of specific protocols
for each disease, the application of new techniques for the study of the composition of the
microbiota (for example metagenomics techniques) and the development of large, welldesigned, randomized controlled studies.
Indirizzo per la corrispondenza
Valentina Giorgi
largo Agostino Gemelli 8, 00168 Roma
E-mail: [email protected]
98
INTRODUZIONE
Il ruolo della flora batterica intestinale
L’organismo umano è abitato da un numero enorme di microbi; la maggioranza di essi si trova nel
tratto gastrointestinale e costituisce il microbiota
intestinale 1. Il microbiota non è una semplice riserva di microorganismi, bensì deve essere considerato come un vero e proprio organo 2.
La composizione del microbiota intestinale non
è ancora completamente nota. I batteri sono i
componenti principali della flora intestinale umana: Bacteroidetes e Firmicutes sono i phyla più
rappresentati 3, 4, gli altri costituenti sono Archaea,
Virus, Funghi e Protozoi 4.
La maggior parte della “comunità microbica” che
risiede nel nostro intestino non è coltivabile attraverso le tecniche microbiologiche standard. Studi
di metagenomica, attualmente in corso in diversi
centri di ricerca, stanno dando un contributo fondamentale alla comprensione della composizione
del microbiota intestinale, sia in condizioni fisiologiche che patologiche 5.
Il microbiota intestinale è coinvolto in numerose
funzioni dell’organismo umano che comprendono
lo sviluppo e la modulazione dell’immunità locale
e sistemica, oltre alla regolazione di diverse vie
metaboliche; svolge, inoltre, un’azione di barriera
contro gli agenti esogeni che transitano nell’intestino 6.
Numerose evidenze scientifiche suggeriscono
che la disregolazione dell’omeostasi della flora intestinale può portare allo sviluppo sia di patologie
digestive che extradigestive, tra cui la sindrome
dell’intestino irritabile (IBS) 7, le malattie infiammatorie intestinali (IBD) 8, il cancro del colon 9, le
infezioni gastrointestinali 10, la steatosi epatica
non alcolica 11, 12, il diabete, l’obesità, la sindrome
metabolica 13, 14 e le allergie 15. In teoria, la ricosti-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:98-102
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Trapianto fecale in età pediatrica
tuzione di una flora intestinale
“sana” rappresenta un valido
approccio per la gestione delle
malattie legate alla disregolazione del microbiota. Antibiotici, probiotici e prebiotici sono
attualmente le opzioni terapeutiche più utilizzate. Il FMT
ha già dimostrato indubbia
efficacia nella gestione della
infezione ricorrente da C. difficile (CDI) ed è anche considerato una strategia terapeutica
promettente per altre malattie
associate allo squilibrio della
flora intestinale.
Trapianto di microbiota
fecale: cenni di storia
Il FMT è l’infusione di feci da
un donatore sano a un ricevente malato per la cura di una
specifica patologia. L’uso di
FMT in campo medico e veterinario è stato segnalato fin
dall’antichità 16, 17, ma la prima
documentazione clinica risale
al 1958, quando Eiseman e la
sua equipe chirurgica del Colorado hanno trattato con clisteri di feci un piccolo numero
di soggetti con colite pseudomembranosa come terapia di
salvataggio 18. Da allora sono
state descritte diverse serie
di casi sul FMT nella gestione
delle CDI ricorrenti 19. La considerazione di FMT come un
vero trapianto d’organo, invece che come una semplice
infusione di feci, ha fornito le
basi teoriche per testare il FMT
anche in altre malattie legate al
microbiota intestinale con risultati promettenti 20, 21.
Obiettivo
L’obiettivo di questo articolo
è stato quello di eseguire una
revisione della letteratura sul
FMT, allo scopo di fornire una
valutazione globale dell’efficacia e della sicurezza del
trapianto di microbiota fecale,
utilizzato come terapia clinica
per varie malattie e condizioni
pre-cliniche gastrointestinali
METODOLOGIA
Sono stati inclusi in questa revisione tutti gli articoli disponibili su MEDLINE in lingua
inglese, inerenti all’efficacia
clinica e alla sicurezza di FMT
utilizzato come terapia clinica
in soggetti umani. Questi studi
hanno incluso studi randomizzati controllati (RCT) che hanno
comparato il FMT con la terapia medica standard, con placebo o con nessun intervento,
studi osservazionali compresi
gli studi caso-controllo, studi
di coorte e case-series (numero di pazienti trattati maggiore
di uno).
Le parole utilizzate per la ricerca sono state le seguenti: feces, stool o microbiota,
combinati con transplantation,
donor, donation, therapy, infusion, bacteriotherapy.
La ricerca è stata limitata alle
condizioni cliniche e pre-cliniche di tipo gastrointestinale
L’efficacia di FMT è stata definita come miglioramento clinico
secondo la definizione fornita
dagli autori di ciascuno studio.
Il miglioramento clinico è stato
definito come risoluzione della
diarrea nelle condizioni di CDI
e, se disponibile, la proporzione di pazienti liberi da recidiva
durante il periodo di follow-up,
definito come remissione clinica nelle condizioni di colite ulcerosa (UC) e morbo di Crohn
(CD), nonché come migliora-
mento clinico nella pouchite,
nella stipsi e nell’IBS.
Sono stati riportati anche: la
percentuale di pazienti che
hanno sperimentato qualsiasi
evento avverso (AE), l’esclusione dagli studi a causa di eventi
avversi gravi (SAE) e gli eventi
avversi potenzialmente associati con il FMT (perforazione,
sepsi o batteri emiapost-trapianto e la trasmissione di malattie infettive).
RISULTATI
Sono stati individuati 1059 studi. 45 di essi hanno soddisfatto i criteri di inclusione e sono
stati considerati per questa
revisione. Solo 2 di questi studi sono RCT, tutti gli altri sono
stati serie di casi o studi retrospettivi.
Gli studi sono stati pubblicati
tra il 1958 e il 2013. Sono stati sottoposti ad FMT un totale
di 1029 pazienti. L’efficacia
clinica di FMT è stata valutata in pazienti con: CDI 18, 22, 26
(n = 883), IBD 27 (n = 112), IBS
(n = 13), pouchite (n = 8), stipsi 17 (n = 3) e sindrome metabolica 32. L’età dei pazienti inclusi
varia ampiamente ed è compresa tra 6 e 94 anni.
Il follow-up riportato nei diversi studi è molto variabile: da10
giorni fino ad 8 anni nella CDI,
da 12 settimane a 16, 5 anni nelle IBD, da 6 a 18 mesi nell’IBS,
intorno a 4 settimane nella pouchite, da 1 a 28 mesi nella stispi e intorno a 6 settimane nella
sindrome metabolica.
Dei 45 studi inclusi, 2 sono
randomizzati (nella CDI e nella
sindrome metabolica); in questi, il FMT è stato confrontato
rispettivamente con altri farma-
99
V. Giorgio et al.
ci o con placebo. Van Nood et
al. 33 hanno condotto un RCT in
aperto in pazienti con CDI in cui
l’infusione di feci dei donatori è
stata preceduta da un ciclo breve di vancomicina e lavaggio
intestinale, o da un ciclo standard di vancomicina, o da un
ciclo standard di vancomicina
e lavaggio intestinale. Vrieze et
al. 32 hanno condotto uno studio in doppio cieco controllato
con placebo che ha confrontato il FMT da donatori magri
con il FMT autologo in pazienti
maschi affetti da sindrome metabolica. Gli altri 43 studi inclusi sono una serie di casi non
controllati, in cui i pazienti sono
stati trattati con FMT eseguito
attraverso infusione di feci dal
tratto gastrointestinale superiore (tubo di infusione attraverso
stomaco, duodeno o digiuno,
oppure ingestione orale di capsule rivestite contenenti materiale fecale ottenuto dopo centrifugazione di una sospensione
di feci dei donatori), oppure attraverso infusioni dal tratto gastrointestinale inferiore (infusione per via endoscopica oppure
infusione rettale tramite clisteri).
Sono stati utilizzati diversi donatori nei vari studi: i donatori
sono in genere scelti tra i componenti della famiglia del ricevente, ad esempio il partner o i
parenti di primo grado, oppure
sono scelti tra gli amici o, più
raramente, sono soggetti sani
non imparentati.
Per quanto concerne l’efficacia
del FMT nelle CDI, in una serie
di 33 casi pubblicati l’efficacia
del FMT(definita come risoluzione della diarrea) variava
dall’87,8% al 90,0% dopo ripetuti FMT. Questo dato di efficacia è paragonabile a quello
100
riportato nell’unico RCT pubblicato sull’argomento che riporta una efficacia del FMT compreso tra l’81% ed il 94%. Una
efficacia del FMT > 80% è stata ottenuta, inoltre, in altri studi che hanno incluso pazienti
con CDI grave e complicata 25,
pazienti ricoverati, pazienti immunocompromessi 24, pazienti
con più di 3 episodi di CDI ()e
pazienti con sottostante IBD 23.
La risoluzione della diarrea e il
follow-up libero da recidive (riportato in 21 studi su 34) sono
stati dell’80,9% (range dal
46% al 100%).
Per quanto riguarda, infine,
l’efficacia del FMT nelle IBD,
di tutti i pazienti trattati 6 sono
stati trattati per CD e 106 per
UC; 4 pazienti con UC trattati da Greenberg et al. avevano
una CDI concomitante. Tutti i
pazienti avevano malattia attiva
al momento dell’inclusione con
grado di attività variabile da
lieve a malattia refrattaria alla
terapia. L’estensione della IBD
è stata segnalata in 3 studi su
7. Il CD era ileo-colico (n = 3)
e limitato al colon (n = 1) nella serie pubblicata da Vermeire et al. 31. Le UC erano per lo
più pancoliti 29, 30. La risposta al
FMT è stata misurata mediante diversi metodi. Nei pazienti
con UC sono stati utilizzati: un
questionario dei sintomi pre e
post-FMT; il punteggio di Mayo
(clinico) 30; il punteggio totale di
Mayo 28; il Pediatric UC Activity
Index nei bambini 29; l’indice di
Powell-Tuck modificato 27. Nel
CD sono stati utilizzati due diversi strumenti di valutazione
clinica: un questionario pre e
post-FMT e il Crohn Disease
Activity Index 31. Cinque degli
studi inclusi hanno usato l’en-
doscopia per la valutazione della risposta mucosale: i pazienti
affetti da UC sono stati sottoposti ad endoscopia digestiva
subito dopo il trattamento (range da 1 a 90 giorni) 28, 30 o più a
lungo termine (da 1 a 198 mesi
dopo il FMT) 27. I pazienti con
CD sono stati valutati endoscopicamente 8 settimane dopo
il FMT 31. In 3 dei 6 studi sulla
UC che riportano dati sulla remissione clinica, la percentuale
di pazienti che hanno raggiunto
la remissione clinica varia dallo
0% al 68% 27, 29, 30. Il miglioramento clinico è stato segnalato
nei 6 studi e varia tra il 20% e
il 92% 27, 28. Nel CD, 4 pazienti
trattati da Vermeire et al. 31 non
hanno registrato un miglioramento clinico dopo FMT. Greenberget et al. hanno riportato
una riduzione della frequenza
delle riacutizzazioni della malattia nel 63% dei pazienti. Inoltre,
1 paziente su 2 con CD trattati ha riportato una diminuzione
della frequenza di diarrea. Nei 4
pazienti con CD in cui è stata
eseguita un’endoscopia 8 settimane dopo il trattamento, non
è stata osservata nessuna guarigione endoscopica 31.
Sicurezza del FMT
Gli eventi avversi associati a FMT sono stati per lo più
auto-limitantesi e si sono verificati spesso poche ore dopo
l’infusione. I sintomi intestinali riportati sono stati: gonfiore
addominale, flatulenza, eruttazione crampi addominali. Si
è trattato per lo più di sintomi IBS-like dopo la clearance
delle CDI post-FMT, disturbi
addominali, irregolarità dei
movimenti intestinali e vomito. In 11 pazienti (tutti trattati
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Trapianto fecale in età pediatrica
per IBD, 3 per CD e 8 per UC)
la febbre senza altri sintomi
clinici o segni di sepsi è stata
segnalata durante e fino a un
giorno dopo il FMT 28-30, 31. Non
sono stati identificati gli agenti causali di tali sintomi nelle
emocolture eseguite ma è stato osservato un aumento della
PCR in alcuni di questi pazienti. La febbre è scomparsa entro 3 giorni in tutti i pazienti. Un
paziente adolescente è uscito
dallo studio 29. Non è stata registrata nessuna trasmissione
di malattie infettive dopo FMT.
CONCLUSIONI E
PROSPETTIVE DI
RICERCA PER IL
FUTURO
I risultati esposti suggeriscono che il trapianto fecale è
una terapia molto efficace nel
trattamento delle CDI con tassi di risposta fino al 90% nella
risoluzione della diarrea. Questo dato è stato confermato
anche nell’unico studio randomizzato ad oggi disponibile che dimostra che le CDI si
risolvono nell’81-94% dei casi
dopo FMT. Tutti gli studi inclusi
hanno riportato peraltro una efficacia di FMT > 50%, anche in
pazienti immunocompromessi,
gravemente malati e anziani,
nei quali l’efficacia del trattamento di CDI con sola vancomicina non superava il 31% 33.
Risultati analoghi sono stati
ottenuti se l’infusione di materiale fecale veniva praticata nel
tratto gastrointestinale superiore, nel colon o per ritenzione
rettale tramite clistere.
Gli studi disponibili sul FMT in
UC hanno riportato tassi di remissione compresi tra lo 0% e
il 68%. Il miglioramento clinico
varia tra il 20% e il 92% ma è
stato misurato utilizzando cinque diverse scale in sei studi.
L’alto tasso di risposta del 92%
riportata da Borody et al. 27 è
un dato da considerarsi eccezionale, e lo studio eseguito è
retrospettivo ed è soggetto a
numerosi bias di selezione.
Non è stato osservato nessun
beneficio clinico di FMT in pazienti affetti da CD, sulla base
dei dati ottenuti sui 6 pazienti
riportati in letteratura.
Risultati positivi sono stati ottenuti, invece, in una piccola serie
di casi affetti da stipsi cronica
(3 pazienti trattati) e in una serie
di pazienti con IBS (risoluzione
o miglioramento dei sintomi nel
70% di 13 pazienti).
Il FMT non ha portato a remissione clinica 8 pouchiti croniche refrattarie, ma in 2 pazienti
è stata osservata una modifica
di sensibilità alla ciprofloxacina
di batteri coliformi dopo trapianto.
I FMT sono stati accompagnati
da sintomi gastrointestinali lievi ed auto-limitanti nella maggior parte dei pazienti.
Dati più robusti sul FMT saranno disponibili nei prossimi 2-3
anni. Attualmente sono in corso
numerosi studi sull’argomento, di cui molti sono trial randomizzati controllati. Presso il
nostro centro viene attualmente effettuato il FMT attraverso
colonoscopia secondo un protocollo standard (34): abbiamo
ottenuto dati estremamente
incoraggianti nelle CDI, e il trapianto delle feci del donatore
per via colonoscopica sembra
ottimizzare la strategia di trapianto nei pazienti con colite
pseudomembranosa.
In conclusione, il FMT sembra essere molto efficace nelle CDI, e sembra essere una
promettente terapia nella UC.
Per quanto riguarda il CD, la
stipsi cronica, la pouchite e
l’IBS, i dati sono ancora troppo
limitati per trarre conclusioni.
Inoltre, il FMT viene attualmente eseguito secondo protocolli
terapeutici non ancora standardizzati e, nonostante l’assenza di complicazioni infettive nei 1029 pazienti studiati,
è necessario mantenere una
vigile sorveglianza degli eventi
avversi. Nuovi studi randomizzati controllati sull’efficacia a
lungo termine del FMT, nonché
la diffusione di dati traslazionali
sull’impatto della modulazione del microbiota dei pazienti
sottoposti ad infusioni di feci,
sono ad oggi ancora necessari.
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• Il microbiota intestinale ha un ruolo importante nella omeostasi di tutto l’organismo.
• Il trapianto fecale è efficace nel trattamento della colite da Clostridium Difficile (CDI).
• Al momento sono necessari altri studi più estesi per definire meglio il ruolo terapeutico del trapianto fecale in altri
disturbi gastrointestinali.
102
PEDIATRIC HEPATOLOGY
a cura di
Francesco Cirillo
Le porfirie acute nel bambino:
quando sospettarle, come curarle
Diagnosing and treatment of acute porphyrias in children
INTRODUZIONE
Le porfirie sono un gruppo di rare malattie metaboliche (incidenza europea 0,1-0,22 per milione)
conseguenti al difetto di uno degli enzimi deputati alla biosintesi dell’eme. Tale difetto è prevalentemente congenito, più raramente acquisito. Il
quadro clinico di ciascuna forma di Porfiria dipende dagli effetti biologici del substrato (precursore
non porfirinico e/o porfirinico) che si accumula
per effetto dell’alterazione enzimatica 1. In base
al tessuto che è sede prevalente del difetto enzimatico, le Porfirie vengono distinte in epatiche
o eritropoietiche (Tab. I). Le porfirie epatiche si
associano a due possibili sindromi cliniche: crisi neuro-viscerali acute (attacchi porfirici acuti,
APA), caratterizzate da quadri clinici severi, attribuiti all’effetto neurotossico di precursori non
porfirinici [acido amino-levulinico (ALA) e porfobilinogeno (PBG)] e/o lesioni cutanee da fotosensibilità, associate all’accumulo cutaneo di porfirine
[uro-, copro- e protoporfirine]. Le manifestazioni
TABELLA I.
Classificazione clinica delle porfirie.
Porfirie Acute (sintomi neuro-viscerali)
Paolo Ventura1 (foto)
Stefano Marchini1
Cristiano Rosafio2
Unità Operativa di Medicina
Interna 2; 2 Unità operativa di
Pediatria; Dipartimento di Scienze
Medico-Chirurgiche MaternoInfantili e dell’Adulto, Università
di Modena e Reggio Emilia;
Azienda Ospedaliero-Universitaria
Policlinico di Modena, Modena
1
Key words
Acute Porphyrias • Acute Intermittent
Porphyria • Variegate Porphyria • Hereditary
Coproporphyria • Heme Arginate • Heme
Abstract
Acute porphyrias are complex metabolic diseases due to a defect in the heme synthesis;
their diagnosis is made less often than their
prevalence justifies. Awareness of multiform
clinical presentation is a major point to make
the diagnosis, as well as to set up the correct
treatment, that is mandatory to prevent the
possible life-threatening clinical evolution.
Clinical onset of acute porphyrias in childhood is still considered unusual; nevertheless, the increasing rate of diagnosis in last
decades makes this concept questionable.
Porfiria da deficit di ala-deidratasi (ALAD-P)
Porfiria acuta intermittente (PAI)
Coproporfiria ereditaria (CPE)*
Porfiria variegata (PV)*
Porfirie non acute (porfirie cutanee)
Porfiria cutanea tarda (PCT)
Porfiria epato-eritropoietica (PEE)**
Protoporfiria eritropoietica (PPE)
Porfiria eritropoietica congenita (PEC)
In neretto le porfirie epatiche.
* Possono presentare manifestazioni cutanee.
**Variante omozigote della PCT.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:103-107
Indirizzo per la corrispondenza
Paolo Ventura
largo del Pozzo 71, 41124 Modena
E-mail: [email protected]
103
P. Ventura et al.
cutanee da fotosensibilità (in
genere più intense rispetto a
quelle delle forme epatiche)
sono invece tipiche delle porfirie eritropoietiche. La diagnosi
delle diverse forme di Porfiria si
basa sul sospetto clinico, unitamente al riscontro in materiali biologici (urine, feci o plasma)
di elevate concentrazioni dei
suddetti metaboliti (con pattern differente a seconda del
tipo di porfiria) e trova conferma nell’analisi genetica 2, 3.
LE PORFIRIE ACUTE
(PA)
Con l’eccezione della porfiria
cutanea tarda (pct), tutte le
porfirie epatiche sono forme
congenite e possono manifestarsi con APA: per questo
motivo vengono anche definite porfirie acute (PA) (Tab. I).
Nella maggior parte delle PA
conclamate, l’attività enzimatica residua risulta inferiore al
50% del normale, a indicare
che l’allele mutante si associa
a una scarsa attività. Altra caratteristica delle PA è la loro
bassa penetranza clinica: solo
il 15-20% circa dei pazienti
portatori del difetto enzimatico
sviluppa APA. Benché si tratti
di malattie rare e a trasmissione autosomica dominante, la
prevalenza delle mutazioni nella popolazione generale è sufficiente a permettere l’esistenza
di forme omozigoti. È opinione
diffusa che le forme manifeste
di PA in età pre-pubere siano
del tutto eccezionali e che, nei
casi segnalati, si tratti di condizioni particolari (forme omozigoti o varianti particolari di
malattia) 4. Va inoltre ricordato
che esistono altre patologie,
104
come la tirosinemia ereditaria
o il saturnismo, nelle quali manifestazioni acute del tutto simili a quelle tipiche delle PA si
associano ad accumulo di precursori non porfirinici (ALA) 3.
Manifestazioni cutanee da fotosensibilità analoghe a quelle
osservabili in corso di PA sono
descritte in corso di epatopatie
colestatiche congenite (es. sdr.
di Alagille) o di altre condizioni
di insufficienza epatica e/o renale in età pediatrica.
L’attacco porfirico acuto
La caratteristica clinica di una
PA è l’attacco porfirico acuto,
caratterizzato da crisi acute
(spesso ricorrenti) di severo
coinvolgimento neuro-viscerale, la cui espressione sintomatologica è assai variabile
e capace di mimare diverse
condizioni patologiche: per
questa ragione queste malattie rimangono spesso non diagnosticate. Un APA può essere
preceduto da alterazioni del
comportamento (irrequietezza,
insonnia, ansia e irritabilità): i
sintomi possono evolvere rapidamente in severa neuropatia
acuta, sensitiva e motoria. Gli
APA possono svilupparsi nel
giro di ore e durare diverse settimane: il sintomo di gran lunga
più frequente è la comparsa di
intenso dolore addominale, solitamente descritto come “lancinante” dai pazienti e spesso
suggestivo di “addome acuto”,
anche se i sintomi appaiono
spesso sproporzionati rispetto
all’obiettività (i segni classici di
peritonismo spesso mancano).
L’addominalgia si accompagna
spesso a manifestazioni gastroenteriche (nausea, vomito,
stipsi) e a intenso dolore lom-
bo-dorsale, esteso solitamente
alla porzione prossimale degli
arti. Frequente è pure l’associazione con manifestazioni
neurologiche (dalla neuropatia
periferica
sensitivo-motoria,
fino al coma e all’arresto respiratorio); ipertensione arteriosa
con ipotensione ortostatica e/o
episodi di tachicardia; manifestazioni convulsive e neuropsichiatriche (apatia, depressione
o stati confusionali, agitazione
psico-motoria, delirium e allucinazioni). Tali episodi, nei
portatori del difetto enzimatico
responsabile di malattia, spesso sono precipitati da fattori
scatenanti (farmaci, alterazioni
ormonali, alcol, infezioni, restrizioni caloriche eccessive
o condizioni di intenso stress
psico-fisico) 5, 6.
La porfiria da deficit di ala-deidratasi (ALAd-P) è una rarissima forma autosomica recessiva di PA (descritti circa 10 casi
al mondo), che si manifesta
con APA 5.
La porfiria acuta intermittente
(PAI) è la forma di gran lunga
più frequente di PA. È considerata una malattia “latente”
prima della pubertà, in quanto la maggior parte delle diagnosi viene posta su pazienti adulti. Sono state tuttavia
segnalate (con una incidenza
in netto aumento nelle ultime
due decadi) forme conclamate
in età infantile e anche neonatale 7. Sono stati descritti alcuni casi di variante omozigote
di malattia, tutti a comparsa
entro i primi due anni di vita e
associati a quadri neurologici
severi, con ritardo mentale e/o
psicomotorio, ma senza gli
APA tipici delle forme eterozigoti 8.
PEDIATRIC HEPATOLOGY
Porfirie acute in età pediatrica
La coproporfiria ereditaria
(CPE) e porfiria variegata (PV)
rispetto alla PAI, oltre ad essere più rare, si associano con
minore frequenza ad APA. Per
entrambe la presentazione prima della pubertà è considerata eccezionale e sono stati
descritti solo rari casi conclamati prima degli 8 anni. Oltre
alle possibili già descritte manifestazioni
neuro-viscerali,
entrambe possono presentare
anche (o esclusivamente) manifestazioni cutanee da fotosensibilità, tipicamente limitate alle sole aree foto esposte
e che possono comparire già
in età infantile. Per entrambe sono state descritte forme
omozigoti: nel caso della PV
vi sono una decina le segnalazioni, soprattutto in Sud Africa
(dove la malattia ha una alta
frequenza), caratterizzate da
sintomatologia cutanea e/o
neurologica anche intensa. In
questi pazienti tuttavia, sebbene l’attività enzimatica sia assai
inferiore a quella delle PV eterozigoti, inspiegabilmente non
sono stati riportati APA, anche
una volta diventati adulti 4.
DIAGNOSI
La diagnosi di APA è spesso
difficile e dipende in modo significativo dall’attenzione e
dall’esperienza clinica del medico: i sintomi di presentazione
sono facilmente confusi con
quelli di altre patologie ben più
comuni (Tab. II). Non esistono
sintomi patognomonici di APA
e fino al 10% dei pazienti possono presentarsi con manifestazioni diverse da quelle più
comuni (dolore addominale);
un segno clinico suggestivo
può essere l’emissione di urine
di colore rosso scuro (“a vino
Borgogna”) o che lo diventino
dopo breve esposizione alla
luce. Oltre ad una anamnesi familiare positiva (parente sintomatico), è molto importante, in
presenza di sintomi suggestivi,
ricercare possibili fattori scatenanti. A fronte di un sospetto
clinico, la diagnosi di APA si
basa sul riscontro di una elevata escrezione urinaria di precursori non porfirinici (ALA e
PBG). Poiché tale escrezione
(specie in caso di PV o CPE)
può normalizzarsi a distanza dell’evento critico, la loro
determinazione deve essere
eseguita contestualmente alla
comparsa dei sintomi 3. Posta
diagnosi di APA, la definizione
del tipo di PA si basa su indagini più fini, comprendenti la
determinazione del pattern di
escrezione delle porfirine urinarie e fecali, della fluorescenza plasmatica, dell’attività enzimatica (eritrociti, fibroblasti o
tessuto epatico) e sull’analisi
genetica 1, 3.
Diagnosi di porfiria in età
pediatrica: problemi specifici
I test biochimici in campioni
biologici (urine, feci e plasma),
specie se eseguiti al di fuori
delle fasi critiche, sono considerati di scarso significato prima della pubertà, poiché queste malattie si manifestano di
solito dopo i 16 anni 4. L’assunto secondo cui gli APA sono
eventi rari nell’infanzia è però
oggi oggetto di ampia discussione, stante l’incremento delle
segnalazioni in letteratura, per
cui tutti i bambini con sintomatologia suggestiva (Tab. II),
specie se ricorrente o inspie-
gata, dovrebbero essere sottoposti ai test. In particolare,
i bambini con lesioni cutanee
suggestive di PV e CPE (lesioni
eritematoso-bollose, localizzate solo in sedi foto esposte, che
tendono a rompersi lasciando erosioni superficiali a lenta
guarigione con esiti cicatriziali) possono essere portatori di
varianti omozigoti di queste
malattie (o di altre gravi forme
cutanee). In questi casi i test
biochimici risultano fortemente
positivi. Da non sottovalutare
anche l’assenza di un “range di
riferimento” pediatrico. L’analisi genetica rappresenta un test
accurato, purché la mutazione
identificata in quella famiglia
sia nota come “clinicamente
rilevante”. Tuttavia ciò non ha
valore definitivo nella predittività del suo effetto nel corso
della vita; è noto infatti che la
maggior parte delle PA (forme
eterozigoti), hanno una penetranza clinica assai bassa. Ciononostante, lo screening genetico dei bambini nelle famiglie
dei portatori è importante, per
ridurre il rischio derivante dalla
possibile esposizione a fattori scatenanti 9. Eccetto che in
casi particolari (coppie con un
figlio con forma PA omozigote),
la ricerca genetica prenatale
non è indicata.
Trattamento
Il trattamento specifico di un
APA deve iniziare con l’identificazione e la rimozione di
qualsiasi potenziale fattore
scatenante (stress psico-fisico,
restrizione dietetica, infezioni,
assunzione di farmaci, etc.).
La terapia di un APA si basa
sull’infusione endovenosa di
Eme [Eme Arginato (Normo-
105
P. Ventura et al.
Tabella II.
Segni e Sintomi di Attacco Porfirinico Acuto (APA, la percentuale indica la frequenza)* e condizioni cliniche
frequentemente “simulate da un APA.
APA: segni
e sintomi
%
Addominalgia
(severa)
95-97
Nausea, Vomito,
Stipsi
Tachicardia
Ipertensione
(diastolica > 85
mmHg)
Dolore precordia
Ipotensione
Iposodiemia (<
120 mEq/L)
48-85
46-52
65-80
38-64
Neuropatia
periferica motoria
Neuropatia
sensoriale
Ipo/areflessia
Lombalgia
Convulsioni
Coma
Alterazioni del
comportamento/
psicosi
8-15
15-22
25-35
40-60
20-28
20-30
20-30
10-20
2-10
Condizioni Cliniche frequentemente “simulate” da un APA
Condizioni
Condizioni
Condizioni
Condizioni
Condizioni
chirurgiche
ematologiche
gastrointestinali cardiovascolari
dismetaboliche o
endocrinologiche
-Crisi emolitiche -Ileo paralitico
- Peritonite
- Appendicite acute
- Pancreatite - Crisi
acuta
drepanocitica
- Ischemia
acuta
intestinale
- Gastroenterite
acuta con vomito
- Crisi ipertensive - Feocromocitoma
- Tachiaritmie
- Sindrome
coronarica
acuta
- Ipoadrenalismo
acuto (crisi
addisoniana)
- SIADH
- Ipoparatiroidismo
acuto (crisi
ipocalcemica)
- Iperparatiroidismo
acuto e altre
condizioni associate
a Ipercalcemia
10-40
Condizioni
neurologiche e
psichiatriche
- Sindrome di
Guillain–Barrè
- Polineuropatie
idiopatiche/
autoimmuni
- Emicrania
- Epilessia
- Miopatie acute
- Attacco
psicotico acuto
- Delirium
- Attacco di
panico
* NB Più sintomi possono essere contemporaneamente presenti durante un APA.
sang®)], alla dose di 2-4 mg/
kg, una volta al giorno, per 3-4
giorni. L’eme esercita un feedback negativo sull’enzima Alasintetasi, determinando una
rapida riduzione dell’accumulo
di ALA e PBG: nella maggior
parte di casi, l’infusione risolve
gli APA nel giro di pochi giorni.
Anche il glucosio (infusione di
1.500-2.000 cc /die, soluzioni
al 10% o al 20%) ha un effetto
simile sull’ala-sintetasi e può
106
essere utile nel trattamento degli APA. L’eme è però dotato di
una efficacia assai maggiore
ed è raccomandato in presenza di attacchi gravi: in caso di
neuropatie importanti, l’utilizzo
ritardato dell’eme è stato associato a una più lenta e, a volte, incompleta remissione 6, 10.
L’infusione di eme arginato
può provocare sovraccarico
marziale e complicanze locali
(trombosi venosa e trombofle-
bite), prevenibili utilizzando un
accesso venoso centrale e/o
associando l’infusione di eme
a quella di albumina 10. Nei
pazienti affetti da gravi forme
di PA, a rischio di sviluppare
sequele renali e neurologiche
persistenti, il trapianto di fegato è una opzione terapeutica:
nei casi riusciti, esso ha portato a una completa guarigione
del disturbo. Non sono però
stati descritti casi pediatrici
PEDIATRIC HEPATOLOGY
Porfirie acute in età pediatrica
di PA sottoposti a trapianto. I
buoni risultati di alcuni recenti trials sperimentali basati su
approcci di terapia genica,
stanno fornendo nuove opportunità di trattamento nelle PA,
anche nella gestione a lungo
termine 6. In conclusione, le
PA sono considerate malattie
a presentazione inusuale in età
pre-pubere; quando manifeste
in età pediatrica, di solito sono
associate a forme particolarmente gravi (omozigoti o con
compromissione
funzionale
grave). Va però ricordato che le
manifestazioni cliniche delle PA
(gli APA) sono multiformi e difficilmente distinguibili da quelle
di patologie assai più frequenti:
la possibilità di una importante
sottostima diagnostica di queste malattie in età pediatrica è
dunque reale, come suggerito
dall’ aumento della frequenza
delle diagnosi negli ultimi de-
cenni, in virtù di una maggiore
attenzione e disponibilità diagnostica. Un APA può essere trattato con successo; se
non diagnosticato o trattato in
modo inadeguato, può essere
letale.
Kauppinen R. Porphyrias. Lancet
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10
• Le porfirie sono malattie metaboliche conseguenti a un difetto enzimatico della sintesi dell’eme.
• Il tipo di precursori che si accumula è responsabile della variabilità della presentazione clinica [attacchi neuro viscerali
acuti (potenzialmente letali) e/o dermopatie da fotosensibilità].
• Le porfirie acute sono considerate a presentazione eccezionale (attacchi porfirici acuti) in età pediatrica; molti sintomi
sono però indistinguibili da quelli di malattie più comuni: la possibilità di una sottostima diagnostica in età pediatrica
è reale, come suggerito anche dall’aumento delle segnalazioni negli ultimi anni.
• La potenziale letalità dei quadri clinici più gravi di queste malattie, unitamente alla disponibilità di una terapia effi-
cace, rende opportuno, in presenza di sintomi compatibili, considerare queste patologie all’interno della diagnostica
differenziale anche in ambito pediatrico.
107
PEDIATRIC NUTRITION
& HEALTH AND FOOD SCIENCE
a cura di
Antonella Diamanti
Dieta chetogena:
fisiopatologia e indicazioni cliniche
Ketogenic diets: pathophysiology and therapeutic
implications
Arianna Maiorana (foto)
Giovanna Cotugno
Lucilla Manganozzi
Carlo Dionisi-Vici
UOC Patologia Metabolica,
Dipartimento di Pediatria,
Ospedale Pediatrico Bambino
Gesù, Roma
Key words
Ketogenic diet • Epilepsy •
Neurodevelopment • Metabolic
diseases • Ketones • Dietary
therapies
Abstract
Ketogenic diets (KDs) are established effective treatment diets for refractory epilepsy.
Ketone bodies provide an alternative substrate to glucose for energy production and
in developing brain also are utilized for biosynthesis of cell membranes and lipids. Anticonvulsive effects are generated by enhancing mitochondrial metabolism and inhibitory
neurotransmitter synthesis, increasing the
ATP/ADP ratio in brain. In addition to classical
KDs with different ketogenic ratios (4:1, 3:1),
novel diets such as the MCT diet (MCT), the
modified Atkins diet (MAD), and the low glycemic index treatment (LGIT) have emerged.
Currently, there is a growing interest in using dietary therapies in conditions other than
epilepsy.
Indirizzo per la corrispondenza
Arianna Maiorana
piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma
E-mail: [email protected]
108
Definizione
La dieta chetogena (DC) è un regime alimentare ad elevato contenuto lipidico e basso contenuto glucidico e proteico, che è stato utilizzato
come terapia per l’epilessia refrattaria per circa
un secolo e che costituisce il trattamento elettivo in due patologie metaboliche caratterizzate
da alterazioni del trasporto e dell’utilizzazione del
glucosio, il deficit di GLUT1 e il deficit di PDH. La
DC classica è calcolata in un rapporto di grammi
di lipidi versus grammi di carboidrati più proteine.
È costituita da trigliceridi a lunga catena (LCTs) in
rapporto di 3:1-4:1 rispetto a carboidrati più proteine. La DC fornisce un substrato energetico alternativo al glucosio ed ha effetti neuroprotettivi 1.
Nell’ultimo decennio l’interesse per la DC è stato
sempre maggiore per la sua provata efficacia e
per la sua applicazione in diverse patologie. Si è
dimostrata efficace nel controllo del peso corporeo e in altre condizioni patologiche con insulinoresistenza come il diabete, l’ovaio policistico e
l’acne, oltrechè in varie malattie neurologiche,
oncologiche, cardiovascolari, respiratorie e metaboliche 2, 3. Recentemente è stata inoltre utilizzata
con successo nel miglioramento dei sintomi muscolari e della cardiomiopatia in pazienti con glicogenosi di tipo III, fornendo una fonte energetica
alternativa sotto forma di corpi chetonici 4-6.
Nel corso degli anni, alla DC tradizionale si sono
aggiunte nuove varianti per migliorare la compliance alimentare dei pazienti sia in età pediatrica che nell’adulto. Sono ad oggi disponibili 4
tipi di DC: la DC classica, la DC con acidi grassi a catena media (MCT), la dieta Atkins modificata (MAD) e la dieta a basso indice glicemico
(LGIT) 2, 7 (Tab. I).
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:108-112
PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE
Dieta chetogena
Tabella I.
Composizione lipidica, proteica, glucidica e calorica delle diverse diete.
Calorie Totali
Lipidi
Proteine
Carboidrati
Dieta normale
Secondo RDA
30-35%
15-20%
50%
Dieta chetogena classica 3:1/4:1
Secondo RDA
90%
7%
3%
Dieta Atkins modificata
Secondo RDA
60-70%
20-30%
5%
(10 g/die)
Dieta supplementata in trigliceridi a
catena media (MCT)
Secondo RDA
90%, di cui 30-60% da MCT
(10-45% da LCT)
10%
15-20 %
Dieta a basso indice glicemico
Secondo RDA
45-60%
20-30%
25-30%
(40-60 gr/die
IG < 50)
Meccanismo
d’azione
I meccanismi attraverso cui la
dieta chetogena provoca una
riduzione dell’eccitabilità neuronale sono diversi: la riduzione del rapporto tra carboidrati
e proteine rispetto agli acidi
grassi riproduce una condizione simile al digiuno, in cui le
riserve di glucosio diventano
insufficienti per la sintesi di ATP
a partire dalla glicolisi e il metabolismo cellulare è ottimizzato, spostando la produzione di
energia dalla glicolisi alla betaossidazione degli acidi grassi,
con conseguente produzione
di corpi chetonici, fonte energetica alternativa per la fosforilazione ossidativa. Inoltre, i
corpi chetonici aumentano la
concentrazione mitocondriale di acetil-CoA, bypassando
il complesso della piruvatodeidrogenasi (PDH); in questo
modo, una lieve chetosi provoca gli stessi effetti metabolici
dell’insulina senza utilizzarne la
via intracellulare. Poiché glucosio e corpi chetonici hanno una
Km simile ai trasportatori del
glucosio a livello della barriera ematoencefalica (BEE) (Km
​​
5 mM) (costante di MichaelisMenten (Km) è un indice di affinità tra l’enzima e il substrato,
ndr), i corpi chetonici possono essere utilizzati come fonte
di energia a livello del sistema
nervoso quando superano la
concentrazione di 4 mmol/L,
offrendo una resa energetica
migliore rispetto al glucosio
(l’ossidazione del 3-idrossibutirrato porta alla formazione di
un maggior numero di molecole
di ATP). Inoltre, gli astrociti sono
in grado di interiorizzare gli acidi
grassi liberi attraverso recettori
specifici, convertendoli in corpi
chetonici che vengono successivamente trasferiti ai neuroni
dal trasportatore degli acidi monocarbossilici (MCT) che possiede una Km più bassa (Km 0,5
mM). I corpi chetonici hanno un
effetto neuroprotettivo poichè
attivano numerose vie metaboliche endogene e programmi
genetici che stabilizzano e / o
migliorano il metabolismo cellulare, cui conseguono l’aumento
della produzione di ATP nel mitocondrio, la stimolazione della
biogenesi mitocondriale, la riduzione dello stress ossidativo e
la modulazione dell’eccitabilità
neuronale per blocco dei ca-
nali ionici voltaggio-dipendenti
(Fig. 1). Inoltre, nel cervello in
via di sviluppo, i corpi chetonici
sono costituenti essenziali per la
biosintesi delle membrane cellulari e dei lipidi 1.
Patologie
neurologiche e
neuro-metaboliche
trattabili
La DC si è dimostrata efficace
nel trattamento di numerose patologie di seguito elencate 2, 3, 7.
Spasmi infantili: la DC è in grado di controllare le forme refrattarie al trattamento antiepilettico di prima scelta.
Epilessia mioclonico-astatica
(sindrome Doose): una forma
di epilessia generalizzata della prima infanzia con elevata
frequenza di intrattabilità. Le
crisi atoniche con perdita di
controllo del capo rispondono
rapidamente alla DC.
Sindrome di Rett: la DC migliora le convulsioni intrattabili, tuttavia la sua applicazione
deve essere individualizzata
in considerazione dello scarso accrescimento, frequente in
questi pazienti.
109
A. Maiorana et al.
Figura 1.
Meccanismi neuroprotettivi della DC. I canali KATP-dipendenti a livello
dei neuroni sono attivati (aperti) dalla riduzione della glicolisi che si
verifica in seguito alla somministrazione della DC, e alla conseguente
riduzione del rapporto intracellulare ATP/ADP. L’attivazione di questi
canali provoca l’iperpolarizzazione della membrana cellulare, con conseguente riduzione dell’eccitabilità neuronale. Inoltre, gli acidi grassi
polinsaturi (PUFA) forniti dalla DC agiscono sulle cellule neuronali con
diversi meccanismi: inibiscono i canali Na + e Ca2+ voltaggio-dipendenti, e insieme ai corpi chetonici, possono attivare canali K2P e potenziare
l’attività delle pompe Na+/K+ ATPasi che iperpolarizzano le membrane
cellulari. Essi inducono inoltre l’espressione del recettore attivante la
proliferazione α del perossisoma (PPARα), che a sua volta induce l’espressione della proteina disaccoppiante la fosforilazione ossidativa 2
(UCP2) che separa il trasporto degli elettroni dalla produzione di ATP
e indirettamente diminuisce la produzione dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS). Anche se apparentemente la produzione di energia cellulare sembra essere ridotta, l’espressione cronica di UCP2 nelle cellule
neuronali stimola la biogenesi mitocondriale, pertanto in ultima analisi
l’ATP cerebrale risulta aumentato, ma parallelamente vi è una ridotta
produzione dei ROS con conseguente riduzione della disfunzione mitocondriale provocata dalle convulsioni. Un altro meccanismo neuroprotettivo è l’aumento del tono noradrenergico e della produzione di
GABA, con conseguente inibizione dell’eccitabilità neuronale. Infine,
anche l’inibizione dell’attività di mTOR nei neuroni provoca un ulteriore
effetto anticonvulsivante (da Bough et al., 2007 1, mod.).
Sclerosi tuberosa complessa:
molti pazienti sono refrattari alla
terapia medica e la presenza di
tuberi multipli può controindicare
il trattamento chirurgico. In questi
pazienti, la DC si è dimostrata efficace nel controllo delle crisi.
110
Epilessia mioclonica severa
dell’infanzia (sindrome di Dravet): l’epilessia intrattabile è una
delle caratteristiche della sindrome di Dravet; numerosi studi
suggeriscono che la dieta chetogena può ridurre la frequenza
delle crisi, in particolare delle
assenze atipiche.
Forme specifiche di epilessia: la
DC si è dimostrata efficace in
casi isolati di: sindrome di Landau Kleffner o afasia epilettica
acquisita, sindrome di Lennox
Gastaut, assenze epilettiche
(qualora la terapia antiepilettica
si sia dimostrata parzialmente
efficace), panencefalite subacuta
sclerosante (PESS), alcuni deficit
dei complessi della catena respiratoria mitocondriale (es. malattia
di Alpers), epilessia parziale migrante dell’infanzia, epilessia con
crisi mioclonico-atoniche, encefalopatia epilettica refrattaria
secondaria a convulsioni febbrili
(FIRES). Alcuni casi di lissencefalia e di encefalopatia ipossicoischemica hanno mostrato una
buona risposta alla DC 2.
Deficit di GLUT1: il deficit di
GLUT1 è una malattia metabolica caratterizzata da un alterato
trasporto del glucosio attraverso la BEE, responsabile di neuroglicopenia, con conseguenti
esiti neurologici quali epilessia
generalizzata, ritardo dello sviluppo e disturbi del movimento.
La malattia può anche manifestarsi con crisi di assenza ad
esordio precoce. Lo studio del
rapporto glicorrachia/glicemia è
il gold standard per la diagnosi
e un valore < 0,5 rappresenta la
soglia diagnostica. La diagnosi
deve essere confermata geneticamente con la ricerca delle
mutazioni nel gene SLC2A1.
La DC è il trattamento di prima
scelta in questa patologia in
quanto attraverso i corpi chetonici fornisce una fonte di energia alternativa per il cervello. Le
convulsioni tipicamente regrediscono con l’inizio della dieta
mentre gli effetti sul ritardo del-
PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE
Dieta chetogena
lo sviluppo neuromotorio sono
meno evidenti. Bisogna tuttavia
considerare che la diagnosi di
deficit di GLUT-1 è spesso tardiva, e le sequele neurocognitive potrebbero verosimilmente
giovarsi di un inizio più precoce
della DC. La supplementazione
con trieptanoato di glicerina, un
trigliceride di sintesi a catena
media a numero dispari di atomi di carbonio con potenziale
effetto anaplerotico sul ciclo di
Krebs, è oggi in fase di studio
come potenziale terapia innovativa per il deficit di GLUT1.
Deficit di piruvato deidrogenasi
(PDH): la dieta chetogena si è
dimostrata efficace come fonte
di energia alternativa per il cervello anche nei pazienti affetti
da deficit di PDH, una malattia
mitocondriale che impedisce la
conversione del piruvato, derivato dall’ossidazione del glucosio, in acetilCoA. La patologia è caratterizzata da acidosi
lattica, gravi sintomi neurologici e, occasionalmente, epilessia intrattabile. La DC viene utilizzata per produrre acetilCoA
dall’acetoacetato bypassando
il difetto enzimatico. Alcuni pazienti in DC mostrano esiti neurologici favorevoli.
Iperglicinemia non chetotica
(NHK): raro errore congenito
del metabolismo dovuto al
deficit dell’attività del sistema di clivaggio della glicina,
caratterizzato da ipotonia,
mioclonie ed epilessia farmaco-resistente. La diagnosi
biochimica si basa sull’aumento del rapporto glicina
liquorale/glicina plasmatica
(0,09-0,49 nella NKH classica). Nei casi in cui la terapia
farmacologica specifica non
consente un controllo della
sintomatologia critica, la DC
migliora il quadro clinico ed
elettroencefalografico
con
conseguente miglioramento
della qualità di vita 8.
L’efficacia e la sicurezza della
DC vengono valutate mediante:
a) riduzione del numero ed intensità delle crisi epilettiche; b)
modificazioni EEG; c) valutazione degli aspetti neuropsicologici; d) mantenimento dello stato
di chetosi con monitoraggio
degli eventuali effetti collaterali;
e) compliance dietetica (strettamente legata alla compromissione cognitiva del paziente).
Ulteriori
indicazioni
cliniche
Alcuni studi recenti suggeriscono che la DC possa essere
utilizzate anche in altre patologie. Queste condizioni includono, oltre ad alcune malattie
metaboliche come la glicogenosi di tipo III (Fig. 2), anche
autismo, tumori cerebrali, depressione, narcolessia, morbo
di Alzheimer, traumi cerebrali,
sindrome di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica (SLA),
emicrania, disturbi del sonno,
mioclono post-ipossico, danno cerebrale post-anossico e
schizofrenia 3, 7.
Le glicogenosi sono patologie metaboliche caratterizzate
da segni epatici e/o muscolari
quali epatopatia, ipoglicemia,
cardiomiopatia,
intolleranza
all’esercizio, debolezza muscolare. Studi recenti hanno
dimostrato un’efficacia della
DC sui sintomi muscolari di
pazienti affetti da glicogenosi
di tipo V e VII, e sulla cardiomiopatia ipertrofica nella glicogenosi di tipo III 4-6.
Controindicazioni
e valutazioni
di screening
La DC in pazienti affetti da errori congeniti del metabolismo
Figura 2.
Indicazioni e controindicazioni all’utilizzo della DC nella malattie metaboliche.
111
A. Maiorana et al.
ant mechanisms of the ketogenic
diet. Epilepsia 2007;48:43-58.
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4
Figura 3.
Effetti collaterali della DC.
Brambilla A, Mannarino S, Pretese
R, et al. Improvement of cardiomyopathy after high-fat diet in two siblings with glycogen storage disease
tipe III. JIMD Rep 2014;17:91-5.
5
a carico del trasporto o dell’ossidazione degli acidi grassi può
causare conseguenze gravissime, anche mortali. La DC può
inoltre aggravare i sintomi nei
pazienti con porfiria acuta intermittente (Fig. 2). L’incapacità di mantenere una nutrizione
adeguata, l’individuazione di
foci chirurgici cerebrali causa
di epilessia e la mancata compliance familiare costituiscono
controindicazioni relative all’utilizzo della DC 7.
Effetti collaterali
I genitori e gli operatori sanitari dei pazienti in DC devono
essere informati degli effetti
avversi comuni, occasionali e
rari che possono verificarsi in
corso di questo trattamento
(Fig. 3). La maggior parte degli
effetti collaterali sono prevedibili, spesso prevenibili, e solo
raramente portano all’interruzione del trattamento 7.
Mayorandan S, Meyer U, Hartmann H, et al. Glycogen Storage
Disease type III: modified Atkins
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8
Bibliografia
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1
• La DC mima una condizione di digiuno promuovendo la chetosi mediante la restrizione dell’apporto di carboidrati e l’au-
mento del contenuto lipidico.
• La DC fornisce un substrato energetico alternativo al glucosio.
• La DC ha effetti neuroprotettivi e anticonvulsivanti.
• La DC è indicata in malattie neurologiche, metaboliche, oncologiche, cardiovascolari, respiratorie.
• L’effetto neuroprotettivo della DC si esplica attraverso l’ aumento della produzione mitocondriale di ATP, la stimolazione della
biogenesi mitocondriale, la riduzione dello stress ossidativo e la modulazione dell’eccitabilità neuronale mediante l’azione
sui canali di membrana voltaggio-dipendenti e l’aumento della sintesi dei neurotrasmettitori inibitori.
112
a cura di
Barbara Bizzarri
TRAINING
AND EDUCATIONAL CORNER
La diagnostica allergologica in vivo
nel management delle gastroenteropatie
eosinofile
In vivo allergy tests in the management of eosinophilic
gastroenteropathies
Le gastroenteropatie eosinofile sono un gruppo
di patologie rare, che comprende l’esofagite, la
gastroenterite e la colite eosinofila, tutte caratterizzate da intenso infiltrato eosinofilo a livello della
mucosa in assenza di altre cause note.
L’eziologia delle gastroenteropatie eosinofile non
è nota. È ormai indiscusso, però, il ruolo svolto
da allergeni inalanti e alimentari come fattori trigger dei processi infiammatori alla base di queste
patologie 1, 2. In numerosi lavori si evidenzia come
il meccanismo eziopatogenico prevalente sia IgEmediato, con un ruolo fondamentale dei linfociti
Th-2 e delle citochine IL-5 e IL-13 da essi prodotte. Nel modello murino, infatti, IL-5 si è dimostrato promuovere l’infiltrazione di eosinofili all’interno della mucosa esofagea; mentre in altri studi
in vitro IL-13 aumentava il livello di eotassina-3,
la cui concentrazione è correlata con la severità
dell’esofagite eosinofila 3, 4.
I pazienti affetti da queste patologie presentano,
nel 50-80% dei casi, una storia personale e/o familiare di atopia 1, 2. Tuttavia, resta da chiarire il
motivo per cui, nonostante l’alta incidenza di sensibilizzazione nei confronti di allergeni alimentari,
solo una minima parte di pazienti manifesti nella
sua vita fenomeni di anafilassi dopo l’assunzione
di tali alimenti. Diverso sembra essere il subset
Th2 coinvolto: i pazienti con gastroenteropatia
eosinofila e sensibilizzazione di tipo IgE per l’arachide mostrano linfociti Th2 IL-5 positivi, mentre
nei pazienti con anafilassi secondaria ad assunzione di arachide i linfociti Th2 IL-5 negativi sono
predominanti 5.
Anche gli allergeni inalanti hanno un ruolo importante nella patogenesi, in particolare dell’esofagite eosinofila. I pazienti con rinite e/o asma allergici
presentano riesacerbazioni della sintomatologia
gastrointestinale in concomitanza della stagione
pollinica. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato la
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:113-115
Erminia Ridolo (foto)
Laura Bonzano
Valerie Melli
Irene Martignago
Dipartimento di Medicina Clinica
e Sperimentale, Università degli
Studi di Parma
Key words
Eosinofilic gastroenteropathy •
Eosinophilic esophagitis • Food
allergy • Atopy patch test • Skin
prick test
Abstract
The eosinophilic gastroenteropathies are
a group of rare disease characterized by an
high incidence of atopy (50-80% of all patients). Even though the etiology is not clear,
the role of inhalant and food allergens as
trigger in the pathogenesis of these group of
disease is unquestioned. Skin prick test and
atopy patch test are the recommended tests
to perform for a correct allergy diagnosis. In
vitro test (specific IgE serum assay) is occasionally required.
Indirizzo per la corrispondenza
Erminia Ridolo
via Gramsci 14, 43126 Parma
E-mail: [email protected]
113
E. Ridolo et al.
presenza di infiltrati eosinofili
a livello esofageo in concomitanza con i sintomi respiratori
stagionali, anche in assenza di
sintomatologia gastrointestinale 6, 7.
Data l’elevata incidenza di atopia fra i pazienti affetti da questa patologia e il ruolo causale
di alcuni allergeni, lo screening
allergologico appare indicato
ad ogni nuova diagnosi.
L’esecuzione dei test allergometrici in vivo, quali prick test
per allergeni inalanti e alimentari e atopy patch test, sono
importanti nell’iter diagnostico
e terapeutico dei pazienti affetti da gastroenteropatie eosinofile.
I risultati combinati di entrambi
i test allergometrici consentono l’individuazione dell’eventuale trigger e la conseguente
formulazione di un’ adeguata
terapia dietetica al fine di ottenere la risoluzione della sintomatologia e la scomparsa
degli infiltrati eosinofili a livello
mucosale. La sensibilità combinata di entrambi gli esami è
del 65-95% e la specificità del
78-90% 8.
Tuttavia, l’interpretazione dei
test allergometrici non è facile. Il riscontro di una positività
a tali test non è sinonimo di
allergia, ma il risultato è da interpretare in base alla sintomatologia clinica che il paziente
presenta. Tale compito resta a
carico dello specialista allergologo.
Il primo meccanismo di ipersensibilità da indagare è quello IgE-mediato verso allergeni
inalanti ed alimentari, che va
verificata attraverso le prove
cutanee (skin prick test). Questi
test presentano alta specificità
114
e sensibilità e un elevato profilo
di sicurezza, essendo raramente causa di reazioni sistemiche.
Inoltre, possono essere eseguiti
in pazienti di ogni età.
I prick test vengono eseguiti
solo su cute sana, utilizzando pannelli standardizzati di
estratti allergenici, seguendo
la tecnica raccomandata dalle
linee guida internazionali 9:
•porre una goccia degli estratti commerciali contenenti
l’antigene inalante o alimentare che si vuole testare,
mantenendo una distanza di
almeno 2 cm l’uno dall’altro,
a livello della faccia volare
dell’avambraccio;
•pungere la cute con una lancetta sterile con una puntina
del diametro di 1 mm attraverso l’estratto, utilizzando
una lancetta diversa per ogni
allergene testato;
•eseguire un controllo positivo con istamina (soluzione di
istamina idrocloridrata al 9%)
e un controllo negativo con
soluzione fisiologica;
•attendere 10-20 min per valutare la reazione cutanea.
La positività è data dalla comparsa di un pomfo di diametro
uguale o superiore al pomfo del
controllo positivo (istamina), in
genere di diametro ≥ 3 mm.
Tuttavia esistono condizioni in
cui non è possibile eseguire
prick test per l’elevata possibilità di avere falsi positivi o falsi
negativi 9.
Falsi positivi si possono avere
in caso di:
•marcata iperreattività cutanea:
•reazione “irritante”, per esempio in caso di sanguinamento in sede di passaggio della
lancetta;
•reazione aspecifica per positività ad un reagente contiguo dovuta al non aver rispettato la distanza minima
di 2 cm fra i vari allergeni.
Falsi negativi possono essere
dovuti, invece, a:
•utilizzo di estratti commerciali malconservati o scaduti;
•utilizzo da parte del paziente
di farmaci che riducono la reattività cutanea: antistaminici, antidepressivi, ansiolitici,
corticosteroidi topici utilizzati
nell’area in cui si esegue il
test;
•patologie cutanee e/o sistemiche che diminuiscono la
responsività della cute (es.
atrofia cutanea diffusa nel
paziente anziano);
•utilizzo di tecnica errata (assenza di puntura o puntura
troppo debole).
In questi casi è indicato procedere con il dosaggio di IgE
specifiche su siero, utilizzando
anche, come indagine di terzo
livello, la diagnostica molecolare.
Il secondo tipo di meccanismo
da indagare è quello cellulomediato di tipo ritardato, che
va ad accertare la presenza di
reazioni non IgE-mediate ad allergeni alimentari. Il test utilizzato è l’atopy patch test, che si
effettua con:
•applicazione epicutanea degli apteni da indagare, diluiti con solventi specifici per
ogni sostanza e posizionati
su appositi dischetti adesivi,
definiti patch, a livello della
parte superiore del dorso in
regione interscapolare;
•utilizzo di un controllo negativo (es: vasellina);
•applicazione di medicazione
occlusiva con cerotto piatto
TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER
Diagnostica della gastroenteropatia eosinofila
in modo da favorire la penetrazione dell’aptene nella
cute;
•mantenimento in sede per 72
ore.
A distanza di 72 ore va eseguita la lettura che consiste
nella valutazione delle eventuali reazioni cutanee presenti
in corrispondenza delle sedi di
applicazione dell’aptene. La reazione cutanea viene valutata
secondo una scala qualitativa
e quantitativa standardizzata,
in modo da garantire una lettura universale al patch test 10.
L’area a livello della quale si
effettua il test deve essere indenne da lesioni, in modo da
garantire che la normale reattività cutanea del soggetto
non sia alterata, sia in senso
negativo (nel caso di cicatrici),
che in senso positivo (nel caso
di processi infiammatori attivi,
come acne o la DAC) oppure
che esistano condizioni che interferiscano con la lettura (per
es. ampi tatuaggi).
L’esame può essere eseguito
solo se sono trascorsi almeno
dieci giorni dalla sospensione
della terapia con cortisonici topici, per quanto riguarda l’area
in cui si applica il patch test,
e con farmaci antistaminici e
cortisonici per via sistemica.
L’allergologo ha un ruolo fondamentale nell’eseguire ed
interpretare i test allergometrici e rappresenta una figura
importante nella gestione delle patologie gastrointestinali
eosinofile, in particolare nella
prescrizione di adeguate diete
di eliminazione al fine di ottenere una riduzione della flogosi
eosinofila e la risoluzione della
sintomatologia clinica.
Bibliografia
Ridolo E, Montagni M, Olivieri E, et
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10
• A ogni nuova diagnosi di gastroenteropatia eosinofila è utile eseguire una valutazione allergologica.
• I test di primo livello sono gli skin prick test per allergeni inalanti ed alimentari e gli atopy patch test (test in vivo).
• Il riscontro di sensibilizzazioni ai test allergometrici non significa manifestazione allergica.
• Il profilo di sensibilizzazioni riscontrate è di guida per un corretto iter terapeutico.
115
IBD HIGHLIGHTS
a cura di
Fortunata Civitelli
Ruolo dei fattori ambientali
e della dieta nella patogenesi delle IBD
Role of environmental factors and diet
in the pathogenesis of pediatric IBD
Marina Aloi (foto)
Manuela Distante
Dipartimento di Pediatria
e Neuropsichiatria Infantile,
UOC di Gastroenterologia ed
Epatologia Pediatrica,
Università “La Sapienza”, Roma
Key words
Environment • Diet •
Inflammatory bowel disease •
Smoking • Antibiotic
Abstract
A rapid increase of the incidence of pediatric
IBD is reported worldwide, both in developed
and developing countries, suggesting a role
of environmental triggers in their pathogenesis. Although a causative role for a specific
factor has not been proven, the spread of the
“Western” diet, high in fat and protein but low
in fruits and vegetables, is regarded by many
researchers as a strong candidate, and its influence on gut inflammation is highly hypothesized.
Indirizzo per la corrispondenza
Marina Aloi
viale Regina Elena 324, 00161 Roma
E-mail: [email protected]
116
Le malattie infiammatorie croniche intestinali
(IBD, da Inflammatory Bowel Disease), malattia
di Crohn (MC) e rettocolite ulcerosa (RCU), sono
processi infiammatori del tratto gastrointestinale
ad andamento cronico-recidivante. La loro eziopatogenesi, anche se non completamente chiarita, è multifattoriale e coinvolge una complessa
interazione tra geni, sistema immunitario, microbiota intestinale e fattori ambientali.
Le basi genetiche delle IBD sono state studiate
in modo esaustivo tramite studi di associazione
genome-wide (in inglese genome-wide association study, o GWAS). Finora, sono stati identificati 163 loci di rischio, la maggior parte dei quali
condivisi dalle due malattie 1. Nonostante i geni
siano fattori necessari per lo sviluppo delle IBD,
diverse evidenze indicano che da soli non sono
sufficienti a determinarle, tra queste il basso tasso di concordanza in gemelli monozigoti (10-15%
nella RCU e 30-55% nella MC) e i rapidi cambiamenti epidemiologici che hanno caratterizzato le
malattie negli ultimi decenni, non spiegabili con
paralleli cambiamenti genetici (molto più lenti nella loro estrinsecazione).
Sin dalla fine del secolo scorso è stato registrato un aumento significativo dell’incidenza delle
due malattie, parallelo ad enormi cambiamenti
ambientali verificatisi all’inizio del 20° secolo nei
paesi occidentali, tra cui una maggiore igiene
personale, l’ampio uso di vaccini e antibiotici e
l’introduzione di differenti abitudini alimentari, tra
cui l’uso di cibi inscatolati. Più recentemente si
è assistito ad ulteriori cambiamenti epidemiologici delle IBD: infatti, sebbene la più alta incidenza
sia ancora riportata nei paesi industrializzati, soprattutto Nord America e Europa, paesi come il
Giappone, l’India o Hong Kong, in cui tali malattie
erano sconosciute fino a pochi decenni fa, hanno
visto crescere il numero di casi diagnosticati, in
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:116-120
IBD HIGHLIGHTS
Ruolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi
delle IBD
concomitanza con l’adozione
di un stile di vita occidentale 2. La stessa tendenza è stata
osservata in immigrati che si
sono trasferiti da paesi in via
di sviluppo in quelli occidentali. Questi dati suggeriscono
che l’ambiente gioca un ruolo
cruciale nel determinismo delle IBD e diversi dati indicano
che quanto più precocemente
avviene l’esposizione ai fattori
ambientali, tanto più il rischio
di sviluppare le malattie aumenta. Sebbene a tutt’oggi un
singolo trigger ambientale non
sia stato definito, numerosi
possibili fattori sono stati studiati, tra cui il fumo, la dieta, lo
stress, l’igiene, l’allattamento
al seno, l’esposizione agli antibiotici, gastroenteriti ricorrenti
e altre infezioni contratte in età
pediatrica, con risultati variabli
(Tab. I).
Il principale problema nell’ottenere dati convincenti sul ruolo
dell’ambiente nella patogenesi
delle IBD proviene dalla difficoltà metodologica di condurre
studi in questo campo. Infatti, a
causa della bassa incidenza delle malattie, molti studi sono caso-controllo, fornendo un basso
livello di evidenza. Inoltre, al fine
di determinare una relazione
causale tra un fattore ambientale e la malattia, l’esposizione
deve precedere lo sviluppo della
condizione, deve essere stabilita
una relazione causale precisa fra
più variabili possibili, e deve essere dimostrata una spiegazione
biologica plausibile. Lo scopo
di questo articolo è di valutare criticamente i dati sui fattori
ambientali descritti in letteratura, con particolare attenzione al
ruolo della dieta nella patogenesi delle IBD.
Tabella I.
Correlazione tra fattori ambientali e rischio di malattia di Crohn (MC) e
rettocolite ulcerosa (RCU).
Fattore di rischio
MC
RCU
Dieta
Acidi grassi omega-6 (n-6)
Acidi grassi omega-3 (n-3)
Allattamento al seno
Proteine animali
Fibre
Zuccheri raffinati
+
+
Vitamina D
-
Esposizione ad antibiotici durante l’infanzia
+
Gastroenteriti ricorrenti
+
Stress
+
Fumo
+
-
Appendicectomia
+
-
+
-
+
Antiinfiammatori non steroidei
+
Contraccettivi orali
+
Igiene
+
+ = associazione positiva; - = associazione negativa/effetto protettivo
+
La dieta
La diffusione della dieta occidentale è considerata come
una possibile spiegazione
dell’aumentata incidenza di
IBD su scala mondiale. L’influenza della dieta sulla patogenesi delle IBD è stata ipotizzata considerando il suo effetto
sulla composizione del microbioma intestinale e sullo stato
immunitario a livello mucosale.
Diversi componenti alimentari,
comunemente presenti nelle
diete occidentali, si sono dimostrati inoltre potenzialmente
lesivi per la barriera epiteliale 3.
Ad esempio, alcuni detergenti
ed emulsionanti sono in grado
di danneggiare direttamente la
barriera mucosale. Il polisorbato 80, un emulsionante presente in diversi prodotti alimentari
lavorati, aumenta la traslocazione di E. coli nelle placche
del Peyer nella MC. Uno studio
giapponese ha di recente identificato una correlazione diretta tra la produzione annuale
di emulsionanti alimentari e
l’aumentata incidenza di MC
in Giappone. Altri studi hanno
dimostrato come il glucosio
determini un aumento della
permeabilità intestinale e modifichi la composizione proteica a livello delle tight junctions
della linea cellulare umana
Caco-2, con conseguente minore coesione cellulare e danno della barriera intestinale. La
gliadina, tossica nella malattia
celiaca, è in grado di aumentare la permeabilità intestinale
anche in soggetti non celiaci,
mediante il legame al recettore epiteliale CXCR3 e il rilascio
di zonulina. Il caprato di sodio,
acido grasso a catena media,
presente nei derivati del latte,
117
M. Aloi, M. Distante
aumenta la permeabilità a livello ileale nel ratto e in campioni bioptici ileali di pazienti con
MC. Infine, è stato dimostrato
un ruolo nell’insorgenza della malattia da parte di alcuni
mediatori lipidici con proprietà
immunomodulanti e proinfiammatorie.
Una seconda linea di ricerca
ha indagato la correlazione tra
abitudini alimentari e rischio
di sviluppare IBD. Un elevato
apporto di acidi grassi polinsaturi n-6 (n-6 PUFA), presenti
nella carne rossa, nell’olio da
cucina e nella margarina, è associato ad un più alto rischio
di sviluppare RCU. Al contrario, un elevato consumo di
acido docosaesaenoico n-3
PUFA correla negativamente con tale rischio. n-6 e n-3
PUFA sono i precursori degli
eicosanoidi, potenti mediatori lipidici con un ruolo chiave
nella modulazione dell’infiammazione. Gli eicosanoidi che
derivano dagli n-6 PUFA hanno attività proinfiammatoria,
mentre quelli derivati ​​
da n-3
PUFA sono degli antiinfiammatori. Nel corso degli ultimi
decenni un aumento significativo del rapporto n-6:n-3
(~15:1) ha caratterizzato i modelli alimentari occidentali. È
interessante notare come in
parallelo l’incidenza delle IBD
sia aumentata. Oltre agli acidi grassi, un elevato consumo
di zuccheri raffinati e proteine
sembra essere correlato ad un
aumentato rischio di MC. Al
contrario, un elevato consumo
di frutta e verdura ha un ruolo protettivo sullo sviluppo di
MC, mentre non sembra influire sul rischio di RCU. Il ruolo
dell’allattamento al seno non è
118
ancora del tutto compreso, anche se una recente review ne
ha riportato un modesto effetto protettivo (OR 0,69; 95% CI,
0,51-0,94) 4.
Altri fattori, tra cui le vitamine e
i micronutrienti, sono stati correlati con il rischio di IBD. Le
prove più interessanti derivano
dal legame tra i livelli di vitamina D e il rischio di malattia. Un
ampio studio condotto recentemente su donne adulte (più
di 70000 soggetti) ha dimostrato una relazione tra livelli
elevati di vitamina D ed una riduzione del rischio di sviluppare la MC, e, in misura minore, la
RCU. L’ipotesi di una relazione
tra livelli di vitamina D e rischio
di IBD si basa su numerosi
dati, tra cui il fatto che le aree
geografiche a più alta incidenza di malattia sono quelle con
una bassa esposizione solare
e che è stato ampiamente dimostrato un ruolo diretto della
vitamina D sul sistema immunitario e su processi chiave alla
base delle IBD (trascrizione del
gene NOD2, autofagia).
Ulteriori dati sull’impatto dei
modelli dietetici occidentali
sul rischio di sviluppare IBD,
sono stati pubblicati molto recentemente: una dieta ricca in
zuccheri e bevande gassate
e povera in verdure è risultata associata ad un maggiore
rischio di RCU, mentre non è
stata dimostrata alcuna correlazione con il rischio di MC. Al
contrario una dieta di tipo “mediterraneo” sembra non aumentare il rischio di malattia 5.
È tuttavia importante sottolineare che verificare un rapporto
di casualità è estremamente
complesso, considerato che
molto spesso tali studi sono
caso-controllo e retrospettivi.
Esistono numerosi fattori confondenti, tra cui la definizione
del tipo di dieta e la possibile
influenza di altri fattori ambientali. Idealmente, ampi studi
prospettici in popolazioni ad
alto rischio, con interventi dietetici mirati, potrebbero fornire
risultati definitivi. Questi potrebbero essere ulteriormente
arricchiti da dati pediatrici, per
l’opportunità unica di studiare
la risposta immunitaria iniziale
e per caratterizzare al meglio le
correlazioni genotipo-fenotipo.
Il fumo
Il fumo ha effetti diversi nelle IBD: aumenta il rischio di
sviluppare MC ma non RCU.
Numerosi studi hanno dimostrato una correlazione diretta
tra fumo e rischio di sviluppare
MC, inoltre tale rischio rimane
aumentato nei primi anni dalla sospensione e, in soggetti
affetti da MC il fumo peggiora
l’andamento in termini di recidive e complicanze.
Al contrario, i fumatori hanno
un ridotto rischio di sviluppare RCU e, quando affetti dalla
malattia, sembrano avere un
decorso più mite. I meccanismi alla base di tali differenze
rimangono sconosciuti. Recentemente, si è ipotizzato che
il fumo di sigaretta possa modulare diversamente il fenotipo
e le funzioni delle cellule dendritiche in pazienti con RCU e
MC, con conseguente aumento della prevalenza di cellule T
CD4 Foxp3 + nei primi, e con
uno spostamento dell’equilibrio Th1/Th2 a favore dei linfociti Th1 nei secondi. Sorprendentemente, però, paesi con
IBD HIGHLIGHTS
Ruolo dei fattori ambientali e della dieta nella patogenesi
delle IBD
un’alta percentuale di adulti fumatori, come la Cina, la Mongolia o il Kenya, hanno una
bassa incidenza di IBD, mentre
i paesi del Nord-Europa, dove
il numero di fumatori è nettamente inferiore, hanno un’alta
incidenza di malattia.
Gli antibiotici
L’ampia diffusione di antibiotici
nel XX secolo è coincisa con
la comparsa di patologie croniche come le IBD, supportando l’ipotesi di un loro possibile
effetto sulla patogenesi di tali
malattie. Tali farmaci possono agire causando modifiche
permanenti del microbioma
intestinale, determinando uno
squilibrio dell’interazione fisiologica tra flora batterica,
barriera intestinale e sistema
immunitario, o, più probabilmente, agendo ad entrambi i
livelli. Diversi studi hanno indagato il rapporto tra antibiotici e
rischio di IBD. Recentemente
un’ampia meta-analisi, che ha
valutato 11 studi osservazionali (8 caso-controllo e 3 di
coorte), per un totale di più di
7000 pazienti affetti da IBD,
ha riportato un lieve aumento rischio di IBD tra i soggetti
esposti a qualsiasi antibiotico.
L’esposizione a terapia antibiotica è risultata significativamente correlata con la MC
(OR 1,74, 95% CI 1,35-2,23),
ma non con la RCU (OR 1,08,
95% CI 0,91-1,27). È interessante notare che il rischio era
maggiore nei bambini che negli
adulti e che, ad un’analisi delle
classi di antibiotici associati al
rischio di IBD, metronidazolo e
fluorochinolonici risultavano le
classi con la più alta associa-
zione di rischio (sebbene tutte
le classi, ad eccezione delle
pencilline, risultassero correlate) 6. Alcuni dati suggeriscono
che l’età di esposizione sia determinante, probabilmente per
una modifica persistente della
flora intestinale: l’uso precoce
di antibiotici nel primo anno di
vita ha una frequenza significativamente maggiore nei bambini con IBD, rispetto ai controlli.
Il ruolo di episodi ricorrenti di
gastroenterite o di altre infezioni è stato suggerito da alcuni studi. Dati pediatrici suggeriscono una correlazione
tra ricoveri per gastroenterite
durante l’infanzia e sviluppo
di IBD. Tuttavia, altri studi non
confermano tali dati, rendendo
i risultati su tale argomento ancora inconcludenti.
Lo stress
Lo stress è stato storicamente
identificato come fattore negativo sul decorso delle IBD.
Studi su modelli di animali con
colite hanno confermato tale
dato. I meccanismi alla base di
un effetto dello stress sull’andamento della malattia sono
diversi, tra cui i possibili cambiamenti nelle interazioni tra
microbiota e sistema immunitario, le modifiche dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene e del
rilascio periferico di CRH (Corticotropin-releasing hormone)
e l’attivazione delle mastcellule
mucosali. Inoltre, le modifiche
del tono dell’umore, come i
disturbi depressivi, sembrano
influire negativamente sull’attività della malattia.
Diversi studi hanno tentato
di correlare stress e rischio di
IBD, tuttavia le differenti defi-
nizioni di stress, l’inclusione di
gruppi misti di pazienti (per tipo
o stadio di malattia) e la presenza di variabili confondenti,
rendono difficile l’interpretazione dei risultati. Alcuni dati
suggeriscono una correlazione
negativa tra stress e sviluppo
di IBD, al contrario un recente
studio caso-controllo pediatrico, condotto in Danimarca, ha
evidenziato come il verificarsi
di eventi stressanti nella vita
di un bambino, quale il divorzio dei genitori, sia in grado di
produrre un lieve incremento
nel rischio di IBD (OR 1,7 95%
CI 1,0-2,9), insieme ad una
serie di altri fattori di rischio
ambientali (fattori alimentari,
storia familiare di IBD, infezioni
gastrointestinali, condivisione
della stessa camera da letto,
eczema atopico).
Conclusioni
La conoscenza dei meccanismi patogenetici delle IBD è
significativamente aumentata
negli ultimi decenni. È ormai
ampiamente accettato che
queste malattie siano il risultato di un’interazione tra tre fattori chiave: geni, barriera intestinale e ambiente. Nei primi anni
del 2000 la ricerca si è concentrata sui primi, con grandi
aspettative iniziali e successive delusioni, dato che le conoscenze acquisite non hanno
ancora avuto un impatto diretto sulla gestione dei pazienti e
sulla storia naturale della malattia. Recentemente l’interesse della ricerca si è sempre
più concetrato sullo studio dei
fattori ambientali che, qualora
identificati, potrebbero essere l’unico elemento del puzzle
119
M. Aloi, M. Distante
potenzialmente modificabile.
Dati recenti suggeriscono che
alcuni componenti alimentari, tipici delle diete occidentali, potrebbero avere un ruolo
diretto nella patogenesi delle
IBD e alcuni tipi di diete potrebbero aumentare il rischio di
sviluppare le malattie. Studi altrettanto recenti suggeriscono
un possibile ruolo della dieta
anche sul decorso delle malattie. Tuttavia, condurre studi
in questo campo è estremamente complesso, in quanto
le variabili confondenti sono
molteplici e i risultati spesso
difficilmente interpretabili. Le
ricerche in corso e future, in-
centrate sull’interazione tra
geni, microbioma e ambiente,
forniranno probabilmente nuove conoscenze importanti per
comprendere meglio la patogenesi delle IBD e modificarne
la storia naturale e la risposta
alle terapie.
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2
• La patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, da Inflammatory Bowel Disease) è multifattoriale e
coinvolge la complessa interazione tra diversi fattori: predisposizione genetica, sistema immunitario, microbiota intestinale
e fattori ambientali.
• Tra i fattori ambientali, la dieta e gli effetti dei diversi alimenti sul complesso sistema epitelio intestinale-microbiota-immunità sono oggi oggetto di numerosi studi e sembrano correlati al rischio di sviluppare IBD.
• Numerosi alimenti sono stati chiamati in causa, tuttavia definire il rapporto di causalità tra i diversi alimenti e la patogenesi
di queste malattie è estremamente complesso.
120
CASE REPORT
a cura di
Mariella Baldassarre
Ipertransaminasemia e fegato grasso:
una diagnosi molto… “sudata”!
Elevation of serum aminotrasferases and fatty liver
in an obese child: a very… “sweaty” diagnosis!
PRESENTAZIONE CLINICA
Leonardo giunge alla nostra osservazione a 11
anni per steatosi epatica. L’anamnesi patologica
remota evidenziava nel primo anno di vita un episodio di congiuntivite da Klebsiella oxytocica e
micosi ricorrenti, a 12 mesi ripetuti episodi di enterite da Cryptosporidium (“enterite cronica”). Gli
accertamenti effettuati a quell’epoca mostravano
un deficit dell’immunità cellulo-mediata, con sierologia negativa per HIV. All’età di 3 anni il piccolo
iniziava a soffrire di flogosi ricorrenti delle basse
vie respiratorie e fino all’età di 6 anni venivano riferiti alvo irregolare, con 3-4 scariche al giorno di
feci molli e maldigerite, e scarso acccrescimento
ponderale. All’età di 7 anni compariva iperfagia
con progressivo incremento di peso, fino a 10 kg/
anno negli ultimi 2 anni. Gli esami di laboratorio
mostravano: colesterolo tot. 198 mg/dl; trigliceridi 259 mg/dl; AST 76 UI/L (v.n. 0-37); ALT 187
UI/L (v.n. 0-40); gammaGT 51 UI/L. L’ecografia
addominale mostrava un fegato aumentato di
dimensioni, a profili arrotondati ed ecostruttura
steatosica.
Sandra Brusa1 (foto)
Maura Ambroni2
Fiorella Battistini2
Pediatria, Ospedale S. Maria
della Scaletta, Imola;
2
Centro Regionale Diagnosi
e Cura per la Fibrosi Cistica,
Ospedale Bufalini, Cesena
1
Key words
Hypertransaminasemia • Fatty
liver • NAFLD • Cystic fibrosis
Abstract
We describe the case of an obese 11-year-old
boy with dyslipidemia, high serum hepatobiliary enzymes (mostly ALT) and hepatic steatosis at ultrasound, but no evidence of insulin
resistance. As the ALT level remained elevated despite lifestyle modification and weight
loss, we proceeded to an additional workup
to rule out other causes of hypertransaminasemia and fatty liver disease. The final diagnosis was unexpected.
ESAME OBIETTIVO
Peso Kg 55 (90°percentile); altezza cm 145 (50°
percentile); BMI 26 kg/m2 (95° percentile); non
acanthosis nigricans; obiettività cardiorespiratoria nella norma; addome globoso, trattabile, con
fegato palpabile a 4 cm dall’arcata costale di consistenza aumentata, milza non palpabile.
SVILUPPO DEL CASO CLINICO
Nel sospetto di NAFLD (Non-Alcoholic Fatty Liver
Disease) abbiamo consigliato dieta ipocalorica,
esercizio fisico, assunzione per os di acidi grassi poliinsaturi omega 3. Dopo 6 mesi il bambino
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:121-122
Indirizzo per la corrispondenza
Sandra Brusa
via Montericco 4, 40026 Imola (BO)
E-mail: [email protected]
121
S. Brusa et al.
presentava calo ponderale di
5 kg; glicemia 81 mg/dl; insulina 8 microU/ml (HOMA-IR
1,6 - v.n.< 2); colesterolo tot
145 mg/dl; trigliceridi 109 mg/
dl; AST 26 UI/L; ALT 83 UI/L;
gammaGT 25 UI/L. Steatosi
epatica invariata.
IPOTESI
DIAGNOSTICHE
NAFLD
Morbo di Wilson
Epatite autoimmune
Celiachia/Fibrosi cistica
Sviluppo e soluzione del caso clinico a pagina 141
122
NEWS IN PEDIATRIC
a cura di
Monica Paci
GASTROENTEROLOGY
PHARMACOLOGY
Quando gli eosinofili invadono l’intestino:
terapie tradizionali e nuove immunoterapie dell’esofagite
e della gastroenteropatia eosinofila
Eosinophilic esophagitis and gastroenteritis: traditional
therapy and new immunotherapy
INTRODUZIONE
Le malattie eosinofile dell’apparato gastrointestinale (GI) (EGID) si dividono in 2 gruppi principali:
l’esofagite eosinofila (EoE) e le gastroenteropatie
eosinofile (EGE). EoE è la più comune delle EGID
associata, per definizione, ad un’infiammazione
eosinofila isolata dell’esofago. La sua patogenesi, modalità di diagnosi e trattamento sono ben
definite 1, 2.
Le EGE costituiscono invece un gruppo di malattie rare, eterogenee e maldefinite sia clinicamente che in termini eziopatogenetici 6-8. Sono
diagnosticate se si rileva ipereosinofilia in 1 o più
parti dell’apparato gastrointestinale in assenza
di una causa nota di eosinofilia 3 (Tab. I). La Diagnosi si basa per lo più su 3 criteri diagnostici 6-8:
1) presenza di sintomi aspecifici gastrointestinali
(diarrea, vomito, dolori addominali), 2) infiltrazione eosinofila in uno o più tratti dell’apparato gastrointestinale, 3) esclusione di altre cause di eosinofilia gastrointestinale (malattia infiammatoria
cronica, infezioni parassitarie, immunodeficienze
primarie) (Tab. II).
Antonella Cianferoni
Division of Allergy and
Immunology, The Children’s
Hospital of Philadelphia,
Philadelphia, Pennsylvania,
Perelman School of Medicine at
University of Pennsylvania, USA
Key words
Eosinophilic esophagitis • Food
allergy • Food impaction •
Dysphagia
Abstract
Eosinophilic Gastrointestinal disease (EGID)
can involve only the Esophagus (Eosinophilic
Esophagitis-EoE) or more parts of the gastroenteric (GI) tract (Eosinophilic gastroenteritis-EGE). EoE, the most common EGID, is a
chronic atopic disease triggered by foods and
is treated with the use of steroids or diet. EGE
are rare, poorly defined and difficult to treat
diseases diagnosed if other more common
causes of GI hypereosinophilia have been excluded.
EPIDEMIOLOGIA
EoE
La prevalenza dell’EoE, descritta per la prima volta nel 1968 e considerata inizialmente una malattia rara, ha registrato una rapida ascesa dal 2000
in poi, tanto che oggi ha un’incidenza annuale
simile a quella della malattia di Crohn nei paesi
altamente industrializzati quali USA e Australia 2.
L’EoE colpisce maggiormente il sesso maschile
e possono esserne colpiti più membri della stessa famiglia (avere un fratello con EoE aumenta il
rischio di sviluppare la malattia di circa 80 volte
rispetto alla popolazione generale) 2.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:123-129
Indirizzo per la corrispondenza
Antonella Cianferoni
3615 Civic Center Blvd
Philadelphia, PA 19104-4399, USA
E-mail: [email protected]
123
A. Cianferoni
TABELLA I.
Cause più comuni di ipereosinofilia gastrointestinale.
Di tipo secondario (reattive):
– Infezioni da elminti e altri parassiti
– Reazioni da farmaci
– Malattia cronica graft-versus-host
– Infiammazioni croniche (e.g., IBD)
– Malattie autoimmuni
EGE
Sono disordini molto rari con
un’incidenza da 1 a 30 casi su
100.000 abitanti 3.
FIGURA 1.
PRESENTAZIONE
CLINICA E DIAGNOSI
esclusivamente esofagea sono
EoE, EoE responsiva a trattamento con PPI e GERD 1.
EoE
La EoE deve essere sospettata
in caso di presenza di sintomi
cronici di disfunzione e/o fibrosi
esofagea (Fig. 1) non responsivi alla terapia a massimo dosaggio con inibitori di pompa
protonica (PPI) (20-40 mg due
volte al giorno negli adulti e 1
mg/kg due volte al giorno nei
bambini) per 8-12 settimane 2.
Il gold standard per la diagnosi
è l’esecuzione di un’esofagogastroduodenoscopia (EGDS)
dopo aver effettuato la terapia anti-reflusso con PPI, e si
basa sulla presenza di almeno
15 eosinofili (eos)/per campo
ad alta risoluzione(High power
field, HPF) in almeno una delle 4 biopsie esofagee ottenute
in assenza di ipereosinofilia in
altre parti del tratto GI 2. L’esofago è l’unico tratto del sistema
gastrointestinale a essere classicamente privo di eosinofili in
condizioni di normalità 1. Le sole
patologie associate a eosinofilia
EGE
La presentazione clinica varia
in base al tratto gastrointestinale interessato, ma le manifestazioni più frequenti sono
vomito, diarrea, dolore addominale, perdita di peso o mancato accrescimento dovuto
a malassorbimento e perdita
delle proteine, sanguinamento
franco od occulto, anemia e
ittero ostruttivo. Se sono coinvolti gli strati muscolari, dolori
addominali, crampi e ostruzione intestinale possono essere
i sintomi di presentazione e in
rari casi si può avere una perforazione d’organo. Le forme a
carico delle sierose sono associate ad ascite e distensione
addominale 1, 6, 9.
Una lieve eosinofilia nel sangue
periferico (< 1500 mm3/ml) è
presente nella maggioranza
dei pazienti. Questo non sorprende poiché la maggioranza
dei soggetti affetti hanno altre
manifestazioni atopiche 1, 6, 9.
124
Sintomi tipici della EoE in base all’età.
La storia naturale delle EGE rimane a tutt’oggi sconosciuta.
Uno studio francese, in cui si
sono stati seguiti 43 pazienti
trattati per EGE per 13 anni, ha
riportato 3 diverse evoluzioni
dell’EGE 9, 10:
1.un decorso cronico in cui si
alternano periodi di riacutizzazione e remissione della
malattia;
2.un decorso progressivo;
3.la remissione (in una percentuale limitata di pazienti).
La diagnosi viene fatta con
EGDS e colonoscopia che rivelano la presenza di eosinofili
in una o più parti dell’apparato gastrointestinale. Uno dei
maggiori problemi diagnostici
è che, a differenza dell’esofago gli eosinofili sono presenti
nel resto del tratto intestinale.
Il tratto gastrointestinale è il
maggiore organo non emopoietico dove sono contenuti
eosinofili in soggetti sani. Gli
eosinofili, in assenza di un processo infiammatorio, risiedono
nella lamina propria, e sono più
numerosi nel cieco e nell’appendice ma i loro valori non
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Terapia esofagite e gastroenteropatia eosinofila
NEWS IN PEDIATRIC
sono ben definiti, pertanto la
diagnosi di eosinofilia patologica diventa più difficile a meno
che non sia particolarmente intensa e grave 6-8. Diversi autori
hanno usato indicazioni differenti per diagnosticare la EGE,
da 20 eos/hpf in un singolo hpf
a 30 eos/hpf in almeno 5 hpf,
a 80 eos/hpf distribuiti sia in
modo diffuso che in aggregati
multifocali (con più di 3 hpf) 10.
Le EGE vengono poi classificate in base al tratto intestinale
coinvolto (gastrite, gastroenterite, colite, proctocolite etc)
o in base alla localizzazione
degli eosinofili a livello tissutale (serosica, mucosale o muscolare) 10. La forma mucosale
è la forma più frequente e la
muscolare la più rara 10. Data
la rarità di queste malattie,
prima di fare diagnosi di EGE,
devono essere escluse cause
comuni di eosinofilia tissutale
quali infezioni parassitarie, malattia infiammatoria intestinale,
malattie del connettivo, allergia
a farmaci, disordini linfoproliferativi 6-8 (Tab. I).
PATOGENESI
EoE
C’è un accordo generale nello
stabilire che, nel caso dell’EoE,
gli eosinofili siano una manifestazione di una tipica flogosi atopica
per le seguenti evidenze:
1.I pazienti con EoE sono affetti da altre malattie atopiche (rinite allergica, asma,
allergie alimentari IgE mediate e/o dermatite atopica)
dal 50 al 90% dei casi (a seconda dei diversi studi) 2.
2.L’infiammazione esofagea
tipica della EoE ha tutte le
caratteristiche della flogosi
atopica, cioè è di tipo T helper 2 (Th2) 1.
3.L’epitelio esofageo dei pazienti con EoE è predisposto
geneticamente a secernere
elevati livelli di linfopoietina timica stromale (TSLP),
considerata uno dei principali promotori dell’infiammazione locale allergica 1.
4.L’infiammazione è scatenata da allergeni sicuramente
alimentari e molto probabilmente anche ambientali. Nella maggior parte dei
pazienti sia adulti che bambini, causa dell’EoE sono
gli alimenti, che scatenano
un’infiammazione locale eosinofila con un meccanismo
non-IgE mediato 1. Latte,
grano, uova, soia, carne di
manzo e pollo si sono rivelati
essere gli alimenti scatenanti
in molte popolazioni studiate
indipendentemente 1.
5.L’infiammazione
cronica
porta rimodellamento tissutale e fibrosi esofagea che
sono la causa dello sviluppo
di stenosi irreversibili e, nei
pazienti adulti, oggi l’EoE è
la causa più comune di impatto del bolo alimentare 1.
6.Come molte malattie atopiche l’EoE ha un andamento cronico-recidivante, con
periodi di remissione ma
mai guarigione completa 1.
EGE
Come per l’EoE la maggioranza dei soggetti con EGE ha altre patologie atopiche. Il fatto
però che la maggioranza dei
pazienti non risponda al trattamento dietetico, anche quello
elementare, fa pensare che la
disregolazione degli eosinofili
sia dovuta a un’infiammazione
Th2 di natura autoimmunitaria
più che antigenica, che spiegherebbe anche la resistenza al trattamento steroideo
riportata non raramente nelle
EGE 6-8.
TRATTAMENTO
EoE
La terapia attualmente considerata standard per la gestione dell’EoE si basa sull’uso di steroidi per sopprimere
l’infiammazione (Tab. III) e/o
diete di esclusione degli allergeni alimentari scatenanti
l’EoE 2.
Trattamento
tradizionale
Steroidi
Steroidi orali risolvono rapidamente
l’infiammazione
esofagea eosinofila 2 (Tab. II).
Come in tutte le patologie allergiche, non sono indicati
nella gestione a lungo termine
della malattia e vengono usati
solo per i casi di emergenza,
quali disfagia grave, ricovero in ospedale ed importante
perdita di peso 2. Corticosteroidi tipicamente usati per via
inalatoria, come fluticasone o
budesonide, vengono invece
somministrati per via orale e
dal momento che hanno una
bassa biodisponibilità e minimi effetti collaterali sistemici
sono considerati “ad azione
topica” 2 (Tab. II). È importante
che dopo la somministrazione
di steroidi per uso topico non
venga assunto nessun cibo o
bevande per 30 minuti, così
125
A. Cianferoni
TABELLA II.
Terapia farmacologica.
Nome
farmaco
Dose
< 10 anni
Dose
> 10 anni
Max dose
Inibitori
pompa
6-8 settimane prima di
ogni EGD e prolungata
se c’è GERD
coesistente
Omeprazolo
1 mg/kg due volte al dì
1 mg/kg due volte al dì
40 mg due volte al dì
Lansoprazolo
1 mg/kg due volte al dì
1 mg/kg due volte al dì
60 mg una volta al dì
Esomeprazolo
1 mg/kg due volte al dì
1 mg/kg due volte al dì
40 mg una volta al dì
Steroidi
Almeno 6-8 settimane
prima di ogni EGD di
controllo e poi 1-2
anni-necessari talvolta
per molti anni
Fluticasone
220 mcg due volte al dì
440 due volte al dì
880 due volte al dì
Budesonide
1 mg una volta al dì
2 mg una volta al dì
2 mg due volte al dì
Steroidi orali
1 mg/kg due volte al dì
1 mg/kg due volte al dì
30 mg due volte al dì
da evitare che il farmaco venga diluito o rimosso 2.
Dieta
Molti studi, sia in adulti che
in bambini, hanno dimostrato
che specifici alimenti causano
la EoE e trattamenti dietetici
sono efficaci per indurre una
remissione clinica e istopatologica della malattia 2.
I tre approcci dietetici usati nel
trattamento della EoE sono i
seguenti:
1.dieta elementare, cioè una
dieta basata solo sull’assunzione di miscele di aminoacidi 2;
2.dieta specifica, in cui si eliminano alimenti specifici sulla
base di test allergologici 4;
3.dieta empirica, in cui empiricamente si eliminano i più
comuni allergeni alimentari
(spesso chiamata eliminazione dei sei alimenti o SFED) 2
(Tab. III).
126
Durata
Immunoterapie
specifiche
nel trattamento della EoE
Dal momento che i trattamenti
disponibili sono spesso aspecifici ed hanno molti effetti
collaterali sono stati studiati trattamenti immunoterapici
specifici per la EoE, che per lo
si sono rivelati inefficaci o solo
parzialmente efficaci.
•Anti-Interleuchina (IL-5). IL-5 è
la citochina più importante per
lo sviluppo e il reclutamento
degli eosinofili 1. Due trials clinici in doppio cieco con placebo con due anticorpi anti-IL-5
(Mepolizumab, SB240563, e
Reslizumab, Sch55700) non
sono risultati efficaci 1.
•Anti-Tumor Necrosis Factor
a (Infliximab) e Anti-immunoglobuline IgE (Omalizumab):
-sono stati sperimentati in un
numero estremamente limitato di pazienti e sono risultati inefficaci 1;
- Anti-CRTH2 (OC000459).
CRTH2 è un recettore altamente espresso sulle cellule tipiche
dell’infiammazione Th2 quali
linfociti Th2, eosinofili e basofili e determina la chemotassi
delle suddette cellule in presenza della prostaglandina D2
(PGD2), specificamente prodotta dai mastociti durante la
flogosi allergica. L’anti-CRTH2
(somministrato oralmente) ha
indotto un miglioramento clinico e istiopatologico significativo senza provocare effetti
collaterali significativi 5.
Desensibilizzazione
L’immunoterapia orale è un efficace trattamento delle allergie alimentari IgE mediate, ma
ha come effetto collaterale frequente l’innesco dell’EoE per
cui non viene usata nel trattamento della EoE 1.
Nel futuro verranno probabilmente sperimentate terapie
specifiche contro altri fat-
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Terapia esofagite e gastroenteropatia eosinofila
NEWS IN PEDIATRIC
TABELLA III.
Terapia dietetica della EoE.
Vantaggi
Svantaggi
Uso
Elementare
Tutti, alimentazione
si basa su formule di
aminoacide
Cibi eliminati
Risoluzione dei sintomi
e infimmazione
esofagea nella
stragrande maggiornza
dei pazienti (> 95%)
Bassa qualità della
vita, isolamento
sociale, necessità di
somministrazione con
tubo gastrico o sondino
nasogastrico. Molto
costosa
• Per indurre rapida
remissione in
soggetto con
patologia grave o
resistente ad alter
forme di trattamento
• Per fare diagnosi di
allergia alimentare
SFED
Latte, uovo, grano,
soia, pesci, crostacei,
nocciolini, frutti col
guscio
Efficace nel 70% dei
pazienti
Facile da prescrivere
per il medico non
allergologo
Altamente restrittiva
Impatto nutrizionale e
sulla qualità della vita
elevato
Difficile da seguire per
periodi prolungati
Inefficace nel 30% dei
pazienti
• Usata epiricamente
specialmente
nell’adulto e
dal medico non
allergologo
Mirata con ausilio di
test allergologici
Latte, grano, uovo, soia, Efficace nell’70-80%
carni
dei casi
Spesso solo 1-2
alimenti vengono
eliminate
Test allergologici usati
non standardizzati
(patch test)
Richiede l’ausilio
dell’allergologo
Inefficace nel 20% dei
pazienti
• Più spesso nei
bambini
• In pazienti motivate
disposti a sottoporsi
a molte EGD per
trovare allergene
responsabile
tori chiave della patogenesi
dell’EoE quali la linfopoietina
timida stromale (TSLP).
EGE
Data la rarità della malattia non
vi sono ampi studi e il trattamento delle EGE si basa per
lo più su esperienze su singoli
casi 6-8. A differenza della EoE,
le EGE in generale non sono
malattie molto facili da controllare e c’è una buona percentuale di casi (10-64% a seconda
degli studi) che non è responsiva o lo è solo parzialmente a
qualsiasi trattamento incluso
l’uso di steroidi per via sistemica 9. Anche le forme responsive
spesso richiedono la combinazione di 2-3 tipi di trattamento
e i pazienti necessitano di ri-
petute endoscopie durante il
trattamento 9 (Tab. IV). Gli steroidi orali sono i più efficaci ma
il trattamento a lungo termine
non è auspicabile dati gli effetti
collaterali 9, 10. È stato riportato
con successo l’uso di steroidi
topici quale budesonide viscosa o in capsule 9, 10. Il valore
delle diete sia elementare che
di esclusione dei più comuni allergeni è stata riportata in studi
non controllati ma, sebbene sia
risultata efficace in casi selezionati, il suo valore probabilmente
è molto limitato 9, 10. Se in uno
studio su pazienti pediatrici con
gastroenterite eosinofila, la dieta elementare e SFPED si è rivelata efficace nella stragrande
maggioranza dei pazienti, soprattutto con malattia limitata
allo stomaco, altri studi hanno
invece riportato successi molto più limitati (10-20%) senza
differenza in efficacia tra bambini ed adulti 9, 10. Le EGE sono
occasionalmente responsive al
trattamento con PPI, antileucotrieni e stabilizzatori delle cellule mastocitarie 9, 10. Trattamenti
con immunoterapia specifica
anti-IL5 e altri farmaci biologici
non sono riportati in letteratura.
Conclusioni
L’EoE è una entità clinico-patologica caratterizzata da sintomi
di disfunzione esofagea ed eosinofilia limitata all’esofago, in
assenza di reflusso acido gastro-esofageo. È caratterizzata
da un’infiammazione cellulare
127
A. Cianferoni
TABELLA IV.
Classificazione EGE.
A)
Localizzazione tissutale
Frequenza
Sesso più frequentemente
colpito
Oragani interessati
Frequenza
Responsività alla
terapia
Muscolare
+
Vomito
Diarrea
Dolori addominali
Malassorbimento
Perdita di proteine
Sanguinamento
Anemia
++
Femminile
Maschile
Gastrite o
gastroduodenite
Stomaco or stomaco
e duedeno
Spesso Esofago è
anche colpito
+
+++
di tipo Th2 spesso scatenata
da allergeni alimentari in individui predisposti geneticamente.
Ci sono due principali strategie
di trattamento clinico clinicamente accettate per EoE: eliminazioni dietetiche e terapia con
corticosteroidi. Con l’aumento della nostra comprensione
della patogenesi dell’EoE, è
logico prevedere che in futuro
ci saranno opzioni più specifiche di trattamento per questa
malattia che mostra un rapido
aumento nella popolazione.
Le EGE al contrario sono malattie poco conosciute e rare.
Occorre fare un’accurata diagnosi differenziale prima di iniziare il trattamento di queste
patologie, che è spesso empi-
128
Mucosale
Distensione addominale
Ascite
Sintomi
B)
Localizzazione
nel tratto
gastrointestinale
Serosica
Gastroenterite
Dolori addominali
Crampi
Ostruzione intestinale
Perforzazione
+/_
Maschile
Ileite
Colite
Stomaco e diverse
parti dell’intestino
Ileo
(ileo, duodeno, colon)
+++
++
Colon
+/-i
++
+
++
rico e richiede terapie multiple.
Le EGE hanno un andamento
spesso cronico recidivante,
poco responsivo alla terapia.
Spergel JM, Brown-Whitehorn TF,
Cianferoni A, et al. Identification
of causative foods in children with
eosinophilic esophagitis treated
with an elimination diet. J Allergy
Clin Immunol 2012;130:461-7.
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5
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Merves J, Muir A, Modayur C,
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Jensen ET, Martin CF, Kappelman
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colitis: estimates from a national
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Straumann A, Hoesli S, et al. Antieosinophil activity and clinical efficacy of the CRTH2 antagonist
OC000459 in eosinophilic esophagitis. Allergy 2013;68:375-85.
Straumann A, Safroneeva E. Eosinophils in the gastrointestinal
tract: friends or foes? Acta Gastroenterol Belg 2012;75:310-15.
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Mukkada VA, Furuta GT. Idiopathic
eosinophilic disorders of the gastrointestinal tract in children.
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GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Terapia esofagite e gastroenteropatia eosinofila
NEWS IN PEDIATRIC
Reed C, Woosley JT, Dellon ES.
Clinical characteristics, treatment
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philic gastroenteritis. Dig Liver Dis
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9
10
Pineton de Chambrun G, Gon-
zalez F, Canva JY, et al. Natural
history of eosinophilic gastroenteritis. Clin Gastroenterol Hepatol
2011;9:950-956 e951.
• L’esofagite eosinofila (EoE) è un’infiammazione eosinofila isolata dell’esofago, a patogenesi, modalità di diagnosi e
trattamento definite.
• Le gastroenteropatie eosinofile (EGE) costituiscono un gruppo di malattie rare, eterogenee e maldefinite, caratterizzate
da infiltrazione di eosinofili in vari tratti dell’apparato digerente.
• Nel caso dell’EoE, gli eosinofili sono una manifestazione di una tipica flogosi atopica. Nel caso delle EGE, la disregola-
zione degli eosinofili è dovuta ad un’infiammazione T-helper 2 di natura probabilmente autoimmunitaria.
• La terapia tradizionale per il trattamento dell’EoE si basa sull’uso di steroidi per sopprimere l’infiammazione e/o diete
di esclusione degli allergeni alimentari scatenanti. Sono attualmente oggetto di studio immunoterapie specifiche,
rivelatesi parzialmente efficaci.
• Gli steroidi orali sono i farmaci più efficaci nel trattamento delle EGE, che tuttavia sono malattie non molto facili da
controllare. Sono riportati risultati poco soddisfacenti con il trattamento a base di diete di esclusione.
129
ENDOSCOPY
LEARNING LIBRARY
a cura di
Salvatore Oliva
La via “alternativa”
per l’alimentazione enterale:
gastrostomia e gastrodigiunostomia percutanea
endoscopica (PEG e PEGJ) in età pediatrica
The alternative choice for enteral nutrition: percutaneous endoscopic
gastrostomy and percutaneous endoscopic gastrojejunostomy
(PEG and PEGJ) in paediatric age
Pietro Betalli (foto)
Mara Colusso
Maurizio Cheli
USC di Chirurgia Pediatrica,
Azienda Opsedaliera Papa
Giovanni XXIII, Bergamo
Key words
Percutaneous endoscopic
gastrostomy (PEG) •
Percutaneous endoscopic gastrojejunostomy (PEGJ) • Enteral
nutrition • Children
Abstract
Percutaneous Endoscopic Gastrostomy (PEG)
and its variation Percutaneous Endoscopic
Gastrojejunostomy (PEGJ), has become the
method of choice to achieve an enteral access
route in patients who require long term enteral nutrition. The majority of PEG tubes are
placed when poor oral intake is likely to persist
for more than 3 months. PEGJ have since been
used in children who are deemed too unfit for
antireflux surgery or where fundoplication has
failed. Such children include those with severe physical and neurological handicap who
are at greater risk of surgical and anaesthetic
complications and have an increased mortality
from respiratory complications associated with
gastrostomy tube feeding.
Indirizzo per la corrispondenza
Pietro Betalli
piazza OMS 1, 24127 Bergamo
E-mail: [email protected]
Introduzione
La nutrizione enterale rispetto a quella parenterale è un metodo di alimentazione pratico e facile
per tutti quei pazienti che presentano l’apparato
gastro-intestinale integro ma che sono incapaci
di alimentarsi per via orale. È una pratica sicura,
economica e ben tollerata dai pazienti. La maniera più semplice per attuare una NE è rappresentata dall’utilizzo di un sondino naso-gastrico (SNG).
Il SNG è scarsamente accettato dai pazienti di età
pediatrica ed è utile solo in caso di patologie che
necessitano di un supporto nutrizionale di breve
durata (< 3 mesi). Periodi superiori facilitano l’insorgenza di complicanze che ne sconsigliano la
permanenza; per permettere alle sostanze nutritive di raggiungere comunque il tratto digerente, il
confezionamento di una gastrostomia rappresenta una valida e indispensabile alternativa al sondino naso-gastrico.
La gastrostomia può essere definita come la creazione di un tragitto fistoloso che mette in comunicazione lo stomaco con la parete addominale
in modo da ottenere un accesso diretto al lume
gastrico permettendo la somministrazione dei nutrienti alimentari direttamente in stomaco.
M.W.L. Gauderer 1 alla fine degli anni settanta,
osservò come pazienti pediatrici affetti da gravi
patologie (neurolesi) sottoposti ad intervento di
gastrostomia chirurgica, fossero più predisposti
a sviluppare complicazioni post operatorie gravi.
Nel 1980 ideò e applicò in collaborazione con J.L.
Ponsky la prima PEG.
Nel corso degli anni questa metodica ha subito numerose modifiche che ne hanno facilitato l’utilizzo,
rendendo più raro il ricorso alla tecnica chirurgica.
PEG
La PEG è indicata per tutti i pazienti che hanno la
130
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:130-133
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
PEG e PEGJ in età pediatrica
necessità di una nutrizione enterale per un periodo superiore
a 3 mesi, dovuta a impossibilità
di deglutizione (malattie neurologiche, malformazioni congenite, dismotilità oro-faringea,
epidermolisi bollosa), inadeguato apporto calorico (fibrosi
cistica, difetti cardiaci congeniti, insufficienza respiratoria
cronica), particolari esigenze
dietetiche (malattie metaboliche, assunzione di farmaci) e
necessità di nutrizione entrale
continua (malassorbimento) 2.
La tecnica chirurgica della PEG
si basa su tre principi fondamentali:
•il controllo della zona gastrica dove verrà posizionata la
stomia;
•la sicurezza nell’evitare danni
agli organi vicini;
•la possibilità di contatto tra
la sierosa gastrica e la parete
addominale.
Il passo iniziale della manovra consiste nell’endoscopia
e nell’insufflazione dello stomaco. Per individuare il punto
cutaneo in cui verrà inserita la
gastrostomia, si effettua una
pressione digitale dall’esterno
verso l’interno. Questo punto
corrisponde alla zona di luminosità della transilluminazione
e rappresenta il punto chiave
per poter eseguire con tranquillità una PEG. Viene posizionata
quindi un’agocannula che oltrepassa la cute e la parete dello
stomaco (Fig. 1). Attraverso l’agocannula viene inserito un filo
guida che presenta all’estremità distale un anello, il quale viene afferrato dall’endoscopista
con un’ansa per polipectomia.
L’endoscopio viene rimosso
con l’ansa da polipectomia che
afferra il filo guida. La sonda
FIGURA 1.
Identificazione del corretto punto di inserzione.
gastrostomica viene collegata
al filo guida che fuoriesce dalla
bocca. Si esegue una trazione
attraverso l’estremità del filo
guida che fuoriesce dalla parete addominale. Attraverso tale
manovra la sonda gastrostomica dalla bocca, attraversa l’esofago, si posiziona in stomaco
e fuoriesce dalla parete addominale. Essa viene quindi gentilmente trazionata fino a raggiungere la completa aderenza
della parete gastrica alla parete
addominale (Fig. 2).
L’accollamento fibroso che si
verifica tra la parete dello stomaco e la parete addominale,
permette dopo circa 3 mesi, di
sostituire in tutta sicurezza la
sonda gastrostomica con un
sistema a basso presidio. Presupposto indispensabile per la
sua applicabilità è la pervietà
esofagea, anche se viene comunque utilizzata in quei casi
di stenosi esofagee transitabili
dall’endoscopio. Il rischio ele-
FIGURA 2.
La procedura endoscopica.
vato di perforazione esclude
i pazienti affetti da varici esofagee. Creare una soluzione di
continuità senza danneggiare
altri organi addominali è fondamentale; questa procedura non
è pertanto praticabile in pazienti
gravemente obesi o che presentino un importante epato-splenomegalia. L’interruzione della
continuità peritoneale senza la
possibilità del controllo diretto
che offre la tecnica open, rende
inaccessibile la PEG ai pazienti
con ascite massiva. Da recenti
studi e dalla nostra esperienza risulta invece praticabile per
quei pazienti in trattamento dialitico peritoneale 3.
131
P. Betalli et al.
PEGJ
La
gastro-digiunostomia
transgastrica (PEGJ) è una metodica che prevede l’introduzione di un tipo di sonda che permette una nutrizione artificiale
diretta nel digiuno bypassando
lo stomaco. Le principali indicazioni al posizionamento di una
PEGJ sono rappresentate dal
vomito incoercibile, dalla grave
gastroparesi, da episodi recidivanti di polmoniti ab-ingestiis,
grave reflusso gastroesofageo
in bambini cerebropatici in attesa di intervento chirurgico di
plastica antireflusso (terapia
ponte) e difetti deglutitori 2. Le
sonde digiunostomiche più utilizzate presentano due vie per
la somministrazione di alimenti
e/o farmaci sia per via digiunale
che per via gastrica. Solitamente attraverso la via digiunale si
ha la possibilità di alimentare il
bambino somministrando diete
polimeriche o semi-elementari mentre dalla via gastrica si
possono somministrare farmaci o decomprimere lo stomaco in caso di sovradistensione
(Fig. 3).
La sonda può essere posizionata attraverso una preesistente gastrostomia intro-
presente una gastrostomia: la
tecnica è simile a quella della
PEG e permette il diretto posizionamento di una sonda o
bottone in sede digiunale.
La gestione della PEGJ è sovrapponibile a quella della gastrostomia.
CONCLUSIONI
FIGURA 3.
La sonda della digiunostomia
trans-gastrica.
ducendo l’endoscopio nello
stoma gastrostomico. La metodica prevede il rilascio di un
filo guida in sede digiunale sul
quale si posiziona la PEGJ. La
verifica del corretto posizionamento si ha aspirando dalla
via digiunale secrezioni biliari
oppure effettuando un controllo radiologico con iniezione di
mezzo di contrasto attraverso
la via digiunale. Una PEGJ può
essere confezionata per via endoscopica anche se non è già
PEG e PEGJ rappresentano le
vie di accesso enterale a lungo
termine più idonee in età pediatrica. La PEG è sicuramente la prima scelta per la facile
gestione domiciliare mentre
la PEGJ deve essere sempre
considerata una seconda alternativa in quanto la gestione
domiciliare non è sempre facile
(Tab. I).
Grande importanza nella scelta
di questi due diversi presidi è
data dalla presenza di reflusso gastro-esofageo patologico 4, 5. In Figura 4 abbiamo
cercato di riassumere in modo
schematico la nostra linea di
condotta nel confezionamento
di PEG o PEGJ tenendo conto delle condizioni cliniche del
bambino e dalla presenza o
meno di patologia da reflusso
gastro-esofageo.
TABELLA I.
PEG e PEGJ: vantaggi e svantaggi.
Vantaggi
Svantaggi
PEG
Alimentazione in boli e/o continua
Facile gestione domiciliare
Eseguibile in sedazione
Non risolve la malattia da reflusso
Ab-ingestiis
PEGJ
Trattamento del vomito incoercibile
Indicata nella grave malattia da reflusso
Evita ab-ingestiis
Eseguibile in sedazione
Solo alimentazione in continua
Epatopatia
Gestione domiciliare meno semplice
132
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
PEG e PEGJ in età pediatrica
FIGURA 4.
Algoritmo decisionale nella scelta del posizionamento di PEG e PEGJ, in associazione alla chiurgia antireflusso.
Bibliografia
Gauderer MW, Ponsky JL, Izant
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not worsen vomiting in children.
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5
Wilson GJ, van der Zee DC, Bax
• La nutrizione enterale rispetto a quella parenterale è un metodo pratico e facile per tutti quei pazienti che presentano
l’apparato gastro-intestinale integro ma che sono incapaci di alimentarsi per os.
• Le tecniche più appropriate per la nutrizione enterale a lungo termine sono la PEG e la PEGJ.
• Nonostante la loro semplicità di confezionamento, PEG e PEGJ possono avere controindicazioni e complicanze, che
non devono essere sottovalutate.
• Questi presidi sono facilmente gestibili sul territorio, anche dai genitori che devono però essere sufficientemente
istruiti sul loro utilizzo e sulle complicanze che possono insorgere.
133
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
FOR CLINICAL PRACTICE
a cura di
Teresa Capriati
Linee guida ESPGHAN per la gestione
della gastroenterite acuta
nei bambini europei
ESPGHAN Guidelines for the management of acute
gastroenteritis in European children
Teresa Capriati
Unità Operativa
Semplice di
Nutrizione artificiale,
Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù
Key words
Gastroenteritis • Diarrhea • Dehydration
Abstract
The new ESPGHAN/ESPID guidelines update
and extend evidence-based indications for
the management of children with acute gastroenteritis in Europe. The main novelties are
represented by the introduction of an entirely
new section on the hospital management, the
validation of clinical score to assess the degree of dehydration and an up-to-date of nutritional and pharmacological approaches to
improve the outcome of children with acute
gastroenteritis.
Indirizzo per la corrispondenza
Nel 2014 la Società Pediatrica Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione (ESPGHAN) e
la Società Pediatrica Europea di Malattie Infettive
(ESPID) hanno sviluppato delle linee guida (LG)
“evidence-based” con lo scopo di definire lo stato
dell’arte sulla gestione della gastroenterite acuta
in età pediatrica. La gastroenterite acuta (GA) è un
problema di notevole importanza nei bambini di
età < 5 anni e consiste in una riduzione della consistenza delle feci (molli o liquide) e/o un aumento
della frequenza delle evacuazioni (tipicamente ≥ 3
evacuazioni nelle 24 ore) con o senza febbre e vomito e dura, in genere meno di 7 giorni e mai più
di 14 giorni (una durata > a 14 giorni definisce una
condizione di diarrea cronica).
Il documento del 2014 riporta un update delle raccomandazioni con l’integrazione delle evidenze
raccolte negli ultimi 5 anni ed è rivolto a medici
di tutti i livelli di assistenza (medici di assistenza
primaria, pediatri, medici di famiglia). Le raccomandazioni cliniche sono state sviluppate in base
alla valutazione delle evidenze secondo il metodo
GRADE (Tab. I), tuttavia per renderle più facilmente
confrontabili con la precedente versione del 2008,
le raccomandazioni sono state accompagnate da
una misura della forza della evidenza e dal grado
della raccomandazione secondo il metodo MuirGray & Cook (Tab. II).
La sintesi completa delle raccomandazioni è parte integrante delle LG ed è disponibile all’indirizzo
URL: http://links.lww.com/MPG/A317
In questo numero il professor Guarino e il dottor
Lo Vecchio, che hanno partecipato alla stesura del
documento originale, riassumono e commentano
le principali novità di queste linee guida.
Teresa Capriati
piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma
E-mail: [email protected]
134
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:134-140
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE
ESPGHAN per la gestione della gastroenterite
TABELLA I.
Sistema Grading of Recomendations, Assessment, Development and Evaluation (GRADE) (da Guyatt et al., 2008) 1.
SISTEMA GRADE
Qualità dell’evidenza
Grado della raccomandazione
Qualità alta: ulteriori ricerche è improbabile che cambino la
nostra fiducia nella valutazione dell’effetto
FORTE quando gli effetti desiderabili di un intervento sono
chiaramente superiori agli effetti indesiderabili o viceversa
Qualità moderata: ulteriori ricerche è probabile che abbiano
un importante impatto sulla nostra fiducia nella valutazione
dell’effetto e possono cambiare la valutazione
Bassa qualità: ulteriori ricerche è estremamente probabile
che abbiano un importante impatto sulla nostra fiducia
nella valutazione dell’effetto ed è probabile che cambino la
valutazione
DEBOLE quando le scelte sono meno certe (sia a causa
della bassa qualità delle evidenze sia perché le evidenze
suggeriscono che gli effetti desiderabili o indesiderabili sono
perfettamente bilanciati)
Molto bassa qualità: qualsiasi valutazione dell’effetto è
estremamente incerta
TABELLA II.
Forza della evidenza e grado della raccomandazione (da Muir Gray, 1997) 2.
Forza della evidenza
Grado della raccomandazione
I: forte evidenza da ≥ 1 revisioni sistematiche di studi clinici
controllati, randomizzati
A Sostenuta da evidenze di livello I, altamente raccomandata
II: forte evidenza da ≥ 1 studio clinico controllato, ben disegnato B sostenuta da evidenze di livello II, raccomandata
e di dimensioni appropriate
C Sostenuta da evidenze di livello III; varie azioni cliniche
III: evidenze di studi ben disegnati non randomizzati, confronto potenziali potrebbero essere considerate appropriate
pre-post in un unico gruppo, studi di coorte, serie di misurazioni
nel tempo, studi caso-controllo con appaiamento
D Sostenuta da evidenze di livello IV e V; dovrebbe essere
IV: evidenze da studi ben disegnati, non sperimentali in > 1
centro o gruppo di ricerca
applicato il metodo del consenso
Va: opinioni di soggetti autorevoli
Vb: evidenze cliniche, studi descrittivi o rapporti di comitati di
esperti
135
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
FOR CLINICAL PRACTICE
Alfredo Guarino (foto)
Andrea Lo Vecchio
Dipartimento di Scienze Mediche
Traslazionali, Sezione di Pediatria
Università degli Studi di Napoli
Federico II, Napoli
Indirizzo per la corrispondenza
Alfredo Guarino
via Pansini 5, 80131 Napoli
E-mail: [email protected]
Raccomandazioni
e commenti
Nel 2014 è stata pubblicata la versione aggiornata delle linee guida per la gestione della gastroenterite acuta nei bambini d’Europa redatta
in modo congiunto da esperti gastroenterologi
dell’ESPGHAN e da infettivologi dell’ESPID 3.
Il lavoro di aggiornamento è stato reso impegnativo sia per l’aggiunta di una nuova sezione
delle linee guida dedicata alla gestione della
gastroenterite in ospedale, sia per l’applicazione di un nuovo sistema di valutazione ossia il
sistema GRADE che rappresenta attualmente il
gold standard per i documenti di tipo evidence
based. Le linee guida sono presentate in forma
a cura di
Teresa Capriati
di “domanda e risposta” per facilitarne l’applicazione da parte di pediatri e medici generalisti.
I fondamenti per la gestione del bambino con gastroenterite acuta sono riportate nei key points.
Le indicazioni alla visita sono puntualmente indicate, nella convinzione che non sia possibile
avere un intervento medico diretto per tutte le
richieste di visita medica. Gli esperti forniscono
quindi indicazioni (inevitabilmente “non evidence
based”) per un triage telefonico e per l’identificazione dei pazienti che necessitano di una visita
medica (Tab. III).
Una novità riguarda la valutazione del grado di
disidratazione. Le nuove Linee guida identificano
nel “Clinical Dehydration Score” (CDS) il sistema
di riferimento per la quantizzazione del grado di
disidratazione (Tab. IV). Tuttavia un singolo segno,
il tempo di riempimento capillare – peraltro non
incluso nel CDS – è l’elemento clinico di maggiore
affidabilità e un tempo di riempimento pari o inferiore a 2 secondi consente di escludere un livello
GRAVE di disidratazione.
Le linee guida confermano la NON necessità di
esami di laboratorio e microbiologici, e ribadiscono la centralità della soluzione reidratante orale
(ORS) nel rimpiazzo delle perdite idroelettrolitiche.
La composizione della ORS è stata nel passato
oggetto di dibattito, e anche le evidenze più recenti raccomandano la soluzione “ESPGHAN” con
60 mmoli/L di sodio. La palatabilità dell’ORS non
è elevatissima, ma i bambini disidratati l’accettano
bene, e le mamme non devono preoccuparsi se il
bambino rifiuta di berne, perché questo indica che
la disidratazione è modesta o assente. Composizioni diverse da quelle raccomandate non sono
ottimali e vanno evitate bevande come the, coca
cola e bevande per sportivi per l’elevata quantità
di zucchero che può far peggiorare la diarrea per
TABELLA III.
Triage telefonico e indicazioni alla visita medica.
Età < 2 mesi
Patologie di base (es. diabete, malattie infiammatorie croniche intestinali)
Inadeguata reidratazione orale
Elevato output fecale (> 8 evacuazioni /die)
Vomito persistente che ostacola la reidratazione
Oligo/anuria
Sintomi neurologici
Segni di disidratazione severa riferiti dalla famiglia
136
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE
ESPGHAN per la gestione della gastroenterite
TABELLA IV.
Clinical Dehydration Score (CDS).
Caratteristiche
0
Aspetto generale
Normali
Occhi
Membrane mucose
(lingua)
Lacrime
Normali
1
Assetato, inquieto o letargico ma irritabile
quando toccato
Leggermente infossati
2
Sonnolente, freddo o sudato,
comatoso
Infossati
Umide
Appiccicose
Asciutte
Lacrime
Diminuite
Assenti
Disidratazione assente: 0; disidratazione media: 1-4; disidratazione moderato-severa: 5-8
l’effetto osmotico. Sicuramente abbiamo opzioni efficaci per
migliorare l’assunzione della
ORS: possiamo somministrarla
con il cucchiaino piuttosto che
con il biberon, possiamo somministrarla fredda (più gradevole) e preferire l’aroma all’arancia o al miele. L’alimentazione
non dovrebbe essere sospesa.
Un’interessante dato nelle linee
guida è l’osservazione che l’uso
di formule prive di lattosio consente una riduzione della durata
dei sintomi di circa un giorno. Gli
esperti sottolineano che i dati a
supporto dell’efficacia sono ottenuti esclusivamente in bambini ricoverati e non sono quindi
suggerite modifiche della dieta
in bambini visti in regime ambulatoriale. In pratica non ci sono
prove che modifiche nutrizionali
siano di qualche efficacia.
La terapia attiva della gastroenterite è oggetto di attenta
valutazione nelle linee guida.
Il documento incoraggia un intervento attivo con forza maggiore rispetto alla precedente
edizione. L’uso di alcuni probiotici e farmaci antidiarroici
riduce l’intensità e la durata
dei sintomi in modo significativo. Dati simili sono stati
ottenuti con la diosmectite e
con il Racecadotril. La scelta
della terapia va fatta in modo
oculato. Le evidenze disponibili indicano che a fronte delle
decine di farmaci e probiotici proposti, solo pochi di essi
hanno un’efficacia provata dai
dati disponibili (Tab. V). Viene
rilevato che per molti prodotti i
dati di efficacia sono assenti o
limitati ad un solo trial e quindi
insufficienti per una raccomandazione all’uso.
Le linee guida includono un
puntuale e dettagliato elenco
delle indicazioni al ricovero
(Tab. VI). Queste meritano attenzione in quanto largamente
disattese nella pratica medica.
Un recente lavoro riporta dati
ottenuti in ospedali italiani che
TABELLA V.
Terapia farmacologica della diarrea acuta.
Lactobacillus GG
Probiotici
Saccharomyces boulardii
Antiemetici
Ondansetron*
Antiperistaltici
Loperamide
Adsorbenti
Diosmectite
Antisecretori
Zinco**
Racecadotril
(I A) (forte raccomandazione, moderato
livello di evidenza)
(IIB) (raccomandazione forte, basso livello
di evidenza)
(II B) (raccomandazione forte, basso livello
di evidenza)
(II B) (raccomandazione debole, moderato
livello di evidenza)
(I A) (raccomandazione forte, moderato
livello di evidenza)
(II B) (raccomandazione debole, moderato
livello di evidenza)
* In attesa dell’autorizzazione da Food and Drug Administration.
** Soltanto in pazienti malnutriti o nei casi in cui si sia mostrata una carenza di zinco.
137
A. Guarino, A. Lo Vecchio
Tabella VI.
Indicazioni al ricovero.
Shock
Disidratazione severa (> 9% del peso corporeo)
Fallimento della reidratazione orale con soluzione reidratante
Alterazioni neurologiche (letargia, convulsioni, etc.)
Vomito intrattabile o biliare
I caregivers non sono in grado di assicurare cure adeguate a casa
Sospetta condizione chirurgica
mostrano un largo eccesso di
ricoveri non necessari 4.
I dati del Ministero della Salute identificano nella gastroenterite acuta una delle più
frequenti cause di ricovero
nonché una delle aree più frequenti di inappropriatezza. Si
stima che il numero di ricoveri
per gastroenterite acuta sia intorno a 40.000 bambini sotto
i 5 anni/anno, di cui almeno il
25% non necessari. Con i costi
attuali, le spese sanitarie sarebbero gravate di non meno
di 15 milioni di euro, cui vanno aggiunti i costi difficilmente
quantizzabili delle infezioni nosocomiali. L’applicazione delle
raccomandazioni sulle indicazioni al ricovero negli ambienti di pronto soccorso, i corsi
disponibili anche online sulle
linee guida (con l’e-learning) e
l’implementazione della vaccinazione contro il Rotavirus
sono iniziative che si sono dimostrate efficaci nel ridurre il
numero di ricoveri non necessari 5, 6. L’uso di antiemetici è
risultato efficace nel superare
la fase di vomito e consentire
un’efficace reidratazione per
via orale di numerosi bambini
in pronto soccorso 7. Gli antiemetici sono un problema non
risolto nella pratica medica.
L’ondansetron è efficace ed è
stato in più studi proposto in
138
pronto soccorso per ridurre
la necessità di reidratazione
parenterale in lattanti e bimbi piccoli con vomito. Tuttavia
l’ondansetron è gravato da un
“warning” della Food and Drug
Administration relativo ad un
rischio di gravi, seppur rari, effetti collaterali cardiaci, fino ad
un potenziale rischio di “Torsade de pointes” (torsione di
punta, ndr) 8. Il rischio appare
talmente basso da essere difficile da provare e alcuni autori 9
suggeriscono la somministrazione dell’antiemetico almeno
in bambini in cui è necessario
il ricovero per reidratazione per
via endovenosa.
Le linee guida per la gestione
della gastroenterite in ospedale offrono tuttavia una interessante e “nuova” proposta
nella reidratazione per via naso
gastrica. La somministrazione
di soluzione reidratante orale
con regime rapido (40-50 ml/kg
in 3-6 ore) consente un veloce
ripristino dell’equilibrio idrolettrolitico ed evita la necessità di
ospedalizzazione. Ci si chiede
perché la reidratazione per via
intestinale piuttosto che venosa sia così poco applicata nel
mondo. Un lavoro recente mostra che sia il personale sanitario che i genitori dei pazienti
considerino l’uso del sondino
naso gastrico più invasivo del-
la via venosa 10. In realtà non
solo questa obiezione appare
poco condivisibile, ma la via intestinale offre il vantaggio della
maggiore efficacia e flessibilità
rispetto alla via venosa ed un
ridotto rischio di effetti collaterali.
La reidratazione per via venosa
è trattata con grande dettaglio
e questa è un’altra novità delle
linee guida. Molti lavori recenti
mostrano che la reidratazione
dei bambini con disidratazione moderato-severa (ma non
con shock) può essere fatta
a 20 ml/Kg/ora per 2-4 ore di
soluzione fisiologica o ringer lattato. Per i pazienti che
dopo la fase di reidratazione
endovenosa rapida non sono
ancora in grado di assumere
per via orale la soluzione reidratante orale, è indicato un
mantenimento con glucosata
al 5% e soluzione fisiologica in
parti uguali. Lo scopo è somministrare non meno di 0,45%
o 77 mEq/L di Na+ per ridurre
il rischio di iponatremia nelle
prime 24 ore. È utile l’aggiunta di KCl (20 mEq/L) una volta
che sia assicurato un normale
flusso di urine e controllati gli
elettroliti. Al contrario, la correzione dell’acidosi non è inclusa
negli interventi routinari. Sono
stati proposti anche schemi
di reidratazione più rapidi con
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE
ESPGHAN per la gestione della gastroenterite
Tabella VII.
Terapia antimicrobica.
Basata sul patogeno
Agente
Shigella
Campylobacter
Salmonella
Clostridium difficile
E.coli Enterotossigeno
Rotavirus
Citomegalovirus
Indicazioni
Infezione certa o sospetta.
Se i sintomi sono iniziati da meno di due giorni.
Bambini ad alto rischio per ridurre il rischio di
disseminazione extraintestinale.
Infezioni moderate e severe, ed infezioni in
pazienti a rischio. Sotto i 3 anni alto tasso di
portatori sani.
Diarrea del viaggiatore
Forme severe in bambini ricoverati
Se sintomi gravi in bambino a rischio
Farmaco di prima scelta
Azitromicina o Ceftriaxone
Azitromicina
Ceftriaxone
Metronidazolo
Azitromicina
Immunoglobuline per via orale
Ganciclovir
Basata sui sintomi
Età: neonati e bambini sotto i 3 mesi (se febbre)
Da considerare anche in bambini con dissenteria (febbre + sangue + muco nelle feci) soprattutto se immunodepressi affetti da
gravi malattie croniche
l’infusione di 50-60 ml/kg/1
ora di liquidi 11. Tuttavia questi regimi sono associati a un
maggiore rischio di ricovero
dopo la dimissione dal pronto
soccorso. In pratica i regimi ultrarapidi hanno il vantaggio di
evitare i costi legati al ricovero
(e sono quindi apprezzati dalle
compagnie di assicurazione, i
“payers” del sistema sanitario
nordamericano), ma non hanno la sicurezza degli schemi
tradizionali.
L’ultima sezione delle linee
guida è dedicata alla terapia
antinfettiva e sottolinea l’opportunità di limitare l’uso di
antibiotici. Le indicazioni alla
terapia antibiotica includono
le indicazioni basate sull’eziologia, sul quadro clinico e sulle
condizioni basali del bambino.
In pratica la terapia antibiotica
è limitata a pochissimi casi.
Esiste, inoltre, un’indicazione
alla somministrazione orale di
immunoglobuline in bambini
ospedalizzati per gastroenterite da Rotavirus (Tab. VII).
• L’approccio al bambino con gastroenterite prevede l’immediata valutazione del grado di disidratazione e l’identifica-
zione di fattori di rischio per forme di diarrea severa o protratta.
• Le indagini di laboratorio e microbiologiche vanno limitate a casi selezionati.
• La reidratazione orale, ed eventualmente enterale o parenterale nei bambini severamente disidratati, va rapidamente
promossa e somministrata.
• L’allattamento al seno non va interrotto e l’alimentazione non va cambiata nella maggior parte dei casi.
• Terapia attiva della diarrea con uso di farmaci dimostratamente efficaci può ridurre la durata e la severità dei sintomi.
139
A. Guarino, A. Lo Vecchio
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Freedman SB, Parkin PC, Willan
AR, et al. Rapid versus standard
intravenous rehydration in paediatric gastroenteritis: pragmatic
blinded randomised clinical trial.
BMJ 2011;343:d6976.
11
CASE REPORT
a cura di
Mariella Baldassarre
Soluzione
del caso clinico
di pagina 121
Sviluppo del caso
clinico
e risoluzione
Per il persistere di ALT elevata, abbiamo proceduto a un
workup addizionale, con i seguenti risultati: ceruloplasmina
e cupruria normali; ANA, SMA
e LKM assenti; alfa-1 antitripsina normale; sierologia dei
principali virus epatotropi negativa; sierologia della malattia
celiaca negativa. Viene consigliato anche un test del sudore, eseguito presso il Centro
Regionale per la Fibrosi Cistica
di Cesena con il metodo Gibson-Cooke: 1° campione Cl
57,9 mmoli/kg; 2° campione Cl
63,1mmoli/kg (normale < 40).
Amilasi e lipasi pancreatica a
norma, elastasi fecale normale. Alla coltura dell’espettorato si evidenziava la presenza
di Stafilococco aureo. Spirometria indicativa di compromissione delle piccole vie respiratorie (Flow50 = 59%). Rx
torace: discreto enfisema, diffusa accentuazione della trama interstiziale specialmente
in regione perilare bilaterale.
Sequenziamento del gene per
ricerca mutazioni fibrosi cistica
(FC): negativo. Sulla base del
test del sudore patologico e del
coinvolgimento dell’apparato
respiratorio si pone diagnosi di
fibrosi cistica a pancreas sufficiente.
Sandra Brusa 1
Maura Ambroni 2
Fiorella Battistini
Pediatria Ospedale S. Maria della Scaletta, Imola;
Centro Regionale Diagnosi e Cura per la
Fibrosi Cistica, Ospedale Bufalini, Cesena
1
2
PUNTI CRITICI
DELLA DIAGNOSI
DIFFERENZIALE
L’ipotesi diagnostica più verosimile di fronte a un ragazzo preadolescente obeso con
ipertransaminasemia ed epatosteatosi è una NAFLD. La
malattia grassa del fegato è la
più comune malattia epatica
cronica del bambino e dell’adolescente, presente nel 10%
della popolazione pediatrica
generale e nell’80% dei bambini obesi o sovrappeso 2. Oltre alla forma primitiva, generalmente associata ad obesità
(NAFLD), ne esiste una secondaria, dovuta a cause tossiche,
nutrizionali o metaboliche.
Anche per Leonardo il primo
orientamento diagnostico è
stato quello di NAFLD, ma la
mancata normalizzazione della ALT, dopo di 6 mesi di dieta
ipocalorica e attività fisica, ha
indotto a cercare altre cause, in
particolare il morbo di Wilson e
l’epatite autoimmune. Sono
patologie potenzialmente fatali, se non prontamente riconosciute e trattate, ed entrambe
possono presentarsi con una
elevazione asintomatica della
ALT 4.
Nel nostro caso, la storia di
diarrea cronica e scarsa crescita poteva orientare verso una
patologia da malassorbimento,
quale ad esempio la celiachia.
Ipertransaminasemia e fegato grasso che non rispondono
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:141-142
2
alla dieta e persistono per più
di 6 mesi devono far pensare
anche alla fibrosi cistica e porre l’indicazione ad effettuare
un test del sudore. Inoltre già
da tempo erano presenti segni
extraepatici, in particolare respiratori, che avrebbero potuto
anticipare la diagnosi.
La malattia epatica nella FC è
frequente, ma solo raramente
isolata, più spesso associata
ad altri sintomi. Sono descritte
forme “atipiche” di FC, circa il
2% di tutte le diagnosi; sono
forme di malattia ad espressività lieve e variabile da apparato ad apparato; in molte di
queste non si riscontrano mutazioni del gene 3.
La malattia epatica associata a
FC è inizialmente asintomatica
e di solito diventa clinicamente evidente prima o durante la
pubertà, con una prevalenza
del 13-17%. La presentazione
clinica più comune è l’epatomegalia, associata all’aumento
degli enzimi epatici (transaminasi) a cui corrisponde un fegato più grasso e più grosso.
La steatosi è la più comune
lesione epatica associata alla
FC, può essere rilevata nel
67% dei pazienti di qualsiasi
età e correla con la malnutrizione 1.
Bibliografia
Colombo C, Russo MC, Zazzeron
L et al. Liver disease in cystic fi-
1
141
S. Brusa et al.
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diseases. Clin Rev Allergy Immunol 2008;35:116-23.
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Diagnosis of nonalcoholic fatty
liver disease in children and adolescents: position paper of the ESPGHAN Hepatology Committee.
JPGN 2012;54:700-13.
4
• Bambini obesi con ipertransaminasemia ed epatosteatosi dovrebbero essere sottoposti ad un workup diagnostico
completo per escludere tutte le cause di malattia grassa del fegato.
• Una ALT marcatamente elevata, o comunque superiore al doppio del valore normale, soprattutto se persiste per più di
6 mesi, è riscontro raro nella NAFLD e pertanto è una indicazione a procedere nell’iter diagnostico.
• Il 95% dei bambini con NAFLD presenta i markers di insulinoresistenza (iperinsulinismo con acanthosis nigricans,
HOMA-IR > 2), in assenza di questi è opportuno pensare ad altre diagnosi.
• Per escludere la FC è necessario eseguire sia il test del sudore che la ricerca delle mutazioni genetiche causa di FC.
Ancor oggi, infatti, i criteri per la diagnosi di FC sono: il test del sudore positivo o il riscontro di due mutazioni note
come causa di malattia (CFF consensus statement J Pediatrics 1988).
142
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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE.
DIOSMECTAL
3 g polvere per sospensione orale.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Una bustina contiene:
principio attivo: diosmectite 3 g. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere
paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere per sospensione orale. 4.
INFORMAZIONI CLINICHE. Numerose sono le esperienze cliniche condotte
con diosmectite nell’adulto e nel bambino, con affezioni del: - tratto digerente
superiore, che sono di tipo prevalentemente funzionale o iatrogeno: ipersecrezione
acida, associata a ridotta attività protettiva della mucosa gastroduodenale, reflusso
gastroesofageo e/o duodeno-gastrico, discinesie, assunzione di farmaci
potenzialmente lesivi a carico delle mucose; - tratto digerente inferiore, che sono di
tipo prevalentemente infettivo: virulentazione della flora batterica saprofita e/o
colonizzazione da parte di agenti patogeni. La patologia funzionale o iatrogena è più
frequente nell’adulto, mentre quella infettiva è dominante nel bambino. I risultati di
queste esperienze sono concordi nel riconoscere un’elevata incidenza di guarigioni o
di miglioramenti marcati della sintomatologia ottenuti con diosmectite rispetto a
quelli dei gruppi omogenei di confronto trattati con farmaci attivi di pari indicazione
e, soprattutto, a quelli trattati in doppio cieco con placebo. 4.1. Indicazioni
terapeutiche. • trattamento sintomatico orale della sintomatologia dolorosa delle
affezioni esofago-gastro-intestinali, quali reflusso esofageo e sue complicazioni
(esofagite), ernia dello hiatus, gastrite, ulcera gastroduodenale, bulbite, colite,
colopatie funzionali, meteorismo. • trattamento delle diarree acute e croniche nei
bambini (inclusi i neonati) e negli adulti, in aggiunta ai trattamenti con soluzioni
reidratanti saline. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Posologia
Trattamento della diarrea acuta: Bambini e neonati:- al di sotto di 1 anno: 2
bustine al giorno per 3 giorni, poi 1 bustina al giorno fino a completa risoluzione
della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di
diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il
medico. - al di sopra di 1 anno: 4 bustine al giorno per 3 giorni, poi 2 bustine al giorno
fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di
14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si
consiglia di consultare il medico. Adulti:- la dose giornaliera raccomandata è di 6
bustine al giorno Trattamento delle altre indicazioni: Bambini e neonati:- al di
sotto di 1 anno:1 bustina/die; - da 1 a 2 anni:1-2 bustine/die; - al di sopra dei 2 anni:23 bustine/die. Adulti: - in media 3 bustine al giorno. Modo di somministrazione: Il
contenuto della bustina deve essere disperso in sospensione poco prima dell’uso. Si
consiglia di somministrare preferibilmente dopo i pasti nella esofagite ed a distanza
dei pasti nelle altre indicazioni. Bambini e neonati: Il contenuto della bustina può
essere disperso in sospensione nel biberon in 50 ml di acqua e suddiviso in 2-3 dosi
nel corso della giornata o mescolato con qualsiasi altra bevanda o alimento
semiliquido. Adulti: Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la
polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare. 4.3. Controindicazioni.
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze
speciali e precauzioni di impiego. La somministrazione di altri eventuali farmaci
orali deve essere effettuata a distanza dall’assunzione di DIOSMECTAL. Usare con
prudenza nell’adulto con storia pregressa di stipsi cronica grave. Il trattamento della
diarrea acuta nei bambini deve essere associato ad una somministrazione precoce di
sali minerali (integratori salini orali) per evitare la disidratazione. Negli adulti, il
trattamento con Diosmectal non esime dalla reidratazione, quando questa appaia
necessaria. L’entità della integrazione con sali minerali e della reidratazione,
eventualmente anche per via venosa, deve essere adattata sulla base della gravità
della diarrea ed in funzione dell’età e del quadro clinico del paziente. Il medicinale
contiene glucosio monoidrato quindi i pazienti affetti da rari problemi di
malassorbimento di glucosio-galattosio, non devono assumere questo medicinale.
4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione. Il suo elevato
potere adsorbente può interferire con l’assorbimento gastrointestinale di alcuni
farmaci somministrati per via orale. Le altre eventuali terapie orali devono, pertanto,
essere assunte a distanza da DIOSMECTAL. 4.6. Fertilità, gravidanza e
allattamento. Diosmectal non viene assorbito. Pertanto, non presenta limitazione
d’impiego nelle suddette condizioni. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e
sull’uso di macchinari. Non pertinente. 4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti
indesiderati riportati durante gli studi clinici con le seguenti frequenze, sono sempre
stati lievi e transitori ed hanno interessato il sistema gastrointestinale: - non comune
(≥ 1/1.000, ≤ 1/100): episodi di stipsi. Questi episodi sono migliorati dopo
aggiustamenti individuali della posologia. Ulteriori informazioni derivanti
dall’esperienza post-marketing includono casi molto rari (frequenza non nota) di
reazioni di ipersensibilità, inclusi orticaria, rash, prurito o angioedema. 4.9.
Sovradosaggio. Non sono segnalati casi di sovradosaggio o di intossicazione. 5.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche.
Categoria farmacoterapeutica: adsorbenti intestinali, codice ATC: A07BC05.
DIOSMECTAL possiede proprietà gastroprotettive in quanto interagisce con le
glicoproteine del film mucoso che riveste la parete gastroduodenale, modificandone
le caratteristiche fisico chimiche in modo tale da accentuare le funzioni protettive nei
confronti dell’ipersecrezione acida, che è implicata nella patogenesi dell’ulcera
gastroduodenale, degli enzimi proteolitici, di talune sostanze gastrolesive e di
microrganismi patogeni. Possiede inoltre attività antifermentative, legate
essenzialmente alla sua struttura cristallina in lamelle sovrapposte che gli conferisce
un elevato potere adsorbente. Questo potere si esercita nei confronti di sostanze
neutre o ionizzate, della flora e delle tossine microbiche, dei gas intestinali. Infine ha
la proprietà di attivare alcuni fattori della coagulazione (VII, VIII, XII) che può
risultare utile in sede locale in caso di sanguinamento da erosioni o ulcerazioni della
mucosa. È radiotrasparente e non influisce sul tempo di transito gastrointestinale. I
risultati dei dati combinati di due studi clinici randomizzati in doppio cieco controllati
con placebo condotti su 602 bambini di età compresa tra 1 e 36 mesi con diarrea
acuta ai quali è stato somministrato Diosmectal o placebo in combinazione con
integratori salini orali, hanno mostrato una diminuzione significativa nelle prime 72
ore della emissione di feci nella popolazione complessiva: in media 94,5 (deviazione
standard 74,4) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 104,1
(94,2) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0016). Nella sottopopolazione (n = 91) positiva a rotavirus, la media di emissione di feci (g / kg di peso
corporeo) è 124,3 (deviazione standard 98,3) nel gruppo di pazienti trattati con
diosmectite rispetto a 186,8 (147,2) nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p =
0,0005). Un terzo studio in doppio cieco controllato con placebo condotto su 243
bambini di età compresa tra 2 e 36 mesi con diarrea acquosa acuta trattato con
diosmectite in combinazione con integratori salini orali non ha mostrato alcuna
significativa differenza nell’emissione media di feci: la quantità media (± Deviazione
standard) cumulativa nelle prime 48 ore è stata di 98.5 ± 78.0 g/kg di peso corporeo
nel gruppo trattato con diosmectite rispetto a 112.1 ± 91.8 g/kg di peso corporeo nel
gruppo trattato con placebo (NS). Tuttavia, l’endpoint secondario “diminuzione della
durata degli episodi di diarrea” è stato raggiunto in maniera significativa nel gruppo
trattato con diosmectite: mediana [range] 43 ore (10-289) nel gruppo trattato con
diosmectite, 72 ore (12-287.5) nel gruppo placebo (p=0.0263). I risultati di uno
studio randomizzato in doppio cieco effettuato su 329 adulti con diarrea acquosa
acuta hanno evidenziato un significativo decremento della durata della diarrea nel
gruppo di pazienti trattati con la diosmectite (mediana di 53.8 ore [3,7 – 167,3]
rispetto al gruppo di pazienti trattati con placebo (mediana di 69 ore [2,2-165,2]),
p=0.029. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Studi sperimentali e clinici hanno
dimostrato che il preparato non supera la barriera gastroenterica neppure nei pazienti
con alterazioni funzionali e strutturali della mucosa gastroenterica, che potrebbero
costituire un fattore favorente sull’assorbimento. 5.3. Dati preclinici di sicurezza.
Gli studi di tossicità cronica condotti nel ratto e nel cane per un periodo di un anno,
dimostrano che il principio attivo del preparato anche a dosi 10-15 volte superiori a
quella terapeutica non induce modificazioni ed alterazioni specifiche a carico di
organi e funzioni, in considerazione anche del suo non assorbimento. Si sono
registrate in alcuni animali modificazioni a carico del metabolismo lipidico in
particolare aumento di trigliceridemia alle alte dosi che non trovano una spiegazione
ragionevole ma che in ogni caso non sono mai dose-dipendente, spesso regrediscono
nel tempo e non raggiungono livelli patologici. 6. INFORMAZIONI
FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Saccarina sodica, glucosio
monoidrato, aroma vaniglia, aroma arancio. 6.2. Incompatibilità. Nessuna, ad
esclusione delle interferenze in fase di assorbimento nei confronti di alcuni altri
farmaci somministrati contemporaneamente. 6.3. Periodo di validità. 3 anni a
confezione integra. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo
medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. 6.5. Natura
e contenuto del contenitore. Astuccio di cartone contenente 30 bustine termosaldate
da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 20 bustine termosaldate da 3,760 g.
Astuccio di cartone contenente 10 bustine termosaldate da 3,760 g. È possibile che
non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo
smaltimento e la manipolazione. Per ottenere una sospensione omogenea, versare
lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare regolarmente. 7.
TITOLARE
DELL’AUTORIZZAZIONE
ALL’IMMISSIONE
IN
COMMERCIO. Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A. - Via Lungo l’Ema, 7 Bagno a Ripoli FI. Su licenza: SCRAS S.A. - Parigi (Francia). 8. NUMERI
DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. AIC n.
028852010 (30 bustine). AIC n. 028852034 (20 bustine). AIC n. 028852022 (10
bustine). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO
DELL’AUTORIZZAZIONE. Data di prima autorizzazione: - 30 bustine:
31.10.1995. - 10 e 20 bustine: 18.11.1999. Data dell’ultimo rinnovo: 31.10.2010. 10.
DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Luglio 2011.
CONFEZIONI: 3g 30 bustine
PREZZO AL PUBBLICO: € 14,30
CLASSE C
Concessionario per la vendita: F.I.R.M.A. S.p.A. - Via di Scandicci, 37 - Firenze
Titolare A.I.C.: Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A., via Lungo l’Ema, 7 Bagno a Ripoli, Firenze.
Su licenza SCRAS S.A. - Parigi (Francia)
L’equilibrio interno
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KALE 14 09
Kaleidon (Lactobacillus rhamnosus GG ATCC 53103)
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che favorisce l'equilibrio della flora intestinale 2
1. Bousvaros A, et al. A randomized, double-blind trial of lactobacillus GG versus placebo in addition to standard
maintenance therapy for children with Crohn's disease. Inflamm Bowel Dis 2005; 11(9): 833-9.
2. Foglietto illustrativo Kaleidon.