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Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo: la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel caso Test-Achats DI MARCO FRIGESSI DI RATTALMA Ordinario di Diritto dell’Unione europea Università degli Studi di Brescia SOMMARIO: 1. La sentenza Test-Achats e la qualità della normativa giudicata. – 2. La portata e gli effetti della sentenza europea declaratoria dell’invalidità. – 3. Effetti nel tempo della sentenza Test-Achats. – 4. Elementi non riguardati dalla sentenza Test-Achats. La discriminazione indiretta. – 5. Valutazioni conclusive. 1. LA SENTENZA TEST-ACHATS E LA QUALITÀ DELLA NORMATIVA GIUDICATA La sentenza Test-Achats della Corte di Giustizia del 1° marzo 2011 (1) che ha dichiarato l’invalidità della direttiva 2004/113/CE che “attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura” nella parte in cui ammette la deroga alla parità di trattamento tra uomini e donne in punto di tariffe assicurative, è forse tra quelle che hanno riscosso il minor plauso negli ultimi anni. Eppure, ritengo che la sentenza sia sostanzialmente corretta e che il difetto sia (1) Sulla sentenza la dottrina ha già assunto una dimensione considerevole: C. ARMBRÜSTER, Schlussanträge der Generalanwältin Juliane Kokott vom 30.9.2010 in der Rechtssache C-236/09 (Test-Achats) zur Frage der durch Art. 5 Abs. 2 der Richtlinie 2004/113/EG (Gender-Richtlinie) eröffneten Zulässigkeit geschlechtsbezogener Assicurazioni – n. 1-2012 4 Marco Frigessi di Rattalma da ricercare nella errata impostazione della direttiva 2004/113/CE del 13 dicembre 2004, oggetto della sentenza. Mi pare chiaro che la Corte di Giustizia non potesse ammettere che il principio fondamentale della parità di trattamento tra uomini e donne con riferimento ai premi assicurativi, una volta sancito a livello di legislazione derivata, potesse essere dalla stessa lasciato sostanzialmente inattuato, potenzialmente sine die. Mi spiego meglio: il legislatore europeo afferma una regola, quella dei premi unisex, che eleva a contenuto di una direttiva volta a garantire la parità di trattamento tra uomini e donne, in pieno campo di azione di diritti umani/fondamentali, dunque. Con l’altra mano, quello stesso legislatore, consente che gli Stati possano sine die derogare a quella regola. Mi sembra evidente che qualcosa non quadri a livello della logica intrinseca dell’impianto normativo. Aggiungo: vi è evidentemente una deontologia che riguarda lo stesso legislatore europeo. Non è possibile somministrare agli utenti finali dell’ordinamento europeo, ossia gli individui e le imprese, precetti recanti diritti sorretti dalla massima sacralità del diritto “laico”, quali sono i precetti consacranti diritti fondamentali, e, poi, privare questi utenti del prodotto loro promesso, il diritto umano fondamentale. Scendendo sul tecni- Differenzierungen bei Versicherungsverträgen, in Versicherungsrecht, 2010, n. 34, 1578-1583; U. KARPENSTEIN, Harmonie durch die Hintertür? Geschlechtsspezifisch kalkulierte Versicherungstarife und das Diskriminierungsverbot, in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2010, n. 23, 885-886; F. 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Ciò in quanto, la previsione di una deroga senza alcun limite di tempo contenuta nell’art. 5.2 (dichiarato invalido) non si concilia con la previsione del principio generale di regime unisex previsto dal precedente art. 5.1 e con quanto espresso nei consideranda 18 e 19. Vi è, lo ripeto, una responsabilità del legislatore europeo, mentre la Corte non ha potuto fare altro che trarre le conseguenze, a mio parere inevitabili, di una normativa che costituiva una contraddizione in termini. Chi scrive ritiene che l’errore stia dunque, per così dire, a monte e non a valle. Se nel circuito ordinamentale europeo si introduce un diritto fondamentale, non è possibile poi “stopparlo” con improbabili deroghe sostanzialmente ad libitum e comunque senza termine finale. Questo non significa affatto che io plauda allo stato del diritto che a breve (21 dicembre 2012) verrà a crearsi in seguito alla pronuncia in esa- C-236/09, Test-Achats, in Österreichische Juristenzeitung, 2011, 333-336; H.P. 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Ancora, è statisticamente provato che le donne, in determinate fasce di età, causano meno sinistri alla guida dei veicoli, ciò che giustifica premi più contenuti per le donne che per i pari età uomini in tema di assicurazione r.c. auto. Il legislatore europeo avrebbe dunque potuto e, anzi, dovuto prendersi la cura di specificare – si noti bene, esso stesso e direttamente nello strumento europeo – le tipologie di contratti di assicurazione sottratti all’applicazione del principio del premio unisex (2). Una siffatta tecnica legislativa, non avrebbe costituito affatto un semplice escamotage, ma avrebbe rispecchiato una precisa scelta di politica legislativa, in quanto tale in linea di principio sottratta al sindacato ad opera della Corte. Quella sopra delineata è, del resto, la scelta di politica legislativa in buona sostanza adottata nella proposta di direttiva del 2 luglio 2008 recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipenden- (2) La sentenza Test-Achats rappresenta un ulteriore passo verso un recupero invasivo da parte del “pubblico” ed in termini dirigistici della definizione delle tariffe assicurative. Su tale tendenza e sui profili di criticità della stessa si veda specialmente G. GABRIELLI, Le “disposizioni in materia di r.c. auto” del dicembre 2002: elusione dell’obbligo di contrarre da parte delle imprese assicuratrici ed elusione del principio di libertà tariffaria da parte del legislatore italiano, in questa Rivista, 2003, I, 4 ss. Tutto ciò a scapito della proclamazione da parte della stessa Corte di Giustizia nella sentenza del 25 febbraio 2003 di un fondamentale principio di “libertà tariffaria”. Sulla sentenza sia consentito rinviare a M. FRIGESSI DI RATTALMA, Blocco delle tariffe assicurative e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario: riflessioni a margine di Corte di Giustizia 25 febbraio 2003 C-59/01, in Dir. econ. assic., 2003, 629 ss. A ciò si aggiunga che la stessa Corte di Giustizia si è messa in un vero e proprio corto circuito quando, da un lato, proclama appunto il principio di libertà tariffaria e, dall’altro lato, salva l’obbligo a contrarre nell’assicurazione r.c. auto (Corte di Giustizia, sentenza 28 aprile 2009 nella causa C-518/06); come ha spiegato bene G. Gabrielli, op. cit., le due cose non possono andare insieme. Assicurazioni – n. 1-2012 Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc. 7 temente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale [COM(2008) 426 definitivo]. Qui, dopo aver indicato al considerando 15, che “i fattori attuariali e di rischio relativi alla disabilità e all’età sono utilizzati nell’offerta di servizi assicurativi, bancari e altri servizi finanziari. Essi non sono considerati discriminatori se è dimostrato che tali fattori sono determinanti per la valutazione del rischio”, si stabilisce che “7. Fatto salvo il paragrafo 2, nell’ambito dell’offerta dei servizi finanziari gli Stati membri possono consentire differenze proporzionate di trattamento ove, per il prodotto in questione, i fattori età e disabilità siano determinanti nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali o statistici pertinenti e accurati”. La costruzione della normativa proposta, non affermando un principio di non differenziazione dei premi fondata sull’età, mette in sicurezza quindi la corrispondente fondamentale prassi assicurativa che tiene conto dell’età nella valutazione del rischio e quindi nella fissazione del premio. Conferma esplicita di quanto si viene dicendo la troviamo nelle seguenti affermazioni contenute nelle Linee direttrici per l’applicazione della direttiva 2004/113/CE del Consiglio nel settore delle assicurazioni, sulla base della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-236/09 ( Test-Achats ) [d’ora innanzi Guidelines (il testo integrale è riportato infra, p. 191 - n.d.r.-)]: “Diversamente dal disposto della direttiva [2004/113 /CEE], la proposta [del 2 luglio 2008] non contiene alcun principio generale alla stregua della regola unisex, secondo cui l’uso dell’età e della disabilità non dovrebbe risultare in premi e prestazioni diversi. L’obiettivo della norma in discorso è piuttosto riconoscere che, ad esempio, due persone di età diversa non si trovano in situazioni paragonabili rispetto ad un’assicurazione vita e che pertanto differenze proporzionate di trattamento basate su una corretta valutazione del rischio non costituiscono discriminazione”. Alla luce di queste premesse, la Commissione ne ricava che “L’uso dell’età e della disabilità continuerebbe ad essere consentito ai sensi della proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, dal momento che non sarebbe considerato discriminatorio”. È bene dunque che i soggetti coinvolti ai più vari livelli nel procedimento di legislazione europea tengano, d’ora innanzi, nella dovuta considerazione le indicazioni di tecnica legislativa di cui sopra, e provvedano a una accurata ponderazione nell’articolazione della normativa alla luce dell’approccio logico-formale racchiuso nella sentenza Test-Achats , altrimenti esponendo la norma al rischio di annullamento. Assicurazioni – n. 1-2012 8 2. LA PORTATA E L’INVALIDITÀ Marco Frigessi di Rattalma GLI EFFETTI DELLA SENTENZA EUROPEA DECLARATORIA DEL- Fatte queste prime considerazioni, è evidente che ora l’operatore del diritto si trova, comunque, a dover fare i conti con una realtà normativa modificata dalla sentenza europea e dalle connesse Guidelines, e ciò a prescindere dal fatto che questa sentenza piaccia o non piaccia. Ed è di questa realtà che intendo trattare ora. Intendo chiarire quali siano le conseguenze attuali e in prospettiva della sentenza europea che ha dichiarato l’invalidità parziale della direttiva 2004/113/CE del 13 dicembre 2004, nella parte in cui ammette la deroga alla parità di trattamento tra uomini e donne in punto di tariffe assicurative. La sentenza ha annullato l’art. 5, n. 2, della direttiva con effetto dalla data del 21 dicembre 2012. Non sarà quindi più consentito utilizzare la variabile del genere nel calcolo dei premi assicurativi. La prima considerazione è che attualmente e fino alla scadenza, qualsiasi azione fondata sulla sentenza europea e mirante al riconoscimento del premio unisex, non potrà essere accolta. Infatti, fino a quel termine, gli Stati membri possono consentire nella loro legislazione che i contratti di assicurazione prevedano criteri in materia di premi/indennità differenziati, ossia, non unisex. Lo scrivente non dubita che il legislatore nazionale provvederà a modificare tempestivamente nel senso ormai imposto dalla sentenza europea la legislazione di attuazione della direttiva e segnatamente il decreto legislativo n. 198 del 2006. Infatti, la legislazione italiana, così come quella belga (da cui scaturisce la sentenza Test-Achats ), consente “differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni individuali ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati” (art. 55-quater d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, come integrato dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 196, di attuazione della direttiva 2004/113/CE), mentre all’ISVAP è affidato il compito di sorvegliare che tali differenze nei premi o nelle prestazioni abbiano a fondamento dati attuariali e statistici affidabili e nell’assolvimento di tali compiti l’Istituto ha emanato il Regolamento n. 30/2009, che reca la disciplina di dettaglio. Tuttavia, è comunque utile chiarire quale sarebbe lo stato del diritto ove il legislatore non provvedesse entro il termine e ciò anche perché siffatta analisi serve comunque a saggiare la necessità dell’intervento normativo interno, come anche a definirne i contorni. Occorre partire dalla constatazione che la dichiarazione di invalidità operata dalla Corte non travolge il decreto legislativo. E ciò né ora, né dopo la scadenza del termine. Di conseguenza essa neppure può invalidare i Assicurazioni – n. 1-2012 Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc. 9 contratti di assicurazione. Il potere di dichiarare l’invalidità degli atti ex art. 267 TFUE concerne infatti esclusivamente gli atti europei e non già le norme nazionali, né, tantomeno, i contratti stipulati in virtù di tali norme. È vero che la Corte di Giustizia ha affermato “che la sentenza che accerti in forza dell’art. 177 del trattato l’invalidità di un atto …in particolare di un regolamento…, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si è rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione che esso debba emettere” (3). Ma la Corte non impone in realtà un vero e proprio obbligo di disapplicazione. Essa qualifica la sentenza dichiarativa di invalidità, più blandamente, come ”motivo sufficiente per considerare l’atto invalido”. Inoltre, quand’anche si ritenesse che la Corte abbia inteso imporre un vero e proprio obbligo di disapplicazione del regolamento dichiarato invalido, esso concernerebbe comunque esclusivamente l’atto europeo considerato. Mai la Corte ha riferito, né essa potrebbe riferire in futuro, un siffatto obbligo ad una norma interna pur collegata all’atto europeo dichiarato invalido. Ciò impedisce di ipotizzare che la dichiarazione di invalidità della direttiva possa arrivare a toccare – di per sé sola – i contratti di assicurazione deroganti al regime unisex. D’altra parte la Corte non ha affermato che la dichiarazione di invalidità di un atto europeo determini l’obbligo in capo ai giudici di disapplicare il provvedimento nazionale di attuazione dell’atto dichiarato invalido. Nella sentenza Rey Soda del 1975 la Corte ha chiarito che “spetta anzitutto alle autorità nazionali trarre, nel proprio ordinamento giuridico, le conseguenze dell’illegittimità degli atti, dichiarata nell’ambito dell’art. 177 del trattato CEE” (4). In linea di principio, quindi, la questione deve essere risolta sul piano nazionale. Per determinare le eventuali conseguenze della dichiarazione di invalidità dell’atto europeo sulle normative interne di attuazione e di esecuzione di tale atto, i giudici nazionali dovrebbero riferirsi ai principî prevalenti nei rispettivi ordinamenti nazionali. Questa impostazione subisce un temperamento nella sentenza Rewe dove la Corte nel dichiarare l’invalidità di un regolamento ha affermato che “il corollario della sua invalidità è che i provvedimenti nazionali adottati in (3) CGUE, 13 maggio 1981, causa 66/80, International Chemical Corporation, par. 13. (4) Corte di Giustizia 30 ottobre 1975, in causa 23/75, Rey Soda, par. 51. Assicurazioni – n. 1-2012 10 Marco Frigessi di Rattalma base a detto regolamento non sono conformi al diritto comunitario” (5). Si noti che questa affermazione non comporta un obbligo di disapplicazione del provvedimento interno. E, infatti, la Corte non lo ha affermato, limitandosi semplicemente a notare come, in seguito alla dichiarazione di invalidità di un regolamento, la legge di esecuzione a detto regolamento non sia più conforme al diritto comunitario. In ogni caso, ad avviso dello scrivente, la “incompatibilità sopravvenuta” del decreto legislativo rispetto alla direttiva non potrebbe determinare l’obbligo per il giudice di disapplicare il decreto legislativo nella parte in cui non sia (più) conforme alla direttiva. È infatti noto che è escluso che le direttive possano creare obblighi in capo ai privati in mancanza di norme interne di attuazione. L’effetto diretto della direttiva non si produce nei rapporti orizzontali, ossia tra soggetti privati (sentenze Marshall, Faccini Dori, ecc). Di conseguenza, non si può ritenere che la sentenza dichiarativa di invalidità di una direttiva, determinando la parziale invalidità della direttiva stessa, abbia – di per sé sola – l’effetto di far sorgere obblighi in capo ai privati che non erano previsti, o non erano previsti nella stessa misura, dalla direttiva. È quindi da escludere che la sentenza possa determinare automaticamente la sostituzione di premi e indennità unisex nei contratti in essere. Non è infatti concepibile che la sentenza possa attribuire alla direttiva effetti maggiori di quelli di cui tale atto è dotato in base al TFUE, dovendosi quindi ritenere che esclusivamente una normativa interna che intervenga a modifica del decreto legislativo possa imporre il regime unisex ai contratti (6). Per completezza si analizza il criterio dell’interpretazione conforme sancito dalla giurisprudenza europea secondo il quale “nell’applicare il diritto nazionale a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce e alla lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 288 TFUE” (7). (5) Corte di Giustizia 7 luglio 1981, causa 158/80, par. 45. (6) Potrebbe sorgere il dubbio se l’invalidità dichiarata possa dar luogo a disapplicazione delle norme del decreto legislativo che consentono premi differenziati ove le norme fossero ritenute contrarie non solo alla direttiva ma anche al principio generale di non discriminazione in base al sesso (artt. 21 e 23 della Carta). Il fatto è che il principio generale in parola non pare raggiunga il grado di dettaglio richiesto e necessario per fungere da efficiente parametro di (in)compatibilità. (7) Sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing. Assicurazioni – n. 1-2012 Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc. 11 È pacifico che il criterio dell’interpretazione conforme non possa essere usato dal giudice nazionale per attribuire surrettiziamente effetti orizzontali alle direttive. A conferma di quanto sopra si nota che la CGUE nella sentenza Arcaro del 1996 ha stabilito che “l’esigenza di interpretare una norma nazionale in conformità con quanto stabilisce una direttiva non attuata incontra un limite qualora tale interpretazione comporti che ad un singolo venga opposto un obbligo previsto da una direttiva non trasposta” (8). In ogni caso la Corte europea ha anche chiarito in Adeneler che il criterio dell’interpretazione conforme “non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale” (9). Pertanto le norme del decreto legislativo che ammettono un regime differenziato non possono essere intaccate dal suddetto criterio. Da tutto quanto precede deve quindi escludersi che la sentenza europea possa di per sé sola imporre l’obbligo di garantire nei contratti di assicurazione premi e indennità unisex. Risulta quindi la necessità dell’intervento correttivo del legislatore. Il quesito è a questo punto se l’intervento correttivo spetti al legislatore europeo e/o a quello nazionale. La prassi delle istituzione europee è orientata nel senso dell’adozione delle misure resesi necessarie a seguito di dichiarazione di invalidità in via pregiudiziale. Le istituzioni provvedono generalmente ad abrogare o a modificare gli atti comunitari dichiarati invalidi. Anche nel caso della sentenza Test-Achats, in un primo momento, sembrava che questa fosse la strada imboccata. Il Servizio Legale del Consiglio ha pubblicato il documento del 14 marzo 2011 (7697/11) in cui preannunciava l’adozione di un atto europeo volto appunto a correggere la direttiva 113/2004 al fine di renderla coerente con la pronuncia della Corte. Inoltre DG Justice della Commissione ha iniziato immediatamente a lavorare al dossier e, in ultimo, ha prevalso – in una sorta di competizione tra istituzioni, che non è peraltro priva di precedenti in ambito europeo – con la emanazione delle citate Guidelines (10). Data la natura delle Guidelines è inevitabile, oltre che doveroso, l’intervento correttivo del legislatore italiano. Il legislatore italiano dovrà rimuovere dal decreto legislativo d’attuazione della direttiva le norme che (8) Sentenza 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro. (9) Corte di Giustizia 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler. (10) Prescindo in questa sede da ogni discorso in merito alla/alle istituzioni europee competenti per l’adozione dell’atto e del procedimento da utilizzare a tale scopo, in quanto non si prefigura l’adozione di una direttiva di modifica della direttiva 113/2004. Assicurazioni – n. 1-2012 12 Marco Frigessi di Rattalma consentono i premi differenziati e nello stesso senso dovrà provvedere l’ISVAP in riferimento al regolamento 30. 3. EFFETTI NEL TEMPO DELLA SENTENZA TEST-ACHATS Alla stregua delle precedenti considerazioni è ora più agevole considerare i profili di diritto intertemporale derivanti dalla sentenza Test-Achats. Il problema degli effetti della sentenza in parola sui contratti di assicurazione di durata è stato ampiamente e, direi, vivacemente discusso nel milieu assicurativo. Vi era consenso generale sull’inapplicabilità del regime unisex ai premi ed alle indennità versati prima del termine, con conseguente insussistenza di alcun obbligo in capo alle compagnie di restituzione dei premi incassati fino alla data del 21 dicembre 2012. L’aspetto controverso trovava invece alimento nella tesi – fatta propria dall’Avvocato generale Kokotte nelle proprie conclusioni – secondo la quale il regime dei premi e delle prestazioni unisex si applicherebbe anche ai premi ed alle prestazioni dovuti in base ai contratti di durata in essere al 21 dicembre 2012 e da versare dopo la scadenza del termine. La questione non è di poco conto. Infatti un’opzione di tale genere avrebbe dirompenti effetti economici in quanto l’equilibrio prezzo-prestazioni contrattualizzato in origine verrebbe significativamente alterato (11). Sul punto è opportuno premettere che, di regola, le sentenze dichiarative di invalidità di un atto europeo hanno effetto retroattivo. Tuttavia, la Corte di Giustizia ha ritenuto di poter limitare in tutto o in parte gli effetti nel tempo di una sentenza declaratoria della invalidità, facendo applicazione analogica del potere conferitole in relazione alle sentenze di annullamento di un atto di diritto europeo. Questa possibilità di limitare od escludere l’effetto retroattivo della sentenza dichiarativa dell’invalidità viene utilizzata dalla Corte quando sussistono particolari esigenze di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento o di natura economica. Ora, nella sentenza in esame, non solo si è escluso l’effetto retroattivo, ma si è previsto che l’invalidità operi solo in futuro, ossia a partire dal 21 dicembre 2012. Già in precedenti sentenze riguardanti direttive europee, la Corte aveva dichiarato l’invalidità delle stesse, ma aveva sospeso gli effetti (11) Vi sarebbero conseguenze anche sulla quantificazione delle riserve tecniche appostate nei bilanci delle compagnie calcolate sulla falsariga del vigente regime differenziato dei premi. Assicurazioni – n. 1-2012 Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc. 13 della dichiarazione di invalidità fino all’adozione di una nuova direttiva che sanasse i vizi della precedente. È evidente che con la sentenza in esame si è cercato di rendere più stringente, rispetto ai precedenti sopra menzionati, l’effetto caducatorio. D’altra parte, dalla sentenza si ricava la volontà della Corte di ritenere irrilevante, per un certo periodo di tempo, l’illegittimità dell’atto. Mette conto di rilevare, inoltre, come viga nel diritto europeo un generale divieto di retroattività della nuova norma giuridica. Quando anche è stato affermato dalla Corte di Giustizia che tale divieto generale non vieta l’applicazione della nuova disciplina giuridica agli effetti futuri di situazioni esistenti, la Corte di Giustizia ha espressamente sancito e regolato gli effetti della norma di jus superveniens, entrando nel dettaglio dei rapporti da regolare. Di tutto ciò non vi è traccia nella sentenza Test-Achats. Inoltre, a favore della soluzione che esclude l’applicabilità del regime unisex ai premi e alle prestazioni dovute in esecuzione di contratti in essere al 21 dicembre 2012 milita un argomento fondato sull’analogia. Infatti, quando la direttiva introdusse nel 2004 il principio del regime unisex (art. 5.1), previde che tale regime si applicasse solo “ai nuovi contratti stipulati dopo il 21 dicembre 2007” e non anche ai premi ed alle indennità dovute in adempimento di contratti in essere al 21 dicembre 2007. E ciò – come chiarì il 18° considerando – al fine di “evitare un brusco adeguamento del mercato”. Si ritiene che anche nel caso in esame, dove si tratta di stabilire le conseguenze dell’invalidità dell’art. 5.2 sancita dalla Corte, si debba, in via analogica, tener conto delle preoccupazioni che hanno inspirato l’art. 5.2 (ossia evitare un brusco adeguamento del mercato), sancendo appunto l’applicabilità del regime unisex solo ai premi e alle prestazioni dovuti in esecuzione di contratti nuovi, ossia stipulati dopo il 21 dicembre 2012. Alla stregua di quanto precede risulta che esclusivamente i contratti stipulati dopo il 21 dicembre 2012 dovranno essere assoggettati al regime unisex. Per i contratti stipulati prima di tale data, nessun obbligo di applicazione del regime unisex può derivare dalla sentenza. Tale soluzione in punto di diritto intertemporale trova ora espresso conforto nelle Guidelines. Infatti in queste è espressamente sancito che “ciò che la sentenza comporta è che per i nuovi contratti conclusi a partire dal 21 dicembre 2012 tale regola [dei premi unisex] deve essere applicata senza alcuna eccezione, in ragione dell’invalidità dell’articolo 5, paragrafo 2, a partire da quella stessa data”. Molto opportunamente nelle Guidelines si precisa che “ La direttiva non definisce il concetto di «nuovo contratto», né contiene alcun riferimento al diritto nazionale per quanto riguarda il significato da attribuire a tali termini. Essi dovrebbero quindi essere compresi, ai fini dell’applicazione della Assicurazioni – n. 1-2012 14 Marco Frigessi di Rattalma direttiva, come indicativi di un concetto autonomo di diritto dell’Unione che deve essere interpretato uniformemente in tutta l’Unione.” È quindi da escludere ed impropria qualsiasi interpretazione del concetto di “nuovo contratto” fondata sui diritti dei contratti nazionali in quanto ciò rischierebbe di dar luogo a condizioni di concorrenza ineguali per le compagnie di assicurazioni. Siamo qui di fronte dunque ad una nozione autonoma, ben nota agli specialisti di diritto dell’Unione europea. Questa nozione autonoma acquista un carattere definito se si tiene conto del fatto che essa deve essere scolpita avendo riguardo “alla necessità che sia preservata la certezza del diritto ed essere fondata su criteri che evitino l’indebita interferenza con diritti esistenti e preservino le legittime attese delle parti.” La nozione di “nuovo contratto” riceve poi una definizione specifica nelle Guidelines in virtù della quale “la regola unisex ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, si applica allorquando a) è concluso un accordo contrattuale che necessita l’espressione del consenso di tutte le parti, compresa l’eventuale modifica di un contratto esistente, e b) l’ultima espressione del consenso di una delle parti, che sia necessaria per la conclusione di tale contratto, intervenga a partire dal 21 dicembre 2012”. Poiché si tratta di nozione autonoma retta dal diritto europeo, improprio sarebbe il riferimento a nozioni unilaterali-nazionali, quali quella domestica di novazione, mentre di rilievo sono ancora le Guidelines quando illustrano cosa non corrisponde alla nozione di “contratto nuovo”. E, così, “Al contrario, non dovrebbero essere considerate costituire accordi contrattuali nuovi le seguenti situazioni: a) l’estensione automatica di un contratto preesistente qualora, entro un certo termine stabilito dalle clausole del contratto preesistente, non venga dato il preavviso, ad esempio un preavviso di recesso (12); b) le modifiche apportate a singole componenti di un contratto esistente, quali le modifiche del premio, sulla base di parametri predefiniti, laddove non sia necessario il consenso del contraente; c) la sottoscrizione, da parte del contraente, di polizze aggiuntive o complementari le cui clausole siano state concordate in contratti conclusi pri- (12) Qui si nota bene come il diritto europeo venga a modificare tradizioni interpretative nostrane. In Italia, come anche in Inghilterra, la giurisprudenza configura il contratto rinnovato per effetto di mancata disdetta come un nuovo contratto. Vedasi Cass. 15 aprile 1998, n. 3803, con ampi richiami di giurisprudenza conforme. L’esatto contrario, dunque, di quanto previsto dalle Guidelines. Assicurazioni – n. 1-2012 Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc. 15 ma del 21 dicembre 2012, qualora dette polizze siano attivate a seguito di decisione unilaterale del contraente; d) il mero trasferimento di un portafoglio di contratti assicurativi da una compagnia di assicurazioni ad un’altra senza modifica dello status dei contratti inclusi in tale portafoglio. Come si può notare agevolmente non sono considerate “nuove” le fattispecie in cui il rinnovo, la modifica, ovvero l’estensione del contratto erano già previste nel contratto e dipendono da un comportamento omissivo o commissivo unilaterale ovvero da meccanismi automatici già previsti dalle parti. Il tutto, lo si ribadisce, per preservare le legittime aspettative dei contraenti. Di conseguenza non sono assoggettati al regime unisex, ad esempio, i contratti tacitamente rinnovati per omessa disdetta ed i contratti che subiscono modifiche in virtù di clausole di adeguamento o di indicizzazione automatiche. Fatte queste considerazioni rimane da dire che è alla luce di queste che si dovrà por mano alla modifica del pertinente decreto legislativo e del regolamento ISVAP n. 30. 4. ELEMENTI NON RIGUARDATI DALLA SENTENZA TEST-ACHATS. LA DISCRIMINAZIONE INDIRETTA. Rimane infine da chiarire che l’art. 5.1 recita “Gli Stati membri provvedono affinché al più tardi in tutti i nuovi contratti stipulati dopo il 21 dicembre 2007, il fatto di tenere conto del sesso quale fattore di calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non determini differenze nei premi e nelle prestazioni”. Dal momento che la sentenza non tocca l’art. 5, par. 1, questo significa che le compagnie possono continuare a valutare i rischi (13), il fabbisogno tariffario, le riserve, le politiche di riassicurazione secondo il sesso ma che il prezzo poi proposto al consumatore e la prestazione corrisposta dovranno essere indifferenziate per sesso. (13) Si potrà, ad esempio, nella r.c. auto continuare a rilevare statisticamente la frequenza e il costo del guidatore donna e del guidatore uomo, salvo poi applicare un prezzo uguale all’uomo e alla donna in applicazione della sentenza, pur continuando oggettivamente a registrare che la frequenza e i costi delle donne sono inferiori agli uomini. A nostro avviso nell’intento della sentenza di voler preservare degli aspetti “formali” di uguaglianza (stesso prezzo per l’uomo e per la donna) si va contro aspetti “sostanziali”, obbligando in questo caso le donne a pagare un prezzo sostanzialmente più alto di quello che il profilo di rischio oggettivamente dice e gli uomini a pagare un prezzo più basso di quello che oggettivamente dice il loro profilo di rischio. Assicurazioni – n. 1-2012 16 Marco Frigessi di Rattalma Di ciò si ha chiaro riscontro nelle Guidelines, le quali aggiungono altresì che il marketing e la pubblicità sono sottratti al campo di azione dell’art. 5.1, potendo all’evidenza le compagnie svolgere pubblicità mirata alle donne o agli uomini. Con particolare riferimento al calcolo delle riserve tecniche, è stato chiarito che, anche in futuro, tale calcolo potrà essere effettuato tenendo conto dell’effettivo rischio demografico della popolazione, ovvero tenendo conto della sua composizione per sesso, pur in presenza di premi di tariffa indifferenziati. Ciò non andrebbe comunque contro il principio imposto dalla direttiva, che si riferisce al trattamento dei clienti (premi e prestazioni) e non alla valutazione e alla copertura del rischio (riserve) (14). Un tema a sé è quello della discriminazione indiretta. Ai sensi dell’art. 2, lett. b), della direttiva, può aversi discriminazione indiretta quando un fattore di rischio apparentemente neutro può mettere persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio. Diversamente dalla discriminazione diretta, quella indiretta può essere giustificata se la finalità è legittima e i mezzi per realizzarla sono appropriati e necessari. Sul punto a sentenza Test-Achats non si è pronunciata. Tuttavia alcune utili considerazioni si trovano nelle Guidelines. Si precisa che l’uso di fattori di rischio che possono essere legati al genere resta pertanto possibile, purché si tratti di fattori di rischio in senso proprio. Così nelle Guidelines si specifica che, ad esempio, la differenza di premio basata sulla cilindrata del motore di un’automobile nel settore delle assicurazioni auto dovrebbe rimanere possibile, anche se da un punto di vista statistico gli uomini guidano auto con motori di più grossa cilindrata (15). Ancora, una storia familiare di tumore al seno non ha la stessa incidenza sul rischio salute di un uomo e di una donna (e la valutazione di tale incidenza richiede di sapere se la persona è una donna o un uomo). È opportuno aggiungere che a giudizio della Commissione, alle condizioni specificate all’art. 4, par. 5, della direttiva, resti possibile per gli assicuratori offrire prodotti assicurativi (o opzioni nei contratti) specificamente adattati al genere al fine di prendere in considerazione condizioni che riguardano in via esclusiva o primaria il genere maschile o quello femminile, come, per esempio, il tumore alla prostata, il tumore al seno o all’utero. (14) Si veda per tutti S. LANDINI, Modelli attuariali nei processi cognitivi giuridici. Alcuni spunti di riflessione, in questa Rivista, 2011, I, 425 ss. con convincenti considerazioni in tema di modelli attuariali di genere e diritto antidiscriminatorio. (15) Un elenco di esempi ulteriori di differenziazioni legittime è contenuto all’allegato 3 delle Guidelines. Assicurazioni – n. 1-2012 Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc. 5. VALUTAZIONI 17 CONCLUSIVE IN PUNTO DI DIRITTO E DI CARATTERE TECNICO- ASSICURATIVO Come valutazione conclusiva in punto di stretto diritto, rimane da dire che sebbene ad avviso dello scrivente sarebbe stata preferibile l’adozione di una direttiva che modificasse la direttiva 113/2004 e ciò per una maggiore certezza ed anche per meglio prevenire la sempre possibile litigiosità (16), il combinato disposto normativa nazionale e Guidelines fornisce una garanzia di tenuta dell’impianto complessivo, posto che, da un lato, il legislatore nazionale è obbligato a dare attuazione alla sentenza Test-Achats chiarita dalle Guidelines, e, dall’altro, il giudice e le autorità amministrative italiane sono tenute, secondo i principî generali, ad interpretare il diritto nazionale in senso conforme alle Guidelines (17), le quali ultime, oltre tutto, pur non avendo carattere normativo, hanno comunque un grande rilievo dato che creano nelle imprese e nei contraenti una legittima aspettativa garantita dal diritto europeo (18). Infine, mi siano consentite alcune considerazioni di carattere più propriamente tecnico-assicurativo inerenti al rilevante impatto che la pronuncia inevitabilmente avrà sul mercato assicurativo. Dai dati resi disponibili dall’ISVAP risulta che, con riferimento ai soli rami interessati alla deroga, nel 2009 il 16,3% del totale dei premi contabilizzati ha riguardato prodotti differenziati in base al fattore sesso; mentre, guardando le prestazioni offerte, risulta che l’84,4% delle imprese che esercitano i rami r.c. auto e l’82,3% di quelle che operano nel ramo vita offrono prodotti differenziati (19). (16) Il punto assume particolare rilevanza in merito all’inapplicabilità del c.d. regime unisex ai contratti in essere. Un intervento normativo di diritto europeo che avesse sancito la soluzione accolta dalle Guidelines sarebbe stato per ovvii motivi auspicabile. (17) Corte di Giustizia, sentenza 13 dicembre 1989, causa 322/88 Grimaldi, Raccolta p. 4407. (18) Corte di Giustizia, sentenza 24 marzo 1993, C-313/90 CIRFS, Raccolta, I-1125. (19) Cfr. I. RIVA, Nota redazionale a Corte di Giustizia dell’Unione europea, 1° marzo 2011, in questa Rivista, 2011, II, 166. In linea generale sono interessate tutte e sole le forme assicurative che coprono l’individuo e la sua responsabilità personale, ad esempio, tariffe e prodotti auto (r.c. auto ed alcune tipologie di garanzie accessorie CVT quali ad esempio I/F e Kasko), tariffe infortuni, vita. Si pensi, inoltre, che con riferimento all’assicurazione r.c. auto la “tariffa femmina” presenta un 11% di riduzione di prezzo rispetto alla “tariffa maschio”. Assicurazioni – n. 1-2012 18 Marco Frigessi di Rattalma In una prospettiva tecnico-attuariale, l’applicazione dell’art. 5 della direttiva a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia, ordinando di praticare un prezzo identico ad uomini e donne e ciò, sin noti bene, indipendentemente dal diverso profilo di rischio oggettivamente rilevato, determina una peggiore qualità nella valutazione del rischio, ed inoltre svilisce il buon funzionamento del mercato con distorsioni a livello di prezzi praticati che non rispecchieranno più l’effettivo rischio individuale. La sopravvenuta necessità di imporre delle tariffe indifferenziate in ragione del sesso porterà, infatti, alla determinazione di premi medi basati su un’ipotesi statistica di mix donne/uomini di popolazione assicurata. Ciò potrebbe, pertanto, generare un aumento diffuso dei premi, che dovranno inglobare anche un “caricamento di sicurezza” per tener conto del rischio che la composizione della popolazione non sia quella delineata (20). In ogni caso l’applicazione della norma comporterà per tutti i prodotti in corso di collocamento la revisione di premi e prestazioni, con costi notevoli per l’adeguamento dei sistemi informatici e di gestione che comporteranno per le compagnie assicurative la necessità di aumentare i premi. In questa prospettiva sembra paradossale l’avvertimento proveniente dalla Commissaria Viviane Reding di scrutinio attento, in una prospettiva antitrust, di eventuali aumenti generalizzati dei premi. Si potrebbe piuttosto ricordare che la Commissione è stata tra le fautrici dell’eccezione introdotta al par. 2 dell’art. 5 della direttiva poi dichiarata invalida dalla Corte e si potrebbe concludere con un semplice “It’s economics, Baby!”. (20) È inoltre prevedibile una minore richiesta della popolazione assicurata svantaggiata dal suddetto aumento delle tariffe (ad esempio le donne nelle assicurazioni in caso di morte o gli uomini in quelle di rendita vitalizia) con particolare riferimento ai prodotti assicurativi del ramo vita. Infine, l’aumento del premio per i motivi di cui al testo porterebbe inoltre uno sbilanciamento nella composizione della popolazione assicurata verso il genere non penalizzato dalla tariffa unisex e ciò renderebbe necessarie frequenti revisioni del tasso medio di premio. Assicurazioni – n. 1-2012