L`UN E STA EIL I UIURO DEI GIOVANI

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L`UN E STA EIL I UIURO DEI GIOVANI
L'UN E STA
EIL I UIURO
DEI GIOVANI
di VINCENZO MILANESI
rimo maggio. festa del lavoro. Di quel lavoro sul
quale è fondata la nostra
Costituzione. Di quel lavoro che
oggi, non solo in Italia ma anche
nella maggior parte dei Paesi europei, non c'è. Soprattutto per i
giovani. E, particolarmente in
Italia, drammaticamente, per i
giovani che hanno un titolo di
studio, un diploma, una laurea.
Il tema del lavoro, della occupazione soprattutto giovanile, e
della mancanza di essa, è ormai
il problema più grave dell'Unio-
ne europea.
Non ci sarà modo di uscire
dalla crisi nella quale si dibattono, quale più e quale meno,
molti Paesi dell 'Unione, senza
una ripresa del mercato del lavoro, e di quello dei giovani in
primo luogo. Ma senza un impegno, vero , comune di tutti i Paesi membri non se ne uscirà. Le
riforme del mercato del lavoro
sono, e non possono che essere,
al centro dell' attenzione delle
classi politiche al governo in tali
Paesi. Ma lo sono veramente, al
di là delle parole che si sprecano
da parte dei politici, di governo
e di opposizione? Un orientamento verso un'almeno tendenziale armonizzazione delle legislazioni sul lavoro che crei, per
davvero, un mercato comune
del lavoro per i nostri giovani,
potrebbe essere di non piccolo
aiuto per farci intravedere un
po' di luce in fondo al tunnel.
Soprattutto ai giovani italiani.
Che sono di nuovo spinti a cercare fortuna fuori dall 'Italia, come i loro bisnonni . E non solo in
altri Stati europei, ma al di là degli oceani, inAmerica, inAustralia. Ma in questa Europa dei muri siamo lontani anni luce da
questi pensieri. Dobbiamo
prenderne dolorosamente atto.
Nella nostra società di oggi, in
Italia innanzi tutto, occorre considerare il lavoro , senza enfasi
retorica ma con provvedimenti
concreti, come la variabile critica per la ripresa. Senzalacapacità di impostare politiche lungimiranti che valorizzino il
"capitale umano ", facendolo diventare il nostro più importante
"capitale sociale", l'Italia non
uscirà dalla crisi. Senza un investimento massiccio sulla formazione di capitale umano difficilmente ce la faremo a venirne
fuori. Anche nelle industrie medio-piccole , modi di organizzazione del lavoro sempre più lontani dal classico modello fordista, ormai distante anni luce dal
nostro tempo, ed insieme robusti - per quanto possibile - investimenti in tecnologie innovative, dovranno sempre più coniugarsi con un forte impegno sul
piano della formazione della forza-lavoro. Che è compito della
società, e delle politiche che in
essa vanno messe in atto, garantire. Sarà sempre più la qualità
di ogni prodotto, anche di quello a più modesto valore aggiunto tecnologico, ciò che farà la differenza con quanto uscirà dalle
fabbriche dei nostri competitors
"emergenti", da quelle più diret-
tamente riconducibili al made
in Italy, a quelle che si dirigono
alla valorizzazione dei nostri beni artistici e paesaggistici, dove
la creatività del lavoro è fondamentale.
E ruolo delle università diventa sempre più fondamentale,
sempre più critico, perché sono
il luogo di formazione di un capitale umano dotato delle competenze necessarie per muoversi in un mercato del lavoro in cui
il successo, o forse addirittura la
sopravvivenza all'interno di
quel mercato medesimo, sempre più sarà legata al possesso di
abilità in grado di dare ai giovani capacità di anticipare il futuro. Sono finiti i tempi in cui alle
università si chiedeva di insegnare ai giovani ad esercitare
una professione. Ora alle università è richiesto di formare giovani che sappiano inventarsela,
unaprofessione. Attraverso una
formazione nella quale non
manchino certo le acquisizioni
di conoscenze specifiche e avanzate, nia anche e soprattutto
quelle
competenze
"trasversali" e relazionali, quelle capacità "metodologiche" di
autoformazione lifelong, che faranno sempre più la differenza.
In unmondo in cui l'evoluzione
delle tecnologie condurrà rapidamente non solo all'obsolescenza di un bagaglio rigido di
conoscenze acquisite nella fase
iniziale della propria formazione professionale, ma anche alla
perdita di valore di competenze
e funzioni che verranno sempre
più affidate alle macchine. Ma
saranno le nostre università
all'altezza di questa sfida?
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