versione in pdf

Transcript

versione in pdf
15 settembre 2016 delle ore 03:09
"Network"
In inglese significa "rete", e spesso ci dimentichiamo come milioni di pesci vi trovino la morte. Se
si abbrevia il termine a "net", infatti, si sconfina nell'italiano “trappola”. E ora tutta l'Italia ne
parla, grazie ad altri due termini che fanno sempre scena: "porno" e "morte"
Ci sarebbero decine di implicazioni psicologiche,
sociologiche e anche filosofiche forse, nel caso
del suicidio di Tiziana Cantone. Una notizia che
ha fatto il giro del Paese in queste ultime ore, e
che ruota intorno ad alcuni cardini principali:
un video porno amatoriale, la sua messa in rete,
la sua diffusione e poi la vergogna, e il suicidio
della protagonista. Una storia nera contemporanea,
dove però Eros e Thanatos non vanno a
braccetto; sono avvinghiati, invece, i
comportamenti psicoticamente pruriginosi di
un'umanità che - vista così - è puramente allo
sfascio. Pochi giorni il regista Tomas Koolhaas,
figlio del celebre architetto Rem, nella sua
intervista a Exibart ha dichiarato: "Ho
incontrato tantissime persone che hanno avuto
successo in ogni campo e in ogni luogo, e
nessuno di loro passa il proprio tempo a
prendere a schiaffi sui social network gente che
neanche conosce". Figuriamoci allora chi è
questa gente che non solo ha fatto male a una
ragazza viva, sfottendola e schernendola perché
è così che si fa con le "puttane”, ma si concede
il lusso di canzonarla - per usare un eufemismo
- anche da morta. Che uno decida cosa fare del
proprio corpo, come usarlo, e dove mostrarlo,
è affar suo. Che sia "postato" con l'inganno, no.
Su questo non ci piove. Tiziana l'ha messo da
se, per dare una lezione al fidanzato? Allora chi
è causa del suo mal pianga se stesso, si pensa.
Ma sappiamo come vanno queste cose: la
pubblica piazza è stata sostituita dalla pubblica
rete; sulla rete i "valori” - di qualunque genere
siano - sono amplificati, perché sono amplificati
i commenti, le condivisioni, perché volendo le
notizie arrivano lontano, specialmente quando
si percepiscono le "difficoltà" della vittima.
Chissà, se forse Tiziana Cantone se ne fosse
sbattuta forse tutto sarebbe rientrato nei ranghi.
Magari una macchia sarebbe rimasta,
certamente nella rete da qualche parte il suo
amplesso e la sua voce si sarebbero incagliati
in qualche oscurità, ma forse il suo corpo e la
sua psiche si sarebbero salvati. E quei 20mila
euro di risarcimento per eliminare il file non
sarebbero stati, forse, la condanna definitiva.
Nella pesca a strascico della monnezza, della
volgarità, di migliaia di cretini che altro non
sanno fare che accanirsi con un'illustre
sconosciuta, compaesana o meno, forse vince
chi ha i denti così forti da strapparla via questa
rete, e scappare dal fondo. Quando più in fondo
non si può andare. Ora il garante della Privacy
Antonello Soro invoca "Educazione del web",
come se prima non ci fossero stati episodi, come
se la rete - da quando è nata - fosse un posto
sicuro. Tiziana forse sperava nel "diritto
d'oblio", termine osceno per identificare la
rimozione (invana) dal web di ogni traccia di
se. Il grande mare invece dimostra, come in
natura, di restituire sempre tutto. Il diritto
d'oblio dobbiamo chiederlo solo a noi stessi,
sperando che gli stolti (e come non ricordare il
criticatissimo Umberto Eco, nella sua celebre
arringa contro gli imbecilli telematici) possano
trovare di meglio da fare. (MB)
pagina 1