IV_Parte_TESI_LE PRINCIPESSE DISNEY

Transcript

IV_Parte_TESI_LE PRINCIPESSE DISNEY
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
_____________________
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Multimediali
Tesi di Laurea
LE PRINCIPESSE DISNEY: riflesso della metamorfosi sociale e modello per l’infanzia.
Relatore:
Laureando:
Prof. Leopoldina Fortunati
Alessia Spadaccini
ANNO ACCADEMICO: 2009/2010
Ai bambini.
SOMMARIO
L’obiettivo principale di questo studio è determinare come i ruoli di genere e le differenze
tra le culture appaiono, nel passato e nel presente, all’interno dei film della Walt Disney
Pictures. L'analisi cerca anche di capire come questi cartoni animati influenzino l'infanzia, sia
nel bene che nel male.
Lo studio è incentrato sulle domande di ricerca: Sia nel ruolo che hanno nella storia che nel
loro aspetto fisico, ci sono differenze tra le nove principesse Disney?; Le differenze tra le
culture sono importanti nella rappresentazione della realtà da parte della Disney o il solo
scopo è quello di ampliare modo di vita occidentale?; In che modo la Disney riadatta le fiabe
per creare i suoi film d’animazione e che influenza ha per l'infanzia?.
Per dare una risposta a queste domande, è stato analizzato un insieme di nove cartoni
d’animazione in cui le principesse hanno un ruolo rilevante. Tra le principesse della Walt
Disney vi sono le protagoniste dei tre classici come Biancaneve e i Sette Nani (1937), Cenerentola
(1950) e La bella addormentata nel Bosco (1959), le protagoniste dei tre film moderni La Sirenetta
(1989), La Bella e la Bestia ( 1991) e Aladdin (1992), le due principesse contemporanee Pocahontas
(1995), Mulan (1998) ed, ovviamente, il più recente personaggio femminile protagonista de La
Principessa e il Ranocchio (2009).
Le caratteristiche studiate includono un'analisi della bellezza, della mentalità e della
prestanza fisica delle principesse nonchè i valori e la morale trasmessi in questo tipo di
produzione. Al tempo stesso lo studio esamina alcune tematiche sociologiche come i ruoli di
genere ed il multiculturalismo.
Si passa quindi ad esaminare l'influenza di questi prodotti sull'infanzia. È noto che i mass
media possono svolgere un ruolo importante nel condizionare le percezioni, gli atteggiamenti, i
comportamenti e le aspettative dei bambini e per questo è importante sostenere i prodotti
della cultura che realmente trasmettono un messaggio neutro rispetto al genere e spiegano le
differenze tra le culture che esistono nel mondo. Per capire in che misura le produzioni Disney
trasmettono (o non trasmettono) tali messaggi, un questionario composto da otto domande ed
un disegno è stato somministrato a venti bambini d’età compresa tra i tre e i sei anni.
Una domanda, tuttavia, rimane ancora senza risposta: La Walt Disney Production,
riconosciuta come l'azienda più famosa e di successo nella produzione di film d’animazione,
propone davvero un’immagine politically correct del genere e della cultura nella nostra società?
Il fiabesco "C'era una volta" può essere considerato senza tempo, ma le produzioni
multimediali per l'infanzia sono piuttosto diverse dalla letteratura per bambini: un cartone
animato degli anni Trenta, per esempio, non è più considerabile attuale. Quindi, può un
cartone animato moderno esprimere i valori che i bambini necessitano?
ABSTRACT
The main aims of this study are to explore gender and cultural difference in Walt Disney
cartoon movies, both past and present, and to try and understand how they might influence
children whether for the good or the bad.
The study focuses on the following research questions: Both as regards the role they have
in the story and their physical appearance, are there any differences between Disney
princesses?; Are differences between cultures important in Disney's representation of reality
or is the only purpose to extend the western way of life?; In what way does Disney adapt fairy
tales in the creation of its cartoon movies and what kind of effect does this have on a child?
To answer these questions, a total of nine cartoon movies in which princesses have a
relevant role are analyzed. The Walt Disney princesses selected include the protagonists of
three classics: Snow White and the Seven Dwarfs (1937), Cinderella (1950) and Sleeping
Beauty (1959), three modern films, The Little Mermaid (1989), Beauty and the Beast (1991) and
Aladdin (1992) and three contemporary princesses Pocahontas (1995), Mulan (1998) and the
most recent female character protagonist of The Princess and the Frog (2009).
The characteristics analysed are the beauty, mentality and physique of the princesses as
well as the values and morals involved in this type of production. At the same time the study
looks at some sociological issues surrounding gender roles, especially stereotyping, and
multiculturalism.
It then goes on to examine the influence of Disney cartoons on children. It is well known
that mass media can play a large part in influencing children’s perceptions, attitudes,
behaviours and expectations so it is important to support culture products that really transmit
gender neutral messages and explain differences between cultures that exist in the world. To
understand how far Disney productions do transmit such messages, an eight question
questionnaire was administered to twenty children aged between three and six years old.
One question, however, still remains unanswered: Do Walt Disney Productions,
recognised as the most famous and successful company in the production of animated films,
really propose a politically correct image of gender and culture to our society? The traditional
fairy tale’s “once upon a time” reality may well be timeless, but multimedia productions for
childhood are rather different from this: a cartoon from the thirties, for example, is no longer
current. So, can a modern cartoon express the values that our children need?
INDICE
1. INTRODUZIONE............................................................................................................................................ 1
1. 1. OGGETTO DI RICERCA E DEFINIZIONE DEL PROBLEMA ...................................................... 1
1. 2. SCOPO E METODO DELLA RICERCA............................................................................................. 2
2. METODO........................................................................................................................................................... 3
2. 1. FILMOGRAFIA DI CAMPIONAMENTO .......................................................................................... 3
2. 1. 1. PRESENTAZIONE DEI NOVE “FILM D'ANIMAZIONE PRINCIPESCHI” .............. 4
BIANCANEVE E I SETTE NANI (1937) ...................................................................... 4
CENERENTOLA (1950) .................................................................................................. 5
LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO (1959) ................................................ 6
LA SIRENETTA (1989).................................................................................................... 6
LA BELLA E LA BESTIA (1991)..................................................................................... 7
ALADDIN (1992).............................................................................................................. 7
POCAHONTAS (1995) .................................................................................................... 8
MULAN (1998) ................................................................................................................. 9
LA PRINCIPESSA E IL RANOCCHIO (2009)............................................................. 9
2. 1. 2. ANALISI DELLA FIGURA DELLE PRINCIPESSE ......................................................... 10
RAPPRESENTAZIONE DELL’ESTERIORITÀ......................................................... 10
RAPPRESENTAZIONE DELL'INTERIORITÀ......................................................... 13
2. 1. 3. RIADATTAMENTI DELLA WALT DISNEY PICTURES .............................................. 15
2. 2. CATEGORIE DI VALUTAZIONE .................................................................................................... 19
2. 2. 1. TRE TEMATICHE SOCIOLOGICHE ................................................................................. 20
IDENTITÀ DI GENERE ................................................................................................ 20
DIVERSITÀ CULTURALE ........................................................................................... 21
INDUSTRIA CULTURALE DEL CONSUMO .......................................................... 22
2. 2. 2. L'INFANZIA E LE RAPPRESENTAZIONI AUDIO-VISIVE......................................... 23
2. 3. QUESTIONARIO .................................................................................................................................. 24
2. 3. 1. PRESENTAZIONE DEL QUESTIONARIO....................................................................... 25
2. 3. 2. ANALISI DELLE RISPOSTE................................................................................................. 28
2. 3. 3. INTERPRETAZIONE DEI DISEGNI................................................................................... 32
3. RISULTATI DI RICERCA .......................................................................................................................... 34
3. 1. PROBLEMI LEGATI AL GENERE E ALLA CULTURALITÀ ..................................................... 34
STEREOTIPIZZAZIONE.............................................................................................. 35
DIS-PARITÀ DEI SESSI................................................................................................ 41
UNIFORMIZZAZIONE DELLE CULTURE ............................................................. 42
3. 2. VALENZA EDUCATIVA DEI PRODOTTI DISNEY ...................................................................... 43
4. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI ............................................................................................................ 45
5. APPENDICI .................................................................................................................................................... 46
5. 1. IL FEMMINISMO ED IL “PRINCESS COMPLEX”......................................................................... 46
5. 2. DISNEY: FIRMA DI FIDUCIA O IDEA DI MARKETING DI SUCCESSO? ................................ 48
6. ALLEGATI ...................................................................................................................................................... 51
6. 1. QUESTIONARI “LA SIRENETTA INCONTRA IL PRINCIPE UMANO” .................................. 51
6. 2. PRODOTTO MULTIMEDIALE – SOMMINISTRAZIONE QUESTIONARIO ........................... 51
GLOSSARIO........................................................................................................................................................ 52
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................. 53
SITOGRAFIA ...................................................................................................................................................... 57
1. INTRODUZIONE
1. 1. Oggetto di ricerca e definizione del problema
Oggetto della ricerca è l’analisi dei cartoni animati firmati Walt Disney Pictures al fine di
valutare il rapporto che questi hanno avuto ed hanno ai giorni d’oggi con i modelli di
comportamento condivisi a livello sociale nelle diverse epoche.
In particolare, l’attenzione focalizza sui nove cartoni aventi come protagoniste o come coprotagoniste le principesse: partendo dal primo lungometraggio Disney, intitolato Biancaneve e
i Sette Nani e realizzato nel 1937, avvicinandosi alla contemporaneità fino ad arrivare a La
Principessa e il Ranocchio, film d’animazione proiettato nelle sale cinematografiche mondiali nel
dicembre del 2009.
Ai tre classici Disney (Biancaneve e i Sette Nani, Cenerentola, La bella addormentata nel Bosco)
segue, infatti, la disamina delle figure delle principesse moderne come Ariel de La Sirenetta,
Belle de La Bella e la Bestia e Jasmine di Aladdin, per giungere alle due principesse protagoniste
di Pochaontas e Mulan e alla più recente Tiana de La Principessa e il Ranocchio.
Soprattutto in relazione alla rappresentazione della figura femminile e alla trasmissione della
diversità culturale, viene preso in esame il percorso effettuato dalla famosa casa di produzione
cinematografica statunitense in un arco temporale di settantadue anni, utilizzando come
oggetto di studio questi nove lungometraggi al fine di valutare se sia stata rispecchiata la
metamorfosi sociale avvenuta o se le due tematiche sociali in questione siano rimaste più
semplicemente immutate negli anni, ricorrendo a stereotipi.
Come tutti i prodotti dell’industria culturale, ormai sempre più orientata verso la
multimedialità, anche i cartoni animati rappresentano un passo avanti verso la formazione del
sé nell’individuo. Soprattutto durante l’infanzia, la modalità attraverso la quale si
acquisiscono le proprie conoscenze, si modellano le personalità, si scelgono i propri valori e si
organizza la propria esistenza dipende in una misura consistente dalla continua esposizione ai
messaggi veicolati dalla cosiddetta industria culturale e dal consumo (non necessariamente
passivo) dei beni da essa prodotti. Il pericolo, in questo senso, è che il pubblico diventi troppo
intontita dai mass media per protestare, o anche solo accorgersi, quando le libertà scompaiono e
i messaggi veicolati sono mirati ad un determinato risultato voluto da “individui dotati” e dai
loro prosecutori che cambiano il mondo culturale in cui vivono gli esseri umani. Finalità della
ricerca è, infatti, verificare se ciò che la casa di produzione Walt Disney ottiene nei propri film
d’animazione sia davvero proporre dei “modelli ideali da seguire” in riferimento alla società,
modelli che rappresentino l’evoluzione della società e ne riflettano le caratteristiche
contestualizzando il film stesso. È risaputo che i bambini d’ogni società sono facilmente
impressionabili e vulnerabili ai messaggi della cultura e se il messaggio è distorto, anche se
solo nelle forme meno ovvie, i meccanismi di difesa di questi soggetti non sono attivati ed il
contenuto è assimilato come corretto o preso addirittura a modello.
1
1. 2. Scopo e metodo della ricerca
La ricerca ha come obiettivo quello di rispondere ad alcune domande di ricerca:
!
Tra la Biancaneve del primo film d'animazione Disney e Tiana, la protagonista de La
Principessa e il Ranocchio, è possibile notare rilevanti differenze nella caratterizzazione
della figura della principessa o nella rappresentazione del suo aspetto fisico? In
particolare, quando si può incominciare a parlare di una principessa indipendente che
non vede nella figura del principe l'unico punto di svolta per tutte le sue difficoltà?
!
Come sono riadattate le storie della letteratura per l'infanzia o i racconti con
fondamenta storiche da cui la Walt Disney Pictures trae ispirazione per realizzare i
film del campione?
!
A che livello e profondità è trattato il tema sociologico della diversità culturale (inteso
come possibilità di diffusione di valori o culture diverse da quella delle
rappresentazioni standardizzate) all'interno dei “film principeschi” della Disney?
!
Fino a che punto si può esporre un bambino a contenuti multimediali di questo tipo
senza che la sua psiche ne sia modificata ed evitando che la sua immaginazione venga
sviata da una sperimentazione della storia in modo autonomo (in assenza di un input
visivo)?
Essendo la ricerca focalizzata anche sulla valenza educativa dei prodotti Disney, ho deciso di
proporre, in modo sperimentale, la somministrazione di un breve questionario intitolato “LA
SIRENETTA INCONTRA IL PRINCIPE UMANO” a bambini in età prescolare. Il questionario
proposto analizza l’influenza della Disney sull’immaginazione dei bambini cercando di capire
il livello d’omologazione dello sguardo a cui può condurre questo tipo di produzione della
grande casa cinematografica statunitense.
2
2. METODO
2. 1. Filmografia di campionamento
All’interno della ricerca è stato cercato un mezzo sistematico per acquisire dati, estraendo
dalla totalità della produzione cinematografica della Walt Disney Pictures, un gruppo di
disegni d’animazione rappresentativo rispetto al tema in analisi. Il motivo del campionamento
deriva, infatti, dall'impossibilità di analizzare gruppi troppo numerosi di film e dalla
conseguente necessità di riferirsi ad un campione più ridotto, che rechi però in sé tutti i
caratteri necessari per consentire conclusioni valide rispetto alla ricerca effettuata.
L'attendibilità dei risultati è, in ogni caso, strettamente legata alla rappresentatività del
campione stesso.
Il campionamento ha portato a focalizzare la ricerca sui nove “film d’animazione
principeschi” della Disney poiché in questi è possibile evidenziare l’importanza del
personaggio femminile protagonista. Si tratta di cartoni animati in cui il personaggio
femminile, caratterizzato dal suo status quo di principessa, è stato analizzato da molti sociologi
e femministe d’oltre Oceano.
Il metodo d’analisi dei nove film d’animazione non segue le teorie della semiologia del cinema
(Christian Metz, 1964), una disciplina che si focalizza sulla tipologia dei diversi modi in cui il
montaggio ordina lo spazio e il tempo nei diversi segmenti del film narrativo, ma tralascia
totalmente l’aspetto tecnico di produzione. Si mira, invece, all’approfondimento dei tre
elementi che, nell’analisi filmica, compongono la narrazione ed identificano tre categorie: gli
esistenti (personaggi ed ambienti), gli eventi e le trasformazioni. Rispetto al primo dei tre
elementi, l’ambiente non è stato considerato d’importanza rilevante, mentre i personaggi sono
stati studiati dai tre punti di vista classici (persona, ruolo e attante). Per quanto riguarda gli
eventi, invece, si è puntato alla definizione sia delle azioni delle principesse protagoniste. Le
trasformazioni, invece, sono state ricercate da un punto da vista singolare: in questo caso non
vi è stata un’analisi separata per ognuno dei nove cartoon, ma la ricerca di un’evoluzione
confrontando tra loro i “film principeschi”.
Dati gli standard proposti dai prodotti culturali, seguendo il percorso cronologico della
produzione Disney dovrebbe essere possibile riscontrare un’evoluzione del personaggio
femminile almeno in riferimento al periodo di produzione della pellicola, sia per quanto
riguarda l’aspetto esteriore (fisionomia e corporatura), che per quanto riguarda la
caratterizzazione degli aspetti più intimi, cosiddetti interiori (carattere, intelligenza, valori,
ecc.): a questo tipo di riscontro mira il paragrafo 2. 1. 2.
Lo precede una breve presentazione dei nove “film principeschi” (paragrafo 2. 1. 1.) con
finalità introduttiva rispetto ai cartoon, con trama e scheda tecnica.
3
Per concludere la prima parte d’analisi, in seguito alla caratterizzazione del soggetto
femminile viene presentato un veloce confronto tra la fiaba o il racconto storico a cui s’ispira
ognuno dei nove film parte del campione per cercare di esplicitare eventuali cambiamenti o
semplificazioni avvenute nel riadattamento della versione audiovisiva (paragrafo 2. 1. 3.).
Il fine di questa prima parte discorsiva è quello di avvicinarsi in modo graduale alla seconda
parte d’analisi nella quale si approfondiscono ancor di più i due temi principali della ricerca: il
modello proposto ai bambini da questo tipo di prodotti multimediali e la relazione dei nove
film selezionati con la società.
2. 1. 1. Presentazione dei nove “film d'animazione principeschi”
All’interno della produzione della casa cinematografica statunitense Walt Disney Pictures è
possibile evidenziare la rilevanza dei nove “film d’animazione principeschi”, cartoni animati
che dal “vorrei un amore che sia tutto per me” cantato in Biancaneve del 1937 a “il lavoro è
duro ma prima o poi potrai avere quel che vuoi” che Tiana suggerisce nel film d’animazione
La Principessa e il Ranocchio (2009) si susseguono negli anni con altalenante successo di
pubblico e di critica. Sono passati ben 72 anni ed ecco che è presentato al pubblico mondiale
della Walt Disney il nono cartone animato in cui la protagonista femminile, grazie al finale
rose e fiori, diventerà una principessa e vivrà il suo “per sempre felice e contenta”.
Una basilare presentazione dei nove film (comprendente scheda tecnica e breve trama) non
può mancare come nota introduttiva al tema in analisi.
Biancaneve e i Sette Nani (1937)
Titolo originale: Snow White and the Seven Dwarfs;
Anno: 1937;
Regia delle sequenze: Perce Pearce, Larry Morey, William Cottrell, Wilfred Jackson;
Supervisione alla regia: David Hand;
Soggetto: dalla fiaba omonima dei fratelli Grimm;
Sceneggiatura: Ted Sears, Otto Englander, Earl Hurd, Dorothy Ann Blank, Richard Creedon,
Dick Richard, Merril De Maris, Webb Smith;
Animazione: Hamilton Luske, Vladimir Tytla, Fred Moore, Norman Ferguson;
Musica: Frank Churchill, Paul J. Smith, Leigh Harline;
Durata: 83’.
Biancaneve è una bellissima principessa costretta dalla malvagia regina-matrigna e strega
Grimilde, a far parte della servitù del castello. Invidiosa della sua bellezza, la regina, ordina ad
un cacciatore di uccidere la fanciulla e di portarle il suo cuore, ma l'uomo, non essendo
crudele quanto la matrigna, disobbedisce e lascia scappare Biancaneve. Persasi nella foresta, la
protagonista, grazie alla sua innocenza e bontà, trova accoglienza nella casa dei sette nani. La
4
regina, dopo aver scoperto che Biancaneve è ancora viva, passa all'azione in prima persona
trasformandosi in una vecchia e si dirige alla casetta dei nani con una mela avvelenata da
regalare a Biancaneve: la ragazza, a causa della sua ingenuità, cade in un sonno mortale. I nani
non trovano il coraggio di seppellirla e la conservano in una bara di cristallo. È il bacio del suo
Principe Azzurro, che riconosce in lei il suo vero amore, che le permette di risvegliarsi.
Vivranno per sempre felici e contenti nel suo castello.
Cenerentola (1950)
Titolo originale: Cinderella;
Anno: 1950;
Regia: Wilfred Jackson, Hamilton Luske, Clyde Geronimi;
Supervisione alla regia: Ben Sharpsteen;
Soggetto: dalla fiaba omonima di Perrault;
Sceneggiatura: Kenneth Anderson, Ted Sears, Homer Brightman, Joe Rinaldi, Lilliam Peet,
Harry Reeves, Winston Hibler, Erdman Penner;
Animazione: Eric Larson, Ward Kimball, Norman Ferguson, Marc Davis, John Lounsbery,
Milt Kahl, Wolfgang Reitherman, Les Clark, Oliver M. Johnston Jr., Franklin Thomas;
Musica: Oliver Wallace, Paul J. Smith;
Durata: 74’.
Nella storia di Cenerentola, ambientata nella mitteleuropa ottocentesca, tutto inizia quando
suo padre, nobile signore rimasto vedovo, si risposa con la nobile Lady Tremaine, anche lei
vedova con due figlie, Anastasia e Genoveffa, coetanee di Cenerentola. Subito dopo le seconde
nozze, anche il padre di Cenerentola muore. La protagonista, pur essendo poco amata e
costretta a svolgere tutte le faccende domestiche, cresce felice e spensierata contornata dai suoi
amici animali. Sogna di poter incontrare un principe e vivere felice e contenta in un castello.
Un giorno il re organizza un gran ballo voluto per trovare a suo figlio una ragazza degna di
divenire sua moglie: per Cenerentola potrebbe essere l'occasione d’uscita dalla sua prigione di
servitù ma anche questa possibilità le è negata dalla matrigna. Dalle lacrime della triste
Cenerentola compare la Fata Smemorina che compie una magia al suono di “Bibbidi-BobbidiBu” per permetterle di partecipare alla festa. Giunta a corte, il principe annoiato si ridesta per
la sua bellezza e inizia a danzare con Cenerentola per tutta la serata. A mezzanotte, la giovane
ragazza è costretta a fuggire via, perdendo una scarpetta di cristallo. Il principe però non si
rassegna ed è proprio quella scarpetta che permette alla protagonista di sposare il suo
principe: il sogno della ragazza diviene realtà.
5
La bella addormentata nel Bosco (1959)
Titolo originale: The Sleeping Beauty;
Anno: 1959;
Regia delle sequenze: Eric Larson, Wolfgang Reitherman, Les Clark;
Supervisione alla regia: Clyde Geronimi;
Soggetto: dalla fiaba di Perrault;
Sceneggiatura: Erdman Penner, Joe Rinaldi, Winston Hibler, Bill Peet, Ted Sears;
Animazione: Milt Kahl, Franklin Thomas, Marc Davis, Oliver Johnston Jr., John Lounsbery;
Musica: Gorge Bruns dal balletto di Cajkovskij;
Durata: 75’.
Nel lontano medioevo, desiderosi da tempo di avere un bambino, il re Stefano e la sua regina
riescono finalmente a concepire Aurora, per la gioia di tutto il regno. Ma durante i
festeggiamenti per la nascita,la strega Malefica lancia una maledizione sulla neonata (“prima
del sedicesimo compleanno si pungerà con un arcolaio e cadrà in un sonno eterno”) e la
principessa Aurora viene mandata nel bosco con tre fate buone, Flora, Fauna e Serenella. È qui
che la ragazza incontra l'amore, un giovane e aitante principe di nome Filippo a dorso di un
cavallo bianco. Le fate buone non
riescono ad impedire alla profezia di compiersi ma,
mitigandola, permettono al principe Filippo di risvegliare, con un bacio di vero amore, la sua
promessa sposa dopo aver ucciso Malefica.
La Sirenetta (1989)
Titolo originale: The Little Mermaid;
Anno: 1989;
Regia: John Musker, Ron Clements;
Soggetto: basato sulla fiaba di H. C. Andersen;
Sceneggiatura: John Musker, Ron Clements;
Musica: Alan Menken;
Durata: 83’.
Protagonista è Ariel, una bella e giovane sirenetta che sogna una vita diversa, al di fuori del
mare. Figlia di re del mare Tritone, la sirenetta Ariel è talmente curiosa della vita sulla
terraferma che finisce per innamorarsi del principe Eric e nemmeno il granchio Sebastian, il
pesciolino Flounder o il gabbiano Scuttle riusciranno a farle cambiare idea. Quando Eric,
durante i festeggiamenti in mare, rischia di affogare a causa di una forte tempesta, Ariel riesce
a salvarlo. Eric non conosce l'identità della sua salvatrice ma ne ricorda solo la voce, giurando
che quando la ritroverà sposerà solo lei. Arrabbiata con il padre e desiderosa di conoscere
meglio il suo amato, Ariel si reca dalla strega Ursula. In cambio di fattezze umane è disposta a
cedere alla strega la sua voce, ma rischia di darle anche la sua libertà se entro tre giorni non
6
riuscirà a farsi baciare dal principe. Ariel spinta dall'impulso del cuore accetta e si ritrova in
un baleno fornita di gambe, ma priva di voce. Giunta sulla spiaggia Ariel incontra subito Eric
ma il principe, a causa della mancanza della voce, non la riconosce. L'accoglie ugualmente e
generosamente nel suo castello. L'amicizia tra i due giovani si stringe e nei primi due giorni
Ariel riesce quasi a baciarlo. La perfida Ursula, preoccupata di perdere, prende contromisure
ma non riesce ad evitare che il destino si compia. I due giovani si sposano e partono insieme
verso un futuro di felicità, salutati dall'intero popolo del mare.
La Bella e la Bestia (1991)
Titolo originale: Beauty and the Beast;
Anno: 1991;
Regia: Gary Trousdale, Kirk Wise;
Soggetto: Linda Woolverton, Roger Allen, dalla fiaba di Madame Le Prince de Beaumont;
Sceneggiatura: Roger Allen, Brenda Chapman, Burny Mattison, Brian Pimental, Joe Ranft,
Kelly Asbury, Cristopher Sanders, Kevin Harkley, Bruce Woodside, Tom Ellery, Robert Lence;
Musica: Alan Menken;
Durata: 87’.
La storia inizia con la trasformazione di un principe viziato ed egoista in una creatura
mostruosa e di tutti gli abitanti del castello in curiosi oggetti casalinghi animati. Solo se il
principe avesse scoperto l'amore e se si fosse dimostrato capace di farsi amare entro il suo
ventunesimo compleanno, avrebbe spezzato l'incantesimo. Il tempo passa, ma nulla cambia ed
il castello resta per anni isolato da tutto e tutti. In un vicino paese della Francia vive
l’inventore Maurice che, perdendosi un giorno nel bosco, viene catturato dal padrone del
castello (la Bestia) nel quale trova rifugio. Offertasi in cambio della libertà del padre, Belle, una
bella ed intelligente ragazza che adora leggere libri, si accorge che la Bestia non è così crudele
come sembra, riuscendo ad andare oltre le apparenze. E quando Gaston, il bellimbusto del
villaggio, guida i popolani in un tentativo di linciaggio e ferisce mortalmente il mostro, Belle
rivela tutto il suo amore con un “ti amo”. Con un bacio e le sue lacrime spezza l’incantesimo:
la Bestia ridiventa un principe e tutti gli abitanti del castello riprendono le loro forme umane.
Aladdin (1992)
Titolo originale: Aladdin;
Anno: 1992;
Regia: John Musker, Ron Clements;
Soggetto e sceneggiatura: Ron Clements, John Musker, Ted Elliott, Terry Rossio;
Animazione: Glen Keane, Eric Goldberg, Andreas Deja, Duncan Maryoribanks;
Musica: Alan Menken;
Durata: 85’.
7
Aladdin è un ladruncolo di strada nella città di Agrabah che vive in una casa cadente dalla
quale guarda sempre il meraviglioso ed immenso palazzo reale con la sua scimmietta Abu. Il
Sultano della città, affiancato dal Gran Visir Jafar, un subdolo aiutante che da tempo trama
contro il sovrano stesso per rubargli il potere, è disperato a causa della figlia Jasmine, una
bellissima giovane dai lunghi capelli corvini e dalla viva intelligenza, che ha rifiutato
l'ennesimo pretendente, sebbene obbligata a scegliere un principe entro il suo compleanno
ormai prossimo. Ma la principessa sogna l'amore vero, e non vuole saperne nulla di vivere
accanto ad un uomo che lei non ama, anche se principe, quindi decide di scappare da palazzo.
Nel mercato della città Aladdin incrocia lo splendido volto della principessa: per lui è amore a
prima vista, ma anche lei s’innamorerà di lui. Quando i due giovani sono costretti a separarsi,
Aladdin, guidato in una caverna magica, trova la “Lampada del Genio". Grazie al Genio,
costretto ad esaudire i tre desideri di chi possiede la lampada magica in cui è imprigionato, il
ladruncolo Aladdin riesce a trasformarsi in un principe e a conquistare il cuore della
principessa Jasmine, sconfiggendo anche il malvagio Jafar. A questo punto anche il Sultano
decide di agire: annulla la legge secondo cui solo un principe può sposare la principessa, e
quindi i due giovani sono liberi di amarsi e di stare insieme, malgrado la diversità di ceto
sociale.
Pocahontas (1995)
Titolo originale: Pocahontas;
Anno: 1995;
Regia: Micke Gabrile, Eric Goldberg;
Soggetto e sceneggiatura: Carl Binder, Susannah Grant, Philip Lazenbnik;
Musica: Alan Menken;
Durata: 88’.
Nel 1607, sulle coste della Virginia, i coloni inglesi, mirando a saccheggiare il presunto oro
delle terre oltre oceano, incontrano la tribù degli Algonquin del grande capo Powhatan.
A capo della spedizione c’è il Governatore Ratcliffe e tra i suoi uomini c’è il capitano John
Smith. Powhatan, appena ritornato dal suo villaggio dopo una dura guerra contro alcuni
nemici, annuncia a sua figlia Pocahontas la notizia di un imminente matrimonio con un
guerriero della tribù: Kocoum. Ma la ragazza, parlando di mondi lontani con il capitano,
finisce per innamorarsi di John Smith. Poi, per una serie d’equivoci e a causa dell’avidità del
comandante Ratcliffe, il loro amore viene preso a pretesto per l’inizio d’una guerra,
presumendo che nascondano davvero dell’oro: sarà Pocahontas a evitarla, offrendo la sua vita
in cambio dell’amato John Smith, tenuto prigioniero dal suo popolo.
8
Mulan (1998)
Titolo originale: Mulan;
Anno: 1998;
Regia: Barry Cool, Tony Bancroft;
Soggetto: da un racconto di Chris Sanders;
Sceneggiatura: Alan Ormsby, Rita Hsiao, Jodi Ann Johnson;
Musica: Jerry Goldsmith;
Durata: 91’.
Per evitare al vecchio padre di combattere contro gli invasori Unni che riuscirono a valicare la
Grande Muraglia guidati da Shan Yu, la giovane Mulan si arruola al suo posto con il nome
maschile di Puig. Mulan, grazie alla sua intelligenza, sopperisce facilmente alla naturale
mancanza di forza fisica. Evita, in questo modo, di disonorare la famiglia Fa e, accompagnata
da Mushu, uno spirito della sua famiglia con le sembianze di draghetto incaricato di
proteggerla, salva la vita all’amato comandante Li Shang, viene smascherata ma riesce, da
femmina, a liberare l’imperatore catturato dai nemici. Mulan è, a tutti gli effetti un'eroina, ma
è donna, ed oltre a questo ha infranto troppe leggi per essere considerata tale. Nonostante
questo, l'imperatore, essendole riconoscente, le consegna due doni per far sapere al mondo
intero quello che ha fatto.
La Principessa e il Ranocchio (2009)
Titolo originale: The Princess and the Frog;
Anno: 2009;
Regia: Ron Clements, John Musker;
Sceneggiatura: Ron Clements, Rob Edwards, Greg Erb, John Musker, Jason Oremland;
Animazione: Dale Baer, Eric Daniels, Ian Gooding, Bert Klein;
Musica: Randy Newman;
Durata: 97’.
Il film è ambientato in piena età del jazz a New Orleans, città dove Tiana lavora per realizzare
suo sogno, che prima ancora era il desiderio più grande di suo padre: possedere un ristorante.
Intanto il principe reale Naveen sbarca in Lousiana e si lascia presto abbindolare dal malvagio
Facilier, l’uomo ombra, che lo trasforma in un ranocchio. Scambiando la bella Tiana per una
principessa, nel corso di una festa da ballo, implora da lei il bacio che, secondo le favole, lo
farà tornare umano ma accade l'imprevisto ed è Tiana a trasformarsi a sua volta in una
graziosissima ma viscida ranocchia. La cameriera e il principe si ritrovano accumunati da un
avventuroso destino sentimentale: costretti a scappare, incominciano a sentire l’uno per l’altra
sentimenti molto profondi, fino ad innamorarsi. Ci sono mondi dove l'incontro tra la sguattera
e il signorino non ha chances e mondi dove tutto è possibile. È in questo “altro” mondo che i
9
coccodrilli suonano la tromba, un'allegra vecchietta del Bayou si diletti di voodoo a 197 anni e
una lucciola corteggi una stella. Per poter donare la felicità agli altri, attraverso il piacere del
cibo, Tiana dovrà prima conoscere la felicità per sé, attraverso l'amore, e capire che un sogno
non è pienamente bello se non è condiviso.
2. 1. 2. Analisi della figura delle principesse
Questa prima parte dell’analisi si focalizza sulle modalità di presentazione al pubblico del
personaggio femminile protagonista o co-protagonista nei nove cartoni d’animazione
appartenenti al campione.
La finalità è quella di delineare ed esplicitare le caratteristiche principali delle principesse
prese in esame per evidenziare eventuali somiglianze o differenze; un ottimo punto di
riferimento per definire alcune scelte della Disney è, sicuramente, il contesto storico relativo
all’anno o al periodo di prima presentazione al pubblico di questi film d’animazione.
Per ognuna delle nove principesse ho cercato di delineare sia l’analisi del suo aspetto esteriore
sia l’analisi della sua personalità.
I due elementi presi in esame sono l’aspetto fisico con cui le protagoniste sono rappresentate
(corporatura, fisionomia, ruolo nella storia, ecc.) e la cosiddetta rappresentazione del vero Io
del personaggio, quello interiore: l’intelligenza ed i valori che possiede, il carattere,
l’emotività, ecc. Questa caratterizzazione può essere considerata di grande aiuto per la
definizione delle categorie di valutazione più consone alla ricerca qui effettuata e, di
conseguenza, è anche utile per la presentazione delle riflessioni sui problemi di genere e di
cultura (paragrafo 3. 1.). Allo stesso modo, tale analisi rappresenta un passo in avanti per
cogliere la valenza educativa veicolata dall’intera produzione “principesca” Disney (paragrafo
3. 2.).
Rappresentazione dell’esteriorità – Fisionomia, corporatura e ruolo
È d’estrema importanza, per rispondere alla prima domanda di ricerca, soffermare il proprio
sguardo sul “disegno”, sulla rappresentazione della fisionomia e del corpo che la Disney
utilizza per raffigurare le principesse, a partire dall’innocente pioniera Biancaneve sino ad
arrivare alla prima principessa di colore protagonista de La Principessa e il Ranocchio.
Nel primo film d’animazione la principessa è una “fanciulla vestita sol di
stracci… ha la bocca di rose e ha d’ebano i capelli; come neve è bianca”. Questa
è la descrizione con cui, all’inizio del film, lo specchio della regina le rivela i
tratti della donna più bella del regno. Biancaneve è giovane e virginale, le sue
forme sono piuttosto arrotondate, i suoi abiti trasmettono pudicizia: due
elementi molto diversi dall’ideale di bellezza della società odierna. La
10
trasposizione Disneyana della fiaba dei fratelli Grimm avviene nel lontano 1937, quando erano
ancora inesistenti i problemi d’anoressia ricollegabili alla necessità delle persone di apparire
magrissime e, inoltre, il corpo delle donne possedeva ancora una “sacralità” che dagli anni
dell’invenzione della televisione fino alla diffusione su scala mondiale di questo mass media si
è pian piano persa.
Il ruolo di Biancaneve nella parte iniziale della storia è quello di inserviente della regina
mentre in seguito diviene la casalinga al servizio dei sette nani, ma il suo sogno più grande
rimane quello di un principe da amare.
È doveroso sottolineare che da ragazzo Walt Elias Disney vide una versione muta di
Biancaneve rimanendone affascinato: “questa principessa viveva nella fantasia del suo creatore
come un’idea molto concreta ed egli era determinato a che uscisse sullo schermo esattamente
nei termini e con i dettagli con cui l’aveva concepita”1.
Cenerentola non presenta rilevanti novità rispetto a Biancaneve, ma nella sua figura è
possibile notare che la principessa non è più una trepida adolescente, bensì una ragazza dalle
attrattive piuttosto cospicue. È una bella bionda con cui il pubblico fa conoscenza quando è
sotto la doccia. È descritta dalla voce narrante come “colei che per la sua bellezza faceva
sfigurare le due brutte sorellastre”. I lineamenti del suo viso sono meno
morbidi e anche la sua corporatura è caratterizzata dall’essere più esile di
quella della principessa che la precede e non le manca lo sguardo da donna
attraente.
Il suo ruolo, al pari di Biancaneve, è quello di domestica al servizio della
matrigna e il desiderio che sempre l’accompagna è quello di trovare un
principe con cui vivere per sempre felice e contenta.
Aurora de La bella addormentata nel Bosco è un’altra principessa bionda e
presenta una fisionomia del tutto particolare, ricalcata sulle linee della
famosa attrice, americana d’adozione, Audrey Hepburn, tanto ammirata
da Walt Elias Disney. La stessa cosa vale per la corporatura, esile e
longilinea: è dalla figura di questa principessa che iniziano ad essere
ricalcate le forme pubblicizzate dai mass media.
Parlando della sua parte nella storia, lei è una nobile che sin dalla nascita
non deve svolgere lavori umili ma, al contrario, è sempre seguita ed accudita. L’unico contatto
con estranei che può avere avviene nei suoi sogni: è qui che incontra il suo principe e sposo di
cui s’innamora a prima vista.
1
Christopher FINCH, L'arte di Walt Disney da Mickey Mouse ai Magic Kingdoms, Milano, Rizzoli,
2001, cit., pp. 20-21
11
Ariel è la principessa del regno sottomarino che mette la sua testa fuori dall’acqua molto
tempo dopo il risveglio di Aurora. Nonostante questo, c’è solo una “qualità” estetica che
contraddistingue questa virginale eroina dalle principesse precedenti. Sopra la sua verde coda
e i suoi capelli rossi, nella sua versione della Disney, indossa solamente un succinto costume
fatto da una coppia di conchiglie. Pur essendo un’innocente ragazza adolescente, insomma,
presenta anche qualcosa di evidentemente sexy: la sua nudità. Il suo aspetto fisico è
sicuramente ispirato dall’incremento dell’eroticità della figura femminile
così comune nella pubblicità e nella cultura occidentale.
Il suo ruolo è quello di figlia ostacolata dal padre, il re Tritone, con la
voglia di conoscere un mondo diverso dal suo, fantasticamente idealizzato
grazie alla sua immaginazione che la vuole non accanto ad un tritone ma
sposa di un essere umano.
Belle, la protagonista de La Bella e la Bestia, è definita da tutti “la più bella del
paese”, cosa facilmente intuibile grazie al suo nome. Ma la sua è una bellezza
semplice, senza fronzoli, a cominciare dalla capigliatura fino ad arrivare al
vestiario: possiede una bellezza che, probabilmente, non deriva solamente dal
suo aspetto esteriore.
È una figlia che si sacrifica per il bene del padre ma il ruolo che davvero
vorrebbe è quello di una ragazza immersa in un’emozionante vita d’avventure.
La prima principessa dal sapore orientale è invece Jasmine, figlia di un sultano. È una bellezza
esotica ed impetuosa. I suoi lunghi capelli color nero corvino e le sue forme tondeggianti (o
prosperose) si allontanano molto dall’ideale di bellezza degli anni novanta diffuso a livello
sociale negli Stati Uniti d’America, modello rispettato dalle altre protagoniste dei “film
principeschi”. Anche il colore della sua pelle è più scuro di quello
caratterizante lo standard Disney; diverso è il riscontro ottenuto analizzando la
sua fisionomia che non è caratteristica del Medio Oriente.
Per quanto riguarda il suo personaggio, il ruolo che riveste è quello della figlia
ribelle che desidera una vita fuori dal palazzo con il vero amore, non
necessariamente un bel principe.
Pocahontas è protagonista della seconda storia con ambientazione “forestiera”. In
quanto indigena d’America pre-colonizzazione europea, fisicamente parlando,
rispecchia tutte le caratteristiche tipiche della sua popolazione: la capigliatura, la
fisionomia, la tonalità del colore di pelle, la corporatura e l’abbigliamento.
La parte che le è affidata all’interno del cartoon è molto diversa da quella che
avevano le principesse classiche dei primi tre film del campione perché lei ha il
coraggioso compito essere il tramite della riappacificazione tra le due parti in conflitto per la
12
conquista di alcuni territori e delle loro ricchezze: mette da parte i propri sentimenti e rinuncia
all’uomo amato.
La principessa Disney del 1998 è Mulan, la guerriera cinese. Da evidenziare nella figura di
questa ragazza sono i tratti molto poco orientali ad eccezione dei caratteristici “occhi a
mandorla” tipici della sua gente. Anche i suoi abiti sono tipici della cultura
cinese ma indossati all’americana.
Il suo scopo, inoltre, è quello di salvare il padre da morte certa in guerra: non
è possibile per lei essere solamente una brava moglie così come
desidererebbero i suoi cari e il modo di pensare della sua gente.
Tiana è l’ultima principessa. Elemento caratterizzante: la sua pelle nera
(probabilmente legata al contesto storico immerso nell’era obamiana). La
sua fisionomia ricalca molto bene i lineamenti degli afro-americani e la
stessa cosa vale per la corporatura.
Il suo ruolo è quello della lavoratrice instancabile che capirà che la felicità
dev’essere cercata nell’affetto dei propri cari e del vero amore.
Rappresentazione dell'interiorità – Carattere, intelligenza e valori
Anche nella sezione che segue è presentata ognuna delle principesse, ma questa volta l’aspetto
preso in considerazione è quello interiore, a cominciare dal carattere e dall’emotività fino ai
valori sui quali è basato il proprio agire. Tutte queste caratteristiche sono prese anche come
spunto per mettere a confronto la caratterizzazione della figura femminile avvenuta da parte
della casa cinematografica nello scorrere dei settantadue anni che dividono la presentazione al
pubblico del primo “film principesco” Biancaneve e i sette Nani dall’ultimo lungometraggio La
Principessa e il Ranocchio.
Il primo film animato della Walt Disney Pictures, Biancaneve e i sette Nani, stabilì sicuramente
un sentiero da seguire per le successive eroine Disney: Biancaneve è dolce e obbediente, anche
un po’ remissiva. Le faccende domestiche non la intimidiscono, non riflette o reagisce a nessun
problema (nemmeno all’odio riservatole dalla matrigna), ha un forte senso del dovere perchè è
sicura che un affascinante ragazzo di classe elevata, il suo Principe Azzurro, un giorno
arriverà a salvarla. Tutto questo è dimostrato quando si trova faccia a faccia con il pericolo:
scappa e si rifugia in una casa dove si sente in obbligo di pulire tutto da cima a fondo senza
che nessuno glielo abbia formalmente chiesto. Probabilmente la rappresentazione caratteriale
che predomina in questa principessa è quella della ragazza sognatrice che riflette più sulle sue
fantasie o desideri e meno sulla realtà che la circonda. Biancaneve è una ragazza che non
lavora per ottenere qualcosa o perché è gratificata, ma perché è fermamente convinta che
quello del lavoro sia solo un momento di passaggio che la conduce al suo happy end fiabesco.
13
La rappresentazione della sua interiorità non va oltre questa banale visione dei suoi desideri e
sogni. I suoi valori, ossia l'insieme degli elementi e delle qualità morali e intellettuali che sono
generalmente considerati il fondamento positivo della persona, non sono presi in
considerazione nella caratterizzazione della dimensione interiore del suo personaggio.
È, forse, la prima traccia di uno steretipo Disney. Le donne giovani (principesse) sono in
eterno stato di sospensione e distacco dalla realtà fino all’arrivo dell’amato di cui
s’innamorano in un batter d’occhi. Anche se la Disney produce molti cartoons nel corso degli
anni, la formula di base per raccontare le storie che vedono delle donne come protagoniste
cambia pochissimo da Biancaneve e i sette Nani (1937) a Cenerentola (1950) e a La bella
addormentata nel Bosco (1959): si tratta di due remake della prima pellicola. Le due principesse
che seguono Biancaneve le assomigliano moltissimo perché ciò che sognano è sempre un bel
Principe Azzurro e sono disposte anch’esse a sacrificare gran parte delle loro volontà vivendo
da “perfette donne di casa”, senza un reale obiettivo d’auto-realizzazione che esuli dall’essere
una futura sposa di un uomo la cui qualità più elevata è, certamente, la bellezza, unita forse
alla ricchezza.
Molti anni dopo, La Sirenetta nel 1989 e La Bella e la Bestia nel 1991 mostrano al pubblico che le
figure delle donne-principesse non cambiano molto. Infatti, come le eroine Disney che la
precedono, Ariel cerca una soluzione romantica ai vuoti presenti nel suo cuore. Probabilmente
la sua condizione di principessa (sottomarina) sin dalla nascita le permette di sviluppare
maggiormente alcuni elementi che caratterizzano il suo modo d’essere: è avventurosa, curiosa
nei confronti di ciò che la circonda ed intuitiva. I suoi valori sono riconducibili alla grande
intelligenza da cui deriva la sua furbizia e al rispetto del diverso oltre che dei suoi simili.
La principessa seguente è Belle. È presentata al pubblico come la prima protagonista
femminile davvero intelligente ma, in questa ragazza, l’elemento più immediato utilizzato per
mettere questa caratteristica in primo piano è la sua inclinazione alla lettura. I libri che questa
protagonista legge le permettono di sognare un futuro avventuroso, ma è il suo temperamento
per niente docile o arrendevole che le permette di vivere immersa in un’avventura unica. I
suoi ideali sono riconoscibili nell’amore per la famiglia (lo stesso messaggio era trasmesso
anche dai precedenti quattro cartoon) ma anche nella ricerca d’indipendenza e nella
riconoscenza nei confronti di coloro che la amano o la aiutano.
Nel film Aladdin del 1992, la rappresentazione dell’interiorità di Jasmine si allontana da quelle,
forse troppo ripetitive, delle precedenti protagoniste dei “film principeschi” della Disney.
Jasmine è presentata al pubblico come una ragazza più egoista e caparbia, su certi versi anche
ingenua rispetto al mondo che le sta attorno. Probabilmente a causa della sua condizione di
figlia unica e viziata, ciò che cerca è essenzialmente la sua felicità. Non pensa a fare qualche
sacrificio, anche minimo, per ottenerla. Ciò nonostante non è affatto presentata come una
persona materialista. La sua qualità morale è, probabilmente, la volontà di eliminare le
differenze tra classi che caratterizza la società odierna, pur andando contro tradizioni secolari
del suo popolo e alle volontà di suo padre. In ogni caso questa ragazza, così come le altre
14
principesse classiche Disney, è guidata più dal suo spirito sognatore che da quello pensatore.
Il successivo cartone d’animazione è Pocahontas (1995). È proprio questa principessa, lo spirito
libero per eccellenza, presentata come una ragazza in armonia con la natura, disponibile e
altruista che si pone in totale contrasto con le precedenti principesse. Ciò che guida le sue
azioni è sicuramente il suo ambientalismo e il suo spirito pacificatore. Lei, che rinuncia al “e
vissero felici e contenti” quale epilogo della sua storia, trova la sua felicità nella serenità e
salvezza della sua gente. Dimostra, inoltre, la sua astuzia ed intelligenza nella conoscenza e
comprensione degli esseri umani diversi da lei per cultura.
Nel 1998, con il successivo film d’animazione a tema regale, la Walt Disney Pictures rivendica
il protagonismo di un’eroina cinese: Fa Mulan. Il bene più prezioso che possiede e per il quale
agisce è la sua famiglia. È capace di andare contro millenni di cultura pur di salvare coloro che
ama: è coraggiosa e testarda, ma anche un po’ incosciente. Ciò che la guida è sicuramente il
cuore, anche se il cervello e quindi anche l’intelligenza non le mancano. Dimostra quest’ultima
caratteristica grazie alle sue azioni, dove dimostra un’elevata furbizia ed anche moltissima
fermezza.
Nel più recente La Principessa e il Ranocchio (2009) la protagonista Tiana è subito inquadrata
come una ragazza con moltissime convinzioni, ma un solo obiettivo. La (non ancora)
principessa, lavora duramente per realizzare ciò che desidera (non aspetta il giorno in cui
questo si avvererà grazie a strane coincidenze volute dal fato). Caratteristiche di questa donna
sono la determinazione, l’animo visionario e la capacità di compiere sacrifici. Non manca in lei
anche uno spirito altruista nell’aiuto di coloro che si trovano in difficoltà, guidato forse dalla
sua iniziale condizione di ragazza d’umili origini.
2. 1. 3. Riadattamenti della Walt Disney Pictures
Questa breve sezione è dedicata al doveroso confronto con le fonti originali da cui le storie
presentate nei nove film del campione sono state tratte. In particolar modo, si cerca di
focalizzarsi sulle modifiche alla trama apportate dalla Walt Disney Pictures cercando una
relazione con il contesto di produzione in risposta alla seguente domanda di ricerca: “Come
sono riadattate le storie della letteratura per l'infanzia o i racconti con fondamenta storiche da
cui la Walt Disney Pictures trae ispirazione per realizzare i film del campione?”.
Ovviamente non è solo il contesto che induce i cineasti a modifiche sulla storia originale da cui
viene tratto il prodotto da proporre sul grande schermo.
La maggior parte delle volte sorge anche la necessità di catturare una determinata fetta del
pubblico: non si deve dimenticare la realtà che il cinema oltre ad essere la settima arte è anche
un’ingente fonte di guadagno per chi è coivolto nella sua produzione. In questo, purtroppo,
l’analisi rivela che la Walt Disney non si differenzia dalle altre case di produzione
cinematografica e i suoi rifacimenti mirano alla promulgazione di determinati messaggi in
15
linea con i principi dell’azienda che si basano su un piano di marketing di successo. Questi
capisaldi verrano in seguito espicitati per permettere la migliore comprensione delle eventuali
modifiche e/o semplificazioni della versione audiovisiva proposta alla platea.
Incominciando dal lontano 1937, è interessante notare che, per la Disney, Biancaneve e i sette
Nani rappresenta il primo lungometraggio d’animazione ed innaugura anche la tradizione
d'ispirarsi alle favole per i suoi cartoon, a cui seguiranno altre fonti d’ispirazione (romanzi o
storie vere), spesso con i rimaneggiamenti giusti per incontrare con più successo i gusti del
pubblico senza incorrere in censure.
La favola dei fratelli Grimm differisce dal film in pochi punti, probabilmente dovuti alla
volontà di Walt Elias Disney e dei suoi collaboratori di non turbare la psiche dei fruitori del
film d’animazione, in quanto spesso bambini. I punti sono i seguenti:
!
La Regina, ricevuto quello che crede essere il cuore di Biancaneve, se ne nutre
(quest’ultimo dettaglio macabro non viene rappresentato nel cartoon);
!
Il Principe, di fronte alla bellezza della ragazza chiusa nella bara di cristallo vuole
portarla via con sé ma uno dei suoi servitori inciampa, facendo uscire con l'urto dalla
gola di Biancaneve il boccone avvelenato e quindi risvegliandola (nel film
d’animazione l’unica cosa a cui pensa il principe è quella di baciare Biancaneve);
!
La Regina, invitata al matrimonio di Biancaneve, muore con grande sofferenza (nel
film la regina muore subito dopo aver consegnato la mela avvelenata a Biancaneve).
Sono tutte modifiche giustificabili ma che allontanano il film dallo scopo originale della fiaba
che è quello di permettere ai bambini di conoscere se stessi e il complesso mondo in cui
vivono per imparare a destraggiarsi nella vita e superare quelle che sono considerati realtà
sconcertanti. Certo, come già detto, le semplificazioni non sono state attuate solo pensando al
bene dei bambini, ma anche pensando ad un più proficuo successo economico. Dopo il primo
lungometraggio che ha visto un eccezionale successo di pubblico, ecco che il modello è ripreso
quante più volte possibili.
Anche Cenerentola presenta ben poche differenze dalle due fiabe originali:
!
Nella versione fiabesca di Perrault o dei fratelli Grimm, il padre di Cenerentola rimane
vivo (nel cartoon la sua morte viene narrata nel riassunto iniziale);
!
Nel finale della versione dei Fratelli Grimm, le sorellastre vengono ferite ai piedi
(questo dettaglio viene omesso nel cartone d’animazione).
Omettendo le motivazioni per cui Disney tralascia i particolari più macabri (già spiegate
sopra), l’altra differenza è esplicabile se si pensa alla volontà dell’azienda di fare propri i
contenuti da cui trae ispirazione. D’altronde, il successo di Cenerentola è dovuto al fatto che si
mantiene fedele allo spirito della fiaba originale, pur intessuta di quei tocchi di cui Disney era
maestro. Nel cartone l’uscita dalle scene del padre di Cenerentola all’inizio della narrazione
permette allo spettatore l’immedesimazione nel personaggio protagonista sfruttato e
maltrattato che porta a volere un finale in cui la situazione cambia a favole del più debole.
16
Ben più accorgimenti sono stati apportati al rifacimento della storia olandese de La Sirenetta,
un progetto molto impegnativo seguito da Howard Ashman. Ciò a cui la storia originale di
Ariel non si appoggia è il classico happy end del cinema hollywoodiano. L’amore della sirenetta
per il principe Eric si risolve inevitabilmente in tragedia. Al matrimonio del principe (con
un’altra donna), le sorelle maggiori della protagonista le procurano un pugnale per uccidere
l'uomo amato in modo tale da farle bagnare col suo sangue le gambe e farla tornare una
sirena. Ma Ariel, non riuscendo ad uccidere il principe, si getta in mare pensando di diventare
spuma e morire per sempre (dato che le sirene non hanno un'anima). Così non accade perché,
grazie alla sua generosità verso il principe, diventa una fata dell'aria e continua a fare del
bene. Le modifiche in questo cartone d’animazione, insomma, sono rilevanti. Viene eliminato
quel complesso insieme di differenze ed opposizioni che tra il proprio mondo e quello degli
esseri umani che tanto attrae la sirena. Il finale viene semplificato notevolmente, si presenta al
pubblico il classico prodotto senza presentare la dura realtà dei fatti in cui un amore può
anche non convolare a nozze. Tutta l’immaginazione di Andersen e il simbolismo della storia
sono tralasciati in toto e, allo stesso tempo, viene meno il principio cardine delle fiabe dove il
male è onnipresente, al pari della virtù.
Lo stesso avviene nella storia, questa volta non d’invenzione ma fondata su solide basi
storiche, del film Pocahontas. Raccontano i libri la leggenda dell’illegale amore tra Pochaontas,
una giovane appartenente alla locale tribù di nativi americani, e John Smith, membro della
spedizione del 1607 in Virginia. Il film propone una storia d’amore con connotazioni New Age
espresse in modo piuttosto inesperto su una trama secondaria che segue una linea politically
correct, secondo la quale il vecchio mondo corrotto deturpa la natura selvaggia del paradisiaco
nuovo mondo abitato da nobili cacciatori e raccoglitori in totale armonia con la natura. Da un
certo punto di vista il film è coraggioso in quanto, più d’ogni altro lungometraggio animato
della Disney, si rivolge ad un pubblico adulto, sfidando la delusione dei fan d’età scolare che
tradizionalmente decretano il successo economico di questo tipo di film. Il punto debole di
questa storia è che la concezione dei valori adulti è irrimediabilmente ingenua. Gli attributi
“politicamente corretto” e “artisticamente soddisfacente” dovrebbero avere un peso ben
diverso. L'incontro vero e proprio tra Pocahontas e John Smith è descritto nella leggenda come
uno scambio costellato da episodi ricchi d’ironia, mentre la versione per lo schermo
cinematografico si rivela un guazzabuglio da soap opera gremito di stereotipi etnici: la trama
del film mescola una storia principesca basata sul tutto-per-amore e una storia vera che ha
come protagonisti gli indigeni d’America. È proprio qui, dove finalmente si rinuncia al
classico happy end dei cartoni d’animazione, che l’addolcimento della storia raggiunge quasi
l’oltraggio. Pocahontas è una donna realmente esistita che meriterebbe molti più meriti di
quelli ottenuti nel ritratto Disneyano. Tuttavia, Pocahontas presenta anche due caratteristiche
positive: l'eroina possiede una presenza sensazionale e il paesaggio svolge un ruolo chiave
nella storia. Visto attraverso gli occhi degli europei è un mondo nuovo e misterioso –
meraviglioso e anche inquietante; vista dai nativi indiani, è un luogo completamente diverso
17
in cui gli alberi e gli animali non solo sono presenze familiari ma detengono poteri
straordinari che appartengono alla mitologia della tribù.
Fortunatamente, la produzione seguente mostra alcuni, anche se pochi, progressi rispetto agli
altri lungometraggi: trae ispirazione dalla storia, ormai mito in Cina, di una giovane donna,
Mulan. Prima della presentazione al pubblico di Mulan, la Disney dichiarò le sue buone
intenzioni nella riproposizione del mito e il suo sincero rispetto per questo simbolo della
nazione orientale per eccellenza. La ragazza è ritratta con vigore e misura, combinazione che
permette la nascita di un nuovo e più complesso tipo di protagonista Disney, guidata da
motivazioni diverse dal bisogno d’autodeterminazione, e cioè dalla ricerca dell'uomo dei
sogni. Ciò nonostante, la reinterpretazione dei fatti realmente accaduti eguaglia, nel livello di
distorsione, il cartone d’animazione realizzato tre anni prima. Le avventure animate di Mulan
conservano il fascino universale che ha fatto di questa leggenda un classico della letteratura
cinese per centinaia d’anni perché la squadra di produzione ha desistito dalla tentazione di
addolcire in modo esagerato la saga della giovane donna coraggiosa, anche se, alla fine,
l’autorità che esce vittoriosa è sempre quella del personaggio maschile e l’affascinante amante
rimane sempre il vero metro di giudizio per il successo e la felicità femminile. Mulan ha
catturato l'immaginazione del pubblico (occidentale) di tutte le età perché racconta una storia
semplice in modo semplice, forse anche troppo semplificato dato che il governo cinese non
approvò la diffusione del film nel proprio Paese.
Per gli altri quattro “film d’animazione principeschi” la riflessione riguardante eventuali
modifiche apportate alla fiaba o storia di riferimento risulta più immediata ed agevole.
In La Bella e la Bestia, la fiaba di Madame Le Prince de Beaumont risulta cambiata solo in alcuni
punti di poca rilevanza che si ricollegano per lo più alla volontà della Disney di rendere la
situazione della protagonista Belle più lacrimevole (tratto tipico di tutti i prodotti della casa
cinematografica):
!
Nella fiaba, il padre della protagonista non è un inventore ma un ricco mercante non
viene liberato grazie al sacrificio volontario della figlia (la minore di tre sorelle), ma la
invita ad andare al castello per pagare un suo debito;
!
Non c'è, nella fiaba, riferimento alla rosa incantata e agli oggetti animati.
E quando la protagonista non commuove la folla, ecco che le lacrime vengono compensate da
spunti comici gestiti, come da copione, con grande stile contribuendo all’ambientazione e al
flusso narrativo
Parlando, invece, de La bella addormentata nel Bosco, qui non si riscontrano particolari
differenze con il testo riadattato sul grande schermo cinematografico ma la sensibilità di
narratore, l’esperienza e le capacità cinematografiche di Walt Elias Disney sono presenti solo
in modo intermittente: i due personaggi protagonisti, Aurora e il suo bel principe senza nome,
risultano essere inconsistenti nella caratterizazione. Probabilmente questo punto debole del
film può essere dovuto alle molteplici influenze della letteratura – la fiaba dei Fratelli Grimm e
quella di Perrault – non ben congiunte nel cartone d’animazione.
18
La storia di Jasmine in Aladdin e di Tiana in La Principessa e il Ranocchio non presentano una
fiaba o una storia da cui la trama del film prenda spunto.
Il film del 1992 ha come riferimento una delle tante storie d’autore anonimo de le “Mille e una
Notte”: il tema esotico è la particolarità del film stesso, ma l’influenza inizia e finisce con
questo punto. Al contrario, la forza del film, del tutto made in U. S. A., deriva dalla sua
invenzione spiritosa, dalla stilizzazione oltre che dal glamour.
L’ultimo “film principesco”, invece, cita molto sporadicamente la storia narrata dalla versione
dei fratelli Grimm di “The Frog Prince”. Il libro della fiaba viene più volte mostrato, ma l’unico
vero elemento d’ispirazione per il cartoon è stato la trasformazione in rane dei protagonisti
(non solo quello maschile, ma anche quello femminile). L’ambientazione, le musiche ed i
personaggi di contorno alla storia dei due innamorati sono del tutto inventate o comunque
pensate dalla squadra incaricata della realizazione del lungometraggio Disney. Adattato al
contesto storico di debutto sul grande schermo è forse il colore della pelle dei personaggi ed in
particolar modo della protagonista Tiana, la prima principessa di colore.
Rimane necessario rispondere alla domanda di ricerca (in questo caso riguardante la scelta
della rappresentazione esteriore dei personaggi ed in altri film – come Pochaontas o Mulan –
inerente la scelta della storia modello): “A che livello e profondità è trattato il tema sociologico
della diversità culturale (inteso come possibilità di diffusione di valori o culture diverse da
quella delle rappresentazioni standardizzate) all'interno dei – film principeschi – della
Disney?”.
Questa domanda sorge spontanea (insieme a molte altre) perché le fiabe nacquero per
esaudire nei bambini, tra le altre cose, anche il desiderio o il bisogno di conoscere se stessi e il
complesso mondo in cui vivono. Altrettanto istruttivo dovrebbe essere il messaggio
promulgato dalle favole delle nuove generazioni, quelle proposte dai mass media, dato che
quelle diffuse in carta stampata non riscuotono al giorno d’oggi il successo di pubblico che
precedentemente ebbero per più di un secolo.
2. 2. Categorie di valutazione
Oltre alla caratterizzazione esteriore ed interiore del personaggio femminile in sé, non risulta
difficoltoso l’approccio ad alcuni temi della sociologia che permettano di capire se la
famosissima e forse intramontabile casa cinematografica degli Stati Uniti d’America segua uno
specifico iter di rappresentazione che si evolve nel tempo in relazione al contesto socioculturale o se i suoi modelli siano rigidi e canonizzati, in una sola parola stereotipati.
Tre tematiche sociologiche unite all’influenza dell’audiovisivo sui bambini sono state
selezionate come possibile introduzione ai temi discussi nei risultati di ricerca del capitolo 3
per rispondere più approfonditamente alle domande di ricerca.
19
2. 2. 1. Tre tematiche sociologiche
Ognuna delle tre tematiche della sociologia della cultura selezionati costituisce un elemento di
ricerca importante per capire la correttezza o, al contrario, la distorisione dei messaggi
all’interno dei prodotti multimediali Disney.
Identità di genere
Nel sentire comune il sesso ed il genere costituiscono un tutt'uno tanto che, tradizionalmente,
gli individui vengono divisi in uomini e donne sulla base delle loro differenze biologiche. Gli
studi di genere propongono invece una suddivisione, sul piano teorico-concettuale, tra questi
due aspetti dell'identità:
!
Il sesso (sex) costituisce un corredo genetico, un insieme di caratteri biologici, fisici e
anatomici che producono un binarismo maschio/femmina;
!
Il genere (gender) rappresenta una costruzione culturale, la rappresentazione,
definizione e incentivazione di comportamenti che rivestono il corredo biologico e
danno vita allo status di uomo/donna.
Sesso e genere non costituiscono due dimensioni contrapposte ma sono interdipendenti: sui
caratteri biologici s’innesta il processo di produzione delle identità di genere.
Il genere è un prodotto della cultura umana ed il frutto di un persistente rinforzo sociale e
culturale delle identità: viene creato quotidianamente attraverso una serie di interazioni che
tendono a definire le differenze tra uomini e donne (traducono le due dimensioni dell'essere
uomo e donna). A livello sociale è necessario testimoniare continuamente la propria
appartenenza di genere attraverso il comportamento, il linguaggio, il ruolo sociale. Si parla a
questo proposito di ruoli di genere. In sostanza, il genere è un carattere appreso e non innato:
uomini e donne si diventa, mentre maschi e femmine si nasce.
Il rapporto tra sesso e genere varia a seconda delle aree geografiche, dei periodi storici, delle
culture di appartenenza. I concetti di maschilità e femminilità sono concetti dinamici che
devono essere storicizzati e contestualizzati. Ogni società definisce quali valori additare alle
varie identità di genere, in cosa consiste essere uomo o donna. Maschilità e femminilità sono
quindi concetti relativi.
La prima formulazione del concetto di genere nell'accezione utilizzata da questo tipo di studi
venne formulata dall'antropologa Gayle Rubin nel suo “The Traffic in Women” (“Lo scambio
delle donne”) del 1975. La studiosa parla di un sex-gender system in cui il dato biologico viene
trasformato in un sistema binario asimmetrico in cui il maschile occupa una posizione
privilegiata rispetto al femminile, al quale è legato da strette connessioni da cui entrambi ne
derivano una reciproca definizione.
In alcune correnti della sociologia sviluppatesi negli Stati Uniti a partire dagli anni settanta del
XX secolo, il concetto d’identità di genere viene utilizzato per descrivere il genere in cui una
persona si identifica (cioè, se si percepisce uomo, donna, o in qualcosa di diverso da queste
20
due polarità). Secondo i ricercatori, l'identità di genere può avere origini biologiche e può
venire influenzata dall'ambiente sociale e culturale in cui nasce il bambino o la bambina, per
poi consolidarsi dopo i due anni di età. Non c'è, in ogni caso, un'età precisa e risulta molto
variabile anche l'età in cui potrebbero sorgere eventuali problemi legati all'identità di genere.
Diversità culturale
"La diversità culturale è necessaria all'umanità quanto la biodiversità lo è per la natura".
Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, Art. 1
(U.N.E.S.C.O., 2 novembre 2001)
Quello di "diversità" è un concetto che allude ad un processo di distinzione e di separazione,
ad una differenziazione da un modello dominante o da un'uguaglianza di parola, di
linguaggio e di pensiero.
La diversità culturale è un fenomeno necessario poiché amplia la gamma d’opzioni aperte a
tutti; è una delle radici dello sviluppo, inteso non in termini di crescita economica ma come
mezzo per raggiungere un’esistenza più soddisfacente, e favorisce lo scambio culturale e lo
sviluppo delle capacità creative che sostengono la vita pubblica. I diritti culturali possono
essere considerati parte integrante dei diritti umani, che sono universali, indivisibili e
interdipendenti: oltre ad assicurare la libera circolazione d’idee attraverso parole e immagini,
bisogna vegliare affinché tutte le culture possano esprimersi.
La creatività, quale principale espressione della natura umana, si basa sulle radici della
tradizione culturale, ma si sviluppa in contatto con altre culture e per questo motivo il
patrimonio culturale in tutte le sue forme dev’essere conservato, valorizzato e trasmesso.
Il concetto di “diversità” non rispetta l’appartenenza ad uno standard condiviso, ma attesta
una difformità. Il binomio omologazione-diversità, nelle sue accezioni concrete e psicologiche,
ha implicazioni rilevanti sul piano dei fatti umani, esistenziali e socioculturali.
Sono sempre esistiti, nel corso della storia dell'umanità, processi culturali orientati
all'esaltazione dell'uguale, di ciò che si conforma ad un modello convalidato come superiore e
degno di essere da tutti imitato: tutto questo ha portato alla coniazione del termine
globalizzazione, diventato una parola chiave interpretativa del mondo contemporaneo in
molti ambiti dell'attività umana (politica, cultura, tecnologia, ecc.). Alla globalizzazione si
ricollega il processo d’omologazione culturale del mercato (nei suoi prodotti e nelle sue
immagini), con l'attenuazione delle specificità culturali espresse dai vari Paesi del mondo.
21
Industria culturale del consumo
“La vera paura di alcuni sociologi del XX secolo era che la gente sarebbe stata troppo istupidita dai
mass media per protestare, o anche solo accorgersi, quando le loro libertà fossero scomparse”.
Wendy Griswold2
L’industria culturale designa, anzitutto, una fabbrica del consenso che liquida la funzione
critica della cultura, soffocandone la capacità di elevare la protesta contro le condizioni
dell’esistente. Essa fonda la sua funzione sociale sull’obbedienza, lasciando che le catene del
consenso s’intreccino con i desideri e le aspettative dei consumatori che sono alla ricerca di
prodotti sempre nuovi, tanto che, i prodotti dell’industria culturale si ritrovano ad essere il
frutto di una continua mediazione tra l’esigenza d’innovazione e di standardizzazione.
In una società basata su un’economia di mercato e sulla produzione industriale dei beni di
consumo, i prodotti della cultura assumono carattere di merce. Con l’avvento del mondo
moderno, la produzione di beni culturali diviene parte integrante dell’organizzazione
capitalistica: da un lato una crescente quantità di persone può accedere all’acquisto di beni di
consumo, dall’altro la produzione di oggetti che incorporano simboli, credenze e valori estetici
(che nel loro insieme hanno, in senso lato, una valenza culturale) diviene uno specifico settore
merceologico che segue le stesse leggi che governano le altre sfere della produzione
industriale e del mercato capitalistico. Anche la formazione del sé – le modalità d’acquisizione
delle conoscenze, organizzazione della propria esistenza, formazione della personalità, scelta
dei valori – dipende in larga misura dalla continua esposizione ai messaggi trasmessi
dall’industria culturale e dai prodotti che emette, i prodotti della cultura di massa, legata, per
lo più, alla crescita del tempo libero nelle società avanzate. Anche se da un punto di vista
strettamente materiale sarebbe possibile attribuire un carattere superfluo alla gran parte dei
beni di consumo, compresi alcuni beni culturali, questi sono comunque dotati di un significato
sociale. Quindi, come dice Rocco de Biasi, “se consumare è un’attività che contiene un senso,
l’industria dell’intrattenimento e dello spettacolo non si limita a cercare di occupare il tempo
libero degli individui, ma costituisce una sfera della vita sociale nella quale essi raggiungono
gratificazioni estetiche e nel contempo rinvengono valori e modelli d’identificazione” 3. In altri
termini, l’industria culturale si rivela depositaria dell’“immaginario collettivo”: un complesso
di dispositivi simbolici, di modelli d’identificazione, di miti e di fantasie, di narrazioni in
grado di evocare una sorta d'auto-rappresentazione di una società. Per concludere, se la
creazione artistica e letteraria produce o inventa archetipi, d’altra parte l’industria culturale ne
snatura l’originalità conformandoli ad una produzione standardizzata. In altri termini, gli
archetipi diventano stereotipi (prodotti standardizzati fedeli ad un cliché).
2
Wendy GRISWOLD, Sociologia della cultura, Bologna, Il Mulino, 1997, cit., p. 51
3
Rocco DE BIASI, Che cos’è la sociologia della cultura, Roma, Carocci, 2002, cit., p. 58
22
2. 2. 2. L'infanzia e le rappresentazioni audio-visive
L’aggettivo “audiovisivo” si riferisce sempre ad uno strumento che permette di vedere
immagini e contemporaneamente ascoltare suoni riprodotti. Il punto di forza delle
rappresentazioni audio-visive è riscontrabile proprio nella sopra citata definizione del
termine: a livello neurologico, il messaggio multimediale consente di attivare più di un
sistema cognitivo dell’utente ed è immagazzinato in due diverse memorie dell’individuo
(iconica ed ecoica).
Tutte le indagini statistiche e sociologiche dimostrano che, allo stato attuale, il rapporto tra i
bambini e le nuove tecnologie mediatiche risulta essere in netto aumento.
Purtroppo molti dei genitori e, ancor peggio, gran parte degli insegnanti si fermano solo alla
superficie nell’analisi dei messaggi contenuti nei molteplici input multimediali a cui vengono
sottoposti i bambini sin dalla tenera età. Anzi, molti dei genitori ammettono che il modo più
efficace ed immediato per accontentare i desideri dei propri figli è quello di proporre loro un
cartone animato. È vero che anche i cartoni animati rappresentano un passo in più verso la
formazione del sé ma è altrettanto vero che le fiabe del repertorio tradizionale, definite da
Bruno Bettelheim come prezioso materiale fantastico distillato dalla saggezza e dall'inventiva
dei popoli, non possono e non devono essere considerate sorpassate, o addirittura giudicate
diseducative e come tali proscritte.
Come ogni mezzo di propagazione del sapere, il prodotto multimediale presenta aspetti
positivi e negativi. Un vantaggio è sicuramente la rapidità di fruizione che lo caratterizza ma a
ciò si può unire anche il binomio cultura-svago simbolico nella società moderna. A questo si
ricollega, però, anche un enorme svantaggio di questo tipo di mezzo comunicativo, ossia la
tendenza a considerare i prodotti della nuova generazione come un qualcosa a cui non dare
troppo peso o importanza.
Questo errore di valutazione vede raddoppiare il suo effetto negativo proprio negli utenti più
giovani che, ritrovandosi di fronte all’odierno “bombardamento” proposto dai mass media
senza possedere adeguati meccanismi di difesa, non sono in grado di reagire autonomamente
discernendo il prodotto con sani principi da quello che punta ad uno scopo diverso da quello
della propagazione di un sapere “neutro”.
Nel periodo dell’infanzia il tempo libero occupa un’elevata percentuale della giornata e le
rappresentazioni audio-visive recepite durante questo periodo sono sempre più in aumento e
influenzano forse troppo la mente dei bambini (l’immaginazione, il pensiero, ecc.). In una
società in cui si dà più peso alla quantità (numero) che alla qualità (contenuti) non stupisce,
purtroppo, che l’infanzia sia destinata a consumare prodotti culturali di dubbia valenza
educativa.
23
2. 3. Questionario
Per verificare in modo più sperimentale la parte d’analisi riguardante l’influenza dei prodotti
multimediali, ed in particolare dei film d’animazione, sul pubblico infantile è stato
somministrato un questionario avente come soggetto una delle nove principesse la cui storia è
stata riadattata con firma Disney.
La somministrazione è avvenuta su venti bambini e bambine d’età compresa tra tre e sei anni.
Figura 1. Percentuali del campione (età e sesso).
Lo scopo dello stesso è stato quello di verificare la teoria dello psicanalista austriaco Bruno
Bettelheim secondo il quale “una fiaba perde molto del suo significato personale quando ai
suoi personaggi ed eventi viene data sostanza non dall’immaginazione del bambino ma da
quella dell’illustratore”. Le sue riflessioni, in particolare, sono famose in quanto indagano,
analizzando la psiche dei bambini, l’importanza delle fiabe nella costruzione del significato: le
fiabe, per lui, hanno un senso più profondo delle altre fonti di lettura per l’infanzia poiché
iniziano a svilupparsi dal punto in cui il bambino realmente si trova nel suo essere psicologico
ed emotivo, mentre è molto critico nei confronti di tutti i riadattamenti dei mass media.
La formulazione del questionario è avvenuta in modo da ottenere uno strumento di
rilevazione coerente con l’obiettivo d’indagine.
Il breve questionario è stato somministrato a bambini in età prescolare e, quindi, l’unità
d’analisi è ricollegabile a coloro che, in teoria dovrebbero essere stati sottoposti a meno
influenze alla propria immaginazione, perché sottoposti ad un numero inferiore di input
massmediatici.
Sulla base delle finalità della ricerca è stata individuata anche la tipologia di questionario da
somministrare. Data la giovanissima età dei bambini facenti parte del campione, si è preferito
un questionario breve, somministrato da un intervistatore e incentrato su una particolare cura
della dinamica psicologica propria della relazione che si viene a creare tra intervistato ed
intervistatore, seguendo le nozioni basilari della comunicazione interpersonale per ''mettere a
proprio agio'' il bambino intervistato.
24
2. 3. 1. Presentazione del questionario
Al fine di creare un’atmosfera distesa ed agevolare il flusso d’informazioni tra bambino ed
intervistatore, il questionario inizia con alcune frasi introduttive formulate in seconda persona
singolare, utilizzando, quindi, un tono informale o colloquiale (caratteristica che si ripresenta
in tutto il questionario). Nella stessa introduzione viene anche esplicitato il titolo o tema su cui
si incentra e prende spunto il test “LA SIRENETTA INCONTRA IL PRINCIPE UMANO”.
Figura 2. Esempio di questionario.
La somministrazione, non potendo essere troppo generica e riferirsi a tutti e nove i “film
d’animazione principeschi” analizzati nella ricerca, si è concentrata su La Sirenetta, prodotto
nel 1989 dalla Walt Disney Pictures e ispirato alla fiaba con titolo originale Den lille Havfrue
(1836) dello scrittore danese Hans Chrisian Andersen. La scelta di questo cartone
d’animazione è giustificata soprattutto all’innovazione apportata su di esso dalla produzione
Disney: il ventottesimo lungometraggio animato è considerato, tra i nove “film principeschi”,
il primo davvero moderno poiché dà una svolta alla ripetizione della trama e dei personaggi
proposta dai tre classici che lo precedono (la stessa protagonista, per esempio, non è umana,
bensì appartenente ad un’altra specie). Inoltre, le differenze tra fiaba e cartoon sono molto
rilevanti e questo film è l’unico caratterizzato dall’avere un “rivale” di una certa importanza
all’interno della produzione cinematografica statunitense dato che anche un’altra casa
cinematografica, la Stardust, produsse, nel 1991, un disegno d’animazione omonimo, che
ovviamente riscosse minore successo di pubblico pur seguendo con maggiore fedeltà la fiaba.
25
Il questionario trova un “prologo” nella lettura di questo testo da parte del ricercatore:
“Il sole era appena tramontato quando affacciò la testa dall'acqua, tutte le nuvole però ancora brillavano
come rose e oro; nel cielo color lilla splendeva chiara e bellissima la stella della sera; l'aria era mite e
fresca e il mare calmo. C'era una grande nave con tre alberi, ma una sola vela era tesa perché non c'era
il minimo soffio di vento; tra le sartie e i pennoni stavano seduti i marinai. C'era musica e canti e man
mano che scendeva la sera si accendevano centinaia di luci multicolori. Sembrava che ondeggiassero
nell'aria le bandiere di tutte le nazioni. La sirenetta nuotò fino all'oblò di una cabina e ogni volta che
l'acqua la sollevava, vedeva attraverso i vetri trasparenti molti uomini ben vestiti; il più bello di tutti
era però il giovane principe, con grandi occhi neri: non aveva certo più di sedici anni e compiva gli anni
proprio quel giorno. Per questo c'erano quei festeggiamenti! I marinai ballavano sul ponte e quando il
giovane principe uscì, si levarono in aria più di cento razzi che illuminarono a giorno. La sirenetta si
spaventò e si rituffò nell'acqua, ma poco dopo riaffacciò la testa e le sembrò che tutte le stelle del cielo
cadessero su di lei. Non aveva mai visto fuochi di quel genere. Grandi soli giravano tutt'intorno,
bellissimi pesci di fuoco nuotavano nell'aria azzurra, e tutto si rifletteva nel bel mare calmo. Anche sulla
nave c'era tanta luce che si poteva vedere ogni corda, e naturalmente gli uomini. Com'era bello quel
giovane principe! Dava la mano a tutti, ridendo e sorridendo, mentre la musica risuonava nella
splendida notte. Era ormai tardi, ma la sirenetta non seppe distogliere lo sguardo dalla nave e dal bel
principe. Le luci variopinte vennero spente, i razzi non vennero più lanciati in aria, non si sentirono più
colpi di cannone, ma dal profondo del mare si sentì un rombo, e lei intanto si faceva dondolare su e giù
dall'acqua, per guardare nella cabina; ma la nave prese velocità, le vele si spiegarono una dopo l'altra, le
onde si fecero più grosse, comparvero grosse nuvole e da lontano si scorsero dei lampi. Sarebbe venuta
una terribile tempesta! Per questo i marinai ammainarono le vele. La grande nave filava a gran velocità
sul mare agitato, l'acqua si alzò come grosse montagne nere che volevano rovesciarsi sull'albero
maestro, la nave si immerse come un cigno tra le alte onde e si fece sollevare di nuovo dall'acqua in
movimento. La sirenetta pensò che quella fosse una bella corsa, ma i marinai non erano della stessa
opinione; la nave scricchiolava terribilmente, le assi robuste cedevano sotto quei forti colpi, l'acqua
colpiva la carena, l'albero maestro si spezzò come fosse stato una canna; la nave si piegò su un fianco, e
l'acqua subito la riempì. Allora la sirenetta capì che erano in pericolo, lei stessa doveva stare attenta alle
assi e ai relitti della nave che galleggiavano sull'acqua. Per un attimo fu talmente buio che non riuscì a
vedere nulla, quando poi lampeggiò divenne così chiaro che riconobbe tutti gli uomini della nave;
ognuno se la cavava come poteva; lei cercò il principe e lo vide scomparire nel mare profondo, proprio
quando la nave affondò. Al primo momento fu molto felice, perché lui ora sarebbe sceso da lei, ma poi
ricordò che gli uomini non potevano vivere nell'acqua, e che anche lui sarebbe arrivato al castello di suo
padre solo da morto. No, non doveva morire! Nuotò tra le assi e i relitti della nave, senza pensare che
avrebbero potuto schiacciarla, si immerse nell'acqua e risalì tra le onde finché giunse dal giovane
principe, che quasi non riusciva più a nuotare nel mare infuriato.” 4
4
Hans C. ANDERSEN, La Sirenetta, Milano, Mondadori, 2008, p. 6
26
Si tratta di un estratto dalla fiaba originale. Ariel, la principessa del popolo d’Atlantica, vede
per la prima volta il principe Eric. Il testo fornisce al bambino la possibilità di immaginare una
propria rappresentazione caratteriale, sentimentale e fisionomica della sirenetta senza mai
esplicitare come queste caratteristiche interiori ed esteriori della principessa vengono descritte
dall’autore della fiaba.
La scelta dei quesiti ha lo scopo di ottenere dai bambini uno specifico tipo di risposte ed
informazioni su ciò che immaginano ascoltando una storia, cercando di capire se le risposte
date alle domande provengono davvero da ciò che scaturisce nella loro fantasia o se la loro
mente procede per associazioni guidate da qualcosa di estraneo al loro pensiero.
Il questionario, onde evitare la distrazione dei bambini non abituati ad essere sottoposti a dei
test, è composto di sole otto domande a risposta chiusa le quali prevedono un ventaglio di tre
risposte definite a priori dal ricercatore. Di queste, le prime due sono domande di base che
indagano le caratteristiche anagrafiche (età) e di genere (sesso) del bambino intervistato, le
seguenti cinque interessano più direttamente l’oggetto in analisi e l’ultima fornisce un
rilevante aiuto nella comprensione di possibili influenze disneyane presenti nei bambini,
facendo capire se queste sono determinanti o meno nelle loro risposte.
Andando più nel dettaglio rispetto alle domande che si focalizzano sull’oggetto d’analisi, la
terza domanda del questionario (“SECONDO TE, DI CHE COLORE SONO I CAPELLI
DELLA SIRENETTA?”) si ricollega ad una delle più evidenti particolarità della sirenetta della
Disney che è quella di avere i capelli rossi, in contrasto con la descrizione presente nella fiaba e
la caratterizzazione riscontrabile ne La Sirenetta della casa cinematografica Stardust.
La quarta domanda, ossia “NELLA TUA IMMAGINAZIONE, QUAL È L’AGGETTIVO CHE
DESCRIVE MEGLIO LA SIRENETTA?”, è mirata a comprendere se le intenzioni esplicitate
dalla Walt Disney sono davvero ricollegabili all’immaginario comune presente negli infanti,
ossia che Ariel è una ragazza coraggiosa e di valore, non solamente bella.
La domanda che recita “COME MAI LA SIRENETTA NON STA CON GLI UOMINI?” si
ricollega alla singolare rappresentazione della diversità descritta nella fiaba (anche nella parte
presentata), un punto che non può sfuggire neanche in seguito alla visione del cartoon Disney.
La successiva domanda (“COSA PROVA LA SIRENETTA VEDENDO IL PRINCIPE PER LA
PRIMA VOLTA?”) ha una finalità simile a quella ricercata con la quarta risposta, ossia capire
se sono rilevanti le differenze tra le risposte di chi ha visto il cartone d’animazione e chi no, ed
in più tende a sottolineare l’importante differenza presente tra la fiaba e il film in riferimento
alla relazione tra Ariel e gli esseri umani: nel cartone ciò che la sirenetta inizialmente vede nel
principe Eric è solamente il suo aspetto fisico, nella fiaba lo ammira provando quasi invidia
per l’anima immortale che caratterizza la sua specie.
La settima domanda si ricollega al finale molto diverso che si presenta tra fiaba e cartone
animato e, per un bambino che ha fruito di una delle due rappresentazioni, il “COME
FINISCE, PER TE, LA STORIA TRA IL PRINCIPE E LA SIRENETTA?” potrebbe influenzare
la risposta al quesito.
27
A questo scopo è proposta anche l’ultima domanda “AVEVI MAI SENTITO PARLARE DI
UNA SIRENETTA PRIMA DI OGGI?”. Questo quesito, ricollegandosi a tutte le domande
somministrate in precedenza, aiuta il ricercatore a capire se nel soggetto in esame vi siano stati
degli input precedenti prodotti dalla visione di audio-visivi o dall’ascolto di racconti che
possono aver influenzato i bambini nella loro immaginazione e, conseguentemente, nelle loro
risposte.
A conclusione del test è richiesto ai bambini di disegnare la scena descritta nella storia
raccontata a inizio questionario così come la immaginano – grazie alla loro fantasia – in modo
da permettere la massima espressione all’intervistato. La scelta del disegno come mezzo
espressivo è anch’esso preso in riferimento all’età che caratterizza i bambini intervistati.
2. 3. 2. Analisi delle risposte
Nell’analisi delle risposte date dai bambini ai questionari, la domanda numero otto viene
presa come elemento differenziatore nell’insieme dei venti bambini intervistati (figura 3.).
Lo studio tende a confrontare le risposte di quei bambini che conoscono o hanno visto il film
d’animazione de La Sirenetta proposto dalla Disney con le risposte dei bambini che non hanno
mai fruito né del cartoon né della fiaba. Purtroppo un ulteriore confronto tra la percezione
della fiaba rispetto a quella del lungometraggio non è stato possibile a causa del fatto che
nessuno degli intervistati era a conoscenza della fiaba di Andersen.
Figura 3. Suddivisione del campione.
Il grafico a barre evidenzia che, su venti bambini del campione, tredici intervistati hanno
risposto al questionario avendo in mente il modello proposto da un prodotto multimediale (in
tutti i casi è stato esplicitamente citata la casa cinematografica Walt Disney Pictures), mentre
gli altri sette si sono basati unicamente sulla loro inventiva, ossia sull’output creatosi nella loro
immaginazione grazie alla lettura del testo da parte del ricercatore. La conoscenza della fiaba
olandese da parte di questo campione di bambini in età prescolare ottiene riscontri negativi.
28
Questo è un elemento a conferma del cambiamento in atto nel modello educativo: nell’era
digitale, insomma, le sorpassate pagine stampate lasciano spazio ai moderni flussi di bit.
Inoltrandosi più approfonditamente nell’analisi, è possibile notare come le risposte alla
domanda numero tre siano strettamente collegate a input esterni alla lettura della fiaba
proposta all’inizio della somministrazione (figura 4.).
Figura 4. Confronto, per conoscenza del film d’animazione, delle risposte alla terza domanda.
Grazie a questa analisi emergono importanti differenze tra i due gruppi in cui il campione è
stato suddiviso. Infatti, tutti i bambini che affermano di aver visto il cartone animato datato
1989 associano alla chioma del personaggio il colore rosso; per l’altro gruppo si riscontra una
varietà delle risposte. Questa disuguaglianza è ricollegabile a due fattori: il primo è
sicuramente il fatto che il colore dei capelli è, per la sirenetta della Disney, uno degli elementi
esteriori più caratterizzanti; il secondo è che la memoria visiva è, nei bambini, ben sviluppata.
Il quesito quattro riporta un risultato più similare tra i due gruppi del campione: entrambi
hanno una propria “risposta preferenziale” all’interno delle tre opzioni proposte (figura 5.).
Figura 5. Confronto, per conoscenza del film d’animazione, delle risposte alla quarta domanda.
29
In questo caso le risposte simili tra loro sono osservabili anche nel gruppo di coloro che non
conoscono, né tramite la fiaba né grazie al film d’animazione della Walt Disney, il personaggio
della sirenetta: l’aggettivo scelto in questo caso è quello relativo al suo coraggio. Ma anche nel
gruppo di chi ha visto il film le risposte convertono tutte sull’opzione in cui si esalta la
bellezza caratterizzante Ariel, la protagonista de La Sirenetta. Anche in queste risposte è
risaltato l’impatto visivo che va a influire sull’immaginazione. In più, l’obiettivo della casa di
produzione cinematografica – presentare un’eroina Disney coraggiosa e di valore, non
solamente bella – non riesce ad arrivare al pubblico.
Continuando nel confronto delle risposte, sono di facile analisi quelle fornite per i quesiti
numero cinque (figura 6.) e numero sei (figura 7.). Si tratta delle due domande più
interpretabili all’interno del questionario.
Figura 6. Confronto, per conoscenza del film d’animazione, delle risposte alla quinta domanda.
Questa domanda, come già detto nell’introduzione al questionario, si ricollega alla singolare
rappresentazione della diversità descritta nell’estratto della fiaba somministrato e nel film
d’animazione Disney. Ancora una volta, le risposte date dai bambini che hanno visto il
lungometraggio de La Sirenetta risultano essere orientate sulla medesima opzione, anche se in
questo caso coincide con gli scopi comunicativi della Walt Disney Pictures. I risultati dei test
dell’altro gruppo confermano la varietà di risposta riscontrabile anche per gli altri quesiti.
La successiva domanda evidenzia, ancora una volta, rilevanti differenze tra le risposte di chi
ha visto il cartone d’animazione e chi non lo ha visto. Infatti, l’omologazione degli sguardi è
l’elemento che caratterizza i primi, mentre i secondi rispondono in modo più libero e
spontaneo.
30
Figura 7. Confronto, per conoscenza del film d’animazione, delle risposte alla sesta domanda.
Passando ad analizzare le risposte alla domanda numero sette (figura 8.), ecco ripresentarsi
all’occhio del ricercatore un riscontro simile a quello ottenuto per la terza domanda.
Figura 8. Confronto, per conoscenza del film d’animazione, delle risposte alla settima domanda.
Questa domanda si ricollega al finale molto diverso tra la fiaba ed il cartone animato. Viene
confermato, quasi nella totalità dei casi, che i bambini, in seguito alla visione del film, non
possono dimenticare il classico happy end disneyano. Chi, invece, è svincolato da input
massmediatici fornisce anche questa volta risposte statisticamente più ragionevoli.
31
2. 3. 3. Interpretazione dei disegni
Prima ancora di saper parlare, camminare, o fare qualsiasi cosa, il bambino disegna.
Nell’età prescolare, un buon metodo per cercare di capire cosa provano o cosa immaginano i
bambini può essere quello di farli disegnare per poi osservare le loro creazioni. Infatti,
attraverso il disegno, l’infante racconta qualcosa: l’importante è lasciare che si esprima in
libertà sulla carta, senza pressioni; si dovrebbe fornire un foglio e dei colori lasciandolo
tracciare i suoi pensieri. Riassumendo, il disegno contiene un gran numero d’informazioni per
interpretare e capire la psiche infantile.
La somministrazione dell’ultima parte del questionario è avvenuta seguendo questi basilari
spunti di psicologia infantile. Ad ognuno dei venti bambini, dopo aver ascoltato la lettura
della fiaba ed aver risposto alle otto domande, è stato richiesto di fare un disegno che
rappresentasse la storia narrata dal ricercatore.
È possibile interpretare i disegni dei venti bambini del campione prestando attenzione alle tre
variabili rappresentate dal sesso del bambino/a, dall’età e dagli input esterni ricevuti.
Per quanto riguarda la differenze dei disegni delle bambine rispetto a quelli dei bambini, non
sono state riscontrate differenze sostanziali nella metodologia di rappresentazione dell’estratto
della fiaba narrata.
Lo stesso risultato d’analisi è riscontrabile distinguendo i disegni basandosi sulla variabile
dell’età: tralasciando la precisione di realizzazione, sorprende che la scelta dei soggetti e
dell’ambientazione non sia più ragionata e fantasiosa nei disegni dei bambini più grandi (con
più esperienza) rispetto a quelli più piccoli.
Anche nell’analisi dei disegni dei venti bambini come nel confronto delle risposte alle
domande del questionario, risulta che i dati più interessanti per la ricerca sono quelli relativi al
gruppo di bambini che hanno risposto affermativamente alla domanda otto, ossia di coloro
che conoscono il lungometraggio La Sirenetta prodotto dalla Walt Disney.
In questi tredici disegni le somiglianze tra le rappresentazioni della sirenetta sono davvero
significanti. Tra queste è possibile sottolineare le seguenti caratteristiche:
!
In tutti i casi, Ariel è caratterizzata dall’avere i capelli rossi (o arancioni) e lunghi;
!
La parte superiore del bikini della sirenetta è spesso di colore viola e di forma
arrotondata (seno prosperoso);
!
La coda è, quasi nella totalità delle raffigurazioni, verde e di forma allungata.
Risalta, così, l’omologazione degli sguardi di questi tredici bambini dovuta alle informazioni
pregresse fornite dal cartone animato. Questo dato è ricollegabile al grande impatto prodotto
dagli input visivi in ognuno di noi, in particolare durante l’infanzia. Diversamente, i bambini
che non conoscono il personaggio della sirenetta, disegnano una propria versione di Ariel,
totalmente svincolata da un’immagine già presente nella loro mente. L’immaginazione non
produce in loro nulla d’astratto: si tratta di disegni-imitazione del mondo esterno con cui sono
a contatto. Si imita un modello non massmediatico che spesso porta i bambini a raffigurare
32
inconsciamente il personaggio seguendo una propria versione del mondo che li circonda: è
per mezzo di essa che rivelano la loro personalità e allenano la loro immaginazione.
Andando oltre l’analisi basata sulle tre variabili sopra citate, è importante evidenziare la
mancanza di dettagli che accomuna sedici dei venti disegni presi in analisi. Anche se la
consegna più volte esplicitata del ricercatore ai bambini era quella di rappresentare la storia
ascoltata, solo in quattro disegni è possibile notare la raffigurazione di dettagli citati durante la
narrazione della fiaba di Andersen, come ad esempio la nave, l’oblò ed i fulmini. Gli altri
disegni presentano solamente la sirenetta in alcuni casi affiancata del giovane principe.
L’ambientazione è piuttosto ridotta: in più di un caso non vengono raffigurati né il mare né il
cielo per fare da cornice al protagonismo della figura di Ariel. La mancanza di dettagli nel
disegno libero della maggior parte di questi bambini potrebbe essere collegabile alla scarsa
abitudine all’ascolto di fiabe narrate da parte degli stessi. Chi vede solo cartoni animati, dice la
psicologia infantile, non è abituato alla descrizione come coloro che si rapportano di più con la
letteratura per l’infanzia, soprattutto se la lettura viene effettuata con la giusta prosodia dal
narratore: chi ascolta i dettagli è più portato alla loro rappresentazione sul foglio bianco.
33
3. RISULTATI DI RICERCA
In questo capitolo sono affrontati nuovamente i temi appartenenti alla sociologia della cultura
sopra descritti e presentati quali importanti fonti d’analisi all’interno della ricerca. Sono
riproposti nel paragrafo 3. 1. in chiave di lettura più critica e con riferimenti diretti ai nove
“film d’animazione principeschi”.
Il paragrafo 3. 2., invece, valuta quale sia l’effettiva valenza educativa della produzione
disneyana selezionata all’interno del campione.
3. 1. Problemi legati al genere e alla culturalità
Ormai da molti anni, il termine “prodotto di massa” è considerato da sociologi e studiosi una
“garanzia” di velocità nella produzione, pochezza nei contenuti e massima ricerca nei
guadagni. È seguendo questa linea che l’industria culturale presenta al pubblico, ormai
sempre più omologato, i suoi prodotti: da uno stereotipo (situazione o personaggio standard) si
sviluppa un prodotto; nell’ideazione si spreca la minor quantità di tempo e denaro possibile
garantendo un guadagno maggiore.
A seconda del mezzo attraverso il quale un determinato contenuto viene trasmesso, la forma e
molte caratteristiche di quel contenuto dovranno essere adattate al mezzo stesso (non a caso
esistono i riadattamenti).
Quella di riadattare una determinata produzione realizzata con fortuna da un altro media è
una consuetudine ormai praticata spesso.
Anche i “film principeschi” (tranne Aladdin e La Principessa e il Ranocchio), come già presentato
al paragrafo 2. 1. 3., si rifanno a trame già scritte e diffuse nel panorama culturale mondiale.
Quello che la Disney, però, troppo spesso non comprende è che una fiaba, pur essendo un
prodotto volutamente anacronista, trasmette messaggi sempre attuali.
Queste caratteristiche non possono essere riportate da un prodotto cinematografico che, in
quanto tale, dovrebbe essere il più possibile contestualizzato e per questo dovrebbe
svilupparsi seguendo i suoi tempi e la società che lo ha prodotto.
La Walt Disney Pictures, nel corso degli anni, ha sempre cercato di portare innovazione
all’interno dei propri prodotti, seguendo i suggerimenti, molte volte opprimenti, della critica.
Grazie alla volontà di migliorare, l’azienda ha eliminato molti dei suoi punti deboli ma il
lavoro da svolgere rimane ancora considerevole: quando la casa cinematografica ha tentato di
cambiare registro, infatti, il successo non è stato sempre quello sperato.
Analizzando i nove cartoons citati nella filmografia di campionamento, non è difficile
riscontrare anche alcuni problemi o punti negativi che caratterizzano la trasmissione dei
messaggi nella produzione della Walt Disney Pictures.
34
Stereotipizzazione
“Dai primi anni settanta ad oggi molti sociologi hanno esaminato come i prodotti culturali di massa
riproducano gli stereotipi razziali e di genere”.
Wendy Griswold5
Chiaramente, la stereotipizzazione può avere un effetto negativo e, come per la trasmissione
d’altre forme d’informazione, anche gli stereotipi di genere possono essere tramandati di
generazione in generazione dato che molti studi dimostrano che gli stereotipi sono insegnati o
trasmessi ai bambini fin dall'età di quattro anni.
Quello della stereotipizzazione è uno dei punti deboli più opprimenti per la casa
cinematografica di Burbank, al quale si è cercato più volte di porre rimedio. Appare in Disney
come elemento forte sotto due punti di vista: genere e razza.
L’analisi dei “film principeschi d’animazione” in Disney ha portato, effettivamente, a
conclusioni non del tutto positive.
Riguardo alla figura stereotipata della donna, nei primi tre cartoons d’animazione, creati tra la
fine degli anni ’30 e la fine degli anni ’50, Biancaneve, Cenerentola e Aurora sono tre signorine
che sperano di sposare i loro innamorati già pochi secondi dopo averli incontrati. Questo
cambiò (solo leggermente) tra gli anni ’80 e gli anni ’90 con Ariel, Belle e Jasmine, tre
damigelle che acquistano un senso d’avventura e di sfida. Il tutto culmina con Pochaontas,
Mulan e Tiana, tre donne forti abbastanza da lottare per ottenere quello che vogliono.
Analizzando i già citati cartoons più da vicino ed in ordine cronologico, è possibile riscontrare
molti punti deboli e soffermarsi su alcuni punti d’interesse.
Nel primo lungometraggio animato della Disney, Biancaneve e i Sette Nani, non a caso, in una
delle prime scene del film, compare la protagonista cantando “io sogno la felicità che un
giorno verrà”. Il principe sente la sua voce e appare nel riflesso di un pozzo: questo è l’unico
momento in cui questo personaggio compare all’interno della narrazione prima della classica
conclusione a lieto fine in cui risveglia la principessa dormiente con un bacio di vero amore.
Tutte le eroine dei classici Disney sono delineate da questo tipo di scene: l’amore è ridotto ad
un unico, magico e libidinoso momento che dura per l’eternità.
Un altro elemento curioso di Biancaneve è che lei è un’esperta di pulizie. È quasi evidente che,
ai suoi esordi, la Disney propose un modello di donna casalinga di professione e nata apposta
per trovare marito. In riferimento a questa osservazione, è doveroso far notare a chi non vi
avesse prestato caso, che Biancaneve si sente in dovere di svolgere le faccende di casa: pulisce
senza che nessuno glielo chieda anche la casa dei sette nani appena vi entra.
Cenerentola e La bella addormentata nel Bosco presentano situazioni simili: entrambe le
5
Wendy GRISWOLD, Sociologia della cultura, Bologna, Il Mulino, 1997, cit., p. 124
35
protagoniste hanno una canzone il cui testo si riferisce alla loro volontà e al loro sogno di
incontrare un principe.
In una foresta, Aurora de La bella addormentata nel Bosco, canta di un principe dei sogni e,
insieme ai suoi amici animali, incontra il principe Filippo. Aurora non sa di essere una
principessa e già sua promessa sposa, ma è amore a prima vista. I due cantano assieme,
discutono di matrimonio a pochi minuti dal loro incontro e pianificano di incontrarsi la notte
stessa. Il climax di questo film è raggiunto quando il principe è sottoposto alla prova di
raggiungere il castello e salire fino alla stanza in cima alla torre più alta per baciare la
principessa e risvegliarla dal sonno impostole dalla maledizione: curiosamente, in modo
molto simile trova un suo epilogo anche Biancaneve e i Sette Nani.
In Cenerentola, il principe (a cui non è dato neanche un nome) non riesce a salvarla da solo, ma
necessita l’aiuto della Fata Smemorina e di tutti i suoi amici animali che accorrono al
salvataggio. In ogni caso, conosce il principe al ballo e i due dicono immediatamente di essere
innamorati con il loro duetto “Allora è questo amore”: s’incontrano solo una volta e già
parlano di matrimonio.
Kathi Maio, nel suo articolo intitolato “Disney’s Dolls”, descrive questo tipo di donne come
“felici casalinghe-nate che mentono in uno stato di sospensione fino a quando un uomo della
loro la vita” 6. In questi primi tre “film principeschi”, ci si confronta con un’immagine della
donna nettamente stereotipata e rinchiusa nei pregiudizi immutati della mentalità dell’epoca.
La qualità immancabile per essere una vera donna è la bellezza che “salva” il personaggio dai
loro problemi o dalle loro condizioni sfavorevoli.
Dopo la morte di Walt Disney nel 1966, la prima principessa Disney che raggiunge gli schermi
risulta essere un po’ diversa da quelle che il fondatore della compagnia presentava al suo
pubblico: questa principessa ha la coda e vive sott’acqua, ma queste non sono le uniche cose
che la rendono diversa.
Ariel de La Sirenetta è più indipendente delle tre principesse che la precedono. Il suo sogno è
di avere avventure a stretto contatto con gli esseri umani. Come i precedenti “film
principeschi” Disney, presenta anch’esso dei numeri musicali che esprimono i desideri e le
volontà della principessa, ma, a differenza degli altri, questo film d’animazione vuole
trasmettere la necessità di entrare a contatto con qualcosa di diverso da ciò a cui si è abituati.
Inoltre, diversamente dalle altre principesse Disney, Ariel non si sottomette mai ai suoi
obblighi né obbedisce agli altri. A dispetto di queste caratteristiche innovative nella figura
della principessa, anche lei cade nella trappola Disney dell’amore a prima vista e decide di
rinunciare al suo mondo e a tutti i suoi cari per poter stare accanto al principe Eric. Ecco che lo
stereotipo si ripresenta: ciò di cui necessita davvero una donna è il solido appoggio che le può
essere procurato solo da una figura maschile. Non si può negare alla Disney di aver compiuto
un passo avanti grazie a questo cartoon, ma all’evoluzione della rappresentazione
6
Kathi MAIO, Disney’s Dolls, in “New Internationalist”, 1998, cit., p. 1
36
dell’interiorità è solo apparente, così come quella dell’aspetto fisico. Il messaggio proposto
rimane sostanzialmente immutato.
Il successivo film, evita la trappola dell’amore nato con il primo sguardo. L’eroina presentata
non è esattamente una principessa, ma s’innamora di un principe: la differenza con le altre
protagoniste è che questo non succede immediatamente. Infatti, si tratta del primo film
principesco della Disney dove vediamo una storia d’amore in cui i due amanti cercano di
conoscersi l’uno con l’altra prima di innamorarsi. Dopo anni d’esperimenti falliti, ecco riuscito
il tentativo di presentare il personaggio femminile più indipendente non solo nel modo di
agire, ma anche in fatto di sentimenti amorosi. Rimane una caratterizzazione esteriore basata
sulla bellezza della protagonista, anche se, prima della diffusione di questo film, la Disney
dichiarò di voler veicolare un preciso messaggio chiave: nella nostra società orientata
all'immagine, l'immagine non è tutto. Probabilmente si cerca di contestare la cultura,
soprattutto americana, della "moglie trofeo o gioiello da esibire” solamente facendo sembrare
Belle un po’ più acculturata delle altre protagoniste, ma lo scopo dell’azienda non fu
raggiunto a causa di questo simbolismo incompreso.
Il film d’animazione che segue presenta una relazione tra i due protagonisti simile a quella che
è presentata tra la Bestia e Belle. Si tratta del film Aladdin. Jasmine, la figlia del sultano, non sta
affatto cercando un principe: lei è una ragazza esuberante che non intende sposare il primo
pretendente. Conosciuto Aladdin in modo casuale, il ragazzo incomincia ad essere attratto da
lei, ancor prima di sapere che si tratta di una principessa. All’inizio Jasmine non è attirata da
lui ed è contrariata dalla sua arroganza ma, dopo che Aladdin le permette di vedere il mondo
dal suo tappeto volante, lei è convinta dal suo fascino e dal suo spirito libero.
Ariel, Belle e Jasmine sono donne che vanno contro le convenzioni del mondo che le circonda
al fine di trovare la propria versione del “vivere per sempre felici e contente”. È innegabile un
miglioramento, ma queste principesse sono ancora damigelle in difficoltà e quando
s’imbattono in una situazione pericolosa hanno bisogno dell’aiuto di qualcuno, spesso del loro
amante del quale non possono fare a meno di innamorarsi. Possiedono, innegabilmente, come
qualità primaria la bellezza e sono caratterizzate dall’essere presentate molto più
approfonditamente sotto il profilo sia fisico che emotivo o dei valori.
Questo è ciò che la Walt Disney tenta di cambiare nelle tre produzioni successive.
Nel 1995, viene presentata una donna il cui mondo viene scoperto da popolazioni lontane, una
donna che è pronta ad immolarsi per una giusta causa se questo risultasse essere necessario.
Questa donna è Pocahontas che incontra e s’innamora del capitano John Smith. Si tratta di un
amore con un finale insolito. Questa è la prima protagonista che ritrova la sua armonia e la sua
serenità non nella relazione amorosa ma nella natura e con la sua gente. È vero, il mito della
bellezza non viene neanche in questo caso sfatato, ma lo stereotipo di genere, sempre più
lontano dalla figura della donna come perfetta casalinga e perfetta moglie si allontana
nettamente anche se, purtroppo, non definitivamente.
Il nome dell’eroina del successivo cartoon è Mulan, una ragazza cinese che delude le
37
aspettative del suo villaggio che la vuole casalinga e si arruola nell’esercito come uomo.
Probabilmente cresce in una cultura che la vorrebbe di più come Cenerentola o Aurora, ma
non è come loro. Porta avanti l’onore della sua famiglia e del suo villaggio comportandosi in
pubblico come le regole stabiliscono, ma le cose cambiano in altri momenti. Quando gli Unni
invadono la Cina, Mulan si traveste da uomo e si arruola. È un nuovo tipo di eroina Disney,
ancora più innovativa della sua precedentrice. Non è alla ricerca di romanticismo né vuole
conoscere posti nuovi: è una donna che desidera proteggere le persone che ama e si appoggia
solo su se stessa per raggiungere i suoi scopi. Il film introduce un interesse amoroso per la
protagonista, il generale Li Shang, ma non vi si focalizza mai nella storia, ed in più, Mulan
diventa la damigella che salva tutti gli uomini dalla minaccia degli Unni: da questo punto di
vista, è un grosso passo avanti per la casa di produzione cinematografica.
Passati ben undici anni da questo film, ecco che la Disney propone nelle sale cinematografiche
il cartone d’animazione La Principessa e il Ranocchio.
Come le due che la precedono, anche questa protagonista combatte per qualcosa che le sta
molto a cuore, ma questa volta non si tratta di mantenere alto l’onore della famiglia o di
salvare il proprio popolo. Tiana desidera più d’ogni altra cosa possedere un proprio ristorante,
uno scopo di certo meno nobile ma che le permetterebbe di ottenere indipendenza e
autorealizzazione. Una serie d’avventure la vedono trasformata in rana, ma il ranocchio che
condivide con lei il lieto fine, con relativo bacio, si rivela un principe che fa di Tiana la classica
principessa disneyana, con corona e abito azzurro. Lo stereotipo della fanciulla indifesa viene
anche qui messo in disparte per lasciare spazio alla figura di una donna intraprendente e il
finale non va contro gli obiettivi della protagonista.
Confrontando queste ultime tre principesse e guardando alla loro caratterizzazione da un
altro punto di vista, è possibile notare l’altra faccia della medaglia. Pocahontas sacrifica il suo
amore per uno scopo più alto ma per riuscire ad ottenere ciò che vuole è costretta a supplicare
sfruttando la sua posizione ed influenza; Mulan è una guerriera lottatrice, però deve vestirsi
da uomo per comportarsi con fierezza; Tiana, senza dubbio, non deve spogliarsi dei suoi
vestiti per ottenere ciò che desidera né tanto meno cerca aiuto sfruttando la sua posizione:
cerca di ottenere il suo ristorante da sola. Se apparentemente potrebbe sembrare che l’ultima
principessa porti la Walt Disney ad una regressione rispetto al superamento dello stereotipo di
genere, ecco che anche questa impressione viene smentita non senza assodare l’effettiva
necessità di un volta pagina definitivo su questo importante tema.
Ovviamente, i ruoli di genere non sono spiegati ai bambini dai genitori nel loro gioco con i
figli, ma anche tramite ciò che i genitori fanno vedere ai propri bambini. I film d’animazione
Disney sono un modo semplice per trasmettere la socializzazione e i ruoli di genere, ma allo
stesso tempo dev’esserci l’interazione umana e non si devono prendere per buoni tutti
prodotti di cui è possibile fruire.
38
Passando alla riflessione sullo stereotipo di razza, è significativo iniziare citando Roberto
Lasagna: “Magari l’America non è Disney, ma certamente Disney è l’America”7.
Sin dalla genesi dell’azienda, l’American Dream è un elemento saldo e presente.
Le fiabe di lunga tradizione europea, le suggestioni orientali e la storie del Nuovo Mondo
entrano nella fabbrica Disney per uscire trasformati in perfetti raccontini “made in U.S.A.”,
pronti a loro volta per l’esportazione globale, visto che per il cinema americano è più
importante il predominio sui territori esteri che il successo nel mercato interno. Parlare oggi
della Walt Disney e dei suoi film, ragionare sulla colonizzazione culturale di cui essi sono stati
ambasciatori, circoscrivere gli scenari socio-economici ad essi collegati, è importante perché
Disney rappresenta un fenomeno precursore di un cinema diventato imperatore globale.
La “trascrizione” da parte della Walt Disney Pictures di storie fiabesche a tema amoroso in cui
i personaggi sono in totale armonia con la natura benevola e dove sono esaltate le classiche
virtù americane, come il duro lavoro, è rimasta immutata da quando il fondatore della casa
cinematografica creò Biancaneve e i sette Nani.
I personaggi “stock” e le trame scontate e prevedibili hanno portato la critica a sostenere che i
film Disney contengono addirittura alcuni elementi razzisti, oltre che stereotipi di razza.
In merito al ritratto cinematografico della cultura e della differenziazione tra razze, ecco che si
presenta un dilemma per la Walt Disney: la società deve mantenere i tradizionali valori
americani anche se percepisce il mutare dei tempi della società d’oggi?
Solo quattro dei nove film del campione sono rilevanti nell’analisi della rappresentazione
della cultura e della razza in Disney: Aladdin, Pocahontas, Mulan e La Principessa e il Ranocchio.
I cinque cartoons precedenti non si preoccupano nemmeno della possibilità di diffondere una
cultura diversa da quella statunitense: l’unico di questi cartoni d’animazione che presenta il
tema del multiculturalismo (La Sirenetta), lo fa in modo estremamente singolare perchè parla
della possibile interazione tra due specie diverse.
Aladdin, invece, è il primo dei nove lungometraggi a presentare un’ambientazione che si stacca
dallo standard che lo precede. Pur nell’innovazione, anche questo film propone nei testi della
colonna sonora e nelle immagini elementi negativi e stereotipati, così come sono presenti
stereotipi etnici anche nella storia.
Il film esordisce con la canzone “Notti d’Oriente” che, nella versione italiana, recita così:
“La mia terra di fiabe e magie, credi a me,
ha i cammelli che van su e giù
e ti trovi in galera anche senza un perché:
che barbaríe, ma é la mia tribù!”
7
Roberto LASAGNA, Walt Disney e il cinema, Alessandria, Falsopiano, 2001, cit., cap. 3.
39
Questa traduzione non fa trasparire i toni offensivi della versione originale americana, la quale
era talmente discriminatoria da scatenare le ire della “American-Arab Anti-Discrimination
Committee” che con le sue proteste riuscì a far modificare le parole della canzone. Inoltre, i
personaggi vili (come Jafar, il visir) hanno decisamente un look arabo, mentre l'eroe Aladdin, si
fa chiamare con il soprannome Al ed è caratterizzato da un fresco viso americano. Un altro
ritratto stereotipato degli Arabi nel film è riscontrabile nelle parole del narratore della storia
che si auto-definisce come un brutto e sporco arabo. Come sempre, Disney non intende
offendere nessuno perché questo sarebbe un cattivo affare. Il
compito della Disney,
ovviamente, è quello di cercare di rafforzare i presupposti culturali nel modo più efficace per
raccontare una storia. La maggior parte del pubblico non si accorge neppure quando questo
accade. È semplicemente causa della “Magia Disney”.
A causa delle critiche razziali e culturali ricevute per il film in proiezione nei grandi schermi
nel 1992, la casa cinematografica si propone come obiettivo di produrre un film accettabile da
tutte le culture: Pocahontas è la risposta alla critiche a causa della razza o dei pregiudizi
culturali, un cartoon che presenta il fiorire di una storia d’amore tra un capitano inglese ed una
donna indigena del Sud America. Per assicurare un’imparziale e non discriminatoria
rappresentazione dei nativi americani, Disney s’impegnò circa tre anni (dal 1992 al 1995).
Nonostante gli sforzi, sono molte le critiche nei confronti delle distorsioni storiche del film.
Non è servito consultare i discendenti dei Powhatans ne tanto meno le visite da parte di
scrittori, registi, animatori, musicisti a Jamestown, in Virginia al fine di ricreare l'atmosfera
dietro la storia di Pocahontas. La Disney ha commesso l’errore di rendere la dura realtà dei
fatti una commedia con un lieto fine: nel tentativo di darne un'interpretazione allegra, il
genocidio dei nativi americani si conclude nel film con la pace tra i nativi e coloni (non si fa
menzione della decimazione finale della nazione Powhatan). La Disney, probabilmente, non
presta attenzione al fatto che riadattare una storia vera richieda molti più sforzi e sensibilità.
Mulan, il film dell’eroina cinese che salva il suo popolo dall’invasione unna, fallisce nel
ricreare il significato dell’antica cultura e delle tradizioni della Cina già nelle primissime
scene. La protagonista del cartoon, infatti, ha una sensibilità occidentale e, pur essendo
attraente e comportandosi amorevolmente, non ricalca il rigore cinese. Si dimostra impattante
per la psiche la doppia rivelazione che una donna, senza rinunciare alla sua cultura, possa
essere sia asiatica che una principessa Disney e che il suo bel principe possa essere un uomo
asiatico.
Riadattando le leggende di queste due ultime eroine la Walt Disney Pictures ha voluto
allontanarsi dalla routine fiabesca ma il risultato ottenuto dalla critica, soprattutto per quanto
riguarda la diffusione dell’idea di multiculturalità, risulta alquanto demoralizzante.
Compensa questo fatto il grande successo di pubblico, come di costume per questa azienda
dello spettacolo.
Trattando de La Principessa e il Ranocchio, critiche di razzismo e discriminazione sono state
rivolte alla Walt Disney Company a causa del fatto che la protagonista, che inizialmente è una
40
serva (per poi diventare principessa), sia afro-americana. Tuttavia in questo cartone
d’animazione non sono presenti stereotipi di razza e le note di biasimo mosse nei confronti di
Walt Disney sono state da molti considerate futili per la seguente motivazione: quasi la totalità
delle principesse delle fiabe Disney (Biancaneve, Cenerentola, Belle, ecc.) prima di diventare
personaggi regali sono persone di status umile. L'azienda ha ribadito che il colore della pelle è
stato scelto proprio per dare una nuova "linea" alle future pellicole: si tratta di uno spirito
d’innovazione non del tutto casuale perché Tiana, l’ultima principessa, nasce nella cosiddetta
“era obamiana" e il successo dell’uscita del film nelle sale cinematografiche non poteva che
essere aiutato dal grande fermento e dai numerosi consensi ottenuti (non solo in America) dal
primo presidente di colore della storia degli Stati Uniti.
Dis-parità dei sessi
Il genere è un argomento importante nella società odierna. La maggior parte delle persone
sente la pressione derivante dagli stereotipi di genere senza realmente capire cosa sono e
anche senza essere consapevoli della loro influenza sulla nostra percezione. I ruoli di genere
sono le qualità e le caratteristiche che si ritengono intrinsecamente femminili o maschili. Così,
ad esempio, secondo gli stereotipi di genere il posto di una donna è in casa, mentre il posto di
un uomo è di lavorare per il mantenimento di tutta la famiglia.
I personaggi femminili sono spesso descritti come passivi ed emotivi, con occupazioni come
casalinga, cameriera o principessa, mentre i personaggi maschili sono considerati attivi e
coraggiosi e descritti come insensibili o privi d’assistenza e sentimenti d'amore. Le scelte
inerenti la carriera sono più attive ed interessanti rispetto a quelle fatte dai personaggi del
gentil sesso: spesso occupano professioni, come militari o principi che hanno bisogno di
salvare le principesse indifese. Alcune storie classiche o contemporanee che contengono
stereotipi continueranno, probabilmente, ad essere lette a casa e a scuola. Sia i maschi che le
femmine possono essere compromessi a livello intellettivo da questi stereotipi: le ragazze
possono sentirsi inferiori o passive, i ragazzi incapaci di esprimere emozioni o sotto pressione
per la realizzazione dei propri obiettivi.
I mezzi di comunicazione utilizzano il genere a proprio vantaggio e le produzioni Disney non
si comportano diversamente. Le imprese Disney (che includono stazioni radio, reti televisive e
molte case di produzione) hanno esercitato una grande influenza sul pubblico, specialmente
sui bambini. Attualmente molte persone stanno boicottando Disney a causa di ciò che alcuni
pensano sia una mancanza di “valori familiari”. Molte persone sono interessate, in particolare,
dalla rappresentazione delle donne e dal loro comportamento discutibile nei film
d'animazione Disney. In genere le donne sono mostrate nei ruoli di principesse, regine o
casalinghe: citando un banale esempio, Cenerentola è una inserviente che poi si trasforma in
una principessa. Sembra anche che siano illustrate come asservite ai personaggi di sesso
maschile che di solito dimostrano di avere un carattere forte, come Gaston in La Bella e la
Bestia: questo personaggio è ritratto con un comportamento energico, il suo fine ottenere ciò
41
che vuole, sia questo una ragazza o un oggetto materiale. Sembra che le donne siano viste
come un bene in una società patriarcale: quando non sono più proprietà del loro padre, ecco
che diventano proprietà di loro marito o di un altro uomo. Questo vale per Ariel che viene
consegnata dal padre al principe Eric, per Jasmine di Aladdin e per Belle, la cui libertà viene
scambiata con quella del padre Maurice dalla Bestia. Questi personaggi sono dei modelli per i
bambini che guardano i film Disney, e rappresentano ancora il rafforzamento degli stereotipi
di genere raffigurando gli uomini come coloro che usano il loro carattere forte e le donne come
sottomesse.
Uniformizzazione delle culture
Ci troviamo oggi in un mondo sempre più caotico e livellante che assorbe ed omogeneizza
culture, ideali, tradizioni e sembra lasciare poco spazio al mistero della diversità, al fascino
della scoperta dell’altro.
Ciò che la Walt Disney Pictures sta promuovendo, non solo con i suoi “film principeschi”, è
una quasi totale rivisitazione all’americana delle persone, delle cose e dei fatti. Negli anni la
firma Disney contribuisce sempre più all'incremento dell’assimilazione dei modelli occidentali
nel mondo. Sia grazie all’analisi dei lungometraggi che dallo studio condotto attraverso i
questionari, è risultato che troppo spesso le rappresentazioni standardizzate trovano spazio
nella produzione della casa cinematografica. Spesso le dichiarazioni dell’azienda hanno lo
scopo di attenuare le critiche o i commenti negativi ad essa rivolti, ma probabilmente il
modello americano che influenza la caratterizzazione dei personaggi (esteriore ed interiore) e
la modalità di rappresentazione paesaggistica, così come altre caratteristiche riscontrabili
all’interno dei lungometraggi, riscuote un tale successo da non poterne evitare la riproposta
sui grandi schermi. La Walt Disney Pictures, insomma, non può essere valutata solo in quanto
azienda inerente la settima arte, ma dev’essere inserita anche all’interno del contesto
comunemente chiamato “fabbrica hollywoodiana”, con le sue regole, i suoi capisaldi e le sue
tattiche di mercato.
La cultura di massa, sempre più velocemente ed efficacemente, sta sostituendo la cultura alta e
i mass media sono i principali diffusori di questa nuova forma del sapere che ha tra le sue
conseguenze anche un livellamento della differenza tra le culture.
La Walt Disney, in quanto azienda hollywoodiana, ha accettato il compromesso
dell’adattamento alle preferenze del mercato per non andare in fallimento: il marketing ha
prevalso e prevale tuttora sulla volontà della trasmissione della conoscenza attraverso una
forma d’arte come il cinema.
42
3. 2. Valenza educativa dei prodotti Disney
“I film che faccio non sono rivolti in primo piano all'infanzia: a meno di non considerare l'infanzia
come simbolo dell'innocenza. Anche il peggiore di noi ha in sé dell'innocenza, per quanto possa essere
sepolta nel suo profondo. Nella mia opera, cerco di raggiungere e di parlare di questa innocenza”.
Walt Disney
Dalla domanda di Henry Giroux rivolta ai suoi lettori inizia questa parte di riflessione nella
ricerca: “ I film Disney sono adatti ai vostri bambini?”8. D'altronde il fondatore della famosa
casa cinematografica non aveva alcuna considerazione per la psicanalisi. Gli eroi disneyani,
soprattutto quelli dei film presi in analisi, sono tutti vittime di una fragilità costitutiva,
esteriorizzata nella perdita o mancanza delle figure dei genitori. Disney rifiutò di vedere in
questi film un significato che non fosse quello letterale della superficie dell’intreccio: l’analisi
psicologica e qualsiasi forma di scavo nel profondo non presentavano ai suoi occhi alcun
significato.
Questo fattore, probabilmente, può essere considerato alla base della politica aziendale della
Walt Disney Pictures: una volta ottenuto il successo di pubblico (anche se non quello della
critica) non è necessario cambiare, se non in alcuni dettagli, il contenuto dei propri prodotti.
Tutti gli elementi sopra commentati (la presenza di forti stereotipi di genere e di razza, la
diffusione di una cultura livellata, ecc.) sono proposti agli infanti e contribuiscono alla loro
formazione ed educazione.
L’infanzia è un periodo critico nella formazione della persona e se ciò che la casa di
produzione Walt Disney propone nei film d’animazione non è un “modello ideale” forse
sarebbe più indicato proporre ai bambini le fiabe del repertorio tradizionale.
Molti studi inerenti la scienza psicologica e le branche mediche della psichiatria e della
psicoterapia confermano che per imparare a destreggiarsi nella vita e superare quelle che per
lui sono realtà sconcertanti, il bambino necessita conoscere se stesso e il complesso mondo in
cui vive. Ciò che occorre è un’educazione morale e idee sul modo di dare ordine e coerenza
alla dimensione interiore: ad un bambino si devono fornire input astratti che permettano la
stimolazione degli interessi e dell’immaginazione (attivazione dell’attenzione).
La valenza educativa dei cartoni proposti all’infanzia è limitata. Questa evidenza è data, in
primo luogo, dal fatto che lo stimolo all’uso autonomo dell’immaginazione è quasi assente: un
bambino fruendo del cartone ha già tutto davanti ai suoi occhi e in seguito alla visione, anche
ripetuta, del prodotto multimediale spesso non è più in grado di dare una descrizione dei
soggetti o dei fatti non vincolata al tipo di descrizione propostogli dal prodotto stesso. Se si
aggiunge anche la ripetizione dello “stereotipo di successo”, ecco che l’efficacia educativa del
multimediale cinematografico sull’infanzia diminuisce a livello esponenziale.
8
Henry A. GIROUX, The politics of early childhood, New York, Peter Lang, 2000, vol. 10
43
Criticare l’oggetto multimediale in sé in quanto contenitore di messaggi educativi di livello
inferiore rispetto ad altri media può essere visto come un pacifico attacco all’evoluzione del
processo comunicativo (giudicato più adeguato nel passato) soprattutto se relazionato
all’infanzia. Ne consegue anche un rimprovero all’evoluzione tecnologica da cui la
comunicazione umana attuale dipende o con la quale è comunque a stretto contatto.
Ovviamente quest’analisi né nella parte compilativa e né nella parte più sperimentale
pretende di andare contro il sistema di comunicazione attuale. Al contrario, si vuole
evidenziare il fatto che il progresso porta alla predominanza di alcune necessità su altre. In
questo momento la necessità è di prestare più attenzione al che cosa (parte contenutistica) si
trasmette tramite i mezzi di comunicazione che veicolano prodotti multimediali piuttosto che
al come lo si fa (parte estetica).
Nella sua produzione, nonostante la propria storia commerciale fortunata, la Walt Disney
Pictures non si eleva mai, per la qualità dei contenuti, rispetto alle altre aziende concorrenti
nel campo cinematografico. Il successo dei primi decenni viene trasformato in moda e diventa
troppo frequente la ricerca di un miglioramento sul piano grafico e dell’animazione piuttosto
che sulla parte iniziale d’ideazione del lungometraggio. Anno dopo anno, film dopo film, le
ripetizioni dell’azienda non annoiano il pubblico ma, al contrario, danno una certezza in più
per gli acquirenti degli elaborati della decennale firma Disney, simbolo di qualità.
I “film principeschi” sono quelli in cui è possibile riscontrare con più facilità questo punto
debole della produzione Disney perché i nove film d’animazione a tema simile si presentano
in un arco temporale abbastanza ampio. La Walt Disney Pictures ha una possibilità che non
sfrutta, forse perché non si tratta di un elemento a scopo si lucro. Ha tutta l’influenza
necessaria per dare una svolta qualitativa al mercato del disegno d’animazione: una
prospettiva educativa in più per le fasce d’età più giovani aiuterebbe certamente alla
formazione di una generazione con fondamenta più salde.
44
4. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI
La ricerca si sviluppa in due sezioni distinte l’una dall’altra ed alterna parti compilative a
ricerche sperimentali sull’argomento. L’oggetto d’indagine, studiato dai due punti di vista
della valenza culturale – prima sezione – e della valenza educativa – seconda sezione – è
rappresentato da un insieme di nove lungometraggi d’animazione della famosa casa
cinematografica Walt Disney. I nove “film principeschi” trovano il loro successo nell’essere un
riflesso della metamorfosi sociale e da ciò consegue il loro status di modelli per l’infanzia. Sia
le ricerche che l’analisi e il questionario hanno portato a queste conclusioni: ciò che la Walt
Disney presenta il più delle volte in questi nove lungometraggi è una visione-stereotipo sia del
genere che della razza con tendenza all’uniformizzazione. A tutto ciò si aggiungono gli
elementi dannosi per i bambini esposti a questo tipo d’input audiovisivi, i più importanti dei
quali sembrano essere la riduzione dell’immaginazione personale dei bambini (non solo per
quanto
riguarda
l’impressione
estetica,
ma
anche
nei
livelli
più
profondi
della
caratterizzazione del mondo esterno) e la diminuzione della loro capacità di rappresentare i
dettagli associabili alle informazioni di principale importanza.
Se guardiamo alla definizione di “conoscenza” all’interno della lingua italiana, il termine
starebbe ad indicare la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni
ottenuti
attraverso
l'esperienza
o
l'apprendimento
(a
posteriori),
ovvero
tramite
l'introspezione (a priori). Al giorno d’oggi la nostra comprensione, da cui deriva
l’introspezione, è manipolata dalla volontà di alcune aziende che fanno parte dell’“industria
culturale” di proporre i contenuti mirando al proprio interesse e non a quello del proprio
pubblico. È la globalizzazione, fenomeno che ha permesso di superare le barriere materiali ed
immateriali alla circolazione informazioni/idee ma con la controparte dell’uniformazione
degli stili di vita/visioni ideologiche, in conformità col modello occidentale metropolitano.
Non è più l’era del Principe Azzurro a cavallo, nella realtà in cui viviamo non esistono le
matrigne-streghe però, nonostante questo, le principessine trovano spazio nella nostra società.
L’influenza che i mass media hanno sulla nostra quotidianità è prodigiosa: persino la Walt
Disney Pictures con i suoi lungometraggi apparentemente innocenti è riuscita a imporsi nella
psiche di chi ne fruisce i contenuti. Resta solo il bisogno elementare di reagire contro la
distorsione della conoscenza e, in ogni caso, tutto questo si può ottenere solo con la
controinformazione. Ricollegandosi al tema di ricerca, gli spunti forniti dall’analisi possono
essere l’inizio, per genitori ed insegnanti, di un consumo di prodotti multimediali per
l’infanzia più consapevole. Tutto questo a favore dei bambini delle nuove generazioni.
45
5. APPENDICI
In questo capitolo vengono presentati due temi accessori e complementari rispetto
all’argomento di ricerca proposto.
Nel paragrafo 5. 1. è presentato un riassunto della lunga discussione imbastita da alcune
esponenti del femminismo come Kathi Maio e Susan Riley attorno allo scottante tema de “La
rappresentazione della donna nella produzione Disney”. La Disney, infatti, sin dai suoi esordi,
non è mai stata vista di buon occhio da questo movimento culturale, sociale e politico e le
critiche non sono mai mancate, nemmeno nel “film principesco” del nuovo millennio La
Principessa e il Ranocchio. Questa presentazione vuole essere il meno possibile estremista, in
modo da permettere un punto di vista oggettivo rispetto all’argomento anche se alcune
esponenti del femminismo hanno voluto imporsi spesso con frasi dure come quella in cui si
afferma che " la magia del mondo Disney è 'assuefazione' come crack per i bambini di cinque
anni".
L’altro punto facente parte del capitolo (paragrafo 5. 2.) espone le possibili motivazioni del
successo su larga scala di una delle più grandi aziende del mondo nel campo dei media e dello
spettacolo, leader assoluta del mercato dell'intrattenimento infantile. Il più grande punto
interrogativo rimane nella comprensione del punto di forza della Walt Disney Pictures:
un’elevata qualità nei prodotti o una buonissima idea di marketing?
5. 1. Il femminismo ed il “Princess Complex”
Nella catalogazione bibliografica a datazione più recente sono numerosi i libri, i saggi e gli
articoli a matrice femminista che trattano il sostanzioso tema della rappresentazione della
figura femminile nei prodotti multimediali diretti all’infanzia. Questa bibliografia non tratta
approfonditamente solo il problema della pericolosità della diffusione di alcune nozioni
simboliche in sé, ma ricerca anche le motivazioni dell’imposizione di alcuni modelli rispetto
ad altri nella nostra società massificata.
Inoltrandoci di più nel tema di ricerca, secondo alcune femministe, partendo da spunti
cinematografici Disney riconducibili in gran parte ai nove “film principeschi, è possibile
trovare gli insegnamenti fondamentali d’attrazione proposti dai mass media. La casa
cinematografica statunitense, infatti, dipinge un proprio ”mondo rosa” il più stereotipato
secondo la famosa studiosa Kathi Maio che definisce le donne Disney come “felici casalinghenate che mentono in uno stato di sospensione fino a quando vengono salvate dall’uomo della
loro la vita”9, nulla è cambiato dagli antiquati ideali Disney degli anni quaranta e cinquanta:
gli stessi ruoli di genere sono ripresentati nella cultura moderna. Secondo lei il riassunto della
9
Kathi MAIO, Disney’s Dolls, in “New Internationalist”, 1998, cit., p. 1.
46
raffigurazione delle donne è che se si è magre, in forma, alte e con un grosso petto allora si è
sexy. Guardando ognuna delle principesse Disney, non è difficile capire perché ogni bambina
vorrebbe immedesimarsi in loro. Sono tutte belle e ricercate; hanno questi piccoli corpi perfetti
che attraggono le altre persone: un principe non ha il tempo di innamorarsi della principessa
ma solo del corpo che sfila davanti a lui. D’altronde, dicono le femministe, è la loro bellezza
l’unica qualità che “salva” queste principesse dai loro problemi. La preoccupazione sollevata
circa l'immagine del corpo delle principesse proposta dalla Disney ha due fronti: la tendenza
verso la magrezza e l’inclinazione alla sensualità.
Mentre questo argomento topico è stato più volte suggerito nell’analisi dei nove
lungometraggi della ricerca, il problema degli effetti dannosi alla psiche di alcuni soggetti di
sesso femminile durante l’infanzia o il età puberale può essere considerata una nuova
questione aperta proprio da esponenti del femminismo come la già citata Kathi Maio e altre
psicoterapeute e sociologhe come Ann Rakow ed Heidi Herberich. È nell’analisi sul piano
psichico che entra in gioco il “Princess Complex”, quella tendenza di alcune ragazze che
pensano di aver diritto alla felicità e alla ricchezza materiale, facendo convergere in questi
desideri/bisogni tutto ciò che vogliono e pretendono dalle persone che le circondano. È un
modello di vita egoistico sempre più diffuso tra le teenagers ed è un tipo d’atteggiamento
totalmente acquisito, la maggior parte delle volte ricalcando esempi proposti dai mass media.
C’è qualcuno che pensa che sia solo una fase che passa in seguito al mancato arrivo del
Principe Azzurro, mentre altri studiosi la ritengono una deformazione incurabile. Resta il fatto
che è un tipo di malattia assolutamente nuovo nato principalmente sotto l’influenza dei “film
principeschi” (non solamente Disney), anche se questi prendono spunto da letteratura
antecedente. Nessuno può negare che quello delle principessa sia l'archetipo più longevo di
tutta la storia della letteratura. La facilità e la rapidità con cui un ossessione principesca può
prendere possesso della psiche di una giovane ragazza è allucinante.
L’analisi del “Princess Complex” da parte delle femministe si sviluppa in risposta alla visione
vittimistica
della
condizione
del
gentil
sesso,
sfuggendo
alle
giustificazioni
del
comportamento da “donne sul piedistallo” di alcune ragazzine e andando oltre il problema
del narcisistico auto-assorbimento. Ciò che una parte del movimento femminista cerca di fare
è capire il perché della predominanza d’alcuni prodotti multimediali, negativi rispetto alla
presentazione del soggetto femminile, su altri di contenuto più neutro.
In poche parole, le esponenti del femminismo leggono in chiave negativa ed alcune volte
criticano pesantemente quella parte della produzione Disney presa in esame in questa ricerca.
Tanto più forte è la critica quando si sottolinea che la Walt Disney Pictures è una società che si
colloca in una posizione molto forte in riferimento alla trasmissione di nozioni sulla cultura
grazie al suo successo di pubblico e, di conseguenza, commerciale.
47
5. 2. Disney: firma di fiducia o idea di marketing di successo?
Senza alcun dubbio, Walter Elias Disney può essere considerato uno dei protagonisti della
filmografia statunitense del XX secolo: è lui il creatore di una celeberrima fabbrica dello
spettacolo che continua, quasi senza ostacoli, la sua corsa verso nuovi orizzonti.
“Alcuni individui dotati cambiano il mondo culturale in cui vivono gli esseri umani”.
Wendy Griswold10
Si parla, in questa citazione con tema la sociologia della cultura, dell’importanza che alcune
persone possono rivestire all’interno del cosiddetto "diamante culturale", un vertice del quale
è occupato dalla figura del creatore. Gli altri tre elementi (gli oggetti culturali, i destinatari
culturali e il mondo sociale) stabiliscono legami o connessioni tra loro e con il creatore
culturale. Sono proprio queste connessioni che, molte volte, portano i destinatari culturali a
fruire d’alcuni oggetti culturali piuttosto che altri.
Analizzando sempre più il tema oggetto della ricerca, senza nulla togliere al talento, molte
volte è vero che il mondo culturale non porta in primo piano, sul panorama nazionale o
internazionale, solamente “il genio” di una persona. A questo punto di forza (comunque
fondamentale per un successo di pubblico nel tempo) è necessario aggiungere una discreta
quantità di marketing, il filtro che fa si che la dote del singolo riesca a diventare parte delle
conoscenze dei facenti parte del pubblico.
Da oltre mezzo secolo si parla di Disney, se ne leggono le storie, se ne vedono i film, si
acquistano con entusiasmo gli infiniti gadgets.
Le prove iniziali appartengono ormai alla sacra storia delle grandi innovazioni nell’ambito del
divertimento di massa, e di quello cinematografico in particolare.
Per lo spettatore comune e per la gente semplice Walt Disney divenne il “mago” o il “poeta”.
O, meglio ancora, un narratore davvero eccezionale che radunava in sé la capacità, la fantasia,
l’istinto onirico, l’ingegno, la sapienza rattenitiva, l’immaginazione e la creatività dei fratelli
Grimm, di Perrault e di tanti altri ancora. Una specie di “mostro favoliere”, nel senso buono
del termine, riconosciuto come l’unico in grado d’offrire ai giovanissimi il giusto divertimento
e rallegranti ore di svago. Insomma, un sicuro ed indiscusso punto di riferimento in fatto di
racconti “adatti” per la fanciullezza e la gioventù. Su questi principi e su queste convinzioni,
ma è anche doveroso aggiungere su questi condizionamenti, si sono formate diverse
generazioni: quelle degli anni trenta, quaranta e forse cinquanta. Con il trascorrere del tempo
e
con
l’apparizione
(in
Europa
nel
primo
dopoguerra)
d’alcuni
lungometraggi,
indiscutibilmente raffinati nella tecnica e certo abili nei richiami spettacolari come Biancaneve e
i sette Nani, il fascino della firma si venne consolidando ulteriormente, sino a totalizzare ogni
10
Wendy GRISWOLD, Sociologia della cultura, Bologna, Il Mulino, 1997, cit., p. 68
48
interesse del pubblico in fatto di disegno animato. Agli altri autori – ai Fleischer, agli Iwerks,
agli Avery, ai Freleng, per citarne alcuni – la produzione Disney lasciò al massimo le briciole
dell’udienza popolare. Forte di una struttura estremamente calibrata nelle sue parti e di una
managerismo interdisciplinare (fumetti, cinema, gadgets) essa ha, quindi, badato a non perdere
terreno ed affidabilità con una serie di nuove realizzazioni dopo il periodo aureo, in genere
lanciate sul mercato mondiale ogni due anni a cominciare dal disegno animato di Cenerentola.
A metà degli anni sessanta (Walt Elias Disney muore nel 1966), con un’iniziativa che può
apparire un fatto elementare e di scarsa rilevanza industriale, la Disney realizza il riciclaggio
dei suoi prodotti, ossia la ripresentazione – con scansioni temporali ben ragionate – dei titoli
che maggiormente avevano suscitato l’adesione della platea.
Alla resa dei conti, le affermazioni al botteghino di film “superati” provano con quanta
audacia imprenditoriale siano state immaginate e condotte siffatte operazioni di recupero non
svolte, evidentemente, sull’unico fronte della rappresentazione cinematografica, ma
accompagnate da un’articolata e promozione sviluppata sui diversi media a disposizione:
giornalini per ragazzi, raccolte di figurine, ristampe di libri, antologie rievocative, ecc.
Il ragionamento di base su cui hanno lavorato gli esperti ed i programmatori della Disney non
teme smentite perché, come già detto, molte generazioni, hanno assorbito l’incanto disneyano
quale unico universo fiabesco, oppure sono stati educati a considerarlo tale. Avendo confidato
a questa casa cinematografica totale fiducia, credibilità, affetto e riconoscenza, sarebbe
ingiustificato uno sguardo diffidente verso la stessa.
Su questo basilare istinto conservativo (della propria infanzia e adolescenza) l’imprenditoria
che guida la Disney sta, da moltissimo tempo, amministrando saggiamente il proprio
eccezionale patrimonio ed è consapevole che la concorrenza è riuscita a fare ben poco perché
la situazione del mercato si modificasse e che nonni, nonne, padri e madri hanno contratto un
grosso ed infantile debito con Disney, tanto che, nel momento in cui devono scegliere un film
adatto ai loro figli o nipoti, non possono tradire chi, sullo schermo o sulla carta stampata, gli
ha fatti ragionare sulle numerose difficoltà della vita. Sicuramente, qualche genitore – col
cambiare dei tempi – si è accorto che il Disney della propria infanzia può essere considerato
fuori corso o fuori moda per molte motivazioni, che la passione per Biancaneve & Co.
appartiene ad un’epoca tramontata, che, insomma, gli eroi e le eroine di un tempo hanno
subito un naturale appassimento. Ma l’abitudine, la sonnolenza e la tradizione restano tre
elementi che fungono da appiglio a cui è “comodo” restare ancorati. Insomma, su questa quasi
ineluttabile fonte di divertimento infantile, l’azienda Walt Disney Company sa di poter
tranquillamente rigiocare le sue carte. D’altra parte, è doveroso ammettere che nessun grande
eroe delle favole ha saputo opporsi con risultati convincenti ottenendo un ruolo rilevante
all’interno del cinema disegnato.
Si tratta perciò di un circolo vizioso nel quale l’ingrediente fondamentale rimane la
convinzione degli spettatori dell’”eterna validità” di alcuni prodotti da cui consegue la
giustificazione da parte di chi li produce ad utilizzare un registro quasi totalmente invariato
49
negli anni, cosa che, allo stesso tempo, riduce i costi di ideazione e permette di mantenere
costante o addirittura di aumentare il guadagno.
A più di settant’anni dalla realizzazione del primo lungometraggio animato firmato Disney, la
campagna di marketing dei lontani anni in cui Walt Elias Disney era ancora vivo continua ad
ottenere risultati perché appoggiata dal pubblico che vede sempre più nella longevità della
casa di produzione cinematografica una garanzia aggiuntiva nella qualità del prodotto
proposto all’infanzia.
50
6. ALLEGATI
Correlati alla tesi sono i venti questionari “LA SIRENETTA INCONTRA IL PRINCIPE
UMANO”somministrati ai bambini in età prescolare e (dai tre ai sei anni compresi) e il
prodotto multimediale in cui viene presentata, con un esempio, la modalità di
somministrazione del questionario.
6. 1. Questionari “LA SIRENETTA INCONTRA IL PRINCIPE UMANO”
Si tratta di venti questionari sottoposti a bambini appartenenti al range d’età prescelto. Il
campione è schematicamente diviso in modo da avere metà degli intervistati di sesso maschile
e l’altra metà di sesso femminile.
6. 2. Prodotto multimediale – Somministrazione del questionario
Il prodotto multimediale allegato consiste in un montaggio originale di materiale video e
interfaccia grafica pensati e realizzati in totale autonomia.
Presenta più chiaramente la
modalità di somministrazione del questionario, prendendo come esempio uno dei venti
bambini del campione.
51
GLOSSARIO
È qui riportata una raccolta di termini che, per certe loro caratteristiche, possono considerarsi
particolari o tipici dell’ambito di ricerca: parole tecniche e inconsuete senza la definizione
delle quali potrebbe essere più difficoltosa la comprensione di alcuni argomenti e concetti
sopra presentati.
Adattamento cinematografico
Operazione culturale che consiste nell’adattare allo schermo cinematografico
un libro, un’opera teatrale, un fumetto o una serie televisiva.
Caratterizzazione
Determinazione, evidenziazione delle caratteristiche di qualcuno o qualcosa.
Industria Culturale
Processo di riduzione della cultura a merce industriale.
Occidentalizzazione
Assimilazione ed uniformazione ai valori occidentali.
Princess Complex
Atteggiamento di bambine, ragazze e donne che traggono esempio di
comportamento dai media che dispensano loro illusioni di superiorità e di
egoismo.
Prodotto multimediale
Elemento che contiene due o più differenti media; una combinazione di testo,
suoni e immagini statiche o animate: video, foto, immagini, musica, testo.
Stereotipo
Visione semplificata e largamente condivisa su cose, persone, avvenimenti e
simili.
52
BIBLIOGRAFIA
1.
Hans C. ANDERSEN, La Sirenetta, Milano, Mondadori (Fiabe a merenda), 2008;
2.
Luciano ARCURI, Rosaria CADINU, Gli stereotipi: dinamiche psicologiche e contesto delle
relazioni sociali, Bologna, Il Mulino (Aspetti della psicologia), 1998;
3.
Kenneth D. BAILEY, Metodi della ricerca sociale, Bologna, Il Mulino (Strumenti: scienze
sociali), 2006;
4.
Ron BARBAGALLO, No fairy tale ending [Nessun finale da favola], in “Animation
Magazine”, luglio 2006, pp. 18-19;
5.
Nello BARILE, Fenomenologia del consumo globale, Roma, Edizioni Interculturali, 2004;
6.
Paolo BERTETTO, Analisi e decostruzione del film, Roma, Bulzoni, 2007;
7.
Bruno BETTELHEIM, Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle
fiabe, Milano, Feltrinelli, 2008;
8.
Douglas BRODE, From Walt to Woodstock: how Disney created the counterculture [Da Walt
a Woodstock: come la Disney ha creato la controcultura], Austin, University of Texas
Press, 2004;
9.
Douglas BRODE, Multiculturalism and the Mouse: race and sex in Disney entertainment
[Multiculturalismo e il Mouse: razza e sesso nell’intrattenimento di Disney], Austin,
University of Texas Press, 2005;
10.
Alan BRYMAN, The Disneyization of society [La Disneyizzazione della società], Londra,
SAGE, 2004;
11.
Francesco CASETTI, Federico DI CHIO, Analisi del film, Milano, Bompiani (Studi e
Strumenti), 1990;
12.
Thomas K. CONNELLAN, Inside the Magic Kingdom: seven keys to Disney's success
[All'interno del Magic Kingdom: sette chiavi per il successo di Disney], Austin, Bard Press,
1997;
53
13.
Piergiorgio CORBETTA, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, Il Mulino
(Strumenti), 1999;
14.
Piergiorgio CORBETTA, Giancarlo GASPERONI, Maurizio PISATI, Statistica per la
ricerca sociale, Bologna, Il Mulino, 2001;
15.
Amy M. DAVIS, Good girls and wicked witches: women in Disney's feature animation
[Brave ragazze e streghe cattive: le donne dell’animazione Disney], Eastleigh, John Libbey
Publishing, 2006;
16.
Rocco DE BIASI, Che cos’è la sociologia della cultura, Roma, Carocci, 2002;
17.
Oreste DE FORNARI, Walt Disney, Firenze, La Nuova Italia, 1978;
18.
Lucia DONSÌ, Santa CARRELLO, Disegnare il mondo: disegno infantile e conoscenza
sociale, Napoli, Liguori, 2005;
19.
Rebecca-Anne C. DO ROZARIO, The princess and the Magic Kingdom: beyond nostalgia,
the function of the Disney’s princess [La principessa ed il Magic Kingdom: dietro la nostalgia,
la funzione della principessa Disney], in “Women's Studies in Communication”,
primavera 2004;
20.
Marc ELIOT, Walt Disney: Hollywood’s dark prince [Walt Disney: il principe nero di
Hollywood], New York, Birch Lane Press [Carol Publishing Group], 1993;
21.
Christopher FINCH, L'arte di Walt Disney da Mickey Mouse ai Magic Kingdoms, Milano,
Rizzoli, 2001;
22.
Christopher FINCH, Walt Disney's America [L’America di Walt Disney], New York,
Abbeville Press, 1978;
23.
David FORGACS, Disney animation and the business of childhood [L’animazione Disney e
il business dell’infanzia], in “Screen”, inverno 1992, pp. 361-374;
24.
Neal GABLER, Walt Disney : the triumph of the American imagination [Walt Disney: il
trionfo della fantasia americana], New York, Knopf, 2006;
25.
Henry A. GIROUX, The politics of early childhood education [La politica d’educazione
della prima infanzia], New York, Peter Lang, 2000;
54
26.
Wendy GRISWOLD, Sociologia della cultura, Bologna, Il Mulino, 1997;
27.
Ron GROVER, The Disney Touch: Disney, ABC & The quest for the World's Greatest Media
Empire [Il tocco Disney: Disney, l’ABC & le ragioni del più grande impero mediatico del
mondo], Chicago, Irwin Professional Publications, 1997;
28.
Ulf HANNERZ, La diversità culturale, Bologna, Il Mulino (Intersezioni), 2001;
29.
José Manuel LARA BOSCH, La Última Princesa [L’Ultima Principessa], in “Adn.
Weekend!”, 2010, pp. 10-11;
30.
Roberto LASAGNA, Walt Disney e il cinema, Alessandria, Falsopiano (Cinema), 2001;
31.
Kathi MAIO, Disney’s Dolls [Le bambole Disney], in “New Internationalist”, New
York, dicembre 1998;
32.
Andrea MARINI, Elementi di psicolinguistica generale, Milano, Springer, 2001;
33.
Paolo MEREGHETTI, Il Mereghetti: dizionario dei film 2008, Milano, Baldini Castoldi
Dalai, 2008;
34.
Luciano PACCAGNELLA, Sociologia della comunicazione, Bologna, Il Mulino, 2004;
35.
Stella S. PICCONE, Genere: la costruzione sociale del femminile e del maschile, Bologna, Il
Mulino (Prismi), 1996;
36.
Francesco PIRA, Infanzia, media e nuove tecnologie, Milano, Franco Angeli, 2007;
37.
Susan RILEY, Too few animated women break the Disney mold [Troppe poche donne dei
cartoni animati rompono gli schemi Disney], in “Ottawa Citizen”, Ottawa, 2004;
38.
Deborah ROSS, Escape from wonderland: Disney and the female imagination [Scappare dal
mondo delle meraviglie: Disney e l’immaginazione femminile], in “Marvels & Tales”,
aprile 2004, p. 53;
39.
Marialuisa STAZIO, L'industria culturale: le industrie culturali: brani scelti, New York,
Lulu, 2007;
55
40.
Kay STONE, Things Walt Disney never told us [Cose che Walt Disney non ha mai detto],
in “The Journal of American Folklore”, marzo 1975, pp. 42-50;
41.
Gary STRAUSS, Princesses rule the hearts of little girls [Le principesse dominano i cuori
delle giovani ragazze], in “USA Today”, marzo 2004;
42.
Bob THOMAS, Walt Disney, Milano, Mondadori, 1980;
43.
Janet WASKO, Understanding Disney: the manufacture of fantasy [Capire Disney: la
fabbricazione della fantasia], Cambridge, Polity, 2001;
44.
Steven WATTS, The Magic Kingdom: Walt Disney and the american way of life [Il Magic
Kingdom: Walt Disney e il modo di vita americano], Boston, Houghton Mifflin, 1997;
45.
Jack ZIPES, Fairy tales and the art of subversion: the classical genre for children and the
process of civilization [Le fiabe e l'arte della sovversione: il genere classico per l'infanzia e
per il processo di civilizzazione], in “Routledge”, New York, 1987;
46.
Joseph L. ZORNADO, Walt Disney, ideological transposition and the child [Walt Disney, la
trasposizione ideologica e il bambino], in “Inventing the child: culture, ideology, and the
story of childhood”, New York, Garland Publication, 2001.
56
SITOGRAFIA
1.
Industria culturale, < www.industriaculturale.it>, ultima consultazione: 13.10.2010;
2.
Miami University, <www.units.muohio.edu>, ultima consultazione: 01.10.2010;
3.
Provincia Autonoma di Trento – Pari Opportunità, <www.provincia.tn.it>, ultima
consultazione: 10.10.2010;
4.
The Internet Movie Database, <www.imdb.com>, ultima consultazione: 28.08.2010;
5.
U.N.E.S.C.O., <www.unesco.org>, ultima consultazione: 10.10.2010;
6.
Walt Disney Pictures, <disney.go.com/disneypictures>, ultima consultazione: 10.10.2010.
57
RINGRAZIAMENTI
Desidero esprimere la mia gratitudine nei confronti della Professoressa Leopoldina Fortunati
per il Suo aiuto nella stesura della mia Tesi di Laurea e per avermi trasmesso il Suo interesse
per la sociologia della comunicazione.
Vorrei ringraziare anche tutti i miei colleghi del Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie
Multimediali con cui ho trascorso questi tre anni di università.
Un grazie particolare a mia madre Rita per aver sempre sostenuto le mie scelte e per avermi
aiutato nei momenti di difficoltà.