Il nuovo progetto di Illuminazione - Diego Giachello

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Il nuovo progetto di Illuminazione - Diego Giachello
IL NUOVO PROGETTO DI ILLUMINAZIONE
Diego Giachello
Il tema della luce nella Galleria di Beaumont è stato affrontato mettendo in relazione quasi duecento
anni di allestimenti con gli aspetti percettivi che l’imponenza dello spazio e la complessa articolazione dei reperti trasmettono oggi al visitatore che affronta una lunga passeggiata tra la collezione
di armi e armature. L’attuale configurazione è il risultato di una vicenda che prende il via nel 1832,
quando Carlo Alberto decideva di allestire nella Grande Galleria, svuotata dai dipinti trasferiti a
Palazzo Madama, un museo dedicato alla storia delle armi.
Il primo approccio è stato quello di suddividere i temi della luce naturale, che proviene dai grandi
serramenti, dalle sorgenti artificiali che sono costituite da torcieri in stile che illuminano la sala e fibre ottiche all’interno delle vetrine storiche. Sono stati eseguiti molti test illuminotecnici utilizzando
apparecchiature led di ultimissima generazione funzionali non solo alla percezione dello spazio in
assenza di luce naturale proveniente dalle finestre, ma anche rapportandosi all’immagine diurna della Galleria (quella con cui si presenta al pubblico nella maggior parte delle ore di apertura) e quindi
con il contributo che le fonti di luce naturale esercitano sull’insieme.
Fonti di luce naturali
I serramenti della galleria si presentano lungo un doppio affaccio, a nord-ovest su Piazzetta Reale, a
sud-est sui giardini. La luce inonda lo spazio, entra in profondità, soprattutto nei mesi invernali grazie all’assenza di un vero sporto del tetto, e attraversa tutta la manica illuminando ogni superficie.
Prima dell’intervento non erano presenti protezioni (i vetri non avevano schermatura, erano semplici, privi di pellicole, né anti UV né di sicurezza), il personale di sala utilizzava abitualmente le gelosie esterne per filtrare il sole, alternativamente tra il mattino e il pomeriggio, e per ventilare naturalmente i locali. Tende leggere erano state posizionate storicamente più volte, così era stato
nell’ultimo allestimento, più per gusto estetico che per protezione. La loro presenza non forniva alcun contributo nello schermare le radiazioni solari che colpivano direttamente i reperti e in particolare il materiale tessile dei costumi e quello organico delle pelli dei cavalli.
Il pubblico apprezza da sempre le vedute attraverso i serramenti, sfilando dietro i gruppi di soldati a
piedi e di cavalieri, può affacciarsi liberamente sul panorama della città, in diretto riferimento al
contesto urbanistico nel quale si colloca il complesso del Palazzo. L’inserimento di pellicole microlaminate che permettono comunque la visione esterna e determinano un taglio quasi totale degli
UVA e degli infrarossi è stata la prima operazione effettuata con risultati particolarmente efficaci.
L’effetto di trasparenza del cristallo è appena attenuato, ma il taglio delle radiazioni nocive, compreso il calore estivo per irraggiamento, è immediatamente percepito.
Illuminazione a parete
Venti gruppi di torcieri a parete garantivano ormai da molti anni l’illuminazione della Grande
Galleria. In particolare nell’ultimo allestimento furono inserite 200 sorgenti alogene da 42/44 W
(ridotte rispetto alle 50 W per migliorne i consumi) con attacco a baionetta e con un assorbimento
complessivo prossimo ai 9 KW/ora. La luce diffusa, da sopra steli tubolari in vetro che simulano la
cera di una candela, è molto calda, con un buon indice di resa cromatica, ma sicuramente non in
grado di illuminare correttamente la volta né tanto mano le armature che si trovano costantemente
in condizioni di controluce.
Una litografia di Ajello e Doyen del 1837, conservata presso l’Archivio Storico della Città di
Torino, rappresenta la Galleria priva di fonti di illumunazione. Poco più tardi Carlo Bossoli, nel
1853, illustra la presenza di lampadari, curiosamente non più visibili nelle prime fotografie che
rappresentano lo spazio, quando tutto sembra nuovamente demandato alle finestre private anche dei
tendaggi. La comparsa dei torcieri è quindi sicuramente databile nei primi decenni del Novecento.
Si è concordato che la loro immagine ormai storicizzata nell’ambiente dovesse essere conservata.
Incompatibile con i tempi e con le tecnologie l’elevatissimo consumo delle sorgenti a incandescenza e probabilmente l’eccessivo flusso luminoso privo di controllo prodotto dalle 200 lampadine.
Sostituire tutte le sorgenti è stato quindi un passaggio obbligato: i consumi energetici si presentano
oggi ridimensionati a quasi di un decimo dei valori precedenti grazie all’introduzione di lampade
led da 4-5 W, la durata è passata da 4-5.000 ore a 30.000. Abbiamo lavorato a lungo, con molti test,
nella scelta di un prodotto in grado di emanare un flusso luminoso meno intenso rispetto a quello
delle precedenti alogene, proprio perché questo è stato il primo di un processo più articolato che ha
poi interessato armature, cavalli e vetrine. Si è preferito mantenere la sorgente visibile, anche dopo
aver provato una piccola lampadina che poteva essere integrata al tubo di vetro, sono stati eliminati
gli attacchi a baionetta (che limitavano fortemente la scelta dell’apparecchio luminoso) sostituendoli con attacchi standard E14. Le 200 candele in vetro, distribuite su 20 torceri, sono state tutte modificate nell’alimentazione, inserendo il diffusissimo attacco a vite (il modello piccolo delle comuni
lampadine) permettendo in futuro di seguire la rapida evoluzione prestazionale ed estetica delle sorgenti a luce led.
Di torcieri viene emanata oggi una luce calda, con temperatura di colore tra i 2700 e i 3000°K, molto meno abbagliante rispetto alle alogene. La resa cromatica è buona e il flusso luminoso, grazie alla
conformazione dei led all’interno del bulbo, è tendenzialmente rivolto verso l’alto. La loro intensità
è entrata in gioco sia con le luci di accento, destinate alle armature, che con la nuova luce interna
alle vetrine, cercando un complessivo equilibrio anche da un punto di vista del colore emesso.
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Illuminazione interna vetrine
Le bellissime vetrine risalgono in buona parte all’allestimento del 1873 curato da Angelo Angelucci, allora direttore del Museo d’Artiglieria, e sono documentate dalle immagini dei tre volumi
dell’album fotografico pubblicato da Luigi Avogadro di Quaregna nel 1898. Le teche metalliche
non presentavano ovviamente nessuna forma di illuminazione interna. Il sistema in uso al momento
dell’avvio del progetto risale alla revisione dell’allestimento coincidente con la riapertura al pubblico della Galleria di Beaumont nel novembre del 2005. La tecnologia adottata si proponeva con caratteristiche elevate, rispondenti ai migliori standard museografici, quando le fibre ottiche rappresentavano la qualità più alta della luce in una teca museale, collocando la sorgente (a incandescenza) dentro un illuminatore dislocato in posizione protetta e distante dai reperti. Nelle vetrine
dell’armeria fu adottato un sistema misto, in quanto le posizioni non raggiungibili dai cavi delle fibre (tecnicamente chiamati fruste), furono risolte con delle stecche di led per l’epoca di ottima qualità.
Malgrado i sicuri risultati tecnici ottenuti dalla soluzione del 2005, assenza quasi totale di calore,
buona resa cromatica, abolizione di UVA e infrarossi, da un punto di vista percettivo le vetrine presentavano forti difformità nella visione dei reperti. Le sorgenti piuttosto puntiformi determinano
enormi differenze di livelli di illuminamento (anche se contenuti nei parametri) con indici di uniformità (cioè di rapporto tra l’illuminamento minimo e quello medio) poco soddisfacenti. Questo si
traduceva in una visione difficile, poco coinvolgente, non ultimo per i cartellini molto piccoli, incapace di far percepire l’elevatissimo valore dei reperti.
Anche sulle vetrine abbiamo sperimentato diverse soluzioni, sia sostituendo l’intero sistema con
barre led integrate da piccoli proiettori, che cercando di recuperare i fasci di fibre ottiche che ancora
oggi forniscono, da un punto di vista conservativo, una soluzione molto corretta. ll flusso luminoso
delle barre led ci ha permesso di raggiunge facilmente valori più elevati con distribuzione molto uniforme, gli oggetti si sono presentati privi di grandi disomogeneità. Anche l’efficienza luminosa è
apparsa subito superiore anche agli ottimi risultati della fibra, le barre led superavano di gran lunga
la vecchia soluzione Le curve fotometriche e la conseguente intensità luminosa (quantità di luce in
una determinata direzione) sono poi state verificate con diversi modelli. Ci siamo quindi concentrati
sulla luminanza (che è l’unica grandezza percepita direttamente dagli occhi) e l’impressione di brillantezza di una superfice; risultava evidente che a parità di materiali la sensazione luminosa fornita
dalle barre led fosse superiore.
Per la scelta definitiva abbiamo però valutato altri fattori. Da un lato l’indice di resa cromatica, fattore insito nella sorgente; fare meglio di una fibra con alogena è oggi ancora praticamente impossibile. Dall’altro l’introduzione di sorgenti diverse là dove si era già fatto uno straordinario lavoro di
integrazione di fruste e illuminatori comportava operazioni molto complesse e rischiose per la fragi3
le struttura delle vetrine. Ci siamo a quel punto mossi con una soluzione mista sostituendo gli illuminatori con nuovissimi prodotti a led, con prestazioni prossime a quelli con sorgente alogena. Il
flusso luminoso è cresciuto tantissimo, la perdita in resa cromatica è stata appena percettibile, la visione per il pubblico è sicuramente migliorata, i consumi non sono neanche paragonabili. Le barre
led, prive ormai di ogni funzione, sono state completamente rinnovate con un prodotto che ha dato
ottimi risultati. Durante il lavoro di sostituzione, a museo aperto, mano a mano che le vetrine venivano completate, le differenze erano così evidenti da attrarre l’attenzione del pubblico in visita alla
Galleria, interessato ai miglioramenti ottenuti con la luce.
Illuminazione d’accento
Dopo aver attenuato il contributo di luce solare, grazie all’introduzione delle pellicole filtranti, e il
flusso luminoso dei venti torcieri, utilizzando potenze più contenute e diversamente indirizzate,
l’abbagliamento in corrispondenza dei gruppi di armatura risultava ancora il principale fattore di fastidio. Si è quindi valutata la possibiltà di illumiminare con fasci ben condotti e sagomati uno dei
motivi di interesse principale della sala: le armature a piedi e quelle a cavallo. Le figure prive di
un’illuminazione diretta e dedicata impedivano al visitatore di cogliere i particolari che si trovano
sempre in contro luce.
Abbiamo effettuato molte prove partendo da prodotti di alta gamma, di piccolo ingombro, ovviamente a led, con possibilità di regolare il fascio, di sagomare e di attenuare l’intensità. Le armature
sono rinate nello spazio, abbiamo finalmente visto dettagli e particolari altrimenti allo scuro o, peggio, non più visibili dall’occhio abbagliato dalla troppa luce proveniente dai torcieri e dalle finestre.
Il risultato è stato molto soddisfacente, la stessa luce d’accento potrà essere utilizzata in futuro anche su altri particolari, su altri elementi esposti o dell’architettura della sala senza pregiudicare
l’insieme ma esaltando la varietà e le differenze di una camera delle meraviglie, ancora oggi di
grande potenza visiva per lo spettatore.
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