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Dina Lentini
Pierre Loti e la metafisica dell’abisso
modernità di uno scrittore “esotico”
“Avec une obstination puérile et désolée, depuis ma prime jeunesse, je me suis épuisé à vouloir fixer
tout ce qui passe, et ce vain effort de chaque jour aura contribué à l'usure de ma vie. J'ai voulu arrêter
le temps, reconstituer des aspects effacés, conserver de vieilles demeures, prolonger des arbres à bout
de sève, éterniser jusqu' à d'humbeles choses qui n'auraient dû être qu' éphémeres...” Pierre Loti,
Prime jeunesse, Un court Prelude
L'ultimo rifugio
Il viaggiatore che, seguendo la costa atlantica francese da nord verso Bordeaux, decidesse di
fermarsi nella Charente Marittima, si troverebbe ancora oggi immerso in un paesaggio estremo, antico,
pieno di charme e di suggestione. Arrivando a Rochefort potrebbe spostarsi sull'île d'Oleron e, a parte il
viadotto che ormai la collega alla terraferma, trovarla sostanzialmente la stessa di un tempo, alla fine
dell'Ottocento, quando Pierre Loti la percorreva a piedi per raggiungere la dimora degli antenati.
L'atmosfera è rimasta quella di un paese tra terra e mare, un luogo dove bisogna andare apposta,
lontano e protetto. Certo gli abitanti non vivono più solo dei prodotti delle vigne e dell'ostricoltura, ma
le strade hanno le stesse case bianche e basse della tradizione, le distese salmastre di stagni rimandano
l'aroma aspro della palude mescolato al profumo dei fiori selvatici e degli arbusti odorosi delle dune e
delle spiagge di sabbia fine. Lui, il grande nostalgico che ha voluto essere seppellito proprio in
quell'isola e in quella casa di Saint Pierre, che era stata venduta e che lui era riuscito a ricomprare, non
sarebbe comunque soddisfatto. Quello che ai nostri occhi sembra un miracolo di conservazione e di
rispetto del paesaggio e della tradizione abitativa del luogo apparirebbe a Loti come l'ennesima
omologazione turistica e culturale di un territorio che avrebbe voluto bloccare com'era, per sempre.
Una vocazione, un destino
Scrittore dell' ”altrove”, più che semplice scrittore di viaggi, Pierre Loti è rimasto legato tutta la vita
ad un'intuizione precoce, avuta, come racconta lui stesso, in età infantile.(1)
Ricostruendo i primi segni della sua nascita come essere pensante, capace di tristezza e di sogno,
l'autore crede di capire che la sua maturazione sia avvenuta non progressivamente per accumulo di
conoscenze, quanto, piuttosto, per illuminazioni improvvise. In uno di questi “scarti” che permettono
l'abbandono dell'incoscienza e della semplice vita animalesca, Loti individua l'elemento che avrebbe
poi caratterizzato il suo universo mentale. Si tratta della tensione a porsi oltre, verso l'ignoto, l'infinito.
La tendenza presente nel bambino in forma ancora confusa si svilupperà poi nel giovane adulto come
ansia, destinata a diventare parossistica, di vedere e conoscere ogni spazio, ogni estensione dell'aria, del
mare, delle terre:
“j'apercevais furtivement toutes sortes d'infinis, dont je possédais déjà sans doute, dans
ma tête, antérieurement à ma propre existence, les conceptions latentes...” (2)
La problematica di Loti si sviluppa su questi due poli, apparentemente in contraddizione: da un lato,
l'isola o un suo equivalente simbolico, dall'altra la dimensione dell' infinito.
La soggettività di Julien Viaud/ Pierre Loti, si forma nel mondo chiuso e caldo degli affetti familiari,
nel cerchio protettivo di un ambiente dominato da figure femminili. Si tratta di un mondo che unisce
alla severa religione del dovere della tradizione ugonotta la passione per l'educazione e la cultura. Qui
il giovanissimo Julien può esplorare i tanti volti di una natura selvaggia, vitale e possente, dedicarsi allo
studio del disegno e del pianoforte che lo accompagneranno per sempre. Qui, attraverso i racconti delle
nonne, delle zie, delle prozie, l'area di Rochefort e gli spazi immensi della Saintoge fino all'isola gettata
sull'Atlantico assumono il carattere del luogo caro dove vive sedimentata la memoria delle generazioni
precedenti. La proiezione verso il futuro e verso l'estraneo è fornita dalle esperienze di viaggio e di
studio della sorella maggiore, ma soprattutto dalle lettere e dai reperti di viaggio che arrivano dal
fratello, l'ufficiale medico che morirà in mare, giovanissimo, segnando in qualche modo il destino
letterario e umano di Loti. La rottura di questo mondo incantato avviene presto, nell'adolescenza,
quando il lutto e la miseria si abbattono sulla famiglia e il diciassettenne Julien, non più ostacolato nella
sua volontà di entrare alla Scuola Navale, si imbarcherà sul Borda, primo passo sulle tracce del fratello
e base della futura lunghissima carriera di ufficiale di marina.
Miti personali
Le esperienze del lutto e della separazione rafforzano, nella sensibilità del giovane Julien, la
riflessione sull'ineluttabilità della solitudine e dello spaesamento. Si tratta, come si è detto sopra, di
paure profonde già presenti nella dimensione infantile che elementi esterni hanno confermato ed
esasperato. I miti personali di Loti, la casa e il viaggio, in continua irrisolta contrapposizione, si
formano ben prima che la realtà e la vita reclamino i loro diritti sulla famiglia Viaud. Già l'esperienza
del bambino aveva indicato al futuro Loti gli aspetti ambivalenti e tenebrosi del “foyer”, del focolare
tanto amato. Lì, nel cuore della casa, l'adorata immagine materna potrebbe svanire, la presenza
silenziosa delle vecchie zie, così rassicurante, potrebbe scivolare verso l'immobilità, gli oggetti cari
raccolti e custoditi potrebbero consumarsi e sbriciolarsi col tempo e, anche se dovessero conservarsi,
non direbbero più nulla agli altri. Del resto, basta così poco a riannodare i fili del ricordo, a far rivivere
le generazioni precedenti, ma anche a renderle del tutto estranee, fantasmi che hanno vissuto la stessa
vita nello stesso posto, godendo dello stesso paesaggio e della stessa luce, ma che non comunicano più
nulla se non una distanza infinita. Il segreto di una vita, di un tempo, di una casa, di un sogno resta
insondabile.
E' quindi già nel foyer che nasce Pierre Loti. Assegnandosi questo nome Viaud non si limita a
scegliere un nome d'arte, non esegue semplicemente una delle sue tante trasformazioni, benché la più
importante. Definisce se stesso in quell'identità che sin da bambino aveva intuito di possedere ed è
questa che lo porterà lontano, ad esplorare l'inesplorabile, vero pellegrino del mondo. (3)
Nei panni di Loti, Viaud avrà accesso ad un'apertura totale verso l'infinito, un infinito non lineare,
affascinante e pericoloso, che assume i caratteri della vertigine e dell'abisso. Sempre come Loti, Viaud
scoprirà gli aspetti altrettanto inquietanti del luogo protetto al quale tanto si desidera tornare e dal quale
un'angoscia mascherata da noia o da nostalgia ci spinge a ripartire, in un'eterna sfibrante oscillazione.
Successo e oblio
In tutta l'attività di Loti, nella dimensione letteraria e artistica, ma anche nel culto del collezionismo
e del travestimento, nella costruzione del personaggio mondano ed eccentrico, il filo conduttore, da lui
stesso dichiarato, è sicuramente il tentativo di sottrarsi alla visione del nulla, al fantasma della
solitudine, della mancanza di significato e della morte. Si è visto come elementi esogeni abbiano agito
su un'angoscia profonda, primitiva, capace di segnare un'intera vita. Ma si tratta anche di un malessere
che, in Loti, apparentemente estraneo a riflessioni filosofiche, ha motivazioni intellettuali e
caratteristiche complesse.
Solo recentemente la critica ha lavorato in questa direzione. Per molto tempo hanno gravato
negativamente sullo scrittore sia l'immagine artificiosa ed equivoca da lui stesso creata, sia una
comprensione parziale della sua opera, inquadrata nella letteratura “esotica”. Paradossalmente, proprio
la Francia che lo aveva esaltato in vita, incoronandolo accademico di Francia e portandolo, appena
quarantenne, al successo e alla ricchezza, lo ha poi dimenticato. Nel confronto con altri, Anatole France
e soprattutto Marcel Proust, è stato accusato di superficialità e istintività e relegato tra gli autori minori.
I critici gli hanno rimproverato l'invenzione di storie dalla trama romanzesca inconsistente, la scarsa
immaginazione, la creazione di personaggi inverosimili, privi di individualità e interscambiabili. Loti
ha avuto, nondimeno, un successo popolare forte e ha riscosso la simpatia della stessa élite intellettuale
francese, che forse ha colto nel livello apparentemente ingenuo della sua scrittura il rinvio a significati
più profondi.
Basti pensare a Proust, che leggeva, faceva leggere, amava Loti. (4)
D'altra parte, il rapporto con la patria si rivelò sempre difficile e oscillante non solo sul piano
artistico. Loti ha svolto impegni militari e diplomatici in un arco di tempo piuttosto vasto, dalla guerra
franco-prussiana del 1870 fino alla Grande Guerra e ha avuto modo di sperimentare direttamente il
ruolo esercitato dalle nazioni europee e particolarmente dai francesi in Medio Oriente e in Cina nella
fase più aggressiva del colonialismo di fine Ottocento e del primo Novecento. Schierato da sempre a
favore della Turchia, suo paese prediletto, Loti destabilizzava la visione storica corrente ponendosi in
difesa dei popoli extraeuropei oppressi dalle potenze occidentali. Per lui l'altrove non fu mai uno spazio
di conquista, ma di conoscenza e di scambio, di immersione nella lingua, nella tradizione, nell'identità
di un popolo e di una storia diversi. La denuncia dei massacri compiuti dai francesi nell'area vietnamita
è del 1883, segue la polemica contro la politica occidentale in Cina durante la rivolta dei Boxers.
Attaccato come negazionista dell'olocausto armeno, Loti cadrà in disgrazia. L'ultima impresa la
compirà durante la Grande Guerra, allorché, ormai più che sessantenne e forzatamente mandato in
pensione, riuscirà a farsi riassumere in servizio espletando non solo il ruolo di reporter di guerra, ma
proprio quello di staffetta capace di veicolare informazioni sui vari fronti bellici a favore del suo paese.
Ricerca esistenziale e dissoluzione della personalità
La relazione complicata con la Francia non è altro che un aspetto, in Loti, del rapporto difficile tra
l'io e l' '”altrove” e tra l'io e l'altro. La sua ansia, favorita dalle necessità del servizio in marina, lo
trascina da un polo all'altro del mondo. Ha visto tutto, dalle Americhe all'Africa, dalla Bretagna
all'Asia, dai Paesi Baschi alle isole oceaniche, dal Mediterraneo al Giappone. L'altrove finisce per
coincidere con l'Oriente, con il sole del deserto, con la luce ancora presente tra le rovine di civiltà
morte, con la massa animalesca del mare chiuso sui suoi abissi. E nella corsa verso immense distese
prive di confine l'io si frantuma, si disperde, si ricompone, si illude, cerca conforto. E, puntualmente,
torna indietro. In Suleïma (1882) Loti racconta l'amore per una donna, conosciuta in Algeria poco più
che bambina, lasciata, rincontrata dieci anni dopo. La storia si sviluppa su due livelli temporali, ma
anche sui due spazi contrapposti nello schema caro a Loti: da un lato l'Africa, dall'altro la casa paterna
dove egli ha portato una piccola tartaruga raccolta laggiù chiamata Suleïma, come la ragazza. Alle
pagine di questo romanzo Loti affida la sua riflessione sul suo destino di errante condannato senza posa
a tornare per essere poi deluso e a ripartire per riprovare quell'esaltazione che rivelerà altre delusioni.
Alla fine, dice Loti, i ricordi dei paesi visti, i volti amati, i paesaggi superbi, tutto diventa vago e si
confonde. Difficile che un incontro d'amore avvenga sullo stesso piano, difficile che due esseri arrivino
davvero a donarsi qualcosa che non sia solo un momento di consolazione o un senso di pietà, a intuire
l'animo dell'altro. E la stessa ebbrezza data dal paesaggio tende ad offuscarsi nella memoria, lasciando
il passo all'altro inquietante volto del sole, quello di demone meridiano. Eppure, è impossibile anche
restare. Nella casa le ombre avvolgono stanze morte, gli oggetti collezionati hanno perso il senso di
quel momento in cui sono stati raccolti e non dicono più niente, la notte porta l'incubo della propria
vecchiaia in solitudine e il rimpianto di aver respinto una vita semplice nel proprio angolo di mondo
per disperdersi in tante vite in tanti luoghi restando estraneo a se stesso e agli altri. Il banco verde, in
fondo alla corte della casa, all'ombra degli arbusti e dei fiori, è sempre là. E' il banco dove, ragazzo, si
sedeva a studiare, a pensare al fratello. E' quel banco verde che Loti fa coincidere con il proprio io. Lì
nulla è cambiato, gli stessi fiori, gli stessi insetti, lo stesso gioco di luci fra le piante. E' il luogo buono,
che per rimanere tale deve risultare fermo e immobile. L'ansia che scaturisce da questa fissità può
diventare insopportabile.
In un romanzo precedente, uno dei più celebri, Aziyadè (1879), Loti aveva rappresentato un' altra
figura di donna in un altro spazio, quello turco nel quale forse egli si è maggiormente identificato. Se
Suleïma è una povera cavalletta del deserto, Aziyadè è una raffinata cortigiana orientale che sintetizza
l'idea voluttuosa, sensuale dell'amore come trasgressione, abbandono e dramma. Roland Barthes ha ben
colto le ambivalenze della figura di Aziyadè, nome e simbolo del proibito, sublimazione di piaceri
interdetti e dell 'esperienza della deriva e della depravazione. In questo caso l'io si scinde: da un lato, il
giovane ufficiale che si lascia andare, a Istambul, all'avventura pericolosa con i ragazzi asiatici;
dall'altro, il figlio dell'Occidente educato nella severa religione protestante che deve riprendere la strada
di casa dove può in parte recuperare l'innocenza perduta. In questa storia di un soggetto che cerca e
nega se stesso, la trama diventa inconsistente e persino non credibile. Una donna giovanissima (forse
un ragazzo) reclusa nell'harem e un ufficiale di marina di stanza a Istambul vivono un'intensa relazione
d'amore. Devono lasciarsi. La donna muore di dolore. Ed è una donna il cui volto e il cui carattere
sfumano nell'indefinito, senza una vera identità. L'unico elemento forte e poetico nel romanzo è
l'immagine della barca che scivola sulle acque nella notte orientale portando l'abbraccio dei due
innamorati: l'immagine della deriva. Giustamente Barthes sottolineava, già nel '72, il carattere
schizoide dell'esperienza di Loti mostrando, proprio per questo romanzo, Aziyadè, il gioco relativo al
nome dell'eroe, che è Loti nell'invenzione letteraria, che è anche il nome dell'autore dell'opera, o meglio
il nome scelto dall' autore, che è Viaud: Loti è dentro o fuori il romanzo? dov'è lo scrittore? (5)
Ricerca esistenziale e dissoluzione della personalità
La relazione complicata con la Francia non è altro che un aspetto, in Loti, del rapporto difficile tra
l'io e l' '”altrove” e tra l'io e l'altro. La sua ansia, favorita dalle necessità del servizio in marina, lo
trascina da un polo all'altro del mondo. Ha visto tutto, dalle Americhe all'Africa, dalla Bretagna
all'Asia, dai Paesi Baschi alle isole oceaniche, dal Mediterraneo al Giappone. L'altrove finisce per
coincidere con l'Oriente, con il sole del deserto, con la luce ancora presente tra le rovine di civiltà
morte, con la massa animalesca del mare chiuso sui suoi abissi. E nella corsa verso immense distese
prive di confine l'io si frantuma, si disperde, si ricompone, si illude, cerca conforto. E, puntualmente,
torna indietro. In Suleïma (1882) Loti racconta l'amore per una donna, conosciuta in Algeria poco più
che bambina, lasciata, rincontrata dieci anni dopo. La storia si sviluppa su due livelli temporali, ma
anche sui due spazi contrapposti nello schema caro a Loti: da un lato l'Africa, dall'altro la casa paterna
dove egli ha portato una piccola tartaruga raccolta laggiù chiamata Suleïma, come la ragazza. Alle
pagine di questo romanzo Loti affida la sua riflessione sul suo destino di errante condannato senza posa
a tornare per essere poi deluso e a ripartire per riprovare quell'esaltazione che rivelerà altre delusioni.
Alla fine, dice Loti, i ricordi dei paesi visti, i volti amati, i paesaggi superbi, tutto diventa vago e si
confonde. Difficile che un incontro d'amore avvenga sullo stesso piano, difficile che due esseri arrivino
davvero a donarsi qualcosa che non sia solo un momento di consolazione o un senso di pietà, a intuire
l'animo dell'altro. E la stessa ebbrezza data dal paesaggio tende ad offuscarsi nella memoria, lasciando
il passo all'altro inquietante volto del sole, quello di demone meridiano. Eppure, è impossibile anche
restare. Nella casa le ombre avvolgono stanze morte, gli oggetti collezionati hanno perso il senso di
quel momento in cui sono stati raccolti e non dicono più niente, la notte porta l'incubo della propria
vecchiaia in solitudine e il rimpianto di aver respinto una vita semplice nel proprio angolo di mondo
per disperdersi in tante vite in tanti luoghi restando estraneo a se stesso e agli altri. Il banco verde, in
fondo alla corte della casa, all'ombra degli arbusti e dei fiori, è sempre là. E' il banco dove, ragazzo, si
sedeva a studiare, a pensare al fratello. E' quel banco verde che Loti fa coincidere con il proprio io. Lì
nulla è cambiato, gli stessi fiori, gli stessi insetti, lo stesso gioco di luci fra le piante. E' il luogo buono,
che per rimanere tale deve risultare fermo e immobile. L'ansia che scaturisce da questa fissità può
diventare insopportabile.
In un romanzo precedente, uno dei più celebri, Aziyadè (1879), Loti aveva rappresentato un' altra
figura di donna in un altro spazio, quello turco nel quale forse egli si è maggiormente identificato. Se
Suleïma è una povera cavalletta del deserto, Aziyadè è una raffinata cortigiana orientale che sintetizza
l'idea voluttuosa, sensuale dell'amore come trasgressione, abbandono e dramma. Roland Barthes ha ben
colto le ambivalenze della figura di Aziyadè, nome e simbolo del proibito, sublimazione di piaceri
interdetti e dell 'esperienza della deriva e della depravazione. In questo caso l'io si scinde: da un lato, il
giovane ufficiale che si lascia andare, a Istanbul, all'avventura pericolosa con i ragazzi asiatici;
dall'altro, il figlio dell'Occidente educato nella severa religione protestante che deve riprendere la strada
di casa dove può in parte recuperare l'innocenza perduta. In questa storia di un soggetto che cerca e
nega se stesso, la trama diventa inconsistente e persino non credibile. Una donna giovanissima (forse
un ragazzo) reclusa nell'harem e un ufficiale di marina di stanza a Istanbul vivono un'intensa relazione
d'amore. Devono lasciarsi. La donna muore di dolore. Ed è una donna il cui volto e il cui carattere
sfumano nell'indefinito, senza una vera identità. L'unico elemento forte e poetico nel romanzo è
l'immagine della barca che scivola sulle acque nella notte orientale portando l'abbraccio dei due
innamorati: l'immagine della deriva. Giustamente Barthes sottolineava, già nel '72, il carattere
schizoide dell'esperienza di Loti mostrando, proprio per questo romanzo, Aziyadè, il gioco relativo al
nome dell'eroe, che è Loti nell'invenzione letteraria, che è anche il nome dell'autore dell'opera, o meglio
il nome scelto dall' autore, che è Viaud: Loti è dentro o fuori il romanzo? dov'è lo scrittore? (6))
Note
(1)Le Roman d'un enfant
(2) Le Roman d'un enfant
(3)Alain Quella- Villéger, Le pèlerin de la planète, Aubéron 2005
(4) M. Pierre Costil, Loti et Proust, XI Congrés de l'Association internationale des etudes francaises.
Cahiers,1960, Vol 12, N 1
(5) R.Barthes, Nouveaux essayis critiques, Paris, Seuil 1972)
(6) R.Barthes, Nouveaux essayis critiques, Paris, Seuil 1972)
riferimenti bibliografici dell'articolo
Bibliografia Pierre Loti
Pierre Loti, Oeuvres , Editions La Bibliothèque Digital
Pierre Loti, Oeuvres complets, Calman Levy, undici volumi
Saggi critici su Pierre Loti
Viene qui data un'indicazione di massima relativa alle opere e alla letteratura critica su Pierre Loti. A
partire dagli anni '70-'80, con la ripresa dell'interesse verso questo autore, i saggi critici si sono
moltiplicati, sono nate molte iniziative culturali (premi, mostre, performance), l'edizione originale delle
opere di Calman Levy è stata rieditata e completata. Il lavoro più interessante e articolato è stato quello
dello scrittore Quella-Villeger che ha curato, fra l'altro, l'edizione delle varie annate del Journal intime e
può considerarsi oggi il massimo esperto di Loti. Loti è ormai largamente tradotto anche in italiano.
Alain Buisine, Pierre loti: l'ecrivain et son double, Tallandier 1998
Yves La Prairie, le vrai visage de Pierre Loti, L'Encre de Marine 1995
Alain Quella-Villéger, Le pèlerin de la planète, Aubéron 2005
Alain Quella-Villéger, Pierre Loti, l' incompris, Presse de la Renaissance 1986
Alain Quella-Villéger, Istanbul. Le regard de Pierre Loti (une soixantaine de photographies de ,
Pierre Loti, Renaissance du Livre, 1997)
Alain Quella-Villéger, Chez Pierre Loti: una maison d'ecrivain-voyageur, Aubéron 2008
Alain Quella-Villéger, et Bruno Vercier, Pierre Loti dessinateur, ed Bleu autour 2009
Alain Quella-Villéger, Pierre Loti photographe, 2012
M. Pierre Costil, Loti et Proust, XI Congrés de l'Association internationale des etudes francaises.
(Cahiers,1960, Vol 12, N 1)
R.Barthes, Nouveaux essayis critiques, Paris, Seuil 1972
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