DISCIPLINA IVA DEGLI SCAMBI INTRACOMUNITARI

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DISCIPLINA IVA DEGLI SCAMBI INTRACOMUNITARI
DISCIPLINA IVA DEGLI SCAMBI INTRACOMUNITARI
F. Ricca
Premessa Il regime transitorio degli scambi intracomunitari è stato introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 1993, con la direttiva n. 91/680/CEE del 16/12/1991, che ha inserito una specifica sezione nella sesta direttiva 388/77/CEE del 17/5/1977. Alcune modifiche sono state apportate con le direttive n. 92/111/CEE del 14/11/1992 e n. 95/7/CE del 10/4/ 1995. In occasione della rifusione della sesta direttiva, gli scambi intracomunitari sono stati disciplinati nell’ambito delle pertinenti disposizioni della direttiva 2006/112/CE del 28/11/2006 (di seguito, per brevità, direttiva 112). Nell’ordinamento interno, le principali disposizioni in materia sono contenute nel dl 30/8/1993, n. 331, convertito dalla legge 29/10/1993, n. 427, in seguito più volte modificato (da ultimo con la legge n. 228/2012), mentre gli interventi interpretativi di maggiore rilievo sono rappresentati dalle circolari n. 13 del 23/2/1994 e n. 145 del 10/6/1998. A livello comunitario, si contano numerosi contributi della giurisprudenza della corte di giustizia Ue, mentre sul piano normativo vi sono alcune disposizioni chiarificatrici contenute nel regolamento Ue n. 282/2011 del 15 marzo 2011. Il regime transitorio risponde all’esigenza di consentire, anche dopo l’abolizione delle barriere doganali interne all’Ue, di continuare a tassare gli scambi intracomunitari di beni tra imprese (B2B) nel luogo di destinazione, nell’attesa che si realizzino le condizioni per il passaggio al sistema definitivo della tassazione nel luogo d’origine. Al riguardo, tuttavia, è in corso una seria riflessione, come testimonia il documento sul futuro dell’Iva approvato dalla commissione Ue il 6 dicembre 2011, COM (2011) 851, nel quale il principio della tassazione all’origine viene definito come politicamente irrealizzabile, prefigurando la definitiva stabilizzazione del regime “transitorio”. Con l’abolizione delle dogane interne, peraltro, il passaggio alla tassazione all’origine è parzialmente avvenuto, nei rapporti commerciali che coinvolgono privati consumatori (B2C). Inizialmente, nel regime transitorio trovavano spazio anche regole particolari per alcune tipologie di prestazioni di servizi connesse alle movimentazioni di beni; queste regole, già contenute nei commi da 4‐bis a 8 dell’art. 40 del dl n. 331/93, sono state soppresse dal 2010, essendone venuta meno l’esigenza per effetto della riforma della territorialità delle prestazioni di servizi a seguito della direttiva 2008/8/CE. Il regime transitorio si basa sui seguenti principi‐cardine: a) tassazione delle cessioni di beni tra operatori economici (B2B) nel paese di destinazione b) tassazione delle cessioni di beni verso privati consumatori (B2C) nel paese di origine. E’ da osservare che dal 2010 gli stessi principi valgono per gli scambi di servizi in genere. Non mancano però importanti eccezioni: il principio di tassazione a destinazione enunciato sub a), per esempio, trova applicazione anche se l’acquirente è un ente non commerciale che non svolge attività rilevanti ai fini Iva; al contrario, può disapplicarsi se l’acquirente, pur essendo un soggetto passivo, è un operatore esente o un agricoltore in regime speciale. Analogamente, il principio di tassazione all’origine sub b) non si applica mai alle cessioni di mezzi di trasporto nuovi ed è derogato anche nelle cosiddette “vendite a distanza”. Commercio di beni usati e vendite all’asta Se sussistono i presupposti per l’applicazione del c.d. regime del margine, recepito in Italia con gli artt. 36 e seguenti del dl n. 41/95, gli scambi di beni d’occasione tra paesi membri non danno luogo a cessioni né ad acquisti intracomunitari, ma sono trattati come operazioni interne. L’imposta, commisurata soltanto all’utile del venditore (differenza tra il costo e il prezzo di vendita, ovverosia il margine), è pertanto dovuta nel paese di origine e viene addebitata in fattura inglobata nel corrispettivo (non deve figurare distintamente). Nella fattura occorre specificare che l’operazione è stata assoggettata al regime del margine, indicando i riferimenti alla norma nazionale o comunitaria. PRIMA PARTE
GLI ACQUISTI INTRACOMUNITARI
Nel contesto sommariamente descritto in premessa, l’acquisto intracomunitario è il
meccanismo individuato per continuare a tassare gli scambi “B2B”, pur dopo la soppressione delle
dogane interne, nel paese di destinazione.
1. Definizione di “acquisto intracomunitario”
Il comma 1 dell’art. 38, dl n. 331/93, stabilisce che l’Iva si applica sugli acquisti
intracomunitari di beni effettuati nel territorio dello stato nell’esercizio di imprese, arti e
professioni, o comunque da enti non commerciali soggetti passivi nel territorio stesso.
Il comma 2 definisce l’acquisto intracomunitario come l’acquisizione, derivante da atti a
titolo oneroso, della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi, spediti o
trasportati nel territorio dello stato dal cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta, ovvero
dall’acquirente o da terzi per loro conto.
Dalle predette disposizioni discende che, affinché si configuri l’acquisto intracomunitario, è
necessaria la coesistenza dei requisiti di seguito descritti.
a) Soggettività passiva di entrambi i contraenti
Oltre al cedente, anche il cessionario deve agire in veste di operatore economico; non è
acquisto intracomunitario, pertanto, quello effettuato dal privato consumatore, oppure
dall’imprenditore che non agisca però nell’esercizio dell’attività dell’impresa.
Tuttavia, se l’acquirente è un ente non commerciale titolare di partita Iva, l’acquisto si
considera “comunque” intracomunitario e soggiace, pertanto, alla relativa disciplina, anche se è
stato effettuato per finalità estranee all’esercizio di un’attività economica (rimane fermo,
ovviamente, che il cedente deve essere un soggetto passivo, altrimenti l’operazione esula dalla sfera
di applicazione dell’Iva).
Regime autorizzatorio
Con l’art. 27 del dl n. 78/2010 è stato istituito un regime autorizzatorio sulle operazioni
intracomunitarie. L’effettuazione di tali operazioni (acquisti e cessioni, sia di beni che di servizi) è
subordinata infatti alla preventiva autorizzazione da richiedere all’agenzia delle entrate con apposita
istanza. Il rilascio dell’autorizzazione implica l’iscrizione della partita Iva del soggetto autorizzato
nell’archivio VIES.
Secondo l’amministrazione finanziaria, i soggetti passivi che effettuano scambi
intracomunitari in assenza di autorizzazione non possono applicare il regime proprio di tali
operazioni, ma sono trattati come privati; conseguentemente, ad esempio, se effettuano acquisti di
beni presso altri paesi Ue, dovranno pagare l’Iva al fornitore e non potranno chiederne il rimborso
(si vedano, al riguardo, i chiarimenti forniti dall’agenzia delle entrate con la circolare n. 39 del 1°
agosto 2011 e con la risoluzione n. 42 del 27 aprile 2012).
La posizione dell’amministrazione sembrava trovare un certo riscontro nell’art. 18 del
regolamento Ue n. 282/2011 del 15 marzo 2011, che, sia pure in relazione agli scambi di servizi,
prevede che il fornitore deve accertare lo status di soggetto passivo del cliente Ue attraverso il
numero di partita Iva, del quale deve ottenere, attraverso l’interrogazione del sistema Vies, la
conferma di validità e dell’esattezza del nome e dell’indirizzo. In base a tale disposizione, il ricorso
a prove alternative è ammesso solo qualora il cliente comunichi di avere richiesto ma non ancora
ottenuto il numero di partita Iva.
La corte di giustizia dell’Ue, tuttavia, nelle sentenze 6/9/2012, C-273/11 e 27 settembre
2012, C-587/10, ha osservato che, nel quadro del regime degli scambi intraUe, l’identificazione dei
soggetti passivi mediante i numeri individuali mira ad agevolare la determinazione dello stato
membro in cui deve essere tassata l’operazione; nessuna norma, però, indica, tra le condizioni
sostanziali di una cessione intracomunitaria, tassativamente elencate (tra le quali lo status di
soggetto passivo dell’acquirente), l’obbligo di disporre di un numero d’identificazione Iva, il quale
è un requisito formale che non può mettere in discussione il diritto all’esenzione dall’Iva qualora
ricorrano le condizioni sostanziali. Di conseguenza, anche se l’amministrazione può subordinare
l’esenzione di una cessione intracomunitaria alla comunicazione del numero d’identificazione Iva
dell’acquirente, l’esenzione non potrà essere però negata solo per il fatto che detto obbligo non è
stato rispettato, qualora il fornitore non possa, in buona fede, e dopo aver adottato tutte le misure
che gli si possono ragionevolmente richiedere, comunicare tale numero e fornisca invece
indicazioni idonee a dimostrare sufficientemente che l’acquirente è un soggetto passivo che agisce
in quanto tale nell’ambito dell’operazione di cui trattasi.
b) Oggetto del trasferimento
E’ acquisto intracomunitario l’atto che comporta l’acquisizione della proprietà di beni o di
altro diritto reale di godimento sugli stessi. La corrispondente definizione comunitaria (art. 20 della
direttiva) richiede l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile
materiale. Il requisito della “materialità” del bene, anche se non figura nella formulazione della
norma nazionale, deve ritenersi implicito, dato che le operazioni concernenti beni immateriali non
costituiscono cessioni (né, specularmente, acquisti intracomunitari), ma prestazioni di servizi.
Supporti fisici di beni immateriali
Nella circolare n. 13/94 è stato precisato che l’introduzione di bobine, nastri, pizze, ecc.,
provenienti da altri stati comunitari, contenenti opere immateriali (es. film), non realizza un
acquisto intracomunitario di beni, in quanto i descritti supporti fisici costituiscono “mezzo al fine”
per lo sfruttamento del relativo diritto.
Identico discorso vale per i supporti di programmi informatici personalizzati, essendo il bene
materiale un semplice strumento per la realizzazione di una prestazione di servizi.
Al contrario, si considera acquisto intracomunitario l’introduzione di dischi, nastri, cassette
e altri supporti relativi a software standardizzato o di altri prodotti parimenti standardizzati.
Condizione giuridica del bene
Si ha acquisto intracomunitario se oggetto di scambio è un bene comunitario, cioè originario
di un paese membro dell’Ue, oppure un bene proveniente da un paese terzo e immesso in libera
pratica nella Comunità (importazione con pagamento dei dazi doganali).
Non si realizza acquisto intracomunitario, invece, se il bene si trova nel territorio
comunitario in regime di temporanea importazione oppure di transito: in tali ipotesi si avrà,
rispettivamente, una cessione da assoggettare all’imposta nel paese comunitario in cui si trova il
bene prima della consegna o spedizione all’acquirente, oppure una cessione fuori dal campo di
applicazione dell’imposta per difetto di territorialità.
c) Effettività del trasferimento
Un terzo presupposto necessario è lo spostamento fisico del bene da un paese comunitario.
Occorre, come chiarito nella circolare n. 13/1994, la “effettiva movimentazione del bene, con
partenza da uno stato membro ed arrivo in Italia, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la
spedizione siano effettuati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto.”
Possono sorgere incertezze nelle ipotesi in cui il trasferimento materiale del bene oggetto di
compravendita tra due operatori di stati membri diversi non avvenga contestualmente alla
conclusione del contratto, né subito dopo, bensì ad una certa distanza di tempo. Può accadere, per
esempio, che il cliente non sia ancora in grado di ritirare (o di ricevere) la merce acquistata, perché
sta trattando la rivendita ad un terzo, oppure perché non ha momentaneamente spazio nei propri
magazzini, oppure perché sta concludendo diversi contratti di acquisto nella zona e si propone,
quindi, di razionalizzare il trasporto raggruppando le merci presso un unico fornitore, vettore,
depositario, ecc.
In proposito, è interessante la sentenza della corte di giustizia Ue del 18 novembre 2010,
causa C-84/09. La corte ha anzitutto ricordato che l’acquisto intracomunitario si perfeziona solo:
- quando il potere di disporre del bene è stato trasmesso all’acquirente
- quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in altro stato membro
- quando, in seguito a tale trasporto o spedizione, detto bene ha lasciato fisicamente il territorio
dello stato membro della cessione.
Ciò premesso, la corte ha osservato che nessuna norma della direttiva Iva prevede che il
trasporto del bene debba avere inizio o debba concludersi entro un determinato periodo di tempo.
Anzi, imporre un termine del genere pregiudicherebbe il corretto funzionamento del sistema, perché
la tassazione nell’uno o nell’altro stato potrebbe essere influenzata dal comportamento delle parti in
ordine al rispetto del termine.
d) Onerosità dell'operazione
L’ultimo requisito enucleabile dalla definizione è la onerosità dell’operazione, essendo
espressamente richiesto che l’acquisizione del bene derivi da atti a “titolo oneroso”.
Occorre quindi che, a fronte della cessione del bene, sia prevista una controprestazione, che
normalmente consiste nel pagamento di una somma di denaro, ma che può anche consistere in una
cessione di beni e/o in una prestazione di servizi (operazione permutativa).
Non vi è onerosità quando il trasferimento della proprietà del bene avviene senza alcuna
controprestazione da pare del destinatario, vuoi per spirito di liberalità dell’alienante, vuoi in
adempimento di obbligazioni particolari (es. di garanzia): in tale ipotesi non si realizza la fattispecie
dell’acquisto intracomunitario, per cui l’operazione sfugge alla particolare disciplina transitoria
degli scambi intracomunitari per ricadere nella disciplina comune.
2.1 Irrilevanza dell’eventuale tassazione “all’origine”
Se un’operazione è qualificabile come “acquisto intracomunitario”, lo stato membro nel
quale l’acquisto è effettuato ha diritto di pretendere l’Iva indipendentemente dal trattamento
applicato dal cedente nello stato membro di partenza. In altri termini, al verificarsi dei presupposti
sopra esaminati, il paese di destinazione può esigere e riscuotere l’imposta anche se questa sia già
stata applicata nel paese di origine, per esempio per errore del fornitore, oppure perché l’acquirente
non si è qualificato come soggetto passivo, od anche per effetto di particolari norme procedurali
dello stato membro di origine (si veda, al riguardo, la citata sentenza della corte di giustizia Ue 18
novembre 2010, causa C-84/09).
Ciò è chiarito dall’art. 16 del regolamento Ue n. 282 del 15 marzo 2011, ove viene inoltre
precisato che l’eventuale domanda di correzione, da parte del cedente, dell’imposta da questi
fatturata e dichiarata allo stato membro di origine è trattata da detto stato conformemente alle sue
disposizioni nazionali.
2.2 Operazioni dei commissionari
L’ultimo comma dell’art. 38 stabilisce infine che “si considerano effettuati in proprio gli
acquisti intracomunitari da parte di commissionari senza rappresentanza”. Ciò significa, come
precisato nella circolare n. 13/94, che il soggetto che effettua un acquisto intracomunitario per conto
del committente è tenuto ad osservare egli stesso le disposizioni in materia, mentre il successivo
passaggio dei beni al committente costituirà una cessione interna. Tale cessione si considera
effettuata nello stesso momento in cui è effettuato l’acquisto intracomunitario da parte del
commissionario, e la base imponibile, secondo quanto previsto dall’art. 13, secondo comma, lettera
b), dpr 633/72, è quella dell’acquisto stesso, aumentata della commissione spettante al
commissionario.
2. Estensione della nozione: operazioni assimilate all’acquisto intracomunitario
A tutela degli interessi erariali e dell’equilibrio del mercato, l’art. 38, comma 3, delinea
alcune fattispecie estensive della nozione di acquisto intracomunitario, dirette a tassare nel paese di
destinazione determinate movimentazioni di beni al fine di evitare rischi di riduzione di gettito
fiscale e di distorsioni della concorrenza.
2.1 Introduzione di beni
La prima fattispecie, descritta alla lettera b) del comma 3, riguarda l’introduzione nel
territorio dello stato, da parte o per conto di un soggetto passivo, di beni provenienti da altro stato
membro. La disposizione si applica anche nel caso di destinazione nel territorio dello stato, per
finalità rientranti nell'esercizio dell'impresa, di beni provenienti da altra impresa esercitata dallo
stesso soggetto in altro stato membro.
Ad esempio, l’imprenditore italiano che acquista, importa o produce (anche tramite una
stabile organizzazione) beni in un Francia, allorquando procederà all’introduzione di tali beni in
Italia, sarà tenuto ad applicare l’imposta poiché il trasferimento dei beni “a se stessi” configura
un’operazione assimilata all’acquisto intracomunitario.
Sempre in via esemplificativa, si pensi, ancora, all’imprenditore francese che sposta dalla
Francia all’Italia determinati beni per scopi connessi all’esercizio dell'impresa (per esempio, fatte
salve le particolarità descritte più avanti, merci trasferite a scopo di magazzinaggio per la successiva
vendita, oppure materie prime trasferite per l’esecuzione di lavori).
Di un caso di specie si è occupata la risoluzione ministeriale n. 237 del 24 agosto 1995,
riguardante una società francese che introduce beni in Italia affidandoli, per l’eventuale vendita, ad
un depositario, il quale per ordine e conto della società depositante provvede poi a consegnare i beni
ai cessionari italiani della società stessa. La risoluzione dichiara non corretta la fatturazione di tali
cessioni in regime di non imponibilità, osservando che si tratta di cessioni interne, avendo esse ad
oggetto beni precedentemente introdotti in Italia da parte della società francese in regime di
acquisto intracomunitario “per assimilazione”.
La fattispecie dell’introduzione qui in esame non vale per gli enti non commerciali che non
siano soggetti passivi d’imposta. Con risoluzione n. 214 del 14 novembre 1997, è stato infatti
chiarito che l’introduzione in Italia di beni appartenenti ad un ente pubblico francese non soggetto
passivo dell’Iva, non comportante trasferimento della proprietà, non può essere inquadrata tra gli
acquisti intracomunitari, per cui nessun adempimento formale o sostanziale fa capo all’ente, se non
quello di un’opportuna annotazione dei beni in apposito registro per evidenziare la proprietà degli
stessi.
2.2 Acquisti degli enti e associazioni non soggetti passivi
La seconda estensione, prevista dalla lettera c) del comma 3, riguarda gli acquisti a titolo
oneroso di beni spediti o trasportati da altro stato membro nel territorio dello stato, effettuati da enti,
associazioni e altre organizzazioni non soggetti passivi d’imposta, cioè da enti che, non svolgendo
alcuna attività di natura commerciale, sono privi di una posizione Iva.
In questo caso, la norma deroga al requisito della soggettività passiva dell’acquirente,
prevedendo la tassazione a destinazione dell’acquisto, ancorché non effettuato nell’esercizio
d’impresa; ciò a motivo del fatto che, diversamente dalle persone fisiche, detti enti, sia per
caratteristiche strutturali che dimensionali, hanno la potenzialità di effettuare ingenti acquisti di
beni, la cui tassazione all’origine potrebbe turbare gli equilibri di mercato.
La conferma di queste ragioni si desume dalla previsione del comma 5 che, come si vedrà,
per fini di semplificazione esclude, fino a un certo ammontare, la tassazione degli acquisti.
2.3 Beni importati in altro stato membro
La terza fattispecie, prevista dalla lettera d), riguarda l'introduzione nel territorio dello stato,
da parte o per conto degli enti non commerciali di cui alla lettera c) (ossia degli enti privi di
soggettività d’imposta), di beni che essi hanno in precedenza importato in altro stato membro. Si
pensi all’ente italiano che acquista beni dalla Cina, importandoli in Lussemburgo per poi trasferirli
in Italia.
Anche questa previsione mira a prevenire fenomeni di localizzazione delle importazioni per
ragioni fiscali (assolvere l’Iva con la minore aliquota prevista in Lussemburgo).
Al fine di evitare la duplice imposizione (prima nel paese di importazione, poi in quello di
destinazione), è previsto comunque il diritto dell’ente di chiedere il rimborso dell’Iva pagata all’atto
dell’importazione nel paese in cui questa è avvenuta: si veda, per l’ipotesi riguardante l’Italia, il
quarto comma dell’art. 70 del dpr 633/72, che prevede, appunto, che l’imposta assolta per
l’importazione di beni da parte di enti non commerciali non soggetti passivi può essere richiesta a
rimborso, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del ministro delle finanze (mai emanato),
se i beni sono spediti o trasportati in altro stato membro dell’Ue; il rimborso è eseguito a condizione
che venga fornita la prova che l’acquisizione intracomunitaria dei beni è stata assoggettata
all’imposta nel paese membro di destinazione.
2.4 Mezzi di trasporto nuovi
L’ultima estensione, prevista dalla lettera e) del comma 3, riguarda gli acquisti a titolo
oneroso di mezzi di trasporto nuovi provenienti da altro stato membro, che si considerano acquisti
intracomunitari da assoggettare all’Iva nel paese di destinazione anche se il cedente non è soggetto
d’imposta ed anche se non effettuati nell’esercizio di imprese, arti e professioni.
Anche questa fattispecie fa eccezione al requisito soggettivo, derogandovi oltretutto su
entrambi i fronti, nel senso che l’acquisto a titolo oneroso di mezzi di trasporto nuovi (come definiti
dal comma 4 dell’art. 38, su cui appresso), spediti o trasportati da uno stato membro all’altro, è
oggettivamente un acquisto intracomunitario, tassato in ogni caso nel paese di destinazione (e,
corrispondentemente, esentato nel paese di origine) a prescindere dallo status dell’acquirente e del
venditore: in presenza degli elementi oggettivi previsti, è acquisto intracomunitario, dunque, anche
quello realizzato tra due privati.
Anche in questo caso, la finalità della norma è di evitare che acquisti di beni di rilevante
valore e facilmente trasportabili vengano localizzati negli stati a fiscalità più leggera.
3. Operazioni non considerate acquisto intracomunitario (deroghe restrittive)
Accanto alle deroghe finalizzate ad ampliare l’area delle operazioni considerate “acquisto
intracomunitario”, ve ne sono altre che perseguono lo scopo opposto, ovvero quello di escludere la
configurazione dell’acquisto intracomunitario. Si descrivono di seguito tali ipotesi, previste dal
comma 5 dell’art. 38.
3.1 Beni introdotti a scopo di lavorazione
La prima ipotesi, prevista dalla lettera a) del comma 5, riguarda l’introduzione di beni
oggetto di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali ai sensi, rispettivamente,
dell’art. 1, comma 3, lettera h), del regolamento del consiglio della Comunità 16 luglio 1985, n.
1999 (abrogato dall’art. 251 del Codice doganale comunitario, regolamento n. 2913/1992) e dell’art.
18 del regolamento 25 luglio 1988, n. 2503, se i beni sono successivamente trasportati o spediti al
committente, soggetto passivo d’imposta, nello stato membro di provenienza o per suo conto in
altro stato membro ovvero fuori del territorio dell’Ue.
La disposizione, nel cui ambito sono stati espressamente inclusi, dal 1° gennaio 2013, i
trasferimenti di beni oggetto di perizie, è diretta ad evitare che l’introduzione in Italia, a scopo di
lavorazione, di beni provenienti da altro stato membro, possa dare luogo ad “acquisto
intracomunitario assimilato” ai sensi del comma 3, lettera b). Essa opera purché i beni, una volta
ultimata la lavorazione, vengano restituiti al committente nello stato membro di provenienza, o
comunque vengano inviati, per suo conto, in altro luogo dell’Ue o in un paese terzo; l’esclusione
non opera, invece, se i beni lavorati restano nel territorio italiano (in tale ultima eventualità, come
chiarisce la circolare n. 13/94, il committente comunitario è tenuto ad assolvere gli obblighi
d’imposta, nelle forme previste dalla legge; si veda la risoluzione dell’agenzia delle entrate n. 200
del 2 agosto 2007).
Ai sensi dell’art. 50, comma 5, dl 331/93, la presenza nel territorio dello stato di beni
introdotti ai sensi della disposizione in esame deve risultare da annotazione in apposito registro,
tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del dpr 633/72.
3.2 Beni introdotti temporaneamente
La seconda esclusione, prevista sempre dalla lettera a) del comma 5, riguarda l’introduzione
di beni temporaneamente utilizzati per l’esecuzione di prestazioni di servizi, ovvero di beni che, se
importati, beneficerebbero dell’ammissione temporanea in esenzione totale dai dazi doganali.
La formulazione di questa previsione non coincide del tutto con le disposizioni comunitarie
dalle quali deriva, contenute nell’art. 17, paragrafo 2, lett. g) e h), della direttiva. Tali disposizioni
escludono la tassazione di un bene trasferito in un altro stato membro, per le esigenze della propria
impresa:
- se il bene è temporaneamente utilizzato ai fini delle prestazioni di servizi fornite dal
soggetto passivo stabilito nello stato membro di partenza (lett. g), oppure
- se il bene è temporaneamente utilizzato, per una durata non superiore a 24 mesi, nel
territorio di uno stato membro all’interno del quale l’importazione dello stesso bene in provenienza
da un paese terzo ai fini di una utilizzazione temporanea fruirebbe del regime dell’ammissione
temporanea in esenzione totale dai dazi all'importazione (lett. h).
Ai sensi del paragrafo 3 dell’art. 17, nel momento in cui una delle condizioni cui è
subordinata l’agevolazione non sia più soddisfatta, si realizza la fattispecie dell’introduzione,
tassabile come acquisto intracomunitario.
Interpretando la disposizione interna alla luce di quella comunitaria, si dovrebbe ritenere
che:
- l’introduzione di un bene proveniente da un altro stato membro, utilizzato in Italia dall’operatore
non residente per l’esecuzione di sue prestazioni di servizi (ad esempio, le attrezzature di cantiere di
un imprenditore edile, oppure i beni strumentali concessi in locazione a terzi), beneficia
dell’agevolazione senza limiti temporali;
- all’infuori dell’ipotesi precedente, l’introduzione di beni provenienti da altro stato membro e
destinati alla temporanea utilizzazione in Italia beneficia dell’agevolazione entro il limite massimo
di 24 mesi, sempreché si tratti di beni che, se fossero importati da paesi terzi, fruirebbero
dell’ammissione temporanea in esenzione totale dai dazi doganali (l’elencazione dei beni che
possono essere importati in esonero dai dazi doganali è fornita negli articoli da 555 a 578 del
regolamento Ue n. 2454/1993, recante norme per l’applicazione del codice doganale comunitario).
Di diverso avviso, però, è l’agenzia delle entrate, che nella risoluzione n. 252 del 19 giugno
2008 ha affermato che il limite temporale di 24 mesi trova applicazione in entrambe le distinte
ipotesi delle lettere g) ed h) dell’art. 17 della direttiva, accomunate nella lettera a) del comma 5
dell’art. 38, dl 331/93.
Anche la presenza nel territorio dello stato di beni introdotti ai sensi della disposizione in
esame deve risultare da annotazione in apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art. 39
del dpr 633/72.
Merci introdotte per tentata vendita
Con risoluzione n. 30/E del 10 marzo 2000, è stato chiarito che nel caso in cui un soggetto
comunitario introduca merci in Italia a scopo di tentata vendita, tale introduzione non costituisce
acquisto intracomunitario per effetto della previsione dell’art. 38, comma 5, lettera a), versandosi
nell’ipotesi di beni che, se importati, beneficerebbero dell’ammissione temporanea in esenzione
totale dai dazi doganali. All’atto dell’introduzione dei beni l’operatore comunitario non ha,
pertanto, obblighi d'imposta, fatti salvi gli adempimenti necessari a vincere le presunzioni (in
sostanza, l’annotazione delle merci in apposito registro), fino a quando non venda la merce oppure
fino al superamento del limite previsto per la permanenza: al realizzarsi di tali eventi, si verifica un
acquisto intracomunitario sotto la specie dell’introduzione. In tal caso, l’operatore comunitario
dovrà nominare un rappresentante fiscale ai sensi dell’art. 17, dpr n. 633/72 (oppure identificarsi
direttamente ai sensi dell'art. 35-ter) per applicare l’Iva sull’acquisto intracomunitario e adempiere
gli eventuali obblighi inerenti la successiva cessione.
3.3 Forniture con installazione
La terza ipotesi è prevista dalla lettera b) del comma 5, secondo cui non costituisce acquisto
intracomunitario l’introduzione nel territorio dello stato, in esecuzione di una cessione, di beni
destinati ad essere ivi installati, montati o assiemati dal fornitore o per suo conto. E’ il caso, per
esempio, del contratto di fornitura di un’attrezzatura complessa che contempla l’obbligo, per il
cedente comunitario, di installazione e collaudo presso la sede dell’acquirente in Italia.
Questa operazione è esclusa dalla sfera degli acquisti intracomunitari perché è qualificata
cessione interna nel territorio dello stato ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del dpr 633/72.
Dal punto di vista sostanziale, se l’acquirente è un soggetto passivo, il trattamento non muta,
giacché l’operazione paga comunque l’Iva nel paese di destinazione del bene. La configurazione
come cessione interna, anziché come acquisto intracomunitario, ha però effetti sostanziali quando
l’acquirente è un privato consumatore, giacché anche in tale ipotesi l’operazione, per via della
particolare disciplina della territorialità, risulterà tassata in Italia (mentre non lo sarebbe secondo la
disciplina degli acquisti intracomunitari).
Dal punto di vista operativo, inoltre, la tassazione non avviene con il meccanismo
dell’integrazione della fattura estera, tipico degli acquisti intracomunitari, ma secondo le
disposizioni dell’art. 17 del dpr 633/72.
Secondo la circolare n. 13/1994, resta comunque l’obbligo, per l’acquirente nazionale, di
compilare e presentare, ai soli fini statistici, l’elenco riepilogativo degli acquisti (modello Intrastat).
3.4 Acquisti “sotto soglia” effettuati da particolari soggetti
La lettera c) del comma 5 esclude dalla nozione di acquisto intracomunitario gli acquisti di
beni (diversi dai mezzi di trasporto nuovi e da quelli soggetti ad accisa) effettuati, fino a un certo
importo, da:
- enti non commerciali senza partita Iva
- soggetti passivi che effettuano solo operazioni senza diritto a detrazione ai sensi del comma 2
dell’art. 19, dpr 633/72
- produttori agricoli e ittici che applicano il regime speciale dell’art. 34, dpr 633/72.
Gli acquisti effettuati dai predetti soggetti, se contenuti nell’ammontare annuo di € 10.000,
non si considerano acquisti intracomunitari; per l’esattezza, l’esclusione opera a condizione che
l’ammontare degli acquisti intracomunitari effettuati nell’anno precedente non abbia superato il
predetto limite, e fino a quando il limite stesso non sia superato in corso d'anno.
Nell’importo di 10.000 euro si computano anche gli eventuali acquisti “a distanza” (su cui
appresso), mentre non si computano gli acquisti di mezzi di trasporto nuovi e di prodotti soggetti ad
accisa.
La norma in esame, tassando nel paese di origine gli acquisti effettuati da determinati
soggetti fino ad un certo ammontare, persegue obiettivi di semplificazione, in quanto evita gli
adempimenti connessi agli acquisti intracomunitari.
Opzione per l’applicazione dell'Iva
Ai sensi del comma 6 dell’art. 38, la semplificazione sopra descritta non opera qualora il
soggetto opti per l’applicazione dell’imposta in Italia.
Il soggetto ha, quindi, la facoltà di rinunciare alla semplificazione e di scegliere di
assoggettare anche gli acquisti intracomunitari “sotto soglia” all’Iva nazionale (ovviamente in
questo caso non sarà dovuta l’Iva del paese di origine).
L’opzione è efficace fino a quando non sia revocata, ma comunque almeno per un triennio,
purché permangano i presupposti.
3.5 Gas, energia elettrica, calore e freddo
La lettera c-bis) del comma 5 esclude dalla nozione di acquisto intracomunitario
l’introduzione nel territorio dello stato di:
- gas mediante un sistema di gas naturale situato nel territorio dell’Ue o mediante una rate connessa
a tale sistema
- energia elettrica
- calore o freddo mediante reti di riscaldamento o di raffreddamento.
L’esclusione, come per quella descritta al punto 4.3, si ricollega al fatto che l’introduzione
dei predetti beni in esito ad una cessione costituisce un’operazione interna ai sensi dell’art. 7-bis,
comma 3, del dpr 633/72.
3.6 Beni ceduti da soggetti particolari
L’ultima ipotesi di esclusione, contemplata dalla lettera d) del comma 5, riguarda gli acquisti
di beni nel caso in cui il cedente benefici nel proprio stato membro dell’esonero disposto per le
piccole imprese. Le cessioni poste in essere da tali soggetti (ad esempio, in Italia, i c.d. contribuenti
minimi), infatti, si considerano operazioni interne, e non operazioni intracomunitarie.
4. Effettuazione dell’acquisto intracomunitario
Come per le operazioni interne, anche per gli acquisti intracomunitari occorrono riferimenti
temporali per determinare il momento di insorgenza dell’obbligazione e dei connessi adempimenti.
A quest’esigenza risponde l’articolo 39 del dl 331/93, riformulato dall’art. 1 della legge n. 228/2012
a fini di adeguamento alla normativa comunitaria.
Nel testo vigente fino al 31 dicembre 2012, la disposizione prevedeva che l’acquisto
intracomunitario si considerasse effettuato:
- nel momento della consegna dei beni, nel territorio dello stato, al cessionario o a terzi per suo
conto, nel caso di trasporto con mezzi del cedente oppure tramite vettore
- nel momento di arrivo nel luogo di destinazione nel territorio dello stato, nel caso di trasporto
con mezzi del cessionario.
Con effetto dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2013, l’art. 39 stabilisce al
comma 1 che gli acquisti intracomunitari si considerano effettuati nel momento dell’inizio del
trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto, a partire dal territorio dello stato
membro di provenienza.
Nel medesimo comma 1 sono state confermate le previsioni sul differimento del momento di
effettuazione nel caso di operazioni con effetti traslativi differiti (es. vendite condizionate,
consignment stock), fermo restando il limite di un anno dalla consegna dei beni e subordinatamente
all’osservanza dell’obbligo di annotazione del movimento dei beni nel registro previsto dall’art. 50
del dl n. 331/93.
Nel comma 2 è confermata la previsione secondo cui l’emissione della fattura anteriormente
alla partenza dei beni realizza l’effettuazione dell’acquisto intracomunitario, limitatamente
all’importo fatturato, alla data della fattura.
Non è invece più previsto analogo effetto “anticipatorio” nel caso di pagamento anteriore
alla partenza dei beni. Questa è dunque una novità molto importante.
Un’altra novità si rinviene nel comma 3 dell’art. 39, secondo cui le cessioni e gli acquisti
intracomunitari effettuati in modo continuativo nell’arco di un periodo di tempo superiore ad un
mese (ad esempio, cessioni in esecuzione di contratti di somministrazione), si considerano effettuati
al termine di ciascun mese; tale disposizione non si applicherà però alle c.d. “vendite a distanza” e
alle cessioni con installazione nel paese di destinazione, che il comma 1 dell’art. 41 del dl n.
331/93.
Considerate le modalità di applicazione dell’imposta, descritte più avanti, il momento di
effettuazione dell’acquisto intracomunitario assume rilevanza, essenzialmente, ai fini della
regolarizzazione dell’operazione nel caso in cui la fattura del fornitore non pervenga nei termini
previsti dalla legge, come si dirà appresso.
Effetti traslativi differiti
Si è detto che se il contratto prevede che l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà si
realizza in un momento successivo, l’acquisto intracomunitario si considera effettuato quando si
realizza tale effetto, ma comunque entro un anno dalla consegna dei beni.
La disposizione, analogamente alla disciplina delle cessioni interne, rinvia dunque il
momento di insorgenza dell’obbligazione, relativamente a particolari figure negoziali nelle quali
l’effetto reale è differito ad un momento successivo rispetto a quello di consegna del bene: tipico
esempio è quello delle vendite a prova (art. 1521 c.c.) o con riserva di gradimento (art. 1520).
Ciò vale anche per i beni ricevuti in base a contratti estimatori, nel qual caso l’acquisto
intracomunitario si considera effettuato (i) all’atto della rivendita a terzi, oppure (ii) all’atto del
prelievo da parte del ricevente, o ancora, per i beni non restituiti all’affidante, (iii) alla scadenza del
termine convenuto, ma comunque non oltre un anno dal ricevimento.
Consignment stock
Una forma di contratto estimatorio è il cosiddetto “consignment stock”, del quale si è
occupata la risoluzione n. 235 del 18 ottobre 1996 in relazione a beni inviati dall’Italia in altro stato
membro, e successivamente la risoluzione n. 44 del 10 aprile 2000 in relazione all’ipotesi inversa.
In dette occasioni l’amministrazione ha riconosciuto che il contratto in esame – che prevede
l’invio dei beni oggetto di compravendita dal fornitore residente nello stato A al cliente residente
nello stato B, con la clausola che proprietario dei beni resta il fornitore fino a quando il cliente non
decida di prelevarli, secondo le proprie esigenze produttive e finanziarie – presenta i requisiti propri
dei negozi con effetti traslativi differiti.
Perché possa configurarsi il “consignment stock” è necessario che il destinatario abbia la
piena disponibilità dei beni, che debbono quindi trovarsi nei suoi magazzini od anche in depositi
gestiti da terzi (purché non dallo stesso fornitore, giacché in tal caso, in capo a questi, si
realizzerebbe l’acquisto intracomunitario sotto la specie del trasferimento “a se stessi”, descritta
sub 3.1).
Nell’operazione di “consignment stock”, essendo il passaggio della proprietà differito al
momento del prelievo dei beni da parte del destinatario-cessionario, anche l’acquisto
intracomunitario si realizza in tale momento, ma in ogni caso non oltre un anno dalla consegna.
La movimentazione dei beni deve risultare da annotazioni in apposito registro ai sensi
dell’art. 50, comma 5, del dl 331/93. Questa precisazione, peraltro, vale per tutte le ipotesi negoziali
in cui trova applicazione il differimento dell’operazione, prevedendo espressamente l’art. 39,
comma 1, terzo periodo del dl 331/93, che le disposizioni dei precedenti periodi secondo e terzo
“operano a condizione che siano osservati gli adempimenti di cui all’art. 50, comma 5”.
5. Territorialità dell'acquisto intracomunitario
Il comma 1 dell’art. 40 del dl 331/93 stabilisce che gli acquisti intracomunitari sono
effettuati in Italia se hanno per oggetto beni, originari di altro stato membro o ivi immessi in libera
pratica, spediti o trasportati dal territorio di altro stato membro nel territorio dello stato. La norma
aggancia, quindi, la territorialità dell’acquisto alla circostanza dell’arrivo fisico dei beni nel
territorio nazionale.
La prima parte del successivo comma 2, tuttavia, detta una presunzione di territorialità
dell’acquisto intracomunitario quando l’acquirente è soggetto d’imposta nel territorio dello stato,
salvo che sia comprovato che l’acquisto è stato assoggettato ad imposta in altro stato membro di
destinazione del bene.
La seconda parte del medesimo comma 2, infine, delinea la “triangolazione” promossa
dall’operatore nazionale, disponendo che è comunque effettuato senza pagamento dell’imposta
l’acquisto intracomunitario di beni spediti o trasportati in altro stato membro se i beni stessi
risultano ivi oggetto di successiva cessione a soggetto d’imposta nel territorio di tale stato o ad ente
assoggettato ad imposta per gli acquisti intracomunitari, purché il cessionario finale risulti designato
come debitore dell’imposta relativa (l’ipotesi è quella dell’impresa IT che acquista beni in FR e li
rivende in BE, incaricando il fornitore francese di inviarli direttamente in Belgio).
Vendite “a catena”
E’ sorto il dubbio sul trattamento da applicare al caso in cui un bene formi oggetto di più
vendite tra soggetti appartenenti a stati membri diversi, con un unico spostamento dei beni dal
primo fornitore al destinatario finale, e tuttavia non riconducibili agli schemi delle triangolazioni
normativamente delineati: ad esempio, l’operatore IT1 acquista beni da FR e li rivende a IT2, dando
incarico al fornitore francese di consegnare direttamente i beni al proprio cliente in Italia.
La questione è stata portata all’esame della corte di giustizia, che si è pronunciata con la
sentenza 6/4/2006, C-245/04. La corte ha osservato che le due cessioni successive potrebbero essere
esentate entrambe come cessioni intracomunitarie soltanto se l’unico movimento intracomunitario
di beni fosse imputato ad entrambe; ha aggiunto però che, in tal caso, il primo venditore (FR)
effettuerebbe una prima cessione localizzata nello stato membro di partenza (Francia), alla quale
corrisponderebbe un acquisto intracomunitario da parte dell’acquirente intermedio (IT1) nel
territorio di destinazione (Italia); l’acquirente intermedio effettuerebbe poi una seconda cessione,
pure essa localizzata nello stato membro di partenza (Francia), alla quale corrisponderebbe un
secondo acquisto intracomunitario da parte del secondo acquirente (IT2) nello stato di destinazione
(Italia). In questo modo, però, l’acquirente intermedio effettuerebbe un acquisto intracomunitario a
destinazione (Italia), cui seguirebbe una nuova cessione intracomunitaria all’origine (Francia), cosa
palesemente illogica e contraria allo spirito del regime transitorio.
L’unico movimento intracomunitario, pertanto, va imputato ad una sola delle due cessioni,
in modo da raggiungere l’obiettivo del trasferimento del gettito fiscale allo stato membro di
consumo.
Quanto all’individuazione del luogo della cessione, poiché l’unico movimento
intracomunitario di beni può essere imputato ad una sola delle due cessioni, il luogo di tale
cessione, secondo la corte, si considera situato nello stato membro di partenza della spedizione o del
trasporto dei beni; di conseguenza, poiché l’altra cessione non comporta una spedizione o un
trasporto, essa si considera effettuata nel luogo in cui i beni si trovano al momento della detta
cessione.
Se la cessione che comporta una spedizione o un trasporto intracomunitario di beni, cui
corrisponde dunque un acquisto intracomunitario tassato a destinazione, è la prima (da FR a IT1), la
seconda cessione si considera avvenuta nel luogo dell’acquisto intracomunitario che l’ha preceduta,
cioè a destinazione (Italia); al contrario, se la cessione che dà luogo alla spedizione o al trasporto
intracomunitario di beni è la seconda, la prima cessione, avvenuta “per definizione” prima della
spedizione o del trasporto dei beni, va localizzata nello stato membro di partenza.
Nella successiva sentenza 16 dicembre 2010, causa C-430/09, la corte si è poi occupata della
questione diretta ad individuare a quale delle due cessioni oggetto di un solo trasporto
intracomunitario debba essere imputato tale trasporto e spetti, quindi, la qualifica di cessione
intracomunitaria. Al riguardo, la corte ha spiegato che occorre effettuare una valutazione globale di
tutte le circostanze del caso di specie al fine di stabilire quale delle due cessioni soddisfi la totalità
delle condizioni necessarie per configurare una cessione intracomunitaria. In particolare, nelle
circostanze di cui alla fattispecie concreta, nelle quali il primo acquirente, avendo ottenuto il diritto
di disporre del bene come un proprietario nel territorio dello stato membro della prima cessione,
manifesta il suo intento di trasportare tale bene in un altro stato membro e si presenta con il suo
numero di partita Iva attribuito da quest’ultimo stato, il trasporto intracomunitario dovrebbe essere
imputato alla prima cessione, a condizione che il diritto di disporre del bene come un proprietario
sia stato trasferito al secondo acquirente nello stato membro di destinazione del trasporto
intracomunitario.
6. Debitore dell’imposta
L’articolo 44, comma 1, identifica il debitore dell’imposta relativa all’acquisto
intracomunitario con il soggetto che ha effettuato l’acquisto stesso, il quale è tenuto a determinare,
liquidare e versare l’imposta secondo le disposizioni del dl 331/93 e del dpr 633/72.
In deroga alla predetta disposizione, il comma 2 stabilisce che, per le cessioni di cui al
comma 7 dell’art. 38, debitore dell’imposta è il cessionario designato, che deve osservare gli
adempimenti di cui agli articoli 46, 47 e 50, comma 6, descritti appresso. La previsione, che si
riferisce alle “triangolazioni comunitarie” promosse da soggetti stabiliti in altri paesi membri e
concluse con l’invio dei beni all’acquirente finale italiano, mira a sollevare da qualsiasi
adempimento il promotore della triangolazione che abbia designato il cessionario italiano come
debitore dell’imposta, “saltando” in sostanza, per esigenze di semplificazione, il passaggio
intermedio. Il comma 7 dell’art. 38, infatti, per rispondere alle esigenze sottese dalla previsione
dell’operazione triangolare, stabilisce che l’imposta non è dovuta per l’acquisto intracomunitario in
Italia, da parte di un operatore stabilito in un altro stato membro, di beni che egli ha acquistato in un
terzo stato membro per rivenderli a propri cessionari stabiliti in Italia, designati debitori
dell’imposta relativa alla cessione.
Acquisti intracomunitari effettuati da soggetti non residenti
Ai sensi del comma 3 dell’art. 44, se l’acquisto è effettuato da un soggetto non residente e
senza stabile organizzazione nel territorio dello stato (si pensi all’introduzione di beni da parte di un
imprenditore stabilito in altro stato membro), gli obblighi devono essere adempiuti (ed i connessi
diritti possono essere esercitati) attraverso un rappresentante fiscale nominato ai sensi dell'art. 17,
secondo comma, del dpr 633/72, oppure, ove consentito, mediante identificazione diretta ai sensi
dell’art. 35-ter, stesso dpr.
Se sono effettuati soltanto acquisti non imponibili, esenti, non soggetti, o comunque senza
obbligo di pagamento dell’imposta, la rappresentanza può essere conferita nella forma cosiddetta
“leggera”, limitatamente cioè all’adempimento degli obblighi di fatturazione o integrazione ex art.
46 e di compilazione degli elenchi riepilogativi (modelli Intrastat), senza nemmeno l’obbligo di
presentare la dichiarazione annuale.
7. Base imponibile, aliquote, esenzioni
Per la determinazione della base imponibile degli acquisti intracomunitari, l’art. 43, dl
331/93, come modificato dall’art. 1 della legge n. 228/2012, rinvia totalmente alle disposizioni degli
articoli 13, 14 e 15 del dpr 633/72, specificando che, per i beni soggetti ad accisa, concorre a
formare la base imponibile anche l’ammontare di detta imposta, se già assolta oppure se esigibile in
dipendenza dell’acquisto.
In sostanza, per la determinazione della base imponibile valgono le medesime regole
previste dal dpr 633/72, le cui disposizioni, peraltro, sono applicabili, ove non diversamente
stabilito, per effetto del generale rinvio operato dall’art. 56 del dl 331/93. Così, in assenza di
corrispettivo (si pensi, per esempio, all’introduzione di merci appartenenti allo stesso soggetto,
prevista dall’art. 38, comma 3, lettera b), la base imponibile sarà costituita dal prezzo di acquisto o
dal prezzo di costo dei beni, determinati nel momento in cui si effettuano le operazioni; le
operazioni accessorie ai sensi dell’art. 12 del dpr 633/72 concorreranno a formare la base
imponibile; ecc.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 43, nel caso in cui l’acquisto intracomunitario che si presume
effettuato in Italia ai sensi dell’art. 40, comma 2, primo periodo, sia stato tassato nel paese di
destinazione del bene, la base imponibile in Italia è ridotta dell’ammontare assoggettato ad imposta
nel predetto paese. In ordine alle implicazioni sostanziali di questa disposizione, si veda la sentenza
della corte di giustizia Ue del 22 aprile 2010, causa C-536/08.
Riguardo alla misura dell’imposta, agli acquisti intracomunitari si applica l’aliquota propria
dei beni che ne costituiscono oggetto, secondo quanto previsto dalle disposizioni dell’art. 16 del dpr
633/72; valgono dunque le medesime aliquote stabilite per le cessioni interne e le importazioni.
L’art. 42 del dl 331/93 stabilisce al comma 1 che sono non imponibili o esenti dall’imposta
gli acquisti intracomunitari aventi per oggetto beni la cui cessione nel territorio dello stato è non
imponibile ai sensi degli artt. 8, 8-bis e 9, oppure esente a norma dell’art. 10, del dpr 633/72.
Il comma 2, infine, dispone che qualora nell’effettuazione dell’acquisto intracomunitario si
faccia ricorso all’utilizzo del plafond di cui al secondo comma dell’art. 8, dpr 633/72, non si applica
la disposizione che prevede l’invio al fornitore della lettera d’intento (essendo nell’ipotesi tale
formalità del tutto inutile, giacché si tratterebbe di inviare la lettera a se stessi). E’ appena il caso
osservare come il ricorso al plafond per effettuare acquisti intracomunitari sia controproducente,
data la neutralità non solo economica, ma anche finanziaria, derivante dalla contestuale
contabilizzazione dell’acquisto intracomunitario nel registro delle vendite e in quello degli acquisti.
8. Modalità applicative e adempimenti
Vediamo ora in breve le modalità di determinazione e di applicazione dell’Iva sugli acquisti
intracomunitari, nonché gli adempimenti dei contribuenti.
8.1 Comunicazione al fornitore
Ai sensi dell'art. 50, comma 3, chi effettua acquisti intracomunitari soggetti ad imposta deve
comunicare al fornitore il proprio numero di partita Iva, preceduto dal prefisso IT. Attraverso questa
comunicazione l’acquirente si qualifica soggetto passivo nei confronti del fornitore, il quale è
pertanto legittimato, effettuando una operazione intracomunitaria soggetta a tassazione nel paese di
destinazione, a non applicare l’imposta all’origine.
8.2 Integrazione della fattura estera
La tassazione degli acquisti intracomunitari, dal punto di vista formale, avviene attraverso
un procedimento che inizia con l’integrazione della fattura del fornitore comunitario, alla quale il
soggetto nazionale deve aggiungere gli elementi richiesti dall'art. 46, comma 1, e cioè:
- la numerazione progressiva, che deve seguire quella propria delle fatture emesse; è consentita
l’adozione di una specifica serie di numerazione
- il controvalore in euro degli eventuali importi, concorrenti a formare la base imponibile,
espressi in valuta estera
- l’aliquota applicabile in relazione alla natura del bene
- l’imposta relativa
- in caso di acquisto non imponibile o esente, il titolo con l’eventuale indicazione della norma
nazionale o comunitaria.
L’integrazione deve essere materialmente eseguita, di regola, nel corpo del documento
stesso. Tuttavia, agli operatori che adottano una contabilità basata su sistemi meccanografici, con
circolare n. 13/1994 è stato consentito di eseguire l’integrazione su un altro documento, formato
appositamente, che deve essere allegato e conservato insieme alla fattura cui si riferisce, della quale
deve riportare gli estremi. Ancorché indirizzata agli operatori che adottano la contabilità
meccanizzata, la semplificazione non può non estendersi alla generalità dei contribuenti, laddove
sussistano obiettivi impedimenti materiali all’effettuazione dell’integrazione sulla stessa fattura
estera (es. uso di carta chimica, mancanza di spazio).
Nel caso in cui la fattura del fornitore sia elettronica, non essendo possibile apportare
modifiche al documento digitale, l’integrazione potrà essere effettuata generando un apposito
documento informatico abbinato alla fattura. Qualora l’integrazione venga eseguita redigendo,
invece, un documento cartaceo, si renderà necessario materializzare anche la fattura del fornitore,
per conservarla congiuntamente al documento integrativo; in alternativa, si potrà convertire il
documento integrativo in formato elettronico, secondo le disposizioni del dm 23 gennaio 2004.
Queste indicazioni, fornite dall’agenzia delle entrate con la circolare n. 45 del 19 ottobre 2005,
potrebbero essere riviste alla luce dell’evoluzione della normativa in materia di fatturazione e
conservazione elettronica.
Autofattura sostitutiva
Ai sensi dell'art. 46, comma 5, come riformulato dall’art. 1 della legge n. 228/2012 con
effetto dal 1° gennaio 2013, se la fattura del fornitore comunitario non perviene entro il secondo
mese successivo a quello di effettuazione dell’acquisto intracomunitario, occorre regolarizzare
l’operazione emettendo, entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione
dell’acquisto una fattura in unico esemplare (non è più richiesta l’indicazione del numero
identificativo Iva del fornitore). Qualora sia invece pervenuta una fattura infedele, recante
l’indicazione di un corrispettivo inferiore a quello reale, occorre emettere fattura integrativa entro il
giorno 15 del mese successivo alla registrazione del documento originario.
A differenza della regolarizzazione delle fatture interne (disciplinata dall’articolo 6, comma
8, del dlgs n. 471/97), non è prevista la presentazione di una copia dell’autofattura
all’amministrazione finanziaria, né occorre effettuare un apposito versamento dell’imposta, che
viene infatti assolta in sede di liquidazione periodica.
8.3 Registrazione della fattura
a) A debito
Ai sensi dell’art. 47, comma 1, dl 331/93, come riformulato dall’art. 1 della legge n.
228/2012 con effetto dal 1° gennaio 2013, le fatture relative agli acquisti intracomunitari,
previamente integrate come detto, devono essere annotate, entro il giorno 15 del mese successivo a
quello di ricevimento e con riferimento al mese precedente, distintamente nel registro di cui all’art.
23 (registro delle fatture emesse) secondo l’ordine della numerazione, indicando anche l’eventuale
corrispettivo espresso in valuta estera. Il successivo comma 2 prevede che i contribuenti di cui
all’art. 22 del dpr 633/72 (commercianti al dettaglio, artigiani, ecc.) possono annotare le fatture, con
le suddette modalità, nel registro di cui all'art. 24 (registro dei corrispettivi).
Le autofatture emesse ai sensi dell’art. 46, comma 5 (autofatture sostitutive), devono essere
registrate entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente.
b) A credito
Le fatture integrate (e le autofatture), ai fini della detrazione, devono essere annotate
distintamente anche nel registro di cui all’art. 25 del dpr 633/72 (registro acquisti). Tale
registrazione può effettuarsi entro la liquidazione periodica oppure la dichiarazione annuale nella
quale viene esercitato il diritto di detrazione dell’imposta che ne risulta.
Norme comuni in materia di registrazione
L’obbligo di registrazione distinta delle fatture relative agli acquisti intracomunitari non
richiede speciali accorgimenti, essendo sufficiente riportare tali fatture nei registri contabili
separatamente dalle altre, in modo che risulti evidente la loro natura. L’obbligo si intende
correttamente assolto, pertanto, registrando le fatture su un’apposita colonna, oppure, in caso di
contabilità meccanizzata, codificandole adeguatamente.
Riguardo ai termini di registrazione, ai contribuenti che utilizzano macchine elettrocontabili
ovvero che si avvalgono di centri elettrocontabili gestiti da terzi, si applica il maggior termine
stabilito dal dm 11 agosto 1975 (sessanta giorni dall’effettuazione dell’operazione), fermo restando
l’obbligo di tenere comunque conto, in sede di liquidazione periodica, delle operazioni soggette a
registrazione ai sensi dell’art. 47: il maggior termine, pertanto, vale per la materiale esecuzione
dell’adempimento della registrazione, ma non deroga alle prescrizioni temporali di imputazione
dell’imposta dovuta ai fini della liquidazione.
Torna altresì applicabile, per le fatture di importo inferiore a 300 euro, la semplificazione
consistente nella possibilità di registrare, sia per la parte a debito che per quella a credito, in luogo
di ciascuna fattura, un documento riepilogativo secondo le disposizioni dell'art. 6, commi 1 e 6, del
dpr 9/12/1996, n. 695.
Con risoluzione n. 144 dell’8 settembre 1999 è stata consentita l’adozione di una procedura
che prevede un’unica numerazione delle fatture relative agli acquisti intracomunitari e la
registrazione in un solo registro sezionale, a valere per gli effetti sia dell’art. 23 sia dell’art. 25, a
condizione che in tale registro vengano annotate solo le fatture in esame e che gli importi
complessivi dei corrispettivi e dell’imposta vengano poi riportati nel registro riepilogativo.
Enti non commerciali
Gli adempimenti relativi agli acquisti intracomunitari posti in essere dagli enti non
commerciali non soggetti passivi sono previsti dagli artt. 47 e 49 del dl n. 331/93, come modificati
dalla legge n. 228/2012.
Per gli acquisti intracomunitari entro il limite di 10.000 euro, l’ente è tenuto, prima di
ogni operazione d’acquisto, a presentare per via telematica una speciale dichiarazione (modello
Intra13).
Nel caso in cui l’importo degli acquisti intracomunitari superi il limite, oppure sia stata
esercitata l’opzione per la tassazione in Italia, l’ente diventa un contribuente Iva limitatamente
agli acquisti intracomunitari (e agli acquisti di beni e servizi, territorialmente rilevanti in Italia,
effettuati presso fornitori esteri). Dovrà quindi richiedere il numero di partita Iva, da
comunicare al fornitore comunitario al fine di permettergli di fatturare la vendita senza
l’addebito dell’imposta.
Ricevuta la fattura, poi, dovrà osservare i seguenti adempimenti:
- numerazione progressiva della fattura ed integrazione con l’indicazione dell’aliquota
applicabile e della relativa Iva;
- annotazione della fattura, entro il mese successivo a quello di ricevimento, su un apposito
registro.
Qualora non abbia ricevuto dal fornitore la fattura entro il mese successivo a quello di
effettuazione dell’operazione, dovrà emettere entro il mese seguente autofattura in unico
esemplare, da annotare poi nel predetto registro entro lo stesso mese di emissione.
Entro la fine di ciascun mese, l’ente dovrà presentare, per via telematica, la
dichiarazione relativa agli acquisti intracomunitari registrati per il mese precedente, utilizzando
il modello Intra12; dovrà inoltre effettuare nello stesso termine il versamento dell’imposta con
il modello F24.
Infine, occorrerà presentare l’elenco riepilogativo degli acquisti intracomunitari.
8.4 Variazioni dell’imponibile
In caso di variazione dell’imponibile dell’acquisto intracomunitario, non essendo previste
specifiche disposizioni, si applicano quelle generali dell’art. 26 del dpr n. 633/72, secondo cui le
variazioni in aumento sono obbligatorie e devono sempre essere effettuate, mentre quelle in
diminuzione sono facoltative e, se dipendenti da sopravvenuta volontà delle parti, sono soggette al
termine decadenziale di un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria. In proposito, nella
circolare n. 13/94 il ministero delle finanze ha fornito le indicazioni di seguito esposte.
Variazioni in aumento
Ogni qual volta l’imponibile dell’acquisto intracomunitario venga ad aumentare, per
qualsiasi motivo, occorre adempiere gli obblighi di integrazione e registrazione al fine di rilevare la
maggiore imposta dovuta; occorre inoltre rettificare il modello Intrastat, se già presentato, sia ai fini
fiscali che statistici.
Variazioni in diminuzione
In caso di variazione in diminuzione, l’operatore ha facoltà di intervenire in rettifica
dell’imponibile sia nel registro delle vendite sia in quello degli acquisti; egli può, quindi, non tenere
conto della variazione e trattare conseguentemente il documento (es. nota di credito) proveniente
dal fornitore estero soltanto ai fini patrimoniali e reddituali, annotandolo nella contabilità generale.
Se la riduzione della base imponibile deriva dalla restituzione dei beni al fornitore comunitario, il
modello Intrastat dovrà essere comunque rettificato ai fini statistici, anche se la variazione non sia
stata eseguita ai fini fiscali.
8.5 Liquidazione e dichiarazione
Attraverso la registrazione nei registri Iva, gli acquisti intracomunitari partecipano alla
liquidazione periodica dell’imposta.
L’imposta che il contribuente si auto-addebita sull’acquisto intracomunitario può essere
portata in detrazione secondo i principi e con le regole generali di cui all’art. 19 e seguenti del dpr
633/72.
Si richiama l’attenzione sulla sentenza del 22 aprile 2010, cause riunite C-536/08 e C539/08, già citata prima, con la quale la corte di giustizia Ue ha chiarito che l’imposta assolta
sull’acquisto intracomunitario nel paese di identificazione, in base alla presunzione posta dall’art.
40, comma 2, primo periodo, dl 331/93, non è ammessa in detrazione; la direttiva, infatti, non
contempla tale diritto per l’ipotesi in esame, ma stabilisce che è ridotta la base imponibile nella
misura in cui sia dimostrato che l’acquisto è stato tassato nel paese di destinazione dei beni.
Se il diritto alla detrazione spetta in misura piena e viene esercitato nella stessa liquidazione
in cui l’imposta è computata a debito, sono integralmente neutralizzati gli effetti debitori
dell’acquisto intracomunitario, in quanto in sede di liquidazione l’imposta dovuta e quella detratta si
compenseranno a vicenda. Occorre ricordare, a proposito della neutralità dell’Iva, che nella
sentenza 8 maggio 2008, causa C-95/07 e 96/07, la corte di giustizia Ue ha chiarito che
l’amministrazione, in sede di accertamento della violazione degli obblighi di applicare l’imposta
con il meccanismo dell’inversione contabile, non può pretendere il pagamento dell’imposta che il
contribuente avrebbe potuto portare in detrazione, ferma restando la possibilità di sanzionare la
violazione.
Quanto alla dichiarazione annuale, l’art. 48, comma 2, stabilisce che gli acquisti
intracomunitari debbono risultare distintamente, secondo le modalità stabilite nel decreto di
approvazione del relativo modello.
La stessa disposizione stabilisce inoltre che se sono state registrate operazioni
intracomunitarie, non si applica l’esonero dall’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale
accordato ai soggetti che hanno effettuato soltanto operazioni esenti. In sostanza, il predetto esonero
non vale per il contribuente che, pur avendo effettuato, dal lato attivo, soltanto operazioni esenti,
abbia registrato acquisti intracomunitari, i quali, benché costituiscano operazioni passive,
comportano l’assunzione della veste di debitore dell'imposta relativa.
I contribuenti che si avvalgono del regime dei “minimi”, tuttavia, rimangono esonerati
dall’obbligo della dichiarazione annuale anche se abbiano effettuato acquisti intracomunitari (in
relazione ai quali sono tenuti a liquidare e versare l’imposta).
Per quanto riguarda la comunicazione annuale dati Iva di cui all'art. 8-bis del dpr n. 322/98,
il modello richiede la specificazione nel campo 4 del rigo CD2 (operazioni passive) dell’importo
complessivo, al netto dell’Iva, degli acquisti intracomunitari registrati nell’anno precedente.
Si segnala, infine, che le operazioni intracomunitarie non devono essere riportate nella
comunicazione telematica di cui all’art. 21 del dl n. 78/2010 (c.d. spesometro), mentre devono
essere indicate, al verificarsi dei presupposti di legge, nella comunicazione “black list” di cui all’art.
1 del dl n. 40/2010.
8.6 Presentazione degli elenchi riepilogativi (modelli Intrastat)
L’adempimento che chiude la sequenza degli specifici obblighi formali e contabili connessi
all’effettuazione degli acquisti intracomunitari è la compilazione e presentazione di appositi elenchi
riepilogativi, ai sensi dell’art. 50, comma 6, dl 331/93 (modelli Intrastat). Gli elenchi devono essere
presentati, in via telematica, utilizzando i modelli approvati, da ultimo, con provvedimento
dell’agenzia delle dogane del 22 febbraio 2010, e con l’osservanza delle disposizioni contenute nel
dm 22 febbraio 2010 (concernente i termini e le modalità di presentazione).
8.7 Annotazione movimenti non traslativi
L’art. 50, comma 5, prevede in via generale l’obbligo di annotare in apposito registro i beni
provenienti o inviati in altri stati membri a titolo non traslativo della proprietà (es. introduzione
temporanea per lavorazione, per l’esecuzione di prestazioni, per la successiva vendita, ecc.).
9. Operazioni triangolari
Nell’ambito degli scambi intracomunitari, si parla di triangolazione quando in una
operazione di compravendita, concepita unitariamente, sono coinvolti tre soggetti identificati in tre
paesi membri diversi.
La disciplina applicabile alle triangolazioni comunitarie si desume dalle seguenti norme:
- il comma 7 dell’articolo 38, che esenta dal pagamento dell'Iva l’acquisto intracomunitario
effettuato da un soggetto passivo stabilito in un altro stato membro e riguardante beni
provenienti da un terzo stato membro, che il soggetto ha venduto a propri cessionari, soggetti
passivi in Italia o enti non commerciali, designati per il pagamento dell'imposta relativa alla
cessione. Questa disposizione consente, ad esempio, al soggetto francese che ha acquistato beni
in Germania per rivenderli in Italia di evitare gli adempimenti relativi all'acquisto
intracomunitario ed alla successiva cessione, semplicemente designando come debitore dell'Iva
il proprio cessionario; l’art. 44, comma 2, lettera a), stabilisce che debitore dell'imposta è, per
l’appunto, il cessionario designato, che deve assolvere l’obbligo con l'osservanza degli
adempimenti propri degli acquisti intracomunitari;
- il comma 2, secondo periodo, dell’articolo 40, che prevede una disposizione speculare a quella
sopra illustrata, regolando l’ipotesi in cui il promotore della triangolazione (e cioè il soggetto
che acquista i beni in uno stato membro per rivenderli in un altro) è l’operatore nazionale (ad
esempio, l’imprenditore italiano che acquista beni in Francia e li rivende in Germania,
incaricando il fornitore francese di consegnare direttamente la merce al cliente tedesco).
L'articolo 46, comma 2, ultimo periodo, fa obbligo al soggetto nazionale di designare
espressamente, nella fattura di vendita, il cessionario come debitore dell’imposta, indicando il
numero di identificazione del medesimo.
Gli adempimenti relativi alle operazioni triangolari sono esemplificati nelle circolari n.
13/94 e n. 145/98.
Operazioni quadrangolari
Le operazioni nelle quali intervengono più di tre soggetti pongono una serie di
problematiche che, come spiega la circolare n. 145/98, non hanno potuto trovare soluzione per una
serie di motivazioni legate da un lato alla territorialità dell’Iva, dall’altro alle difficoltà di controllo
e alla legittimità della compilazione degli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie
(mod. Intrastat) da parte di tutti i soggetti partecipanti alle transazioni. Di conseguenza, allo stato
attuale, le “quadrangolazioni” non possono fruire delle semplificazioni introdotte per le
triangolazioni, per cui è necessario ridurre le relazioni intersoggettive, mediante la nomina di un
rappresentante fiscale nello stato membro di partenza o in quello di arrivo dei beni, al fine di poter
applicare le disposizioni sulle triangolazioni. Si rinvia, per un esempio, alla citata circolare n.
145/98.
10. Operazioni particolari
10.1 Produttori agricoli in regime speciale
Anche i produttori agricoli e ittici che si avvalgono del regime speciale dell’art. 34, dpr
633/72 sono destinatari della previsione della lettera c) del comma 5 dell’art. 38, concernente
l’esonero dalla tassazione in Italia degli acquisti intracomunitari fino alla soglia di 10.000 euro
annui, con facoltà di optare per la tassazione, secondo quanto già illustrato a proposito degli enti
non commerciali non titolari di partita Iva.
Per questi soggetti non sono previsti specifici adempimenti in relazione agli acquisti
intracomunitari non tassabili, mentre per gli acquisti imponibili (oltre soglia, oppure a seguito di
opzione) occorre distinguere come appresso.
Acquisti imponibili effettuati da agricoltori minimi esonerati
In caso di effettuazione di acquisti intracomunitari tassabili da parte di agricoltori minimi in
regime di esonero da tutti gli adempimenti Iva ai sensi dell’art. 34, comma 6, del dpr 633/72,
(soggetti con volume d’affari nell’anno precedente non superiore a 7.000 euro), l’art. 51, comma 1,
prevede l’applicazione delle disposizioni degli artt. 47, comma 3 e 49.
Pertanto occorre osservare gli adempimenti già descritti nel paragrafo 9.3 in relazione agli
enti non commerciali.
Agricoltori non esonerati
Per gli acquisti intracomunitari tassabili effettuati da produttori non esonerati vanno
osservati i normali adempimenti previsti per la generalità dei contribuenti (integrazione della
fattura, registrazione a debito, liquidazione periodica, ecc.).
E' appena il caso di precisare che l’imposta dovuta sugli acquisti intracomunitari deve essere
integralmente versata, in quanto i produttori agricoli che si avvalgono del regime speciale dell’art.
34 non hanno diritto alla detrazione sugli acquisti.
10.2 Soggetti totalmente esenti
Anche i soggetti che effettuano soltanto operazioni esenti e non hanno, pertanto, diritto di
detrarre neppure in parte l’imposta sugli acquisti beneficiano, come gli enti non commerciali e i
produttori agricoli, dell’esonero dal pagamento dell’Iva sugli acquisti intracomunitari fino al limite
annuo di 10.000 euro, fatta sempre salva la facoltà di optare per la tassazione, ai sensi dei commi 5
e 6 dell’art. 38.
Nei confronti dei soggetti in questione non sono previsti, per gli acquisti non tassabili,
adempimenti di sorta, mentre per gli acquisti tassabili vanno osservate le disposizioni di carattere
generale (integrazione della fattura, registrazione, ecc.). Naturalmente l'imposta relativa agli
acquisti intracomunitari si rende integralmente dovuta, stante il divieto di detrazione derivante
dall’effettuazione di operazioni esenti.
10.3 Contribuenti minimi
Le persone fisiche che si avvalgono del regime speciale di cui all’art. 1, commi 9 e ss. della
legge n. 244/2007, come modificato dall’art. 27 del dl n. 98/2011, che prevede in sostanza la
franchigia dall’Iva, se effettuano acquisti intracomunitari sono tenuti ad integrare la fattura con
l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta, e ad effettuare il relativo versamento entro il giorno 16
del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.
10.4 Acquisti di mezzi di trasporto nuovi
Gli scambi a titolo oneroso di mezzi di trasporto nuovi pagano l’Iva “in ogni caso” nel paese
di destinazione, a prescindere dalla posizione soggettiva delle parti contraenti: l’acquisto di questi
beni si considera acquisto intracomunitario anche se il cedente, l’acquirente, oppure entrambi i
contraenti non agiscono in veste di soggetti passivi. Ai sensi dell’art. 38, comma 3, lettera e),
costituiscono infatti acquisti intracomunitari “gli acquisti a titolo oneroso di mezzi di trasporto
nuovi trasportati o spediti da altro stato membro, anche se il cedente non è soggetto d'imposta ed
anche se non effettuati nell'esercizio di imprese, arti e professioni.”
Ai fini della norma in esame, il comma 4 dell’art. 38 stabilisce che costituiscono “mezzi di
trasporto”:
- le imbarcazioni di lunghezza superiore a 7,5 metri
- gli aeromobili con peso totale al decollo superiore a 1.550 kg
- i veicoli con motore di cilindrata superiore a 48 cc. o di potenza superiore a 7,2 Kw
destinati al trasporto di persone o cose, con esclusione delle imbarcazioni destinate all’esercizio di
attività commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare e degli aerei
destinati ad imprese di navigazione aerea che effettuano prevalentemente trasporti internazionali.
La stessa disposizione, inoltre, stabilisce che i suddetti mezzi di trasporto non si considerano
nuovi alla duplice condizione che, al momento della cessione, (i) abbiano percorso oltre seimila
chilometri e (ii) siano decorsi sei mesi dalla prima immatricolazione (veicoli terrestri), ovvero (i)
abbiano navigato per oltre cento ore o volato per oltre quaranta ore e (ii) siano decorsi tre mesi dalla
prima immatricolazione (altri veicoli).
Gli adempimenti da osservare per applicare l’imposta sono differenti a seconda che
l’acquirente agisca in veste di soggetto passivo dell’Iva oppure di privato consumatore.
Nel primo caso (acquirente soggetto passivo), le modalità di applicazione dell’Iva sono
quelle ordinarie degli acquisti intracomunitari: integrazione della fattura del fornitore, registrazione
a debito, e così via.
Nel caso in cui, invece, l’acquirente sia un privato consumatore (intendendo tale anche il
soggetto d’imposta che effettua l’acquisto per scopi estranei alla sua attività economica), occorre
fare riferimento alle disposizioni del dm 19/1/1993.
Contrasto delle frodi
Si ricorda che, al fine di contrastare le frodi all’Iva, con l’articolo 1, comma 378, della legge
n. 311/2004 e con l’art. 9 del dl n. 262/2006 sono state introdotte disposizioni particolari per
l’immatricolazione dei veicoli oggetto di acquisti intracomunitari.
10.5 Acquisto di beni usati
In via di principio, anche gli scambi di beni usati danno luogo ad operazioni
intracomunitarie. Un’importante eccezione è stabilita per gli scambi di beni usati sottoposti allo
speciale regime dei “beni d’occasione” (c.d. regime del margine), disciplinato dagli artt. 36 e
seguenti del dl 23/2/95, n. 41
Il comma 2 dell'art. 37 di detto decreto stabilisce che gli acquisti di beni usati, assoggettati al
regime del margine nello stato membro di provenienza, non sono considerati acquisti
intracomunitari; stabilisce inoltre, parallelamente, che per le cessioni degli stessi beni non si
applicano le disposizioni in materia di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie.
In buona sostanza, gli scambi intracomunitari di beni usati rientranti nel regime del margine,
anche se effettuati tra soggetti d’imposta, sono sottratti alla speciale disciplina del dl 331/93 (e al
principio di tassazione nel paese di destinazione) e sono trattati, invece, come normali operazioni
interne dello stato del cedente. Di conseguenza l’imposta è assolta in tale stato, secondo le speciali
regole del regime del margine.
Si ricorda che, come precisato dal ministero delle finanze nella circolare n. 177 del
22/6/1995, in relazione agli scambi di beni rientranti nel regime del margine effettuati tra soggetti
passivi d’imposta di diversi stati membri sussiste l'obbligo di presentazione, ai soli fini statistici,
degli elenchi riepilogativi modelli Intrastat.
10.6 Prodotti editoriali
Per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari di prodotti editoriali, la cui
commercializzazione è disciplinata, com’è noto, dallo speciale regime monofase dell’art. 74, primo
comma, lettera c), del dpr 633/72, occorre fare riferimento alle disposizioni contenute nel dm
9/4/1993, che integrano quelle di carattere generale previste dal dl 331/93.
SECONDA PARTE
LE CESSIONI INTRACOMUNITARIE
In aderenza al principio per cui gli scambi di beni B2B sono tassati nel paese di destinazione
(come acquisti intracomunitari), la cessione, nel paese di origine, è “esentata” dall’applicazione
dell’imposta. Come chiarito dalla corte di giustizia Ue, il meccanismo instaurato dal regime
transitorio consiste, da un lato, in un’esenzione, da parte dello stato membro di partenza, della
cessione che dà luogo alla spedizione o al trasporto intracomunitario (esenzione accompagnata però
dal diritto di detrazione dell’Iva pagata a monte in tale stato membro), e, dall’altro, nella tassazione,
da parte dello stato membro di destinazione, dell’acquisto intracomunitario.
Ogni acquisto intracomunitario tassato nello stato membro di arrivo della spedizione o del
trasporto intracomunitario di beni, quindi, comporta come corollario una cessione intracomunitaria
esente nello stato membro di partenza; l’esenzione della cessione intracomunitaria nello stato
membro di partenza permette di evitare la doppia imposizione.
In definitiva, la cessione intracomunitaria di un bene nel paese di partenza e il suo acquisto
intracomunitario nel paese di destinazione costituiscono, in realtà, un’unica e medesima operazione
economica, anche se tale operazione dà luogo a diritti e obblighi diversi sia per i soggetti passivi sia
per le autorità dei due stati membri interessati.
Sempre sul piano dei principi generali, occorre rammentare che se l’operazione è
qualificabile come acquisto intracomunitario, lo stato membro nel quale tale acquisto è effettuato ha
diritto di pretendere l’Iva indipendentemente dal trattamento applicato dal cedente nello stato
membro di partenza. In altre parole, qualora l’operazione presenti tutti i requisiti per essere
qualificata come cessione intracomunitaria nel paese di origine e come acquisto intracomunitario
nel paese di destinazione, quest’ultimo può esigere e riscuotere l’imposta anche se questa sia già
stata applicata nel paese di origine (per esempio, per errore del fornitore).
In tal senso, espressamente, l’art. 16 del citato regolamento Ue n. 282/2011 (già art. 21 del
regolamento Ue n. 1777 del 17/10/2005), il quale precisa inoltre che l’eventuale domanda di
correzione, da parte del cedente, dell’imposta da questi fatturata e dichiarata allo stato membro di
origine è trattata da detto stato conformemente alle sue disposizioni nazionali.
Prima di analizzare più in dettaglio i requisiti della cessione intracomunitaria, occorre
precisare che, nell’ordinamento nazionale, essa costituisce un’operazione “non imponibile”; ciò
perché, nel nostro ordinamento, la qualifica di operazione “esente” è attribuita alle operazioni che
non ammettono il diritto alla detrazione dell’imposta “a monte”. Si tratta, tuttavia, di una differenza
meramente lessicale, del tutto irrilevante sul piano sostanziale.
L’ammontare delle cessioni intracomunitarie concorre alla determinazione dello status di
“esportatore abituale” e del plafond per gli acquisti in sospensione d’imposta, ai sensi dell’art. 8,
secondo comma, del dpr n. 633/72.
1. Presupposti per la non imponibilità della cessione
In base alla lettera a) dell’articolo 41, si configura una cessione intracomunitaria non
imponibile in presenza dei seguenti presupposti:
- trasporto o spedizione dei beni verso altro stato membro. E’ necessario lo spostamento fisico
(trasporto o spedizione) dei beni dal territorio nazionale a quello di un altro stato membro. E’
irrilevante la figura del soggetto che provvede al trasporto o alla spedizione, potendo trattarsi dello
stesso cedente italiano, dell’acquirente comunitario oppure di un terzo incaricato da una delle due
parti. Questa figura viene però in rilievo, oltre che sul piano probatorio, nel caso delle cessioni c.d.
“a catena”, ovverosia quando vi sono più trasferimenti della proprietà con un un’unica
movimentazione dei beni (cfr il paragrafo 2.8);
- onerosità della cessione. Deve trattarsi di una cessione a titolo oneroso, ossia verso corrispettivo;
in caso contrario non si applicheranno le disposizioni sugli scambi intracomunitari, ma quelle di
carattere generale contenute nel dpr n. 633/1972. In altri termini, alla cessione gratuita verso altri
paesi dell’Ue si applicherà il medesimo trattamento applicabile all’analoga operazione interna;
- soggettività passiva dell’acquirente. Questo presupposto riguarda lo status del cessionario, che
deve rivestire la qualifica di soggetto passivo ai fini dell’Iva (a questo riguardo, si vedano i
chiarimenti forniti recentemente dalla corte di giustizia Ue, riportati nel successivo paragrafo 2.5).
Ai fini della tassazione degli scambi intracomunitari, gli enti non commerciali sono
assimilati ai soggetti passivi, fatta eccezione per gli enti non titolari di partita Iva, i quali si
considerano “privati” fino ad una soglia di acquisti intracomunitari di 10.000 euro annui (salva la
possibilità di rinunciare a questa semplificazione).
Un pre-requisito implicito è che l’operazione sia qualificabile come cessione di beni, ossia
come trasferimento del diritto di disporre di un bene materiale come proprietario. L’accertamento di
questo pre-requisito non sempre è agevole, in considerazione delle difficoltà che sovente sorgono
quando si tratta di classificare un’operazione come cessione di beni piuttosto che come prestazione
di servizi, difficoltà che crescono nell’ambito delle operazioni transnazionali, ove possono entrare
in gioco le differenti classificazioni e le imperfezioni nell’armonizzazione delle regole.
Attenzione: l’effettuazione di operazioni intracomunitarie è sottoposta al regime
autorizzatorio istituito dal dl n. 78/2010, illustrato nel paragrafo 2.11.
Origine dei beni
Il regime previsto per le cessioni intracomunitarie si applica ai beni originari dell’Ue o ivi
immessi in libera pratica (cioè importati da paesi terzi con assolvimento dei dazi doganali). Non può
applicarsi, invece, ai beni in temporanea importazione, che conservano lo status di merce estera. Di
conseguenza, per esempio, la cessione dall’impresa italiana all’impresa francese di un bene che si
trova in regime di temporanea importazione in Italia deve essere assoggettata all’Iva ai sensi
dell’art. 7-bis del dpr n. 633/72 (in tal senso la risoluzione n. 127 del 7/9/1998). Si ricorda che, in
tale ipotesi, ai sensi dell’art. 13, secondo comma, lettera e), del dpr n. 633/72, la base imponibile
della cessione è costituita dal corrispettivo pattuito diminuito del valore accertato dall’ufficio
doganale all’atto della temporanea importazione.
1.1 Lavorazioni per conto dell’acquirente
L’art. 41 prevede espressamente la possibilità di sottoporre i beni, per conto del cessionario,
ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad
altri beni. Tali prestazioni di lavorazione, se effettuate da soggetto diverso del cedente per conto del
cessionario comunitario, già costituenti operazioni non imponibili ai sensi dell’art. 40, comma 4-bis,
dello stesso dl n. 331/1993, dal 2010 si configurano come operazioni non soggette ai sensi dell’art.
7-ter del dpr 633/72 (assenza del presupposto territoriale).
Ad esempio, se l’impresa FR acquista beni dall’operatore italiano IT1, incaricandolo di
consegnarli ad altro operatore italiano IT2 per una lavorazione, terminata la quale i beni saranno
inviati in Francia (indifferentemente a cura di IT1 o di IT2), si configurano le seguenti operazioni:
- IT1 effettua una cessione intracomunitaria non imponibile ex art. 41
- IT2 effettua una lavorazione non soggetta ex art. 7-ter, dpr 633/72 (per la quale ha tuttavia
l’obbligo di fatturazione e quello di presentare il modello Intrastat servizi).
1.2 Vendite a soggetti esentati
La disposizione dell’articolo 41, lettera a), non si applica (e la cessione è quindi imponibile
in Italia) se l’acquirente è esentato dal pagamento dell’Iva nel proprio paese, salvo che abbia
comunque optato per la tassazione dell’acquisto intracomunitario. Si rammenti sempre il principio
generale secondo cui la cessione intracomunitaria è non imponibile se in quanto si realizzi,
specularmente, un acquisto intracomunitario imponibile nel paese di destinazione.
1.3 Cessioni effettuate dai contribuenti in regime di franchigia
In conformità alla normativa comunitaria, l’art. 41, comma 2-bis, del dl 331/93 stabilisce
che non costituiscono cessioni intracomunitarie quelle effettuate dai contribuenti che si avvalgono
del regime di franchigia dall’Iva (ossia, in Italia, del regime speciale di cui all’art. 1, commi 96 e ss.
della legge n. 244/2007, come modificato dall’art. 27 del dl n. 98/2011).
Dette cessioni, pertanto, devono essere considerate operazioni interne imponibili, anche se
l’imposta non viene evidenziata in fattura né versata per effetto del regime speciale.
1.4 Cessioni di gas, energia elettrica, calore e freddo
Lo stesso comma 2-bis dell’art. 41 stabilisce inoltre che non costituiscono cessioni
intracomunitarie:
- le cessioni di gas mediante sistemi di distribuzione di gas naturale situato nel territorio dell’Ue o
una rete connessa a tale sistema
- le cessioni di energia elettrica
- cessioni di calore o di freddo mediante reti.
Questa disposizione si giustifica in ragione della particolare disciplina dettata ai fini della
territorialità dall’art. 7-bis, comma 3, del dpr 633/72, secondo cui le predette cessioni non si
considerano effettuate nel territorio dello stato; trattandosi, quindi, di operazioni extraterritoriali,
non possono essere qualificate cessioni intracomunitarie.
2. Applicazione sostanziale del regime intracomunitario
L’operazione che presenta i requisiti della cessione intracomunitaria resta esente nel paese di
origine anche nel caso in cui, in un primo momento, era stata occultata per motivi non fiscali; in
caso di frode fiscale, invece, il paese di origine può negare l’esenzione benché sussistano i predetti
requisiti. Questi principi sono stati sanciti dalla corte di giustizia Ue.
2.1 La prova tardiva della cessione intracomunitaria
Nella sentenza 27/9/2007, causa C-146/05, la corte si è occupata delle questioni sollevate in
relazione al caso di una società tedesca, concessionaria di una casa automobilistica, che aveva
stipulato un contratto di vendita di autovetture con un cliente belga. In base al contratto con la
concedente, però, la società concessionaria non poteva effettuare vendite al di fuori del territorio
commerciale di propria competenza; pertanto, al fine di dare corso al contratto con il cliente belga,
decideva di ricorrere all’espediente di simulare la vendita delle autovetture ad un intermediario
tedesco, nei cui confronti emetteva quindi fatture con addebito dell’Iva; la società, inoltre, emetteva
a nome dell’intermediario le fatture di vendita nei confronti dell’acquirente belga in esenzione
dall’imposta, in quanto cessioni intracomunitarie.
Avuta notizia che il fisco aveva contestato all’intermediario il diritto alla detrazione dell’Iva
a motivo dell’inesistenza delle operazioni, la società decideva di uscire allo scoperto, assumendo la
“paternità” delle cessioni intracomunitarie e regolarizzando nel senso conseguente la propria
contabilità (in pratica, annullava le fatture fittizie emesse nei confronti dell’intermediario e
assumeva come proprie le fatture emesse a nome di questi nei confronti del cliente belga). Il fisco,
però, negava alla società l’esenzione sulle cessioni intracomunitarie rivelate tardivamente. Ne
scaturiva una controversia che l’autorità giudiziaria decideva di sospendere per chiedere alla corte
di giustizia se l’amministrazione tributaria possa rifiutare di esentare una cessione intracomunitaria,
evidentemente sussistente, solo perché il soggetto passivo non aveva prodotto subito le prove
richieste.
Nella citata sentenza, la corte osserva anzitutto che la direttiva obbliga gli stati membri ad
esentare le cessioni intracomunitarie, perché nel regime transitorio la tassazione degli scambi
avviene nel paese di consumo finale.
La direttiva non si occupa però delle prove che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per
beneficiare dell’esenzione, demandando agli stati membri di stabilire le condizioni alle quali essi
esentano le cessioni intracomunitarie. I provvedimenti che gli stati membri possono adottare in
questo contesto, per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi, non devono
eccedere quanto è necessario allo scopo, per cui non possono essere utilizzati in modo tale da
mettere in discussione la neutralità dell’imposta.
Un provvedimento nazionale che subordini il diritto all’esenzione agli obblighi di forma,
senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali, spiega la corte, eccede quanto è necessario
per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva. Le operazioni devono infatti essere tassate prendendo in
considerazione le loro caratteristiche oggettive. Pertanto, poiché nella fattispecie è stata
incontestabilmente effettuata una cessione intracomunitaria, il principio di neutralità fiscale esige
che l’esenzione dall’Iva sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, anche se certi
requisiti formali non sono stati rispettati; la situazione sarebbe diversa solo se la violazione di tali
requisiti formali avesse l’effetto di impedire di provare la sussistenza dei requisiti sostanziali.
Quanto alla circostanza che il soggetto abbia occultato, in un primo momento, l’esistenza di
una cessione intracomunitaria, spetta al giudice nazionale verificare se ciò potesse causare una
perdita gettito fiscale, tenendo presente, da un lato, che non può essere considerata una perdita
gettito la mancata percezione dell’Iva relativa ad una cessione intracomunitaria che, in un primo
momento, era stata erroneamente qualificata quale cessione interna imponibile e, dall’altro, che la
circostanza di aver fatto ricorso ad un intermediario per motivi commerciali non può essere
assimilata ad un’operazione fiscalmente fraudolenta o abusiva, qualora sia appurato che non è stata
effettuata per ottenere un indebito vantaggio fiscale. Il giudice deve quindi prendere in
considerazione l’occultamento dell’operazione soltanto se esiste un rischio di perdite di entrate
fiscali e se tale rischio non è stato completamente eliminato dal soggetto passivo.
2.2. La cessione intracomunitaria in frode all’Iva
Nella sentenza 7/12/2010, C-285/09, la corte di giustizia Ue ha affrontato le questioni
sollevate in relazione al caso di un cittadino portoghese, titolare di una società tedesca di
commercio di autoveicoli che aveva venduto tramite tale società numerosi veicoli in diversi anni,
per ingente ammontare, a concessionari situati in Portogallo, emettendo però le fatture nei confronti
di acquirenti fittizi (taluni ignari, taluni consapevoli della frode), in modo da permettere agli
effettivi cessionari di evadere l’imposta.
Nel giudizio penale, il tribunale tedesco aveva condannato l’imputato per il reato di frode
fiscale, ritenendo che le cessioni irregolarmente fatturate, in considerazione dell’intenzionale abuso
del diritto comunitario, non potessero qualificarsi cessioni intracomunitarie esenti dall’Iva.
Nel suo ricorso, l’imputato contestava la sentenza sostenendo che si basava su una
qualificazione non corretta delle operazioni in esame, costituenti cessioni intracomunitarie soggette
all’Iva non in Germania ma in Portogallo.
Investita della questione, nella citata sentenza la corte ha rammentato anzitutto che la lotta
contro ogni possibile frode, evasione fiscale ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla
direttiva Iva.
Le cessioni intracomunitarie di beni sono esentate dall’imposta, nel paese di origine, nel
quadro del regime transitorio che prevede la tassazione dell’acquisto intracomunitario nel paese di
destinazione. La nozione di cessione intracomunitaria si riferisce alle cessioni di beni spediti o
trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, da uno stato membro ad un altro,
effettuate nei confronti di soggetti passivi; l’esenzione di tale cessione è applicabile solo quando il
potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente e quando il fornitore
prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro stato membro e che ha lasciato
fisicamente il territorio di origine.
Nella fattispecie vi è stato il trasferimento fisico dei beni, ma il fornitore ha esibito fatture
viziate da inesattezza materiale riguardo al reale destinatario, circostanza che è idonea ad impedire
la corretta riscossione dell’Iva, tanto più grave nel contesto del regime descritto.
In tale ipotesi, ha concluso la corte, il diritto dell’Ue non impedisce agli stati membri,
nell’esercizio delle loro competenze, di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di
una frode fiscale e di negare l’esenzione, in funzione di deterrenza contro le frodi. Qualora, poi, vi
sia motivo di ritenere che l’acquisto intracomunitario nel paese di destinazione possa sfuggire alla
tassazione, lo stato membro di partenza è tenuto a negare l’esenzione al fornitore e ad accertare
l’imposta “a posteriori”, onde evitare il rischio di non imposizione.
Queste conclusioni non intaccano il principio di proporzionalità, che non impedisce di
esigere l’imposta dal fornitore che abbia favorito la frode, né i principi di principi di neutralità
fiscale, di certezza del diritto e di tutela dei legittimo affidamento, che non possono essere
validamente invocati dal soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente ad una frode
fiscale pregiudicando il corretto funzionamento del sistema comune Iva.
3. Termine per il trasferimento dei beni
A volte il trasferimento dei beni nello stato membro di destinazione non è contemporaneo
alla conclusione del contratto e alla fatturazione, ad esempio perché l’acquirente si riserva di
impartire successivamente al fornitore le istruzioni per la consegna, oppure richiede di consegnare
la merce presso uno spedizioniere a fini di groupage, ovvero presso un prestatore d’opera incaricato
di eseguire una lavorazione. Queste e altre circostanze comportano un differimento temporale del
trasferimento dei beni verso la destinazione finale.
Il tema è stata affrontato dalla corte di giustizia Ue nella sentenza del 18/11/2010, causa C84/09, sia pure sotto un profilo molto particolare.
Un privato cittadino svedese intendeva acquistare nel Regno Unito, per uso personale,
un’imbarcazione nuova, da trasportare in Svezia dopo averla utilizzata, per tre-cinque mesi, nel
Regno Unito o in altri paesi Ue. Posto che le cessioni di mezzi di trasporto nuovi (come si dirà
oltre) si considerano cessioni intracomunitarie anche se l’acquirente è un privato, il cittadino aveva
preventivamente chiesto alla propria autorità fiscale se l’operazione, in considerazione del fatto che
il trasferimento del bene non sarebbe stato contestuale all’acquisto, dovesse essere tassata nel
Regno Unito oppure in Svezia.
Non avendo condiviso la risposta dell’amministrazione, che si era espressa per la tassazione
in Svezia, il cittadino instaurava una controversia che il giudice nazionale decideva di sospendere
per porre alcune questioni pregiudiziali alla corte di giustizia Ue. Il giudice chiedeva, tra l’altro, se,
per realizzare una cessione intracomunitaria, è necessario che il trasporto del bene avvenga entro un
determinato periodo di tempo e se, per la stessa finalità, è necessario che il trasporto a destinazione
del bene si concluda entro un determinato periodo di tempo.
Nella richiamata sentenza, la corte ricorda che l’acquisto intracomunitario di un bene si
perfeziona (e l’esenzione della cessione intracomunitaria diviene applicabile) solo:
- quando il potere di disporre del bene è stato trasmesso all’acquirente
- quando il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in altro stato membro
- quando, in seguito a tale trasporto o spedizione, detto bene ha lasciato fisicamente il territorio
dello stato membro della cessione.
Ciò premesso, la corte osserva che nessuna norma prevede che il trasporto del bene debba
avere inizio o concludersi entro un determinato periodo di tempo; anzi, imporre un termine del
genere pregiudicherebbe il corretto funzionamento del sistema, perché la tassazione nell’uno o
nell’altro stato potrebbe essere influenzata dal comportamento delle parti.
Questa conclusione non è inficiata dal fatto che la normativa del Regno Unito prevede un
termine di due mesi entro il quale il bene deve essere trasferito nell’altro stato membro, decorso il
quale le autorità fiscali richiedono il pagamento dell’Iva. Infatti, qualora il trasporto a destinazione
avvenga dopo il decorso del suddetto termine, per cui il Regno Unito abbia già preteso il pagamento
dell’Iva sulla cessione, l’imposta percepita dovrà essere rimborsata, su richiesta del contribuente,
per evitare la doppia imposizione connessa alla riscossione dell’Iva nel paese di destinazione.
4. Prova del trasferimento dei beni e relativo onere
Ai sensi dell’art. 131 della direttiva 112, il trattamento di non imponibilità delle cessioni
intracomunitarie si applica “alle condizioni che gli stati membri stabiliscono per assicurare la
corretta e semplice applicazione…e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”. In
forza di tale disposizione, alcuni paesi hanno disciplinato in modo dettagliato taluni aspetti
procedurali, in particolare per quanto riguarda le modalità con le quali il cedente deve provare di
avere spedito o trasportato i beni in un altro stato membro. Nell’ordinamento italiano, invece, non
sono previste disposizioni al riguardo.
La corte di giustizia Ue si è occupata di questo tema nella sentenza 27/9/2007, C-409/04.
Ribadito che presupposto essenziale affinché si realizzi una cessione intracomunitaria è il passaggio
fisico dei beni tra due stati membri, per quanto riguarda l’onere della prova la corte chiarisce
anzitutto che spetta al fornitore farsi carico di provare la circostanza del trasferimento fisico dei
beni; qualora però la merce sia stata venduta “franco fabbrica” e l’acquirente abbia consegnato al
fornitore documenti probatori del trasporto a destinazione verso altro stato membro,
successivamente rivelatisi falsi, la responsabilità per la mancata fuoriuscita dei beni non può
ricadere sul fornitore in buona fede che abbia adottato ogni cautela in suo potere.
L’autorità fiscale, pertanto, non può contestare l’esenzione della cessione al fornitore che
abbia agito in buona fede, adottando tutte le misure ragionevoli in suo potere, e presentato prove
della cessione intracomunitaria che siano poi risultate false.
Quanto all’idoneità delle prove, il fatto che l’acquirente abbia presentato, nel proprio stato
membro, la dichiarazione relativa all’acquisto intracomunitario può costituire una prova
supplementare diretta a dimostrare che i beni hanno effettivamente lasciato il territorio dello stato di
cessione, ma non costituisce una prova determinante ai fini dell’esenzione dall’Iva di una cessione
intracomunitaria.
Nella coeva sentenza 27/9/2007, C 184/05, poi, la corte ha dichiarato che le disposizioni
sulla reciproca assistenza (ora contenute nel regolamento n. 904/2010) non sono state adottate al
fine di istituire un sistema che permetta agli stati membri di provare il carattere intracomunitario di
una cessione di beni effettuata da un soggetto passivo che non sia in grado di fornire tale prova.
Pertanto, qualora il fornitore non abbia adempiuto all’onere di acquisire e conservare la prova del
trasporto dei beni nel paese membro di destinazione, non spetta alle autorità fiscali chiedere
informazioni in merito a detto stato membro.
La corte è tornata sull’argomento con la sentenza 6/9/2012, causa C-273/11, fornendo
indicazioni in relazione ad un caso in cui neppure la normativa nazionale preveda disposizioni
precise in ordine al soddisfacimento dell’onere probatorio in esame. In tal caso, spiega la corte, gli
obblighi del soggetto passivo devono essere determinati in funzione delle condizioni espressamente
stabilite, per analoghe operazioni, dal diritto nazionale e dalla prassi abituale, poiché il principio di
certezza del diritto impone che i soggetti passivi abbiano conoscenza dei loro obblighi fiscali prima
di concludere un’operazione. In una situazione in cui manifestamente non esiste alcuna prova che
permetta di ritenere che i beni sono stati trasferiti al di fuori del territorio dello stato membro di
cessione, obbligare il soggetto passivo a fornire una tale prova non garantisce la corretta e semplice
applicazione delle esenzioni, ma lo pone in una situazione di incertezza circa la possibilità di
applicare l’esenzione sulla cessione intracomunitaria. Inoltre, qualora il cessionario acquisisca il
potere di disporre dei beni come proprietario nello stato membro di cessione e provveda al trasporto
di detti beni verso lo stato membro di destinazione, occorre tener conto del fatto che la prova che il
venditore può produrre alle autorità tributarie dipende fondamentalmente dagli elementi che egli
riceve a tal fine dall’acquirente.
Pertanto, qualora il venditore abbia adempiuto i suoi obblighi relativi alla prova di una
cessione intracomunitaria, laddove l’obbligo contrattuale di spedire o trasportare il bene interessato
fuori dallo stato membro di cessione non sia stato assolto dall’acquirente, è quest’ultimo che
dovrebbe essere considerato debitore dell’Iva in tale stato membro. Nel caso oggetto della
controversia principale, risulta che la società cedente si era basata sul numero di identificazione Iva
attribuito all’impresa acquirente italiana dal proprio stato membro, sul fatto che la merce venduta
era stata prelevata mediante camion immatricolati all’estero e sulle lettere di vettura CMR rispedite
dall’acquirente a partire dal suo indirizzo postale, nelle quali era indicato che i beni erano stati
trasportati in Italia.
Premesso che la questione se, così operando, la società abbia soddisfatto gli obblighi in
materia di prova e di diligenza rientra nella valutazione del giudice nazionale, la corte ha pertanto
concluso che qualora la cessione abbia comportato l’evasione dell’Iva da parte dell’acquirente e
l’amministrazione non sia certa che i beni abbiano effettivamente lasciato il territorio di partenza, è
giustificato subordinare a un requisito di buona fede il diritto del venditore all’esenzione, ossia alla
circostanza che egli non sapeva e non avrebbe potuto sapere dell’evasione. In una simile
situazione, quindi, lo stato membro può negare l’esenzione al venditore, ma deve farsi carico di
dimostrare, alla luce di elementi oggettivi, che quest’ultimo non ha adempiuto gli obblighi ad esso
incombenti in materia di prova o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione rientrava in
un’evasione posta in essere dall’acquirente e non ha adottato le misure cui poteva ragionevolmente
ricorrere per evitare la propria partecipazione a detta evasione.
Venendo al quadro nazionale, nel quale, come si è detto, manca una disciplina normativa
della materia, nella risoluzione n. 345 del 28/11/2007, rispondendo ad un’istanza di interpello,
l’agenzia delle entrate ha dichiarato che il fornitore italiano deve conservare, oltre ai documenti
fiscali tipici dell’operazione, quali la fattura e il modello Intrastat, i documenti relativi al trasporto e
al pagamento, fino alla scadenza dei termini per l’accertamento dell’Iva.
Per quanto concerne, in particolare, i documenti non fiscali, l’agenzia ha osservato che
l’invio dei beni in altro stato dell’Ue è elemento essenziale della cessione intracomunitaria, senza il
quale non può considerarsi legittima l’emissione di una fattura senza applicazione dell’Iva. A tale
fine, condividendo quanto rappresentato dall’interpellante, l’agenzia ha dichiarato che costituisce
prova idonea il documento di trasporto (lettera di vettura internazionale Cmr) da cui si evince
l’uscita delle merci dal territorio dello stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta
identificato in altro paese comunitario.
Relativamente alla documentazione bancaria, l’art. 19, terzo comma, del dpr 600/73 impone
ad imprese e professionisti l’obbligo di tenere uno o più conti correnti bancari o postali sui quali
fare affluire le somme riscosse nell’esercizio dell’attività; l’art. 2214 c.c., inoltre, prevede l’obbligo
per l’imprenditore di tenere le scritture necessarie e di conservare, per ciascun affare, le fatture,
lettere e telegrammi ricevuti e spediti.
Da queste disposizioni emerge, dunque, l’obbligo di conservare sia la documentazione
bancaria, sia copia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine
alla cessione intracomunitaria e al trasporto dei beni in altro stato membro.
Commentando la risoluzione dell’agenzia, Assonime, nella circolare n. 41 del 27/6/2008,
premesso che la questione della prova delle cessioni intracomunitarie non è disciplinata dalla
normativa nazionale, ha osservato che il riferimento alla lettera di vettura internazionale (Cmr)
quale documento idoneo a comprovare il trasferimento dei beni all’estero deve ritenersi
esemplificativo, potendosi considerare idonei anche altri documenti che attestino il trasporto nello
stato di destinazione, analogamente a quanto previsto in materia di esportazioni.
In proposito, Assonime ricorda che nella circolare 75/2002 dell’agenzia delle dogane,
relativa alla prova delle esportazioni, la lettera di vettura Cmr viene menzionata tra i documenti da
valutare, in mancanza del “visto uscire” sull’esemplare 3 del Dau, ai fini della prova dell’effettiva
uscita delle merci dal territorio comunitario; la circolare attribuisce però lo stesso valore ad ogni
altra documentazione, commerciale o fiscale, dalla quale si rilevino gli estremi della spedizione e
l’arrivo a destino della merce.
Ne discende, osserva l’associazione, che, in ambito intracomunitario, la stessa efficacia
probatoria della Cmr può essere assolta dal documento di trasporto di cui al dpr n. 472/96, integrato
con l’indicazione del luogo di consegna del bene, oppure dalla bolla di accompagnamento, ove
prevista. Poiché, peraltro, da detti documenti non risulta la consegna dei beni a destinazione,
l’associazione suggerisce l’opportunità di richiedere al vettore una attestazione dell’avvenuta
consegna, o, nell’ipotesi di trasporto franco fabbrica, di richiedere al cessionario una copia del
documento di trasporto sottoscritto all’arrivo a destino dei beni.
Altri documenti idonei potrebbero essere le lettere di credito, i certificati di assicurazione, i
certificati di controllo, la certificazione sanitaria, anch’essi richiamati nella citata circolare n. 75. In
sostanza, conclude l’associazione, anche in materia di cessioni intracomunitarie dovrebbe valere il
principio per cui la spedizione o il trasporto del bene in altro stato può essere provata mediante
l’esibizione di una serie di documenti, sia commerciali che fiscali, tra loro coerenti, che comprovino
l’effettività dell’operazione, così come ritenuto anche dalle autorità di altri stati membri.
L’agenzia delle entrate è tornata sull’argomento con la risoluzione n. 477 del 15 dicembre
2008, sollecitata da un quesito nel quale si faceva presente che nel settore ceramico, in cui
avvengono comunemente cessioni franco fabbrica, il cedente nazionale si limita a consegnare i
prodotti al vettore incaricato dal proprio cliente e molto difficilmente riesce ad ottenere da
quest’ultimo una copia del documento di trasporto controfirmato dal destinatario per ricevuta.
L’agenzia ha precisato che, ai fini della prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria e
dell’uscita dei beni dal territorio dello stato, la precedente risoluzione n. 345 ha indicato l’esibizione
del documento di trasporto a titolo meramente esemplificativo. Pertanto, ove il cedente nazionale
non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto
documento di trasporto, la prova potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a
dimostrare che le merci sono state inviate in altro stato membro.
Infine, con la risoluzione n. 19/E del 25 marzo 2013, l’agenzia ha ritenuto che la lettera di
vettura Cmr compilata in formato elettronico, avente il medesimo contenuto di quella cartacea,
costituisca un mezzo di prova idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio nazionale.
Secondo l’agenzia, inoltre, costituisce un mezzo di prova equivalente al Cmr cartaceo un insieme di
documenti dal quale si possano ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso e le firme
dei soggetti coinvolti (cedente, vettore e cessionario). Tra questi, risulta ammissibile anche
l’utilizzo delle informazioni tratte dal sistema informatico del vettore, da cui risulta che la merce ha
lasciato il territorio dello stato ed ha altresì raggiunto il territorio di un altro stato membro.
A seguito della citata risoluzione, anche Assonime è tornata sull’argomento con la circolare
n. 20 del 1° luglio 2013. Nel fare il punto sulla questione dopo gli ultimi contributi della prassi e
della giurisprudenza, la circolare evidenzia come la soluzione definitiva potrebbe arrivare da una
recente proposta della Commissione europea. L’esecutivo comunitario, infatti, riconosciute le
difficoltà pratiche nell’applicazione del criterio di tassazione a destino delle operazioni “business to
business”, in quanto il fornitore spesso non conosce la destinazione delle merci che ha venduto
perché il trasporto è organizzato dal cliente, suggerisce di considerare in questi casi, come luogo di
effettuazione delle cessioni, quello in cui il cessionario ha la sede dell’attività economica oppure la
stabile organizzazione acquirente dei beni.
Ciò premesso, allo stato attuale, il suggerimento che Assonime indirizza alle proprie
associate, soprattutto alle imprese di dimensioni medio-grande, dotate di strutture in grado di
esercitare influenza negoziale verso i clienti, è di prevedere, nei contratti delle cessioni
intracomunitarie e nei relativi documenti di trasporto consegnati ai vettori, l’assunzione da parte dei
cessionari dell’obbligo specifico di comunicare l’eventuale mancata consegna dei prodotti nel luogo
di destinazione indicato nel documento di trasporto ovvero la consegna degli stessi in luogo diverso
da quello indicato nel documento, pena l’obbligo di risarcire il cedente delle somme che
l’amministrazione dovesse pretendere in ragione del mancato trasferimento all’estero dei beni.
Analogo impegno potrebbe essere imposto anche al soggetto che, per conto del cessionario
comunitario, effettua il trasporto dei beni. In tal modo, verrebbe integrato l’apparato documentale
che correda la cessione intracomunitaria e che è utile a dimostrare l’esistenza dei presupposti di
legge. Simili clausole contrattuali, osserva Assonime, dovrebbero essere anche indicative della
buona fede del cedente, requisito richiesto dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in materia,
nell’ottica di un equilibrato bilanciamento dei principi di proporzionalità e di certezza del diritto,
atteso che nelle cessioni “franco fabbrica” la realizzazione del trasporto è oggettivamente al di fuori
della possibilità di controllo da parte del cedente. La questione, conclude Assonime, è comunque
aperta, non avendo l’amministrazione finanziaria ancora avallato tali suggerimenti.
5. La condizione della identificazione dell’acquirente
Allo scopo di assicurare che l’operazione si svolga nel rispetto dei presupposti di legge,
l’art. 50, comma 1, del dl n. 331/193 stabilisce che le cessioni intracomunitarie sono effettuate
senza applicazione dell’Iva nei confronti dei cessionari che abbiano comunicato il numero di
identificazione loro attribuito dallo stato membro di appartenenza.
Il fornitore italiano sarà dunque legittimato a non applicare l’imposta solo se il cliente gli
abbia preventivamente comunicato il numero di partita Iva, dimostrando così la propria qualifica di
soggetto passivo identificato nell’Ue.
Il fornitore ha la possibilità di verificare la correttezza formale e l’intestazione del predetto
numero presso un qualsiasi ufficio dell’agenzia delle entrate, oppure attraverso il sito internet
dell’amministrazione. Tale verifica, espressamente prevista dal comma 2 dell’art. 50, è stata
disciplinata dal dm 28/1/1993.
Con risoluzione n. 25 del 12/2/1997 il ministero delle finanze ha affermato che il cedente
nazionale, al fine della legittima applicazione del trattamento di non imponibilità di cui sopra, è
tenuto a controllare la correttezza dei dati identificativi fornitigli dall’acquirente. Qualora la
posizione dell’acquirente risulti irregolare, la fatturazione in regime di non imponibilità non potrà,
dunque, considerarsi legittima in mancanza dell’atto formale di “conferma” dei dati comunicati
dall’acquirente; anche se tale conseguenza non è sancita esplicitamente dalla norma, essa si desume,
secondo il ministero, in via interpretativa.
La posizione ministeriale è stata sostanzialmente condivisa dalla corte di cassazione
(sentenza n. 3603 del 13 febbraio 2009), che ha ritenuto legittimo l’accertamento notificato ad una
società che aveva fatturato senza l’applicazione dell’Iva cessioni ad un cliente comunitario che
risultava avere cessato l’attività. La corte ha stabilito che per applicare il regime di non imponibilità
delle cessioni intracomunitarie non è sufficiente che l’imprenditore indichi nella fattura il numero
identificativo del cessionario stabilito in altro stato membro, occorrendo altresì che egli dia impulso
all’apposita procedura di verifica chiedendo all’amministrazione la conferma della validità attuale
del numero stesso, come previsto dall’ art. 50, comma 2, del dl 331/93.
La questione pareva definitivamente risolta dall’art. 18 del regolamento Ue n. 282/2011 del
15/3/2011, che, sebbene nell’ambito degli scambi intracomunitari di prestazioni di servizi,
disciplina nel senso indicato dall’amministrazione le modalità con le quali il fornitore deve
accertare lo status di soggetto passivo del cliente Ue. In base a tale disposizione, infatti, il fornitore
determina lo status di soggetto passivo del cliente Ue basandosi sul numero di partita Iva da questi
comunicatogli, verificandone però, attraverso l’interrogazione del sistema Vies, la validità e
l’esattezza del nome e dell’indirizzo; il ricorso a prove alternative è ammesso solo qualora il cliente
comunichi di avere richiesto ma non ancora ottenuto il numero di partita Iva.
A rimettere in discussione questa conclusione (e le stesse disposizioni dell’art. 50, comma 1,
del dl n. 331/93) sono intervenute le sentenze 6/9/2012, C-273/11 e 27 settembre 2012, C-587/10,
della corte di giustizia Ue.
Il giudice comunitario ha osservato che, nel quadro del regime degli scambi intraUe,
l’identificazione dei soggetti passivi mediante i numeri individuali mira ad agevolare la
determinazione dello stato membro in cui deve essere tassata l’operazione; nessuna norma, però,
indica, tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria, tassativamente elencate (tra le
quali lo status di soggetto passivo – si badi, anche non comunitario – dell’acquirente), l’obbligo di
disporre di un numero d’identificazione Iva, il quale è un requisito formale che non può mettere in
discussione il diritto all’esenzione dall’Iva qualora ricorrano le condizioni sostanziali.
Di conseguenza, anche se l’amministrazione può subordinare l’esenzione di una cessione
intracomunitaria alla comunicazione del numero d’identificazione Iva dell’acquirente, l’esenzione
non potrà essere però negata solo per il fatto che detto obbligo non è stato rispettato, qualora il
fornitore non possa, in buona fede, e dopo aver adottato tutte le misure che gli si possono
ragionevolmente richiedere, comunicare tale numero e fornisca invece indicazioni idonee a
dimostrare sufficientemente che l’acquirente è un soggetto passivo che agisce in quanto tale
nell’ambito dell’operazione di cui trattasi.
E’ evidente come le citate sentenze impongano di riconsiderare (e ridimensionare) la
funzione dei meccanismi introdotti a fini probatori e di controllo, quali il numero identificativo Iva
e, a maggior ragione, il regime autorizzatorio di cui al paragrafo 2.11. Detti meccanismi, infatti, non
devono travalicare gli obiettivi e assumere valenza sostanziale nell’ambito delle regole di tassazione
degli scambi intracomunitari, la cui applicazione resta subordinata, come ricorda la corte, alla
sussistenza dei soli requisiti previsti dalla normativa comunitaria, e cioè:
- lo status di soggetto passivo del cessionario
- il trasferimento del potere di disporre del bene
- lo spostamento fisico, a seguito del predetto trasferimento, dei beni dal paese membro di origine a
quello di destinazione.
6. Triangolazioni comunitarie
Si parla di triangolazione comunitaria quando in una operazione di compravendita,
concepita unitariamente, sono coinvolti tre soggetti stabiliti in altrettanti stati membri diversi: ad
esempio, il promotore dell’operazione, stabilito nello stato membro A, acquista i beni dal fornitore
nello stato membro B, incaricandolo di consegnarli direttamente al proprio cliente nello stato
membro C.
La disciplina interna applicabile alle triangolazioni comunitarie si ricava dalle seguenti
disposizioni:
- il comma 7 dell’articolo 38 del dl 331/93, che esenta dal pagamento dell’Iva l’acquisto
intracomunitario effettuato da operatore stabilito in un altro stato membro (es. FR) e riguardante
beni provenienti da un terzo stato membro (es. UK), che l’operatore ha venduto a propri
cessionari, soggetti passivi in Italia o enti non commerciali, designati per il pagamento
dell’imposta relativa alla cessione. Questa disposizione consente, dunque, al soggetto francese
che ha acquistato beni nel Regno Unito per rivenderli in Italia di evitare gli adempimenti relativi
all’acquisto intracomunitario ed alla successiva cessione, semplicemente designando come
debitore dell’Iva il proprio cessionario IT. A completamento della disciplina, l’art. 44, comma 2,
lettera a), stabilisce che debitore dell’imposta è, per l’appunto, il cessionario designato, che deve
assolvere l’obbligo con l’osservanza degli adempimenti propri degli acquisti intracomunitari;
- il comma 2, secondo periodo, dell’art. 40 del dl n. 331/93, che detta una disposizione speculare
a quella sopra illustrata, regolando l’ipotesi in cui il promotore della triangolazione (e cioè il
soggetto che acquista i beni in uno stato membro per rivenderli in un altro) sia l’operatore
nazionale (ad esempio, IT acquista beni in Francia e li rivende nel Regno Unito, incaricando il
fornitore francese di consegnare direttamente la merce al cliente inglese). L’articolo 46, comma
2, ultimo periodo, fa obbligo al soggetto nazionale di designare espressamente, nella fattura di
vendita, il cessionario UK come debitore dell’imposta, indicando il numero di identificazione
del medesimo.
Numerose esemplificazioni di operazioni triangolari, con l’indicazione dettagliata dei
relativi adempimenti, sono contenute nelle circolari n. 13/94 e n. 145/98.
Operazioni quadrangolari
Le operazioni nelle quali intervengono più di tre soggetti pongono una serie di
problematiche che, come spiega la circolare n. 145/98, non hanno potuto trovare soluzione per una
serie di motivazioni legate da un lato alla territorialità dell’Iva, dall’altro alle difficoltà di controllo
e alla legittimità della compilazione degli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie
(mod. Intrastat) da parte di tutti i soggetti partecipanti alle transazioni.
Di conseguenza, le “quadrangolazioni” non possono fruire delle semplificazioni introdotte
per le triangolazioni, per cui è necessario ridurre le relazioni intersoggettive, mediante la nomina di
un rappresentante fiscale nello stato membro di partenza o in quello di arrivo dei beni, al fine di
accedere alle semplificazioni previste per le triangolazioni. Si rinvia in proposito alla citata
circolare.
7. La triangolazione interna
Operazione diversa dalla triangolazione comunitaria è la triangolazione interna prevista
dall’art. 58, comma 1, del dl n. 331/93.
Questa disposizione dichiara non imponibili le cessioni di beni, anche tramite
commissionari, effettuate nei confronti di cessionari (e loro commissionari) se i beni sono
trasportati o spediti in altro stato membro a cura o a norma del cedente, anche per incarico dei
propri cessionari o commissionari di questi. I beni possono essere sottoposti per conto del
cessionario (sia nazionale sia comunitario), ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione,
trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni.
In sostanza, la vendita interna tra due operatori nazionali IT1 e IT2, effettuata in vista della
successiva vendita (od operazione assimilata) da IT2 ad un operatore comunitario (es. FR),
beneficia del trattamento di non imponibilità a condizione che i beni vengano trasportati o spediti
nell’altro stato membro direttamente a cura o a nome del primo cedente IT1. In questa ipotesi,
dunque, IT1 effettua una vendita interna non imponibile ai sensi dell’art. 58, mentre IT2 effettua
una cessione intracomunitaria non imponibile ai sensi dell’art. 41 ed è tenuto ai connessi
adempimenti (in particolare, presentazione del modello Intrastat).
Secondo quanto chiarito dalla circolare n. 13/1994, la prova che legittima il trattamento di
non imponibilità dell’operazione interna può essere costituita dalla documentazione relativa al
trasporto o da qualsiasi altro documento da cui risulti che l’incarico del trasporto o della spedizione
è stato conferito al cedente dal proprio cessionario.
La corte di cassazione, nella sentenza 4/4/2000, n. 4098, confermata da pronunce successive,
ha respinto l’interpretazione meramente letterale della disposizione in esame, statuendo che il
presupposto per la non imponibilità della cessione interna in vista di una cessione intracomunitaria
si realizza anche nel caso in cui il trasporto della merce nell’altro stato membro sia effettuato dal
promotore della triangolazione (e non dal primo cedente), purché l’operazione sia stata concepita
fin dall’origine come una triangolazione a destinazione comunitaria.
8. Cessioni “a catena”
Altra fattispecie è quella delle cessioni c.d. “a catena” poste in essere fra tre soggetti, il
primo dei quali stabilito nello stato membro di partenza e gli altri due in quello di destinazione,
realizzate con un unico spostamento dei beni dal primo fornitore all’acquirente finale.
Al riguardo, il problema che si pone, fondamentalmente, è quello di individuare la cessione
che debba essere qualificata come intracomunitaria. Dell’argomento si è occupata la corte di
giustizia Ue in due occasioni.
Nella sentenza 6/4/2006, causa C-245/04, sono state affrontate le questioni sollevate in
relazione al caso di un operatore italiano (IT) che vendeva beni a operatore austriaco (AU1),
consegnandoli, su incarico di questi, ad uno spedizioniere italiano che provvedeva poi, su incarico
del cessionario, a recapitare direttamente i beni in Austria ad altro operatore austriaco (AU2),
acquirente finale.
L’operatore intermedio (AU1) aveva fatturato le cessioni all’operatore finale addebitando
l’Iva austriaca, ma il fisco aveva contestato a quest’ultimo la detrazione, assumendo che su tali
cessioni non era dovuta l’Iva in Austria perché dovevano considerarsi effettuate in Italia.
Il giudice investito della controversia, dubitando della correttezza della soluzione, decideva
di rivolgersi alla corte per sapere se entrambe le cessioni (la prima fra IT e AU1 e la seconda fra
AU1 e AU2), effettuate con un unico movimento dei beni, dovessero qualificarsi intracomunitarie.
Nella sentenza, premesso che ogni acquisto intracomunitario tassato nel paese di
destinazione comporta come corollario una cessione esente nel paese di origine, la corte osserva che
le due cessioni successive potrebbero essere esentate entrambe soltanto se l’unico movimento
intracomunitario di beni fosse imputato ad entrambe le cessioni insieme. In questo caso, si
produrrebbero questi effetti:
- il primo venditore IT effettuerebbe una prima cessione localizzata in Italia, paese di partenza dei
beni; tale cessione avrebbe come riscontro un acquisto intracomunitario da parte dell’operatore
intermedio AU1, localizzato in Austria
- l’operatore intermedio AU1 effettuerebbe una seconda cessione, anch’essa localizzata in Italia,
che avrebbe come riscontro un secondo acquisto intracomunitario compiuto da AU2 in Austria.
Una simile concatenazione, però, sarebbe illogica e contraria al sistema (dopo la prima
cessione intracomunitaria da IT ad AU1 ed il conseguente acquisto intracomunitario di AU1 in
Austria, infatti, verrebbe a realizzarsi una seconda cessione intracomunitaria dall’Italia all’Austria
fra AU1 e AU2).
Ciò posto, anche se due cessioni successive producono un solo movimento di beni, esse
devono essere considerare come succedute l’una a l’altra nel tempo: l’acquirente intermedio (AU1)
può infatti trasferire al proprio cliente (AU2) il potere di disporre dei beni solo dopo averlo
acquisito dal primo venditore IT. Pertanto la seconda cessione può verificarsi solo dopo che la
prima è stata compiuta. Poiché si considera che il luogo di acquisto dei beni da parte di AU1 è in
Austria (paese di arrivo), sarebbe illogico ritenere che egli effettui la successiva cessione in Italia
(paese di partenza).
In secondo luogo, l’interpretazione diretta a imputare l’unico movimento intracomunitario
ad una sola delle due cessioni consente di raggiungere in modo semplice l’obiettivo della direttiva
in ordine alla tassazione degli scambi intracomunitari (gettito fiscale nel paese del consumo).
Di contro, imputare l’unico movimento intracomunitario anche alla seconda cessione non
consentirebbe di interpretare in modo coerente le disposizioni, perché porterebbe il gettito in
Austria senza considerare che è già stato ivi localizzato per via della prima cessione.
La corte ha pertanto dichiarato che quando due cessioni successive relative agli stessi beni,
effettuate a titolo oneroso tra soggetti passivi che agiscono in quanto tali, danno luogo ad un’unica
spedizione intracomunitaria o ad un unico trasporto intracomunitario, tale spedizione o tale
trasporto può essere imputato ad una sola delle due cessioni, che sarà l’unica esentata. Tale
interpretazione vale indipendentemente da quale dei soggetti passivi – primo venditore, acquirente
intermedio o secondo acquirente – possa disporre dei beni durante la spedizione o il trasporto.
In ordine alla questione volta a individuare il luogo delle cessioni, in una situazione come
quella di cui alla causa principale l’unico movimento intracomunitario di beni può essere imputato
ad una sola delle due cessioni successive.
Ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. a), della sesta direttiva (ora art. 32 della direttiva
2006/112/CE), il luogo di tale cessione si considera situato nello stato membro di partenza della
spedizione o del trasporto dei beni.
Poiché l’altra cessione non comporta una spedizione o un trasporto, il luogo della cessione si
considera situato, ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), della sesta direttiva (ora art. 31, direttiva 112), nel
luogo in cui i beni si trovano al momento della detta cessione.
La corte conclude pertanto che se la cessione che comporta una spedizione o un trasporto
intracomunitario di beni, e che ha dunque come conseguenza un acquisto intracomunitario tassato
nello stato membro d’arrivo di tale spedizione o di tale trasporto, è la prima, la seconda cessione si
considera avvenuta nel luogo dell’acquisto intracomunitario che l’ha preceduta, cioè nello stato
membro d’arrivo.
Al contrario, se la cessione che dà luogo alla spedizione o al trasporto intracomunitario di
beni è la seconda, la prima cessione, avvenuta “per definizione” anteriormente alla spedizione o al
trasporto dei beni, si considera effettuata nello stato membro di partenza di tale spedizione o
trasporto.
La corte non ha però precisato a quale delle due cessioni successive debba imputarsi l’unico
trasporto dei beni.
A ciò provvede la successiva sentenza del 16/12/2010, causa C-439/09, occasionata dal caso
di un operatore olandese (NL) che vendeva “franco fabbrica” beni, in regime di cessione
intracomunitaria non imponibile, ad un primo acquirente belga (BE1), il quale li rivendeva ad un
secondo operatore belga (BE2) che metteva a disposizione, a titolo oneroso, l’automezzo che
provvedeva a ritirare i beni presso il magazzino del fornitore olandese.
La corte premette che la soluzione della questione dipende da una valutazione globale di
tutte le circostanze particolari che consenta di determinare quale cessione soddisfi tutte le
condizioni relative ad una cessione intracomunitaria.
L’esenzione della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo (i) quando il
potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, (ii) quando il
fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro stato membro e (iii) quando, in
seguito a tale spedizione o trasporto, detto bene ha lasciato fisicamente il territorio dello stato
membro di cessione
Dopo l’ampia analisi degli elementi della fattispecie, la corte conclude che, in circostanze
come quelle controverse nella causa principale, nelle quali il primo acquirente, avendo ottenuto il
diritto di disporre del bene come un proprietario nel territorio dello stato membro della prima
cessione, manifesta il suo intento di trasportare tale bene in un altro stato membro e si presenta al
fornitore con il suo numero di partita Iva attribuito da quest’ultimo stato, il trasporto
intracomunitario dovrebbe essere imputato alla prima cessione, a condizione che il diritto di
disporre del bene come un proprietario sia stato trasferito al secondo acquirente nello stato membro
di destinazione del trasporto intracomunitario.
9. Le vendite “a distanza”
Al fine di evitare squilibri di mercato per effetto del passaggio, nelle cessioni B2C, alla
tassazione nel luogo di origine, sono state introdotte particolari disposizioni per le cessioni di beni
c.d. “a distanza”.
Tali cessioni, In deroga al principio della tassazione all’origine degli scambi B2C, sono
tassate a destinazione, ossia nel paese del consumatore, salvo che l’importo sia inferiore ad una
determinata soglia, nel qual caso, per motivi di semplificazione, restano tassate all’origine, cioè nel
paese del fornitore.
Per quanto riguarda le operazioni “in entrata”, ossia le cessioni verso consumatori italiani
poste in essere da fornitori stabiliti in altri stati membri, l’articolo 40, comma 3, del dl n. 331/93
stabilisce che la vendita si considera effettuata nel territorio dello stato se l’acquirente è:
a) un privato consumatore
b) un soggetto passivo esonerato dall’applicazione dell’imposta sugli acquisti intracomunitari
(contribuenti esenti e agricoltori in regime speciale che effettuano acquisti in altri stati membri
per importo non superiore a € 10.000 annui, i quali non abbiano optato per l’applicazione
dell’imposta sugli acquisti intracomunitari).
E’ tuttavia previsto che se l’ammontare delle predette vendite non supera l’importo annuo di
35.000 euro, l’imposta è dovuta nel paese del fornitore (tassazione all’origine), a meno che costui
non opti comunque per la tassazione a destinazione.
Per esempio, un imprenditore francese che vende “a distanza” merci a privati consumatori
italiani, può applicare l’Iva francese purché le sue vendite in Italia non abbiano superato nell’anno
precedente, e non superino nell’anno corrente, l’importo di 35.000 euro; al superamento di tale
soglia, scatta l’obbligo di applicare l’Iva italiana. Resta salva la facoltà per l’operatore francese di
optare per l’applicazione dell’Iva in Italia anche al di sotto della soglia.
Specularmente (ma non simmetricamente), per le operazioni “in uscita”, ovverosia le
vendite “a distanza” fatte da imprenditori italiani a consumatori finali di altri stati membri, l’art. 41,
comma 1, lett. b), del dl n. 331/93, stabilisce che costituiscono, in Italia, cessioni intracomunitarie
non imponibili, perché sono tassate a destinazione. Tuttavia, se l’importo delle vendite non ha
superato, nello stato membro di riferimento, l’ammontare annuo di 100.000 euro, oppure
l’eventuale minore importo fissato dall’altro stato, la non imponibilità non opera e l’imposta si
applica in Italia, a meno che l’operatore non opti comunque per la tassazione nel paese di
destinazione.
Dal regime delle vendite a distanza sono escluse le cessioni con installazione a destinazione
(infra, n. 2.10), le cessioni di mezzi di trasporto nuovi (infra, n. 3.1) e le cessioni aventi ad oggetto
beni sottoposti ad accisa: tali cessioni sono infatti in ogni caso assoggettate all’imposta nel paese di
destinazione; di conseguenza, l’importo di tali cessioni non si computa nelle soglie predette.
Ai sensi dell’art. 20 del dm 24/12/1993, la disciplina delle vendite a distanza trova
applicazione anche nei rapporti con la Repubblica di San Marino, in relazione ai quali,
probabilmente per un mancato coordinamento, la soglia è rimasta fissata in euro 27.888,67.
Nozione di “vendite a distanza”
Con il dl n. 35/2005 la nozione di “vendite a distanza” è stata allineata alla normativa
comunitaria, che non contiene, a differenza di quella interna, nessun riferimento alle modalità di
vendita (su catalogo, per corrispondenza e simili). La direttiva, infatti, identifica il perimetro
oggettivo delle “vendite a distanza” con le “cessioni di beni spediti o trasportati dal fornitore o per
conto di questi, a partire da uno stato membro diverso da quello di arrivo della spedizione o del
trasporto”.
La norma, derogando al criterio generale che localizza le cessioni di beni nel territorio in cui
si trovano prima della partenza (ossia nel luogo di origine), sposta la territorialità “a destinazione”,
ossia nel paese membro di arrivo della spedizione o del trasporto, quando (i) la cessione abbia per
oggetto beni – diversi dai mezzi di trasporto nuovi e da quelli installati o montati nel luogo di
destinazione a cura o a nome del fornitore – spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto e (ii) il
cessionario sia un privato consumatore o un ente esonerato dal pagamento dell’Iva sugli acquisti
intracomunitari.
L’art. 11-quater, comma 1, del citato dl 14/3/2005, n. 35, aggiunto dalla legge di
conversione 14/5/2005, n. 80, ha stabilito che la locuzione “cessioni in base a cataloghi, per
corrispondenza e simili”, contenuta nelle disposizioni degli artt. 40 e 41 del dl n. 331/93, “deve
intendersi riferita alle cessioni di beni con trasporto a destinazione da parte del cedente, a nulla
rilevando le modalità di effettuazione dell’ordine di acquisto.” In sostanza, l’art. 11-quater ha
cancellato virtualmente dalle disposizioni richiamate le parole “in base a cataloghi, per
corrispondenza e simili”, uniformando così la definizione interna alla direttiva.
10. Beni da installare a destinazione
Ai sensi della lettera c) del comma 1 dell’articolo 41, costituiscono
cessioni
intracomunitarie non imponibili anche le forniture di beni da installare, montare o assiemare nello
stato membro di destinazione a cura dello stesso fornitore italiano.
Queste operazioni presentano la medesima incoerenza sistematica descritta con riguardo alle
vendite a distanza, con qualche criticità operativa soprattutto nel caso in cui il cessionario non sia
un soggetto passivo d’imposta.
Anche le operazioni in esame, infatti, nel paese del cessionario danno luogo a cessioni
interne e non ad acquisti intracomunitari, per cui non vi è coerenza fra la qualificazione
dell’operazione all’origine (cessione intracomunitaria) e a destinazione (cessione interna). Questo
dipende dall’incongruenza della norma interna, che, così come per le corrispondenti operazioni “in
entrata” (correttamente qualificate come cessioni interne nel territorio nazionale), avrebbe dovuto
prevedere l’irrilevanza territoriale delle operazioni “in uscita”.
In ordine alla fatturazione, l’art. 46 stabilisce che, nell’ipotesi di beni spediti o trasportati dal
soggetto passivo nazionale o per suo conto, la fattura deve contenere anche l’indicazione del
numero di identificazione attribuito allo stesso soggetto dallo stato membro di destinazione.
Per quanto riguarda i modelli Intrastat, invece, la circolare n. 13/1994, al paragrafo 2.1,
nell’affermare l’obbligo di compilare il modello delle cessioni, sia agli effetti statistici che fiscali,
avverte che la colonna 3 (codice Iva dell’acquirente) dovrà essere compilata qualora l’acquirente sia
un soggetto passivo nel proprio stato.
In definitiva, considerato che il cedente nazionale, effettuando una cessione interna nel
territorio di destinazione, avrà l’obbligo di registrarsi in tale territorio qualora il cessionario sia un
privato consumatore, si può ritenere che, ferma la necessità di presentare i modelli Intrastat cessioni
(come sostenuto dalla circolare), la fattura “italiana”, emessa in regime di non imponibilità ex art.
41, lettera c), conterrà il numero Iva del cessionario se questi è un soggetto passivo, mentre se
questi è un privato consumatore conterrà il numero Iva assunto dal cedente nel paese di
destinazione (attraverso il rappresentante fiscale o la registrazione diretta).
11. Autorizzazione alle operazioni intracomunitarie
Come già accennato, l’art. 27 del dl 31/5/2010, n. 78, integrando l’art. 35 del dpr 633/72, ha
istituito un regime autorizzatorio per l’effettuazione di operazioni intracomunitarie, attuato
dall’agenzia delle entrate con due provvedimenti del 29/12/2010.
I soggetti che intraprendono l’esercizio di una impresa, arte o professione nel territorio dello
stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione, qualora intendano porre in essere operazioni
intracomunitarie (scambi di beni e/o servizi con altri paesi Ue) possono manifestare tale volontà
all’atto della presentazione della dichiarazione di inizio attività, oppure anche in un momento
successivo mediante apposita istanza ad un ufficio dell’agenzia (i non residenti identificati
direttamente devono rivolgersi al Centro Operativo di Pescara). L’istanza, da redigere secondo lo
schema allegato alla circolare n. 39 dell’1/8/2011, può essere presentata, alternativamente:
- mediante consegna diretta all’ufficio
- mediante spedizione postale con raccomandata, alla quale dovrà essere allegata copia fotostatica di
un documento di identificazione del dichiarante
- tramite posta elettronica certificata (Pec).
In seguito alla manifestazione di volontà, l’amministrazione, esperiti i controlli, decide se
iscrivere o meno la posizione del soggetto nell’archivio Vies, nel quale sono registrati i soggetti
abilitati ad effettuare operazioni intracomunitarie.
Qualora ravvisi elementi di rischio, l’agenzia può quindi notificare motivato provvedimento
di diniego, impugnabile davanti alla commissione tributaria provinciale.
In mancanza di diniego, il soggetto è automaticamente incluso nell’archivio dal
trentunesimo giorno successivo a quello della attribuzione della partita Iva o della ricezione
dell’istanza.
L’iscrizione nell’archivio può essere verificata mediante i sistemi di interrogazione
telematica delle partite Iva comunitarie.
L’agenzia potrà procedere successivamente alla revoca dell’autorizzazione, con
provvedimento motivato da notificare all’interessato.
In assenza di autorizzazione, nonché nei trenta giorni dalla manifestazione di volontà,
secondo la circolare n. 39/2011 è “sospesa la soggettività attiva e passiva ad effettuare operazioni
intracomunitarie”; di conseguenza, eventuali operazioni intracomunitarie effettuate nei predetti 30
giorni, ovvero dopo il diniego o la revoca, non sono da considerare comprese nel regime fiscale
degli scambi intracomunitari, ma in quello ordinario.
Così, ad esempio, eventuali cessioni o prestazioni generiche intracomunitarie effettuate da
un soggetto passivo non incluso nell’archivio Vies devono ritenersi assoggettate ad imposizione in
Italia, con i conseguenti riflessi, anche di natura sanzionatoria, qualora l’operazione sia stata invece
assoggettata al regime proprio della cessione/prestazione intracomunitaria effettuata da un soggetto
passivo. Specularmente, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi generiche rese da fornitori Ue
a soggetti passivi italiani non iscritti nel Vies devono considerarsi imponibili nel paese del fornitore
(cfr. la risoluzione n. 42/2012).
Queste conclusioni devono però essere riviste alla luce delle sentenze della corte di giustizia
Ue richiamate nel paragrafo 2.5.
12. CESSIONI INTRACOMUNITARIE “PER ASSIMILAZIONE”
Il comma 2 dell’art. 41 del dl n. 331/93 prevede le seguenti ipotesi di cessioni assimilate a
quelle intracomunitarie.
12.1 Mezzi di trasporto nuovi
Ai sensi del comma 2, lett. b), dell’art. 41, sono in ogni caso assimilate alle cessioni
intracomunitarie non imponibili le cessioni a titolo oneroso di mezzi di trasporto nuovi trasportati o
spediti in altro stato membro.
Ai fini in esame, il comma 4 dell’art. 38 prevede che costituiscono mezzi di trasporto:
- le imbarcazioni di lunghezza superiore a 7,5 metri
- gli aeromobili con peso totale al decollo superiore a 1.550 kg
- i veicoli con motore di cilindrata superiore a 48 cc. o di potenza superiore a 7,2 Kw
destinati al trasporto di persone o cose, con esclusione delle imbarcazioni destinate all’esercizio di
attività commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare e degli aerei
destinati ad imprese di navigazione aerea che effettuano prevalentemente trasporti internazionali.
La stessa disposizione, inoltre, stabilisce che i suddetti mezzi di trasporto non si considerano
nuovi alla duplice condizione che, al momento della cessione, (i) abbiano percorso oltre seimila
chilometri e (ii) siano decorsi sei mesi dalla prima immatricolazione (veicoli terrestri), ovvero (i)
abbiano navigato per oltre cento ore o volato per oltre quaranta ore e (ii) siano decorsi tre mesi dalla
prima immatricolazione (altri veicoli).
Le cessioni aventi per oggetto mezzi di trasporto nuovi nel senso sopra chiarito, spediti o
trasportati in altri paesi membri, costituiscono cessioni intracomunitarie non imponibili a
prescindere dallo status del cedente e del cessionario, e dunque anche nell’ipotesi in cui il soggetto
che vende, oppure quello che acquista, oppure entrambi, non siano operatori economici, ma privati
consumatori.
Per la vendita di mezzi di trasporto nuovi, in sostanza, l’imposta è dovuta in ogni caso nel
paese membro di destinazione.
Cessione intracomunitaria effettuata da privato
Se il mezzo di trasporto nuovo è venduto da un privato consumatore, allo scopo di evitare
che all’Iva già pagata in Italia si aggiunga quella dovuta nel paese membro di destinazione, la legge
accorda al venditore il diritto al riborso dell’Iva compresa nel valore della vendita.
Il rimborso spetta per il minore importo tra l’Iva pagata al momento dell’acquisto (o
dell’importazione) e quella che sarebbe dovuta se la cessione fosse soggetta all’imposta in Italia.
Per ottenere il rimborso, il venditore deve farne richiesta all’ufficio delle entrate del luogo in
cui risiede, entro sessanta giorni dalla cessione, attraverso un apposito modello, secondo le
disposizioni contenute nel decreto ministeriale 19/1/1993.
12.2 Trasferimento di beni per finalità dell’impresa
Ai sensi della lettera c) del comma 2 dell’art. 41, è assimilato alla cessione intracomunitaria
l’invio di beni in un altro stato membro per le esigenze dell’impresa, come ad esempio lo
stoccaggio in un magazzino situato in altro paese comunitario.
In tal caso, pertanto, l’impresa nazionale deve disporre di una posizione Iva nell’altro stato
membro (es. rappresentante fiscale, identificazione diretta, stabile organizzazione) per poter
effettuare correttamente l’operazione, che è non imponibile in Italia e va assoggettata all’Iva nel
paese di destinazione come “trasferimento a se stessi”.
Occorre precisare che l’ipotesi in questione è diversa dal cosiddetto “consigment stock”, nel
quale i beni vengono inviati, in esecuzione di una vendita ad effetti differiti, al cessionario stabilito
in altro stato membro con l’intesa che la proprietà sarà trasferita al momento del prelievo o della
rivendita (cessione intracomunitaria differita, su cui si rinvia alla risoluzione n. 235 del
18/10/1996).
Trasferimenti in sospensione
Ai sensi del comma 3 dell’art. 41, l’assimilazione alla cessione intracomunitaria non opera
per i beni che l’impresa nazionale invia in altro stato membro ai fini dell’esecuzione di perizie
(ipotesi introdotta espressamente dall’1/1/2013) o di lavorazioni, oppure per l’utilizzazione
temporanea nell’effettuazione di prestazioni di servizi (es. beni strumentali per l’esecuzione di
lavori, beni concessi in locazione), ovvero per i beni ammessi all’importazione in esenzione dai dazi
doganali (es. tentata vendita), nel rispetto del termine di ventiquattro mesi previsto dalla normativa
comunitaria (si veda la risoluzione n. 252 del 19/6/2008). Questo regime di sospensione si applica a
condizione che la movimentazione intracomunitaria dei beni risulti da annotazione in apposito
registro.
13. EFFETTUAZIONE E FATTURAZIONE DELLE CESSIONI INTRAUE
Con decorrenza dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2013, la legge n.
228/2012, nel quadro della revisione delle regole sulla fatturazione, ha apportato alcune modifiche
alla disciplina sostanziale e procedurale delle operazioni intracomunitarie.
Per quanto qui di interesse, vanno segnalate in primo luogo le modifiche all’art. 39 del dl n.
331/93, volte a stabilire che gli acquisti e le cessioni intracomunitarie si considerano effettuati nel
momento dell’inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto, a partire
dal territorio dello stato membro di provenienza.
Si tratta di una novità importante per gli acquisti, mentre per le cessioni intracomunitarie è
sostanzialmente esplicitato il criterio già ritenuto applicabile in forza delle disposizioni generali
dell’art. 6 del dpr 633/72.
Nel caso di cessione intracomunitaria con effetti traslativi differiti (es, consignment stock), è
inoltre confermato il differimento dell’effettuazione dell’operazione al momento in cui si realizza il
trasferimento della proprietà, con il limite di un anno dalla consegna dei beni e subordinatamente
all’osservanza dell’obbligo di annotazione del movimento dei beni nel registro previsto dall’art. 50
del dl n. 331/93.
E’ confermato, ancora, l’effetto anticipatorio della fatturazione antecedente alla consegna,
mentre non è più previsto analogo effetto per il pagamento anteriore.
Quest’ultima è quindi una
novità molto importante: dal 1° gennaio 2013, negli scambi intracomunitari di beni, il pagamento
eseguito anteriormente al momento dell’inizio del trasporto o spedizione, ovvero alla fatturazione,
non assume più rilevanza agli effetti dell’Iva.
Un’altra novità si rinviene nel comma 3 dell’art. 39, secondo cui le cessioni e gli acquisti
intracomunitari effettuati in modo continuativo nell’arco di un periodo di tempo superiore ad un
mese (ad esempio, cessioni in esecuzione di contratti di somministrazione), si considerano effettuati
al termine di ciascun mese. Questa disposizione non si applicherà però alle c.d. “vendite a distanza”
e alle cessioni con installazione nel paese di destinazione, che il comma 1 dell’art. 41 del dl n.
331/93.
Termine di fatturazione
Sempre a decorrere dal 1° gennaio 2013, è stato modificato l’art. 46 del dl 331/93, al fine di
prevedere, conformemente alla disciplina Ue, un termine dilatorio per l’emissione della fattura delle
cessioni intracomunitarie. La norma stabilisce infatti che la fattura non imponibile va emessa entro
il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione. La registrazione della
fattura dovrà effettuarsi entro il termine di emissione, ossia entro il giorno 15 del mese successivo a
quello di effettuazione dell’operazione, ma con riferimento al mese di effettuazione, in modo da
imputare temporalmente la cessione (ai fini del volume d’affari, del modello Intrastat, ecc.) a tale
mese.
Nome file:
scambi intraUe
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INTERNAZIONALE\Torino\GESTIONE\MATERIALE
DOCENTI\RICCA\28_novembre
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m
Titolo:
Oggetto:
Autore:
Utente
Parole chiave:
Commenti:
Data creazione:
28/10/2013 16:51:00
Numero revisione:
4
Data ultimo salvataggio:
28/10/2013 17:47:00
Autore ultimo salvataggio: Utente
Tempo totale modifica
55 minuti
Data ultima stampa: 14/11/2013 14:34:00
Come da ultima stampa completa
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Numero parole: 22.121 (circa)
Numero caratteri: 126.094 (circa)