Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo: la

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Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo: la
Premi “unisex” vs tariffe differenziate
nel settore assicurativo:
la sentenza della Corte di Giustizia
dell’Unione europea nel caso Test-Achats
DI
MARCO FRIGESSI DI RATTALMA
Ordinario di Diritto dell’Unione europea
Università degli Studi di Brescia
SOMMARIO: 1. La sentenza Test-Achats e la qualità della normativa giudicata. – 2. La portata e gli effetti della sentenza europea declaratoria dell’invalidità. – 3. Effetti nel tempo
della sentenza Test-Achats. – 4. Elementi non riguardati dalla sentenza Test-Achats. La
discriminazione indiretta. – 5. Valutazioni conclusive.
1. LA SENTENZA TEST-ACHATS E LA QUALITÀ DELLA NORMATIVA GIUDICATA
La sentenza Test-Achats della Corte di Giustizia del 1° marzo 2011 (1)
che ha dichiarato l’invalidità della direttiva 2004/113/CE che “attua il principio
della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura” nella parte in cui ammette la deroga
alla parità di trattamento tra uomini e donne in punto di tariffe assicurative,
è forse tra quelle che hanno riscosso il minor plauso negli ultimi anni. Eppure, ritengo che la sentenza sia sostanzialmente corretta e che il difetto sia
(1) Sulla sentenza la dottrina ha già assunto una dimensione considerevole: C.
ARMBRÜSTER, Schlussanträge der Generalanwältin Juliane Kokott vom 30.9.2010 in der
Rechtssache C-236/09 (Test-Achats) zur Frage der durch Art. 5 Abs. 2 der Richtlinie
2004/113/EG (Gender-Richtlinie) eröffneten Zulässigkeit geschlechtsbezogener
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da ricercare nella errata impostazione della direttiva 2004/113/CE del 13 dicembre 2004, oggetto della sentenza. Mi pare chiaro che la Corte di Giustizia non potesse ammettere che il principio fondamentale della parità di trattamento tra uomini e donne con riferimento ai premi assicurativi, una volta
sancito a livello di legislazione derivata, potesse essere dalla stessa lasciato
sostanzialmente inattuato, potenzialmente sine die.
Mi spiego meglio: il legislatore europeo afferma una regola, quella dei
premi unisex, che eleva a contenuto di una direttiva volta a garantire la parità di trattamento tra uomini e donne, in pieno campo di azione di diritti
umani/fondamentali, dunque. Con l’altra mano, quello stesso legislatore,
consente che gli Stati possano sine die derogare a quella regola. Mi sembra
evidente che qualcosa non quadri a livello della logica intrinseca dell’impianto normativo.
Aggiungo: vi è evidentemente una deontologia che riguarda lo stesso
legislatore europeo. Non è possibile somministrare agli utenti finali dell’ordinamento europeo, ossia gli individui e le imprese, precetti recanti
diritti sorretti dalla massima sacralità del diritto “laico”, quali sono i precetti consacranti diritti fondamentali, e, poi, privare questi utenti del prodotto loro promesso, il diritto umano fondamentale. Scendendo sul tecni-
Differenzierungen bei Versicherungsverträgen, in Versicherungsrecht, 2010, n. 34,
1578-1583; U. KARPENSTEIN, Harmonie durch die Hintertür? Geschlechtsspezifisch
kalkulierte Versicherungstarife und das Diskriminierungsverbot, in Europäische Zeitschrift
für Wirtschaftsrecht, 2010, n. 23, 885-886; F. PICOD, Invalidité d’une dérogation en
faveur des femmes, in La Semaine Juridique, édition générale 2011, n. 11-12, 543; Y.
THIERY, The opinion of A. G. Kokott on gender discrimination in insurance: effects for
the insurance market, in Zeitschrift für Gemeinschaftsprivatrecht, 2011, 28-32; T. PFEIFFER, Fundamentalismus als juristische Methode?, in Neue juristische Wochenschrift,
2011, Heft, 13, 3; B. KAHLER, Unisextarife im Versicherungswesen - Grundrechtsprüfung durch den EuGH, ivi, 2011, 894-897; Y. THIERY, La fin de la tarification hommefemme en Europe, in Journal des tribunaux, 2011, 344-348; L. BURGORGUE-LARSEN,
Quand la CJUE prend au sérieux la Charte des droits fondamentaux, le droit de
l’union est déclaré invalide, in L’actualité juridique; droit administratif, 2011, 969-973;
GENOVESE-AMARILLIDE, Contratti assicurativi e obbligo di premi e prestazioni “unisex”,
in Giur. it., 2011, Gr. Sez., 768; A. RIGAUX, Égalité de traitement hommes/femmes en
matière d’assurances, in Europe, 2011, Mai, Comm. n. 5, 40; J.D. LÜTTRINGHAUS, Europaweit Unisex-Tarife für Versicherungen!, in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2011, 296-300; N. REICH, Non-Discrimination and the Many Faces of Private
Law in the Union - Some Thoughts After the “Test-Achats” Judgment, in European
Journal of Risk Regulation, 2011, Vol. 2, n. 2, 283-290; M. ROBINEAU, L’assurance à
la croisée des chemins, in Recueil Le Dalloz, 2011, 1592-1595; S. PERNER, Geschlechtertarife im Versicherungsrecht unzulässig - Bemerkungen anlässlich EuGH 1.3.2011,
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co, ciò significa che la Corte di Giustizia ha inteso, dunque, dichiarare
l’invalidità parziale della direttiva per ragioni di coerenza interna dell’impianto normativo della direttiva stessa. Ciò in quanto, la previsione
di una deroga senza alcun limite di tempo contenuta nell’art. 5.2 (dichiarato invalido) non si concilia con la previsione del principio generale di
regime unisex previsto dal precedente art. 5.1 e con quanto espresso nei
consideranda 18 e 19.
Vi è, lo ripeto, una responsabilità del legislatore europeo, mentre la Corte non ha potuto fare altro che trarre le conseguenze, a mio parere inevitabili, di una normativa che costituiva una contraddizione in termini.
Chi scrive ritiene che l’errore stia dunque, per così dire, a monte e non
a valle. Se nel circuito ordinamentale europeo si introduce un diritto fondamentale, non è possibile poi “stopparlo” con improbabili deroghe sostanzialmente ad libitum e comunque senza termine finale.
Questo non significa affatto che io plauda allo stato del diritto che a
breve (21 dicembre 2012) verrà a crearsi in seguito alla pronuncia in esa-
C-236/09, Test-Achats, in Österreichische Juristenzeitung, 2011, 333-336; H.P. SCHWINTOWSKI, (Un-)Gleichbehandlung in der privaten Krankenversicherung, in Verbraucher
und Recht, 2011,191; C. ROLFS - N. BINZ, EuGH erzwingt ab Ende 2012 Unisex-Tarife für
alle neuen Versicherungsverträge, in Versicherungsrecht, 2011,714-718; K. KROLL-LUDWIGS, in Juristenzeitung, 2011, 734-737; J. HOFFMANN, Die Zukunft geschlechtsspezifischer Versicherungstarife, in Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2011, 1445-1453; E. DUBOUT,
En matière d’assurance, la femme est un homme comme les autres. Première invalidation
d’une disposition d’une directive relative à la lutte contre les discriminations, in Revue
des affaires européennes, 2011, 211-222; L. CAPPUCCIO, Il caso Association Belge des
Consommateurs e la non discriminazione nel settore delle assicurazioni: la parità al
volante?, in Quaderni costituzionali, 2011, 690-693; P. SANTONE, Diritto e statistica, in
“genere” diversi, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2011, 1244-1248; P. DE LUCA
- M. PUGLIA, Cronache della giurisprudenza dell’Unione europea (gennaio-giugno 2011),
in Il diritto dell’Unione Europea, 2011, 781-798; K. KORINEK, Geschlechtsspezifische
Tarife im Versicherungsrecht sind unzulässig, in Österreichische Zeitschrift für
Wirtschaftsrecht, 2011, 53-55; K. P. PURNHAGEN, Zum Verbot der Risikodifferenzierung
aufgrund des Geschlechts - Eine Lehre des EuGH zur Konstitutionalisierung des Privatrechts
am Beispiel des Versicherungsvertragsrechts?, in Europarecht, 2011, 690-704; U. MÖNNICH,
Unisex: Die EuGH-Entscheidung vom 1.3.2011 und die möglichen Folgen, in
Versicherungsrecht, 2011, 1092-1103; C. TOBLER, Case C-236/09, Association belge des
Consommateurs Test-Achats ASBL, Yann van Vugt, Charles Basselier v. Conseil des
ministres, Judgment of the Court of Justice (Grand Chamber) of 1 March 2011, in Common
Market Law Review, 2011, vol. 48, n. 6, 2041-2060; L. MURA, Il principio di eguaglianza nel diritto dell’Unione europea alla luce della più recente giurisprudenza della Corte
di Giustizia in materia di assicurazioni, in Studi sull’integrazione europea, 2011, p. 555 ss.
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me, tutt’altro. Approfonditi studi attuariali e statistici dimostrano che l’assolutizzazione del principio dei premi unisex quale sancito dall’art. 5.1 delle direttiva era proprio sbagliato, perché, in relazione a determinate tipologie contrattuali, vi sono differenze legate al genere che giustificano premi differenziati. Non penso occorra essere attuari per sapere che le donne
hanno una prospettiva media di durata della vita maggiore rispetto agli uomini, di talché è in rerum natura che il premio collegato a varie tipologie
di contratti di assicurazione collegati alla durata della vita umana fosse differenziato. Ancora, è statisticamente provato che le donne, in determinate
fasce di età, causano meno sinistri alla guida dei veicoli, ciò che giustifica premi più contenuti per le donne che per i pari età uomini in tema di assicurazione r.c. auto.
Il legislatore europeo avrebbe dunque potuto e, anzi, dovuto prendersi
la cura di specificare – si noti bene, esso stesso e direttamente nello strumento europeo – le tipologie di contratti di assicurazione sottratti all’applicazione del principio del premio unisex (2). Una siffatta tecnica legislativa, non avrebbe costituito affatto un semplice escamotage, ma avrebbe rispecchiato una precisa scelta di politica legislativa, in quanto tale in linea
di principio sottratta al sindacato ad opera della Corte.
Quella sopra delineata è, del resto, la scelta di politica legislativa in buona sostanza adottata nella proposta di direttiva del 2 luglio 2008 recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipenden-
(2) La sentenza Test-Achats rappresenta un ulteriore passo verso un recupero
invasivo da parte del “pubblico” ed in termini dirigistici della definizione delle tariffe
assicurative. Su tale tendenza e sui profili di criticità della stessa si veda specialmente
G. GABRIELLI, Le “disposizioni in materia di r.c. auto” del dicembre 2002: elusione
dell’obbligo di contrarre da parte delle imprese assicuratrici ed elusione del principio
di libertà tariffaria da parte del legislatore italiano, in questa Rivista, 2003, I, 4 ss.
Tutto ciò a scapito della proclamazione da parte della stessa Corte di Giustizia nella
sentenza del 25 febbraio 2003 di un fondamentale principio di “libertà tariffaria”.
Sulla sentenza sia consentito rinviare a M. FRIGESSI DI RATTALMA, Blocco delle tariffe
assicurative e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario:
riflessioni a margine di Corte di Giustizia 25 febbraio 2003 C-59/01, in Dir. econ.
assic., 2003, 629 ss. A ciò si aggiunga che la stessa Corte di Giustizia si è messa in
un vero e proprio corto circuito quando, da un lato, proclama appunto il principio di
libertà tariffaria e, dall’altro lato, salva l’obbligo a contrarre nell’assicurazione r.c.
auto (Corte di Giustizia, sentenza 28 aprile 2009 nella causa C-518/06); come ha
spiegato bene G. Gabrielli, op. cit., le due cose non possono andare insieme.
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temente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o
l’orientamento sessuale [COM(2008) 426 definitivo].
Qui, dopo aver indicato al considerando 15, che “i fattori attuariali e di
rischio relativi alla disabilità e all’età sono utilizzati nell’offerta di servizi assicurativi, bancari e altri servizi finanziari. Essi non sono considerati
discriminatori se è dimostrato che tali fattori sono determinanti per la valutazione del rischio”, si stabilisce che “7. Fatto salvo il paragrafo 2, nell’ambito dell’offerta dei servizi finanziari gli Stati membri possono consentire differenze proporzionate di trattamento ove, per il prodotto in questione, i fattori età e disabilità siano determinanti nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali o statistici pertinenti e accurati”.
La costruzione della normativa proposta, non affermando un principio
di non differenziazione dei premi fondata sull’età, mette in sicurezza quindi la corrispondente fondamentale prassi assicurativa che tiene conto dell’età nella valutazione del rischio e quindi nella fissazione del premio.
Conferma esplicita di quanto si viene dicendo la troviamo nelle seguenti affermazioni contenute nelle Linee direttrici per l’applicazione
della direttiva 2004/113/CE del Consiglio nel settore delle assicurazioni, sulla base della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea
nella causa C-236/09 ( Test-Achats ) [d’ora innanzi Guidelines (il testo
integrale è riportato infra, p. 191 - n.d.r.-)]: “Diversamente dal disposto
della direttiva [2004/113 /CEE], la proposta [del 2 luglio 2008] non contiene alcun principio generale alla stregua della regola unisex, secondo
cui l’uso dell’età e della disabilità non dovrebbe risultare in premi e prestazioni diversi. L’obiettivo della norma in discorso è piuttosto riconoscere che, ad esempio, due persone di età diversa non si trovano in situazioni paragonabili rispetto ad un’assicurazione vita e che pertanto differenze proporzionate di trattamento basate su una corretta valutazione
del rischio non costituiscono discriminazione”. Alla luce di queste premesse, la Commissione ne ricava che “L’uso dell’età e della disabilità
continuerebbe ad essere consentito ai sensi della proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità,
l’età o l’orientamento sessuale, dal momento che non sarebbe considerato discriminatorio”.
È bene dunque che i soggetti coinvolti ai più vari livelli nel procedimento di legislazione europea tengano, d’ora innanzi, nella dovuta considerazione le indicazioni di tecnica legislativa di cui sopra, e provvedano a
una accurata ponderazione nell’articolazione della normativa alla luce dell’approccio logico-formale racchiuso nella sentenza Test-Achats , altrimenti
esponendo la norma al rischio di annullamento.
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2. LA PORTATA E
L’INVALIDITÀ
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GLI EFFETTI DELLA SENTENZA EUROPEA DECLARATORIA DEL-
Fatte queste prime considerazioni, è evidente che ora l’operatore del diritto si trova, comunque, a dover fare i conti con una realtà normativa modificata dalla sentenza europea e dalle connesse Guidelines, e ciò a prescindere dal fatto che questa sentenza piaccia o non piaccia. Ed è di questa
realtà che intendo trattare ora.
Intendo chiarire quali siano le conseguenze attuali e in prospettiva della sentenza europea che ha dichiarato l’invalidità parziale della direttiva
2004/113/CE del 13 dicembre 2004, nella parte in cui ammette la deroga
alla parità di trattamento tra uomini e donne in punto di tariffe assicurative. La sentenza ha annullato l’art. 5, n. 2, della direttiva con effetto dalla
data del 21 dicembre 2012. Non sarà quindi più consentito utilizzare la variabile del genere nel calcolo dei premi assicurativi. La prima considerazione è che attualmente e fino alla scadenza, qualsiasi azione fondata sulla
sentenza europea e mirante al riconoscimento del premio unisex, non potrà
essere accolta. Infatti, fino a quel termine, gli Stati membri possono consentire nella loro legislazione che i contratti di assicurazione prevedano criteri in materia di premi/indennità differenziati, ossia, non unisex.
Lo scrivente non dubita che il legislatore nazionale provvederà a modificare tempestivamente nel senso ormai imposto dalla sentenza europea
la legislazione di attuazione della direttiva e segnatamente il decreto legislativo n. 198 del 2006. Infatti, la legislazione italiana, così come quella belga (da cui scaturisce la sentenza Test-Achats ), consente “differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni individuali ove il fattore sesso sia
determinante nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati” (art. 55-quater d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, come integrato dal
d.lgs. 6 novembre 2007, n. 196, di attuazione della direttiva 2004/113/CE),
mentre all’ISVAP è affidato il compito di sorvegliare che tali differenze nei
premi o nelle prestazioni abbiano a fondamento dati attuariali e statistici affidabili e nell’assolvimento di tali compiti l’Istituto ha emanato il Regolamento n. 30/2009, che reca la disciplina di dettaglio.
Tuttavia, è comunque utile chiarire quale sarebbe lo stato del diritto ove
il legislatore non provvedesse entro il termine e ciò anche perché siffatta
analisi serve comunque a saggiare la necessità dell’intervento normativo
interno, come anche a definirne i contorni.
Occorre partire dalla constatazione che la dichiarazione di invalidità
operata dalla Corte non travolge il decreto legislativo. E ciò né ora, né dopo la scadenza del termine. Di conseguenza essa neppure può invalidare i
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contratti di assicurazione. Il potere di dichiarare l’invalidità degli atti ex art.
267 TFUE concerne infatti esclusivamente gli atti europei e non già le norme nazionali, né, tantomeno, i contratti stipulati in virtù di tali norme.
È vero che la Corte di Giustizia ha affermato “che la sentenza che accerti in forza dell’art. 177 del trattato l’invalidità di un atto …in particolare di un regolamento…, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si è rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione
che esso debba emettere” (3). Ma la Corte non impone in realtà un vero e
proprio obbligo di disapplicazione. Essa qualifica la sentenza dichiarativa
di invalidità, più blandamente, come ”motivo sufficiente per considerare
l’atto invalido”.
Inoltre, quand’anche si ritenesse che la Corte abbia inteso imporre un
vero e proprio obbligo di disapplicazione del regolamento dichiarato invalido, esso concernerebbe comunque esclusivamente l’atto europeo considerato. Mai la Corte ha riferito, né essa potrebbe riferire in futuro, un siffatto obbligo ad una norma interna pur collegata all’atto europeo dichiarato invalido. Ciò impedisce di ipotizzare che la dichiarazione di invalidità
della direttiva possa arrivare a toccare – di per sé sola – i contratti di assicurazione deroganti al regime unisex.
D’altra parte la Corte non ha affermato che la dichiarazione di invalidità di un atto europeo determini l’obbligo in capo ai giudici di disapplicare il provvedimento nazionale di attuazione dell’atto dichiarato invalido.
Nella sentenza Rey Soda del 1975 la Corte ha chiarito che “spetta anzitutto alle autorità nazionali trarre, nel proprio ordinamento giuridico, le conseguenze dell’illegittimità degli atti, dichiarata nell’ambito dell’art. 177 del
trattato CEE” (4).
In linea di principio, quindi, la questione deve essere risolta sul piano
nazionale. Per determinare le eventuali conseguenze della dichiarazione di
invalidità dell’atto europeo sulle normative interne di attuazione e di esecuzione di tale atto, i giudici nazionali dovrebbero riferirsi ai principî prevalenti nei rispettivi ordinamenti nazionali.
Questa impostazione subisce un temperamento nella sentenza Rewe dove la Corte nel dichiarare l’invalidità di un regolamento ha affermato che
“il corollario della sua invalidità è che i provvedimenti nazionali adottati in
(3) CGUE, 13 maggio 1981, causa 66/80, International Chemical Corporation,
par. 13.
(4) Corte di Giustizia 30 ottobre 1975, in causa 23/75, Rey Soda, par. 51.
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base a detto regolamento non sono conformi al diritto comunitario” (5). Si
noti che questa affermazione non comporta un obbligo di disapplicazione
del provvedimento interno. E, infatti, la Corte non lo ha affermato, limitandosi semplicemente a notare come, in seguito alla dichiarazione di invalidità di un regolamento, la legge di esecuzione a detto regolamento non
sia più conforme al diritto comunitario.
In ogni caso, ad avviso dello scrivente, la “incompatibilità sopravvenuta” del decreto legislativo rispetto alla direttiva non potrebbe determinare l’obbligo per il giudice di disapplicare il decreto legislativo nella parte
in cui non sia (più) conforme alla direttiva. È infatti noto che è escluso che
le direttive possano creare obblighi in capo ai privati in mancanza di norme interne di attuazione. L’effetto diretto della direttiva non si produce nei
rapporti orizzontali, ossia tra soggetti privati (sentenze Marshall, Faccini
Dori, ecc). Di conseguenza, non si può ritenere che la sentenza dichiarativa di invalidità di una direttiva, determinando la parziale invalidità della direttiva stessa, abbia – di per sé sola – l’effetto di far sorgere obblighi in capo ai privati che non erano previsti, o non erano previsti nella stessa misura, dalla direttiva. È quindi da escludere che la sentenza possa determinare
automaticamente la sostituzione di premi e indennità unisex nei contratti in
essere. Non è infatti concepibile che la sentenza possa attribuire alla direttiva effetti maggiori di quelli di cui tale atto è dotato in base al TFUE, dovendosi quindi ritenere che esclusivamente una normativa interna che intervenga a modifica del decreto legislativo possa imporre il regime unisex
ai contratti (6).
Per completezza si analizza il criterio dell’interpretazione conforme sancito dalla giurisprudenza europea secondo il quale “nell’applicare il diritto
nazionale a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto
nazionale alla luce e alla lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art.
288 TFUE” (7).
(5) Corte di Giustizia 7 luglio 1981, causa 158/80, par. 45.
(6) Potrebbe sorgere il dubbio se l’invalidità dichiarata possa dar luogo a
disapplicazione delle norme del decreto legislativo che consentono premi differenziati
ove le norme fossero ritenute contrarie non solo alla direttiva ma anche al principio
generale di non discriminazione in base al sesso (artt. 21 e 23 della Carta). Il fatto è che
il principio generale in parola non pare raggiunga il grado di dettaglio richiesto e
necessario per fungere da efficiente parametro di (in)compatibilità.
(7) Sentenza 13 novembre 1990, in causa C-106/89, Marleasing.
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È pacifico che il criterio dell’interpretazione conforme non possa essere usato dal giudice nazionale per attribuire surrettiziamente effetti orizzontali alle direttive. A conferma di quanto sopra si nota che la CGUE nella sentenza Arcaro del 1996 ha stabilito che “l’esigenza di interpretare una
norma nazionale in conformità con quanto stabilisce una direttiva non attuata incontra un limite qualora tale interpretazione comporti che ad un singolo venga opposto un obbligo previsto da una direttiva non trasposta” (8).
In ogni caso la Corte europea ha anche chiarito in Adeneler che il criterio
dell’interpretazione conforme “non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale” (9). Pertanto le norme del
decreto legislativo che ammettono un regime differenziato non possono essere intaccate dal suddetto criterio.
Da tutto quanto precede deve quindi escludersi che la sentenza europea
possa di per sé sola imporre l’obbligo di garantire nei contratti di assicurazione premi e indennità unisex. Risulta quindi la necessità dell’intervento
correttivo del legislatore.
Il quesito è a questo punto se l’intervento correttivo spetti al legislatore europeo e/o a quello nazionale.
La prassi delle istituzione europee è orientata nel senso dell’adozione
delle misure resesi necessarie a seguito di dichiarazione di invalidità in via
pregiudiziale. Le istituzioni provvedono generalmente ad abrogare o a modificare gli atti comunitari dichiarati invalidi. Anche nel caso della sentenza Test-Achats, in un primo momento, sembrava che questa fosse la strada
imboccata. Il Servizio Legale del Consiglio ha pubblicato il documento del
14 marzo 2011 (7697/11) in cui preannunciava l’adozione di un atto europeo volto appunto a correggere la direttiva 113/2004 al fine di renderla coerente con la pronuncia della Corte.
Inoltre DG Justice della Commissione ha iniziato immediatamente a lavorare al dossier e, in ultimo, ha prevalso – in una sorta di competizione tra
istituzioni, che non è peraltro priva di precedenti in ambito europeo – con
la emanazione delle citate Guidelines (10).
Data la natura delle Guidelines è inevitabile, oltre che doveroso, l’intervento correttivo del legislatore italiano. Il legislatore italiano dovrà rimuovere dal decreto legislativo d’attuazione della direttiva le norme che
(8) Sentenza 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro.
(9) Corte di Giustizia 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler.
(10) Prescindo in questa sede da ogni discorso in merito alla/alle istituzioni europee
competenti per l’adozione dell’atto e del procedimento da utilizzare a tale scopo, in
quanto non si prefigura l’adozione di una direttiva di modifica della direttiva 113/2004.
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consentono i premi differenziati e nello stesso senso dovrà provvedere
l’ISVAP in riferimento al regolamento 30.
3. EFFETTI NEL TEMPO DELLA SENTENZA TEST-ACHATS
Alla stregua delle precedenti considerazioni è ora più agevole considerare i profili di diritto intertemporale derivanti dalla sentenza Test-Achats.
Il problema degli effetti della sentenza in parola sui contratti di assicurazione di durata è stato ampiamente e, direi, vivacemente discusso nel milieu assicurativo. Vi era consenso generale sull’inapplicabilità del regime
unisex ai premi ed alle indennità versati prima del termine, con conseguente
insussistenza di alcun obbligo in capo alle compagnie di restituzione dei
premi incassati fino alla data del 21 dicembre 2012. L’aspetto controverso
trovava invece alimento nella tesi – fatta propria dall’Avvocato generale
Kokotte nelle proprie conclusioni – secondo la quale il regime dei premi e
delle prestazioni unisex si applicherebbe anche ai premi ed alle prestazioni
dovuti in base ai contratti di durata in essere al 21 dicembre 2012 e da versare dopo la scadenza del termine.
La questione non è di poco conto. Infatti un’opzione di tale genere avrebbe dirompenti effetti economici in quanto l’equilibrio prezzo-prestazioni
contrattualizzato in origine verrebbe significativamente alterato (11).
Sul punto è opportuno premettere che, di regola, le sentenze dichiarative di invalidità di un atto europeo hanno effetto retroattivo. Tuttavia, la
Corte di Giustizia ha ritenuto di poter limitare in tutto o in parte gli effetti
nel tempo di una sentenza declaratoria della invalidità, facendo applicazione analogica del potere conferitole in relazione alle sentenze di annullamento di un atto di diritto europeo.
Questa possibilità di limitare od escludere l’effetto retroattivo della sentenza dichiarativa dell’invalidità viene utilizzata dalla Corte quando sussistono particolari esigenze di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento
o di natura economica.
Ora, nella sentenza in esame, non solo si è escluso l’effetto retroattivo,
ma si è previsto che l’invalidità operi solo in futuro, ossia a partire dal 21 dicembre 2012. Già in precedenti sentenze riguardanti direttive europee, la
Corte aveva dichiarato l’invalidità delle stesse, ma aveva sospeso gli effetti
(11) Vi sarebbero conseguenze anche sulla quantificazione delle riserve tecniche
appostate nei bilanci delle compagnie calcolate sulla falsariga del vigente regime
differenziato dei premi.
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della dichiarazione di invalidità fino all’adozione di una nuova direttiva che
sanasse i vizi della precedente. È evidente che con la sentenza in esame si è
cercato di rendere più stringente, rispetto ai precedenti sopra menzionati,
l’effetto caducatorio. D’altra parte, dalla sentenza si ricava la volontà della
Corte di ritenere irrilevante, per un certo periodo di tempo, l’illegittimità dell’atto. Mette conto di rilevare, inoltre, come viga nel diritto europeo un generale divieto di retroattività della nuova norma giuridica. Quando anche è
stato affermato dalla Corte di Giustizia che tale divieto generale non vieta
l’applicazione della nuova disciplina giuridica agli effetti futuri di situazioni esistenti, la Corte di Giustizia ha espressamente sancito e regolato gli effetti della norma di jus superveniens, entrando nel dettaglio dei rapporti da
regolare. Di tutto ciò non vi è traccia nella sentenza Test-Achats.
Inoltre, a favore della soluzione che esclude l’applicabilità del regime unisex ai premi e alle prestazioni dovute in esecuzione di contratti in
essere al 21 dicembre 2012 milita un argomento fondato sull’analogia. Infatti, quando la direttiva introdusse nel 2004 il principio del regime unisex (art. 5.1), previde che tale regime si applicasse solo “ai nuovi contratti
stipulati dopo il 21 dicembre 2007” e non anche ai premi ed alle indennità dovute in adempimento di contratti in essere al 21 dicembre 2007. E
ciò – come chiarì il 18° considerando – al fine di “evitare un brusco adeguamento del mercato”. Si ritiene che anche nel caso in esame, dove si
tratta di stabilire le conseguenze dell’invalidità dell’art. 5.2 sancita dalla
Corte, si debba, in via analogica, tener conto delle preoccupazioni che
hanno inspirato l’art. 5.2 (ossia evitare un brusco adeguamento del mercato), sancendo appunto l’applicabilità del regime unisex solo ai premi e
alle prestazioni dovuti in esecuzione di contratti nuovi, ossia stipulati dopo il 21 dicembre 2012.
Alla stregua di quanto precede risulta che esclusivamente i contratti stipulati dopo il 21 dicembre 2012 dovranno essere assoggettati al regime unisex. Per i contratti stipulati prima di tale data, nessun obbligo di applicazione del regime unisex può derivare dalla sentenza.
Tale soluzione in punto di diritto intertemporale trova ora espresso conforto nelle Guidelines. Infatti in queste è espressamente sancito che “ciò che
la sentenza comporta è che per i nuovi contratti conclusi a partire dal 21 dicembre 2012 tale regola [dei premi unisex] deve essere applicata senza alcuna eccezione, in ragione dell’invalidità dell’articolo 5, paragrafo 2, a partire da quella stessa data”.
Molto opportunamente nelle Guidelines si precisa che “ La direttiva non
definisce il concetto di «nuovo contratto», né contiene alcun riferimento al
diritto nazionale per quanto riguarda il significato da attribuire a tali termini. Essi dovrebbero quindi essere compresi, ai fini dell’applicazione della
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direttiva, come indicativi di un concetto autonomo di diritto dell’Unione
che deve essere interpretato uniformemente in tutta l’Unione.”
È quindi da escludere ed impropria qualsiasi interpretazione del concetto di “nuovo contratto” fondata sui diritti dei contratti nazionali in quanto ciò rischierebbe di dar luogo a condizioni di concorrenza ineguali per le
compagnie di assicurazioni.
Siamo qui di fronte dunque ad una nozione autonoma, ben nota agli specialisti di diritto dell’Unione europea. Questa nozione autonoma acquista
un carattere definito se si tiene conto del fatto che essa deve essere scolpita avendo riguardo “alla necessità che sia preservata la certezza del diritto
ed essere fondata su criteri che evitino l’indebita interferenza con diritti esistenti e preservino le legittime attese delle parti.”
La nozione di “nuovo contratto” riceve poi una definizione specifica
nelle Guidelines in virtù della quale “la regola unisex ai sensi dell’articolo
5, paragrafo 1, si applica allorquando a) è concluso un accordo contrattuale che necessita l’espressione del consenso di tutte le parti, compresa
l’eventuale modifica di un contratto esistente, e b) l’ultima espressione del
consenso di una delle parti, che sia necessaria per la conclusione di tale contratto, intervenga a partire dal 21 dicembre 2012”.
Poiché si tratta di nozione autonoma retta dal diritto europeo, improprio sarebbe il riferimento a nozioni unilaterali-nazionali, quali quella domestica di novazione, mentre di rilievo sono ancora le Guidelines quando
illustrano cosa non corrisponde alla nozione di “contratto nuovo”.
E, così, “Al contrario, non dovrebbero essere considerate costituire accordi contrattuali nuovi le seguenti situazioni:
a) l’estensione automatica di un contratto preesistente qualora, entro un
certo termine stabilito dalle clausole del contratto preesistente, non venga
dato il preavviso, ad esempio un preavviso di recesso (12);
b) le modifiche apportate a singole componenti di un contratto esistente, quali le modifiche del premio, sulla base di parametri predefiniti, laddove non sia necessario il consenso del contraente;
c) la sottoscrizione, da parte del contraente, di polizze aggiuntive o complementari le cui clausole siano state concordate in contratti conclusi pri-
(12) Qui si nota bene come il diritto europeo venga a modificare tradizioni interpretative
nostrane. In Italia, come anche in Inghilterra, la giurisprudenza configura il contratto
rinnovato per effetto di mancata disdetta come un nuovo contratto. Vedasi Cass. 15 aprile
1998, n. 3803, con ampi richiami di giurisprudenza conforme. L’esatto contrario, dunque,
di quanto previsto dalle Guidelines.
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Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo ecc.
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ma del 21 dicembre 2012, qualora dette polizze siano attivate a seguito di
decisione unilaterale del contraente;
d) il mero trasferimento di un portafoglio di contratti assicurativi da una
compagnia di assicurazioni ad un’altra senza modifica dello status dei contratti inclusi in tale portafoglio.
Come si può notare agevolmente non sono considerate “nuove” le fattispecie in cui il rinnovo, la modifica, ovvero l’estensione del contratto erano
già previste nel contratto e dipendono da un comportamento omissivo o commissivo unilaterale ovvero da meccanismi automatici già previsti dalle parti.
Il tutto, lo si ribadisce, per preservare le legittime aspettative dei contraenti. Di
conseguenza non sono assoggettati al regime unisex, ad esempio, i contratti
tacitamente rinnovati per omessa disdetta ed i contratti che subiscono modifiche in virtù di clausole di adeguamento o di indicizzazione automatiche.
Fatte queste considerazioni rimane da dire che è alla luce di queste che
si dovrà por mano alla modifica del pertinente decreto legislativo e del regolamento ISVAP n. 30.
4. ELEMENTI NON RIGUARDATI DALLA SENTENZA TEST-ACHATS. LA DISCRIMINAZIONE INDIRETTA.
Rimane infine da chiarire che l’art. 5.1 recita “Gli Stati membri provvedono affinché al più tardi in tutti i nuovi contratti stipulati dopo il 21 dicembre 2007, il fatto di tenere conto del sesso quale fattore di calcolo dei
premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non
determini differenze nei premi e nelle prestazioni”. Dal momento che la
sentenza non tocca l’art. 5, par. 1, questo significa che le compagnie possono continuare a valutare i rischi (13), il fabbisogno tariffario, le riserve,
le politiche di riassicurazione secondo il sesso ma che il prezzo poi proposto al consumatore e la prestazione corrisposta dovranno essere indifferenziate per sesso.
(13) Si potrà, ad esempio, nella r.c. auto continuare a rilevare statisticamente la
frequenza e il costo del guidatore donna e del guidatore uomo, salvo poi applicare un
prezzo uguale all’uomo e alla donna in applicazione della sentenza, pur continuando
oggettivamente a registrare che la frequenza e i costi delle donne sono inferiori agli
uomini. A nostro avviso nell’intento della sentenza di voler preservare degli aspetti
“formali” di uguaglianza (stesso prezzo per l’uomo e per la donna) si va contro aspetti
“sostanziali”, obbligando in questo caso le donne a pagare un prezzo sostanzialmente
più alto di quello che il profilo di rischio oggettivamente dice e gli uomini a pagare un
prezzo più basso di quello che oggettivamente dice il loro profilo di rischio.
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Di ciò si ha chiaro riscontro nelle Guidelines, le quali aggiungono altresì che il marketing e la pubblicità sono sottratti al campo di azione dell’art. 5.1, potendo all’evidenza le compagnie svolgere pubblicità mirata alle donne o agli uomini.
Con particolare riferimento al calcolo delle riserve tecniche, è stato chiarito che, anche in futuro, tale calcolo potrà essere effettuato tenendo conto
dell’effettivo rischio demografico della popolazione, ovvero tenendo conto della sua composizione per sesso, pur in presenza di premi di tariffa indifferenziati. Ciò non andrebbe comunque contro il principio imposto dalla direttiva, che si riferisce al trattamento dei clienti (premi e prestazioni) e
non alla valutazione e alla copertura del rischio (riserve) (14).
Un tema a sé è quello della discriminazione indiretta. Ai sensi dell’art.
2, lett. b), della direttiva, può aversi discriminazione indiretta quando un
fattore di rischio apparentemente neutro può mettere persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio. Diversamente dalla discriminazione diretta, quella indiretta può essere giustificata se la finalità è legittima e i mezzi per realizzarla sono appropriati e necessari.
Sul punto a sentenza Test-Achats non si è pronunciata. Tuttavia alcune
utili considerazioni si trovano nelle Guidelines.
Si precisa che l’uso di fattori di rischio che possono essere legati al genere resta pertanto possibile, purché si tratti di fattori di rischio in senso proprio. Così nelle Guidelines si specifica che, ad esempio, la differenza di premio basata sulla cilindrata del motore di un’automobile nel settore delle assicurazioni auto dovrebbe rimanere possibile, anche se da un punto di vista
statistico gli uomini guidano auto con motori di più grossa cilindrata (15).
Ancora, una storia familiare di tumore al seno non ha la stessa incidenza
sul rischio salute di un uomo e di una donna (e la valutazione di tale incidenza richiede di sapere se la persona è una donna o un uomo).
È opportuno aggiungere che a giudizio della Commissione, alle condizioni specificate all’art. 4, par. 5, della direttiva, resti possibile per gli assicuratori offrire prodotti assicurativi (o opzioni nei contratti) specificamente adattati al genere al fine di prendere in considerazione condizioni che riguardano in via esclusiva o primaria il genere maschile o quello femminile, come, per esempio, il tumore alla prostata, il tumore al seno o all’utero.
(14) Si veda per tutti S. LANDINI, Modelli attuariali nei processi cognitivi giuridici.
Alcuni spunti di riflessione, in questa Rivista, 2011, I, 425 ss. con convincenti
considerazioni in tema di modelli attuariali di genere e diritto antidiscriminatorio.
(15) Un elenco di esempi ulteriori di differenziazioni legittime è contenuto all’allegato
3 delle Guidelines.
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5. VALUTAZIONI
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CONCLUSIVE IN PUNTO DI DIRITTO E DI CARATTERE TECNICO-
ASSICURATIVO
Come valutazione conclusiva in punto di stretto diritto, rimane da dire
che sebbene ad avviso dello scrivente sarebbe stata preferibile l’adozione
di una direttiva che modificasse la direttiva 113/2004 e ciò per una maggiore certezza ed anche per meglio prevenire la sempre possibile litigiosità (16), il combinato disposto normativa nazionale e Guidelines fornisce
una garanzia di tenuta dell’impianto complessivo, posto che, da un lato, il
legislatore nazionale è obbligato a dare attuazione alla sentenza Test-Achats
chiarita dalle Guidelines, e, dall’altro, il giudice e le autorità amministrative italiane sono tenute, secondo i principî generali, ad interpretare il diritto nazionale in senso conforme alle Guidelines (17), le quali ultime, oltre
tutto, pur non avendo carattere normativo, hanno comunque un grande rilievo dato che creano nelle imprese e nei contraenti una legittima aspettativa garantita dal diritto europeo (18).
Infine, mi siano consentite alcune considerazioni di carattere più propriamente tecnico-assicurativo inerenti al rilevante impatto che la pronuncia inevitabilmente avrà sul mercato assicurativo. Dai dati resi disponibili dall’ISVAP risulta che, con riferimento ai soli rami interessati alla
deroga, nel 2009 il 16,3% del totale dei premi contabilizzati ha riguardato prodotti differenziati in base al fattore sesso; mentre, guardando le prestazioni offerte, risulta che l’84,4% delle imprese che esercitano i rami
r.c. auto e l’82,3% di quelle che operano nel ramo vita offrono prodotti
differenziati (19).
(16) Il punto assume particolare rilevanza in merito all’inapplicabilità del c.d.
regime unisex ai contratti in essere. Un intervento normativo di diritto europeo che
avesse sancito la soluzione accolta dalle Guidelines sarebbe stato per ovvii motivi
auspicabile.
(17) Corte di Giustizia, sentenza 13 dicembre 1989, causa 322/88 Grimaldi,
Raccolta p. 4407.
(18) Corte di Giustizia, sentenza 24 marzo 1993, C-313/90 CIRFS, Raccolta,
I-1125.
(19) Cfr. I. RIVA, Nota redazionale a Corte di Giustizia dell’Unione europea, 1°
marzo 2011, in questa Rivista, 2011, II, 166. In linea generale sono interessate tutte e
sole le forme assicurative che coprono l’individuo e la sua responsabilità personale,
ad esempio, tariffe e prodotti auto (r.c. auto ed alcune tipologie di garanzie accessorie
CVT quali ad esempio I/F e Kasko), tariffe infortuni, vita. Si pensi, inoltre, che con
riferimento all’assicurazione r.c. auto la “tariffa femmina” presenta un 11% di riduzione
di prezzo rispetto alla “tariffa maschio”.
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In una prospettiva tecnico-attuariale, l’applicazione dell’art. 5 della direttiva a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia, ordinando di praticare un prezzo identico ad uomini e donne e ciò, sin noti bene, indipendentemente dal diverso profilo di rischio oggettivamente rilevato, determina una peggiore qualità nella valutazione del rischio, ed inoltre svilisce il
buon funzionamento del mercato con distorsioni a livello di prezzi praticati che non rispecchieranno più l’effettivo rischio individuale. La sopravvenuta necessità di imporre delle tariffe indifferenziate in ragione del sesso
porterà, infatti, alla determinazione di premi medi basati su un’ipotesi statistica di mix donne/uomini di popolazione assicurata.
Ciò potrebbe, pertanto, generare un aumento diffuso dei premi, che
dovranno inglobare anche un “caricamento di sicurezza” per tener conto del rischio che la composizione della popolazione non sia quella delineata (20).
In ogni caso l’applicazione della norma comporterà per tutti i prodotti
in corso di collocamento la revisione di premi e prestazioni, con costi notevoli per l’adeguamento dei sistemi informatici e di gestione che comporteranno per le compagnie assicurative la necessità di aumentare i premi.
In questa prospettiva sembra paradossale l’avvertimento proveniente
dalla Commissaria Viviane Reding di scrutinio attento, in una prospettiva
antitrust, di eventuali aumenti generalizzati dei premi. Si potrebbe piuttosto ricordare che la Commissione è stata tra le fautrici dell’eccezione introdotta al par. 2 dell’art. 5 della direttiva poi dichiarata invalida dalla Corte e si potrebbe concludere con un semplice “It’s economics, Baby!”.
(20) È inoltre prevedibile una minore richiesta della popolazione assicurata
svantaggiata dal suddetto aumento delle tariffe (ad esempio le donne nelle assicurazioni
in caso di morte o gli uomini in quelle di rendita vitalizia) con particolare riferimento
ai prodotti assicurativi del ramo vita. Infine, l’aumento del premio per i motivi di cui
al testo porterebbe inoltre uno sbilanciamento nella composizione della popolazione
assicurata verso il genere non penalizzato dalla tariffa unisex e ciò renderebbe necessarie
frequenti revisioni del tasso medio di premio.
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