Internazionale.n.945.20

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Internazionale.n.945.20
MARCOLIN - INFO 800.500.000
20/26 aprile 2012 • Numero 945 • Anno 19
“E poi che senso ha un bar se non ci puoi fumare?”
Sommario
ANDrew hussey, pAgiNA
iN copertiNA
La settimana
Contro Sarkozy
Opachi
AfricA
e MeDio orieNte
24 Sudan-Sud Sudan
portfolio
AMeriche
Bbc
Embassy Newsweekly
ritrAtti
ecoNoMiA
e lAvoro
Q Magazine
108 Un mondo
viAggi
Página 12
cultura
grAphic
jourNAlisM
84
alla crisi
è il suicidio
The New York Times
78 Parigi
società
81 Allergia alla realtà
40 Gioco solo
altri due minuti
The New York Times
Magazine
ciNA
48 Le tigri cinesi
Newsweek
bielorussiA
54 Dittatore al verde
Le Monde
MeDio orieNte
6o La lunga marcia
dei Fratelli
The Economist
di tassi truccati
The Economist
74 Il sentiero del lago
visti DAgli Altri
32 Se la soluzione
di Larry Page
Bloomberg
Businessweek
70 Raed Arafat
AsiA e pAcifico
28 Afghanistan
106 L’anno
di un’altra Europa
Danilo De Marco
Le Monde
26 Argentina
tecNologiA
64 I partigiani
Cinema, libri,
musica, video, arte
Chantal Montellier
Le opinioni
ciNeMA
Vedomosti
pop
96 Camminare
99
è politica
Will Self
Palestina
a Las Vegas
Alma Khasawnih
25
Amira Hass
27
Jason Horowitz
36
Manuel Castells
38
Will Hutton
86
Gofredo Foi
88
Giuliano Milani
90
Pier Andrea Canei
92
Christian Caujolle
100 Tullio De Mauro
103 Anahad O’Connor
scieNzA
109 Tito Boeri
102 Ogni bambino
nasce con i suoi
batteri
New Scientist
le rubriche
12
Posta
15
Editoriali
112
Strisce
113
L’oroscopo
114
L’ultima
le principali fonti di questo numero
Newsweek Insieme a Time, è uno dei più importanti newsmagazine statunitensi. È stato fondato nel 1933. L’articolo a pagina 48 è uscito il 12 marzo 2012
con il titolo Tigress tycoons. The New York Times Magazine È il magazine della domenica del New York Times. Il primo numero risale al 1896. L’articolo
a pagina 16 è uscito il 15 aprile 2012 con il titolo The soft middle of François Hollande. L’articolo a pagina 40 è uscito l’8 aprile 2012 con il titolo Just one more
game… Q Magazine Fondato nel 2007, è uno dei principali settimanali d’attualità romeni (qmagazine.ro). L’articolo a pagina 70 è uscito il 15 gennaio 2012
con il titolo Raed Arafat: “Mi s-a spus de multe ori ‘a venit şi arabul ăsta să ne înveţe medicină’”. Vedomosti È un quotidiano economico russo.
L’articolo a pagina 81 è uscito il 22 marzo 2012 con il titolo Rossijanie ne khotiat videt realnost na ekrane. Internazionale pubblica in esclusiva
per l’Italia gli articoli dell’Economist.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
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internazionale.it/sommario
“In giro per il mondo ci sono forze molto
potenti schierate contro il web aperto. Fa
paura”. Sergey Brin è nato a Mosca ma vive
negli Stati Uniti da quando aveva sei anni: i
genitori lasciarono l’Unione Sovietica per
via del clima di antisemitismo che si
respirava in quel periodo. Ha fondato
Google con Larry Page quando aveva 25
anni. Oggi ne ha 38 ed è miliardario. In
un’intervista al Guardian, Brin identiica i
tre principali nemici di internet. I paesi
come la Cina, l’Arabia Saudita o l’Iran, che
fanno di tutto per censurare la rete e
impedire l’accesso al web. L’industria dello
spettacolo, che cerca di far approvare delle
leggi per bloccare i siti pirata. E inine
Facebook e la Apple, che stanno
recintando i giardini digitali attraverso un
controllo molto stretto sul software e sui
contenuti che possono circolare all’interno
delle loro piattaforme. Naturalmente
quest’ultima accusa insospettisce molti.
Facebook sta per andare in borsa e Brin
sembra voler infastidire un pericoloso
concorrente. Anche perché, scrive Emily
Bell sempre sul Guardian, Google non è
mai stata famosa per essere un’azienda
particolarmente aperta o trasparente. E se
c’è una minaccia al web aperto, viene
proprio da una piccola élite di imprenditori
ricchissimi, quasi tutti maschi e
ferocemente competitivi, che prendono
decisioni poco chiare e creano sistemi
opachi con le loro società da cui tutti noi
dipendiamo sempre di più.
Giovanni De Mauro
[email protected]
François Hollande alla conquista di una Francia divisa e in crisi.
Gli articoli di The New York Times Magazine (p. 16), The
Observer (p. 18), Jacques Attali (p. 19) e Libération (p. 22).
Foto di Stéphane Lavoué (Pascoandco.com).
Immagini
Per il Grande leader
Pyongyang, Corea del Nord
16 aprile 2012
Un concerto a Pyongyang per festeggiare i cent’anni dalla nascita di Kim Ilsung (1912-1994), padre della nazione.
Alle celebrazioni del 15 aprile il nuovo
presidente Kim Jong-un, nipote di Ilsung, ha tenuto il suo primo discorso
pubblico, in cui ha afermato che la Corea del Nord è “in grado di battere tutti i
suoi nemici”. Con 1,2 milioni di soldati,
l’esercito nordcoreano è il quarto più
grande del mondo. Gran parte delle sue
armi, però, sono obsolete. Il 13 aprile il
lancio di un razzo per portare in orbita
un satellite è stato un iasco. Foto di David Guttenfelder (Ap/Lapresse)
Immagini
In pensione
Washington, Stati Uniti
17 aprile 2012
Un aereo della Nasa trasporta lo shuttle
Discovery verso la sua nuova dimora: lo
Steven F. Udvar-Hazy center di Chantilly, in Virginia, un museo aerospaziale
non lontano dall’aeroporto internazionale Dulles di Washington. Il Discovery
è la navetta spaziale della Nasa rimasta
più a lungo in servizio, realizzando 39
missioni. Il primo volo risale al 30 agosto 1984, mentre l’ultima missione si è
conclusa il 9 marzo 2011. Foto Nasa/Ap/
Lapresse
Immagini
Il peso del ieno
Dargai, Pakistan
13 aprile 2012
Un camion ribaltato per un carico eccessivo a 160 chilometri da Islamabad, la
capitale pachistana. Trasportava ieno.
Secondo l’ultimo rapporto del Pakistan
institute of development economics,
l’economia del paese continua a trovarsi
in diicoltà. La crescita è debole e i principali indicatori macroeconomici hanno
valori preoccupanti. Secondo il rapporto, anche se l’agricoltura si sta riprendendo dai danni delle alluvioni, nell’anno iscale 2012 l’economia non raggiungerà il target del 4,2 per cento di crescita. Foto di Mian Khursheed (Reuters/
Contrasto)
[email protected]
I fantasmi del capitale
u Perché questo articolo pedante (Arundhati Roy, 6 aprile)? Poche e non documentate
informazioni, opinioni immotivate, non poche contraddizioni… Ne esco in stato di confusione. Mi è venuta voglia di
leggere qualcosa di approfondito e ben argomentato sul tema.
Claudio Vitali
La resa di Mario Monti
u Sono irritato dall’articolo
sulla presunta resa di Mario
Monti (13 aprile) riguardo alle
modiiche all’articolo 18 e dalle propagandistiche conclusioni del Wall Street Journal che
accusa i “potenti sindacati” di
trascinare l’Italia sull’orlo del
baratro. Mi pare di ricordare
che l’articolo 1 della nostra costituzione stabilisce che “l’Italia è una Repubblica fondata
sul lavoro”. La scelta di Monti
di non consentire il licenziamento per “motivi economici”
tutela almeno in parte il lavoratore dipendente, già schiacciato dalla crisi e dalla pressione iscale. Quella che si indica
come una “modesta riforma”
darebbe il via libera a contrattazioni sempre più vantaggiose per chi, con l’alibi della crisi,
specula sulla risorsa umana.
Carlo Esposito
Errata corrige
u Nell’articolo “L’Italia punta
sul biologico” (6 aprile), per
colpa di una virgoletta nel posto sbagliato, la frase “Oggi invece si tratta perlopiù di burocrati, formati dagli stessi consorzi di veriica che poi li mandano a controllare le aziende
agricole. Burocrati che nel
peggiore dei casi falsiicano
documenti per ottenere un
proitto” sembra di Alessandro
Triantafyllidis mentre invece è
della giornalista. Ci scusiamo
con Triantafyllidis e con Birgit
Schönau. L’Aiab ci tiene anche
a sottolineare che “la proposta
fatta al ministero per le politiche agricole alimentari e forestali per la formazione dei tecnici certiicatori non è l’introduzione di un esame di stato,
bensì l’introduzione di corsi di
formazione e aggiornamento
accreditati dal Mipaaf. Inine,
rispetto alla questione della
terra, il presidente dell’Aiab
Alessandro Triantafyllidis non
ha fatto riferimento alle speculazioni maiose, ma ha evidenziato le diicoltà di accesso alla terra legate al costo dei terreni e alle diicoltà di accesso
al credito”.
u Nel numero del 13 aprile, a
pagina 24, le vittime della
guerra in Bosnia sono state
centomila, non diecimila. A
pagina 30, Renzo Bossi è stato
eletto con circa 12mila preferenze, non con una lista bloccata. Nella cartina a pagina 75,
il iume Giordano sfocia nel
mar Morto, non prosegue a
sud. Sempre a pagina 75, la frase corretta è: “L’obiettivo del
governo giordano è avere programmi propri”. A pagina 95, il
nome corretto dell’artista israeliana è Michal Rovner.
gamaschi non sono tutti come
lei, ma immagino che la provincia non dia grandi possibilità di lavoro stimolante. Tra
Bergamo e il resto del mondo
però c’è una stazione intermedia: Milano. La locomotiva
dell’economia italiana di lavori stimolanti ne ha da ofrire, e
tuo iglio abiterebbe a un’ora
di treno dal padre. Forse Milano è la stazione intermedia tra
la tua e la sua felicità.
Claudio Rossi Marcelli è un
giornalista di Internazionale.
Risponde all’indirizzo
[email protected]
Giulia Zoli è una giornalista
di Internazionale. L’email
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La stazione intermedia
Con i igli si perde la libertà di
non avere radici. Anche se non
avevi mai pensato di fare il giro del mondo, improvvisamente ti secca di non poterlo
più fare. Nel mio caso, per
esempio, accanto all’immensa
gioia di diventare padre sentivo una vocina che mi diceva:
12
“Puoi dire addio a quel progetto di mollare tutto e farti monaco zen a Kamakura”. E, credimi, io quel progetto non
l’avevo mai fatto! Quando poi i
genitori non sono una coppia,
le radici che ti ancorano al terreno non sono neanche le tue,
ma quelle di tuo iglio. Non conosco Bergamo. Me ne sono
tenuto lontano per anni, da
quando un’amica di Bergamo
Alta mi disse che “quelli di
Bergamo Bassa son dei terroni” (io, da bravo romano, m’illudevo che la linea del Mezzogiorno passasse a sud di Roma). Poi ho scoperto che i ber-
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Lettura
a ostacoli
u Anche se è meno usata rispetto ad altri segni di punteggiatura, per esempio la virgola,
la lineetta – da non confondersi con il trattino che serve a
unire due parole – è uno dei
pochi segni di punteggiatura
che sulla pagina salta all’occhio – basta leggere queste righe per accorgersene. In una
frase, le lineette delimitano
delle interruzioni improvvise –
inserzioni parentetiche direbbero i grammatici – che aprono
la strada ad altri pensieri o ad
altre voci. Ma si prestano anche a molti altri usi – forse
troppi. Nello scorso numero
John Lanchester – che oltre a
essere un giornalista è uno
scrittore – e si vede – le usa
spesso, sia per interrompere
un pensiero con un altro pensiero – tipico delle persone curiose e brillanti come lui – sia
per spiegare o aggiungere informazioni. Certi scrittori usano le lineette per fare capolino
– a volte in modo chiaramente
pretestuoso, no? – nella narrazione. Gli americani le usano
spesso per enfatizzare un’affermazione – qualsiasi afermazione. C’è chi le usa al posto
di un altro segno di punteggiatura – i due punti. Ma tante lineette possono essere il sintomo di una frase troppo lunga o
mal costruita. Internazionale
usa le lineette con parsimonia
perché – come avrete notato –
troppe interruzioni danno fastidio.
Dear daddy
Vivo in provincia di Bergamo e vorrei partire in cerca
di un lavoro stimolante.
Non voglio allontanare mio
iglio dal mio ex compagno,
ma se accetto questa mediocrità morirò lentamente. Che fare? –Maria
Le correzioni
Editoriali
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto
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Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Comitato di direzione Giovanna Chioini (copy
editor), Stefania Mascetti (Internazionale.it),
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In redazione Carlo Ciurlo (viaggi), Camilla
Desideri (America Latina), Simon Dunaway
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oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo
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dalla sigla alla ine degli articoli. Marina
Astrologo, Matteo Colombo, Stefania De Franco,
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di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter
Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca
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18 aprile 2012
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L’esempio della Norvegia
The Independent, Gran Bretagna
Il 16 aprile a Oslo è cominciato il processo per la
più grave strage della storia recente della Norvegia, e l’aspetto che più ha colpito tutti è la calma.
Una calma decisamente in contrasto con la variegata gamma di emozioni manifestate dall’imputato, Anders Behring Breivik.
L’assassino, che non ha mai negato di essere
responsabile della morte di 77 persone, è rimasto seduto impassibile mentre si sentivano le
grida delle sue vittime. Poi ha perino fatto un
sorrisetto compiaciuto quando sono state mostrate le immagini dei danni prodotti dalla bomba che aveva messo a Oslo. E inine si è commosso quando è stato proiettato in aula il suo grotte-
sco video di propaganda.
Devono ancora succedere molte cose, ma le
prime giornate del processo hanno messo in evidenza le virtù di una civiltà democratica di fronte al terrorismo. Poco dopo il massacro il primo
ministro norvegese aveva preso un impegno solenne: il paese non avrebbe risposto con la vendetta, ma con più democrazia, più apertura, più
umanità. “Risponderemo all’odio con l’amore”,
aveva dichiarato. Il 16 aprile abbiamo visto cosa
significa tutto questo: moderazione, misura,
sensibilità, tolleranza e un processo giusto e corretto.
È una lezione per il resto del mondo. u ma
Banca mondiale poco globale
Le Monde, Francia
Barack Obama avrebbe fatto un gesto molto coraggioso affidando la presidenza della Banca
mondiale al candidato più competente tra quelli
in competizione: la ministra nigeriana delle inanze ed ex numero due della banca, Ngozi
Okonjo-Iweala. Ma se il presidente degli Stati
Uniti, in piena campagna per la rielezione, avesse
rotto con la regola non scritta che dal 1944 attribuisce questo posto a uno statunitense (e quello
di direttore generale del Fondo monetario internazionale a un europeo), i suoi avversari repubblicani lo avrebbero subito accusato di aver indebolito Washington sulla scena internazionale.
Così Obama non ha tenuto conto della promessa fatta dal consiglio di amministrazione della banca di un’elezione fondata “sul merito”. È
vero, il suo candidato, il dottor Jim Yong Kim, è
stato eletto a grande maggioranza il 16 aprile (con
la complicità degli europei, dei giapponesi, dei
coreani e dei canadesi). Ma nonostante la “trasparenza” del processo elettorale voluta dai 187
stati membri della banca, è ancora una volta la
nazionalità – e non la competenza – che ha determinato la presidenza della Banca mondiale. Ed è
ancora uno statunitense che la dirigerà per i prossimi cinque anni.
Tuttavia questi giochi di potere delle potenze
occidentali non dureranno a lungo. Per la prima
volta infatti il candidato ha dovuto fare i conti con
una concorrenza forte e con dei candidati qualiicati – la nigeriana Ngozi Okonjo e l’ex ministro
delle inanze colombiane, José Antonio Ocampo,
che alla ine si è ritirato per favorire la candidata
africana. Per la prima volta la Casa Bianca è stata
obbligata a impegnarsi in trattative serrate e a
cercare un candidato che non fosse né bianco né
banchiere né politico né di origini statunitensi.
Un fatto signiicativo è che, anche se nessuno dei
tre candidati uiciali è nato negli Stati Uniti, tutti
e tre hanno studiato nelle università americane:
Ocampo a Yale, Ngozi Okonjo e Kim a Harvard.
Insomma, si tratta di candidati seri e preparati.
In altre parole gli Stati Uniti, quando non gli
conviene, non si impegnano veramente nella globalizzazione. Ma non sono gli unici responsabili
di questi accordi e di queste ipocrisie, che frenano
il progresso verso un governo mondiale libero dagli egoismi degli stati. Anche i paesi emergenti
hanno la loro parte di responsabilità. Questi governi, che non perdono mai occasione di gridare
allo scandalo per il condominio occidentale sulle
due istituzioni gemelle di Bretton Woods (Banca
mondiale e Fondo monetario), non sono stati capaci di mettersi d’accordo su un candidato comune né all’Fmi nel 2011 né alla Banca mondiale
quest’anno. Diicile in queste condizioni sostenere delle soluzioni alternative rispetto a quelle
dei paesi occidentali sulle questioni monetarie e
sui diritti dell’uomo.
La speranza è che il nuovo presidente della
Banca mondiale, Jim Yong Kim, si ricordi di essere nato in Corea del Sud, di essere cresciuto in
Nordamerica, di aver lavorato in Perù e di essere
abbastanza cittadino del mondo per non dover
seguire gli ordini del ministero del tesoro statunitense in materia di sviluppo. u adr
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
15
Hollande
contro
Sarkozy
LIoNEL CHARRIER (MYoP/LUzPHoto)
In copertina
Steven Erlanger, The New York Times
Magazine, Stati Uniti
Ha studiato nelle migliori università ed è molto
diverso dal presidente uscente. Ma perino nel suo
partito è considerato poco autorevole. Ecco perché il
candidato socialista è il favorito nel voto francese
onostante la dieta preelettorale dell’anno
scorso – meno vino, meno formaggi e soprattutto meno cioccolata –
François Hollande, il
leader politico socialista che potrebbe diventare il prossimo presidente francese, ha
ancora la pelle del viso laccida e sembra
piuttosto trasandato nei suoi abiti grigi. Lo
chiamano “Flanby”, dal nome della marca
di un budino al caramello. Ma è solo uno dei
soprannomi ofensivi aibbiati a questo allegro signore che, ino a poco tempo fa, era
considerato un politico di secondo piano.
Lo hanno chiamato anche “marshmallow”
e “mister barzelletta”, e l’anno scorso Martine Aubry, segretario del Partito socialista
francese, l’ha deinito un couille molle, rammollito. Dopo che la sua ex compagna e madre dei suoi quattro igli, Ségolène Royal, è
diventata ministro e poi candidato socialista alle presidenziali del 2007, in molti hanno cominciato a chiamarlo “signor Royal”.
Inoltre Hollande non era la prima scelta
N
16
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
del partito per la presidenza: prima di lui
c’era l’ex direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn,
che è uscito di scena dopo essere stato accusato di aver stuprato una cameriera a
New York (le accuse poi sono cadute). Solo
allora Hollande – che a 57 anni non è mai
stato ministro e che, dal 1997 al 2008, è stato segretario di un partito socialista in grave
diicoltà – è sembrato un candidato credibile.
A dire il vero Hollande non è ancora un
candidato del tutto credibile, soprattutto in
questi tempi di crisi economica, paure legate all’islam e all’immigrazione e dubbi sul
ruolo della Francia nel mondo. Una ragione
del suo successo si basa senza dubbio sul
fatto che molti francesi si sono stancati di
Sarkozy, dei suoi amici impresentabili e dei
suoi comportamenti immaturi. Ma un’altra
ragione sta nel fatto che Hollande rappresenta una visione più tradizionale, e per
molti più rassicurante, di quello che dovrebbe essere un politico francese.
Hollande ripete spesso di essere un uo-
mo normale. Sarkozy, iglio di immigrati
che non rappresenta esattamente gli standard francesi, lo ha preso in giro per questo.
Il presidente si esprime in modo diretto, ha
spinto per tagliare le tasse ai ricchi e alle
grandi imprese ed è considerato un “americano” sia in politica sia per i suoi modi di
fare. Al contrario, Hollande ricorda con orgoglio le sconitte del passato per dimostrare di essere oggi un uomo migliore.
Con la sua modestia e la sua antipatia
per i ricchi, Hollande rappresenta anche un
ritorno alla politica francese tradizionale.
Ha preparato la sua carriera politica nel modo più francese possibile. Si è laureato in
una delle migliori università del paese, le
cosiddette grandes écoles. L’élite francese si
forma in queste istituzioni più di quanto
succeda con la Ivy League negli Stati Uniti.
E gli ex studenti delle grandes écoles non si
perdono di vista. All’École nationale d’administration, con Hollande c’erano anche il
diplomatico Jean-Maurice Ripert, l’ex primo ministro Dominique de Villepin, il presidente di una grande compagnia di assicu-
François Hollande a Vincennes, il 15 aprile 2012
Da sapere
u Il 22 aprile in Francia si svolgerà il primo
turno delle elezioni presidenziali. Il ballottaggio
è previsto per il 6 maggio. Secondo il sondaggio
realizzato dalla società Csa e pubblicato il 18
aprile da Libération, i favoriti sono il candidato
del Partito socialista François Hollande e il
presidente uscente Nicolas Sarkozy.
Primo turno, intenzioni di voto, %
François Hollande
29,0
Partito socialista
Nicolas Sarkozy
24,0
Ump
Marine Le Pen
17,0
Front national
Jean-Luc Mélenchon
15,0
Front de gauche
François Bayrou
11,0
MoDem
Eva Joly
2,0
Verdi
Nicolas Dupont-Aignan
1,5
Debout la République
Philippe Poutou
1,0
Npa, anticapitalista
Nathalie Arthaud
0,5
Lutte ouvrière
Jacques Cheminade
0,5
Solidarité & Progrès
Secondo turno
58
François Hollande
Nicolas Sarkozy
razioni, il capo della borsa francese, diversi
ex ministri e Ségolène Royal. Sarkozy, invece, non è riuscito a laurearsi in una delle
grandes écoles, e si dice che ancora oggi sia
invidioso nei confronti di chi ce l’ha fatta.
Da ragazzo Hollande si è dissociato dalle idee di estrema destra del padre, ma non
si è mai deinito un ribelle. Da giovane, la
sua più grande avventura è stata viaggiare
con gli amici per l’Europa su un vecchio furgoncino Peugeot J7, ascoltando canzoni dei
Beatles e di Jimi Hendrix. Nel 1974 Hollande ha ottenuto una borsa di studio per trascorrere l’estate negli Stati Uniti, dove ha
studiato il modello del fast food americano,
in particolare McDonald’s e Kentucky Fried
Chicken. “Avrei potuto fare una fortuna con
i cheeseburger, ma alla ine ho scelto la politica”, mi ha detto una volta a Marsiglia.
Secondo l’analista politico Pascal Perrinau, oggi la sinistra francese non rappresenta più del 42 per cento degli elettori.
Quindi Hollande ha bisogno dei voti del
centro e perino dell’estrema destra per vincere. All’inizio della campagna elettorale
aveva un vantaggio a due cifre sul presidente uscente. Poi Sarkozy ha cominciato a rimontare. Per il ballottaggio, previsto per il
6 maggio, Hollande è avanti di 7 punti, ma
il margine si sta assottigliando.
Tutto cambia
La strategia di Sarkozy è molto simile a
quella di George W. Bush nel 2004. Il presidente vuole evitare di far passare le elezioni
presidenziali di quest’anno come un referendum sul suo mandato. Al contrario, vuole ridurre il voto a una scelta tra un leader
deciso, capace di guidare la nazione fuori
dal tunnel, e uno che viene paragonato a un
budino caramellato. Sarkozy ha provato a
spostare il dibattito dall’economia – che in
genere favorisce Hollande, contrario alle
misure di austerità – ad altri temi scottanti
come crimine, terrorismo e islam. Temi che
uniscono la destra e destano preoccupazione nella classe media, soprattutto dopo la
strage di Tolosa del 19 marzo, che Sarkozy
ha paragonato all’11 settembre.
Durante la nostra intervista, Hollande
42
ha criticato l’atteggiamento di Sarkozy. “La
paura lo aiuta”, ha detto, “perché alle persone impaurite non piace il cambiamento. Ma
sa rassicurare queste persone? Questo è il
problema”.
Un consigliere di Sarkozy mi ha detto
che secondo lui il presidente in carica perderà comunque le elezioni. Ma allo stesso
tempo crede che Hollande non riesca a
emozionare gli elettori. Perrinau è d’accordo: due terzi dei francesi che voteranno per
Hollande al ballottaggio dicono che il loro è
soprattutto un voto contro Sarkozy. E molti
francesi si chiedono se Hollande, che è stato protagonista di una campagna elettorale
sottotono, possa essere un leader abbastanza forte.
Ma tutto questo non turba più di tanto il
candidato socialista, che tempo fa ha ricordato il grande scetticismo che c’era all’inizio nei confronti di François Mitterrand, il
primo e unico presidente socialista francese. “Capita tutto in un istante: vieni eletto,
un attimo dopo incarni la Francia. E tutto
cambia”. u ag
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
17
In copertina
Andrew Hussey, The Observer, Gran Bretagna
La distanza tra centro e
periferia del paese non è mai
stata così grande. Viaggio nella
Francia profonda alla vigilia
del voto del 22 aprile
no dei grandi paradossi
della Francia è che i suoi
abitanti sono convinti di
essere la nazione più civilizzata del mondo e al
tempo stesso hanno improvvisi e laceranti crolli di autostima. Hanno perino un nome per questa sindrome: la
chiamano malaise français, malessere francese. I sintomi, sempre gli stessi, compaiono quando si avvicina un’elezione importante: valanghe di dibattiti televisivi e articoli sul malcontento generale del paese e
accorate considerazioni sul posto che la
Francia occupa nel mondo. I politici dicono
la loro, ma nessuno gli crede. È andata così
anche quest’anno. Il sentimento dominante inora è stata la noia. Eppure non si può
dire che la politica sia diventata meno interessante: negli ultimi mesi il caso StraussKahn, l’intervento in Libia e l’ondata di suicidi scatenata dalla disoccupazione hanno
fatto discutere i francesi. Più di recente, la
strage di Montauban e Tolosa (un francese
di origine algerina ha ucciso prima tre soldati di origine nordafricana poi tre bambini
e un insegnante in una scuola ebraica) ha
profondamente scosso il paese, risvegliando antichi ricordi legati all’antisemitismo e
al passato coloniale.
In queste elezioni sono in gioco alcune
questioni fondamentali. L’economia francese rischia di sprofondare nella crisi. La
soluzione proposta da Sarkozy è il protezionismo unito alla lotta contro l’evasione iscale, mentre il principale candidato
U
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
dell’opposizione, François Hollande, ha
promesso un rafforzamento dello stato,
l’abbassamento dell’età pensionabile e una
tassazione al 75 per cento sui redditi sopra il
milione di euro. I francesi non sembrano
convinti da nessuno dei due. Nel frattempo
i fatti di Tolosa e Montauban hanno riportato in primo piano la questione della sicurezza e dell’islamismo. L’estrema sinistra e
l’estrema destra lanciano appelli rispettivamente a raforzare il centralismo dello stato
e a inasprire la lotta all’immigrazione, ma la
verità è che, alla vigilia del voto, nessun politico francese sembra avere le idee chiare
su come gestire il paese.
Da alcuni anni la cultura politica francese sta cambiando. Per due secoli la Francia
è stata il paese più centralizzato d’Europa:
amministrazione, inanze e cultura erano
sotto il controllo di Parigi. Da una decina
d’anni il controllo si sta allentando e le province francesi stanno scoprendo una nuova
identità nazionale e internazionale grazie
all’aumento dei collegamenti, ai nuovi aeroporti e ai treni ad alta velocità. I francesi si
saranno pure stufati dei loro leader, ma fuori da Parigi l’energia e la iducia non mancano, e stanno trasformando il paese.
Il cinismo di Marsiglia
Nelle ultime settimane ho cercato di capire
meglio questi cambiamenti viaggiando attraverso la Francia. Ho visitato Marsiglia,
Lione e Lilla, spostandomi da sud a nord,
dal Midi alla Manica, prima di tornare a Parigi, dove vivo. Volevo capire cosa stava succedendo in quelle città, che pensavo di conoscere bene, e quale poteva essere l’impatto di quel cambiamento sulle elezioni.
Volevo scattare un’istantanea della nuova
rivoluzione francese: la rivolta delle province contro la capitale. Ho cominciato da
Marsiglia, che ho raggiunto partendo in
macchina da Parigi e attraversando la Pro-
STéPHANE LAVoué (TENDANCE FLouE/LuzPHoTo)
Lontani
da Parigi
venza. All’inizio della primavera le colline
grigio-azzurre sono sul punto di esplodere
in un tripudio di colori alla Cézanne. Ma il
motivo per cui sono andato a Marsiglia è
che si vanta di essere una città irriducibilmente proletaria e immune all’arroganza,
l’opposto dello snobismo elitario parigino.
Agli occhi sdegnosi dei parigini, i marsigliesi sono dei fannulloni sentimentali con
uno strano accento. I marsigliesi, dal canto
loro, si considerano persone brillanti e irriverenti, la cui missione nella vita è essere
schietti. L’ostilità tra Parigi e Marsiglia non
è solo un aspetto essenziale del calcio francese, è anche un dato politico.
Per questo a Marsiglia è facile trovare
persone convinte che la loro città sia la vera
capitale della Francia o almeno la capitale
L’opinione
Sarkozy e l’arma della paura
Jacques Attali, L’Express, Francia
Il presidente in carica ha
puntato su una strategia già
collaudata. Che però questa
volta non funzionerà
sservando i sondaggi, che si
accumulano senza più con­
traddirsi, l’esito delle elezioni
appare scontato: François Hollande sa­
rà il prossimo presidente francese. Ma
c’è qualcosa che può ancora ribaltare il
pronostico? Innanzitutto i risultati del
primo turno potrebbero essere diversi
da quelli immaginati. È altamente pro­
babile che Marine Le Pen o Jean­Luc
Mélenchon ottengano più voti del pre­
visto. È diicile, invece, che i sondaggi
si sbaglino del tutto, e che possa essere
rimesso in discussione il rapporto di
forze che si è delineato tra destra e sini­
stra a una settimana dal voto, con i so­
cialisti in grande vantaggio, perino più
che nel 1981.
Se questo rapporto di forze fosse di­
verso, se l’intera sinistra non superasse
il 44 per cento al primo turno, i sondag­
gi verrebbero pesantemente screditati
e gli sviluppi successivi sarebbero im­
prevedibili. Se, al contrario, i dati attua­
li corrispondono alla realtà, la vittoria
di François Hollande è inevitabile, a
meno di cambiamenti improvvisi pri­
ma del ballottaggio. Ma un’ipotesi si­
mile è davvero possibile?
Nicolas Sarkozy sembra crederci
ancora. La sua visione della Francia lo
porta a pensare che il modo migliore di
procedere sia riproporre la vecchia
strategia della destra al potere, che in
passato è stata eicace: spaventare gli
elettori e poi ergersi a difensore del pa­
ese contro chi potrebbe mettere in di­
scussione i loro diritti. Per ora questa
tattica sembra non bastare: ammesso
che i francesi considerino il presidente
uscente l’uomo giusto per afrontare le
diicoltà attuali, ci vorrebbe una crisi
O
Parigi , 18 marzo 2012. Sostenitori
di Jean-Luc Mélenchon
della vera Francia fuori dai conini dell’odia­
ta Parigi. “Gli abitanti di Marsiglia sono au­
tentici”, dice Olivier Vinet, un uomo sulla
quarantina che dirige un’azienda di soft­
ware. Questo pomeriggio sta prendendo il
sole seduto nella terrasse di un cafè del Vec­
chio porto. “Puoi non essere d’accordo con
quello che dicono”, aggiunge, “ma puoi star
certo che pensano quello che dicono”. Vinet
si è trasferito qui qualche mese fa, innamo­
randosi subito della città. Ora la preferisce
a Parigi, dove viveva.
Vinet ha colto perfettamente lo spirito
di Marsiglia. È una città piacevole, soprat­
tutto per i motivi che la fanno disprezzare ai
parigini. È spigolosa e scostante, ma ha an­
che un suo stile e una sua trasandata ele­
ganza. Quando ci si avvicina al porto, il ru­
more del traico svanisce lentamente, ce­
dendo il posto al suono delle onde contro il
molo. Marsiglia è una città che guarda a
sud. Dopo di lei comincia l’Africa.
Se per decenni Marsiglia ha suscitato il
timore e il disprezzo di Parigi, è anche per­
ché è considerata una città più “africana”, o
almeno più nordafricana, che europea.
Nell’immaginario parigino era un posto pe­
ricoloso, corrotto e pieno di criminali. Oggi
le autorità locali assicurano che la città è
stata ripulita, in tutti i sensi. È vero: le strade
sono meno sporche di un tempo e il tasso di
criminalità è lo stesso delle altre città fran­
molto più drammatica per sovvertire
gli equilibri di oggi. Ma quale crisi? Un
peggioramento della crisi inanziaria?
Un attacco di Israele all’Iran? Manife­
stazioni violente tra i due turni eletto­
rali, magari in occasione del 1 maggio?
Diicile credere che una di queste
eventualità, tutte plausibili, possa con­
vincere gli elettori a cambiare opinione
e persuaderli che non bisogna voltare
pagina. Ipotesi catastroiche a parte, il
presidente uscente – quali che siano i
suoi meriti – non è riuscito a convincere
la maggioranza dei francesi che lui è in­
sostituibile e che Hollande farà peggio
di lui. Sarkozy non è più considerato il
difensore dei francesi, anche se proprio
su questo ha puntato la sua campagna
elettorale. In questo senso ha già perso.
Cos’altro potrebbe cambiare le ten­
denze attuali? Una manovra difamato­
ria verso il candidato socialista impos­
sibile da smentire in tempo? Con un
candidato limpido come François Hol­
lande è diicile immaginarlo.
Per la destra c’è un’ultima possibili­
tà: una settimana in cui non succeda
nulla. Se il presidente uscente credesse
sul serio nella bontà del suo program­
ma, dovrebbe pensare che l’unico fat­
tore in grado di ribaltare la situazione è
il silenzio: la quiete prima della tempe­
sta. I francesi potrebbero fermarsi a ri­
lettere per capire che non bisogna rin­
negare una politica proprio quando –
dovrebbe sostenere Sarkozy a questo
punto – sta cominciando a tirare fuori il
paese dalla crisi. Scegliendo di puntare
sulla paura, invece, il presidente ha ri­
velato qual è la sua opinione sui france­
si: irrazionali e disinteressati ai pro­
grammi dei candidati. Solo il tempo ci
dirà se Sarkozy ha avuto ragione. u as
Jacques Attali è un professore e saggista
francese. È stato consigliere di François
Mitterrand e tra il 2007 e il 2008 ha collaborato con Sarkozy.
continua a pagina 20 »
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cesi. Marsiglia inoltre ha una grande ambizione: vuole diventare una capitale dell’arte, del calcio e del turismo. La Barcellona
francese.
La prossima tappa di questo progetto è il
2013, quando Marsiglia sarà la capitale europea della cultura. In un bel pomeriggio di
primavera ne ho parlato con Julie Chénot,
che ha la diicile missione di portare la città
a quel traguardo. Negli ultimi tempi è andata spesso ad Algeri e – stranamente – a Liverpool, la mia città di origine. “Come lei
sa, Marsiglia ha un’importante comunità
algerina. Inoltre Algeri è una città splendida, una sorta di specchio di Marsiglia”, spiega Chénot. Stiamo chiacchierando nel suo
uicio nella Maison Diamantée, un magniico ediicio del cinquecento che afaccia sul
Vecchio porto. Se Algeri le è piaciuta tanto,
cos’ha trovato a Liverpool, la discussa capitale europea della cultura del 2008? Chénot
ha un attimo di esitazione. “Non molto”,
ammette. “Marsiglia e Liverpool sono due
città proletarie molto diverse. Il iume Mersey non è il mar Mediterraneo”.
Difficile contraddirla, mi sono detto
mentre passeggiavo al porto, un tempo in
rovina e oggi rimesso a nuovo. Campioni
mondiali di cinismo, i marsigliesi sono scettici su “Marsiglia 2013”. Il Bar des sports,
qui al porto, si sta riempiendo di tifosi per la
partita di campionato di stasera: Olympique Marsiglia contro Evian. La prima cosa
che noto entrando è che fumano tutti. In
Francia il divieto di fumare nei bar, locali e
ristoranti è in vigore dal 2008, ma qui nessuno sembra farci caso. Mentre mi accendo
una sigaretta provo una strana sensazione,
come se fossi tornato in un mondo più libero e malsano. Chiedo al barista, un tunisino
di nome Samy, come mai è così elastico sulla legge: “Questa è Marsiglia”, risponde.
“La legge è lessibile. E poi che senso ha un
bar se non ci puoi fumare?”. I clienti approvano. Quando chiedo di Marsiglia capitale
della cultura, i fumatori scoppiano a ridere
e a tossire. “È uno scherzo”, commenta
Laurent, tenendo un occhio sullo schermo.
“Parlano di cultura, ma non è la cultura di
Marsiglia”. “E cos’è la cultura di Marsiglia?”, chiedo. “Be’, come prima cosa non
siamo come i parigini, non siamo snob. Siamo ringard e ci piace esserlo”. Non è facile
tradurre ringard, ma vuol dire più o meno
“sigato fuori moda”. Mi guardo intorno –
uomini in tuta, sigarette, calcio e alcol – e
capisco cosa vuol dire Laurent. Questo è
l’esatto contrario della Parigi alla moda. È
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STéPHANE LAVOué (TENDANCE FLOuE/LuzPHOTO)
In copertina
Parigi , 18 marzo 2012. Sostenitori di Jean-Luc Mélenchon
una strana forma di ribellione, ma se si ha
una sigaretta in mano e un pastis nell’altra
si riesce a capirne la logica.
La tappa seguente è Lione, considerata
la città più convenzionale e borghese di
Francia. Questa reputazione è in gran parte
giustiicata. Lione è una città incantevole,
con un bel quartiere medievale, ma è anche
molto chiusa e non ha mai sidato Parigi
troppo apertamente, né in campo politico
né in campo artistico. Lione è famosa soprattutto per la sua cucina. Presentata come
la migliore di Francia, la cucina locale è un
insieme semplice e saporito di piatti a base
di sangue e budella, tripes, andouillettes e
quenelles. Lontana da tendenze culinarie
più cosmopolite, incarna una visione tipicamente ottocentesca della felicità
provinciale.
Fino a poco tempo fa Lione
era chiamata “la città nera”, per
via della sporcizia che copriva i
muri dei suoi eleganti palazzi.
Quella patina è stata scrostata e oggi il centro è pulito e arioso, con nuove linee di tram
e un servizio di bike sharing. Ho parlato di
queste novità con l’energico e spiritoso
Thierry Frémaux. A 51 anni, Frémaux è direttore del prestigioso museo del cinema di
Lione, l’istituto Lumière, e delegato generale del festival di Cannes. Tutto questo fa
di lui uno dei più celebri lionesi di Francia.
Frémaux critica l’evidente torpore della città, ma è anche abbastanza ottimista sul suo
futuro. “Ci stiamo lentamente rendendo
conto di non avere sempre bisogno di Parigi”, spiega.
Anche Lione punta a diventare la Barcellona francese. Ma nonostante i tanti
cambiamenti, fa fatica a liberarsi della sua
reputazione di città di estrema destra. Il
problema è emerso con forza nel 2004,
quando l’università di Lyon 3 è inita sotto
inchiesta perché alcuni suoi docenti erano
stati accusati di difondere tesi negazioniste
dagli anni ottanta. L’immagine dell’università risentiva anche della presenza di Bruno
Gollnisch, il numero due del Front national,
il partito di Jean-Marie Le Pen, tra i docenti
dell’ateneo. L’inchiesta non ha concluso
granché, ma l’università continua a lottare
contro la sua brutta fama. Quando venni a
studiarci negli anni ottanta – allora ero un
fan degli Smiths e un appassionato lettore
della rivista New Musical Express
– non riuscivo a capacitarmi del
razzismo dei miei compagni di
studi. Nonostante la sua apparenza borghese, Lione era e rimane
una città violenta, molto più di
Marsiglia, almeno per quello che ho visto
io. È qui, non a Parigi, che sono scoppiati i
primi grandi scontri razziali nel 1984.
Ho raggiunto in bicicletta il quartiere di
Saint-Jean e mi sono fermato in un cafè a
chiacchierare con il barista, Benjamin, uno
studente di Lyon 3. Volevo sapere cos’era
cambiato da quando ero partito. Benjamin
mi ha detto di non essere razzista, e sono
certo che è vero, ma ha aggiunto che la cultura dell’odio è ancora presente. “Lione è
una città molto complicata”, ha spiegato.
“La politica qui non è come a Parigi. La nostra è una cultura locale, le cose cambiano
lentamente”. Ho parlato con due ragazzi di
origine nordafricana, un tunisino e un algerino, che passeggiavano per La Guillotière,
un quartiere vicino all’università. Negli anni ottanta vivevo qui, e la zona era nota per
la forte presenza di stranieri, l’alto tasso di
criminalità e le risse tra studenti e immigrati. Da allora la situazione è migliorata, ma
non troppo. I fatiscenti palazzi ottocenteschi sono ancora qui. Ho chiesto ai due ragazzi, che indossavano vestiti hip-hop di un
bianco immacolato, se Lione fosse una città
razzista. “È tutta una lotta”, ha risposto Mohamed, l’algerino, indicando l’università.
“Gli studenti fachos (fascisti) non ci lasciano in pace e noi non lasciamo in pace loro”.
Rachid, il tunisino, ha annuito. “Abbiamo il diritto di stare qui. Questo è anche il
nostro paese”. “Se serve”, ha aggiunto Mohamed, “insegneremo ai razzisti francesi il
rispetto e la buona educazione”. Anche se
Lione è sempre meno chiusa e deferente
verso Parigi, rimane una città divisa.
Da sapere I programmi dei principali candidati
Fisco, Europa e immigrazione
François Bayrou
MoDem
Il leader centrista sostiene da anni la
necessità di ridurre il debito pubblico. Per
questo propone tagli alla spesa pubblica
per cinquanta miliardi di euro, l’aumento
dell’iva di due punti e imposte maggiori
sui redditi più alti. Bayrou è anche
favorevole a una pianiicazione
industriale di lungo periodo: ha
presentato un’agenda per lo sviluppo
2012-2020 ispirata a quella varata dalla
Germania lo scorso decennio. È
favorevole all’elezione a sufragio
universale del presidente del consiglio
europeo.
Sviluppo e povertà
Il giorno seguente ho preso un treno per Lilla. Ero impaziente di arrivarci. Ho sempre
avuto un debole per il nord della Francia,
una regione che pochi francesi apprezzano.
Sul nord della Francia esistono gli stessi stereotipi che gli inglesi hanno sul nord dell’Inghilterra: cumuli di scorie minerarie, pioggia, accenti incomprensibili. Ma questa è
anche una regione di frontiera. Lilla si trova
a una ventina di chilometri dal Belgio: molti abitanti sentono di avere più cose in comune con i cugini di Liegi o di Bruxelles che
con quelli di Parigi. Si vede e si sente: Lilla è
una città profondamente settentrionale. Da
Parigi il treno ci mette solo un’ora: quando
sono sceso nella graziosa stazione ottocentesca ho notato subito i mattoni rossi, i tram
e il cielo umido. Lilla ricorda Manchester o
Bruxelles: una bella città costruita sul duro
lavoro e sul commercio. In passato gli abitanti si vergognavano della loro città. “Per
molto tempo mi è sembrato che a Lilla tutto
fosse brutto”, ammette Grégoire Morel, assistente all’università di Lilla, un ateneo
sempre più apprezzato. “Quando visitavamo altre parti del paese, ci dicevamo che la
nostra città non meritava di stare in Francia. Ora invece siamo ieri di essere di qui”.
A Lilla molte cose sono cambiate con l’arrivo dell’Eurostar. L’economia è cresciuta, i
cafè e i ristoranti si sono moltiplicati per
rispondere all’aumento del turismo. Edoucontinua a pagina 22 »
François Hollande
Partito socialista
François Hollande si è presentato come il
candidato “nemico del debito”. Ha
promesso di portare il deicit al 3 per cento
del pil nel 2013. È favorevole a una riforma
iscale che introduca aliquote maggiori
per i redditi più alti: 45 per cento oltre i
150mila euro e 75 per cento sopra il
milione. In materia di istruzione, punta a
ricreare i circa 60mila posti di lavoro persi
nel settore scolastico negli anni di
Sarkozy. Per facilitare l’ingresso dei
giovani nel mercato del lavoro, propone
un “contratto generazionale”, con aiuti
alle imprese che assumono. Vuole
rinegoziare il patto europeo di bilancio e
chiede misure più coraggiose per far
ripartire la crescita.
Marine Le Pen
Front national
Sul piano economico, la candidata del
partito di estrema destra propone un
“protezionismo ragionato”, che prevede
l’introduzione di dazi doganali sulle
merci straniere. Per combattere la crisi
vuole tassare soprattutto i grandi gruppi e
i grandi patrimoni e, sotto il proilo
sociale, punta a privilegiare i francesi,
attraverso il principio della “preferenza
nazionale”. Ferma oppositrice
dell’immigrazione, è favorevole alla
soppressione dello ius soli, all’uscita dal
trattato di Schengen e alla ine dei
ricongiungimenti familiari. Punta a
ridurre l’immigrazione legale da 180mila
a diecimila ingressi l’anno.
Jean-Luc Mélenchon
Front de gauche
Il candidato del Front de gauche, che
riunisce diverse anime della sinistra
francese, vuole aumentare le tasse sulle
rendite inanziarie e propone un’imposta
del 100 per cento sui redditi che
eccedono i 360mila euro. È favorevole al
ritorno alla settimana lavorativa di 35 ore
e all’aumento del salario minimo a 1.700
euro lordi. Vuole riportare a sessant’anni
l’età pensionabile, come era prima della
riforma approvata da Sarkozy. In politica
estera chiede il superamento del trattato
di Lisbona e, per le questioni
istituzionali, è favorevole alla nascita di
una VI Repubblica e alla riduzione dei
poteri del presidente.
Nicolas Sarkozy
Ump, presidente uscente
“Vista la situazione attuale della Francia,
dell’Europa e del mondo, rinunciare a
chiedere di nuovo la iducia dei francesi
sarebbe come abbandonare il proprio
posto”, ha detto il presidente in carica a
febbraio. Sotto il proilo iscale, Sarkozy
punta al pareggio di bilancio nel 2016,
ma è contrario all’aumento delle imposte
sul reddito. Vuole una politica più
rigorosa in tema di immigrazione,
propone di aidare la materia
interamente alla giustizia
amministrativa e chiede
un’intensiicazione dei controlli di
frontiera e la revisione del trattato di
Schengen.
L’Express, Le Monde
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
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In copertina
ard, uno studente di giornalismo, si è fermato sentendoci parlare in inglese e mi ha
detto che preferisce Londra a Parigi: “La
gente lì ci somiglia di più, è più rilassata dei
parigini. È facile sentirsi a casa a Londra. E
poi Lilla è più vicina alla Manica che al périphérique” (la circonvallazione di Parigi).
Se Lilla, e il nord in generale, hanno acquistato sicurezza, è anche grazie al successo del ilm del 2008 Bienvenue chez les ch’tis
(Giù al nord). Ch’tis (che viene da ch’timi, la
lingua piccarda) è un termine gergale usato
per indicare i settentrionali. Il ilm è una
commediola su un francese del sud che scopre con orrore di essere stato trasferito per
lavoro tra gli ch’tis. Tutto inisce per il meglio, nonostante la pioggia e gli strani accenti. Gli ch’tis si rivelano dei burloni afettuosi che parlano in modo bufo.
Dopo il successo di Giù al nord Lilla si è
un po’ montata la testa. Oggi in città è possibile bere birra Ch’ti al bar Ch’ti mentre si
sfoglia una guida chiamata Le Ch’ti. “Siamo ieri di essere ch’tis”, mi dice Aurélie,
una studentessa di economia e commercio
che incontro a un ricevimento organizzato
in comune per promuovere la guida. “Non
ci vergogniamo più quando andiamo a Parigi e non ci sentiamo obbligati a pensare come loro”.
I problemi di sempre
Il nord della Francia sarà pure diventato uficialmente chic, ma ha ancora i suoi problemi. A un quarto d’ora dal centro agghindato della città, intorno alla stazione della
metropolitana Gambetta, sembra di stare
in una qualunque città disagiata del nord
della Gran Bretagna. La piazza principale,
che puzza di piscio e benzina, è pattugliata
da alcuni tipi dall’aria minacciosa, intenti a
bere birre ad alta gradazione alcolica in
compagnia dei loro cani dall’aria ancora più
minacciosa. Sono venuto qui per incontrare
il rapper Kamini e chiedergli com’è crescere
al nord quando si è neri. “Più facile di quanto si creda”, mi assicura, seduto nel suo studio. “Il nord è sempre stato povero, e di
fronte alle diicoltà le persone uniscono le
forze. Ora la situazione economica di Lilla è
migliorata, ma i vicini e gli amici per noi rimangono più importanti della capitale. Non
abbiamo bisogno di Parigi”.
Serviranno ancora molti sforzi, però,
prima che la regione si liberi del doppio
spettro della povertà e della disoccupazione. Ad appena venti minuti di treno da Lilla
c’è Roubaix, la città più povera del paese. Il
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
suo iglio più illustre è Lionel Dumont, un
ex soldato bianco, di origini modeste, che
sta scontando una pena a trent’anni di carcere come membro di Al Qaeda. Dumont
ha dichiarato guerra alla Francia e i giornali
lo chiamano le ch’ti islamiste.
Gli altri francesi, in particolare i parigini,
prendono in giro il nuovo orgoglio degli
ch’tis e il loro senso di solidarietà. Nel 2008,
durante una partita di calcio tra il Lens (una
città del nord della Francia) e il Paris SaintGermain, è apparso uno striscione con la
scritta “Pédophiles, chômeurs, consanguins: benvenue chez les ch’tis” (pedoili,
disoccupati, consanguinei: benvenuti tra
gli ch’ti). I tifosi che avevano srotolato lo
striscione sono stati multati, anche se il loro
avvocato sosteneva che “il cattivo gusto è
un diritto”. Il resto del paese si è fatto una
risata.
Lilla mi è piaciuta molto, soprattutto per
l’atmosfera ruvida e calorosa dei bar nella
zona di place Rihour e dell’università. È una
Francia diicile da trovare a Parigi o più a
sud. Tutta questa birra e questa giovialità
semmai ti fanno sentire ancora più a nord.
Lilla guarda perino oltre la Francia, e questo le dà ancora più sicurezza.
Dopo una settimana di viaggio dal Midi
alla Manica sono tornato a Parigi. La prima
cosa che ho notato è che i parigini non sanno molto del resto del paese o forse se ne
inischiano. E sbagliano. La Francia provinciale del ventunesimo secolo sta rapidamente superando tutti i pregiudizi che i parigini possono ancora avere sull’arretratezza della vita di provincia.
Seguo le elezioni francesi da vent’anni e
non ricordo di aver mai visto una distanza
così grande tra Parigi e il resto della Francia.
Il motivo è in parte che nessuna delle soluzioni politiche proposte sembra realistica.
La parola che inora gli elettori di provincia
hanno usato più spesso per descrivere le
elezioni è “futili”. Non è che non s’interessino più alla politica. Non s’interessano più
a Parigi. Certo, anche se la provincia si sta
sviluppando, ha ancora i suoi vecchi problemi, diversi in ogni regione. Ma la grande
novità è che non aspetta più le risposte da
Parigi. Chiunque diventerà presidente dovrà tenere conto di questa Francia: una
nuova realtà che è già in movimento. u fs
L’AUTORE
Andrew Hussey è uno storico britannico
che vive a Parigi. Ha studiato i movimenti
politici e sociali francesi.
L’opinione
L’incognita
Mélenchon
Paul Quinio, Libération,
Francia
in dove arriverà il successo di
Jean-Luc Mélenchon? Il candidato del Front de gauche è
la vera sorpresa di questa campagna
elettorale. Al di là del suo grande talento oratorio e degli interrogativi
che continuano a ronzare nella testa
degli elettori di François Hollande,
il consenso che si è guadagnato Mélenchon può essere interpretato come la traduzione politica del successo in libreria dell’indignato Stéphane Hessel. Prima di suicidarsi
politicamente al Soitel di New
York, Dominique Strauss-Kahn aveva costruito la sua credibilità sulla
competenza, considerata necessaria per lottare contro la crisi. Un fattore che spiega anche l’attuale solidità di Hollande.
Ma la persistenza della crisi, le
afermazioni aggressive di Nicolas
Sarkozy contro gli eccessi dei mercati, le indecenti remunerazioni dei
dirigenti delle principali imprese
del paese hanno inito per favorire
Mélenchon. Il candidato del Front
de gauche, infatti, sa bene come rivolgersi al massimalista che sonnecchia in ogni elettore di sinistra.
Dopo il successo degli ultimi comizi
del Front de gauche, i notabili
dell’Ump di Nicolas Sarkozy continuano a soiare su quello che considerano un fuoco ostile a Hollande.
Certo, quanto maggiore sarà il successo di Mélenchon, tanto più forti
saranno i rischi di tensioni all’interno del Partito socialista. Ma questi
sono rischi di cui è al corrente lo
stesso Mélenchon. Le gofe dichiarazioni della destra, invece, cercano
soprattutto di mascherare il vero
problema di Sarkozy: la sua assenza
di una riserva di voti per il secondo
turno. u adr
F
Europa
Norvegia
MACEDONIA
Tensione
dopo la strage
Breivik alla sbarra
L’omicidio di cinque uomini,
trovati morti la sera del 13 aprile
presso un laghetto artiiciale po­
co lontano da Skopje, ha rinfo­
colato le tensioni interetniche
tra i macedoni e gli albanesi, che
rappresentano un quarto della
popolazione del paese. Le vitti­
me, tutte senza precedenti pe­
nali, erano di etnia slava e, no­
nostante la polizia non abbia
fornito dettagli sugli omicidi, si
è subito fatta strada l’ipotesi di
un movente etnico, anche a cau­
sa degli incidenti avvenuti nelle
settimane precedenti tra le due
comunità. Come racconta
Utrinski Vesnik, poco dopo il
delitto centinaia di persone han­
no manifestato a radišani, la
cittadina delle vittime, gridando
slogan contro gli albanesi, men­
tre il 17 aprile un migliaio di ra­
gazzi è sceso in piazza a Skopje,
per una protesta sfociata in
scontri con la polizia.
La scelta
di Orbán
Con ogni probabilità il nuovo
presidente ungherese sarà János
Áder (nella foto), europarlamen­
tare del partito al governo Fi­
desz. Áder, scelto dal primo mi­
nistro Viktor Orbán, dovrebbe
prendere il posto del dimissio­
nario Pál Schmitt, travolto da
uno scandalo per aver copiato la
tesi di dottorato. Il voto del par­
lamento, previsto per il 2 mag­
gio, non dovrebbe presentare
ostacoli, considerato che Fidesz
dispone di una maggioranza dei
due terzi. “Con il presidente del
parlamento László kövér, Áder
è tra gli uomini di iducia di Or­
bán”, scrive il giornale di oppo­
sizione Népszava. “E insieme
continueranno nella loro opera
di smantellamento della demo­
crazia ungherese”.
PORTOGALLO
Fedeli
all’austerità
Il 13 aprile il Portogallo è stato il
primo paese dell’Unione euro­
pea ratiicare il patto iscale eu­
ropeo. Insieme al iscal compact,
il parlamento di Lisbona ha an­
che dato il via libera al nuovo
meccanismo di stabilità, che so­
stituirà il Fondo di stabilità i­
nanziaria. Critico il commento
del Correio da Manhã: “La vo­
lontà di arrivare primi è solo un
esercizio di ipocrisia e debolez­
za, e come tale sarà apprezzato
dai mercati e dai ministeri degli
esteri degli altri paesi europei”.
Il 16 aprile si è aperto il processo ad Anders Behring
Breivik, l’autore delle stragi di Oslo e Utøya, in cui la scorsa
estate sono morte 77 persone. Breivik è entrato in aula
salutando con il braccio teso e il pugno serrato. Ha
riconosciuto i fatti, ma si è dichiarato non colpevole e ha
contestato la legittimità della corte: una strategia, scrive il
quotidiano norvegese Dagbladet, che sarà “diicilmente
sostenibile”. Secondo lo svedese Göteborgs-Posten, il
processo non deve trasformarsi in un circo: “È importante
che tutto si svolga in modo decoroso. La democrazia e lo
stato di diritto devono prevalere anche quando hanno a
che fare con i propri peggiori nemici”. Ma soprattutto,
aggiunge Nrc Handelsblad, Breivik non dovrà essere
messo in condizione di usare l’aula come un palcoscenico
per le sue idee. “L’accusato”, scrive il giornale olandese,
“cercherà di sfruttare il processo per indebolire il sistema
democratico, questa volta con le parole, e per difondere il
suo odio contro l’islam e il multiculturalismo. Per evitare
che ci riesca serve uno sforzo enorme da parte dei giudici,
degli avvocati, dei sopravvissuti alla strage, dei politici e
dei giornalisti, in Norvegia come all’estero”. Intanto, però,
racconta su Newsweek la scrittrice norvegese Åsne
Seierstad, gli avvocati di Breivik hanno scelto una strategia
discutibile: “Vogliono dimostrare che le sue idee hanno un
forte seguito in Europa, e per farlo hanno convocato come
testimoni personaggi che lottano contro l’islam e
l’immigrazione. Breivik ha agito da solo, ma non viveva
certo in un mondo vuoto e isolato”. Un altro giornalista
norvegese, Sven Egil Omdal, sullo Stavanger Aftenblad
contesta invece la lettura che la stampa straniera ha dato
della strage: tutti hanno scritto che il 22 luglio ha segnato la
perdita dell’innocenza per la Norvegia, ma la verità è che
quel giorno “non è andato in frantumi il paradiso, ma solo
lo specchio che noi norvegesi ci eravamo costruiti”. u
GEtty IMAGES
UNGHERIA
HAkON MOSVOLd LArSEN (AFP/GEtty IMAGES)
dr
Anders Behring Breivik in tribunale il 16 aprile 2012
IN BREVE
Gran Bretagna Il 17 aprile la
polizia ha arrestato a Londra
l’imam radicale Abu Qatada
(nella foto), che potrebbe essere
estradato in Giordania.
Danimarca Il 13 aprile è comin­
ciato a Copenaghen il processo
a quattro islamici – tre svedesi di
origine araba e un tunisino – ac­
cusati di aver pianiicato un at­
tentato mancato contro gli im­
piegati del quotidiano Jyllands­
Posten, che aveva pubblicato
delle caricature del profeta
Maometto.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
23
Africa e Medio Oriente
La guerra mascherata
tra Juba e Khartoum
Jean-Philippe Rémy, Le Monde, Francia
Le violenze tra il Sudan e il Sud
Sudan non si sono ancora
trasformate in un conlitto vero
e proprio. La Cina, che ha
interessi in entrambi i paesi,
potrebbe fare da mediatrice
l Sudan e il Sud Sudan possiedono
un’arte: quella di far inta di non com­
battere pur muovendo le loro pedine
su una gigantesca scacchiera. Dopo
la secessione del Sud Sudan nel luglio del
2011, Khartoum e Juba hanno assistito a
un’escalation di violenze nelle zone di con­
ine, intervallate da negoziati promossi dal­
la comunità internazionale. Finora non è
ancora scoppiata una guerra aperta ma i
due paesi stanno esaurendo tutte le possi­
bilità di trovare la pace.
Il 10 aprile le forze armate sudsudanesi
(Spla), dopo essersi scontrate con l’esercito
del nord (Saf ), hanno occupato la zona di
Heglig, che ospita i più importanti giaci­
menti petroliferi rimasti sotto il controllo di
Khartoum dopo la secessione. Poi hanno
fermato la produzione. Heglig fornisce il
90 per cento del greggio sudanese.
ADRIANE OHANESIAN (AFP/GEtty IMAGES)
I
Ma il fatto più signiicativo è che i due
eserciti regolari si sono afrontati aperta­
mente, facendo temere lo scoppio di nuovi
scontri. Il 12 aprile il Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite ha preteso che i due
paesi ponessero fine immediatamente e
senza condizioni ai combattimenti. Il Con­
siglio ha chiesto all’Spla di ritirarsi da Heg­
lig e all’esercito del nord di interrompere i
bombardamenti contro gli obiettivi nel Sud
Sudan, tra cui l’importante centro petroli­
fero di Bentiu.
Nel frattempo i due paesi hanno lancia­
to degli appelli per una mobilitazione gene­
Manifestazione a favore dell’esercito a Juba, il 13 aprile 2012
24
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
rale. Il 12 aprile il presidente sudsudanese,
Salva Kiir, ha annunciato di essere pronto a
partecipare ai negoziati, ma ormai il danno
era fatto. A causa delle caratteristiche par­
ticolari del greggio locale, ci vorranno setti­
mane, se non mesi, di manutenzione sugli
oleodotti per far ripartire la produzione.
Prima di allora Khartoum rischia una crisi
economica, che porterebbe a manifesta­
zioni di massa contro un potere indeboli­
to.
Secondo alcune fonti, è proprio su
quest’eventualità che il governo del sud sta
basando la sua strategia. La presa di Heglig
segna dunque una nuova tappa in questa
guerra mascherata. Inoltre, Heglig si trova
nel Sud Kordofan, uno stato già colpito dal­
la guerriglia del Movimento di liberazione
popolare sudanese al Nord (Splm­Nord),
un gruppo ribelle alleato di Juba che com­
batte in Sudan.
Si moltiplicano i fronti
Negli ultimi mesi l’Splm­Nord è riuscito a
mobilitare al suo ianco altri gruppi ribelli,
come il Movimento per la giustizia e l’ugua­
glianza (Jem), attivo anche in Darfur. La
situazione per Khartoum è grave. Innanzi­
tutto, come fa notare una fonte ben infor­
mata, i soldati sudanesi “stanno perdendo
la guerra nel Sud Kordofan” e l’Splm­Nord
avanza minaccioso verso il nord. Su un se­
condo fronte, quello nello stato del Nilo
Azzurro, i ribelli alleati con il Sud Sudan
hanno perso alcune città, ma continuano le
loro azioni di guerriglia contro le basi e i
convogli dell’esercito sudanese.
Le forze armate di Khartoum non rie­
scono ad avere la meglio su nessuno dei
due fronti. Man mano che l’esercito si riti­
ra, Khartoum risponde con dei bombarda­
menti efettuati da aerei Antonov pilotati
da stranieri, che lanciano con grande im­
precisione ordigni artigianali. Ma non è in
questo modo che il Sudan riuscirà a cam­
biare il corso degli eventi, perché la vera
battaglia si gioca a terra.
In questa fase la Cina, che ha interessi
sia in Sudan sia in Sud Sudan, potrebbe
svolgere un ruolo più attivo come mediatri­
ce. A meno che lo stallo in cui si trovano
Khartoum e Juba non sia totale. In questo
caso la situazione si sbloccherà solo con la
sconitta di uno dei due paesi. Ma né le for­
ze governative né i ribelli sono riusciti a ot­
tenere una vittoria definitiva durante la
guerra civile che, dal 1983 al 2005, ha pro­
vocato due milioni di morti. u gim
SENEGAL
Bafatá
Oceano
Atlantico
Tregua inesistente
Gabú
GUINEA
BISSAU
GUINEA
in breve
YOuTubE/AFp
Bissau
Siria
50 km
guinea biSSau
isolati
dopo il golpe
Il 12 aprile l’esercito ha messo in
atto un golpe arrestando il presidente ad interim Raimundo pereira e l’ex premier Carlos Gomes Junior, favorito al ballottaggio presidenziale previsto per il
29 aprile. Mentre gli abitanti
hanno cominciato a scappare
dal paese, i militari hanno chiuso lo spazio aereo e marittimo
guineano. La Guinea bissau è
stata sospesa dall’unione africana e minacciata di sanzioni
dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale.
Secondo African Arguments,
il golpe nasce dai timori che Gomes Junior potesse usare le
truppe angolane presenti a bissau per raforzare la sua posizione ai danni dell’esercito.
maLi
il premier
è un astroisico
“Dopo diciassette giorni di intense trattative”, scrive Jeune
Afrique, “i militari golpisti e la
classe politica maliana hanno
trovato un accordo sul nome del
primo ministro del governo di
transizione: è Cheick Modibo
Diarra, astroisico e presidente
di Microsoft Africa dal 2006”.
Nel frattempo l’inviato della
presidenza maliana, Tiébilé
Dramé, ha incontrato il 15 aprile
a Nouakchott i leader del Movimento nazionale di liberazione
dell’Azawad e del gruppo islamico Ansar eddine per risolvere la
crisi nel nord del paese.
Aleppo, 14 aprile 2012. Un ragazzo ferito dall’esercito
Il 16 aprile sono arrivati in Siria i primi osservatori, guidati
dal colonnello marocchino Ahmed Himmiche, come
prevede il piano di pace promosso da Koi Annan. Ma il
cessate il fuoco è inesistente, scrive Al Hayat. A Homs,
Hama e Idlib sono stati segnalati nuovi bombardamenti e
violenze, che hanno ucciso decine di persone. Secondo
l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i morti dall’inizio
della rivolta sono più di 11.100. Lo stesso giorno l’emiro
del Qatar, in visita a Roma, ha dichiarato che il piano di
pace “ha appena il 3 per cento di possibilità di successo”. u
Algeria Il 17 aprile è stata liberata l’italiana Mariasandra Mariani, rapita nel febbraio del
2011 da Al Qaeda nel Maghreb
islamico (Aqmi).
Bahrein Centinaia di oppositori hanno partecipato il 17 aprile a
una manifestazione per protestare contro il gran premio di
Formula uno del 22 aprile.
Camerun L’ex premier Inoni
Ephraim e l’ex segretario alla
presidenza Marapha Amidou
Yaya sono stati arrestati il 16
aprile. Sono accusati di corruzione.
Egitto Il 17 aprile la commissione elettorale ha respinto i ricorsi
di Khairat al Shater, dei Fratelli
musulmani, dell’ex vicepresidente Omar Suleiman e del predicatore salaita Hazem Abu
Ismail, che non potranno presentarsi alle presidenziali di ine
maggio. Tra i candidati rimasti,
i favoriti sono Amr Moussa, ex
capo della Lega araba, e Abdel
Moneim Abul Futuh, un dissidente dei Fratelli musulmani.
Israele Il 17 aprile 1.200 prigionieri palestinesi hanno cominciato uno sciopero della fame
per protestare contro le loro
condizioni di detenzione.
Da ramallah Amira Hass
L’esagerazione della minaccia
Ancora prima della formazione dello stato di Israele, la comunità ebraica in palestina
tendeva a esagerare la minaccia posta dagli arabi in generale e dai palestinesi in particolare. È una delle principali
conclusioni di un saggio del
sociologo israeliano Yagil Levy, e corrisponde alla mia
esperienza degli ultimi 18 anni. Levy sostiene che i politici
e i militari israeliani hanno volutamente esagerato la minaccia palestinese per giustiicare
l’uso della forza e la rinuncia a
una soluzione politica. Ma
questa tesi si può applicare anche alla questione iraniana,
con il governo israeliano che
vuole arrivare allo scontro armato con Teheran.
Secondo Levy, la politica
israeliana ha alimentato la spirale della violenza, mentre
l’opinione pubblica veniva indottrinata e convinta che gli
aggressori erano sempre gli
arabi. Quello che Levy non poteva prevedere era che l’esagerazione della minaccia sarebbe stata applicata anche ai cittadini stranieri, com’è accaduto per l’iniziativa benvenuti in
palestina di domenica scorsa.
Come previsto, il governo ha
chiesto alle compagnie aeree
di cancellare i voli su cui viaggiavano centinaia di attivisti
occidentali che volevano raggiungere la Cisgiordania. Sono
stati cancellati anche alcuni
voli con passeggeri estranei
all’iniziativa, tra cui diplomatici e uomini d’afari. Solo dodici persone, forse meno, sono
riuscite a raggiungere betlemme. Ma l’assenza degli altri ha
fatto molto più rumore di
quanto ne avrebbe fatto la loro
presenza. u as
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
25
Americhe
DANIEL GARCIA (AFP/GEttY IMAGES)
La presidente argentina Cristina Fernández
Argentina e Spagna
ai ferri corti
Vladimir Hernández, Bbc, Gran Bretagna
Buenos Aires ha deciso di
espropriare la compagnia
petrolifera Ypf, estromettendo la
spagnola Repsol. Una scelta che
potrebbe costituire un precedente
importante
ra gli applausi e i cori di sostegno, la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner ha
annunciato il 16 aprile un disegno di legge per espropriare il 51 per cento
delle azioni della compagnia petrolifera
spagnola Repsol in Yacimientos Petrolíferos Fiscales (Ypf ). La reazione spagnola
non si è fatta attendere. José Manuel Soria,
ministro per l’industria, l’energia e il turismo ha deinito la decisione della presidente argentina “ostile” e “discriminatoria”.
Visto che il governo argentino può contare sulla maggioranza sia alla camera dei
deputati sia al senato, è praticamente certa
l’approvazione da parte del parlamento.
Per procedere, la presidente ha dovuto dichiarare che il patrimonio da espropriare
era di “interesse nazionale”. E questo è forse l’aspetto fondamentale, più dell’espro-
T
26
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
prio stesso. “Significa che la compagnia
non sarà più gestita come un bene privato o
di mercato, perché quando c’è un interesse
nazionale la priorità va ai bisogni del paese”, ha spiegato alla tv pubblica l’analista di
questioni energetiche Raúl Dellatorre. Secondo diversi analisti del settore che hanno
preferito restare anonimi, questa decisione
può costituire un precedente: d’ora in poi lo
stato potrebbe assumere un ruolo preponderante nel settore energetico nazionale.
“Potrebbero nascere proposte simili per
altre compagnie straniere che operano nel
paese, come Chevron o Petrobras, visto
che in fondo l’interesse nazionale non riguarda Ypf ma il petrolio”, ha detto Eduardo Fernández, esperto di questioni petrolifere.
Pochi investimenti
Cristina Fernández è stata perentoria:
“Questa non è una nazionalizzazione. È il
recupero della sovranità e del controllo di
uno strumento fondamentale. Ypf rimane
una società per azioni, e funzionerà secondo la legge che regola le imprese private”.
Poi ha speciicato: “Eravamo l’unico paese
della regione a non gestire le sue risorse
naturali”. Il governo argentino ha giustii-
cato il progetto di esproprio con gli scarsi
investimenti da parte di Repsol in Argentina. Una situazione che, secondo la presidente, impedisce di coprire la domanda
energetica del paese e che nel 2010 ha costretto per la prima volta il governo a importare idrocarburi, a un costo che nel 2011
ha siorato i dieci miliardi di euro, una cifra
quasi equivalente al surplus commerciale
argentino nello stesso periodo. Secondo la
deputata argentina Elisa Carrió, che nel
2011 aveva sfidato Fernández alla presidenza, il governo è responsabile della situazione che ha portato all’esproprio. Carrió sostiene infatti che il rappresentante
dello stato nel consiglio di amministrazione di Ypf ha sempre approvato la ridistribuzione degli utili agli azionisti a scapito degli
investimenti.
L’insoddisfazione del governo centrale
è stata sostenuta anche dai governi provinciali, che alla ine del 2011 hanno cominciando a togliere alla compagnia le concessioni per diversi pozzi e ad assumere direttamente il controllo delle esplorazioni.
D’ora in poi anche i governatori avranno un
ruolo chiave, visto che il 49 per cento della
quota espropriata sarà gestito dalle province che producono gli idrocarburi.
Secondo alcuni analisti, questa compartecipazione potrebbe diventare un problema al momento di prendere delle decisioni nella nuova Ypf. Il rappresentante del
governo dovrà trattare con dieci autorità
provinciali prima di presentarsi con una
posizione concordata davanti al consiglio
di amministrazione della compagnia. “Potrebbe esserci una paralisi o una politicizzazione delle decisioni”, ha detto uno degli
analisti consultati. u fr
Da sapere
u Secondo El País, la decisione di Buenos
Aires di prendere il controllo dell’azienda
petrolifera Ypf non si giustiica con la
riappropriazione delle risorse energetiche
nazionali. Nelle mani di Buenos Aires, aferma
il quotodiano spagnolo, Ypf si trasformerà in
uno strumento per elargire sovvenzioni che
inirà con il dilapidare le risorse del paese. Il
quotidiano argentino Página 12 ricorda che
Ypf è stata una compagnia statale ino al 1993, e
che la decisione serve a riparare gli efetti
devastanti della ristrutturazione neoliberista
degli anni novanta. Dopo l’approvazione del
disegno di legge, un tribunale argentino isserà
la somma che Buenos Aires dovrà pagare a
Repsol per le azioni espropriate.
Processo
a Zimmerman
IN BREVE
Bolivia Il 10 aprile il presidente
Evo Morales ha rescisso il contratto con l’azienda brasiliana
Oas per la costruzione di una
strada nella foresta amazzonica.
Il progetto era contestato dalle
comunità indigene.
Stati Uniti Il 14 aprile, undici
agenti della scorta del presidente Barack Obama sono stati sospesi per il loro coinvolgimento
in uno scandalo di prostituzione
durante il vertice delle Americhe a Cartagena, in Colombia.
Arianna Huington, la fondatrice dell’Huington Post
DIPLOMAZIA
Il nuovo asse
americano
ANN JOHANSSON (CORBIS)
George Zimmerman, la guardia
di quartiere che il 26 febbraio, a
Sanford, ha ucciso il diciassettenne afroamericano trayvon
Martin, è stato accusato di omicidio di secondo grado e arrestato. “Il caso ha scatenato un dibattito nazionale sulle discriminazioni razziali, la legge sull’autodifesa della Florida e la giustizia penale statunitense”, scrive
il New York Times.
Il Pulitzer premia i siti
Per la prima volta un giornalista dell’Huington Post, David
Wood, ha vinto il premio Pulitzer, grazie ai suoi articoli sui
reduci dall’Afghanistan e dall’Iraq. Il premio per le vignette
politiche è andato a Matt Wuerker di Politico, un’altra
testata online. Sara Ganim, 24 anni, del quotidiano PatriotNews, ha vinto per le sue inchieste sugli abusi sessuali alla
Penn state university. Altri premi importanti sono andati a
giornalisti del New york times, del Seattle times,
dell’Associated Press e al Philadelphia Inquirer. Il Pulitzer
per la narrativa non è stato assegnato. u
Da Washington Jason Horowitz
Romney aggiusta il tiro
Ora che inalmente è il candidato repubblicano in pectore,
Mitt Romney può ricominciare a comportarsi da moderato.
Almeno così sembra dai commenti fatti il 15 aprile durante
una raccolta fondi privata a
Palm Beach – commenti puntualmente arrivati all’orecchio
dei giornalisti assiepati fuori
sul marciapiede. Romney ha
detto di voler abbassare le detrazioni iscali sulla seconda
casa per i proprietari più ricchi, una posizione più equilibrata rispetto alle posizioni ultraconservatrici imposte dal
clima delle primarie.
CRIS BOURONCLE (AFP/GEtty IMAGES)
Stati Uniti
STATI UNITI
Il passaggio dalle primarie
alle elezioni generali porta
quasi sempre un certo grado di
moderazione nei candidati.
tradizionalmente, i politici (di
destra e di sinistra) una volta
conquistata la nomination si
allontanano dagli estremi per
riavvicinarsi al centro, dove si
decidono le elezioni generali.
Romney, però, non è un
candidato come gli altri. Molti
lo considerano un voltagabbana che direbbe qualsiasi cosa
pur di essere eletto. Qualsiasi
suo tentativo di aggiustare il
tiro, perciò, rischia di confermare questa opinione. In que-
ste elezioni i repubblicani sono più che mai trincerati su
posizioni ideologiche, e i compagni di partito di Romney al
congresso non sembrano disposti a fare compromessi in
chiave centrista.
A porte chiuse Romney potrà anche sussurrare parole
moderate, ma i duri e puri del
suo partito da quell’orecchio
non ci sentono. u fas
Jason Horowitz segue la campagna elettorale statunitense per
Internazionale. La rubrica di
Yoani Sánchez è online:
intern.az/Yoani
La sesta Cumbre de las Americas, che si è svolta a Cartagena,
in Colombia, il 14 e 15 aprile, si è
chiusa con un generico accordo
per la creazione di un centro interamericano contro il crimine
organizzato nella regione. Inoltre, tutti i partecipanti (tranne
Stati Uniti e Canada) hanno dato un sostegno uicioso all’Argentina sulla questione delle
Falkland/Malvinas, e alla ine
dell’isolamento di Cuba. Secondo Semana, l’incontro non ha
segnato i passi avanti che molti
speravano. Questo soprattutto a
causa della posizione degli Stati
Uniti. “In vista delle elezioni
presidenziali di novembre, era
diicile immaginare che Barack
Obama (nella foto) potesse sostenere la ine dell’isolamento
di Cuba e aprire alla legalizzazione delle droghe”, osserva il
settimanale colombiano. Secondo Clóvis Rossi, del quotidiano
brasiliano Folha de São Paulo,
l’esito del vertice dimostra come
gli equilibri politici nell’emisfero oggi siano determinati soprattutto dai rapporti bilaterali
tra Stati Uniti e Brasile. Nella regione sta nascendo una sorta di
G2: lo confermano i tanti incontri degli ultimi mesi, a cominciare da quello tra Obama e Dilma
Roussef pochi giorni prima di
Cartagena. “Washington ha capito che deve avere il Brasile
dalla sua parte per inluenzare
la regione sui temi della democrazia, della sicurezza, dell’ambiente e degli scambi commerciali”, conclude Rossi.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
27
JOHANNES EISELE (AFP/GETTy ImAGES)
Asia e Paciico
Un taliban morto a Kabul, 16 aprile 2012
L’ofensiva dei taliban
e la strategia occidentale
Gwynne Dyer, Embassy Newsweekly, Canada
Gli attacchi del 15 aprile nel
centro di Kabul segnano l’inizio
di una nuova stagione di
violenza. E dimostrano ancora
una volta il fallimento della
missione Nato
el pieno degli attacchi dei taliban del 15 aprile nel centro di
Kabul, un giornalista ha telefonato all’ambasciata britannica
per un commento. “Non ho idea del perché
lo stiano facendo”, sono state le parole
dell’esasperato diplomatico che ha risposto
al telefono. “Tra due anni ce ne andremo di
qui. Non devono far altro che aspettare”. La
versione uiciale è che tra due anni, quando
le forze degli Stati Uniti e della Nato lasceranno l’Afghanistan, il governo che hanno
creato sarà in grado di funzionare senza alcun aiuto esterno. Probabilmente il diplomatico non la pensa così, e insieme a lui la
maggioranza degli osservatori stranieri.
Com’era facilmente prevedibile, il generale John Allen, comandante della missione Nato, si è detto “molto orgoglioso”
della risposta delle forze di sicurezza afgane, che avrebbero gestito da sole la risposta
N
28
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
ai taliban, e diversi alti uiciali hanno sottolineato che l’addestramento sta dando i
suoi frutti. Tanta sfacciataggine è quasi ammirevole: Kabul e altre tre città afgane subiscono una serie di attacchi simultanei e
questo signiica che la strategia occidentale
sta funzionando.
Gli attacchi nella capitale hanno colpito
il parlamento, il quartier generale della Nato e le ambasciate di Gran Bretagna, Germania, Giappone e Russia. I combattimenti sono durati diciotto ore, circa cinquanta
persone sono morte e altrettante sono rimaste ferite. L’ultimo attacco del genere a
Kabul risale al settembre del 2011. Se que-
sta fosse la guerra del Vietnam, saremmo
nelle condizioni del 1971. Il governo degli
Stati Uniti ha già detto che intende lasciare
l’Afghanistan tra due anni. Nel 1971 Richard
Nixon, prima di staccare la spina, voleva
aspettare le elezioni in cui avrebbe corso
per il secondo mandato, esattamente la
stessa situazione in cui si trova oggi Barack
Obama. I taliban stanno chiaramente vincendo la guerra in Afghanistan, così come
allora le truppe nordvietnamite stavano
vincendo nel Vietnam del sud. All’epoca la
strategia statunitense fu deinita ironicamente “dichiarati vincitore e scappa”. Più
di quarant’anni dopo non è cambiato nulla,
come non sono cambiate le bugie per coprire la realtà dei fatti. “È come se vedessi al
rallentatore gli uomini morire per nulla,
senza poter far niente per salvarli”, ha dichiarato il tenente colonnello Daniel Davis,
un uiciale statunitense che ha servito per
due volte in Afghanistan. Nel 2011 Davis è
tornato a casa consumato dalla rabbia per la
distanza sempre più grande tra le promesse
di successo ripetute dai comandanti e la
reale situazione sul campo.
Non era necessario invadere l’Afghanistan. Dopo gli attacchi dell’11 settembre i
leader taliban erano furiosi con Al Qaeda
per la minaccia d’invasione a cui li aveva
esposti. Sarebbe bastato aspettare un po’ di
più, corrompere i personaggi giusti e gli
Stati Uniti avrebbero potuto sconiggere Al
Qaeda senza dover combattere una guerra.
Ormai è troppo tardi. Oggi Al Qaeda sopravvive più come ideologia che come organizzazione, e la maggior parte degli afgani (inclusi i taliban) non ha alcun interesse
per quello che succede oltre conine. Chiunque andrà al potere a Kabul dopo il 2014
diicilmente vorrà attaccare gli Stati Uniti.
ma ino ad allora molte persone continueranno a morire per nulla. u as
Da sapere
u Il 15 aprile un gruppo di taliban ha attaccato sette ediici
nel centro di Kabul, tra cui la
sede del parlamento, quella
della Nato e alcune ambasciate. Contemporaneamente ci
sono stati altri attentati in tre
province. Nel rivendicare gli
attacchi annunciando l’inizio
dell’ofensiva di primavera, i
taliban hanno dichiarato:
“Questo è un messaggio per
chi sosteneva che avessimo
perso slancio”. Il riferimento è
alle parole del portavoce della
missione Nato che il 9 aprile
aveva ipotizzato un cambiamento nella strategia dei taliban. Secondo gli esperti dietro
gli attacchi ci sarebbe la rete
pachistana Haqqani. Il presidente Hamid Karzai ha parlato di “errori d’intelligence”,
in particolare da parte della
Nato.
u Il 17 aprile l’Australia ha
annunciato il ritiro delle sue
truppe entro la ine del 2013.
u Il 18 aprile i ministri degli
esteri e della difesa della Nato
si sono riuniti a Bruxelles per
discutere il inanziamento delle forze di sicurezza afgane
dopo il ritiro della coalizione
nel 2014. Una decisione in
proposito sarà presa al summit
dei capi di stato e di governo in
programma a Chicago il 20 e
21 maggio.
www.fratelliorsero.it
Ci mettiamo la firma
Asia e Paciico
cina
coReA del sud
trionfano
i conservatori
Regolare gli espropri
AP/LAPReSSe
Caixin, Cina
coReA del noRd
il pragmatismo
di Kim Jong-un
In seguito al lancio di un satellite efettuato il 13 aprile e subito
fallito, il consiglio di sicurezza
dell’Onu ha deciso di inasprire
le sanzioni contro la Corea del
Nord. Sembra inoltre che
Pyongyang non voglia consentire agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica di accedere ai suoi siti nucleare, come previsto dall’accordo di febbraio con gli Stati Uniti
che avevano promesso in cambio aiuti alimentari. “È possibile
che Pyongyang faccia un nuovo
test atomico”, scrive Hankyoreh, “ma Kim Jong-un (nella foto) sembra mostrare segnali di
pragmatismo”. Il Mainichi
Shimbun, infatti, ha rivelato
che Kim Jong-un ha parlato della necessità di riforme economiche anche con “mezzi capitalistici”. Quindi è possibile che il
regime sia aperto a dei cambiamenti. Ma a cambiare, conclude
Hankyoreh, dev’essere anche la
politica d’isolamento del consiglio di sicurezza.
timoR leste
Ruak
presidente
Al ballottaggio del 16 aprile l’ex
leader della guerriglia antindonesiana Taur Matan Ruak ha
vinto con il 61 per cento dei voti.
Sulla vittoria di Ruak ha pesato
il sostegno del premier Xanana
Gusmao, che si conferma molto
inluente, scrive The Age.
Il governo cinese sta accelerando
l’iter per l’approvazione della riforma
del sistema degli espropri terrieri,
una delle principali fonti di tensione
sociale nel paese. A causa del rapido
sviluppo urbano il tema è uno degli
obiettivi politici di Pechino da ormai
dieci anni, scrive Caixin. Durante
l’ultima plenaria dell’assemblea
nazionale del popolo, il premier Wen Jiabao ha esortato ad
approvare rapidamente la riforma. Passi concreti
potrebbero arrivare già a giugno con la presentazione di
due bozze di emendamento alla legge sulla gestione della
terra e al regolamento sull’acquisizione delle terre
collettive. “Al centro della riforma dovranno esserci i
risarcimenti per gli espropriati”, spiega Gan Zangchun,
vicedirettore dell’uicio legislativo del governo. Inoltre,
bisognerà chiarire quali sono le “necessità d’interesse
pubblico” che giustiicano gli espropri e come i contadini
potranno opporsi alle decisioni dei governi locali, che
spesso traggono proitti d’accordo con i costruttori. ◆
società
Accuse
indecenti
Il presidente indonesiano Susilo
Bambang Yodhoyono ha creato
una task force incaricata di applicare la legge antipornograia
in vigore nel paese dal 2008. Secondo la legge è pornograia tutto ciò che “suscita desiderio sessuale e vìola il senso della decenza”, spiega il Jakarta Globe.
Il ministro per gli afari religiosi
Suryadharma Ali, che presiede
la squadra, ha proposto di bandire le minigonne. L’iniziativa
segue le dichiarazioni del presidente della camera dei rappresentanti, Marzuki Alie, che ha
minacciato di vietare alle deputate di indossare gonne corte
perché “recentemente ci sono
stati molti casi di stupro dovuti
al fatto che le donne non si vestono in modo appropriato”. La
proprosta di Suryadharma e le
parole di Marzuki hanno suscitato dure critiche e messo in luce le tensioni tra conservatori e
liberali nel paese musulmano
più popoloso del mondo, scrive
il quotidiano. Un dibattito simile è in corso anche in India sulle
pagine di Tehelka. Un’inchiesta del settimanale tra i poliziotti dell’area metropolitana di
New Delhi – spesso deinita la
capitale degli stupri – ha confermato i pregiudizi nei confronti
delle vittime di stupro degli uomini delle forze dell’ordine, da
tempo denunciati dagli attivisti
per i diritti delle donne. Secondo la maggior parte dei poliziotti
intervistati “è sempre colpa delle donne” e di come si vestono.
Molti dubitano perino che si
tratti di stupri: le vere vittime
non si rivolgono alla polizia e
quelle che lo fanno vogliono in
realtà estorcere denaro agli uomini.
“La vittoria a sorpresa del partito di governo alle elezioni parlamentari dell’11 marzo in Corea del Sud potrebbe preigurare il risultato delle presidenziali
previste per dicembre”, scrive
The Diplomat. I conservatori
del Saenuri (partito della nuova
frontiera), che ino a febbraio si
chiamava Grand national party,
hanno ottenuto 152 seggi su
300. “Il partito conservatore è
riuscito, grazie a una profonda
riorganizzazione e a una imponente campagna sul web, a ribaltare il risultato deludente ottenuto solo un anno fa e a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Concentrarsi sui
temi del lavoro e del welfare,
dunque, ha funzionato, anche
se alcuni dirigenti lamentano
un eccessivo spostamento a sinistra del partito”.
in bReve
Pakistan Il 15 aprile un commando taliban ha attaccato una
prigione a Bannu, nel nordovest
del paese, liberando circa quattrocento detenuti, tra cui molti
ribelli islamici.
Birmania Il governo australiano ha annunciato il 16 aprile la
revoca delle sanzioni contro la
Birmania. Il 18 aprile un portavoce di Aung San Suu Kyi ha annuciato che la leader democratica a giugno andrà all’estero per
la prima volta in 24 anni.
Filippine Il 16 aprile gli eserciti
di Filippine e Stati Uniti hanno
avviato delle esercitazioni militari congiunte.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
31
Visti dagli altri
Se la soluzione alla crisi
è il suicidio
Elisabetta Povoledo e Doreen Carvajal, The New York Times, Stati Uniti
Dall’inizio del 2011 ventitré
imprenditori si sono tolti la vita
perché non riuscivano più a
pagare i debiti delle loro
aziende. L’inchiesta del New
York Times
l 31 dicembre 2011 Antonio Tamiozzo, 53 anni, si è impiccato nel magazzino della sua ditta di costruzioni nei
pressi di Vicenza perché molti suoi
debitori non gli avevano saldato le fatture.
Il 12 dicembre 2011 Giovanni Schiavon, 59
anni, titolare di una ditta appaltatrice nei
dintorni di Padova, si è sparato nella sede
della sua impresa edilizia. Era oppresso dai
debiti e si trovava di fronte alla prospettiva
di dover licenziare, per di più nel periodo
di Natale, i dipendenti della ditta, un’azienda familiare fondata dal padre. Nel suo
messaggio di addio ha scritto: “Scusatemi,
non ce la faccio più”.
La crisi economica che scuote l’Europa
ormai da tre anni ha minato le basi, un
tempo solide, della vita di tante persone,
determinando un’allarmante impennata
del numero dei suicidi, specialmente nei
paesi più fragili dell’Unione europea, come la Grecia, l’Irlanda e l’Italia, e soprattutto tra i titolari di piccole aziende: un fenomeno che alcuni giornali europei hanno
cominciato a definire “suicidio per crisi
economica”. La morte di molti di loro, come Tamiozzo e Schiavon, non ha fatto
scalpore. In altri casi, come quello del pensionato di 77 anni che si è sparato il 4 aprile
davanti al parlamento di Atene, i suicidi
hanno trasformato la loro disperazione
personale in un’espressione pubblica di
rabbia contro i leader politici, colpevoli di
non aver saputo attenuare l’impatto della
crisi.
Non è facile tracciare un quadro completo del fenomeno in tutta Europa: alcuni
paesi tardano a riferire i dati oppure ci sono
dei medici legali che, per proteggere i parenti degli scomparsi, evitano di classiica-
I
32
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
re queste morti come suicidi. I paesi che
sofrono di più sono quelli che si trovano
sulla linea del fronte della crisi. Secondo le
statistiche uiciali, tra il 2007 e il 2009 in
Grecia il numero dei suicidi è aumentato
del 24 per cento. In Irlanda, durante lo stesso periodo, è aumentato di oltre il 16 per
cento. In Italia i suicidi motivati da diicoltà economiche sono aumentati del 52 per
cento, passando dai 123 del 2005 ai 187 del
2010. Secondo i ricercatori quest’anno, in
Italia, i suicidi potrebbero aumentare anche per via delle misure di austerità decise
dal governo. “La crisi inanziaria ha messo
a rischio la vita di tante persone, ma ancor
più pericolosi sono i tagli agli ammortizzatori sociali”, aferma David Stuckler, un
sociologo dell’università di Cambridge che
ha diretto uno studio pubblicato sulla rivista scientiica The Lancet.
Il fenomeno colpisce con particolare
durezza il Veneto, la regione che negli anni
novanta è stata il motore della crescita
economica dell’Italia. In questa regione,
negli ultimi tre anni si sono uccisi più di
trenta piccoli imprenditori per motivi legati al lavoro: calo degli ordinativi, aumento
della concorrenza cinese e la stretta creditizia delle banche.
Ultimamente, però, questo fenomeno
si è esteso a città come Bologna, Catania e
Roma. Nella capitale, il 4 aprile si è tolto la
vita Mario Frasacco, 59 anni, titolare di una
Da sapere
u Dal 1 gennaio 2011 in Italia si sono tolti la
vita 23 imprenditori. Lo rivela una ricerca
pubblicata il 14 aprile dal centro studi della
Cgia di Mestre (Associazione artigiani e
piccole imprese).
u Il 16 aprile è nata a Vigonza, in Veneto,
l’Associazione dei familiari degli
imprenditori che si sono suicidati.
u Il 17 aprile la giunta regionale del Veneto
ha stanziato sei milioni di euro per un fondo
per combattere il fenomeno dei suicidi.
u Il 18 aprile si è svolta al Pantheon a Roma
una iaccolata silenziosa per ricordare tutti
gli imprenditori che si sono tolti la vita.
ditta di costruzioni in alluminio, gettando
nello sgomento l’associazione delle piccole imprese romane del cui direttivo Frasacco aveva fatto parte. Diversi suoi colleghi
erano già rimasti sorpresi quando Frasacco
aveva annullato un viaggio d’afari a Dubai
che avrebbe dovuto compiere insieme a
loro in maggio. L’11 aprile la stessa associazione ha organizzato una veglia a lume di
candela per commemorare le vittime della
crisi economica a Roma.
Depressione celtica
Per quanto riguarda l’Irlanda, si è voluto
collegare il fenomeno dei suicidi a quella
che alcuni psicoterapeuti chiamano “la depressione della tigre celtica”. Nel periodo
successivo al 2008, infatti, in seguito allo
scoppio della bolla immobiliare irlandese,
un gran numero di persone di mezza età è
entrato in terapia per insonnia e inappetenza. Per far luce sul fenomeno i ricercatori della National suicide research
foundation di Cork hanno intervistato i familiari di 190 persone morte suicide nella
contea di Cork tra il 2008 e il marzo del
2011: erano prevalentemente maschi con
un’età media di 36 anni. Come spiega Ella
Arensman, direttrice dell’uicio studi della fondazione, quasi il 40 per cento era disoccupato e il 32 per cento lavorava
nell’edilizia. Tra loro molti erano idraulici,
elettricisti e imbianchini.
Il sociologo Stuckler concorda: in tutta
Europa la fascia di popolazione più a rischio sono gli uomini, in particolare quelli
non sposati, che hanno legami familiari
meno saldi e che non godono di politiche
di sostegno da parte dei governi. Un fattore
che contribuisce a spingerli al suicidio è
l’abuso di alcol. “In tempi così diicili è importantissimo poter contare su amici e parenti, persone di cui potersi fidare”, aggiunge Stuckler.
In Italia il problema è che lo stato o le
amministrazioni locali non pagano i loro
debiti, mettendo in grave diicoltà gli imprenditori. Le leggi adottate per contenere
la spesa pubblica hanno costretto l’ammi-
FABRIzIo GIRALDI (LUzPhoTo)
Vicenza. La zona industriale
nistrazione centrale e quelle locali ad accumulare miliardi di euro in debiti, e così
hanno gettato sul lastrico molte piccole
imprese.
“È la follia di questa crisi”, osserva
Massimo Nardin, un portavoce della camera di commercio di Padova: “Ci sono
persone che si uccidono perché la pubblica
amministrazione non paga”. In Italia gli
enti pagano i debiti in media a 180 giorni,
ma nella sanità pubblica questi tempi si dilatano spesso ino a tre anni. Siamo tra i
peggiori d’Europa, dice Marco Beltrandi,
un parlamentare dei Radicali italiani secondo le cui stime i debiti della pubblica
amministrazione oscillano tra i 118,3 miliardi e trecento milioni e i 131,5 miliardi e
mezzo di euro. “Che l’amministrazione sia
lenta a pagare è noto, ma ora i tempi si sono dilatati a dismisura. Ecco perché è
esploso il fenomeno suicidi”, dice Beltrandi. “Il problema sta nel sistema. Pubblico o
privato, nessuno paga più: è tutto bloccato.
La situazione di stallo è generale, e ho l’impressione che nessuno sappia come uscirne”, spiega Salvatore Federico, segretario
generale della Filca-Cisl del Veneto, il sindacato dei lavoratori edili.
In Veneto l’ondata di suicidi è un segnale di disagio sociale, in un territorio dove
un tempo la chiesa cattolica contava molto. “La nostra religione è diventata il lavoro, e con il passare del tempo questo ha indebolito la famiglia, perché quando uno
non fa altro che lavorare, se le cose vanno
male non ha più molto su cui contare”, osserva don Davide Schiavon, della Caritas
di Treviso, che ultimamente ha varato un
programma di assistenza agli imprenditori
in diicoltà inanziarie (e che non ha rapporti di parentela con Giovanni Schiavon).
Poca attenzione
Secondo i sociologi, anche in tempi di crisi
ci sono paesi, come la Svezia e la Finlandia,
che sono riusciti a evitare un’impennata
del numero dei suicidi perché hanno investito in progetti sul mercato del lavoro, iniziative per aiutare chi lo ha perso a rimettersi in piedi. In alcuni paesi, enti beneici
e associazioni di base hanno messo insieme una serie di programmi di sostegno,
senza però trascurare le campagne di sensibilizzazione per prevenire il fenomeno
dei suicidi. Lungo le strade che portano a
Dublino, a ogni stazione di servizio si trova
aisso il numero di telefono per chiamare
gratuitamente il servizio di prevenzione
dei suicidi. Inoltre il tema viene apertamente afrontato da molte personalità, tra
cui il presidente della repubblica irlandese.
In Italia sia i sindacati sia le associazioni di categoria, in una rara manifestazione
di unità, si dichiarano ugualmente frustrati per la scarsa attenzione riservata a
quest’ondata di suicidi.
“È un segno di profondo disagio sociale. In fondo al tunnel in cui ci troviamo non
si vede nessuna luce”, aferma Salvatore
Federico, il cui sindacato sta mettendo in
piedi una nuova fondazione per prestare
assistenza alle vittime della crisi economica. Tra i soci c’è anche le iglia di Antonio
Tamiozzo. “Le persone non si uccidono
solo perché sono indebitate”, spiega Federico. “A spingerle alla disperazione è una
combinazione di fattori. Tutte queste storie, però, sono legate da un elemento comune: l’indiferenza e la mancanza di rispetto per gli anni di lavoro alle spalle. Atteggiamenti che probabilmente hanno
avvertito anche loro”. u ma
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
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Visti dagli altri
FRANCESCO STELITANO (LUZPhOTO)
Milano. La sede del consiglio regionale
Una nuova ondata
di scandali
Guy Dinmore, Financial Times, Gran Bretagna
La corruzione dei politici che
emerge dalle indagini della
magistratura potrebbe raforzare
il governo di Mario Monti
A
lcuni politici italiani hanno proposto una riforma del inanziamento pubblico dei partiti, in
risposta ai recenti episodi di
corruzione. Questi scandali hanno spinto
molti a chiedere a Mario Monti di restare
in carica come presidente del consiglio anche dopo le elezioni previste per il 2013.
Le proposte di riforma sono state sostenute dai leader dei tre principali partiti durante un incontro con Monti il 12 aprile, ma
sono state criticate dai commentatori e da
altri esponenti politici che chiedono un taglio ai inanziamenti pubblici invece di un
maggior livello di trasparenza e di controlli esterni.
Le cifre rese pubbliche dalla corte dei
conti hanno scatenato un’ondata di indignazione: dal 1994 a oggi le forze politiche
presenti in parlamento hanno ricevuto 2,25
miliardi di euro per coprire i costi di cam-
34
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
pagne elettorali, in cui hanno investito solo
579 milioni di euro. La legge prevede che
ogni cittadino possa donare ino a cinquantamila euro ai partiti mantenendo l’anonimato. La riforma propone di ridurre questa
cifra a cinquemila euro. In Italia l’ultimo
personaggio coinvolto in uno scandalo è
stato Umberto Bossi, che si è dimesso da
segretario della Lega nord quando le procure hanno accusato il tesoriere del partito
di aver usato una parte dei soldi del inanziamento pubblico destinati alla Lega per
darli alla famiglia Bossi. Renzo, figlio e
probabile successore di Umberto Bossi, si
è dimesso dal consiglio regionale della
Lombardia dopo che i siti dei giornali hanno pubblicato il video in cui si vede il suo
autista mentre gli consegna delle banconote. Padre e iglio negano di aver commesso illeciti.
Stando ai dati divulgati dai mezzi d’informazione italiani, più del 10 per cento
dei consiglieri regionali della Lombardia è
indagato per corruzione. Quasi tutte le
persone coinvolte appartengono al Popolo
della libertà.
Alcuni scandali hanno colpito anche il
centrosinista. In uno di questi episodi è
coinvolto Luigi Lusi, l’ex tesoriere della
Margherita. I magistrati lo accusano di
aver intascato i soldi del rimborso elettorale che il suo partito ha continuato a ricevere anche dopo la fusione con il Partito democratico. Lusi è indagato per appropriazione indebita. La somma ammonterebbe
a 13 milioni di euro, ma non è stato ancora
rinviato a giudizio e sta collaborando con i
giudici.
La percezione di una corruzione politica dilagante e la sensazione che l’élite non
stia facendo molto per arginarla potrebbero raforzare la posizione di Monti. Ma anche se gode di una relativa popolarità, il
premier è accusato di non essere abbastanza duro con i politici da cui dipende per
l’approvazione in parlamento delle sue riforme economiche. Il partito di Berlusconi
ha fatto capire che il mandato del governo
è limitato agli interventi sull’economia.
Monti e la grande coalizione
Oltre a una campagna contro l’evasione
iscale, inora l’esecutivo di Monti non ha
fatto molto per afrontare le appropriazioni
indebite, anche se il governo sta preparando un disegno di legge che prevede l’aumento di alcune pene. Nelle classifiche
sulla corruzione globale dell’organizzazione non governativa berlinese Transparency international, l’Italia occupa il sessantanovesimo posto. Un senatore, deluso
quanto gli elettori, ha detto che i partiti rischiano l’autodistruzione. Secondo alcuni
sondaggi meno del 10 per cento degli italiani si ida di loro. “Per i partiti l’unico modo di salvarsi sarebbe formare una grande
coalizione con Monti premier”, ha dichiarato il senatore. Le sue parole rispecchiano
l’opinione di un numero crescente di italiani e di investitori stranieri, nonostante le
riforme volute dal governo siano risultate
deludenti e le ambizioni politiche di Monti
siano poco chiare.
Secondo un’indagine dell’istituto di ricerca Eurisko, il 43 per cento degli italiani
voterebbe per un’ipotetica grande coalizione guidata da Monti e il 24 per cento ha
dichiarato che potrebbe prendere una decisione del genere. Il Corriere della Sera ha
pubblicato una dichiarazione di Remo
Lucchi, l’amministratore delegato dell’Eurisko: “Gli italiani stanno dicendo a Mario
Monti: ‘Smetti di comportarti da tecnocrate, fai lo statista e garantiscici stabilità anche oltre il 2013’”. u fp
Le verità dell’elefante
ogni sera in tv
John Hooper, The Guardian, Gran Bretagna
iuliano Ferrara è un giornalista
obeso che a metà degli anni novanta è stato ministro del primo governo guidato da Silvio
Berlusconi. Oggi è il protagonista di Qui radio Londra, il programma di Rai uno che va
in onda subito dopo il telegiornale delle 20.
La trasmissione non potrebbe avere una
collocazione migliore nel palinsesto: in prima serata ha la possibilità di raggiungere un
grandissimo numero di telespettatori.
Qui radio Londra consiste in Giuliano
Ferrara seduto davanti a una telecamera a
dare lezioni al pubblico per sette minuti, su
qualsiasi argomento gli vada a genio. Il conduttore è un uomo brillante: si esprime in
modo chiaro, è provocatorio e colto. Ma è
inequivocabilmente un uomo di Berlusconi. Il suo giornale, il Foglio, è stato fondato
grazie ai fondi messi a disposizione dall’ex
moglie del Cavaliere. Quando l’ultimo governo Berlusconi è entrato in crisi, Ferrara è
stato chiamato a dare i suoi consigli. È diicile immaginare un altro paese europeo,
eccetto forse la Bielorussia, in cui un giornalista così sfacciatamente di parte possa
avere la possibilità di “chiarire” il senso delle notizie.
Il fatto che Ferrara abbia dato al suo programma lo stesso nome della trasmissione
radiofonica della Bbc rivolta alla resistenza
antinazista, come a dire che Qui radio Londra dà voce alle vittime di una dittatura, è
grottesco. Fino a novembre Silvio Berlusconi è stato presidente del consiglio per otto
anni negli ultimi dieci.
Durante il periodo berlusconiano la Rai,
il cui consiglio di amministrazione rilette
gli equilibri di potere in parlamento, ha dato
voce alla linea del governo su due dei suoi
tre canali televisivi. Degli altri più importanti canali televisivi, tre su quattro sono di
PAOLO TRE (A3/CONTRASTO)
Il programma di Giuliano
Ferrara dimostra che l’arrivo
di Monti non ha scalito il potere
di Berlusconi sull’informazione
G
proprietà di Berlusconi. Ferrara si deinisce
“l’elefantino”. In questo contesto il termine
è doppiamente appropriato, perché Qui radio Londra indica l’elefante nella cristalleria
della politica italiana: tutto il resto potrà anche cambiare con l’arrivo del nuovo governo guidato da Mario Monti, ma l’impressionante potere televisivo di Berlusconi è rimasto intatto. Ed è diicile che le cose possano cambiare prima delle prossime elezioni, previste per la primavera del 2013.
L’unica iniziativa di rilievo in materia di
mezzi d’informazione del nuovo governo
tecnico è stata di chiedere che sia messo
all’asta un pacchetto di nuove frequenze
per il digitale terrestre. Il governo Berlusconi aveva deciso che sarebbero state regalate, e non è diicile immaginare a chi.
Una mossa comunque coraggiosa. Il governo di Mario Monti è sostenuto da un’alleanza formata dai principali partiti presen-
Giuliano Ferrara dà
lezioni al pubblico su
qualsiasi argomento
gli vada a genio
ti in parlamento, il più grande dei quali è
ancora il Popolo della libertà (Pdl), il partito
di Berlusconi. Il governo ha chiesto una riforma della Rai, ma i partiti che lo sostengono pare abbiano posto il veto. Il mese
scorso il ministro Corrado Passera ha annunciato imbarazzato che non c’è abbastanza tempo per riformare le regole per la
composizione del consiglio di amministrazione della Rai prima della scadenza del
mandato.
Se negli ultimi anni l’oscena concentrazione di potere dell’informazione italiana è
stata scalita, non è certo merito dei politici.
Sky Italia, di proprietà di Rupert Murdoch,
oggi può contare su cinque milioni di abbonati. Il canale che trasmette notizie 24 ore al
giorno ofre una copertura equilibrata, anche se un po’ anestetizzata, dell’attualità. E
poi c’è internet.
Molti giovani italiani ignorano i telegiornali e preferiscono aidarsi ai siti d’attualità
per tenersi informati. Il cambiamento, comunque, è abbastanza lento. I dati sull’inluenza di internet in Italia sono tra i più
bassi dell’Unione europea. Secondo Eurostat, l’anno scorso circa il 40 per cento degli
italiani non si era mai collegato alla rete. In
Gran Bretagna la percentuale è del 10 per
cento. Alcuni studi indicano che gli italiani
ricevono quattro quinti delle notizie dalla
televisione.
Realtà percepita
Gli efetti di questa situazione sono impossibili da individuare. Tuttavia nel 2010 un
ente pubblico, l’Isae (Istituto di studi e analisi economica), ha condotto una ricerca per
fare luce sulla percezione che hanno gli italiani dell’economia, confrontandola con la
realtà dei fatti.
Le risposte su ognuno dei tre temi proposti (crescita, inlazione e disoccupazione)
mostrano un quadro particolarmente interessante: quando al potere c’era Berlusconi
gli italiani avevano una percezione esageratamente positiva rispetto alla realtà dei fatti, mentre con i governi dell’opposizione
succedeva il contrario.
Nel 2007, per esempio, quando l’Italia
era guidata dal centrosinistra, le persone
pensavano che la disoccupazione fosse al
14,2 per cento. In realtà la percentuale di
disoccupati era meno della metà. Quando
Berlusconi è tornato al potere, il tasso percepito è sceso al 9,5 per cento, anche se il
dato reale è rimasto sostanzialmente lo
stesso. u as
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
35
Le opinioni
La probabile ine
di Sarkozy e Merkel
Manuel Castells
L’
Unione europea vive da tempo sotto partecipativa e ambientalista. I giovani si sono mobilila supervisione di questo matrimonio tati: il 25 per cento voterà per Mélenchon. E anche se
d’interesse chiamato Merkozy. Per Mélenchon toglierà voti al socialista Hollande, glieli
paura di essere scagliati nelle tenebre restituirà al ballottaggio imprimendo però una svolta a
esterne, i paesi della zona euro hanno sinistra, con uno sguardo alle elezioni politiche di giudovuto indossare l’uniforme tedesca gno. Hollande intanto ha reso il suo programma più
dell’austerità iscale in stile Merkel, condita da un toc- radicale, con la proposta di tassare al 75 per cento i redco parigino di xenofobia nazionalista alla Sarkozy. Ri- diti oltre il milione di euro, anticipare la pensione a sessultato: le economie europee sono in recessione e sco- sant’anni e costruire case popolari per i giovani. Conta
sui voti della sinistra e degli ambientaliraggiano gli investitori. E visto che i consti, e oggi si prevede che al ballottaggio
ti della nonna (“non spendo quello che Se Merkozy
Hollande vincerebbe contro Sarkozy con
non ho”) non funzionano nella gestione scompare dal
il 53 per cento dei voti contro il 47. Così
di economie complesse, il debito pubbli- irmamento
Merkozy si ritroverebbe monco, con l’agco e quello privato continuano a crescere europeo tutto è
gravante
che Merkel ha riiutato di inin una spirale distruttiva.
possibile, il gioco si
contrare Hollande per favorire il suo soI governi incassano meno perché riapre. È nella
cio.
l’economia non cresce e le spese non so- politica francese e
Ma la storia non inisce qui. La stessa
no state ridotte abbastanza, perciò devotedesca che si gioca
Merkel, che dovrà afrontare le elezioni
no continuare a indebitarsi su mercati
la gestione della crisi
nel 2013, è in grave diicoltà. A marzo è
finanziari sempre più sospettosi della
europea
stato eletto presidente della Germania il
solvibilità degli enti pubblici e privati di
pastore Joachim Gauck, difensore dei
quasi tutta l’Europa. Ecco perché è aumentato il premio di rischio, l’interesse che devono diritti umani, in sostituzione del corrotto merkeliano
pagare i governi sui titoli di stato. Ecco perché Italia e Christian Wulf. E la politica tedesca sta cambiando
Francia sono in diicoltà e perché i panzer-contabili di come rilesso dei movimenti sociali nel paese. Il Partito
Merkozy minacciano d’intervenire sull’economia spa- dei pirati ha ottenuto il 10 per cento dei voti a livello
gnola. In termini economici questo processo porta alla nazionale (il 20 per cento tra i giovani). I suoi obiettivi:
catastrofe, alla disintegrazione dell’euro, a una crisi i- difesa a oltranza della libertà su internet e democrazia
nanziaria mondiale e a una lunga recessione. La coe- reale, trasparente e partecipativa. Se uniamo queste
sione europea è in gioco, mentre i paesi si accusano l’un intenzioni di voto al 14 per cento dei verdi, al 7 per cenl’altro (Monti contro Rajoy, Finlandia contro Grecia, to della Linke e al 27 per cento dei socialisti si raggiunge
Londra contro il trattato europeo) e il tentativo di fede- il 58 per cento delle intenzioni di voto contro il 35 per
ralismo in salsa tedesca suscita reazioni nazionaliste a cento di Merkel e il 3 per cento dei suoi alleati liberali. A
unire tutte queste forze è l’opposizione all’austerità. È
difesa della sovranità.
Ma alla base di tutto non c’è nessuna necessità chiaro che se i socialdemocratici avessero mano libera
strutturale. È una politica sostenuta a difesa dei propri tornerebbero a fare promesse per poi correggere il tiro.
interessi da Merkozy e dai suoi sostenitori. Se Merkozy Ma non hanno mano libera, perché in parlamento poscompare tutto è possibile, il gioco si riapre, tornano le trebbero governare solo in minoranza. Intanto anche
alternative. Quindi è nella politica francese e tedesca Merkel sta cercando di adattarsi e di cambiare rotta,
che si gioca la gestione della crisi europea. Brutte noti- diventando più sociale e meno austera nel suo stesso
zie per i merkoziani. Le presidenziali del 22 aprile in paese. Se si salvasse, eventualità improbabile, sarebbe
Francia sono segnate dall’ascesa di Jean-Luc Mélen- grazie a un’altra politica.
Quindi tutti questi politici europei (a cominciare
chon e del Front de gauche, che ha raggiunto il 15 per
cento delle intenzioni di voto e ha conquistato il terzo dagli spagnoli Zapatero e Rajoy) che sono stati intimoposto, scavalcando Marine Le Pen. Il suo programma è riti dal piglio di Merkozy, che hanno seguito alla lettera
apertamente di sinistra e ricorre al vecchio metodo dei le ricette proposte in nome dei mercati ma che i mercacomizi e delle manifestazioni. Linguaggio e program- ti non si bevono, potrebbero ritrovarsi senza Merkozy e
ma rilettono le posizioni che potrebbe avere il movi- con una nuova politica in Francia e in Germania. Permento spagnolo 15-M: far pagare la crisi alle banche e ché hanno disprezzato i movimenti rifugiandosi in
ai ricchi, difesa del welfare, nazionalizzazioni, aumen- maggioranze ittizie. Dimenticando che niente è imti degli stipendi e contratti per i giovani, salario minimo mutabile. E che le idee penetrano attraverso le pareti
di 1.700 euro, verso una sesta repubblica sociale, laica, della mente. u fr
36
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
MANUEL
CASTELLS
è un sociologo
spagnolo. Insegna
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Le opinioni
Una primavera
a Pechino
Will Hutton
o Xilai ino a poco tempo fa era uno dei perciò cita Confucio e non Marx. Bo Xilai concordava
politici cinesi più amati. Ora è stato de- sulla necessità di continuare a seguire quella che Deng
stituito da tutte le cariche ed è agli arresti Xiaoping aveva deinito “l’economia di mercato sociadomiciliari. La sua ambiziosa moglie, lista”, ma sosteneva che il partito doveva fare qualcosa
l’avvocato Gu Kailai, è accusata di essere di più per sottolineare la componente socialista, altricoinvolta nell’omicidio di un uomo d’af- menti sarebbe stato travolto da una crisi di legittimità.
fari britannico. In questa storia non manca nulla per Perciò, quando era segretario del partito a Chongquing
colpire la fantasia dei mezzi d’informazione. Giornali e aveva lanciato una campagna contro la corruzione, fatv uiciali di Pechino stanno facendo di tutto per far ap- cendo arrestare centinaia di funzionari. Aveva distribuparire Bo e Gu come una coppia ubriaca di potere, ri- ito aiuti a milioni di poveri citando Mao e aveva orgaportata alla legalità dalla saggezza del partito. E il resto nizzato manifestazioni in cui si cantavano gli inni della
rivoluzione culturale. Aveva varato un progetto verde
del mondo sembra stare al gioco.
Ma questa non è solo la storia di un politico troppo per la megalopoli, piantando alberi e ripulendo l’aria, e
potente schiacciato dalla macchina comunista. Ciò che aveva corteggiato gli investitori stranieri perché aiutaspochi vogliono ammettere è la colossale crisi di legitti- sero la crescita economica. Era un nuovo tipo di funzionario di partito rigoroso, nazionalista e
mità del Partito comunista cinese. Il conmolto popolare. Era pericoloso per due
litto tra Bo e i suoi leader riguarda piut- Il conlitto tra Bo
motivi. Primo perché rappresentava un
tosto la legittimità del partito stesso che, Xilai e i leader del
se non troverà una strategia convincente, Partito comunista è nuovo fenomeno: un leader carismatico
nell’arco dei prossimi dieci anni dovrà sulla legittimità del pronto ad attaccare le diseguaglianze e la
corruzione con il sostegno di una base
afrontare una primavera cinese.
partito stesso. Che
popolare. E soprattutto perché per i riforIl diritto del partito a governare il pa- deve trovare una
matori stava giocando con il fuoco. Bo
ese si basa sul fatto che ha guidato la rivo- strategia
associava la lotta alla corruzione e la riluzione comunista, l’alba di un’era convincente prima
duzione delle disuguaglianze al “vero
dell’uguaglianza in cui questo campione
che i cittadini si
comunismo”, contestava la posizione
del proletariato avrebbe diretto l’econoribellino
ideologica del partito e aggravava la sua
mia e la società in modo armonioso
crisi di legittimità. Bisognava reagire.
nell’interesse di tutti. Ma la crescita della
Cina, anche se è stata eccezionale e ha sollevato dalla Ora ci sarà un processo farsa, ma l’ala riformista deve
povertà 400 milioni di persone, ha ben poco a che fare ancora imparare a guadagnarsi la legittimità. Wen può
con il socialismo e con l’uguaglianza. I leader della rivo- anche battersi il petto per i suoi errori e perché lo stato
luzione sono morti da tempo e sono stati sostituiti da non può più inanziare progetti di infrastrutture in perun’élite di amministratori corrotti che somiglia sempre dita per garantire la crescita, ormai la più bassa degli
più alla casta dei mandarini confuciani eliminata dalla ultimi anni. Ma il primo ministro non ha mosso un dito
rivoluzione. È stato creato un modello economico cor- per cambiare le cose, anche perché a questo punto c’è
porativo e non trasparente in cui le persone che sono poco da fare. Quella cinese deve diventare un’econoall’interno, soprattutto i igli degli ex leader della rivo- mia “normale” con più centri decisionali, una maggioluzione, si arricchiscono impunemente. Non esistono re capacità di innovazione e una minor dipendenza dal
stato di diritto né controlli. I funzionari del partito non credito dello stato e dai suoi investimenti sulle infrapossono sostenere di essere eroi della rivoluzione per strutture. Ma questo è impossibile in un paese governagiustiicare i posti che occupano. Sono amministratori to da un partito unico.
I leader dell’Unione Sovietica si trovarono di fronte
che in cambio di favori concedono al popolo un migliore livello di vita. Ma se non dovessero più riuscirci l’in- allo stesso dilemma all’inizio degli anni ottanta. Dopo
sessant’anni le rivoluzioni perdono legittimità e i protero ediicio imploderebbe.
Il primo ministro Wen Jiabao è il politico più consa- blemi economici diventano irrisolvibili. Gorbaciov depevole della crisi. Si è scusato con i suoi concittadini per cise di accelerare le riforme. I nuovi leader cinesi, che il
non aver fatto di più per la trasparenza e la legalità. Ve- prossimo autunno vedranno rinnovato il loro incarico
de anche i punti deboli dell’economia cinese, dice che per altri dieci anni, cercheranno di tirare avanti senza
ha una crescita sbilanciata, non coordinata e insosteni- cambiare troppo. Ma la sida di Bo alla loro legittimità
bile. Dopo l’arresto di Gu ha preferito citare un passo di resta aperta. Se il cambiamento non avverrà dall’alto,
Confucio sulla necessità che i leader siano onesti. Wen partirà dal basso. Nei prossimi dieci anni scoppierà una
Jiabao sa che il comunismo come ideologia è morto, primavera cinese. Resta solo da vedere quando. u bt
B
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WILL HUTTON
è un giornalista
britannico. Ha diretto
il settimanale The
Observer, di cui oggi
è columnist. In Italia
ha pubblicato Il drago
dai piedi d’argilla. La
Cina e l’Occidente nel
XXI secolo (Fazi
2007).
Società
ZyNGA
HALFBrICk STUdIOS
Fruit ninja
Gioco solo alt
Sam Anderson, The New York Times Magazine, Stati Uniti
Internet e gli smartphone hanno favorito la difusione di videogiochi come
Angry birds, Farmville e Bejeweled: estremamente semplici ma capaci di creare
una vera e propria dipendenza. Milioni di persone in tutto il mondo ci giocano
e molte aziende li usano per pubblicizzare i loro prodotti
el 1989, mentre il comunismo cominciava a
sgretolarsi nell’Europa
dell’est (nel novembre
di quell’anno i tedeschi
avrebbero fatto a pezzi
il muro di Berlino), anche il colosso giapponese dei videogiochi Nintendo propose
la sua versione dell’idea di libertà lanciando negli Stati Uniti il Game Boy, una console portatile a forma di piccola lavagnetta.
Il Game Boy era di plastica, funzionava con
le pile e prometteva di liberare gli appassionati di videogiochi dalla tirannia delle
sale giochi.
Nel prezzo era compreso Tetris, un videogioco semplice ma irresistibile. Il suo
N
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scopo era ruotare blocchi di mattoncini
che cadevano dall’alto – e caduto uno, ne
arriva un altro e poi un altro e poi un altro e
poi un altro – per costruire un muro nel modo più eiciente possibile. Anche se in realtà, quando lo costruivi nel modo giusto, il
muro si distruggeva e quindi non era più un
muro. Comunque, Tetris e Game Boy si rivelarono un’accoppiata perfetta. La graica
era abbastanza semplice da funzionare bene sul piccolo display in scala di grigi della
console. Il gioco era abbastanza lento da
non creare troppa confusione. L’azione era
ripetitiva e senza trama, e poteva essere
avviata in ogni momento e situazione. Furono venduti più di 70 milioni di Game Boy
con Tetris incluso, ofrendo a chiunque la
libertà di costruire compulsivamente questi muri mentre si stava seduti in cucina o si
faceva la ila in banca. Nacque così una tradizione che chiamerò, sia per chiarezza sia
per vendicarmi di tutte le ore che mi ha fatto perdere, dei “giochi stupidi”. Nei circa
trent’anni passati dall’invenzione di Tetris
– e specialmente negli ultimi cinque, con
l’arrivo degli smartphone – quel videogioco e tutti i suoi successori (Angry birds,
Bejeweled, Fruit ninja) hanno colonizzato le
tasche e i cervelli delle persone, modiicando il modello economico del settore.
Oggi viviamo, nel bene e nel male, in un
mondo di giochi stupidi.
I ricercatori di ludologia (sì, esistono
anche cose del genere) sottolineano sem-
Angry birds
ClICkGAMER.CoM
Farmville
tri due minuti
pre che i giochi tendono a rispecchiare la
società in cui vengono creati e usati. Un
caso esemplare è il Monopoli: lanciato negli
anni trenta, ai tempi della grande depressione, permetteva a chiunque di sentirsi un
uomo d’afari. Risiko, lanciato negli anni
cinquanta, rispecchia la realpolitik della
guerra fredda. Twister è la rivoluzione sessuale della metà degli anni sessanta tradotta in un gioco di società. Un critico l’ha
chiamato sex in a box, sesso in scatola.
Da questo punto di vista Tetris è stato
inventato nel posto e nell’epoca più prevedibili, cioè in un laboratorio informatico
sovietico nel 1984. E il gioco rispecchia le
sue origini. In Tetris il nemico non è un cattivo facilmente identiicabile, ma una forza sconosciuta, irriducibile e irrazionale
che minaccia costantemente di travolgere
il giocatore. È un nemico che produce senza sosta blocchi di mattoni a cui ci si può
opporre solo riordinandoli in modo ripetitivo e meccanico. È burocrazia allo stato
puro, un lavoro inutile e senza scopo a cui
non si può sfuggire. E l’insulto inale del
gioco è l’annientamento del libero arbitrio.
Tuttavia, nonostante la sua ovvia futilità,
per qualche motivo è impossibile smettere
e continuiamo a ruotare quei blocchi di
mattoncini. Tetris, come tutti i giochi stupidi che sono venuti dopo, porta al masochismo.
Nel 2009, venticinque anni dopo l’invenzione di Tetris, anche la Rovio,
un’azienda inlandese sull’orlo della bancarotta, ha trovato una simbiosi perfetta
tra gioco e strumento: Angry birds. Il gioco
consiste nel lanciare degli uccelli arrabbiati contro dei maiali verdi. Il meccanismo
alla base del gioco – ossia l’uso di un dito
per caricare la ionda – rappresenta l’impiego perfetto della nuova tecnologia touchscreen: abbastanza semplice da attirare
un nuovo e immenso mercato di giocatori
occasionali e abbastanza appagante per
conquistarli completamente.
Nel giro di pochi mesi Angry birds è diventato il gioco più popolare per iPhone,
per poi approdare su tutti gli altri smartphone. Finora è stato scaricato più di 700
milioni di volte. Il gioco ha anche ispirato
un impero del merchandising: ilm, magliette, pantofole e perino progetti di parchi a tema ispirati ad Angry birds dove pos-
sono giocare i bambini. Per mesi fuori
dall’oicina del meccanico della mia città
c’è stato un cartello che diceva: “Una penna Angry birds gratis ai nostri clienti”. A
marzo è uscita l’ultima versione del gioco,
Angry birds space, sostenuta da un lancio
promozionale di Walmart, T-Mobile, National Geographic Books, Mtv e Nasa (c’è
stato un annuncio sulla Stazione spaziale
internazionale). Sembra che Angry birds
sia il Tetris di oggi: una silza di rosari digitali con cui possiamo passare il tempo nei
momenti di estasi o di ansia economica,
politica o esistenziale.
Un potere inquietante
Mi sono imposto di non comprare un iPhone per un periodo di tempo che mi è sembrato lungo decenni (in realtà, stando alle
coordinate temporali della Terra, sono
passati solo quattro anni), perché avevo
paura dei suoi giochi. Da ragazzino ho passato anni a giocare, diventando esperto,
nonché drogato, dei videogiochi degli anni
ottanta e dei primi anni novanta, cioè il periodo che ha cambiato l’industria dei
videogiochi (quello che va più o meno da
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Plants vs. zombies
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Super Mario bros a Mortal kombat). Si può
dire, quindi, che i videogiochi abbiano avuto un ruolo cruciale nella mia adolescenza.
Mentre mi liberavo dell’esoscheletro di
grasso, i pixel squadrati della Nintendo cominciavano a fondersi in rainate curve a
64 bit. Mentre la mia voce diventava più
grave, le colonne sonore metalliche dei videogiochi diventavano piccole sinfonie.
Mentre la mia cerchia sociale si espandeva
al di là di un piccolo gruppo di amici sudati
e sboccati, il mercato dei videogiochi faceva breccia (o almeno ci provava) tra nuove
categorie di persone: adulti e ragazze.
Durante i miei ultimi anni a scuola, in
preda a un attacco di determinazione postadolescenziale, avevo deciso di rinunciare per sempre ai videogiochi. Avevo capito
che avevano un potere inquietante su di
me – un potere oppiaceo – e così speravo di
coltivare altre passioni, più apprezzabili,
durante il mio tempo libero. Aspiravo alla
cultura con la “c” maiuscola, così cominciai a dedicarmi ai libri, uno svago più tranquillo e socialmente più rispettato. Sapevo
che se avessi avuto ogni giorno accesso ai
videogiochi, avrei passato letteralmente
ogni giorno a giocarci, per sempre. Così
decisi di darci un taglio, entrando più o
meno in astinenza. Il risultato? Ero diventato più o meno felice e produttivo.
Poi, a metà della selva oscura della mia
vita adulta, è arrivato l’iPhone. Questo oggetto presenta un problema unico: non è
solo un telefono, una videocamera, una
bussola, una mappa e un minuscolo display attraverso il quale si può navigare in
internet. L’iPhone è anche una console da
gioco tascabile, tre volte più soisticata di
quelle con cui sono cresciuto. Mia moglie,
che non era mai stata una giocatrice accanita, ha comprato un iPhone e quasi subito
è diventata una fanatica di un gioco che era
una versione in piccolo di Scarabeo: Words
with friends. Giocava da sei a dieci partite
in contemporanea, contro persone di tutto
il mondo. A volte si fermava nel bel mezzo
di un discorso: appena il suo telefono faceva brinnng o pvomp o dernalernadern-dern,
andava a vedere se il suo avversario aveva
creato una nuova parola. Io ho cercato di
non fare una piega. Le ho detto che volevo
inventare qualcosa chiamato iPaddle: una
piccola “paletta” di legno, grande quanto
lo schermo dell’iPhone, che avrei fatto scivolare davanti al telefono ogni volta che si
fosse distratta. Sulla paletta ci sarebbero
stati messaggi umani dal mondo reale, come “Ti amo” o “Rimani qui”.
Inevitabilmente l’isolamento che mi
ero imposto con i miei princìpi non è dura-
Gli antichi egizi
giocavano a un gioco
da tavola chiamato
senet che, secondo
gli archeologi, era
simile a un
backgammon sacro
to a lungo. Circa un anno fa, incapace di
resistere a questa moda culturale sempre
più difusa e volendo (così mi sono convinto) una fotocamera per scattare foto ai miei
bambini, mi sono arreso e ho comprato un
iPhone. Per un po’ l’ho usato solo per leggere, inviare email e fare foto. Poi ho scaricato il gioco degli scacchi, che non mi sembrava troppo nocivo. Ma presto gli scacchi
si sono rivelati solo un gioco di passaggio.
Dopo aver preso il vizio di divertirmi a giocare con il mio onnipresente schermo tascabile, il tredicenne che era ancora in me
ha ripreso il sopravvento. Così ho scaricato
giochi orribili come Bix (nel quale si guida
un puntino in uno spazio tra altri puntini) e
MiZoo (in cui si devono mettere in ila teste
di animali esotici). Questi sono stati l’anticamera di giochi più belli ma che richiedevano ancora più tempo, come Orbital, Bejeweled, Touch physics, Anodia, che a loro
volta hanno rimandato a giochi ancora più
belli come Peggle e Little wings. Un piccolo
capolavoro, Plants vs. zombies, mi ha fatto
perdere, credo, il tempo che avrei potuto
impiegare per leggere tutto Anna Karenina. Un giorno, mentre ci giocavo (in quel
momento avevo appena scoperto che com-
binando in un certo modo le piante che facevano crescere denaro con quelle all’aglio
si poteva restare tutto il giorno a raccogliere le monete del gioco), mia moglie mi ha
ricordato lo scherzo dell’iPaddle. Questa
cosa mi ha fatto innervosire moltissimo.
Insomma, i videogiochi sono tornati a
far parte della mia vita. Certo, non sono
l’unico a essere caduto nel mondo dei giochi stupidi: negli ultimi anni sono state risucchiate in questo vortice milioni di persone. Come ha detto la scorsa estate a Vanity Fair l’investitore John Doerr, “questi
giochi non sono per tutti, è vero, ma sono
la cosa più per tutti che esiste”. Nel 2011
l’amministratore delegato della Rovio ha
detto che i giocatori di Angry birds passavano ogni giorno circa duecento milioni di
minuti a giocare, una quantità di tempo
che sembra assurda ma allo stesso tempo
plausibile. Un numero del genere, tuttavia,
non ci dice molto sulla qualità di questi minuti, non dice quanto di questo tempo speso è stato divertente o appagante.
Uno spazio vuoto
Gli esseri umani hanno sempre fatto dei
giochi stupidi. I dadi, per esempio, sono un
gioco antichissimo. Gli antichi egizi giocavano a un gioco da tavola chiamato senet
che, secondo gli archeologi, era simile a un
backgammon sacro. Poi ci sono la morra
cinese, il tris, la dama, il domino, il solitario: giochi astratti dove alcune semplici
regole si applicano a situazioni sempre più
complicate (gli scacchi, si potrebbe dire,
sono il più eccelso dei giochi stupidi: il punto in cui i giochi stupidi incontrano il genio).
Ma i giochi prima di Tetris avevano una dif-
POPCAP
Peggle
ferenza fondamentale: richiedevano avversari umani o almeno un supporto materiale, lo spostamento di oggetti tridimensionali nello spazio. Quando uno si sedeva
per giocare, era perché voleva sedersi e
mettersi a giocare. I giochi stupidi, invece,
sono raramente una circostanza a sé. Sono
progettati per farsi largo nei vuoti di altre
circostanze. Ci giochiamo in modo casuale, ambivalente, compulsivo, quasi accidentale. Rappresentano uno spazio vuoto
nella nostra giornata più che una vera e
propria attività, sono più una distrazione
da altri passatempi che un passatempo in
sé. Dai un’occhiata all’agenda e ti accorgi
che all’appuntamento mancano ancora
quaranta minuti: c’è un solo quadro a dividerti dal prossimo livello e quindi puoi
concederti il lancio di un altro uccello.
Spesso negli ultimi venticinque anni è
stato facile sfuggire a questi giochi. L’industria dei videogiochi si è basata prevalentemente su un modello in stile Hollywood: le
grandi aziende hanno investito nella produzione di quelli che sono stati chiamati i
giochi “da tripla A”, l’equivalente dei
blockbuster estivi del cinema. Giochi realizzati per girare principalmente su console. Come i blockbuster estivi, questi giochi
includevano di solito avventure, guerre e
fantastici effetti speciali per attirare gli
adolescenti. Un gioco da tripla A poteva
avere un budget iniziale di 25 milioni di
dollari, con centinaia di sviluppatori al lavoro per anni e una campagna pubblicitaria da 50 milioni di dollari per garantire la
massima visibilità al momento dell’uscita.
Grazie a questo modello i proventi delle
vendite dei videogiochi sono più che raddoppiati tra il 1996 e il 2005: gran parte di
questi soldi è arrivata da una minuscola
cerchia di eccezionali serie di videogiochi
come Halo, World of warcraft, Call of duty e
Battleield. Il modello hollywoodiano, tuttavia, ha inito con l’attirare le stesse critiche che da decenni erano rivolte alle grandi case cinematograiche: i giganteschi investimenti di tempo e denaro avevano
creato una cultura poco disposta a rischiare. Tutto si riduceva a imitazioni, adattamenti, prequel, sequel e perino sub-sequel. Per esempio, non esiste solo Halo 3,
ma anche Halo 3: Odst (Orbital drop shock
troopers). Nel frattempo le aziende più
grandi (Microsoft, Electronic Arts, Rockstar Games) dominavano il mercato in modo così capillare che gli autori indipendenti, da cui sarebbero potute arrivare idee
nuove, praticamente non avevano modo di
vendere i loro prodotti ai consumatori.
Poi nel 2007 è arrivato l’iPhone. Sviluppare i giochi e distribuirli, attraverso l’App
store, è diventato molto più facile. Invece
Da sapere
Entrate mondiali del mercato dei videogiochi,
miliardi di dollari. Fonte: The Economist
Telefonino
Console
Online
Computer
Spot all’interno dei videogiochi
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di far girare i prodotti passandoseli sui
blog, all’improvviso i game designer indipendenti avevano un modo per arrivare a
chiunque. Non solo ai giocatori fanatici,
ma anche alle loro madri, ai postini, ai professori d’università: consumatori che prima non avrebbero mai messo piede in una
sala giochi o usato la Xbox 360, ora avevano sempre con sé una soisticata console
per videogiochi.
Questo ha avuto un impatto profondo
sui giochi. Nell’era delle console la maggior parte dei videogiochi era concepita
per prendere vita in un oggetto che stava
fermo al suo posto, come la tv o lo schermo
del computer. I giochi si fondavano quindi
su narrazioni piuttosto lunghe (avventure,
guerre, ascese e cadute di civiltà) che potevano essere esplorate comodamente da
casa, seduti a gambe incrociate sul tappeto
del soggiorno.
Una fusione di Tetris e Sudoku
I giochi per smartphone, invece, si basano
su un modello molto diverso. Lo schermo
di un iPhone è grande più o meno quanto
una carta da gioco. Non risponde ai comandi di più bottoni premuti convulsamente sul controller, ma a movimenti più
intuitivi e immediati: toccare, grattare,
pizzicare. Questo ha dato vita a giochi
completamente diversi, e cioè giochi come
Tetris, che vanno bene per chiunque, dovunque e in ogni contesto, e che si possono
usare senza dover leggere un manuale.
Qualcuno potrebbe dire che siamo di fronte a giochi puri, realizzati per il puro piacere di giocare senza la distrazione della storia. Ai creatori di Angry birds piace paragonare il loro gioco a Super Mario bros. Ma
mentre ci vuole un minuto e mezzo per
completare il primo livello di Super Mario
bros, per il primo livello di Angry birds ci
vogliono circa dieci secondi.
Di tutti i giochi stupidi che ho fatto, solo
uno è diventato una droga: Drop7, una fusione colorata di Tetris e Sudoku. Praticamente un parco giochi per ossessivi-compulsivi. Il computer prova a riempire lo
schermo mentre il giocatore cerca di tenerlo libero. Ci ho messo giorni a capire le
strategie di base del gioco (fare attenzione
ai dischi grigi) e poi qualche altra settimana per capire gli stratagemmi più avanzati
(concentrarsi ai lati della griglia) e presto
sono entrato nella zona pericolosa: mi
mettevo a giocare quando avrei dovuto lavare i piatti, fare il bagno ai miei igli, chiacchierare con i miei parenti, leggere il giornale e soprattutto (dico soprattutto) scrivere. Per me il gioco era un anestetico, un
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Bejeweled
PoPCAP
guscio di salvataggio, ossigeno, uno Xanax, un igienista dentale con il quale mi
abbandonavo a insensate ma rilassanti
chiacchierate prima di sottopormi al martello pneumatico della vita. Presto ho capito di essere un vero drogato di Drop7. Perfino quando premevo sul tasto “nuova
partita”, il cervello mi diceva, molto lucidamente, che avrei dovuto fermarmi. Ma
non lo facevo. Anzi, ho contagiato altre
persone: mia moglie, i miei amici, mia madre.
Mi sono ritrovato a giocare in ogni tipo
di situazione estrema: alle 3 del mattino,
durante una grave crisi gastrointestinale;
subito dopo una discussione intensa con
mia madre; poco dopo aver saputo che il
mio cane – il dolce e ultraemotivo mammifero con il quale ho vissuto per dodici anni
– sarebbe probabilmente morto di cancro.
Volevo capire com’era riuscito un gioco così piccolo, e in un lasso di tempo così breve,
a instillarsi al centro della mia vita. Così ho
inviato un’email a Frank Lantz, la persona
che ha disegnato Drop7.
Lantz è tra i fondatori dell’azienda di
videogiochi Area/Code, dirige il Game
center della New York university ed è una
delle personalità più rispettate di New York
per quanto riguarda i misteri dei giochi
(una volta ha perino supervisionato una
partita “isica” di Pac-Man, impersonata
da veri esseri umani, nelle strade della città). La sua azienda era stata appena comprata da Zynga, un gigante dei giochi stupidi. Volevo chiedergli: qual è il segreto dei
giochi stupidi? Perché mi prendono così
tanto? Come ha fatto Drop7 a prendere il
controllo del mio cervello? Per prima cosa,
però, gli ho chiesto se per caso conosceva
qualche giovane autore geniale che stava
lavorando al problema dei giochi stupidi.
Qualcuno che probabilmente avrebbe inventato il prossimo Drop7, ma che doveva
essere ancora assunto da una grande
azienda.
Lantz ha risposto con un’email che conteneva solo un nome: Zach Gage. La prima
cosa che ha fatto Zach Gage quando sono
entrato nel suo appartamento è stata scusarsi per il disordine. Aveva appena inito
di costruire in un angolo del suo soggiorno
un arcade, uno di quei videogiochi che un
tempo si vedevano nei bar e nelle sale giochi, una specie di tecno-altare di legno,
grande come un distributore automatico
di bibite. Questo arcade, però, aveva lo
schermo di un Mac, un Mac mini all’interno e includeva più di tremila giochi: dai
superclassici (Space invaders, Pac-Man) ai
giochi sperimentali che Gage e i suoi amici
hanno creato senza budget e spesso in poche ore. Gage deinisce il suo arcade “un
piccolo santuario dei giochi”. Mi ha detto
che è stato il suo progetto dell’estate: gli è
costato circa sei settimane di lavoro e mille
dollari. Ha ordinato i pezzi da Hong Kong,
per poi staccare e tagliare circa cento ili e
creare un software per farli corrispondere
ai vari bottoni. Ha dovuto imparare le differenze tra i joystick giapponesi (precisi,
delicati, sensibili) e quelli statunitensi (più
duri, per resistere alla costante violenza di
mani grandi e inesperte).
Gage è afamato di tecnologia. È nato
nel 1985, un anno dopo la nascita di Tetris
in Unione Sovietica, e questo signiica che
è cresciuto nell’era delle console. Da nerd
dei videogiochi, ha provato a immaginare
com’era stata l’età dell’oro delle sale giochi, con tutti quei corpi che condividevano
lo stesso spazio isico per immergersi, moneta dopo moneta, nei mondi digitali: è
Da sapere
Valore del mercato dei videogiochi, miliardi
di dollari. Fonte: The Economist
Stati Uniti
Corea del Sud
Francia
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una specie di gioco protosociale. Con il suo
arcade voleva provare a capire quel mondo.
Quest’esperienza gli ha ispirato rilessioni
che, ascoltate dalla bocca di un ventiseienne, mi hanno sorpreso. “Dopo aver costruito questo afare, ho capito quanto in realtà
odio internet”, mi ha detto. “Voglio dire,
mi piace un sacco il web, che per i giochi è
stato eccezionale. Ma per altri aspetti la
rete è veramente terribile. Gli arcade facevano un sacco di cose intelligenti che non
abbiamo mai apprezzato. C’è un sacco di
psicologia sociale in questi oggetti”.
L’Xbox, ha aggiunto, ofre solo qualche titolo per giocare con altre persone, insieme
nella stessa stanza. “Nessuno fa più giochi
del genere, è davvero terribile”.
Torri di parole
Gage è un game designer indipendente, come un allevatore di tacchini all’aperto in
confronto all’azienda agricola Zynga. Lavora da casa, porta i capelli lunghi e un’ombra di barba perenne. Collabora raramente
con gli amici, e qualche volta sprofonda in
sessioni di ricerca molto coinvolgenti che
possono durare anche settimane. Di recente ha cercato di capire perché alle persone
piacciono i giochi con le parole, un genere
che ha sempre odiato (Gage crede che sia
un imbroglio basare un gioco su un sistema
già esistente, come le parole o i numeri).
Così ha trascorso due settimane a giocare
a Bookworm, Words with friends e Wurdle,
arrivando alla conclusione che questo genere ha una grave mancanza di strategia. Il
risultato dei suoi sforzi è stato SpellTower,
un gioco che permette di creare delle torri
formando parole con le lettere a disposizione nelle inestre a ianco. Con SpellTo-
ANDrEAS ILLIGEr
Tiny wings
wer, dice Gage, ha guadagnato abbastanza
per campare due anni.
Il viaggio di Gage nel mondo dei giochi
stupidi è cominciato, come quello di molte
altre persone, con Tetris. Un giorno ha notato la sua ragazza che ci giocava sull’iPod
e si è accorto che l’interfaccia touchscreen
del gioco era scomodissima. Gage ne era
disgustato (riesce a indignarsi in modo
davvero esilarante di fronte a quello che
considera un brutto design). “L’iPhone ha
delle caratteristiche meravigliose che nessuno sfruttava”, mi ha detto. “Tutti cercavano un modo per mettere nella nuova
piattaforma alcuni giochi vecchi. Tetris
non era stato costruito per un touchscreen.
Se avessimo avuto prima il touchscreen,
non avremmo mai avuto un gioco del genere. Così mi sono chiesto come sarebbe
stato Tetris in versione multitouch”.
Il risultato è stato Unify, una specie di
Tetris bidirezionale in cui dei blocchi colorati arrivano da diversi angoli dello schermo e s’incontrano al centro. È una droga.
Sembra che serva a esplorare qualche intersezione cerebrale, precedentemente
trascurata, tra le funzioni motorie e la nostra capacità di seguire più oggetti contemporaneamente. Unify è stato acclamato
dalla critica, ma ha avuto un successo modesto in termine di vendite. A Gage però
non importa. “Il mio interesse”, ha detto,
“è semplicemente quello di poter giocare
con qualche nuova tecnologia che inora
ha creato problemi. Con Unify, per quello
che ne so io, è la prima volta che viene creato un gioco rompicapo multitouch con dei
blocchi che cadono”.
Entrambi i suoi genitori sono artisti,
mentre lui ha preso un master in belle arti
Se solo potessimo
trovare un modo per
imporre i meccanismi
dei giochi alla vita di
ogni giorno, gli esseri
umani si sentirebbero
sicuramente meglio
alla Parsons di New York. È il classico giovane artista che lavora duro nella soitta di
casa. Solo che al posto dei libri di anatomia, dell’essenza di trementina e delle tele, è circondato da giochi da tavolo, vecchi
controller e dischetti per Xbox. Per anni
Gage è riuscito a sopravvivere grazie a lezioni private, conferenze e vendite di giochi. Ma ora non sembra che pensi ai soldi.
Uno dei suoi progetti attuali è una satira
sull’industria dei videogiochi e in particolare sulla tendenza delle aziende a provare
a far soldi copiando l’ultima moda. Il titolo
provvisorio del gioco è Unify Birds. È uguale a Unify, solo che al posto dei blocchi ci
sono uccelli colorati dagli occhi grandi.
“Ho fatto un paio di altri piccoli cambiamenti”, dice, “ma in linea generale ho reso
tutto superadorabile. È stato davvero interessante, perché l’ho mostrato alla gente a
cui piaceva Unify. Loro ci giocano e dicono:
‘Ehi, Zach. È davvero un bel gioco. È meglio’. Si chiedevano cosa avessi cambiato”.
Gage mi ha fatto giocare a Unify Birds. Penso che potrebbe perino diventare un successo.
Ci sono persone che vedono di buon
occhio la proliferazione dei giochi stupidi.
Credono che i giochi possano essere la risposta a tutti i problemi dell’umanità. Nel
suo libro La realtà in gioco, Jane McGonigal
sostiene che i giochi stupidi sono probabilmente l’attività migliore, più salutare e
produttiva che possa intraprendere un essere umano: un mezzo per arrivare a uno
stato psicologico ideale. I giochi non sono
una fuga dalla realtà, sostiene McGonigal,
ma un sistema ottimale per prendervi parte. Se solo potessimo trovare un modo per
imporre i meccanismi dei giochi alla vita di
ogni giorno, gli esseri umani si sentirebbero sicuramente meglio. Si potrebbe usare
un approccio del genere perino per provare a risolvere i problemi del mondo reale
come l’obesità, la mancanza d’istruzione e
gli abusi del governo. Alcuni fautori di questi prodotti mettono in evidenza dei casi di
successo di giochi applicati alla vita di ogni
giorno: Weight Watchers e i programmi
frequent lyer, per esempio.
Strategie aziendali
Le grandi aziende hanno usato per decenni
strategie simili, facendo in modo che i consumatori si afezionassero ai loro prodotti
e concedendogli ogni tanto piccole soddisfazioni per fargli spendere soldi (si pensi a
quando un gioco come Monopoli è stato riciclato da McDonald’s). La parola d’ordine
in questo senso è gamification (l’uso di
meccaniche e dinamiche dei giochi in contesti esterni al gioco), e l’ubiquità dei computer e degli smartphone ha solo sviluppato a dismisura questi metodi. Gartner,
un’azienda specializzata in ricerche sul
mercato hi-tech, ha previsto che nel prossimo futuro “un servizio basato sui giochi
e destinato al marketing dei beni di consumo e alla fidelizzazione del cliente sarà
importante come Facebook, eBay o Amazon”. Le aziende hanno già sfruttato i giochi online per pubblicizzare i cereali dolci
rivolgendosi, in modo subdolo, direttamente ai bambini.
Anche se c’è un certo fascino utopistico
nel modello “giochi per il cambiamento”
di McGonigal, sono preoccupato dal potenziale distopico della gamiication. Invece di bombardarci di slogan, le grandi
aziende potranno istillare direttamente
nelle nostre menti i loro messaggi con pubblicità mascherate da giochi. La gamiication vuole trasformare il mondo in una tabella gigante piena di adesivi che premiano
gli obiettivi raggiunti, il tipo di cose che i
genitori progettano per i loro igli. Ma in
questo caso bisogna chiedersi: chi sono i
genitori? Ho paura che questo sia il futuro
distopico dei giochi stupidi: cioè aziende
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Società
senza scrupoli che assumono squadre di
psicologi del comportamento per scansionare le nostre manie e specularci sopra.
Di recente Mark Pincus, fondatore e
presidente di Zynga, ha detto che i sistemi
di gioco “saranno l’abilità più preziosa
nell’era della new economy”. E sa di cosa
parla. Il suo Farmville, un gioco che simula
la vita di un agricoltore e che ha spopolato
su Facebook, è uno dei più apprezzati e discussi giochi stupidi di sempre (all’inizio
del 2010 aveva quasi 85 milioni di giocatori). Farmville è diventato famoso, specialmente nei primi giorni dopo il lancio, per il
suo fervore espansionistico: basta vedere il
modo in cui ha usato Facebook per difondersi viralmente, postando in automatico,
sulle bacheche degli utenti, aggiornamenti di stato relativi al gioco. Il gioco
è gratuito, ma incoraggia insistentemente i giocatori a spendere soldi e reclutare amici.
All’inizio del 2010 milioni di
persone erano entrate a far parte
dei gruppi anti-Zynga su Facebook e alla
ine il social network ha chiuso quelli più
estremi. Ora Zynga ha allargato i suoi orizzonti ai cellulari. Mentre l’economia del
mondo reale crollava, le economie virtuali
di Zynga crescevano sempre di più, generando una fortuna reale. Nel 2010 l’azienda ha registrato utili per circa 400 milioni
di dollari. Nell’estate dello stesso anno,
quando ha celebrato il suo terzo anno di
vita, Zynga aveva sedi a Pechino, Tokyo,
Dallas, Boston, Baltimora, Bangalore, Los
Angeles, Dublino e New York. In un periodo particolarmente attivo, ha comprato
una casa di videogiochi al mese. Sembra
che abbia perino provato a comprare la
Rovio con un’oferta (riiutata) di 2,25 miliardi di dollari.
Il gioco più famoso di Zynga, Draw
something, ha 14 milioni di giocatori al giorno. Grazie alle sue enormi dimensioni,
l’azienda sembra spingere l’economia dei
giochi per iPhone verso qualcosa di simile
al vecchio modello tripla A. Uno dei suoi
giochi più recenti, Empires and allies, è stato lanciato contemporaneamente in dodici
paesi e ha conquistato dieci milioni di giocatori in dieci giorni. Qualcuno sostiene
che i giochi simbolo di Zynga – Farmville,
Fishville – non dovrebbero essere neanche
chiamati giochi. Come ha scritto Nicholas
Carlson sul sito Business Insider, “sono
macchine da clic alimentate dal bisogno
umano di fare progressi attraverso scelte
prevedibili e il pagamento di piccole somme di denaro”. Ma uno potrebbe rispondere che i giochi come Farmville sono in realtà
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il logico epilogo della gamiication. Sembrano giochi, stimolano l’impulso a giocare, ma per molte persone non sono divertenti come altri giochi.
Tutto questo ci riporta alla mia dipendenza da Drop7. Quando ho parlato con
Lantz, mi è sembrato soprafatto dal suo
stesso gioco. Mi ha detto che Drop7 sembrava qualcosa che lui e il suo team avevano scoperto, non creato: “Un piccolo angolo dell’universo che le persone non avevano mai visitato, che risale a un’epoca passata e che sopravvivrà a noi”. Lantz non sa
con certezza perché il gioco crea dipendenza. Sa solo che è così. Alla ine, ha aggiunto, gli è perino piaciuto mentre lo provava, nonostante questo sia di norma un
processo esclusivamente analitico. La
spiegazione migliore di Lantz è
che Drop7 occupa un “cardine
nell’universo” che è sia matematico (perché permette di giocare
tra il senso ordinale e cardinale
di un numero) sia spirituale: tiene il giocatore in un limbo tra la lucida risoluzione di problemi e l’intossicazione pura.
Il che, pensandoci bene, è probabilmente
l’aspetto principale, a livello cognitivo, di
tutti i grandi giochi stupidi.
Lantz non mi è sembrato scosso dal lato
oscuro dei giochi stupidi, come la dipendenza e la cinica prepotenza delle aziende.
Ha detto che i giochi veri sono troppo fragili e complessi per poter essere sviluppati
dalle aziende e che spesso il loro fascino è
molto più complesso rispetto alle ricompense del gioco. “Non è facile creare un
gioco davvero buono, perché si incontrano
le stesse diicoltà di quando si vuole fare
un ilm, un’opera o un cappello veramente
belli”, mi ha detto. “Certo, la matematica
c’entra molto, ma di mezzo c’è anche la
cultura. Il tipo di gioco con cui si cimenta
una persona è legato anche alla considerazione che il giocatore ha di sé. E non c’è
nessuna formula che possa risolvere
quest’equazione. È impossibile, perché è
ininitamente profonda e meravigliosa”.
Qualcuno sostiene
che i giochi simbolo
di Zynga – Farmville,
Fishville – non
dovrebbero essere
neanche chiamati
giochi
Per quanto riguarda il mio incubo di un
mondo ridotto in pezzi a causa della dipendenza dai giochi stupidi, Lantz vede la cosa
in un altro modo. Gli piace pensare che
Drop7 non provochi solo dipendenza ma
che, in un certo senso, si concentri anche
sulle dipendenze stesse. I giochi, mi ha
detto, sono “una neuroscienza artigianale,
una piccola droga digitale che può essere
usata per fare esperimenti sul proprio cervello”. Un motivo per cui bisogna lasciarsi
sedurre dai giochi, secondo Lantz, è che
poi si esce dal tunnel diventando persone
più interessanti e consapevoli delle proprie
forze, debolezze, vizi e desideri. “È come
eroina astratta, compressa o stilizzata”, ha
osservato, “ti apre una inestra nel cervello, ma il cervello non subisce danni”.
Muri fatti di numeri
Ho provato a pensare a cosa avevo imparato da questa nuova inestra nel mio cervello. Come il loro antenato spirituale Tetris,
la maggior parte dei giochi stupidi si basa
su muri che vengono costruiti, scalati, abbattuti. Muri fatti di numeri, muri fatti di
mattoncini digitali, muri dietro i quali si
nascondono maiali verdi. Sono come piccoli campi di addestramento in miniatura
per isolarsi. In in dei conti, ho capito che
questi giochi si basano anche sulla costruzione di muri più subdoli e misteriosi: cioè
le barriere interne che solleviamo per spezzettare il nostro tempo, la nostra attenzione, le nostre vite. Una volta il leggendario
game designer Sid Meier ha deinito i giochi
semplicemente come “una serie di scelte
interessanti”. Forse è questo il segreto dei
giochi stupidi: ci costringono a fare una serie di scelte interessanti sulle cose importanti della nostra vita, momento dopo momento.
Lantz mi ha detto che il gioco che ha
amato di più è stato il poker, per il quale
aveva sviluppato una dipendenza quasi pericolosa. “In qualche modo essere sempre
al limite mi divertiva molto”, mi ha detto.
“Era come camminare su un ilo tra questo
mondo cerebrale, bellissimo e trascendentale, che ti ofriva ininite opportunità per
migliorarti (attraverso lo studio e l’autodisciplina, potenziando la mente come un
muscolo), e l’autodistruzione pura. Non c’è
una parola che possa descrivere una cosa
che incarna contemporaneamente efetti
così diversi. Ma è meraviglioso”. Gli ho
chiesto se conosceva una parola con le
stesse caratteristiche in un’altra lingua. Mi
ha risposto di no. Ma poi ci ha pensato un
minuto e ha detto: “Credo che sia ‘gioco’.
Credo che la parola adatta sia gioco”. u ag
Cina
Le tigri
cinesi
Amy Chua, Newsweek, Stati Uniti
ome una persona ambiziosa che ha obiettivi
sempre più alti, la Cina
non fa che collezionare
superlativi. Tra le grandi
economie, è quella che
che registra il ritmo di crescita più veloce.
Vanta la centrale idroelettrica, il centro
commerciale e l’allevamento di coccodrilli
(centomila bestie azzannatrici) più grandi
del mondo. Sta costruendo un aeroporto
da record. E, inine, oggi conta più miliardarie di qualsiasi altro paese al mondo. E
non solo perché in Cina ci sono più donne
che altrove. Molte di queste miliardarie sono venute su dal nulla pur vivendo in una
società tradizionalmente patriarcale e sono uno spot accattivante della “Nuova Cina”: coraggiosa, imprenditoriale, che rompe le tradizioni.
Tra le straordinarie nuove superdonne
cinesi, ne spiccano quattro: Zhang Xin,
l’operaia diventata miliardaria e potente
imprenditrice immobiliare, oggi seguita da
tre milioni di persone su Weibo, l’equivalente cinese di Twitter; Yang Lan, la regina
dei talk-show, un misto di Audrey Hepburn
e Oprah Winfrey; Zhang Lan, la magnate
della ristorazione che da bambina dormiva
tra il porcile e il pollaio; e inine Peggy Yu
Yu, cofondatrice e amministratrice delegata di uno dei più grandi gruppi di vendite
online della Cina. Nessuna di queste quattro donne è un’ereditiera, e a diferenza di
C
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tanti cinesi ricchi, restii a permettere che
s’indaghi troppo a fondo su come hanno
fatto i soldi, tutte e quattro sono orgogliose
di raccontare la loro storia.
E allora come hanno fatto queste donne
ad arrivare così in alto nel selvaggio est?
Che prezzo hanno pagato sul piano della
vita familiare o professionale? Cosa le distingue dai loro connazionali noti per la
loro propensione al duro lavoro? Quando
ho cominciato a cercare la risposta a questi
interrogativi ero animata in parte da un interesse personale. Tutte e quattro le donne
in questione hanno trascorso lunghi periodi in occidente. Io che sono un’americana
di origine cinese e mi sono guadagnata
l’epiteto poco lusinghiero di tiger mom,
“mamma tigre”, ero curiosa di capire ino a
che punto queste nuove tigri cinesi fosse-
Da sapere
u Secondo l’ultimo rapporto sullo sviluppo
umano delle Nazioni unite, la Cina si trova
al 101° posto nella classiica della
disuguaglianza di genere.
u In parlamento le donne sono il 21,3 per
cento.
u Nel 2010 il 54,8 per cento delle donne
con più di 25 anni aveva almeno un titolo
d’istruzione secondaria, contro il 70,4 per
cento degli uomini.
u Nel 2009 il 67,4 per cento delle donne
lavorava contro il 79,7 per cento degli
uomini.
MATTHEW NIEDErHAuSEr (INSTITuTE)
La Cina è il paese con il maggior numero di
miliardarie del mondo. Dietro al loro successo ci
sono un’educazione severa in stile confuciano
e l’incontro con l’occidente, scrive Amy Chua
ro… cinesi. Ho scoperto che ciascuna, a
modo suo, rappresenta una combinazione
dinamica tra oriente e occidente, e forse
questo è uno dei segreti del loro travolgente successo.
La storia di Zhang Xin sembra uscita
dalla penna di Dickens. È nata a Pechino
nel 1965. L’anno seguente Mao ha avviato
la rivoluzione culturale e milioni di persone, intellettuali e dissidenti del partito
compresi, sono stati epurati o forzosamente trasferiti in arretratissime zone rurali. I
bambini erano incoraggiati a denunciare
genitori e insegnanti come controrivoluzionari. Zhang è tornata a Pechino nel
1972, dove ricorda di aver dormito su scrivanie d’uicio con dei libri come guanciali.
All’età di 14 anni è partita con la madre per
Hong Kong, dove per cinque anni ha lavorato in una fabbrica di giorno e ha frequentato la scuola di notte. “Da bambina ero
molto infelice”, racconta.
Con la sua elegante giacca di pelle e la
sua risata contagiosa, oggi la cofondatrice
dell’impero Soho China (del valore di 4,6
miliardi di dollari) è uno strano misto di
Da sinistra Zhang Lan, Amy Chua, Yang Lan e Zhang Xin
calcolo misurato e calda spontaneità.
“Quando ero a scuola mia madre mi spingeva con durezza a studiare. La gente di
quella generazione non era capace di esprimere afetto. Comunque non ero solo io a
essere infelice: tutta la Cina lo era. Credo
che nessuno fosse felice, a quel tempo. Basta guardare le foto di quel periodo, nessuno sorride”. E qui Zhang fa il nome di un
artista contemporaneo, Zhang Xiaogang,
noto per i volti “freddi e privi d’emozione”
che dipinge: “È esattamente così che siamo cresciuti tutti quanti”.
A vent’anni, spinta da un disperato desiderio di fuga, Zhang ha raggiunto la Gran
Bretagna portandosi dietro un vocabolario,
un wok e poco altro. “Nell’istante stesso in
cui sono arrivata in Inghilterra, per me tutto è cambiato”, ricorda. Mentre in Cina
“era impensabile che una come me potesse
andare all’università, in Gran Bretagna è
così semplice… Non hai soldi? Fai domanda per una borsa di studio”.
E così è cominciata la storia d’amore tra
Zhang e l’occidente. Si è iscritta all’università del Sussex e lì “ho letto un sacco di sto-
ria e di ilosoia… Adoravo l’opera lirica. Ho
viaggiato qua e là e ho fatto un’immersione
totale nella cultura europea e nell’illuminismo”. Nel 1992, un anno dopo la laurea in
economia a Cambridge, Zhang lavorava
già alla Goldman Sachs. Eppure, sognava
di tornare in Cina.
La moglie straniera
Nel 1994 si trovava a Pechino quando ha
conosciuto Pan Shiyi, un imprenditore del
settore immobiliare di origini ancora più
umili delle sue, che aveva già fatto un sacco
di soldi con la speculazione durante una
delle “bolle” immobiliari cinesi. Tra i due è
scoccata una scintilla e quattro giorni dopo
Pan le ha proposto di sposarlo. L’anno seguente la coppia ha fondato la società che
poi sarebbe diventata Soho China. I primi
tempi, tuttavia, non sono stati facili. La disinvoltura tutta occidentale di Zhang si
scontrava con gli atteggiamenti più tradizionali del marito, e i due litigavano di continuo. Alcuni dei colleghi di Pan la deinivano sprezzantemente “la tua moglie straniera”. A un certo punto i due si sono sepa-
rati per un po’ e Zhang è tornata in Gran
Bretagna. Ma la coppia non si è sciolta, sono nati due igli e il connubio tra la sagacia
e gli agganci di Pan e il iuto di Zhang per i
progetti architettonici innovativi l’ha proiettata al vertice dell’élite immobiliare di
Pechino. Da ormai dieci anni Pan e Zhang
sono la coppia più in vista di Pechino, quella che di giorno costruisce alcune delle
nuove strutture più rappresentative della
città e di sera dà feste frequentate da persone famose.
Proclamata da Forbes una delle 50 donne più potenti del mondo, Zhang è stata
l’ideatrice della spettacolare “Commune
by the Great wall”, costruita da Soho China, che le è valsa un premio della biennale
di Venezia. Si tratta di un comprensorio residenziale rannicchiato ai piedi della Grande muraglia che conta una serie di ville
private progettate da dodici dei più importanti architetti asiatici.
Secondo Zhang la scarsa capacità d’innovazione è uno dei problemi persistenti
del paese. “Per andare avanti abbiamo bisogno di persone dotate d’inventiva. Il motivo per cui alla Cina manca uno Steve Jobs
sta nel sistema scolastico (che ha urgente
bisogno di essere riformato), in quello sanitario e in quello politico. In Cina non s’insegna a un numero suiciente di persone
l’autonomia di pensiero”. Ed efettivamente Zhang s’identiica con Jobs: “Ero proprio
come lui: una perfezionista”, dice. Di fronte a ogni progetto che uno dei suoi dipendenti le sottoponeva, “io dicevo sempre:
‘Non va bene, non va bene!’, e mi arrabbiavo, perché quando hai degli standard altissimi e qualcuno non li raggiunge, ti senti
frustrata”.
Tuttavia, nonostante il successo, Zhang
e Pan hanno cominciato ad avvertire un
vuoto spirituale nella loro vita, e nel 2005 si
sono convertiti alla fede bahai. A sentire
Zhang quell’esperienza l’ha trasformata:
“Non che la mia motivazione sia venuta
meno o i miei standard si siano abbassati.
Ho solo capito che ognuno di noi ha bisogno che anche gli altri crescano ”. Ai due,
che sembrano sempre un passo avanti ai
loro concorrenti, non nuoce l’avere fatto
proprio pubblicamente un nuovo sistema
di valori in un momento in cui in Cina aumentano le tensioni di classe e non si fa che
parlare del grande “vuoto morale” del paese.
Come madre, però, Zhang è più cinese
che occidentale. Quando i suoi due igli
maschi, che ora hanno 11 e 13 anni, tornano
a casa da scuola, lei li fa esercitare in cinese
scritto per due ore al giorno, sorda alle loro
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Cina
implorazioni di andare a casa dei compagni o a giocare a calcio.
Le nuove generazioni saranno troppo
iacche per farsi strada come hanno fatto i
genitori? “Oggi in Cina gli insegnanti sono
disperati”, mi ha spiegato Yang Lan. Con la
carnagione di porcellana e i capelli tirati su,
Yang irradia il potere della celebrità. “Temono che tutti questi ‘piccoli imperatori’,
cioè tutti questi igli unici che abbiamo in
Cina, crescano viziati ed egoisti e non rispettino più i loro genitori”.
Yang mi ha raccontato che i dirigenti di
una scuola hanno invitato un migliaio di
genitori a sedersi sulle sedie nel cortile
dell’istituto, “dopodiché hanno chiesto
agli alunni di lavare i piedi ai genitori da-
per il primo ministro Zhou Enlai. A 21 anni,
insieme ad altre mille giovani donne, ha
partecipato alle selezioni per diventare
conduttrice del talk show più seguito della
tv cinese. Dopo aver superato con successo
sei provini, uno dei giudici le ha detto: “Lei
non è abbastanza bella”. Dapprima si è
sentita morire per l’umiliazione, ma poi ha
deciso di spuntarla “dimostrando che ero
più intelligente di quelle più belle di me”. A
chi le chiedeva se avrebbe mai “osato indossare un bikini”, ha risposto che dipendeva da dove si trovava: su una spiaggia
nudista francese un bikini poteva essere di
troppo. Quella risposta le è valsa la vittoria,
e in quel momento è cominciata la sua carriera di superstar.
Sono trent’anni che il governo ha
adottato la politica del iglio unico
e molti in Cina temono di ritrovarsi
con un miliardo di bambini viziati
vanti a tutti, in segno di devozione iliale”.
Mi è tornata in mente mia nonna che,
quando abitava da noi nell’Indiana, si faceva il pediluvio in un bacinella di plastica
azzurra, e mi sono ricordata che ogni giorno, quando mio padre tornava dal lavoro,
io gli silavo le scarpe. “Capisco la disperazione degli insegnanti”, ha proseguito
Yang. “Hanno paura che i bambini cinesi
perdano quello che da noi si chiama xiao
dao, cioè il rispetto e la sollecitudine nei
confronti dei genitori, che un tempo erano
tra i pilastri del confucianesimo”.
A 43 anni Yang è un misto di modernità
e tradizione. Anche se è sempre in volo qua
e là per il mondo a stregare uditori occidentali con le sue conferenze Ted, vive ancora
a casa dei genitori. “La nostra è una famiglia tradizionale, in cui tre generazioni diverse abitano sotto lo stesso tetto”, spiega.
Come la maggioranza dei cinesi, preferisce
l’acqua tiepida a quella ghiacciata perché
“nella medicina tradizionale cinese il pericolo più grave per una donna è prendere
freddo”. E anche se nega di fare pressione
sui igli (“il mestiere del genitore è aiutare
il iglio a scoprire la sua vera passione”),
parlando con me le è scappata una tipica
battuta da genitore cinese: “A me basta che
a scuola prendano almeno nove”.
Delle quattro donne che ho intervistato
Yang è quella che ha avuto l’infanzia più
privilegiata. La sua famiglia, originaria di
Shanghai, era benestante; suo padre era un
professore d’inglese con agganci politici
che occasionalmente faceva l’interprete
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Quattro anni dopo ha lasciato gli schermi per iscriversi alla Columbia University
di New York, dicendo di voler vedere il
mondo. Mentre studiava per prendere il
suo master in politica internazionale, ha
conosciuto Wu Zheng, detto Bruno, rampollo di una ricca famiglia di Shanghai. Si
sono sposati all’hotel Plaza di New York nel
1995.
Nel 1998, con suo marito, Yang ha lanciato una trasmissione di attualità e interviste tutta sua. Stavolta ha puntato veramente in alto: nel corso degli anni tra i suoi
ospiti ha avuto personalità come i Clinton,
Tony Blair, Kobe Bryant ed Henry Kissinger (più qualcuna minore, come me). Nel
2000, lei e Bruno hanno fondato in pompa
magna Sun tv, un’emittente con sede a
Hong Kong. Ci hanno investito milioni di
tasca loro e si sono messi in competizione
diretta con la Star tv di Rupert Murdoch.
Ma è stato un fallimento: non solo la nuova
emittente non è riuscita a scalzare Murdoch, ma le autorità cinesi le hanno vietato
di trasmettere in tutta la Cina continentale.
Distrutta, nel 2003 Yang è stata costretta a
svendere gli impianti: “Quando ho venduto Sun tv”, ricorda, “mi sono sentita come
una madre costretta a dare il iglio in adozione. Ci ho messo anni per superarlo”.
Ma poi lei e Bruno hanno avuto un’idea:
la tv delle donne. A quel tempo, in Cina, i
talk-show al femminile quasi non esistevano. I due hanno ideato una trasmissione
intitolata “Il villaggio di lei”, che aveva come target le giovani donne di città, e di tan-
to in tanto ospitava le conidenze di personaggi famosi. Nato nel 2005, il programma
ha avuto un grande successo, che ha proiettato Yang e Bruno alla guida di uno degli
imperi mediatici privati del paese: secondo
la graduatoria dei cinesi più ricchi stilata
dal sito Hurun, attualmente la coppia vale
al netto 1,1 miliardi di dollari (anche se la
cifra non è documentata).
Sono ormai trent’anni che il governo ha
adottato la politica del iglio unico e molti
in Cina temono di ritrovarsi con un miliardo di bambini viziati. Da madre, anche
Yang diida dei genitori che crescono i igli
nella bambagia, “prima facendogli i compiti, poi comprandogli casa”. Ma i “piccoli
imperatori” della Cina di oggi sono viziati
in un modo tipicamente cinese. È vero che
le madri e i padri li coccolano e li servono,
ma è anche vero che questi igli unici sono
caricati delle aspettative enormi dai genitori che in loro hanno investito tutti i loro
sogni, oltre che i loro soldi. Non è raro,
quindi, che questi bambini, pur viziati, studino e si esercitino ogni santo giorno dalle
7 del mattino alle 10 di sera.
“Per tante donne”, mi ha detto Yang,
“la situazione è davvero triste: tutta la loro
autostima dipende dai voti che i igli prendono agli esami. Delle università straniere
conoscono solo pochi nomi, come Harvard
o Yale, ma non sanno neanche cosa ci s’insegna”.
La regina della ristorazione
Dal 2000, anno d’apertura del ristorante
più prestigioso della catena – situato nel
China world tower, un grattacielo di 81 piani a Pechino – i locali dell’impero South
Beauty sono diventati i templi della convivialità per i cinesi che contano. Al timone
dell’impero e del marchio c’è Zhang Lan,
45 anni, la prima cinese a diventare una ristoratrice celebre, e che emana un umorismo non convenzionale e alla buona.
Nata a Pechino da genitori intellettuali,
Zhang aveva nove anni quando la rivoluzione culturale ha lacerato la sua vita. Insieme a sua madre è stata spedita in un
campo di rieducazione nella provincia rurale dello Hubei. Lì si occupava del porcile:
di notte dormiva sul pavimento di terra
battuta, e la sera, alla mensa, assisteva allo
spettacolo di sua madre obbligata a inginocchiarsi a terra reggendo un cartello in
cui si autodenunciava come dissidente politica.
“A quel tempo la Cina intera era immersa nell’oscurantismo”, mi ha raccontato
Zhang (in cinese perché è l’unica delle mie
quattro intervistate a non parlare inglese).
MArTIN KOLLAr (Vu/EMBLEMA)
MArK LEONg (rEDuX/CONTrASTO)
Zhang Xin, amministratore delegato di Soho China
Zhang Lan al suo Lan Club di Pechino
“Mia madre, però, non ha mai pianto né si
è lamentata neanche una volta”. A sentir
lei, il tempo trascorso al campo le ha insegnato il chi ku, che in cinese signiica “mandar giù bocconi amari”.
Anni dopo la rivoluzione culturale,
quando ha visto suo iglio Xiaofei tremare
per il freddo nel loro alloggio mal riscaldato da una stufa a carbone, Zhang ha giurato
a se stessa che prima o poi sarebbe fuggita
in occidente. Quando, tramite uno zio, ha
avuto la possibilità di andare in Canada,
non se l’è lasciata sfuggire: è partita lasciando il iglio alle cure di sua madre e di
sua nonna. Arrivata a Toronto, il suo unico
obiettivo era quello di mettere da parte
ventimila dollari e tornare in Cina da suo
iglio. Ci sono voluti anni, ma inalmente
ha raggranellato quella cifra facendo una
miriade di lavori part-time, soprattutto come sguattera e donna delle pulizie nei ristoranti: “Per raddoppiare la paga lavoravo
nei ine settimana e nei giorni festivi. Non
ho mai preso un giorno di riposo”.
Tornata a Pechino nel 1990, ha usato il
gruzzolo per avviare un’attività nella ristorazione. Ha cominciato con un piccolo locale, ma ha subito capito una cosa che ad
altri era sfuggita: in Cina c’era ormai un
buon numero di colletti bianchi e di professionisti che cercava locali di un certo tipo
dove l’alta cucina cinese si sposasse con
un’atmosfera occidentale. Oggi l’impero di
Zhang conta più di quaranta locali in tutto
il paese e vale circa 500 milioni di dollari.
Lei continua a esserne presidente ma ultimamente ha lasciato la poltrona di amministratore delegato al iglio Xiaofei.
Zhang è stata una madre severa che
sgridava e sculacciava il iglio se non prendeva il massimo dei voti. Quando Xiaofei
ha compiuto 14 anni l’ha spedito in collegio
in Francia imponendogli di lavorare per
pagarsi la retta. Oggi, madre e iglio sono
molto legati, e lui mi ha ripetuto quanto le
sia grato. Lei ha divorziato da suo padre e
ora vive con il suo compagno, un fotografo
cinese. Quanto a Xiaofei, fa una vita da nababbo: ha trent’anni, guida una Ferrari, ha
fatto un matrimonio da iaba con Barbie
Hsu, un’attrice di Taiwan; insomma, è il
classico ragazzo viziato. In Cina li chiamano fu er dai: sono i rampolli delle famiglie
ultraricche che con il loro stile di vita eccessivo attirano spesso l’ostilità delle persone
comuni. Ma Zhang lo difende afermando
che si è guadagnato ogni centesimo del suo
patrimonio: “Da me ha ereditato i valori e
la personalità”.
I valori sono della massima importanza
anche per Peggy Yu Yu, il cui iglio Xander,
14 anni, non usa le bacchette e fa colazione
ogni mattina da McDonald’s, ma in compenso fa l’attore comico e ha un piccolo
business. Yu, 46 anni, amministratrice delegata della Dangdang, l’impero della vendita al dettaglio online, con un patrimonio
personale valutato 330 milioni di dollari
netti, me lo racconta con malcelato orgoglio mentre prendiamo il tè nel suo uicio
a Pechino: “È un ragazzo molto intraprendente e indipendente. Siamo un modello e
un’ispirazione l’una per l’altro”.
Ma Peggy Yu Yu ha avuto un’infanzia
più dura di Xander. Benché sia sempre stata una studentessa-modello, “per i miei
non facevo mai abbastanza: se in una materia non prendevo 10, erano botte”. Essendo stati perseguitati durante la rivoluzione culturale, i genitori di Peggy hanno
fatto subire a lei quel che avevano subìto:
“Quando facevo qualcosa che non andava,
mi obbligavano a scrivere una lettera di autocritica e l’appendevano al muro”.
Come le altre tre donne che ho intervistato, anche Peggy Yu Yu si può deinire
una hai gui, letteralmente “una tartaruga
tornata a casa”, cioè una cinese rientrata in
patria dopo un periodo in occidente. Ma
non mancano i miliardari che non se ne sono mai andati dalla Cina: hanno una mentalità molto meno cosmopolita e spesso rifiutano di rivelare le fonti della loro ricchezza, soprattutto ai mezzi d’informazione occidentali. Alcuni di loro non hanno
voluto farsi intervistare.
Il primo incontro di Yu con degli occidentali risale a quando studiava all’università di Pechino. A quel tempo le è capitato
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Cina
di fare da tutor a studenti statunitensi in
visita: “Erano così allegri”, ricorda, “che
mi è venuta voglia di conoscerli meglio”.
Poi, nel 1987, Peggy ha avuto l’occasione di
visitare gli Stati Uniti: “Appena ne avevo il
tempo mi attaccavo al telefono della hall
del mio albergo per vedere se c’era qualche
università statunitense disposta ad accordarmi un colloquio… Avevo solo bisogno di
fare il grande balzo dalla Cina agli Stati
Uniti, poco importava dove”, ricorda. E così ha cominciato frequentando l’università
dell’Oregon, e ha proseguito con una laurea alla scuola di amministrazione aziendale Stern dell’università di New York.
Negli Stati Uniti Peggy si è innamorata
del consumismo occidentale: “Se avevo
voglia di scarpe o di vestiti, la scelta era ininita”. In Cina, invece, “fare shopping era
una pena”. Nel 1995, mentre lavorava a
Wall street, le è giunta voce che Amazon
stava cominciando le vendite online: incuriosita, ha comprato qualcosa e da allora lo
shopping in rete è diventato la sua droga.
L’anno seguente, Peggy ha conosciuto
il suo futuro marito, Li Guoqing, ambizioso
che le mie quattro intervistate, salvo Zhang
Lan, hanno potuto contare sull’apporto di
mariti afermati e con buone relazioni in
politica. È anche vero che almeno la politica, in Cina, rimane dominata dai maschi:
nel parlamento e nel comitato centrale del
Partito comunista le donne sono fortemente sottorappresentate. Al punto che molte
ragazze cinesi, persa ogni illusione di affermarsi in un mondo economico che molti giudicano praticabile solo da chi ha i soldi
e le conoscenze giuste, sostengono che per
una donna l’unica speranza è “sposare un
uomo ricco”.
In una trasmissione per cuori solitari di
grande ascolto sulla tv cinese, una modella
ha respinto un corteggiatore simpatico ma
spiantato dicendo: “Preferisco piangere su
una Bmw che ridere sul sellino posteriore
di una bici”. Il China Daily riferisce che in
un sondaggio condotto su più di 50mila cinesi nubili l’80 per cento ha convenuto che
“solo gli uomini che guadagnano più di
quattromila yuan al mese (480 euro) meritano di avere una relazione con una donna”.
Tutte concordano nel dire che in
Cina, almeno nel mondo degli
afari, le donne si muovono su un
piano di parità rispetto agli uomini
editore e imprenditore. La Dangdang
l’hanno fondata insieme a Pechino nel
1999, e all’inizio, come Amazon, vendeva
solo libri, ma piano piano ha allargato l’offerta. “A muovermi non è stato il desiderio
di arricchirmi”, spiega oggi Peggy. “Semplicemente, volevo comunicare agli altri
cinesi la mia bella esperienza con lo shopping online”.
Nonostante il suo amore per gli Stati
Uniti, Peggy Yu Yu ci ha tenuto a spiegarmi
che le cinesi sono avvantaggiate rispetto
alle donne statunitensi: “In Cina, per
esempio, i domestici costano poco e dei
bambini piccoli, per tradizione, se ne occupano i nonni”. Efettivamente, tutte e quattro le donne che ho intervistato concordano nel ritenere che in Cina, almeno nel
mondo degli afari, le donne si muovono su
un piano di parità rispetto agli uomini. Secondo Peggy Yu Yu, “almeno una cosa
buona, questi sessant’anni di comunismo
ce l’hanno data, ed è una vera parità tra i
sessi. I cinesi sono educati in da piccoli a
considerare le donne altrettanto capaci degli uomini”.
È vero, qualcuno potrebbe osservare
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A quanto pare, gli atteggiamenti nei
confronti del sesso e del matrimonio stanno cambiando in tutto il paese. Per molti
aspetti, l’era maoista è stata una deviazione: un’ondata antintellettuale, anticonfuciana e collettivista che ha scosso un paese
dove la famiglia era al centro. Adesso che la
Cina si sta scrollando di dosso la cappa del
comunismo, ha avviato un processo non
solo di occidentalizzazione, ma anche di
risinizzazione, intesa come riscoperta dei
valori tradizionali.
Ma questi valori stanno subendo una
mutazione. La famiglia cinese tradizionale, per esempio, era una piramide con pochi e riveriti anziani al vertice e tante generazioni più giovani alla base. Oggi la famiglia cinese tipica è ancora una piramide ma
rovesciata: alla base c’è un “piccolo imperatore”, iglio unico, per il quale genitori e
nonni perdono la testa e si fanno in quattro.
Al tempo stesso, se l’intensa pressione
competitiva tipica del confucianesimo è
tornata d’attualità, non è così per gli altri
valori confuciani che le facevano da contraltare: l’altruismo, la solidarietà, l’onore
e la rettitudine. Di conseguenza, molti te-
mono che nella Cina uscita dall’era comunista gli unici altri valori saranno la ricchezza e il materialismo.
“Quando eravamo ragazzi”, ricorda
Yang, “da grandi volevamo diventare infermieri, medici, astronauti o insegnanti.
Oggi invece qualsiasi aspirazione nobile è
guardata con sospetto: i ragazzi vogliono
solo diventare ricchi e potenti”. Nel 2009,
nelle scuole di Guangzhou, è stato condotto un sondaggio tra gli alunni a cui è stato
chiesto, tra l’altro, cosa volevano fare da
grandi. La risposta di un’adorabile bambina di sei anni che è stata ripresa in un ilmato difusissimo su internet (prima di essere
bloccato) è stata: “Una funzionaria corrotta”.
La formula magica
La Cina è un paese talmente antico che non
succede mai nulla di nuovo: nei suoi cinque millenni di storia i periodi di corruzione e quelli di esame di coscienza si sono
alternati spesso. Ma ci sono stati anche periodi di apertura cosmopolita e altri in cui
tante persone si sono arricchite velocemente. Né sono mancate igure femminili
molto potenti, dall’imperatrice Wu Zetian
alla moglie di Mao, la calcolatrice Jiang
Qing.
Le quattro donne che ho intervistato,
invece, sono una specie nuova: progressiste, con i piedi per terra, aperte nei confronti dei mezzi d’informazione, per molti
aspetti non rappresentative della Cina né
di ieri né di oggi. Forse sono solo le fortunate vincitrici della grande gara all’arricchimento che si è aperta nel paese negli
anni novanta. Forse, però, quella inestra si
sta già chiudendo. O forse, invece, sono
l’avanguardia di una Cina di là da venire, in
cui le vie del successo sono ancora più
aperte.
In ogni caso, ciascuna di loro ha trovato
un suo modo di realizzare una fusione dinamica tra oriente e occidente, ino a raggiungere un incredibile successo. Magari
ci vorrà ancora molto tempo, ma se la Cina
riesce a trovare la stessa formula, cioè a realizzare il connubio tra il suo straordinario
potenziale economico e i suoi valori tradizionali da una parte, e la capacità d’innovazione, lo stato di diritto e le libertà individuali dell’occidente dall’altra, diventerà
davvero un paese delle opportunità diicile da superare. u ma
L’AUTRICE
Amy Chua insegna legge all’università di Yale.
In Italia ha pubblicato Il ruggito della mamma
tigre (Sperling&Kupfer 2012).
LE DONNE E IL FUTURO
DEL MONDO MUSULMANO
www.librimondadori.it
Bielorussia
A vent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica,
Minsk resiste ancora a ogni apertura democratica.
Ma il regime di Aleksandr Lukashenko è
minacciato da una crisi economica gravissima
Dittatore
al verde
Piotr Smolar, Le Monde, Francia
Foto di Davide Monteleone
na casa anonima e malandata alla periferia di
Minsk. Il bambino di
Anja dorme nel suo passeggino all’aperto, a 15
gradi sottozero. A quanto pare il freddo fa bene alla circolazione. In
cucina l’acqua per il tè bolle in una vecchia
pentola smaltata. Volodia, il fratello di
Anja, è arrabbiato con la nonna, che non è
d’accordo con lui. Volodia vuole convincerci di quella che per lui è un’ovvietà: cioè che
il 2011 è stato un incubo per i bielorussi. La
moneta nazionale, il rublo bielorusso, ha
perso due terzi del suo valore e l’inlazione
ha toccato il 108 per cento. “Però abbiamo
da mangiare”, mormora la babushka, occupata a rammendare un accappatoio rosa.
“Ma che dici?”, riprende il nipote, mentre la
donna si torce le mani inquieta per la presenza di un estraneo in casa sua. “Ma se vivi
di pane e latte cagliato!”. Poi, rivolto a me:
“Venga a vedere il frigorifero”. All’interno
un po’ di burro e barattoli di conserve fatte
in casa con le verdure dell’orto. “L’ultimo
pezzo di carne l’abbiamo comprato un mese fa”.
Anja (che ci ha chiesto di non rivelare il
cognome) ha 25 anni e lavora in un asilo nido. L’unico presidente di cui ha memoria è
Aleksandr Lukashenko, al potere dal 1994.
Anja guadagna 50 euro al mese e vive con la
nonna e il fratello. Volodia fa il tassista, ma
lavora sempre di meno. Ormai nemmeno
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nei giorni più freddi la gente si concede il
lusso di una corsa in taxi.
Il 19 dicembre 2010, la sera delle elezioni che hanno consegnato a Lukashenko il
quarto mandato presidenziale di ila, la curiosità aveva spinto Volodia ad andare a
vedere cosa stava succedendo in piazza Indipendenza, dove si erano raccolti quasi
trentamila manifestanti per protestare contro i brogli elettorali. Ma durante la protesta
Volodia è stato arrestato insieme a centinaia di altre persone, tra cui i leader dell’opposizione. Ha passato quindici giorni in una
cella con altre sette persone. Un’esperienza
che lo ha deinitivamente allontanato da
batka, il padre del popolo, come i bielorussi
chiamano Lukashenko. “Fino a due o tre
anni fa tutti i pensionati, le persone come
mia nonna, votavano per Lukashenko perché aveva aumentato le pensioni. Oggi nessuno lo sostiene più, a parte un piccolo
VII
U
Il presidente Aliaksandr Lukashenko alla tv bielorussa nel 2006
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Bielorussia
gruppo di fanatici”. I bielorussi sono rimasti a lungo abbagliati da un miraggio che
aveva un nome preciso: stabilità. Lontana
dalle convulsioni della Russia degli anni
novanta, Minsk ha dato vita a un sistema
politico in cui i cittadini erano protetti e inquadrati da uno stato onnipotente. Ancora
oggi il settore privato rappresenta meno del
30 per cento dell’economia, e anche in questo campo la presenza dello stato è imponente.
Subito prima delle ultime presidenziali
il regime ha deciso di aumentare generosamente gli stipendi e le pensioni. Questa
manovra populista, messa in atto con le
casse dello stato vuote e l’economia in
grande diicoltà, è stata la goccia
che ha fatto traboccare il vaso.
Dal marzo del 2011 il rublo bielorusso ha cominciato a perdere
valore. Ma invece di ricorrere alla
svalutazione il regime ha adottato una linea ambigua, alimentando la paura. Migliaia di persone hanno preso d’assalto gli uici di cambio per avere valuta pregiata. “Per sette mesi, fino al settembre
2001, abbiamo vissuto un periodo di follia
amministrativa”, spiega l’economista Sergej Chaly. “Invece di adottare il più rapidamente possibile un tasso luttuante per il
rublo, le autorità hanno mantenuto a lungo
un tasso artiiciale per evitare che i redditi
reali crollassero. Poi siamo tornati alla realtà, alla solita ineicienza della nostra economia. I trecento dollari dello stipendio
medio sono quello a cui possiamo aspirare.
Non abbiamo tempo da perdere, servono
delle riforme radicali”.
Questo ritorno alla realtà è stato possibile grazie all’aiuto di un generoso e interessato benefattore, la Russia. La Bielorussia oggi somiglia a un drogato alla ricerca
del denaro necessario per la sua dose quotidiana. Ma il denaro non può salvare il paese: gli può permettere al massimo di arrivare a ine giornata, senza impedire una lenta
decomposizione. “La situazione è migliorata rispetto a qualche mese fa”, riconosce
l’economista Oleg Romančuk, che è stato
candidato alle ultime presidenziali. “Ma è
solo un miglioramento temporaneo.
Quest’anno dobbiamo rimborsare 12 miliardi di dollari. E le nostre riserve in valuta
estera e in oro sono di otto miliardi”.
Di recente la rappresentante del Fondo
monetario internazionale a Minsk ha ammesso la sua perplessità di fronte alle previsioni uiciali di crescita per il 2012, che il
governo stima al 5,5 per cento. Un modo
educato per dire: le cifre sono ancora più
ostinate di voi, la festa è inita. Il governo ha
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preparato una lista di imprese da privatizzare per un valore complessivo di 2,5 miliardi di dollari. La vendita dei gioielli di famiglia continua senza pensare al futuro.
Un grande kolchoz
Il mercato di Zanoviči è un enorme spazio
commerciale nella parte meridionale di
Minsk: banchi di carne, frutta e verdura, ma
anche elettronica e abbigliamento. Quello
che colpisce sono i prezzi, molto alti per gli
standard bielorussi. Un chilo di carne di
manzo costa l’equivalente di sei euro.
Nei bar e nei ristoranti di Minsk una triste gioventù balla al ritmo di musica molto
cadenzata. Ragazze belle e slanciate intrattengono grassi stranieri di passaggio, che ricambiano a modo
loro: con cocktail, soldi e gioielli.
Scappare, andare via, ovunque,
possibilmente in Russia, dove
tutto sembra migliore. Anche i
giovani imprenditori, stanchi di una burocrazia avida e onnipresente, preferiscono
trasferirsi dall’altra parte della frontiera. “A
Mogilev, dove sono nato, ci sono agenzie
che reclutano lavoratori da mandare in
Russia per qualche mese”, spiega Dzianis
Meljantsu, dell’Istituto bielorusso per gli
studi strategici (Biss). “Il regime è soddisfatto: questi lavoratori mandano soldi a
casa e non partecipano alle proteste”.
Andrei Karpunin, da 13 anni proprieta-
Da sapere
u Indipendente dal 1991, la Bielorussia è
governata dal 1994 da Aleksandr
Lukashenko. Dopo le presidenziali del 19
dicembre 2010, che hanno dato a Lukashenko il
quarto mandato, migliaia di persone hanno
manifestato a Minsk per protestare contro i
brogli e chiedere nuove elezioni. La repressione
è stata durissima: centinaia di persone, tra cui
alcuni candidati alla presidenza, sono state
arrestate. Il 14 aprile Lukashenko ha deciso a
sorpresa di concedere la grazia e la libertà ad
Andrei Sannikov, candidato alle presidenziali
del 2010 e condannato dopo il voto a 5 anni di
reclusione per aver organizzato manifestazioni
non autorizzate, e a un suo collaboratore.
u Nel 2011 il paese – la cui economia è ancora in
gran parte sotto il controllo dello stato – è stato
colpito da una grave crisi economica, legata
in parte all’aumento della spesa pubblica alla
vigilia del voto del 2010. L’inlazione ha toccato
il 108 per cento e il rublo bielorusso ha perso
un terzo del suo valore. Negli ultimi mesi,
anche grazie agli aiuti russi, la situazione si è
stabilizzata e la banca centrale ha deciso di
tagliare il costo del denaro. Tra gennaio e
marzo l’inlazione è stata dell’1,5 per cento su
base mensile.
rio della società Registr, è un importante
imprenditore che si occupa di editoria, immobili e pubblicità. Il suo successo sembra
inarrestabile nonostante il rallentamento
dell’economia. A 36 anni Karpunin si dice
pessimista, anche se preferisce non sbilanciarsi troppo. Solo un mese fa un’intera
équipe di programmatori lo ha abbandonato per trasferirsi a Mosca. “Non posso fabbricare soldi”, sospira. “Non ho licenziato
nessuno dei miei dipendenti che avevano
manifestato contro il regime nel 2010. Anzi, ho dato 15 giorni di ferie a chi era stato
arrestato e aveva passato il capodanno lontano dalla famiglia”. Quando i suoi dipendenti sono usciti di prigione, Karpunin è
andato ad aspettarli con una bottiglia di cognac.
Karpunin viaggia spesso. Si guarda attorno ed è molto preoccupato per quello
che vede. Per le riforme, sostiene, non c’è
tempo da perdere. “Il problema non è tanto
sapere se a guidare il paese sarà Lukashenko da solo o in tandem con il presidente russo Vladimir Putin. L’attività delle imprese è
sottoposta al controllo di 80 diversi enti
pubblici”, sospira Karpunin. “Se usano la
forza, vuol dire che sono i servizi di sicurezza. Se si presentano con il sorriso sulle labbra, allora si tratta del isco. Ma siamo comunque più tranquilli di tre anni fa, quando
il regime aveva esplicitamente deciso di
impadronirsi del 10 per cento dei redditi di
ogni impresa”. Karpunin pensa che l’attuale periodo di relativa stabilità, arrivato dopo
il caos del primo semestre del 2011, stia per
inire. “Entro breve il governo dovrà trovare i inanziamenti per il settore agricolo,
almeno 15 miliardi di rubli. Ma questi soldi
non ci sono. E in qualche modo bisognerà
trovarli”. La conseguenza potrebbe essere
un nuovo ciclo inlazionistico.
Abbiamo voluto vedere da vicino uno
dei progetti faro del regime di Lukashenko,
gli agrogorodki: degli insediamenti rurali
voluti per rilanciare l’agricoltura ed evitare
lo spopolamento delle campagne. Lukashenko punta a costruirne 1.500. Per visitare Žuravliny, vicino Brest, nell’ovest del
paese, bisogna chiedere l’autorizzazione
alla direzione della struttura, che riunisce
tre villaggi. Nell’area, precisa il sito web
della struttura, ci sono tre scuole medie e
superiori, due materne, tre palazzi della
cultura, due cliniche e tre chiese ortodosse.
Il problema è che per vederle bisogna ottenere l’autorizzazione del dipartimento per
il lavoro ideologico del distretto. Un permesso che non arriverà mai.
Il regime, intanto, alimenta una visione
idilliaca del popolo bielorusso, puro e inno-
VII
Una contadina nella zona chiusa dopo l’incidente di Cernobyl nel 2006
cente, e in particolare di quello rurale, attaccato alle tradizioni, alla terra e ai vecchi
valori. Lukashenko è il direttore di quel
grande kolchoz che è il paese e i cittadini sono i suoi dipendenti. Il regime bielorusso
ha superato lo stadio del comunismo. Del
passato ha conservato solo il dirigismo, il
controllo delle masse e le vie dedicate agli
eroi sovietici. In ogni fabbrica, in ogni kolchoz, in ogni amministrazione, il capo ha un
addetto al lavoro ideologico. Ma di ideologia non c’è traccia: si tratta solo di individuare gli oppositori e chi crea problemi.
La Bmw dell’oligarca
Tuttavia, spesso sono proprio quelli che
non ilano dritto gli unici che riescono a rimanere in piedi. Nella città di Mikaševičij,
a duecento chilometri da Minsk, incontriamo alcune di queste persone. Il cuore pulsante della città è l’azienda Granit, il cui
nome lascia facilmente intuire il settore di
attività. Nel dicembre 2011 in questa impresa, molto redditizia, si è veriicato un evento incredibile, che i mezzi d’informazione
nazionali hanno volutamente ignorato.
Duecento operai (su tremila) hanno deciso
di creare un nuovo sindacato. Chiedevano
stipendi più alti e relazioni migliori con la
dirigenza. Questa decisione è stata accom-
pagnata da un aperto gesto di sida: gli operai hanno chiesto di uscire dal sindacato
ufficiale, la Federazione dei sindacati di
Bielorussia, che ha quattro milioni di iscritti e si articola in migliaia di organizzazioni
locali. La Federazione è molto ricca: possiede alberghi, strutture mediche e sportive.
Ed essendo la prima partner dello stato, se
non una sua diretta appendice, non è particolarmente attiva nella difesa dei suoi
iscritti.
A dicembre, quando il movimento ha
cominciato a crescere considerevolmente,
le pressioni sui lavoratori ribelli si sono fatte
sempre più forti. E, considerato che i rimproveri non sembravano bastare, la direzione ha organizzato degli incontri individuali.
Molti operai sono stati minacciati e alla ine
ottanta lavoratori hanno ripreso la tessera
della Federazione. Il leader dei contestatori, Oleg Stakhaievic, autista di camion, ha
subìto una strana procedura per infrazione
al codice della strada. Accusato di non aver
dato la precedenza a un pedone e di aver
guidato in stato di ebbrezza, oggi rischia la
sospensione della patente, e quindi il licenziamento. Ma Stakhaievic non è tipo da lasciarsi intimidire e l’avvicendamento di alcuni dirigenti di punta alla Granit è stato
per lui una prima vittoria.
La strada da Minsk a Mikaševičij è dritta
ma in pessime condizioni. Quando arriviamo a destinazione c’è un pallido sole che dà
un certo fascino alle vecchie casette in legno, aiancate da ediici in mattoni più recenti ma piuttosto malridotti. Passiamo
accanto a un monumento che celebra i partigiani della seconda guerra mondiale, a
una statua di Lenin, a un cane randagio e a
qualche antenna parabolica. In lontananza
si staglia nel cielo una ciminiera della Granit. Nei pressi dello stabilimento ci sono i
palazzi degli operai, di colore grigio sporco
e piuttosto deprimenti, ma ben riscaldati.
Nell’appartamento di Anatoli Litvinko,
36 anni, incontriamo alcuni dei dissidenti.
“Per ora siamo come dei conigli che corrono in tutte le direzioni senza meta”, dice
Litvinko. “Vogliamo un riconoscimento
uiciale e una sede, come prevede la legge”. Il gruppo parla senza problemi delle
condizioni di lavoro, in continuo peggioramento. “Ma non vogliamo fare politica, altrimenti zac!”, mette subito in chiaro Dmitrij, che preferisce non rivelare il cognome,
passandosi il pollice sulla gola: “Qui tutti si
conoscono. Se qualcuno protesta, la moglie
o il padre rischiano il licenziamento”.
Dmitrij lavora alla Granit da quindici
anni. Guadagna circa 250 euro al mese. E,
come tutti gli altri, quando cucina le polpette aggiunge alla carne, ormai carissima,
sempre più pane secco. Aleksandr Kushnerevic, un ragazzo loquace di 27 anni, prende
uno stipendio più alto. Guida un camion
nuovo da 55 tonnellate e lavora moltissimo.
“La corruzione è tale che non riesco ad avere nemmeno i soldi per i pezzi di ricambio”,
spiega. “E poi le condizioni meteorologiche
sono durissime. Si può dire che siamo come
dei kamikaze. D’estate nelle cabine, che
non hanno l’aria condizionata, la temperatura arriva a 50 gradi. D’inverno i denti delle ruspe elettriche si rompono per il gelo”.
Prima di diventare padre e di accollarsi
il mutuo dell’appartamento, Aleksandr non
si faceva molti problemi: “Vivevo per divertirmi”. Ha anche votato per Lukashenko, in
segno di riconoscimento per i suoi 800 euro mensili di stipendio, che nel 2001 gli
hanno permesso di comprare una vecchia
Bmw. Un’auto che gli ha attirato non poche
battute ironiche da parte degli amici. Il suo
soprannome è “l’oligarca”. Oggi, tuttavia,
Aleksandr è molto arrabbiato: contro le autorità, contro i dirigenti della Granit e contro il comune, che si disinteressa dei bisogni
delle famiglie. Per l’arcaico regime bielorusso, l’opposizione più pericolosa è quella
dei suoi igli, che non riesce più a nutrire
dignitosamente. u adr
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Medio Oriente
La lunga marcia
dei Fratelli
The Economist, Gran Bretagna. Foto di Francesca Leonardi
Per la prima volta nella loro storia, i Fratelli musulmani hanno vinto le elezioni
in vari paesi arabi. Hanno rinunciato alla violenza e alle idee più radicali,
ma ora li aspetta la sida del governo. L’analisi dell’Economist
n’onda verde si sta allungando sul mondo arabo,
e non perché i suoi grandi deserti si stiano ritirando. Il verde è il colore
dell’islam, e i movimenti
musulmani sono stati quelli che hanno ottenuto i maggiori beneici dalle rivolte del
2011. Non tutti sono cresciuti allo stesso
modo. Nella regione che va dall’oceano
Atlantico al golfo Persico, a maggioranza
sunnita, non se la sono cavata bene né gli
estremisti che s’ispirano ad Al Qaeda né i
sostenitori di una teocrazia in stile iraniano
né gli islamici progressisti. I successi maggiori li hanno ottenuti i partiti moderati, vicini ai Fratelli musulmani, che preferiscono
i cambiamenti graduali a quelli rivoluzionari e sono più attenti all’identità e all’etica
islamica che all’introduzione di rigide norme dettate da Dio.
I partiti allineati con i Fratelli musulmani dominano la scena politica in Egitto e in
Tunisia, dove hanno ottenuto quasi la metà
dei seggi in parlamento nelle prime elezioni
dopo la rivoluzione. Per evitare di fare la ine dei presidenti di questi due paesi, re Mohammed VI ha rafforzato la Fratellanza
anche in Marocco, nominando come primo
ministro Abdelillah Benkirane, leader del
Partito per la giustizia e lo sviluppo. Le milizie islamiche sono state tra le più eicaci
nella guerra in Libia, e alcuni gruppi armati
di simile ispirazione stanno giocando un
ruolo di primo piano in Siria.
Dal punto di vista politico i Fratelli musulmani (ikhwan in arabo) non sono dei no-
U
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
vellini. In Giordania il Fronte di azione islamico, braccio politico della Fratellanza locale, è stato per decenni il partito più forte
del paese, dove ricopriva il ruolo dell’opposizione rispetto al governo nominato dal re.
Il Partito islamico iracheno ha continuato a
esistere sia sotto Saddam Hussein sia dopo
l’invasione statunitense nel 2003. Le sezioni della Fratellanza in Algeria, in Bahrein,
in Kuwait e nello Yemen hanno mantenuto
in dagli anni novanta una solida rappresentanza in parlamento. Il Fronte nazionale
islamico, braccio politico degli ikhwan in
Sudan, appoggiò il colpo di stato del 1989 e
ottenne in cambio un bel po’ di seggi parlamentari.
In Palestina il Movimento di resistenza
islamico, meglio conosciuto come Hamas,
deriva da un’istituzione beneica dei Fratelli musulmani attiva in Cisgiordania e
nella Striscia di Gaza. Nelle elezioni del
2006 Hamas ha sconitto Fatah, il principale partito palestinese. Quando il governo
controllato da Hamas non è stato ricono-
Le rivolte arabe hanno
favorito i partiti
moderati, più attenti
all’identità e all’etica
islamica che
all’introduzione di
norme rigide
sciuto dall’occidente, il partito islamico ha
assunto il controllo della Striscia di Gaza.
La capacità di sopravvivenza di Hamas, di
fronte agli attacchi israeliani e alle condanne a livello internazionale per i suoi atti di
terrorismo, è un’ulteriore dimostrazione di
quanto siano profonde le radici della Fratellanza.
Il rovescio della medaglia
Dopo la primavera araba alcuni governi occidentali sembrano più disposti a dialogare
con i Fratelli musulmani. Molti diplomatici
si sono afrettati a incontrare Mohamed Badie, la guida generale degli ikhwan egiziani,
quando ha inaugurato il suo uicio al Cairo.
Alla ine di gennaio del 2012 Badie si è fatto
fotografare mentre salutava con una calorosa stretta di mano Anne Patterson, l’ambasciatrice statunitense in Egitto. Questo
gesto è doppiamente signiicativo: da un
lato, gli Stati Uniti avevano sempre evitato i
contatti con i Fratelli musulmani; dall’altro,
Badie ha dimostrato che i Fratelli non hanno un atteggiamento moralista e puritano
nei confronti delle donne.
Tutto questo signiica dunque che la società segreta nata in Egitto nel 1928 sta inalmente per realizzare i suoi sogni? Nel
1938 il fondatore del movimento, Hassan al
Banna, salì sul palco di un raduno al Cairo
per proporre di unire gli stati sorti dalle ceneri dell’impero ottomano. “L’islam non
conosce frontiere né ammette distinzioni
di razza o di sangue, ma considera tutti i
musulmani come parte di un’unica umma
(comunità)”, sosteneva Banna.
CoNTrASTo
Il leader dei Fratelli musulmani egiziani Mohamed Badie, al centro della
foto, all’inaugurazione di una libreria
del Cairo nell’aprile del 2011
Nel 1949, l’anno in cui Banna fu assassinato, la Fratellanza aveva già centinaia di
migliaia di seguaci in sei paesi diversi. Secondo i piani del fondatore, gli appartenenti alla congregazione avrebbero dovuto nominare un organismo globale per eleggere
un nuovo califo, che sarebbe andato al potere al posto del sultano ottomano, spodestato dagli europei.
Alcuni ideologi della Fratellanza aspira-
no ancora alla rinascita di un impero panislamico. “Ma prima dobbiamo mettere
ordine nelle nostre case”, ammette Jamal
Hourani, un dirigente del Fronte di azione
islamico giordano.
A giudicare da quello che succede al
Cairo dovranno aspettare un po’. Nonostante il successo elettorale, i Fratelli musulmani egiziani non possono stare ancora
tranquilli. Alla ine di gennaio, durante una
manifestazione al Cairo per commemorare
l’anniversario della rivoluzione, il gazebo
che ospitava gli oratori della Fratellanza era
circondato da persone che contestavano
Badie. I laici accusano i Fratelli musulmani
di aver stretto un accordo con i generali
dell’esercito, riemersi dall’ombra dopo la
caduta del vecchio regime. Secondo alcune
voci, in cambio di una libertà totale nella
legislatura, i Fratelli avrebbero accettato di
prolungare la durata dello “stato nello stato” formato dai militari. Tuttavia, rimane il
fatto che neanche i generali si idano degli
ikhwan e che cercano di indebolirli in ogni
occasione.
Dal canto loro, gli islamici progressisti
accusano i Fratelli egiziani di sterilità ideologica, di avere una struttura di comando
troppo rigida e di privilegiare gli accordi
sottobanco. Invece gli interpreti più rigidi
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
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Medio Oriente
dell’islam, i salaiti, che alle elezioni hanno
conquistato un sorprendente secondo posto dietro i Fratelli musulmani, accusano gli
ikhwan di annacquare il loro programma
basato sull’islam per rassicurare l’occidente. I salaiti si lamentano inoltre di essere
stati ignorati dalla Fratellanza, che preferisce coalizzarsi con i laici.
In Egitto i Fratelli musulmani stanno
scoprendo che il potere porta con sé un peso non indiferente. Non sono i soli. Quando i partiti degli ikhwan hanno lasciato la
politica d’opposizione e sono entrati nel governo, quasi tutti hanno dovuto afrontare
diicoltà simili. Pochi anni dopo il colpo di
stato in Sudan del 1989, il generale Omar al
Bashir ha estromesso dal potere la Fratellanza, incarcerando i suoi leader.
Gli esperti di politica palestinese fanno notare che all’inizio di
febbraio del 2012, proprio mentre
i Fratelli raggiungevano il potere
negli altri paesi, il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshal, ha irmato un
accordo per sostituire il governo di Gaza
con uno di unità nazionale guidato dal leader di Fatah, Abu Mazen. In Kuwait e in
Bahrein, le uniche monarchie del golfo Persico che hanno dei parlamenti attivi – ma
fortemente limitati nei loro poteri – i Fratelli musulmani non sono riusciti a creare un
fronte unito con gli altri gruppi islamici,
perdendo terreno a favore di avversari più
inluenti dal punto di vista tribale o religioso. Per ragioni simili, i partiti ispirati alla
Fratellanza conquistano pochi seguaci e
ottengono scarsi risultati elettorali nei complessi scenari politici di Algeria, Iraq e Yemen.
Un’analisi più approfondita del funzionamento dell’organizzazione potrebbe
contribuire a dissipare i timori legati alla
possibile nascita di un impero arabo governato dai Fratelli musulmani. Gli ikhwan
hanno una tanzim al alami, un’organizzazione globale, che è formata da almeno due
rappresentanti per ognuna delle loro comunità sparse per il mondo. Il leader simbolico
è la guida suprema egiziana e per tradizione
i rappresentanti di livello più basso baciano
la sua mano destra. Alcuni sperano che la
tanzim possa servire da ombrello istituzionale quando verrà creata una più stretta
confederazione di stati arabi.
In realtà l’organizzazione globale esercita un’autorità piuttosto blanda. Invece di
seguire un modello unico, gli uici esecutivi nei vari paesi gestiscono le loro organizzazioni in modo diverso e usano meccanismi di inanziamento diferenti. “Gli egiziani non interferiscono negli afari dei pale-
62
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
stinesi”, spiega Mahmoud Musleh, un parlamentare di Hamas a Ramallah. In Tunisia, Rachid Ghannouchi, il leader del partito Ennahda, legato ai Fratelli musulmani,
ha dichiarato di voler tollerare sia l’alcol sia
i bikini e che il governo continuerà a permettere la prostituzione. Tutto il contrario
di quanto promesso dalla coninante sezione libica, in continuità con le politiche del
colonnello Muammar Gheddai.
In passato alcuni rami della Fratellanza
si sono scontrati violentemente. Nel 1990
l’invasione irachena del Kuwait divise per i
dieci anni successivi la comunità musulmana in fazioni a favore e contro l’Iraq.
I Fratelli musulmani siriani, in esilio dopo i massacri del regime baathista negli anni ottanta, hanno a lungo rimproverato ad Hamas di aver mantenuto il quartier generale a Damasco.
Le strategie con cui la Fratellanza si è preparata ad andare al
potere hanno reso ancora più profonde le
divisioni geograiche. Per spingere re Abdallah II ad ammetterla al governo, i Fratelli giordani hanno annunciato la separazione
formale dalla controparte palestinese, dimostrando di anteporre gli interessi della
Giordania a quelli della Palestina.
La fonte di tutti i problemi
I sospetti nei confronti degli ikhwan difusi
in occidente sono condivisi dai dittatori ancora al potere nei paesi arabi. Nayef bin Abdul Aziz, il potente ministro dell’interno ed
erede al trono saudita, rimprovera ai Fratelli musulmani la scarsa gratitudine dimostrata per l’accoglienza che hanno ricevuto
durante le persecuzioni nel passato. Nayef
è noto anche per aver detto che i Fratelli
musulmani sono “la fonte di tutti i problemi
nel mondo arabo”. I ricchi governanti degli
Emirati Arabi Uniti mantengono un tacito
ma rigido bando contro gli ikhwan.
Perino ora, mentre cercano di promuovere un’immagine moderata, i Fratelli musulmani non sembrano perfettamente a
loro agio quando devono condividere il potere. I leader di Hamas nella Striscia di Gaza, responsabili nel 2007 del rovesciamento
di un governo di unità nazionale in carica
da tre mesi, potrebbero ancora impedire un
accordo di riconciliazione che riuniichi le
due metà della Palestina. In Tunisia Ennahda ha appoggiato la nomina di un presidente laico, Moncef Marzouki, ma ha tenuto
per sé i ministeri più importanti.
In ogni caso la Fratellanza si presenta
come un movimento istituzionale, non come una copertura per un gruppo di megalomani. Le sezioni locali svolgono elezioni
interne e fanno ruotare i loro capi. Questi
uomini (e qualche donna) hanno spesso dimostrato di essere politici pragmatici, abili
a siglare accordi per raforzare il movimento. In Egitto hanno trovato il modo di collaborare con la giunta militare. In Giordania
si sono oferti di ricoprire incarichi di governo, con o senza elezioni. In tutto il mondo
arabo professano l’adesione a una democrazia in stile turco, ai diritti civili e al libero
mercato. Per dimostrare la loro tolleranza, i
leader dei Fratelli egiziani hanno partecipato all’ultima messa di Natale nella cattedrale copta del Cairo. Inoltre cercano di mostrare un po’ di sensibilità per le questioni di
genere: in Tunisia l’80 per cento delle don-
Da sapere I Fratelli musulmani nel mondo arabo
Egitto Fondata nel 1928 da
Hassan al Banna, la società
segreta dei Fratelli musulmani
(ikhwan) è bandita nel 1954 e,
salvo rare eccezioni,
perseguitata ino alla caduta
di Hosni Mubarak. Alle ultime
elezioni il Partito per la libertà
e la giustizia, legato ai Fratelli,
ottiene il 37,5 per cento di
seggi in parlamento.
Giordania La Fratellanza
nasce nel 1940, viene
riconosciuta come
organizzazione beneica nel
1946 e già negli anni quaranta
fa parte del governo. Il Fronte
d’azione islamico nasce nel
1992. Le relazioni con la
monarchia peggiorano sotto
l’attuale re.
Libia Nata nel 1949, la società
dei Fratelli musulmani è
messa al bando da Muammar
Gheddai. Il 3 marzo 2012
nasce il Partito per la giustizia
e la costruzione, legato agli
ikhwan.
Marocco I Fratelli
partecipano alle elezioni dal
1998. Il loro partito guida
l’attuale governo.
Territori palestinesi La
sezione palestinese dei
Fratelli musulmani nasce nel
1946. Nel 1987 fonda Hamas,
che vince le elezioni nel 2006
e mantiene il controllo sulla
Striscia di Gaza dal 2007.
Sudan La Fratellanza
sudanese viene creata nel
1954. Il partito Fronte
nazionale islamico appoggia il
golpe del 1989, ottenendo
incarichi di governo.
Siria I Fratelli musulmani
sono al bando dal 1963. Dal
1980 chi fa parte
dell’organizzazione rischia la
pena di morte. Gli ikhwan
partecipano alle rivolte del
1982, culminate nel massacro
di Hama. Oggi sono in esilio.
Tunisia Il partito Ennahda
nasce nel 1981 ma è bandito
nel 1992. Alle elezioni del 23
ottobre 2011 ottiene il 41 per
cento dei seggi all’assemblea
costituente.
The Economist
Il Cairo, aprile 2011. A una conferenza dei Fratelli musulmani
Egitto
La candidatura
sbagliata
Issandr el Amrani,
The National,
Emirati Arabi Uniti
n Egitto il processo di transizione verso la democrazia cade a
pezzi sotto il peso delle sue contraddizioni. Da una parte, un tribunale ha bloccato i lavori dell’assemblea costituente dominata dai partiti
islamici. Dall’altra, le complicate regole per partecipare alle elezioni
presidenziali del 23 e 24 maggio rischiano di escludere dalla competizione i candidati più popolari, tra cui
quello dei Fratelli musulmani.
In un primo tempo i Fratelli avevano dichiarato che non avrebbero
presentato un candidato alle presidenziali e hanno espulso dall’organizzazione chi, come Abdel Moneim
Abul Futuh (anche lui in corsa per la
presidenza), si era opposto a questa
decisione. Poi hanno cambiato idea
e hanno deciso di schierare il loro
uomo forte, Khairat al Shater, la cui
candidatura è stata bloccata dalla
commissione elettorale per le presidenziali. La decisione di presentare
Shater non è stata una mossa per
salvare la democrazia, ma il frutto di
un calcolo: se i Fratelli riuscissero a
controllare anche la presidenza
avrebbero ancora più potere per opporsi ai generali, che non sembrano
disposti a lasciare la guida del paese.
Inoltre i Fratelli hanno infranto
le speranze di chi pensava che sarebbero stati una forza politica inclusiva, in grado di unire i civili contro i militari. Poche settimane fa
l’organizzazione non si è nemmeno
preoccupata di discutere con l’opposizione non islamica la composizione dell’assemblea costituente (causando il boicottaggio dei lavori della
costituente da parte di laici e copti).
I Fratelli hanno dimostrato di essere
rivoluzionari solo quando gli conviene. Agli occhi della popolazione cominciano a sembrare cinici e assetati di potere. u
CONTrASTO
I
ne che sono entrate nell’assemblea costituente è stato candidato con i partiti islamici. Meshal, il leader di Hamas in esilio, ha
promesso di aggiungere una donna al suo
uicio politico, composto da nove uomini.
Tutto sommato, la regione avrebbe potuto avere governi peggiori. Nonostante
Hamas sia nota per usare il terrorismo come forma di lotta, il partito ha governato la
Striscia di Gaza meglio di Fatah. Le sue forze di sicurezza sono più disciplinate, le strade sono più sicure e i burocrati più eicienti
e meno corrotti.
Gli iscritti alla Fratellanza sono in gran
parte professionisti, non dei religiosi, e
istintivamente sono poco inclini a concedere a questi ultimi un potere eccessivo. Per
quanto riguarda l’imposizione della sharia,
sono signiicative le dichiarazioni di Yusuf
al Qaradawi, il predicatore di Al Jazeera
considerato una delle autorità religiose preferite dalla Fratellanza. Secondo Qaradawi
l’applicazione della legge coranica in Egitto
dovrà aspettare almeno cinque anni. Bisogna notare inoltre che, dopo cinque anni di
governo nella Striscia di Gaza, Hamas ha
sostanzialmente mantenuto le strutture e le
leggi esistenti, apportando solo qualche
piccolo cambiamento. Ora che l’assedio di
Israele è diventato meno pesante, anche il
controllo sociale si è attenuato. Il ministro
dell’interno ha proibito a uomini e donne di
farsi vedere insieme in pubblico e a queste
ultime di fumare il narghilè in pubblico, ma
nei nuovi resort sulla spiaggia tutto questo
avviene alla luce del sole.
In tutto il mondo arabo i Fratelli musulmani hanno lavorato sodo, con anni di duro
impegno sociale e diicili battaglie politiche, per raggiungere le stanze del potere.
“È stato come tenere un bufalo legato a un
palo coniccato per terra”, racconta uno dei
nuovi parlamentari dei Fratelli musulmani
in Egitto che, come molti dei suoi colleghi,
è stato imprigionato e costretto all’esilio
all’epoca di Mubarak. “Il governo cercava
di inchiodarlo al suolo, ma noi continuavamo a disseppellirlo”.
Questa paziente dedizione potrebbe essere proprio quello che serve ai nuovi governi dei paesi arabi, che devono afrontare
gravi problemi sociali ed economici. Inoltre, il fatto che la Fratellanza sia cresciuta
attraverso le elezioni e la lotta politica fa
sperare che la corrente riformista dell’islam
politico avrà la meglio sull’impetuosa e vana corsa alle armi che ha caratterizzato i
gruppi islamici rivoluzionari, dall’assassinio del presidente egiziano Anwar al Sadat,
nel 1981, ino ad Al Qaeda. u gim
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63
Portfolio
on chi è stato partigiano e
ha scelto di non dimenticare il peso di un’intensa
gioventù vissuta “contro”,
Danilo De Marco ama sedersi a tavola, condividere
la bottiglia, chiedere, ascoltare, discutere
faccia a faccia. Alla ine li fotografa. Con i
resistenti si può fare, con la resistenza no.
La resistenza è astratta, non parla, non beve
con te un bicchiere di vino, tende a farsi celebrare, la sua fotograia è una ila di autorità che si prendono sul serio. Nell’incontro
con questi vecchi, poco propensi a essere
mattoni del monumento al 25 aprile, capisci
che c’è poco da celebrare, perché la loro resistenza non è racchiusa nei due o tre anni
di lotta clandestina, ha tempi lunghi e itinerari complessi. Qui non siamo tra i resistenti che nel dopoguerra hanno trovato sistemazione; la loro dimensione internazionalista è un miscuglio di sradicamenti obbligati, svolte improvvise, percorsi penosi e
diicili rientri: gli anni di esilio a Praga del
Cid (Sergio Cocetta), la Germania Est per
Maxi (Leopoldine Elizabeth Morawitz Jäger), il Canada per Lakis (Apostolis Santas),
l’Ungheria di Nikos e Argiro Kokovulis, le
miniere del Belgio per Colombo (Vincenzo
Cevolatti), prima tappa di un viaggio che lo
ha portato in Indocina, Algeria e Marocco.
Cid, Colombo, Rado, Riki, Lino, Furia,
L’abbé, Amazzone, Lupo, Andrea, Mosè,
Sylvie, Johnny, Takle, Germann, Andrej,
Fiamma, Barone rosso: la scelta di un nome
di battaglia non era dettata solo dalle convenienze della clandestinità; passare da un
nome all’altro era come passare una frontiera: la capacità di vivere identità diverse
restando se stessi. Storie complesse, in tutta Europa. “Un partigiano deve tenere i suoi
bagagli sempre pronti”, è la lezione del Cid
a Danilo, che l’ha imparata.
Alcune settimane fa l’immagine di Manolis Glezos ha fatto il giro del mondo: un
bel vecchio di novant’anni in piazza ad Atene, a manifestare davanti al parlamento e a
prendere manganellate dalla polizia. Settant’anni prima, a diciannove anni, la notte
del 30 maggio 1941 Manolis era salito
sull’Acropoli con l’amico Apostolis, si erano
arrampicati sul Partenone e avevano strappato dal pennone l’enorme bandiera nazista. Un gesto gridato, a vincere il senso
d’impotenza per un’invasione che sembrava intoccabile. Ma era solo l’inizio, perché
la loro resistenza è andata poi ben oltre la
guerra. Su Manolis sono piovute 28 condanne (tre a morte), ha conosciuto i muri della
prigione, l’amaro del confino, le aule del
C
I partigiani
di un’altra
Europa
Il fotografo Danilo De Marco ha ritratto quasi un migliaio
di combattenti della seconda guerra mondiale. I loro occhi
ci invitano a non dimenticare, scrive Gian Paolo Gri
continua a pagina 69 »
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Sopra: Simone Ducreux, francese. Con il
nome di battaglia di Sylvie, ha partecipato
alla liberazione di Parigi. Nella pagina
accanto: Manolis Glezos, greco, 89 anni.
Durante la seconda guerra mondiale ha
partecipato alla resistenza contro
l’occupazione tedesca e italiana. Nel 1942
è stato catturato e torturato dai nazisti. Nel
1948, durante la guerra civile, è stato
arrestato e condannato a morte, ma la
sentenza non è stata eseguita, anche
grazie a una mobilitazione internazionale.
È inito nuovamente in prigione durante il
regime dei colonnelli. È stato anche
deputato al parlamento greco e a quello
europeo. Negli ultimi mesi ha partecipato
alle proteste in piazza ad Atene contro le
misure di austerità.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
65
Portfolio
Sopra: Lise London, francese. Militante
comunista, ha partecipato con le
Brigate internazionali alla guerra civile
in Spagna e poi alla resistenza contro
l’occupazione nazista in Francia. Dopo
la cattura è stata deportata nel campo
66
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di concentramento di Buchenwald. Nel
1949 si è trasferita a Praga con il marito,
viceministro degli esteri cecoslovacco,
ma i due sono entrati in conlitto con il
regime comunista. È morta il 31 marzo
2012 a Parigi.
GLI AUTORI
Danilo De Marco è un fotografo nato
a Udine nel 1952.
Gian Paolo Gri è docente di antropologia
culturale presso la Facoltà di lettere e
ilosoia dell’Università degli studi di Udine.
Sopra: André Radzynski, polacco. Di famiglia
ebrea, un fratello è morto ad Auschwitz, un altro
fratello e una sorella nella resistenza. Lui si è
trasferito a Parigi dove ha partecipato alla
resistenza contro l’occupazione nazista. Ha avuto
tre nomi di battaglia: André, Rado e Leroux.
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Portfolio
Sopra: Arsène Tchakarian, francese di
origine armena, 95 anni. Nato in Turchia
durante il genocidio degli armeni, si è
trasferito in Francia. Con il nome di
battaglia di Charles, ha partecipato alla
resistenza contro l’occupazione nazista nel
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
gruppo di Missak Manouchian. Nella
pagina accanto, a sinistra: Vincenzo
Cevolatti, italiano, nome di battaglia
Colombo. A destra: Alojse Kapun, 90 anni.
Ha partecipato alla resistenza in Jugoslavia
con il nome di battaglia di Andrej.
LA MOSTRA
Il progetto di Danilo De Marco
25 aprile. Il sentiero dei nidi di ragno
sarà in mostra dal 29 aprile al 26
agosto 2012 al castello di Zucco a
Faedis, in provincia di Udine.
parlamento ad Atene e nel 1984 quelle
dell’europarlamento, prima dell’ultima
protesta in piazza. Davanti all’obiettivo di
De Marco i due amici hanno la stessa postura diritta e seria assunta tante volte anni
prima, senza i solchi degli anni sul volto, per
le foto segnaletiche nei locali di polizia.
Ho sotto gli occhi quella scattata a Missak Manouchian nel 1943 dopo un fermo.
Mai vista tanta severa ierezza in uno sguardo. L’ultimo partigiano del Gruppo Manouchian, che De Marco ha potuto incontrare
davanti a un bicchiere di raki, è Charles,
alias Arsène Tchakarian. Nato in Turchia al
culmine del genocidio armeno, Tchakarian
racconta di come nella Parigi degli anni
trenta la militanza incrociasse lo sforzo di
valorizzazione della cultura armena, di
quanto fosse grande l’amore della Francia
per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità.
Parla della paura quotidiana e delle azioni
clamorose (l’esecuzione del generale Julius
Ritter, che aveva messo in schiavitù 600mila operai stranieri), di vigliaccheria ed eroismo, di capacità di sopportare l’insopportabile. Ricorda la prigionia, l’ultima lettera
alla moglie Melinée, le parole di incoraggiamento di Missak ai compagni e il suo sorriso davanti al plotone nazista prima di essere fucilato. Tchakarian ha ragione: “Il gruppo Manouchian è l’incarnazione di un’Europa che abbiamo perduto”. L’Europa che
avrebbe potuto essere e non è stata.
Forse è di fronte a questo vuoto che Sylvie (Simone Ducreux) chiude gli occhi mostrando le rughe di una vita. Lei ha vissuto
la liberazione di Parigi; una visione da trattenere negli occhi con tutte le forze. Anche
per lei, come nelle mitologie che abbiamo
avuto la sfacciataggine di deinire primitive, il meglio c’è già stato, ha colorato di
energia e di speranze il momento inaugurale; poi la storia è entrata nella spirale
dell’entropia. Per fortuna ci restano gli occhi miti di Andrej (Alojse Kapun) e lo sguardo senza ombre di Rado (Radzynski),
ebreo-polacco-francese, che a Parigi rubava le armi ai tedeschi.
Da diversi anni Danilo De Marco gira
l’Europa, salta confini, scava, scopre, incontra, dialoga e cattura storie e volti degli
ultimi partigiani. Ottanta, novant’anni: numeri che hanno inciso il volto, e non basta
un pettine o un ilo di trucco a nascondere i
segni di una vita intensa. Ho visto la foto
della giovane Lise Ricol-London, combattente da sempre (prima le brigate internazionali in Spagna, poi la resistenza e il campo di concentramento, la persecuzione
comunista, con suo marito processato a
Praga nel 1956). È distesa sul prato con una
ghirlanda di margherite sul capo, pochi
giorni prima della cattura da parte della Gestapo. Il suo coraggio dopo l’occupazione
nazista di Parigi le era valso la condanna a
morte. Non è meno bella la fotografia di
oggi: il volto un impasto di immagine e di
biograia.
Di partigiani, De Marco ne ha inquadrati quasi un migliaio, in qui. È diventato un
collezionista di volti. Ma la sua non è una
collezione all’occidentale, possessiva; ha
creato un accumulo che sa di culture lontane, di potlach, dove non si rastrella per sé,
per conservare, ma per far dono, per ridistribuire. Abbiamo di fronte una comunità
nuova, fatta di volti. Le immagini sono il
risultato di un lavoro condiviso: testimonianza di un incontro e di un profondo coinvolgimento di fotografo e fotografato. Si
gioca sulla serialità: il primo piano, la messa
a fuoco selettiva, sugli occhi, e gli altri piani
del volto a degradare in nitidezza. L’uso
della luce, le modalità di stampa materializzano la tellurica del viso. Iperrealismo,
non ritorno nostalgico al neorealismo.
Ha ragione De Marco a rifiutare l’etichetta di ritratti, per queste immagini, e a
preferire per i suoi partigiani il termine “igure”. Il senso dell’etimologia, che rimanda
alla manipolazione costruttiva, è davanti a
noi, nelle screpolature dei volti: come il plasmare l’argilla per darle forma. Ultimi (e
primi) gli occhi. Accostati, questi sguardi
compongono una comunità ideale, che
continua a ridersela dei conini, che invita
a guardarsi intorno, a non dimenticare, a
scegliere ancora e ogni giorno da che parte
stare. u
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Ritratti
Raed Arafat
Soccorso
in testa
Eveline Păuna e Mircea Sărărescu, Q Magazine, Romania
Per i romeni è il medico
palestinese che ha rinnovato il
pronto soccorso. Ha ispirato la
rivolta contro i tagli alla spesa
pubblica e oggi è un eroe
popolare
aed Arafat è nato a Damasco ma si è trasferito
presto con la famiglia a
Nablus, in Cisgiordania.
“Mio padre era un ingegnere e aveva una piccola impresa, mentre mia madre, anche se era
laureata in lingue, ha fatto la casalinga”.
Da ragazzino Raed ha scoperto di avere
una passione per la medicina d’urgenza e
così ha cominciato a seguire dei corsi di formazione. È entrato per la prima volta nella
sala operatoria del più importante ospedale
della città a quindici anni e, durante il liceo,
ha fondato con degli amici un’équipe di
pronto soccorso. Il padre voleva che Raed
s’iscrivesse al politecnico, ma lui aveva le
idee chiare: “O divento medico o faccio lo
spazzino”. Quindi, a 16 anni, è andato in
Romania.
È entrato nel paese con un visto da studente per iscriversi a un’università tecnica,
sapendo però che una volta arrivato avrebbe potuto cambiare facoltà e scegliere medicina. Arafat aveva fatto domanda anche
negli Stati Uniti e in Grecia, ma ha scelto la
Romania perché è stato il primo paese a rispondergli. In realtà i genitori non gli hanno
detto che era stato accettato anche dagli
atenei greci e statunitensi perché sperava-
R
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
no che dalla Romania Raed sarebbe tornato
da loro, una volta terminati gli studi.
Lui non ha nemmeno considerato la
possibilità di studiare nel suo paese. “Andare all’università era molto diicile. I palestinesi potevano studiare solo in Giordania.
All’inizio ero stato accettato da un’università siriana. Ho frequentato le lezioni per
qualche giorno ma non mi piaceva. Così ho
deciso di partire”.
La sua avventura romena è cominciata
in aeroporto, con il tassista che gli ha fatto
pagare 50 dollari più del dovuto per portarlo
in città. Ma era solo l’inizio. La casa dello
studente dove viveva, a Piteşti, sembrava
un carcere e più volte Arafat è stato tentato
dall’idea di tornarsene a Nablus. Al terzo
Biograia
◆ 1964 Nasce a Damasco, in Siria, da una
coppia di origine palestinese. A 14 anni
comincia a lavorare come volontario nella
medicina d’urgenza.
◆ 1991 Fonda lo Smurd, il servizio di primo
soccorso romeno che collabora con il sistema
sanitario nazionale per il trasporto dei malati
nelle situazioni più gravi. Da medico Arafat
guadagnava il corrispettivo di circa 1.500 euro
al mese, mentre il suo stipendio da
sottosegretario è di mille euro.
◆ gennaio 2012 Dopo aver criticato la riforma
del sistema sanitario, si dimette da
sottosegretario alla sanità. Le manifestazioni in
piazza a favore del medico costringono poi il
presidente Basescu a fare marcia indietro e a
riaidare ad Arafat l’incarico.
◆ aprile 2012 Secondo un sondaggio Arafat,
con un indice di gradimento del 71, 3 per cento,
è il personaggio pubblico più popolare della
Romania.
anno di università è morto il padre. Una volta laureato, ha dovuto decidere se restare in
Romania o trasferirsi in Francia. Ma era il
1989 e con il paese nel caos non è riuscito a
chiedere in tempo il visto francese. Quindi
è rimasto in Romania.
Nel 1991 ha fondato lo Smurd, il Serviciul medical de urgenţă, reanimare şi descarcerare (servizio medico urgente, per
rianimare ed estrarre i feriti dai veicoli), che
è stato il primo sistema di pronto soccorso
mobile e di medicina d’urgenza del paese.
Vent’anni dopo, Raed traccia un bilancio
positivo della sua esperienza: “Pochissimi
paesi dell’ex blocco comunista sono riusciti
a sviluppare una struttura tanto eiciente”.
Subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica il vecchio servizio di pronto soccorso
non aveva né il personale né gli strumenti o
l’organizzazione necessari. “Era un sistema
vecchio, basato su un modello che aveva
funzionato in una situazione molto diversa”. Nel progetto pilota, sperimentato nella
città di Târgu Mureș, sono stati coinvolti
anche i vigili del fuoco, scelta che il personale delle ambulanze non ha apprezzato.
Ma Arafat la difende. “Il sistema doveva
poter afrontare casi diicili, come gli incidenti stradali, e casi gravi, per esempio gli
arresti respiratori. Se adesso i vigili del fuoco svolgono un ruolo fondamentale nelle
operazioni di soccorso, così come avviene
in più della metà dei paesi dell’Unione europea, il merito è anche della loro mentalità
militare e della loro capacità di adattamento”. Nel 1990 in Romania non esisteva nessun tipo di strumento per estrarre dalle automobili i feriti degli incidenti stradali.
“Solo nel 1993, su nostra richiesta, sono arrivati i primi mezzi per afrontare questo tipo di emergenze. Li hanno donati allo
Smurd i vigili del fuoco tedeschi e scozzesi”. In pratica Arafat non ha creato un sistema originale, ma ha adattato alle necessità
romene un modello già funzionante in altri
paesi.
L’auto dello Smurd
La prima ambulanza dello Smurd è stata la
macchina di Arafat. Dopo qualche mese,
una sua ex collega di università che lavorava in Germania ha messo da parte un po’ di
soldi con l’aiuto della sua famiglia e di alcuni amici e gli ha regalato una vecchia ambulanza. Da quel momento varie organizzazioni internazionali hanno sostenuto il
progetto. “Nel 1992”, racconta il medico,
“sono venuti anche qui i vigili del fuoco di
Glasgow e i medici del Royal hospital di
Edimburgo. Hanno portato tantissima attrezzatura e hanno costruito dal nulla un
VADIM GhIRDA (AP/LAPRESSE)
Raed Arafat a Bucarest
ambulatorio per le urgenze”.
Da allora la creatura di Arafat non ha più
smesso di crescere. Ma il cambiamento più
importante è arrivato nel 2006, quando è
stata approvata la nuova legge sulla sanità
pubblica, che dedica un capitolo intero alla
medicina d’urgenza. La legge disciplina
l’assistenza pubblica come quella privata e
il servizio di ambulanza e di pronto soccorso. La norma si basa in buona parte
sull’esperienza accumulata da Arafat. Lui
intanto continua a fare i turni alla guardia
medica anche se la politica lo impegna sempre di più.
Per alcuni Arafat è “l’arabo venuto a insegnare la medicina ai romeni”. Ma lui non
se l’è mai presa troppo: “È vero, sono arabo,
ma ho studiato medicina in Romania”, dice, “per cui in un certo senso posso considerarmi un prodotto di questo paese”.
Il suo Smurd oggi è attivo in tutta la Romania, con più di duecento gruppi di lavoro.
Per intervenire bastano in media 7-8 minuti e il nuovo sistema di telemedicina registra
ogni anno tredicimila operazioni di soccorso. Nominato sottosegretario alla sanità nel
2007, nel governo di Calin Popescu-Tariceanu, qualche mese fa Arafat è stato accusato dal presidente Traian Basescu di essere il
principale “nemico della riforma sanitaria”
presentata alla ine del dicembre 2011. Nella sostanza, l’uomo che ha messo in piedi
l’unico servizio valido all’interno del sistema sanitario romeno si è opposto a quella
parte della riforma che ne avrebbe rivoluzionato il meccanismo.
Del piano di Basescu, Arafat ha attaccato soprattutto la proposta di concedere risorse pubbliche alle unità di soccorso private, sostenendo che l’apertura di un settore
così delicato ai privati avrebbe messo a rischio la struttura. La Smurd, del resto, ha
ricevuto i complimenti dell’Organizzazione
mondiale della sanità. Francia e Israele
hanno copiato il suo modello di telemedicina, che prevede a bordo dei veicoli di soccorso la presenza di strumenti in grado di
trasferire in tempo reale i dati dei pazienti a
una struttura sanitaria meglio equipaggiata.
I contrasti tra Arafat e Basescu sulla
riforma sanitaria hanno fatto emergere la
differenza tra i politici, pronti ad andare
all’estero per farsi curare nel caso ce ne
fosse bisogno, e i medici, convinti di poter
creare un servizio sanitario pubblico
adeguato. Come conseguenza delle
schermaglie con il presidente, il 10 gennaio
Arafat si è dimesso da sottosegretario,
mettendo in guardia i romeni sui pericoli
della nuova legge. E il paese si è spaccato tra
i suoi sostenitori e quelli di Basescu.
L’opposizione non ha perso tempo e ha
subito fatto sapere che, se avesse vinto le
elezioni previste a novembre, avrebbe
nominato il medico siriano ministro della
sanità.
In realtà, su Arafat cominciano a circolare anche voci meno lusinghiere.
Dopo le sue dimissioni, alcuni mezzi
d’informazione hanno scoperto che gran
parte delle gare d’appalto per dotare lo
Smurd di ambulanze e automobili sono state vinte da una ditta di forniture mediche di
Cluj-Napoca, la Deltamed. L’azienda appartiene a un amico di vecchia data di Arafat, inanziatore del progetto.
È noto che in Romania il miglior comInternazionale 945 | 20 aprile 2012
71
Ritratti
mittente per le imprese private è lo stato e
questa vicenda ha solo confermato che i
soldi pubblici sono gestiti in maniera poco
trasparente. Il punto è che ormai i romeni
sono diventati in troppo indulgenti verso
quelli che “rubano – come tutti – ma che alla
ine qualcosa di buono lo fanno”. Per qualcuno questa storia è solo un tentativo per
gettare fango su Arafat.
Comunque, dopo i contrasti con il medico siriano, il presidente Basescu si è sentito
in dovere di elencare pubblicamente quelli
che secondo lui sono i cinque problemi fondamentali della sanità romena: “Il monopolio della Cassa nazionale delle assicurazioni sanitarie – un vero e proprio salasso
per la spesa pubblica –, la politicizzazione
del sistema, l’uso improprio dei fondi statali, la corruzione e, per ultimo, l’assenza di
investimenti”. Una lettura della situazione
che deve aver lasciato di stucco molti romeni, che si saranno chiesti cosa abbia fatto il
presidente in questi anni per cambiare le
cose.
Ma Basescu ha ricevuto il colpo di grazia
da quelli che in teoria dovevano sostenerlo
e che invece hanno esteso le critiche dal terreno più circoscritto della medicina d’urgenza agli aspetti di fondo della riforma.
L’Istituto di politiche pubbliche, per esempio, ha afermato che questa normativa non
ha come obiettivo la tutela del malato, ma
punta a garantire alti proitti alle compagnie
di assicurazione e cerca di consegnare l’intero sistema sanitario nelle mani di gruppi
privati. L’organizzazione di Bucarest ha anche sottolineato che nella riforma mancano
alcune informazioni essenziali, per esempio il contenuto del pacchetto dei servizi di
base o la normativa per la previdenza complementare, chiedendo di fatto il ritiro del
progetto nato nel palazzo presidenziale di
Cotroceni.
Anche Alina Mungiu-Pippidi, presidente della Società accademica di Romania,
sostiene Arafat: “La legge evita di afrontare problemi aperti. Anzi, rischia di crearne
altri, ed è stata concepita in modo poco professionale, per non dire antidemocratico.
Lo stato dovrebbe promuovere e valorizzare persone capaci come Arafat invece di
metterle in diicoltà”.
Gli interessi in gioco
Come se non bastasse, il giornalista Victor
Ciutacu ha ipotizzato che all’origine dei
contrasti tra Basescu e Arafat ci sia anche
una vicenda personale.
Secondo Ciutaco, tempo fa il presidente
avrebbe oferto al medico siriano la candidatura a sindaco di Bucarest con il Partito
72
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Se pensiamo che molti
romeni non hanno
neanche i soldi per
comprare le medicine,
è diicile immaginare
che possano pagare
altri contributi
democratico-liberale. E Arafat avrebbe riiutato. Chi conosce Basescu può immaginare quanto questo riiuto lo abbia infastidito. Da quel momento Basescu avrebbe
cominciato a mettere i bastoni tra le ruote
alle iniziative del medico siriano.
È uno scenario verosimile e sarebbe
confermato dall’evoluzione dei rapporti tra
i due. Ma non è tutto perché, al di là del piano politico, ci sono di mezzo consistenti interessi economici. In particolare, la gestione dei 4,5 miliardi di euro del bilancio annuale della cassa delle assicurazioni sanitarie, a cui vanno aggiunti altri 1,5 miliardi che
provengono dalle assicurazioni private. La
riforma di Basescu prevede che la maggior
parte di questi fondi sia gestita da soggetti
privati. Oggi, molti sostengono che presto i
romeni vivranno in un paese dove l’assistenza medica non sarà più un diritto garantito dallo stato e chi non ha soldi e non è assicurato potrà anche rassegnarsi e morire.
L’ex ministro della sanità, Eugen Nicolaescu, per esempio, ha afermato che con il
nuovo sistema parte della popolazione rischia di non poter accedere all’assistenza
sanitaria. Cambiamenti simili a quelli previsti dalla riforma, infatti, di solito vengono
applicati in paesi dove la sanità pubblica, in
generale, è in buono stato e la popolazione
ha un reddito medio che le permette di pagare spese aggiuntive, oltre ai contributi
obbligatori. Per Nicolaescu un sistema simile può funzionare solo se esiste una base
di riferimento solida. Ci deve essere, in sostanza, un pacchetto di prestazioni sanitarie ben deinito, eiciente e capace di fornire i servizi essenziali. Oggi in Romania
l’introduzione di un sistema del genere, invece, porterebbe a una diminuzione dei
servizi e limiterebbe l’accesso alle cure me-
diche. Se pensiamo che molti cittadini romeni non hanno neanche i soldi per comprare le medicine prescritte dai medici, è
diicile immaginare che possano pagare
altri contributi per accedere all’assistenza
sanitaria.
Sempre l’ex ministro ha ricordato anche
che gli stessi enti assicurativi, per essere
competitivi, dovrebbero scontrarsi con regole molto restrittive. “L’introduzione di
questi criteri discriminatori dimostra come
il progetto di legge tenda a favorire determinate aziende private. È una cosa immorale
e va contro le norme sulla concorrenza. La
verità è che l’obiettivo di Basescu è privatizzare la sanità, aidando la maggior parte
delle prestazioni di un servizio sanitario comunque molto carente a una previdenza
complementare e privata”.
Ma la questione è ancora più complicata, perché non si sa come i contributi obbligatori versati allo stato saranno poi redistribuiti tra gli assicuratori privati. E se il datore
di lavoro non efettua i versamenti dovuti, il
dipendente avrà in ogni caso accesso alle
cure mediche? In base alla riforma, le persone non possono pagare di tasca propria
per i contributi non versati. Non è ancora
chiaro cosa succederà.
Sembra inoltre che anche per quello che
riguarda la riorganizzazione degli ospedali,
la riforma sia stata pensata senza criterio,
perché di fatto trasferisce il patrimonio
pubblico nelle tasche di privati in modo poco trasparente e soprattutto senza garantire
che il passaggio avvenga a prezzi di mercato. Nemmeno il decentramento ha molto
senso, perché la maggior parte degli ospedali è già di proprietà delle amministrazioni
locali. E queste continueranno a far quello
che vogliono, dato che a livello locale i controlli sono molto blandi.
Dopo tutte queste polemiche e dopo le
manifestazioni di piazza a sostegno di Arafat che a gennaio sono andate avanti per
giorni in tutto il paese, il presidente Basescu
ha chiesto pubblicamente al primo ministro
di ritirare la riforma.
“Nessuno vuole il cambiamento del sistema sanitario. Non lo vogliono gli ospedali, i medici di famiglia, il sistema della
medicina d’urgenza. Prendo atto che gran
parte dell’opinione pubblica respinge la riforma. Dato il contesto, chiedo pubblicamente al primo ministro il ritiro del piano di
riforma della sanità romena”, ha dichiarato
il premier in una conferenza stampa trasmessa in televisione il 13 gennaio.
Un vittoria schiacciante per Raed Arafat, che qualche giorno dopo è stato reintegrato nel ruolo di sottosegretario. u mit
Monty Python, Flying Circus - Photo: La Press
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Viaggi
Il sentiero
del lago
Il trekking nelle vallate andine
dell’Argentina meridionale.
In kayak nelle acque calme
e trasparenti dei laghi
di origine glaciale
l viaggio comincia a El Bolsón,
una meta classica della Patagonia andina. Un paese che negli
ultimi anni è cresciuto molto ma
per fortuna è stato risparmiato
dalle discoteche e dai grandi centri commerciali. El Bolsón è stato un fugace paradiso hippie. Oggi è un luogo dove
vengono a vivere alcuni cultori della new
age. Comunque gli abitanti di El Bolsón
sono in gran parte persone comuni che
hanno scelto di vivere immerse nella natura e che tendono a fabbricare e produrre
con le loro mani tutto quello che possono:
dalla casa in cui vivono ino al cibo, passando per la birra. Per questo a El Bolsón ogni
visitatore viene accolto con l’offerta di
qualche bevanda preparata dagli ospiti,
come il tradizionale liquore alla ciliegia.
Da qui, una delle gite più belle da fare è
un’escursione ino al belvedere del monte
Saturnino, per poi arrivare alla cascata del
Mallín Ahogado. La strada è impervia e arriva su un altopiano a novecento metri di
altezza, da dove si può osservare un ampio
panorama che comprende il centro urbano
di El Bolsón, le montagne Piltriquitrón,
Currumahuida, Dedo Gordo e Hielo Azul,
e sullo sfondo il lago Puelo. La gita continua scendendo alla conluenza dei iumi
Azul e Blanco dove, su un fuoristrada, si
guada il iume con l’acqua all’altezza dei
inestrini. Dopo tanta adrenalina facciamo
un picnic sulla riva, a base di frittelle ripiene di lampone.
Una delle vie di accesso alla cordigliera
di Chubut è il paese di Lago Puelo, nella
parte settentrionale della provincia. Lago
I
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Puelo è una cittadina delle Ande circondata da iumi e ruscelli che scendono dalla
montagna e sfociano in un lago cristallino.
D’estate le alte temperature dell’acqua lo
rendono una zona termale per eccellenza.
Il posto migliore per fare il bagno è un angolo di spiagge bianche con l’acqua trasparente di origine glaciale chiamato la Playita, dove si può nuotare, andare in canoa o
fare delle immersioni.
Il paese vive di turismo e di piantagioni
di fragole, more, lamponi e ribes, come
tutti quelli della zona andina del quarantaduesimo parallelo. Per fortuna la zona continua a essere tranquilla nonostante i turisti. A cinque chilometri dal paese c’è il
parco nazionale del lago Puelo, che occupa
una valle scavata dalle glaciazioni. I ghiacci hanno aperto un passaggio nella cordigliera che ha consentito alla flora e alla
fauna cilena della foresta di Valdivia di arrivare in territorio argentino.
I boschi della cordigliera
Sul molo del lago Puelo, all’interno del parco nazionale che porta lo stesso nome, Alberto Boyer ofre gite in kayak ai turisti. In
genere si usano kayak biposto, ma se qualcuno nel gruppo ha molta esperienza può
chiederne uno monoposto. I kayak biposto
sono più lunghi di quelli comuni e hanno
uno spazio riservato a chi guida e uno per il
rematore meno esperto. Sono più stabili
delle canoe, ogni persona usa un remo e
all’interno dell’imbarcazione ci sono due
pedali per muovere il timone.
Dopo una lezione di quindici minuti comincia la gita, che attraversa la zona di Los
Calabozos: l’acqua delle baie è immobile e
di colore turchese. Percorriamo la parte
occidentale del lago ino alla frontiera con
il Cile, passando dalla foce del iume Azul.
Accanto alla riva si vedono i boschi della
cordigliera che circondano il lago Puelo,
dove abbondano ciliegi del Cile, mirti, cipressi. L’acqua è così trasparente che si ve-
DANITA DELIMONT (GETTY IMAGES)
Julián Varsavsky, Página 12, Argentina
de il fondo roccioso, i tronchi sommersi e
le trote. Arrivando a Primer Calabozo (la
prima baia) lo sguardo è attirato da una ripida parete di pietra, alta circa sessanta
metri, che parte dalla montagna.
Se il gruppo se la sente è possibile tornare al molo percorrendo una linea retta
che attraversa il lago, altrimenti si costeggia la riva. È diicile che un kayak si ribalti
in un lago così tranquillo, ma nel caso ci
vogliono dieci minuti per risistemare l’imbarcazione e salirci di nuovo.
Il percorso totale è di quattro chilometri
e per completarlo serve un’ora e un quarto.
Dopo quasi un’ora e mezzo di remata si
sbarca per un picnic a base di sandwich e
mate sulla riva. Quando è caldo quasi tutti
fanno il bagno nel lago, e poi si può afrontare un percorso a piedi di cinquecento
Un lago delle Ande argentine
metri, che si spinge ino alla frontiera con il
Cile. In tutto ci vogliono quattro ore tra andata e ritorno.
Dal lago Puelo il viaggio può proseguire
sulla ruta 40, che in questa zona è totalmente asfaltata, verso il lago Rivadavia,
con una deviazione sulla destra sulla strada provinciale 71.
Il vecchio larice
Al lago Rivadavia ci sono dei bungalow e
un campeggio dove si può fare base per visitare la parte settentrionale del parco nazionale Los Alerces, sei chilometri a sud
del paese. Vale la pena di fermarsi al belvedere del lago Verde, all’Alerzal milenario
(lariceto millenario), e provare alcuni circuiti di trekking dove è possibile incontrare
i cervi delle Ande.
Informazioni pratiche
◆ Arrivare e muoversi
Il prezzo di un volo dall’Italia
(British Airways, American
Airlines, Alitalia) per Buenos
Aires parte da 1.164 euro a/r.
Le Aerolineas Argentinas
collegano la capitale con
Esquel. Il prezzo di un volo
parte da 517 euro a/r.
I pullman della Transporte
Esquel (transportesesquel.
com.ar) collegano ogni giorno
Esquel con il lago Puelo.
◆ Dormire Sul lago
Rivadavia, l’agriturismo Cerro
La Momia ha una parte
centrale con un ristorante e
alcune camere. Chi invece
vuole dormire in riva al lago
può scegliere uno dei tre
bungalow.
◆ Escursioni Il trekking per
Piedra Parada parte dal paese
di Gualjaina (dall’albergo
Hostaria Mirador del
Huancache). Il costo è di 160
euro a persona, cibo compreso
(intern.az/HOU44I). Per una
gita in kayak sul lago Puelo, si
può contattare Alberto Boyer
(0054 2944 499 197 ; 0054
2944 1551 0652).
◆ Leggere Mario Luzi, La
cordigliera delle Ande e altri
versi tradotti, Einaudi 1983, 10
euro.
◆ La prossima settimana
Viaggio in Jacuzia, Siberia
orientale. Ci siete stati e avete
suggerimenti su tarife, posti
dove mangiare o dormire,
libri? Scrivete a viaggi@
internazionale.it.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
75
Viaggi
Da lago Rivadavia si può raggiungere il
paese di Cholila, accanto a un altopiano
con ilari di pioppi che brillano sotto il cielo
aperto. A Cholila regna la solitudine dei
grandi spazi vuoti della steppa, attenuata
dai pioppi, dalle montagne a ovest e da iumi e specchi d’acqua a est. Inoltre qualcosa
nel paesaggio stabilisce una relazione non
del tutto arbitraria con la parola “remoto”.
Basta uno sguardo per capire che questo
non poteva che essere il luogo prescelto
per nascondersi dal mondo da Butch Cassidy e la sua banda quando iniziarono una
nuova vita.
Le strade di Cholila sono sterrate e nelle case basse, disposte quasi tutte intorno a
una piazza, vivono 2.500 persone. L’architettura rilette l’evoluzione storica del luogo. Da una parte ci sono ancora case in legno circondate da una staccionata e legate
originariamente ai creoli cileni e ai costumi tardivi dei mapuche.
Piedra Parada è una
roccia solitaria che
svetta nell’altopiano
centrale
Questi ediici convivono con altri costruiti secondo lo stile del far west statunitense e separati gli uni dagli altri da estesi
appezzamenti di terreno. L’esempio più
emblematico è la casa di Butch Cassidy,
aperta al pubblico.
La tappa successiva è la città di Esquel,
dove si arriva attraversando il parco nazionale Los Alerces e due strade provinciali
molto belle dal punto di vista panoramico:
la 71 e la 259. La destinazione principale
raggiungibile da Esquel è anche in questo
caso il parco nazionale Los Alerces, istituito nel 1937 per tutelare i boschi millenari di
larici, giganti della foresta Valdiviana e tra
gli esseri viventi più antichi del pianeta. Il
larice più visitato del parco è l’Abuelo (il
nonno), un albero risalente all’età della
pietra. Nei 2.600 anni che gli sono serviti
per crescere ino a 58 metri di altezza è stata fondata Roma, è caduta Costantinopoli
ed è stata scoperta l’America. Proseguendo negli anni, Armstrong ha camminato
sulla Luna e sono crollate le torri gemelle.
Intanto il larice è rimasto incolume nella
sua porzione di terra di due metri di diametro.
Un’escursione molto popolare è quella
a bordo dei treni Viejo expreso patagónico
ed El Trochita, che da Esquel raggiunge un
mercato artigianale della comunità mapu-
76
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
che di Nahuel Pan. A venti chilometri da
Esquel, a Trevelin, vivono i discendenti dei
primi coloni gallesi della zona, che si stabilirono qui nel 1888. C’è una sosta quasi obbligatoria per assaggiare il tè gallese. La
gita continua fino a Nant y Fall, un’area
protetta dove un iume forma sette cascate, tre delle quali visitabili.
Diicile da spiegare
Dopo una sosta a Esquel è il momento di
andare qualche chilometro verso nord e
visitare Piedra Parada, uno dei paesaggi
più strani dell’Argentina meridionale. È
una roccia solitaria che svetta nel mezzo
dell’altopiano centrale della Patagonia. A
prima vista questa mole rocciosa di 260
metri di altezza e cento metri quadri di base è del tutto inspiegabile, inché non si
viene a sapere che questo luogo è stato il
centro della caldera di un vulcano che migliaia di anni fa eruttava lava in un raggio
di trenta chilometri. Quando si spense, le
ultime colate incandescenti si solidiicarono formando la Piedra Parada. Da Esquel
sono 99 chilometri, ci si arriva dalla ruta
40 andando verso nord. A metà strada c’è
Gualjaina, dove pernottare per una o due
notti. Da Gualjaina sono 42 chilometri attraverso la valle di Piedra Parada. Davanti
alla Piedra Parada sorge la chiusa della
Buitrera, ideale per fare un trekking spettacolare.
La passeggiata comincia con un sentiero tra due enormi pareti di cinquanta metri
piene di strane formazioni geologiche, come l’appuntito Manto de la Virgen. Secondo la guida, la chiusa è il risultato di una
faglia geologica: non è stata scavata da un
iume, è stata la terra ad aprirsi quando tutta la zona era un inferno di magma incandescente. Per questo le pareti a picco raggiungono anche i 250 metri di altezza.
Nel corso della camminata osserviamo
i falchi pellegrini, i rapaci più veloci, in grado di aferrare in volo le loro prede a 210
chilometri all’ora. Attraverso un sentiero
vicino si raggiunge un incredibile ponte
naturale di pietra: ma i viaggiatori continuano a chiedere spiegazioni sulla misteriosa Piedra Parada, e la guida risponde
appellandosi ancora una volta alla geologia.
Eppure la spiegazione non convince,
perché la vista di quel panorama è irrazionale e la pietra irradia un mistero inspiegabile che riporta sempre alla stessa domanda: “Da dov’è uscita una pietra del genere
per starsene ritta in quel modo?”.
La risposta, in in dei conti, ce l’ha solo
la Terra. u fr
A tavola
Sapori
di Patagonia
u In un ristorante tra le montagne
della Comarca andina, scrive il sito
Elbolson.com, un pasto tradizionale può cominciare con un piatto
di formaggi locali, iletti di trota o
salmone afumicati, carne secca di
cervo o cinghiale, funghi conservati, lepre in escabeche (una preparazione di origine arabo-spagnola,
che prevede l’uso dell’aceto) e verdure in salamoia. Tra i piatti portanti ci sono invece diversi tipi di
paste fatte in casa e condite con
funghi, i sorrentinos (i grandi ravioli
rotondi tipici della tradizione italoargentina) ripieni di trota o di salmone o uno strudel di verdure, legato alla presenza nella zona di immigrati tedeschi e svizzeri.
Ma il pezzo forte della cucina locale è l’agnello patagonico, che può
essere preparato arrosto, stufato,
sotto forma di rollé e profumato
con erbe aromatiche, o accompagnato da salsa criolla, a base di cipolla, peperoncini e pomodoro.
Per assaggiare queste a altre ricette tradizionali, a El Bolsón si può
provare il ristorante Opiparo, specializzato in pesci afumicati e capretto, o il Patio Venzano, parrilla e
piatti locali. La carne alla griglia –
agnello, capretto, vitello, maiale e
chorizo argentino – è invece la specialità della Parrilla El Quincho, di
Ebenézer, di Carlitos e del ristorante Patagonia Andino de Comidas,
appena fuori città.
Per ritrovare i sapori e gli ingredienti della Patagonia a Buenos Aires, invece, El Clarín consiglia Patagonia sur, del cuoco Francis Mallmann (famoso il suo agnello cotto
per sette ore a fuoco lentissimo e
accompagnato da purè di patate e
mandorle), e Ayres de Patagonia, a
Puerto Madero: tortelli di agnello al
marsala, salmone e trota afumicati
in arrivo da Bariloche e piatti di
cacciagione, per esempio il cervo
alla cacciatora e il cinghiale al
miele.
Graphic journalism Cartolina da Parigi
78
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Chantal Montellier è una pittrice e autrice di fumetti. Nata nel 1947 a Bouthéon nella Loira, vive a Ivry-sur-Seine,
alla periferia di Parigi. Il suo ultimo libro è L’inscription (Actes Sud bd 2011).
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
79
Cultura
Cinema
WaLt DISNEy StUDIoS
John Carter
Allergia
alla realtà
Aleksandr Rodnyanskiy, Vedomosti, Russia
Dal successo di un ilm si può
capire molto del pubblico.
E a giudicare da quello che
guardano, i russi non
vogliono pensare
S
tati Uniti. The help, un ilm senza
particolari pretese e senza grandi star, che parla dei rapporti tra
le domestiche nere e le loro padrone bianche, è riuscito a incassare la somma incredibile di 170 milioni
di dollari. Questo ci dice chiaramente che il
tema dei rapporti interraziali non ha perso
d’interesse nel paese che ha eletto un presidente nero. Ma forse è stato eletto proprio
perché negli ultimi sessant’anni sono stati
girati ilm come questo, che cercavano risposte a diicili questioni sociali. Pensiamo
alla Russia. In Russia i punti di tensione non
sono certo meno che negli Stati Uniti, eppure un ilm su questi temi non solo non registrerebbe incassi signiicativi, ma con ogni
probabilità non sarebbe nemmeno distribuito. Negli Stati Uniti l’interesse degli
spettatori è un barometro degli umori
dell’opinione pubblica. Sulla base dei ilm
che riscuotono più successo è possibile stabilire come vive e cosa pensa il paese.
Psicoterapia nazionale
Con Rocky, che nel 1976 ha battuto ogni record d’incassi, era possibile misurare la profondità della depressione in cui era sprofondato un paese tormentato dalla guerra
in Vietnam e scosso dallo scandalo del Watergate. La storia ottimista di un pugile dei
bassifondi che diventa campione del mondo si trasformò in una specie di seduta di
psicoterapia nazionale.
Cosa indica il barometro russo? Qual è
la pressione della società? L’esempio più
recente è John Carter, trasposizione cinematograica di un romanzo fantasy di Edgar
Rice Burroughs. Nei primi tre giorni ha incassato in Russia la cifra record di 16,6 milioni di dollari, e per due settimane ha occupato il primo posto nelle classiiche degli
incassi.
Negli Stati Uniti questo “gigante” ha incassato 30 milioni di dollari in due settimane, in un numero di sale doppio. Un vero e
proprio fallimento, se si considera che è costato alla Disney 350 milioni di dollari, praticamente, tanto per fare un esempio, quello che è costato il nuovo terminale dell’aeroporto Borispol di Kiev.
Perché gli spettatori russi hanno reagito
in modo così diverso da quelli americani?
Più di 16 milioni di spettatori nel primo ine
settimana è uno dei debutti migliori nella
storia del cinema russo moderno, soprattutto se si pensa che è un risultato ottenuto
senza un particolare bombardamento pubblicitario. Mentre non c’è da meravigliarsi
che a ottenere questo successo sia stato un
ilm sulle avventure marziane di un eroe
della storia passata.
Si tratta di un eroe lontanissimo dal pubblico che lo adora. E tutti i campioni del botteghino degli ultimi anni hanno in comune
proprio questo: una siducia categorica per
la realtà in tutte le sue incarnazioni. Un rigetto autistico. In Russia i fantasy, il ilm di
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
81
Cultura
Cinema
Transformers 3
PaRaMOUNT PICTURES
xxxxxxxxx
fantascienza e i cartoni animati battono regolarmente i record di incassi. Invece, tutto
quello che può essere messo in relazione
con la vita reale del paese e con la gente,
viene completamente ignorato. Tutto quello che è legato agli aspetti sociali, ai rapporti reali, e non melodrammatici, di solito è
un insuccesso, se mai riesce a raggiungere
gli schermi.
Perciò i drammi, le storie umane, le storie in cui le situazioni diicili vengono superate, le storie che raforzano la iducia nella
vita, sono comprensibilmente poche in
Russia: anche quando ci sono, nessuno le
nota. Per esempio, un ilm commovente e
facile da comprendere, realizzato in maniera virtuosa, come Il discorso del re ha incassato in Polonia 6,1 milioni di dollari, più di
Transformers 3 (3,4 milioni di dollari). In
Russia la situazione è esattamente opposta:
Il discorso del re ha incassato 1,6 milioni di
dollari contro i 45,5 milioni di dollari di
Transformers 3.
Fare un confronto tra gli incassi dei ilm
drammatici in Russia e negli Stati Uniti è
assolutamente impossibile, perché le dimensioni sono completamente diverse. Ma
i risultati sono inequivocabili: negli Stati
Uniti esiste un pubblico che sceglie in modo
consapevole, e non cerca meccanicamente
un “universo alternativo”.
Gli spettatori russi dimostrano invece
un disprezzo patologico nei confronti della
realtà, un desiderio incrollabile di staccar-
82
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
sene e di sfuggire ogni discorso che richieda
una messa in discussione di se stessi, una
scelta individuale, e uno sforzo di pensiero
o spirituale. Nella variegata oferta di ilm
hollywoodiani i russi scelgono irrimediabilmente le favole. E lo stesso vale per i ilm
nazionali.
Un regime rassicurante
C’è chi dice che il tempo non scorre nello
stesso modo in tutti i paesi. In alcuni l’atteggiamento mentale è quello del ventunesimo secolo, in altri è quello del medioevo. In
termini di cinema di massa è come se noi
russi continuassimo a vivere nell’Unione
Sovietica. Tutti i nostri successi di botteghino sono legati a quell’epoca: per esempio
Vysotskiy, il seguito di Ironia del destino, La
nona compagnia. Nel giorno delle elezioni,
dai televisori traboccanti di dati ha fatto
bella mostra di sé un grande successo
dell’era sovietica come Mosca non crede alle
lacrime (1979), seguito alcuni giorni dopo
da Romanzo d’ufficio (1977). Questi film
portano impressa l’immagine di quel mondo, che in qualche modo suona rassicurante: allora non si era responsabili di nulla,
non si aveva in mano il proprio destino e
quindi il più terribile di tutti i pericoli, il pericolo della libertà di scelta, non minacciava nessuno. E il pubblico di oggi sembra
apprezzarlo molto.
Gli spettatori russi riconoscono immediatamente ogni tentativo di parlare di cose
serie, anche in modo leggero. Ogni cartone
animato hollywoodiano, anche il più modesto, incassa dai 40 milioni di dollari in su, a
condizione che non metta in alcun modo
ansia agli spettatori. Madagascar 2 ha incassato 40 milioni di dollari, mentre Wall-E
della Pixar solo 11 milioni di dollari. Gli animali che dicono cose senza senso non angosciano lo spettatore con messaggi nascosti sui pericoli del consumismo e su uno
sfruttamento senza limiti della natura.
Recentemente in Francia Quasi amici ha
incassato 240 milioni di dollari, una cifra
inimmaginabile per il cinema francese. Si
tratta di un ilm che racconta la commovente storia dei rapporti tra un ragazzo nero
proveniente dalle banlieue e un miliardario
paralizzato. Nel ilm è chiaro il tema portante delle diferenze sociali, che sono mostrate in un contesto articolato. È un ilm
che racconta un dramma umano autentico
e ofre uno sguardo critico sullo stato della
società contemporanea. Il tutto proposto in
una confezione divertente.
Gli statunitensi, nella persona dell’iperattivo Harvey Weinstein, hanno immediatamente acquistato i diritti d’autore per un
remake del ilm. Una versione russa non
avrebbe nessuna possibilità di successo.
Ogni autenticità, anche quella più edulcorata, è estranea al nostro pubblico. E si tratta di un sintomo preoccupante. Nel migliore dei casi, è il sintomo di un’assoluta apatia
depressiva. u af
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Honda sceglie
Cultura
Cinema
Italieni
Da Roma
I ilm italiani visti da
un corrispondente straniero.
Questa settimana
Eric Jozsef, del quotidiano
francese Libération e dello
svizzero Le Temps.
Una cartolina dalla città eterna
84
Alec Baldwin, Penelope Cruz,
Jesse Eisenberg insieme a Roberto Benigni hanno partecipato con Woody Allen all’anteprima mondiale del nuovo ilm
del regista newyorchese, To
Rome with love, nella città dove
è stato realizzato. Il ilm,
proiettato in una versione doppiata in italiano, è stato accolto
in modo tiepido dalla stampa
italiana, ma questo non sembra aver guastato l’umore del
regista e degli attori presenti.
Gran parte delle critiche riguardano la presunta superi-
To Rome with love
cialità con cui Allen ha ritratto
Roma. Il regista ha ribattuto
che il suo scopo non era di dare
una visione dall’interno della
società e della politica italiana,
ma solo di realizzare un ilm
divertente, ambientato a Roma. Allen ha anche smentito
qualsiasi voce secondo cui il
suo prossimo ilm sarà
ambientato a Copenaghen. Invece lo girerà a San Francisco e
New York, anche se non ha
escluso di tornare a lavorare in
Europa in futuro. Per ben due
volte, durante l’incontro con i
giornalisti, è saltato fuori il nome di Berlusconi e mai in tono
lusinghiero, con un certo imbarazzo da parte di Giampaolo
Letta, amministratore delegato di Medusa, società controllata da Berlusconi, che ha coprodotto il ilm. To Rome with
love esce nelle sale italiane venerdì 20 aprile in 600 copie.
Negli Stati Uniti l’uscita è prevista per il 22 giugno.
The Hollywood Reporter
Massa critica
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
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Diaz
Di Daniele Vicari. Con Elio
Germano, Claudio Santamaria,
Jennifer Ulrich. Italia/Francia/
Romania 2012, 120’
● ● ● ●●
La paura, lo smarrimento, la
violenza cieca, brutale, impietosa. Con una grandissima
abilità di regia, Daniele Vicari
ricostruisce la mattanza avvenuta nella scuola Diaz alla ine
del G8 di Genova del 2001 e
l’ignobile trattamento subìto
dagli arrestati nella caserma
di Bolzaneto. Le scene di colpi
e di sangue sono prolungate
ma inevitabili per tentare di
rendere conto di una tale violazione dei diritti civili da parte di forze dell’ordine di uno
stato democratico. Nessuna
immagine di troppo, nessun
primo piano inutile o eccessivo pathos, bensì la traduzione
eicace dello spavento, come
quando le urla delle vittime
fanno da sfondo a un scena
ferma. Ma Diaz non è solo un
ilm di testimonianza. È anche
un ilm politico in quanto mette in evidenza il rischio di lasciare spazio a meccanismi
collettivi terribili – ino alla
tortura – quando la politica in
qualche modo scompare. In iligrana, e senza perdersi in facili teoremi, Vicari distilla con
sapienza e sottigliezza rilessioni sugli eventi di Genova
attraverso scene brevi ma
evocative: dalla rinuncia alla
violenza simbolica del giovane black block, al vecchio sindacalista ferito che grida ai
poliziotti: “Avete fatto una
grande cazzata”.
Anteprima mondiale
a Roma per il nuovo ilm
di Woody Allen
Media
THE Rum DiARY
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AcT of vAloR
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biAncAnEvE
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lA fuRiA DEi TiTAni
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GHosT RiDER
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THE lADY
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unA spiA non bAsTA
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TAkE mE HomE…
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Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
I consigli
della
redazione
In uscita
Una spia non basta
Di McG. Con Chris Pine, Tom
Hardy, Reese Witherspoon.
Stati Uniti 2012, 120’
●● ● ●●
Una spia non basta è due ilm
in uno. Il primo è una commedia romantica con Reese
Witherspoon. Il secondo è una
commedia su due amici – bromantic comedy come si dice
oggi – agenti della Cia. Entrambi i ilm sono terribili.
FDR (Chris Pine) e Tuck (Tom
Hardy) sono appena stati messi in punizione dal loro capo
per aver mandato all’aria
un’operazione a Hong Kong e
sono costretti al lavoro d’uicio. Con un po’ di tempo a disposizione decidono entrambi
di mettersi in cerca dell’anima
gemella e – incredibile coincidenza! – prendono appuntamento con la stessa donna,
Lauren (Reese Witherspoon).
Tra i due scatta una competizione per conquistarla. L’appartamento della ragazza viene riempito con qualsiasi gadget tecnologico abbia a disposizione la Cia per spiare una
persona. La cosa potrebbe
sembrare un po’ inquietante,
ma niente nella sceneggiatura
di Timothy Dowling e Simon
Kinberg ha qualcosa a che fare
con la vita reale. Comunque la
sorpresa veramente negativa è
Reese Witherspoon. A un certo punto Lauren, che ha dato
appuntamento contemporaneamente a due uomini, si
Una spia non basta
Diaz
Di Daniele Vicari
(Italia/Francia/
Romania, 120’)
Mare chiuso
Di Andrea Segre,
Stefano Liberti
(Italia, 60’)
chiede quale sia la cosa peggiore che possa capitarle. Parlando della carriera di Witherspoon, questo ilm è senz’altro
una delle peggiori disgrazie in
cui si poteva imbattere.
Anthony Quinn,
The Independent
The rum diary
Di Bruce Robinson. Con Johnny
Depp, Aaron Eckhart, Amber
Heard. Stati Uniti 2011, 120’
●●●●●
The rum diary, diretto da Bruce Robinson (Shakespeare a colazione) e basato sull’omonimo romanzo di Hunter S.
Thompson, piacerà a quelli
che coltivano un’idea romantica sugli alcolici, sul giornalismo di una volta o sui mad men
di quell’epoca, a cavallo tra la
ine degli anni di Eisenhover e
i primi anni di Kennedy, in cui
gli anni sessanta si preparavano a cambiare il mondo. Anche gli amanti dei cappelli di
paglia e degli occhiali da sole
avranno pane per i loro denti,
come gli aicionados del fumo
di sigaretta e delle sbronze pomeridiane vissute senza sensi
di colpa. Il ilm è anche un toccante tributo a Hunter S.
Thompson. L’alter ego del
giornalista morto suicida nel
2005, Paul Kemp, è interpretato da Johnny Depp. Il che fa di
questo ilm una sorta di prequel di Paura e delirio a Las Vegas. Kemp, almeno a prima vista, è un tipo molto più convenzionale del protagonista
del ilm di Terry Gilliam. Arriva a Puerto Rico per lavorare
in un giornale locale in lingua
inglese, il San Juan Star e s’imbatte in una serie di personaggi che animano il neocolonialismo statunitense nell’isola
caraibica. The rum diary non è
proprio Paura e delirio a Puerto
Rico, piuttosto è l’equivalente
letterario di una di quelle storie che raccontano le origini di
Il castello nel cielo
un supereroe, una di quelle
storie in cui si racconta in che
modo un tipo più o meno ordinario si trasforma nell’eroico
archetipo. L’evoluzione di
Kemp in Hunter S. Thompson
è preconizzata nel ilm in un
modo che piacerà ai lettori affezionati a questo scrittore.
A.O. Scott,
The New York Times
Ho cercato il tuo nome
Di Scott Hicks. Con Zac Efron,
Taylor Schilling, Jay R. Ferguson. Stati Uniti 2012, 101’
●● ●●●
A giudicare dalle follie che sono pronte a fare le adolescenti
anche solo per intravedere
Zac Efron, sembrerebbe che il
nuovo ilm di cui è protagonista sia a prova di critica e destinato a dominare il botteghino. Se si aggiunge il dettaglio
che la storia è tratta da un romanzo di un certo Nicholas
Sparks, si potrebbe anche
pensare di dare agli autori la
licenza di stampare direttamente cartamoneta. Tutto
questo probabilmente è riuscito a convincere Scott Hicks
a dirigere il ilm, e anche se è
improbabile che riesca a ritrovare la magia di Shine, il suo
stile lirico ha sempre una discreta presa sul pubblico. Insomma, proprio come sembrano indicare le premesse,
questo melodramma romantico ha tutte le carte in regola
per soddisfare il suo pubblico
(femminile) di riferimento.
Efron è Logan, un marine
Cesare deve morire
Di Paolo e Vittorio Taviani
(Italia, 76’)
convinto di essere sopravvissuto in Iraq solo grazie a una
foto, avuta per caso, di una ragazza bionda. Logan, tornato
negli Stati Uniti, decide di trovarla per ringraziarla di persona. Il materiale romantico e
lacrimoso da cui è tratto il ilm
(è il settimo romanzo di
Sparks ad arrivare sullo schermo, e non sarà l’ultimo) è elaborato nel modo più tipico
possibile e tutto diventa incredibilmente prevedibile. Speriamo solo che questo ilm
faccia guadagnare a Hicks abbastanza credito negli studios
hollywoodiani da aidargli
qualcosa di più sostanzioso.
Ed Gibbs, The Sun-Herald
Il castello nel cielo
Di Hayao Miyazaki.
Giappone 1986, 124’
●●●●●
Il fantasioso maestro giapponese Hayao Miyazaki prende
spunto da un piccolo riferimento contenuto nei Viaggi di
Gulliver per dare vita a una favola modernistica con un sottile messaggio ecologico che
arriva al pubblico dopo due
ore di un’avventura degna del
migliore Indiana Jones. Pazu,
un orfano che lavora in una
miniera, ma ha sempre la testa tra le nuvole, s’imbatte in
Sheeta, una misteriosa ragazza che è scesa lentamente dal
cielo, proprio nelle braccia di
Pazu. La loro avventura è solo
all’inizio. Il castello nel cielo è
molto migliore dei cartoni
animati giapponesi che hanno
invaso le tv dei ragazzi. Il
mondo di Miyazaki, così pieno di colori e di vita, è sempre
un po’ al di là del limite della
realtà. I dettagli precisi sono
ammorbiditi da nuvole e ombre, i suoi princìpi svelati più
dalle azioni che dalle parole.
Un ilm per tutti.
Richard Harrington, The
Washington Post (1989)
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
85
Cultura
Libri
Dalla Spagna
I libri italiani letti da un
corrispondente straniero.
Questa settimana
Salvatore Aloïse, del quotidiano francese Le Monde.
Nicchia globale
Fabio Bussotti
Il cameriere di Borges
Perdisa Pop, 291 pagine, 16 euro
● ● ● ●●
Il commissario c’è. C’è anche
un amico di Che Guevara,
agente segreto e cameriere di
Juan Jorge Borges. E in ballo ci
sono pure un documento compromettente, che contiene i
nomi dei veri genitori degli orfani del regime di Videla, e un
racconto inedito dello scrittore argentino, con tanto di messaggio in codice da decifrare.
Un po’ giallo, un po’ thriller, il
nuovo romanzo di Bussotti, Il
cameriere di Borges, nasce come soggetto cinematograico
e forse un giorno sarà un ilm.
Con produzione italoargentina, visto che la storia si dipana
tra un quartiere di Roma,
l’Esquilino, e i barrios di Buenos Aires, con vicini di casa
che spariscono, sparatorie, inseguimenti, antiquari improbabili e vecchi cafè pieni di fascino. Ma l’ingrediente che fa
volare via le pagine è il commissario Flavio Bertone che
torna dopo la sua apparizione
in L’invidia di Velàzquez. Molisano trapiantato nella capitale,
un po’ depresso, un rapporto
non del tutto risolto con l’ex
moglie, un nuovo amore carnale con una prosperosa spagnola e un vago desiderio di
paternità. Sarà per le sue debolezze ma lo si sente vero.
Sembra quasi di averlo già incontrato, lungo il suo percorso
da abitudinario, tra il ristorante cinese del quartiere e la
scuola multietnica Di Donato.
Viene voglia di ritrovarlo presto in un’altra non-inchiesta.
86
Una casa editrice andalusa
di ebook pubblicherà testi
che parlano di un solo
argomento: il lamenco
Rocío Navarro è iglia di due
professori universitari e sicuramente ha una certa familiarità con i libri. Il modo in cui
ha deciso di guadagnare con i
libri, però, dimostra anche che
è una iglia del suo tempo. Ha
fondato una casa editrice, e in
qui niente di strano. Pubblicherà e venderà solo ebook, libri elettronici. Il suo progetto
si chiama Libros con Duende e
sarà specializzato su un unico
argomento, il lamenco. L’idea
è quella di vendere libri in tutti
gli angoli del pianeta, sfruttando la popolarità e la difusione
globale di un patrimonio della
regione andalusa. Il lamenco,
appunto. Libros con Duende
MIGUEL ANGEL MoRENATTI (AP/LAPRESSE)
Italieni
nasce dopo una ricerca che
Navarro, laureata in statistica,
ha condotto in un certo numero di librerie. Il suo sito non
esclude la possibilità di stampare libri su richiesta, mentre
mette immediatamente a disposizione i volumi in ogni
parte del mondo.
Quanto alla scelta dell’argomento, quella è stata la decisione più semplice: “Il lamenco è la nostra passione, è il
genere che conosciamo meglio”. In poche parole, sul lamenco librosconduende.es
non ha rivali.
El País
Il libro Gofredo Foi
Il destino della natura
Franco Ferrarotti
Atman. Il respiro del bosco
Empirìa, 112 pagine, 16 euro
Racconto, cultura, pensiero, è
una strana piccola serena
memoria o quasi-conferenza
(o cicalata) intorno alla propria
vita presa nel suo ritmo
essenziale, dentro e fuori la
storia e rilettendo da ilosofo
sulla natura e sul suo destino
attuale, quella che un
sociologo di fama e di talento
ha scritto a 85 anni per una
piccola casa editrice che
pubblica poeti. E certamente
non stona tra i libri di poesia se
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
parte da Le opere e i giorni
capolavoro in versi di Esiodo
su proprietà e ritmo della
natura e dall’immagine di se
stesso bambino, iglio di
contadini piemontesi che
ragiona su una pietra di mica
usata come amuleto, contatto
con l’alterità e vicinanza della
natura. La sociologia italiana è
nata rurale a sud (Rossi-Doria)
e industriale a nord (Pizzorno)
e ha trovato nell’olivettiano
Ferrarotti un luogo in cui
campagna e città si sono
incrociate, in epoca di scontri
e di incontri, ma oggi la natura
è inita addomesticata
(radicalmente violentata) e
l’industria ci ha abbandonati
al dominio di tecnica e
comunicazione. Tra ricordo e
presente, vissuto e teoria,
ricordi “bassi” e citazioni
“alte” e pregnanti, è l’amore
per la natura ad avere il
predominio. Che è qui amore
per gli alberi, per la vita
vegetale a cui si sogna di
tornare, nel ciclo dell’esistenza
più profonda (“l’anima”,
l’atman, il respiro)
tramutandosi come nei miti in
albero, in quercia e bosco. u
I consigli
della
redazione
Julie Otsuka
Venivamo tutte
per mare
(Bollati Boringhieri)
Il romanzo
Johanna Skibsrud
I sentimentali
Fandango, 250 pagine,
16,50 euro
● ● ● ●●
I sentimentali, il romanzo di
debutto di Johanna Skibsrud,
è una cupa storia sui fantasmi
mentali della guerra e sulla
natura inaidabile della memoria. Skibsrud è una poetessa, e si sente chiaramente nella sua prosa, che procede per
segmenti, prima lenta poi veloce, con grande precisione e
senso del ritmo. Il libro lascia
spazio alla rilessione, alle
evoluzioni di pensiero e di parola, più che alla trama e allo
sviluppo dei personaggi. C’è
una grande attenzione per
l’aspetto e il suono delle cose,
e questo è uno dei punti di forza del romanzo. L’autrice è in
grado di catturare i momenti
della vita in cui ci si ferma a rimuginare sul senso del dolore, sullo scopo della famiglia e
il concetto di casa.
Per la giovane narratrice,
trapiantata ogni anno di luogo
in luogo quando era bambina,
c’è un solo posto che possa ancora chiamare casa: quella di
Casablanca, Ontario, in cui vive Henry, il cui iglio è morto
mentre combatteva a ianco
del padre di lei, Napoleon,
nella guerra del Vietnam. Napoleon è il personaggio più riuscito del romanzo: un burbero ubriacone dal cuore d’oro
che non si è mai ripreso appieno da un incidente che ha avuto in guerra e di cui non parla
mai, basato su quello capitato
davvero al padre di Skibsrud
in Vietnam nel 1967.
La narratrice non ha nome,
non sappiamo molto di lei, a
COLIN MCCONNeLL (ZUMA PreSS/COrBIS)
Le ferite del padre
Johanna Skibsrud
eccezione delle parti in cui
cerca si svelare i segreti del
padre prima che lui muoia,
per tentare di capire le sue
scelte di genitore.
Al centro del romanzo c’è
la storia di Napoleon, lo conosciamo soprattutto attraverso
gli occhi della iglia e tramite i
lashback di altre persone che
rievocano la guerra e la vita di
Henry da giovane.
Come molte opere prime,
I sentimentali può sembrare a
tratti un puledro insicuro, con
momenti di eccezionale bellezza e altri in cui la prosa fatica a trovare l’equilibrio sulle
sue gambe nuove. I lettori
possono amare le frasi infarcite di aggettivi e congiunzioni,
o trovarle ridondanti ed esagerate. Il libro avrebbe potuto
trarre vantaggio da un editing
più rigoroso.
Altre volte Skibsrud dipinge la scena con incantevole
precisione. Tutto sommato, è
un debutto promettente e un
bellissimo omaggio alla relazione tra padre e iglia.
Zoe Whittall,
The Globe and Mail
Annie Zaidi
I miei luoghi
(Metropoli d’Asia)
Agata Tuszynska
Wiera Gran. L’accusata
Einaudi, 336 pagine, 20 euro
●●●●●
Puoi essere ebrea, sopravvissuta al ghetto di Varsavia,
piangere la tua famiglia morta
nelle deportazioni e, dopo tutto questo, vivere una vita impossibile per colpa di un’accusa che corre di bocca in bocca:
l’accusa di collaborazionismo.
È la storia tragica della cantante polacca Wiera Gran. Il libro
di Agata Tuszynska è una ricerca (della verità), un’inchiesta (su un’epoca, un mondo),
una raccolta di testimonianze
(dell’eroina, dei sopravvissuti), un racconto di vita e una
creazione romanzesca. L’autrice mira a calare il lettore nel
punto di vista della vittima,
così da fargli provare che non
ha il potere di giudicare. Wiera
Gran è nata in Polonia nel
1916 ed è morta a Parigi nel
2007. Aveva la bellezza di Greta Garbo e una voce da Marlene Dietrich. A 23 anni, già famosa, canta nel ghetto, accompagnata dal pianista a cui
Polanski ha dedicato un ilm.
Per chi canta? Nella sala ci sono traicanti, informatori della Gestapo, forse anche tedeschi. Wiera sopravvive alla tragedia, e qui comincia il suo destino, all’ora dei regolamenti
di conti. Alcuni testimoni l’accusano, altri ritrattano, altri la
elogiano. I processi la assolvono dalle accuse. Ma i suoi spettacoli sono boicottati in Israele, e lei non ha nessuno a difenderla. Agata Tuszynska ha
lavorato dieci anni per conoscere la sua eroina, dal ghetto
ino a Parigi dove l’ha incontrata. Il suo racconto mescola
tutto: la giovane cantante in
pericolo, la donna matura che
si difende in tutto il mondo, la
vecchia signora in delirio di
persecuzione.
Alice Ferney, Le Figaro
Oliver Adam
Il cuore regolare
(Barbès)
Judy Budnitz
L’altro colore dell’inverno
Alet, 304 pagine, 16 euro
●●●●●
Il primo romanzo di Judy Budnitz non è la tipica storia
dell’arrivo in America. Il viaggio dal vecchio al nuovo, raccontato migliaia di volte, nelle
sue mani diventa magico. L’altro colore dell’inverno è una
sorta di favola su Ilana, un’audace ragazza europea, nata in
campagna. Infelice con la madre feroce e prepotente, fugge
via una notte per crearsi una
vita sua. Mentre arranca verso
la libertà, il mondo che Ilana
incontra è una strana mescolanza di fantasia e dura realtà.
La ragazza è costretta a fare
sesso con un soldato subdolo e
vede il suo villaggio ridotto a
“una cicatrice nera nella neve” prima che Shmuel, il suo
futuro marito, la porti con sé
in America. Ilana è una narratrice afascinante, al punto che
anche i suoi racconti più farseschi suonano veri. Nella seconda metà del romanzo, tuttavia, quando la iglia, la nipote e la pronipote raccontano le
loro storie di vita, perino i fatti
più elementari della narrazione di Ilana sembrano essere
messi in discussione. Si resta
con il brivido delizioso di essere stati raggirati da una maestra dell’afabulazione.
Nora Berkley Krug,
The New York Times
David Monteagudo
Fine
Guanda, 343 pagine, 18 euro
●●●●●
Nove personaggi si riuniscono
in un rifugio montano della
Spagna profonda per passarvi
un ine settimana e mantenere
una fumosa promessa fatta 25
anni prima. Sette sono amici
da quell’epoca, e a questi si aggiungono la giovane moglie di
uno di loro e la prostituta che
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
87
Cultura
Libri
François Vallejo
Le sorelle Brelan
Del Vecchio, 256 pagine,
14,50 euro
● ● ●●●
La storia comincia alla ine
della seconda guerra mondia-
le. Gli zii delle sorelle Brelan,
minorenni e orfane, annunciano che le prenderanno sotto la
loro tutela, ma questo non piace alle interessate. Quel giorno stesso Marthe, la primogenita, festeggia i suoi ventun
anni ed entra legalmente nella
maggiore età. Decide, con il
loro accordo, di farsi carico
delle sorelle minori: le Brelan
vogliono sbrigarsela da sole
nella vita. Il padre, Louis, dirigeva uno studio di architetto, e
Marthe si fa assumere come
segretaria. Quando, malata, è
mandata in un sanatorio, Sabine le succede. Ossessionata
dal successo e dai soldi, sposa
presto un ricco imprenditore
tedesco. Al contrario di Sabine, Judith, la più piccola, sogna un destino e un amore che
siano fuori del comune. E s’innamora di un criminale.Marthe la materna, Sabine l’arrivista, Judith l’utopista: François
Vallejo ha composto tre ritratti
contrastati e accattivanti.
Claire Julliard,
Le Nouvel Observateur
Ersi Sotiropoulos
Il sentiero nascosto delle
arance
Newton Compton, 249 pagine,
9,90 euro
●●●●●
Non è facile morire d’estate:
nella sua stanza d’ospedale,
Lia pensa alla vita che se ne va.
Suo fratello Isidoros, “Sid”, è
uno scapolo nottambulo che
vive con un merlo indiano. Lia
sorride di questo fratello minore che non sa combinare
nulla di buono. Ma ecco che si
presenta a Sid un’occasione
per rendersi utile. Nel piano
d’ospedale dove è ricoverata
Lia lavora un infermiere che la
donna non sopporta, e contro
cui vuole vendicarsi con l’aiuto
del fratello. Ersi Sotiropoulos
costruisce una specie di labirinto a più piani, in cui si va a
zigzag tra Atene e la campagna, e tra diferenti età. Sotiropoulos riesce a far perdere il
lettore nel garbuglio della storia che ha un unico ilo conduttore: la solitudine.
Rose Sean James, Libération
Non iction Giuliano Milani
Occupai. E poi?
Scrittori per il 99%
Occupy Wall Street
Feltrinelli, 224 pagine, 14 euro;
A cura di Janet Byrne
The Occupy handbook
Black Bay, 535 pagine, 9 euro
Mentre negli Stati Uniti e altrove continua la lotta, in libreria cominciano ad arrivare
i primi bilanci dell’esperienza
di Occupy Wall street. Per chi
è interessato a conoscere la
genesi del movimento c’è Occupy Wall Street, una raccolta
di testimonianze degli attivisti
sull’avvio e i primi passi della
protesta.
88
Per quanti invece vogliono
capire quale sia la posta in gioco del movimento e rilettere
in un orizzonte più largo sui
problemi sollevati, è più utile
The Occupy handbook, una
raccolta di 66 interventi brevi
e incisivi in cui i pareri dei
pensatori che hanno animato
la protesta (come Lewis e Graeber) si alternano a quelli di
economisti (come DeLong o
Krugman), scienziati sociali e
antropologi (come Appaduraj)
e scrittori (Solnit o Dorfman),
dando complessivamente
un’immagine ricca e sfaccet-
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
tata di cosa sappiamo sull’ineguaglianza, i suoi pericoli e i
modi per evitarla. Centrato
sugli Stati Uniti, ma aperto al
resto del mondo, il libro ha il
merito di mettere insieme
prospettive che spesso sono
tenute separate e, pur mostrando una pluralità di posizioni talvolta in contrasto, rivela che tutto sommato è chiaro non solo come siamo arrivati a questa crisi inanziaria e
cosa questa stia provocando
nella vita delle persone, ma
anche come se ne potrebbe
uscire. u
Australia
BASSO CANNArSA (BLACKArChIVES)
un altro ha ingaggiato perché
facesse inta di essere la sua idanzata. L’ultimo componente di questa riunione di dieci
persone che inirà in tragedia è
l’uomo che ha organizzato tutto: Andrés il Profeta, che ino
alla ine non conosceremo se
non tramite allusioni. Paralizzati da un black out, i “dieci
piccoli indiani” di Monteagudo cominciano ad addentrarsi
in un territorio sempre più incerto e apocalittico, su cui incombe la presenza sfuggente
del Profeta. L’angoscia suscitata da Fine si accentua quando avvertiamo che c’è un undicesimo personaggio. È il narratore, trasformato in una sorta di spia.
Mauricio Montiel
Figueiras, Letras Libres
Peter Carey
The chemistry of tears
Faber & Faber
Catherine, esperta di orologi
in un museo, è incaricata di rimettere in sesto un uccello automatico del novecento e s’immerge in una storia misteriosa. Carey è nato nello stato di
Victoria nel 1943.
Fiona Higgins
The mothers’ group
Allen & Unwin
Un gruppo di neomamme si
incontra sulle spiagge a nord
di Sydney per darsi sostegno:
un’avvocata in carriera, una
single alternativa, un’ex manager, un’emigrata sposata a
un anziano, una psicologa e
una che lavora nell’editoria.
Patrick White
The hanging garden
Random House
Durante la seconda guerra
mondiale due orfani si rifugiano in un giardino sul golfo di
Sydney. romanzo incompiuto
di Patrick White (1912-1990),
l’unico scrittore australiano a
vincere il Nobel, nel 1973.
Neil Grant
The ink bridge
Allen & Unwin
L’amicizia tra due ragazzini:
Omed, afgano rifugiato in Australia, e hector, australiano,
che lavora in una fabbrica di
candele. Nato a Glasgow,
Grant vive in Australia da
quando aveva 13 anni.
Maria Sepa
usalibri.blogspot.com
Ricevuti
Fumetti
Il capitano sfortunato
Paolo Bacilieri
Sweet Salgari
Coconino press/Fandango,
156 pagine, 17,50 euro
Un capitano mai veramente
capitano. Gli studi al Regio
istituto tecnico e nautico Paolo
Sarpi di Venezia, infatti, non
gli valsero la licenza. Cavaliere
invece sì. Fu però solo
un’onoriicenza, anche se di
alto prestigio, visto che la
proposta di insignirlo del titolo
di Cavaliere dell’ordine della
corona d’Italia venne dalla
regina Margherita in persona.
Molta gloria per il noto
scrittore Emilio Salgari che
quasi mai riuscì a viaggiare. La
sua vita e quella della moglie e
dei igli, furono invece una
tragedia continua. La
spensieratezza e la meraviglia
che creavano le sue opere
erano proporzionali ai dolori
personali, acuiti dalla grande
ingenuità di Salgari e dalla
grave mancanza di scrupoli da
parte degli editori nello
sfruttarne il talento. Paolo
Bacilieri, noto per i suoi
fumetti non sense a
cominciare dalla costruzione
delle tavole, propone una
biograia lineare malgrado i
continui salti temporali,
pregnante nella sua leggerezza
di tono e scorrevolezza di
lettura. Come in Salgari.
Bacilieri ci accompagna
nell’ultimo giorno di vita dello
scrittore ino al suo incredibile
suicidio (anche nelle
modalità), non inserendo
frammenti visivi delle sue
opere, ma frammenti scritti,
che fanno da contrappunto e
complemento ai luoghi di
quella banale quotidianità che
lo scrittore si appresta ad
abbandonare. Si opera un
miracolo: i frammenti scelti
dell’immaginario sono perfetti
per commentare quei luoghi
reali, spesso proletari, e i
luoghi scelti perfetti per far
sognare assieme ai testi. Le
due opposizioni della vita di
Salgari trovano inalmente la
loro unità. Una rilessione
vera.
Francesco Boille
Francesca Caferri
Il Paradiso ai piedi delle
donne
Mondadori, 164 pagine, 17 euro
Francesca Caferri ci guida in
un viaggio nel mondo musulmano, visto attraverso gli occhi femminili. Dall’Arabia
Saudita al Marocco, dal Pakistan allo Yemen.
dalla minoranza che non ruba,
non paga né riceve tangenti.
Ali Al-Muqri
Il bell’ebreo
Piemme, 148 pagine, 10 euro
E se Giuletta e Romeo fossero
vissuti nel 1600 in Yemen? La
storia d’amore tra Fatima, musulmana, e Salem, ebreo.
Massimo Fini
La guerra democratica
Chiarelettere, 289 pagine,
14,90 euro
I principali interventi e articoli
di Massimo Fini sulla inzione
dei cosiddetti interventi umanitari. Un viaggio lungo
vent’anni, dalla prima guerra
del Golfo alla guerra eterna in
Afghanistan.
Luciano Ligabue
Il rumore dei baci a vuoto
Einaudi, 163 pagine, 15 euro
Ci sono molti tipi di amore, in
queste storie. Nessuno facile.
Monica Rufato
e Massimo De Marchi
Veneto e nuvole
Cleup, 219 pagine, 13 euro
Cosa sta cambiando del territorio Veneto e cosa resta inalterato? Come lo vivono i giovani? Come stanno cambiando i nostri paesaggi?
David E. Cooper
Una ilosoia dei giardini
Castelvecchi, 182 pagine,
19,50 euro
Dato l’entusiasmo per i giardini nella civiltà umana antica e
moderna, orientale e occidentale, è sorprendente che la
questione sia stata così a lungo
trascurata dalla ilosoia.
Armando Massarenti
Perché pagare le tangenti
è razionale ma non vi
conviene
Guanda, 131 pagine, 12 euro
Per rovesciare la tendenza generale e imporre nuovi comportamenti si deve ripartire
Georges Castellan
Storia dell’Albania e degli
albanesi
Argo, 219 pagine, 19 euro
La storia dell’Albania dall’occupazione romana alla separazione dal Kosovo.
Dario Fo, Giuseppina
Manin
Il paese dei misteri bui
Guanda, 208 pagine, 15 euro
Giuseppina Manin ha proposto a Dario Fo di ripensare ai
tanti altri “misteri”, pochissimo bui ma terribili e grotteschi, che in questo mezzo secolo hanno scosso l’Italia.
Carlos Alberto Montaner
La moglie del colonnello
Edizioni a Nord Est, 215 pagine,
15 euro
La storia di un adulterio e delle sue conseguenze. Montaner
approitta di un tema universale come l’adulterio per analizzare la repressione della
sessualità a Cuba.
Esmahan Aykol
Divorzio alla turca
Sellerio, 213 pagine, 14 euro
Nel suo terzo caso, l’avventurosa libraia di Istanbul, Kati
Hirschel, indaga sul presunto
omicidio della moglie del rampollo di una delle casate più in
vista del paese.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
89
Cultura
Musica
Dalla Gran Bretagna
Peter Kernel
Segrate (Mi), 26 aprile,
circolomagnolia.it; Genova,
27 aprile, magazzinigenerali.it
Folk ma poco dolce
The Maccabees
Firenze, 25 aprile, viperclub.eu;
Bologna, 26 aprile, estragon.it;
Ciampino (Rm), 27 aprile,
orionliveclub.com
Om
Bologna, 22 aprile,
locomotivclub.it; Roma,
23 aprile, circoloartisti.it;
Milano, 24 aprile,
tunnel-milano.it
Asteroid Galaxy Tour
Milano, 25 aprile,
magazzinigenerali.it; Bologna,
26 aprile, locomotivclub.it;
Roma, 27 aprile,
circoloartisti.it
Arriva il primo album di
Beth Jeans Houghton
Siamo in un bar di Londra e io
faccio la mia domanda più
scomoda: è vero che lei parla
con Marc Bolan, il cantante
dei T. Rex, morto nel 1977?
“Ma no, non è lui che parla,
sono io che parlo con la sua
voce! Sarebbe bello avere un
amico come Marc. Così lo
uso un po’ come si fa con una
nonna inta”. Una che? “Una
nonna inta! Una nonna che
non è davvero la tua. Io ne
avevo una, era una persona
importante per me. Ora è
morta, ma ci parlo lo stesso”.
Viviamo in un’epoca di musicisti pop che dicono solo cose
DAVID CHAVANNES
Dal vivo
Beth Jeans Houghton
ovvie, quindi è un piacere avere una conversazione come
questa. Houghton – nata a
Newcastle upon Tyne 22 anni fa – ha appena pubblicato il
suo primo vero album, Yours
truly, cellophane nose, un disco
straordinario per una voce
atletica. L’anno scorso ha avuto una storia con Anthony
Kiedis dei Red Hot Chili Pep-
per, ed è stata vista in giro con
Neil Young: “I miei amici a
Los Angeles sono amici e basta”. Parlare con lei signiica
incontrare una ragazza normale, e tra un cafè e una sigaretta iniamo a chiacchierare di Starsky e Hutch, di
vecchi dischi e della sua musica. L’unica cosa che la irrita
è l’etichetta che le hanno appioppato di cantante nu-folk.
“Wikipedia diceva che sono
un’interprete di folk dolce e
gradevole, così sono andata a
cambiare il testo. Mi hanno
bloccato perché, mi hanno
detto, non potevo toccare il
proilo di una persona che
non conoscevo. Mah…”.
Pat Gilbert, Q
The Twilight Sad
Torino, 23 aprile, spazio211.com
Black Van
Roma, 27 aprile, laniicio159.it
Spoek Mathambo
Milano, 27 aprile,
thisisplastic.com; Torino,
28 aprile, spazio211.com;
Foligno (Pg), 29 aprile,
serendpt.it; Roma, 30 aprile,
brancaleone.eu
Kristof Hahn, Michael Gira
Ravenna, 27 aprile,
bronsonproduzioni.com
Asteroid Galaxy Tour
90
Playlist Pier Andrea Canei
Provincia di Vudù
VeneziA
Dolce è la sera
Alcuni western nascono
nei garage della profonda provincia palermitana; nell’aria il
puzzo di gomme bruciate e
nella memoria robe scritte da
Giorgio Vasta. La musica di
questo trio a sonagli, raccolta
nell’album La culla, è come la
migliore musica del peggiore
western di tutti i tempi, con pistoleri di risulta e pugnalate alla milza, tra Tom Waits e certa
edilizia “einstürzende Neubauten” molto Zen. Armonica
a bocca e blues, colla e raucedine, tastiere lucertole e batterie calcinate; e in Andrea Venezia si sente tutta una comica
maledizione d’esistere.
1
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Offlaga Disco Pax
A pagare e morire…
Fare il freelance della riscossione aitto a casa di un
indigente disperato aggressivo. Finire picchiato. Considerare l’opportunità di aprire una
posizione Inail per un mestiere
usurante: “scudo umano della
classe media”. Una delle storie
di Gioco di società, più che un
album un suadente, straniante
audiolibro di gente da Reggio
Emilia (“Questa città inutilmente bella, questa città zitella”: Arturo Bertoldi, citato
qui). Sfondi di economica elettronica per frammenti di vite
diroccate e umili epifanie; letteratura di accessi negati e scalate sinite.
2
L’Orso
Con i chilometri contro
Sociopatia e banjo, ritorni a casa, titoli di Tuttosport.
La provincia uccide, o almeno
mette sete. Mattia Barro da
Ivrea versa birra in un nome da
band, si stordisce al Magnolia,
scrive canzoni intelligenti (le
gote fanno rima con Goethe).
Sulla complanare che da Brunori Sas va verso Sujan Stevens apre un cantiere, insegue
un mare di idee. Bisogna crederci, pedalare folk e inserire i
iati da qualche parte e trovare
posti dove suonare e ofrire
download dal sito di Garrincha
records (adesso, l’ep La domenica). Una leggerezza profonda che esce alla distanza.
3
Jazz/
impro
Scelti da Antonia
Tessitore
Franco D’Andrea
Traditions and clusters
(El Gallo Rojo)
Ma a dare fuoco alle polveri è
soprattutto la stupenda voce
della ventiduenne Brittany
Howard, grezza come la carta
vetrata. Una voce potente e
dinamica che giustiica i para­
goni con Tina Turner, Aretha
Franklin e Janis Joplin.
Hermione Hoby,
The Observer
Chromatics
mente un tentativo di amplia­
re il loro pubblico internazio­
nale. Ma con tutti questi ospiti
è quasi inevitabile che non
funzioni troppo bene, distrug­
gendo il particolarissimo
equilibrio della coppia, che è
capace di renderli speciali.
Peter Kane, Q
Rock
Alabama Shakes
Boys & girls
(Rough Trade)
●●●●●
Gli Alabama Shakes sono un
gruppo doppiamente raro,
perché si sono scelti un nome
appropriato e perché hanno
dimostrato di meritare tutta la
pubblicità che hanno. I com­
ponenti del quintetto sponso­
rizzato da Jack White vengono
da una piccola cittadina
dell’Alabama e la loro musica
provoca alle orecchie e al cor­
po degli ascoltatori tutto quel­
lo che ci si aspetterebbe da un
gruppo che riscopre le radici
del soul rock più rumoroso.
Elettronica
John Foxx
The shape of things
(Metamatic)
●●●●●
Trentacinque anni fa Dennis
Leigh, meglio noto come John
Foxx, inventò il synth­pop con
gli Ultravox. Ora torna con
The shape of things, frutto della
collaborazione con la band
The Maths e in particolare con
il giovane musicista e produt­
tore Ben “Benge” Edwards.
Per molti versi è il miglior al­
bum di Foxx dai tempi di Metamatic, il suo debutto solista
del 1980, una pietra miliare
dell’elettronica. Questo per­
ché Foxx, come i suoi compa­
gni di viaggio Gary Numan e
David Sylvian, non si è mai la­
sciato intrappolare nel circui­
to dei nostalgici degli anni ot­
tanta, ma anche perché i sin­
tetizzatori non passano mai di
moda. Il loro suono è ancora
avanti, come lo era nel 1980. E
Foxx ne è ancora un interprete
fantastico.
Garry Mulholland, Bbc
Colonne sonore
PURPLE SNEAKERS
Amadou & Mariam
Folila
(Because)
●●●●●
Il supporto di Manu Chao e
Damon Albarn aveva trasfor­
mato Amadou & Mariam
nell’esportazione africana più
redditizia degli ultimi dieci
anni. Ora arriva il loro nuovo
album, registrato un po’ in tra­
sferta a New York e un po’ in
casa a Bamako, con la parteci­
pazione, tra gli altri, di Santi­
gold, musicisti da Tv On The
Radio e Scissor Sisters, e del
controverso rocker francese
Bertrand Cantat. È chiara­
ROLLING TUFF
Pop
Chromatics
Kill for love
(Italians Do It Better)
●●●●●
Il quarto album dei Chroma­
tics è la colonna sonora di una
gita in una squallida metropo­
li occidentale. Ugualmente
strutturato su momenti cupi
ed enigmatici ma anche lumi­
nosi e raggianti, ricorda i pri­
mi lavori del regista John Car­
penter come compositore, un
debito ammesso anche da Jo­
hnny Jewel, polistrumentista
della band. Già nel pezzo di
apertura Into the black, cover
inaspettata di Hey hey, my my
(Into the black) di Neil Young,
la sensazione resta quella di
ritrovarsi nei titoli di testa con
Kurt Russell. Il minimalismo è
una scelta che percorre tutti i
novanta minuti dell’album,
mantenendo sempre un equi­
librio, come in una partita a
ping pong tra luce e ombra. Je­
wel riesce qui a esprimere tut­
te le sue idee e i suoi suoni,
reinventando l’italo disco e il
modo di avvicinarci all’elet­
tronica, un genere che ha bi­
sogno di autori. Lui lo è.
Michael Rofman,
Consequence of Sound
Guano Padano
2
(Tremolos)
Alabama Shakes
Teho Teardo
Music, ilm. Music
(Specula)
●●●●●
Teardo fa parte della nuova le­
va dei compositori italiani di
colonne sonore, e può davvero
camminare sul sentiero trac­
ciato dai maestri a cui s’ispira.
Questa è una compilation del­
Elton Dean’s Ninesense
The 100 Club concert, 1979
(Reel Recordings)
le sue colonne sonore più re­
centi ed è afascinante. La
musica è profonda, non artii­
ciosa e molto moderna (nel
senso che l’autore mescola be­
ne tecniche vecchie e nuove).
Teardo ha un grande orecchio
per la melodia e gli arrangia­
menti e qua e là è capace di
colpire all’improvviso con
qualcosa di molto inatteso,
come un pezzo classico che
suona come fosse reggae. Il
suo lavoro non solo si può ac­
costare a quello dei grandi
maestri italiani degli anni ses­
santa, ma c’è anche qualcosa
del Gainsbourg più malizioso.
L’unica traccia che non con­
vince è una specie di trip­hop,
ma il resto è talmente buono
che perdonarlo è facile.
Record Collector
Classica
Yury Martynov
Beethoven/Liszt: sinfonie
n. 2 e 6
Yury Martynov, piano
(Zig-Zag Territoires)
●●●●●
Il pianoforte che Martynov ha
scelto per questo disco è un
Érard del 1837, l’anno nel qua­
le Liszt si appropriò amorevol­
mente della Pastorale di Bee­
thoven. Per la formidabile va­
rietà dei colori e la ricchezza
dei piani sonori che permette
di creare, è uno strumento che
sembra lanciare la sida della
trascrizione dell’orchestra. I
suoi timbri fruttati, un po’ aci­
duli, e le sue risonanze si of­
frono spontaneamente alla
Pastorale, al suo spettacolo
della natura e ai suoi lunghi
pedali armonici. Martynov
gestisce alla perfezione i con­
trasti dinamici, fa borbottare i
contrabbassi e cantare i iati.
Non s’era mai sentito nulla di
simile.
Laurent Marcinik,
Diapason
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
91
Cultura
Video
In rete
Pourquoi
t’y crois?
Negri de Roma
Domenica 22 aprile, ore 21.00
Babel
Il documentario di Sabrina Varani prende il titolo da un cd
realizzato da Indelebile inchiostro, un gruppo di musicisti rap
di origine africana che vivono
a Roma. Bat, Diamante e Aceto cantano in italiano, tra nuova identità culturale e conservazione delle loro radici.
Page One
Domenica 22 aprile, ore 21.15
Rai5
Dopo l’anteprima italiana a Internazionale a Ferrara e il tour
con Mondovisioni, alla vigilia
dell’uscita in dvd, la prima tv
del documentario di Andrew
Rossi sul presente e il futuro
del giornalismo visti dalla redazione del New York Times.
Così mangiavano
Domenica 22 aprile, ore 23.00
Rai Storia
Cinquant’anni di trasformazioni sociali del nostro paese
attraverso il cibo e le abitudini
culinarie. La storia privata della famiglia di una delle registe
si mescola alla cronaca di mode e consumi, dalla fame del
dopoguerra a oggi.
25 aprile. La memoria
inquieta
Mercoledì 25 aprile, ore 18.00
Rai Storia
Documentario realizzato da
Guido Chiesa e dallo storico
Giovanni De Luna nel 1995,
sulle celebrazioni del 25 aprile
nell’Italia del dopoguerra.
La voce Stratos
Venerdì 27 aprile, ore 23.00
Rai Storia
Ritratto di Demetrio Stratos,
cantante prima del gruppo dei
Ribelli, poi tra i fondatori degli
Area, dove ainerà la sua ricerca espressiva sull’uso della voce come strumento.
92
Dvd
Passaggio in Svizzera
Mentre Vol spécial, secondo
capitolo del lavoro di Fernand
Melgar sull’immigrazione in
Svizzera, raccoglie allori nei
festival, esce in Francia il dvd
di La forteresse del 2008, realizzato grazie al permesso di
ilmare per la prima volta
all’interno di un centro di accoglienza. Nel 2006 gli elettori
elvetici hanno votato per una
nuova procedura di richiesta
di asilo, rendendola più severa
e impermeabile. Senza commenti o interviste, ci immergiamo nell’attività quotidiana
di un luogo di transito e reclusione da cui dipende il destino
di centinaia di persone che vi
approdano illudendosi di aver
trovato la loro meta.
laforteresse.ch
pourquoitycrois.com
Le elezioni politiche francesi
arrivano al culmine di una
lunga campagna dominata dal
confronto tra Sarkozy e
Hollande. Pourquoi
t’y crois? ha seguito da
settembre 2011 sei giovani
militanti, impegnati nelle
campagne dei partiti
principali: oltre al Ps e
all’Ump, il Modem di François
Bayrou, il Front national di
Marine Le Pen, il Front de
gauche di Jean-Luc
Mélenchon e i verdi dell’Eelv.
Diversi video documentano le
loro attività, la dedizione alla
politica in generale e alle
cause dei singoli gruppi, per
scoprire le motivazioni della
militanza e raccontare la
campagna dal basso,
attraverso la fatica quotidiana
dei volontari invece che
attraverso i comizi dei leader.
Fotograia Christian Caujolle
Mantenere il controllo
Abbiamo già parlato dei software che, sfruttando la nostalgia per la fotograia di una volta, permettono di fare “vecchie foto con nuovi apparecchi” e di dare quindi un aspetto vintage (con una certa predilezione per le Polaroid) alle
immagini digitali scattate con
apparecchi moderni, telefoni
cellulari e altro. Facebook, che
dietro la maschera del social
network è diventato il più
grande circuito di difusione
delle immagini, ha appena acquistato Instagram per oltre un
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
miliardo di dollari: un’azienda
con una quindicina di dipendenti che non ha fatturato.
Perché sborsare una cifra del
genere per un’azienda vecchia
di 550 giorni che vale forse la
metà della cifra pagata da
Facebook? Prima di tutto perché Facebook vuole che gli
utenti di telefoni cellulari siano dipendenti dal social network e facciano ogni cosa attraverso le sue pagine. E quindi anche il ritocco delle immagini secondo la moda del momento. I due creatori di Insta-
gram avevano appena lanciato
la loro applicazione anche per
Android recuperando un milione di utenti che usavano il
sistema sviluppato da Google
per i telefoni cellulari. E poi, e
soprattutto, perché il mercato
dell’immagine è senz’altro
uno dei più interessanti, a livello economico. Non tanto
per quello che riguarda i contenuti, ma senz’altro per quello
che riguarda il controllo delle
reti. In ogni caso ci sono due
nuovi milionari contenti – e
sorpresi – in circolazione. u
Un giardino
pieno di vita
I giardini tascabili di Eugea. Tre kit di semi
per avere fiori e un piccolo orto sul tuo balcone
l’orto giardino
Semi di pomodoro ciliegia, pisello
rampicante, lattughine da taglio,
calendula, per creare un piccolo
angolo di campagna.
il giardino
degli insetti utili
Semi di 4 varietà diverse:
calendula, coreopsis tintoria,
facelia e pisello odoroso.
Seminare da aprile ad agosto.
il giardino delle farfalle
Semi di piante molto gradite alle
farfalle adulte:
cosmos bipinnatus, facelia, finocchio
selvatico e zinnia.
Seminare da maggio ad agosto.
shop.internazionale.it
Cultura
Sculture nel parco
Antony Caro, ino al 1 luglio,
chatsworth.org
Caro è stato l’avanguardia
dell’arte britannica per più di
mezzo secolo. Le sue sculture
astratte, spesso saldate insieme da consistenti pezzi d’acciaio, emanano un’aura da industria pesante. L’ultimo posto dove ci si immagina di trovarle è la Chatsworth house, la
residenza barocca dei duchi di
Devonshire. Per i prossimi tre
mesi 15 sue sculture saranno
ospitate nel meraviglioso parco disseminato di statue, urne
ed eleganti fontane. Le sculture di Caro sono tutt’altro che
decorative. Possono essere
poetiche, ma mai miti o gentili. Alla ine del lago ci sono alcuni pezzi degli anni sessanta,
quando Caro sottrasse la scultura al piedistallo e cominciò
ad assemblare rottami.
Capital s’impone con il suo
arancione brillante e i bordi
frastagliati.
The Daily Telegraph
Un futuro radioso
Per celebrare, a modo suo, il
primo anniversario dell’incidente alla centrale di Fukushima, a marzo, lo street artist
francese Combo si è introdotto nell’area di Cernobyl. Il sito,
controllato da agenzie ucraine, è stato aperto ai turisti l’anno scorso, ma l’artista l’ha visitato senza autorizzazione riuscendo a raggiungere indisturbato la zona interdetta. Combo ha aisso una serie di immagini promozionali dell’industria nucleare sul sito e nella
città di Cernobyl. Un lavoro
dirompente. Sullo sfondo delle rovine della centrale ha
messo anche un’immagine
sorridente dei Simpson per affrontare la realtà di questo
luogo e il futuro radioso che ci
prospetta.
Libération
HAnS-Peter FeLDmAnn
Arte
David, 2006
Londra
Vernacolare spettacolare
Hans-Peter Feldmann
Londra, ino al 3 giugno,
serpentinegallery.org
Die Toten, la morte, è un libro
tascabile di fotograie dell’artista tedesco Hans-Peter Feldmann. È un indice cronologico dei decessi registrati su tutti i fronti durante gli anni del
terrorismo in Germania. Il libro è una raccolta di immagini
ritagliate dai giornali e dalle
riviste del tempo, riprodotte a
buon mercato in bianco e nero, una per ogni pagina, con il
nome della vittima, la data di
morte e una croce nera accanto. Questo piccolo triste me-
moriale, che registra il periodo storico con totale assenza
di sentimento, è una delle
opere più semplici di Feldmann. La sua impaginazione
povera mette in evidenza la
violenza e la futilità delle morti. Anche se questa struttura è
tipica della maggior parte delle sue opere, la sua narrativa
lineare è meno ambigua di
molte altre, fatte con centinaia di immagini vernacolari
prese da qualsiasi fonte iconograica: riviste, pacchetti di sigarette, album di famiglia, libri per bambini, fotograie
scattate dall’artista. Per oltre
cinquant’anni Feldmann ha
mantenuto questa formula,
un miscuglio di immagini
sparse assemblate in serie o a
caso e pubblicate in libri. Il
suo lavoro, che afonda le radici nel dadaismo, è sopravvissuto a pop, concettualismo,
postmodernismo e neorealismo, mantenendo un legame
con ciascun movimento. In
un’epoca in cui le strategie di
mercato degli artisti sono
molto evidenti, Feldmann
non ha mai messo un limite
alla tiratura delle sue opere né
le ha mai irmate.
Financial Times
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
95
Pop
Camminare è politica
Will Self
a donna vaga per le strade della città. I braccia. “Scusa il ritardo”, ansima lei, perfettamente
suoi occhi, incapaci di mettere a fuoco, consapevole dei suoi tre chili di troppo. “La metro è lonassorbono a tratti una confusione di pa- tana chilometri”. Di fatto, ha percorso esattamente
rallelogrammi grigi, marroni e rossi, che 723 metri.
Mi auguro che questo venga considerato per quello
lei, pur consapevole del loro peso immenso, percepisce inconsistenti come che è: una descrizione lievemente poeticizzata della
spore di soione; e a tratti issano i volti delle persone condizione mentale che caratterizza una giovane donna alle prese con lo spazio urbano. Il moche incrocia con una tale intensità che,
quando si concentra su un’unica isiono- Il numero di tragitti do in cui reagisce ai suoi concittadini, al
mia, sente che basterebbe un piccolo ul- percorsi a piedi nelle traico stradale, alla necessità di orientarsi utilizzando un gps portatile mentre
teriore sforzo per riuscire a dedurre tutto città continua
ascolta musica sul suo lettore di mp3 è
di quell’individuo: età, occupazione, a diminuire. Anzi,
nel complesso abbastanza normale, epesperienze sessuali, ailiazioni politiche, secondo studi
pure, osservato in questi termini, mi
nomi di parenti e amici. Per una frazione recenti entro
sembra che abbia delle indiscutibili anadi secondo, la donna è traitta dalla per- la metà di questo
logie con quello che la medicina deinisonalità unica dell’individuo, che tuttasecolo saranno
sce uno stato psicotico. Come succede a
via viene subito riassorbito dalla folla.
deinitivamente
chi sofre di psicosi, la percezione che la
Accanto, nella carreggiata, scorre il trafnostra giovane donna ha della realtà è
ico: rombano gli autobus, stridono i ca- tramontati
radicalmente diversa dall’ambiente in
mion, scattano le automobili, serpeggiano le motociclette, eppure non si sentono rumori mec- cui si trova: è circondata da ediici reali, con dei nomi
canici, tutti quei parallelogrammi d’acciaio si sovrap- precisi e comprensibili; le persone che incrocia lungo il
pongono, si mescolano e si succedono accompagnati cammino sono una massa di sconosciuti; né loro né i
da pigolii, gorgoglii e ronzii elettronici, una colonna so- veicoli si muovono in sincrono con la musica che ascolnora sulla quale la nostra camminatrice può coreogra- ta; e inine la sua percezione della distanza è distorta,
fare tutto il traico, umano e veicolare, mentre i suoi mentre la sua capacità di interagire con l’ambiente diocchi, saettando abili, imbastiscono un ordine impec- pende da sistemi esterni alla sua mente, il cui funzionacabile nel caos che la circonda, e che dunque pulsa al mento le risulta incomprensibile quanto i rituali di uno
ritmo imposto dalla sua volontà divina. È completa- sciamano. La verità è che, pur di riuscire ad arrivare
mente smarrita: non saprebbe dirvi il nome di una sola all’appuntamento con il suo idanzato, per la nostra giovane donna non farebbe alcuna diferenza consultare
via o ediicio di rilievo.
È disorientata, eppure avanza attraverso lo spazio un feticcio o gettare una manciata d’ossa sul marciapieurbano lungo una traiettoria perfettamente organizza- de, per scegliere dove dirigere i suoi passi.
Che il nostro modo di esistere nell’ambiente urbano
ta: guarda il luminoso, sfaccettato gioiello che regge nel
palmo della mano, e altri parallelogrammi si sovrap- industrializzato (e ora postindustriale) sia per alcuni
pongono, si mescolano e si succedono reagendo ai gesti versi profondamente distorto è un’osservazione tutt’aldelle sue dita, che ora pizzicano, ora scattano come la tro che inedita. Negli anni quaranta dell’ottocento,
bacchetta di un direttore d’orchestra. Le dice dove an- Friedrich Engels scriveva della “brutale indiferenza,
dare, il gioiello, e quando la donna se lo accosta all’orec- l’insensibile isolarsi di ciascuno nel proprio interesse
chio le parla, ordinando alle sue gambe incerte di por- privato” che “si fa tanto più repellente e ofensivo quantarla a destra, a sinistra, dritto davanti a sé, ino a incon- to più questi individui si accalcano uno sull’altro in uno
trare un volto che inalmente riconoscerà, o forse no. spazio limitato”. Quello che Engels deiniva come il
Senza che lei lo voglia l’occupazione, i precedenti ses- principio fondamentale delle società di ogni luogo, non
suali, le ailiazioni politiche, i nomi di parenti e amici di era comunque “mai così sfrontatamente scoperto, così
lui la raggiungono. Eppure, nei millisecondi che tra- consapevole, come qui, nella calca della grande città”.
Ma già Thomas de Quincey, scrivendo vent’anni
scorrono prima che i due si intercettino, lei è attraversata dalla terribile sensazione che la personalità dell’uo- prima, aveva percepito nella frenesia delle grandi stramo sia solo uno stereotipo. Fino a quando lui, miseri- de di Londra un’alterazione fondamentale nella natura
cordiosamente liberato dalla folla, non le approda tra le dei legami umani. Fuggito di casa da adolescente, rac-
L
WILL SELF
è uno scrittore
britannico. Il suo
ultimo libro
pubblicato in Italia è
Una sfortunata
mattina di mezza
estate (Fanucci 2011).
Questo articolo è
uscito sul Guardian
con il titolo Walking is
political.
96
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
gabrIella gIandellI
contava di essere stato salvato da una ragazzina, ann,
con cui aveva trascorso alcune settimane, e che gli aveva evitato di morire di fame per strada. Il giorno in cui
avrebbero dovuto salutarsi, de Quincey cercò di organizzare un appuntamento con lei. Se uno dei due non
fosse riuscito ad arrivare, avrebbero ritentato la sera
successiva. Ma la ragazza non si presentò per molte sere consecutive e lui, pur avendola cercata in lungo e in
largo per la città, non la ritrovò mai più. “È questa”, dice, “tra i problemi che aliggono la vita di quasi tutti gli
uomini, la mia alizione più grande. Se fosse stata viva,
di certo prima o poi ci saremmo cercati nello stesso
istante nei poderosi labirinti di londra”.
Qualcuno potrebbe dire che se lui e ann avessero
avuto accesso a internet si sarebbero potuti individuare
senza margine d’errore; che i poderosi labirinti di londra – la cui popolazione all’epoca era circa un ottavo di
quella di oggi – sarebbero stati irrilevanti. de Quincey
dice che il non essere riuscito a ritrovare ann è la sua
“alizione più grande”, e così facendo sembra rendere
la sua perdita emblematica dell’abbandono dei legami
personali di un’intera società. Chiede di ann a molte
persone, ma l’unica cosa che conta, nella città, l’unica
che sia misurabile, è la folla. l’individuo, soprattutto se
povero e di sesso femminile, non ha alcun valore.
nel racconto di edgar allan Poe L’uomo della folla,
pubblicato nel 1840, il narratore anonimo è colpito da
una certa isionomia “per l’assoluta singolarità della
sua espressione. non rammentavo d’aver mai veduto
una cosa del genere. Com’ebbi posato lo sguardo su
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97
Pop
Storie vere
I piccoli annunci
commerciali abusivi
attaccati sui muri
delle città sono un
fenomeno comune.
Peter Bober, sindaco
di Hollywood, in
Florida, ha avuto
un’ideona per
combattere il
fenomeno: “Sugli
annunci c’è sempre
un numero di
telefono, perché chi li
mette vuole che noi li
chiamiamo. Allora
noi li chiamiamo e li
richiamiamo ino a
fargli scoppiare la
testa”. Così ha
installato un sistema
di telefonate
automatiche,
battezzato Robocall,
che chiama ino a
venti volte al giorno i
numeri delle
pubblicità illecite.
Dopo solo un giorno
di attività, ha reso
noto Bober, sono
decine i casi di
pubblicità abusive
rimosse pur di
fermare Robocall.
98
quel volto, il primo pensiero che attraversò il mio cervello fu che, se Retzsch lo avesse incontrato, subito ne
avrebbe fatto un modello per le sue rappresentazioni
pittoriche del demonio”. Non è necessario avere familiarità con le incisioni di Moritz Retzsch per capire dove
voglia andare a parare Poe, in particolare se si considera che, ino a quel momento, i volti delle persone che il
narratore aveva incontrato nelle brulicanti vie di Londra erano stati descritti come semplici variazioni di tipi
predeiniti: l’uomo della folla che dà il titolo al racconto
è il primo individuo autentico in cui s’imbatte.
Tuttavia (e qui l’ironia di Poe prefigura in modo
drammatico il senso di alienazione urbana del novecento), mentre segue questa particolare persona, il narratore si rende lentamente ma inesorabilmente conto
che la sua preda non può esistere separata dalla folla,
che la sua espressione diabolica e il suo aspetto consunto sono un efetto diretto del bisogno che quell’uomo ha
di trovarsi costantemente in mezzo ad altre persone.
L’epigrafe che Poe sceglie per L’uomo della folla è di La
Bruyère: “Ce grand malheur, de ne pouvoir être seul”
(che gran disgrazia non poter essere soli). Qualcuno
potrebbe sostenere che la città ofra un’esperienza liberatoria, che sottraendoci al controllo – morale e politico – delle piccole comunità chiuse, l’esistenza urbana
abbia favorito la realizzazione di sé e, per estensione, la
sanità mentale. Ma gli esempi di Engels, De Quincey e
Poe appartengono a un’epoca di urbanizzazione rapida,
in cui il paesaggio della città si poteva ancora attraversare a piedi. Forse la genialità di questi scrittori della
prima metà dell’ottocento è stata di preigurare le conurbazioni del mondo occidentale del duemila, in cui il
controllo della folla è aidato a telecamere a circuito
chiuso, sorvegliate solo sporadicamente e in modo casuale, mentre la distanza e l’orientamento sono astratti
dalla dimensione isica.
Io non credo che sia un’ipotesi fantasiosa. L’anonimo narratore di Poe è incapace di sperimentare la solitudine in senso sociale, ed è la sua stessa personalità a
dipendere dalla massiicazione urbana. La nostra camminatrice, per contro, è incapace di sperimentare la
solitudine in senso isico: non sapendo dove si trova e
non avendo le risorse isiche necessarie ad attraversare
porzioni considerevoli della città aidandosi alla sola
forza motrice del suo corpo, è condannata a un’esistenza nello spazio socializzata.
Nel suo magistrale libro Storia del camminare, Rebecca Solnit descrive il senso di pericolo provato durante le sue passeggiate notturne a San Francisco: “Fui
avvisata di restare a casa di notte, di portare abiti informi, di coprire o tagliare i capelli, di cercare di somigliare
a un uomo, di trasferirmi in una zona più facoltosa, di
spostarmi in taxi, di comperare l’automobile, di muovermi in gruppo, di farmi accompagnare da un uomo:
tutte versioni aggiornate delle mura greche e dei veli
assiri”. E quindi si rende conto che “molte donne perfettamente socializzate, prendendo atto del posto che
era stato scelto per loro, avevano accettato vite più gregarie e conformiste senza neppure comprenderne le
ragioni. Avevano così sofocato il semplice desiderio di
camminare da sole”.
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Epicuro sosteneva che il libero arbitrio è solo una
sensazione illusoria che si sperimenta quando le azioni
imposte dalle circostanze coincidono casualmente con
quello che desideriamo. A mio avviso, la descrizione si
adatta perfettamente alla percezione psicotica dello
spazio che caratterizza buona parte degli abitanti delle
città del nostro tempo, mentre le minacce esistenziali
che aliggono le donne e quelle che, con l’autorizzazione dello stato, gravano in special modo sui giovani maschi neri delle città britanniche, sono state interiorizzate perino da chi – i bianchi, gli individui di mezza età e
del ceto medio – non avrebbe ragione di esserne oppresso. In sostanza, privati dei mezzi di locomozione meccanici – automobili, autobus, treni – e senza il supporto
della tecnologia, di solito i cittadini urbani non sanno
dove si trovano, e non sono in grado di andare altrove
servendosi solo dei propri mezzi.
Ma non sono neppure in grado di formulare il desiderio di farlo. Per quel che li riguarda, i tragitti che devono compiere per andare al lavoro, a fare acquisti, a
divertirsi, a mantenere i contatti con le loro conoscenze, coincidono con lo sfruttamento dell’ambiente urbano. E anche il camminare volontario e non pianiicato si
mantiene entro i conini di questi contesti: l’esempio
più eclatante è quello dei centri commerciali. Eppure,
ino a poco più di un secolo fa, il 90 per cento dei londinesi preferiva ancora fare a piedi i tragitti inferiori a
dieci chilometri: in molti casi era per andare e tornare
dal lavoro, è vero, ma anche camminare verso il posto
di lavoro implica una presa di possesso isica dell’ambiente e l’esercizio delle proprie capacità di orientamento. Anno dopo anno, il numero di tragitti percorsi a
piedi continua a diminuire. Anzi, secondo studi recenti
entro la metà di questo secolo saranno deinitivamente
tramontati. Non più soggetta al controllo umano, la città ha già acquisito lineamenti distorti: lunghe e ampie
arterie aiancate da vicoli ciechi, mentre l’architettura
che Rem Koolhaas ha deinito “spazio spazzatura” presuppone che solo il corridoio possa essere accettabile,
soprattutto se provvisto di un bancomat. La periferia, e
l’interzona tra la città in senso stretto e il suo hinterland
rurale, sono l’incarnazione tangibile di questo disinteresse, nel loro essere sequele di località geograiche
ormai incapaci di trasmettere alcun senso di luogo. Ripensiamo a Borges e alla sua “mappa dell’impero che
aveva l’immensità dell’impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le generazioni seguenti, meno portate allo studio della cartograia, pensarono che questa
mappa enorme era inutile e non senza empietà la abbandonarono alle inclemenze del sole e degli inverni.
Nei deserti dell’ovest sopravvivono lacerate rovine della mappa, abitate da animali e mendichi; in tutto il paese non c’è altra reliquia delle discipline geograiche”.
Gli animali e i mendichi di Borges sono coloro che
ancora indagano le norme della geograia isica: comprendiamo che camminare nella città e nei suoi dintorni equivale, in un senso assai potente, a usarli. Il lâneur
contemporaneo è, per natura, una forza democratizzante che persegue la parità dell’accesso, la libertà di
movimento e la dissoluzione del controllo esercitato
dalle aziende e dallo stato. u mc
angelo monne
Palestina
a Las Vegas
Alma Khasawnih
as Vegas dev’essere un paradiso per chi
non ha molte occasioni di viaggiare: Parigi, Venezia, new York, perino giza.
Tutte le meraviglie del mondo afastellate in un posto solo. Quando, un paio di
settimane fa, mia zia ci ha proposto di
ritrovarci lì per una specie di raduno di famiglia, mi sono ricordata le parole di un amico: “Che non ti venga
mai in mente di andare a las Vegas, è capitalismo allo
stato puro”.
eppure eccoci lì, un improbabile gruppo di arabi tra
cui accademici con la testa fra le nuvole, iperattivi direttori esecutivi, scrittrici dislessiche, dottorandi stressati, un’artista e un avvocato. Una metà di noi è del tutto priva di senso dell’orientamento, un’altra metà sofre
di disturbo ossessivo-compulsivo, e siamo quasi tutti
dei maniaci del controllo. Perciò andare a las Vegas,
città superafaccendata, ultrastimolante e connessa da
passaggi sotterranei, doveva essere interessante.
nell’istante in cui siamo atterrati, mi è venuto da
pensare ai paesi del golfo, soprattutto a Dubai. Riempire il deserto di vegetazione istantanea ed ediici smisurati dev’essere il sogno professionale di ogni architetto. Fa’ quel che ti pare, purché sia enorme e vistoso.
Si direbbe che al maktoum, l’emiro di Dubai, sia
venuto a las Vegas e abbia deciso di emulare questa
città. Probabilmente la sola diferenza è che las Vegas
è un po’ meno seria di Dubai, il che ha reso più facile per
me e la mia famiglia oltrepassare i conini ed essere
persone diverse da quelle che siamo di solito.
la nostra prima serata è stata piuttosto tranquilla,
L
salvo il fatto che ho vinto 0,05 centesimi di dollaro e ne
ho persi 18 (dollari, non centesimi). mia zia aveva dato
a ognuno di noi 18 dollari da puntare con l’intesa che, in
caso di grosse vincite, mille dollari o più, gliene avremmo dato il 10 per cento. Perciò mi sono piazzata davanti a una serie di slot machine tutte diverse (da un centesimo, venticinque centesimi, un dollaro). Di fronte alle
luci e allo strepito che usciva da quei marchingegni mi
sono messa a premere pulsanti. Continuavo a premerli
inché non si muoveva qualcosa. Suppongo di aver vinto alla macchina da un centesimo. la verità è che non
avevo la minima idea di come funzionassero quegli aggeggi, e non ho giocato abbastanza per venirne a capo.
nel corso dell’intero viaggio credo di aver totalizzato una vincita di un dollaro e trenta centesimi. ma che
importa? Vegas ha la capacità di farti credere che il denaro sia irrilevante. Inili dei soldi in una macchina e
quella ti stampa un voucher pari alle tue vincite. Una
mano di black jack o un bicchierino di margarita dal sapore dolciastro costano dieci dollari, ma in qualche
modo l’alcol è obbligatorio, perciò ne bevi più del giusto
sperando che il baccano inisca o che l’alcol riesca in un
modo o nell’altro a farti vincere milioni.
Però non succede niente del genere. nel migliore
dei casi ti ubriachi e passi una bella serata, nel peggiore
fai cose che senti di dover lasciare a las Vegas. Personalmente, ho fatto cose che vorrei poter lasciare a
las Vegas, e non dover nominare o discutere mai più.
ma gli scandali nascono quando cerchiamo di nascondere qualcosa. Perciò, nell’intento di fare piena luce,
ecco qua le mie confessioni.
Durante i quattro giorni e le tre notti che ho trascorso a las Vegas, ho bevuto tre tazze di cafè Starbucks e
comprato due grandi bottiglie di Coca Cola. Che cosa
sarà mai? Sarà che ho sacriicato diciotto anni di un
sano principio: evitare il mal di testa da cafeina e la
probabilità di essere oltremodo sgradevole per i miei
compagni.
lo so, lo so: a Seattle c’è uno Starbucks a ogni ango-
ALMA
KHASAWNIH
è una giornalista nata
ad amman. Vive
a Seattle. Questo
articolo è uscito sul
Seattle globalist
con il titolo Full
disclosure on my
weekend in Vegas.
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99
Pop
LUTZ SEILER
è un poeta e saggista
nato a Gera nel 1963.
Questa poesia è
raccolta in
Ricostruzioni. Nuovi
poeti di Berlino, a cura
di Theresia Prammer
(Scheiwiller 2011).
Traduzione di Milo
De Angelis e Theresia
Prammer.
lo. A Seattle quell’azienda ci è nata. Forse avrei dovuto
provare un certo orgoglio cittadino a scoprire che la mia
salvezza mattutina era aidata a una ditta nostrana. Ma
non è andata così. Vedete, da Amman (dove per altro
Starbucks non solo c’è, ma si sta impossessando di piccoli esercizi di ogni tipo) sono riuscita a trasferirmi a
Seattle anche se era infestata da Starbucks, perché in
città c’erano anche alternative al cafè della compagnia
che boicotto dal 1997 per il modo in cui tratta i coltivatori di cafè in Sudamerica, e poi – con veemenza ancora maggiore – da quando ho saputo che Howard Schultz,
amministratore delegato della società, è un fervente
sostenitore di Israele.
Eppure eccomi lì, eccoci tutti lì. Non c’è una sola
persona della mia famiglia che non boicotti Starbucks,
ma eccoci lì a bere il loro cafè ogni mattina nel nostro
albergo.
Las Vegas è uno strano posto. Per certi versi, tratta
tutti da uguali. Ci si siede allo stesso tavolo, si getta lo
stesso dado, e la perdita è assicurata per tutti.
Una volta fatto il pieno di baccano e di multinazionali, abbiamo deciso di andare in gita alla diga di Hoover, dove ci siamo presi una rivincita. Attraversato il
ponte e scattate un mucchio di foto, siamo arrivati davanti a una targa dedicata al dottor Elwood Mead, specialista di fama mondiale in ingegneria idraulica e
dell’irrigazione.
La diga di Hoover era stata l’ultimo progetto di una
carriera di dimensioni globali, inclusa la conservazione
dell’acqua e i tentativi di irrigazione in Palestina. Sulla
lastra igurava davvero la parola Palestina! La targa
commemorativa era stata collocata e inaugurata il 3 novembre 2007. Durante la vita del dottor Mead (18581936) esisteva un paese sovrano chiamato Palestina.
Sono rimasta ferma davanti alla lapide, ho scattato un
numero esagerato di fotograie e, prima di allontanarmi, ho fatto notare la parola agli altri perché la leggessero: Palestina, vedete, Palestina. Noi siamo palestinesi.
Poesia
Stai attento
da bambini volevamo sempre
marciare in altri
paesi, ma
ai conini del bosco eravamo vecchi
& dovevamo tornare indietro.
una pupilla la madre, una
pupilla il padre;
& se di sera dovevamo essere per tempo
a casa, con le loro
capriole ci indicavano la strada.
Lutz Seiler
Eccomi lì: un’araba, una palestinese originaria di
una nazione ufficialmente non riconosciuta eppure
sempre difamata, in piedi davanti a una lastra di pietra
alla diga di Hoover, fuori dal trambusto di Las Vegas
dove avevo rinunciato ai miei princìpi per una tazza di
cafè mattutino, a riafermare il mio impegno nei confronti del boicottaggio.
La gita a Las Vegas, dove credevo di andare per un
raduno semifamiliare, dove avevo intenzione di scatenarmi con whisky e birra e di vincere un sacco di soldi,
si è trasformata in un viaggio pieno di contrasti e di conferme.
Quel che succede a Las Vegas resta a Las Vegas.
Ma se mai ci rimetterò piede, mi porterò dietro il mio
cafè. u mn
Scuole Tullio De Mauro
Se il computer non vale un Perù
Le scuole elementari peruviane
permettono, loro malgrado, di veriicare i limiti dell’introduzione
delle tecnologie informatiche nella didattica. Come altri paesi di
Sudamerica e Africa, il Perù ha
aderito al progetto One laptop per
child (Olpc), ideato e lanciato da
Nicholas Negroponte e sostenuto
inanziariamente da Google e altre
grandi imprese del settore. L’idea,
di cui qui già abbiamo parlato, è
produrre computer a basso costo e
consumo minimo, e arrivare a dotarne ciascun bambino in dai pri-
100
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
mi passi della scolarizzazione nei
paesi meno sviluppati. A efetti positivi registrati altrove, fanno riscontro efetti nulli o negativi nelle
elementari del Perù.
Al ministero dell’educazione di
Lima i funzionari osservano che
gli insegnanti non sono preparati a
sfruttare il nuovo mezzo. A quanto
pare si limitano a farlo usare per
far copiare quello che loro scrivono sulla lavagna: una specie di
quaderno più ingombrante e fastidioso da aprire e chiudere. Così si
perde tempo inutilmente e ne ri-
sulta un peggioramento nell’apprendimento di scrittura e aritmetica. Lo ha rilevato un rapporto
della Inter-American Development Bank (The Economist,
A disappointing return from an
investment in computing, 7 aprile
2012).
Si conferma così la conclusione
cui nel 2011 erano arrivate le analisi di un’agenzia educativa indipendente, McRel: l’insegnamento via
computer è prezioso per i bravi insegnanti, ma in mano ai mediocri
ha efetti nulli o negativi. u
Scienza
RIChARD SChULTz (CORBIS)
legate allo stile di vita della madre. Tutte le
laureate dello studio hanno partorito igli
con un microbioma dominato dai batteri
dell’acido lattico, mentre la maggioranza
delle donne che avevano studiato ino a
dodici anni ha avuto igli con l’intestino
dominato dai batteri enterici.
Sembra inoltre che le fumatrici incoraggino il microbioma enterico, mentre il
consumo di cibi biologici favorisce i batteri
dell’acido lattico.
I ricercatori non sanno ancora con certezza come avvenga il passaggio dei batteri dalla madre al feto, ma è probabile che il
tramite sia la placenta. Anche perché si è
visto che i batteri sono presenti nel sangue
prelevato dal cordone ombelicale, che collega il feto alla placenta.
Correggere il microbioma
Ogni bambino
nasce con i suoi batteri
Jessica Hamzelou, New Scientist, Gran Bretagna
Non è vero che i feti sono sterili,
sostiene un nuovo studio.
Già nell’utero sono contaminati
dai batteri materni, che
inluenzano il sistema
immunitario del nascituro
i è sempre pensato che il feto vivesse in un mondo sterile, protetto
dagli innumerevoli batteri della
madre. E che il neonato acquisisse
la sua prima lora batterica intestinale al
momento della nascita, dalla vagina della
madre o dall’ambiente in cui nasceva.
Sembra invece che nasciamo sporchi, e
che i batteri comincino a colonizzare il nostro intestino quando siamo ancora
nell’utero, inluenzando il nostro sistema
immunitario.
Alcune prove della possibilità che i
mammiferi sviluppino un microbioma prima della nascita vengono da studi sui topi
pubblicati quattro anni fa. Ora nuove ricerche indicano che lo stesso succede negli
esseri umani. Pilar Francino e i suoi colleghi dell’università di Valencia hanno prelevato e congelato il meconio – le prime feci
S
102
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
– di venti neonati. Dopo aver rimosso lo
strato esterno di ogni campione, per eliminare qualsiasi germe preso dopo la nascita,
hanno esaminato il dna batterico. L’équipe
ha così individuato i batteri presenti nel
meconio, che prima si riteneva sterile, e ha
trovato anche comunità molto sviluppate,
classiicabili in due categorie. Circa la metà dei campioni sembrava dominata dai
microrganismi che producono acido lattico, come i lattobacilli, mentre l’altra metà
conteneva soprattutto una famiglia di batteri enterici, come l’Escherichia coli.
Elisabeth Bik dell’università di Stanford, in California, è rimasta molto colpita
dalla ricerca: “Forse le tecniche precedenti non erano abbastanza rainate da individuare questo dna batterico”.
Poiché il microbioma può incidere sul
rischio di contrarre alcune malattie, l’équipe di Francino ha valutato lo stato di salute
dei bambini a un anno e a quattro anni e,
con sua grande sorpresa, ha scoperto che
quelli nati con più batteri dell’acido lattico
avevano maggiori probabilità di sviluppare
sintomi come l’asma, mentre quelli nati
con più batteri enterici avevano un maggiore rischio di eczema. Queste prime comunità batteriche sembravano inoltre col-
Pur avendo bisogno di essere confermati, i
risultati indicano che una donna incinta
può inluenzare la natura del microbioma
del iglio prima della nascita. E potrebbe
anzi essere il momento ideale per farlo,
perché i primi batteri che colonizzano l’intestino inluenzano poi le specie successive. Un microbioma alterato è stato collegato a una serie di disturbi, dalla sindrome
dell’intestino irritabile all’obesità. E potrebbe inluenzare anche alcuni tratti della
personalità.
“Secondo me ci sono buone probabilità
che i primi batteri inluenzino lo sviluppo
dell’intestino e del sistema immunitario di
un neonato”, dice James Kinross, chirurgo
dell’Imperial college di Londra che studia
il microbioma intestinale. “Se riusciamo a
stabilire quali sono i batteri più importanti,
e quali hanno conseguenze sulla salute e
sui disturbi immunitari futuri, potremmo
fare in modo che siano presenti prima del
parto”, spiega Francino. Le donne incinte
potrebbero provarci cambiando dieta e stile di vita, aggiunge. Si potrebbe anche studiare il meconio di un neonato per prevedere eventuali disturbi futuri individuando
i batteri mancanti, e quindi intervenire
somministrando sostanze probiotiche per
rimpiazzarli.
Prima, però, i medici dovranno accettare l’idea che nasciamo con i batteri. “Secondo la consuetudine medica il feto è
sterile”, spiega Kinross. “Il fatto che lo sviluppo dell’intestino sia inluenzato dai batteri materni è un’ipotesi sorprendente. Si
tratta di un modo del tutto nuovo di pensare alla malattia umana”. u sdf
NEUROSCIENZE
Le letture
dei babbuini
SALUTE
Staminali cinesi
SAndwIChGIrl (FlICkr)
Per riconoscere le parole scritte
che hanno un senso non serve
una competenza linguistica. lo
hanno dimostrato sei babbuini
dell’università di Marsiglia. lasciati liberi in uno spazio, i babbuini avevano a disposizione
degli schermi tattili dove comparivano le sequenze di quattro
lettere che formavano parole in
inglese reali o senza senso (come done e dran). Cliccando sullo
schermo i babbuini potevano indicare se la parola aveva senso.
In caso di risposta corretta, ricevano un premio. In 44 giorni
hanno svolto circa 60mila test, e
tre volte su quattro le risposte
erano corrette. I babbuini, spiega Science, sapevano distinguere anche parole mai viste
prima, dimostrando che non
avevano imparato le parole in
sé, ma le regole sulla posizione
delle lettere. lo studio fa luce
sull’evoluzione dei processi cognitivi legati alla scrittura e alla
lettura: quando gli esseri umani
hanno imparato a leggere e scrivere hanno sfruttato una struttura neuronale preesistente usata per il riconoscimento dei volti
e degli oggetti.
Salute
Nature, Gran Bretagna
Molti ospedali cinesi continuano a
usare trattamenti basati sulle cellule
staminali non sperimentati e proibiti.
Un’inchiesta di nature rivela che
queste terapie, usate per malattie
gravi come il morbo di Parkinson e il
diabete, sono la norma in molti
istituti. Il ministro cinese della sanità
ha vietato queste cure tre mesi fa, ma
la situazione non sembra cambiata. Secondo le direttive
del governo, le industrie devono registrare le ricerche in
corso, le attività cliniche, la fonte delle cellule staminali
usate e le procedure etiche adottate. Sono state anche
bloccate momentaneamente tutte le nuove
sperimentazioni cliniche. Ma inora non è stata registrata
nessuna ricerca, mentre i trattamenti continuano a essere
oferti. È quanto avviene a Shanghai, a Changchun e a
Pechino. le cure, che si basano su costose iniezioni di
cellule staminali, potrebbero essere inutili o addirittura
pericolose, in quanto potrebbero provocare il cancro o
malattie autoimmuni. Sono un centinaio le aziende
operanti in Cina nel settore delle cellule staminali, in
grande crescita negli ultimi anni. Alcuni di questi centri
vantano collaborazioni con prestigiosi centri di ricerca
occidentali, come l’harvard medical school o l’università
della California di Irvine, che però negano ogni legame. u
IN BREVE
Zoologia Un nuovo censimento
condotto via satellite rivela che
gli esemplari adulti di pinguino
imperatore sono 600mila, quasi
il doppio di quanto inora stimato. Gli uccelli, scrive Plos One,
sono stati osservati durante la
stagione della riproduzione in
aree remote del continente antartico, diicilmente accessibili.
Salute Anche in Canada è praticata la selezione sessuale a danno delle bambine: le donne originarie dell’India, soprattutto
dopo il primo parto, tendono ad
avere più igli maschi che femmine, scrive il Canadian Medical Association Journal.
Salute I lavoratori dei turni notturni avrebbero un maggiore rischio di obesità e diabete. Il
cambiamento dei ritmi del sonno porta a livelli anomali di glucosio nel sangue, scrive Science
Translational Medicine.
Davvero? Anahad O’Connor
Antibiotici
in natura
L’ora giusta contro le infezioni
In un lago nella grotta di lechuguilla, nel parco nazionale delle
Carlsbad Caverns in nuovo
Messico, sono stati trovati dei
batteri resistenti agli antibiotici.
Questi batteri non sono patogeni per l’uomo né sono mai venuti a contatto con dei farmaci. la
scoperta, avvenuta in una delle
grotte più isolate al mondo, suggerisce che la resistenza sia stata
provocata da antibiotici presenti
in natura, che potrebbero rivelarsi utili nel trattamento di infezioni incurabili. non resta che
trovarli, scrive Plos One.
L’orologio biologico inluenza il sistema immunitario?
le difese cellulari salgono e
scendono con i ritmi circadiani quotidiani del corpo. I livelli
dei linfociti T circolanti, per
esempio, raggiungono il picco
massimo di notte per poi diminuire gradualmente. Gli studi
hanno anche dimostrato che il
sistema immunitario reagisce
ad alcune infezioni manipolando i geni dell’orologio cir-
cadiano per favorire il sonno,
causando la stanchezza che
spesso accompagna la malattia. Un nuovo studio dell’università di Yale, pubblicato sulla
rivista Immunity, sostiene che
le luttuazioni circadiane possono incidere sull’eicacia
delle vaccinazioni, confermando l’idea che la predisposizione alle infezioni dipenda
dall’ora del giorno. la ricerca è
stata condotta sui topi, ma i risultati coincidono con studi
precedenti sugli esseri umani
e altri animali. Queste luttuazioni potrebbero essersi evolute per massimizzare la protezione da malattie come la malaria, trasmessa da zanzare
che hanno pattern di alimentazione quotidiani. la ricerca
potrebbe inoltre spiegare perché il jet lag, che altera i ritmi
circadiani, incida sul sistema
immunitario.
Conclusioni l’immunità alle
infezioni può variare con i ritmi circadiani quotidiani.
The New York Times
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
103
Il diario della Terra
Ethical living
Siccità
all’inglese
Gran Bretagna
Stati Uniti
Grecia
5,3 M
Stati Uniti
Cina
India
Pakistan
PapuaNuova
Guinea
7,0 M
45,0°C
Tillabery,
Niger
Messico
6,9 M
Zimbabwe
Perù
Namibia
Indonesia
5,9 M
Cile
6,3 M
-73,3°C
Polo Sud,
Antartide
JULIE DENEShA (GETTY IMAGES)
nellate di mais a causa della
siccità che ha colpito il paese.
Incendi Centinaia di pompieri hanno spento un incendio
che si era sviluppato a Central
park, a New York.
Wichita, Kansas
Tornado Sei persone sono
morte nel passaggio di più di
cento tornado sul centro degli
Stati Uniti, dal Texas al
Wisconsin. Le vittime si trovavano a Woodward, nell’Oklahoma, dove i tornado hanno
distrutto 89 case e 13 negozi.
Terremoti Un sisma di magnitudo 7 sulla scala Richter è
stato registrato al largo della
Papua Nuova Guinea. Non ci
sono state vittime. Scosse più
lievi sono state registrate
nell’ovest dell’Indonesia, in
Messico, in Cile e in Grecia.
u Il bilancio del terremoto di
magnitudo 8,6 che ha colpito
l’isola indonesiana di Sumatra
è salito a dieci vittime.
Siccità L’agenzia britannica
per l’ambiente ha annunciato
che metà dell’Inghilterra è in
stato di siccità dopo due inverni consecutivi con scarse precipitazioni. u Il governo zimbabwiano ha annunciato che il
paese importerà 600mila ton-
104
Ghiacciai I ghiacciai del
Karakorum, al conine tra
Cina, India e Pakistan, non si
sono ridotti negli ultimi dieci
anni malgrado i cambiamenti
climatici. Lo rivela uno studio
dell’università francese di
Grenoble basato sull’analisi
delle immagini satellitari.
Delini La morte di circa
tremila delini rinvenuti lungo
le coste del Perù negli ultimi
mesi è stata causata dai sonar
usati per la ricerca petrolifera.
Lo ha annunciato un gruppo
ambientalista locale.
Serpenti Centinaia di
serpenti sono stati segnalati
in un villaggio nel nordovest
della Namibia. Probabilmente
i rettili sono stati spinti nella
zona dallo straripamento di
un iume.
Uccelli I parchi eolici hanno
un impatto limitato sugli
uccelli selvatici. Secondo uno
studio condotto in Gran Bretagna, gli impianti sono più dan-
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
nosi durante la costruzione
che quando sono in attività.
Si è visto che le pale lasciano
immutate le popolazioni di
pernici, fanno diminuire quelle di chiurlo e fanno aumentare quelle di allodole, scrive il
Journal of Applied Ecology.
Carta Quanta carta consumiamo? Uno statunitense ne
usa in media l’equivalente
di quasi sei alberi di 12 metri
all’anno (con un diametro di
15-20 centimetri, pari a circa
40 chili di carta). La tabella
indica il consumo apparente,
cioè la produzione di carta,
più le importazioni, meno le
esportazioni. Questo distorce
un po’ i consumi reali perché
alcuni paesi, come la Finlandia, esportano la carta anche
sotto forma di altri prodotti.
Consumo annuo pro capite di carta
nel mondo, in alberi di 12 metri, 2010
Fonti: Risi, Bir, Epa, Assocarta, The Economist
Belgio
8,51 Gran Bretagna 4,48
Finlandia
7,28 Italia
4,44
Austria
6,83 Francia
4,18
Germania
6,35 Spagna
3,74
Giappone
5,83 Portogallo
2,87
Svezia
5,67 Irlanda
2,21
Stati Uniti
5,57 Cina
1,81
Danimarca
5,54 Messico
1,69
Svizzera
5,37 Brasile
1,29
Paesi Bassi
5,24 Russia
Corea del Sud
5,18 Indonesia
Canada
4,89 India
1,21
0,67
0,23
A causa della siccità le autorità
inglesi hanno messo al bando
dal 5 aprile, e probabilmente
per tutta l’estate, i tubi per innaffiare prati e giardini, lavare
le auto o riempire le piscine di
plastica. Insomma l’acqua va
usata solo per gli usi essenziali. Il Guardian esplora le alternative e in particolare la
possibilità di avere un pozzo
privato. A seconda del terreno
e della falda acquifera, è possibile scavare un pozzo (uno piccolo costa circa 3.500 sterline)
ed estrarre fino a ventimila litri d’acqua al giorno, gratuitamente. Questo volume è ampiamente sufficiente a irrigare
un giardino, e può essere sfruttato anche per gli usi domestici non potabili, come gli scarichi del water e la lavatrice. Se
filtrata e trattata, l’acqua può
diventare potabile.
In realtà, lo scavo di un
pozzo privato è raramente
considerato positivo dal punto
di vista ambientale, perché ha
un impatto su un territorio già
sotto stress idrico. Inoltre, può
entrare in conflitto con il punto di prelievo pubblico, generando una competizione per la
risorsa. Sorgono quindi dei
dubbi sulla giustizia sociale e
l’eticità dell’operazione. Il
Guardian ricorda, però, che i
pozzi privati riducono i costi di
trasporto dell’acqua e permettono la coltura locale di frutta
e verdura, più verdi di quelle
del supermercato. In alternativa, si può fare ricorso a strategie consolidate, come la raccolta di acqua piovana, la scelta di piante resistenti al secco,
l’adozione delle tecniche della
permacultura. Infine, si può
provare a riciclare l’acqua usata a scopo domestico.
Il pianeta visto dallo spazio 28.03.2012
La nebbia sul mar Giallo
Nord
100 km
Pyongyang
Seoul
Qingdao
Mar Giallo
eArthobSerVAtory/NASA
Shanghai
u In primavera capita spesso
che il mar Giallo sia immerso
nelle nebbia. Questo mare poco
profondo, che ha molti porti attivi, ha generalmente cinquanta
giorni di nebbia all’anno. Il 28
marzo 2012 lo spettroradiometro Modis a bordo del satellite
Aqua ha scattato questa foto di
un banco di nebbia che avvolge
la costa coreana. La bassa formazione nuvolosa copre una supericie grande quasi quanto
tutta la penisola, e scende per
circa novecento chilometri dalla
baia di Corea alla città cinese di
u
Shanghai. Lungo la costa cinese
si nota una foschia marroncina,
dovuta probabilmente alle
emissioni delle zone industriali.
Di solito la nebbia è più itta
ai bordi, dove il manto delle nubi appare piuttosto uniforme.
Verso il centro, invece, ha un
aspetto meno compatto, a indicare una possibile convezione e
la probabile presenza di stratocumuli. Queste nuvole che si
formano nell’atmosfera più in
alto rispetto alla nebbia non incidono sulla visibilità al livello
del mare.
Gli scienziati del Goddard
space light center della Nasa
hanno simulato le condizioni
meteorologiche che possono
creare una formazione nuvolosa
simile a quella nell’immagine
scoprendo che si tratta probabilmente di nebbia da advezione.
è un tipo di nebbia che si forma
in genere quando i venti spingono l’aria calda e umida su una
supericie più fredda. In questo
caso i venti di nordest hanno
spinto dell’aria calda sul mar
Giallo. L’acqua è più fredda perché il sole la riscalda meno rapidamente di quanto faccia con la
terra e perché le correnti oceaniche provenienti dalla costa
ovest della Corea portano in supericie acqua fredda.
Secondo gli scienziati
dell’università dell’oceano della
Cina, la stagione della nebbia
da advezione comincia all’inizio
di aprile e inisce ad agosto con
il cambiamento dei venti nella
regione. Di solito la nebbia dura
circa due giorni. La scarsa visibilità causa spesso incidenti tra
le imbarcazioni. Secondo i dati
del governo cinese, circa la metà delle collisioni nel grande
porto di Qingdao è provocata
dalla nebbia.–Adam Voiland
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
105
Tecnologia
L’anno di Larry Page
Il cofondatore di Google
fa il punto del suo primo anno
da amministratore delegato.
Che lo ha visto impegnato
in una sida continua con
la concorrenza
arry Page è accerchiato. Da un
lato deve fare i conti con Facebook, il social network esplosivo
che sta per essere quotato in borsa. Dall’altro lato c’è la Apple, che ha spostato il campo di gioco dai computer agli
smartphone e ai tablet. E così l’amministratore delegato di Google, che ha assunto la
carica un anno fa, ha il compito di guidare
l’azienda di cui è cofondatore in un territorio delimitato da due rivali, difendendo la
sua creatura dall’accusa di essere diventata
l’ennesimo monopolista ingombrante o,
peggio ancora, un follower, un imitatore
della concorrenza.
È il 3 aprile e Page si fa intervistare nel
Googleplex di Mountain view, in California. L’abbigliamento è curato ma informale, da geek: giacca di pile, maglietta con logo, jeans e un paio di Converse nere. Alla
minima insinuazione che Google non sia
più innovativa come un tempo, Page reagisce stizzito. “La nostra priorità assoluta”,
dice, “è realizzare il miglior prodotto possibile per gli utenti. Crediamo di averlo dimostrato in tutti questi anni, con le side
che abbiamo afrontato da un capo all’altro
del mondo”.
Page non è il primo fondatore a riafermarsi come leader dell’azienda che ha contribuito a mettere in piedi. C’è stato il caso
di Howard Schultz, tornato alla guida di
Starbucks con ottimi risultati, e quello di
Michael Dell, che ha ripreso le redini
dell’omonima azienda di computer, con
esiti meno felici. E poi c’è Steve Jobs, anche
se le circostanze non sono proprio le stesse:
a diferenza di Jobs, Page non ha mai lasciato l’azienda che ha fondato. In un certo senso, però, il paragone è calzante: negli anni
L
106
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
novanta, la Apple aveva bisogno di un sistema operativo più soisticato per afrontare
i cambiamenti nel mondo dell’informatica,
e così rilevò la NeXT, l’azienda di Jobs. Oggi anche Google deve fare i conti con un
mondo nuovo, nel quale gli utenti vedono
sempre più spesso il web attraverso il iltro
dei loro amici, anziché quello di un algoritmo matematico.
Anche se nell’ultimo decennio Google
ha creato social network come Orkut, Page
riconosce che la sua azienda ha sottovalutato l’importanza delle amicizie in rete. “La
nostra missione è stata quella di organizzare e rendere accessibili e utili a tutti le informazioni del mondo intero”, spiega. “Probabilmente abbiamo trascurato un po’
troppo il fattore umano”.
L’aver abbracciato in ritardo i social network, più una serie di altre scelte, hanno
esposto l’azienda a critiche che raramente
aveva dovuto afrontare quando era un colosso in ascesa. Negli Stati Uniti e in Europa
le autorità antitrust stanno veriicando se
Google, invece di agire come arbitro neutrale, favorisca i suoi contenuti nei risultati
di ricerca. I gruppi di controllo sulla privacy
stanno chiedendo a gran voce di cambiare
la sua politica sulla privacy, perché abuserebbe della iducia degli utenti.
E i blogger si chiedono ormai sistematicamente se Google sia diventata evil (cattiva), alludendo al famoso motto dell’azienda Don’t be evil (non comportarti male).
Page risponde alle accuse con un sorriso, sostenendo che in realtà Google non è
“Il tasso di litigiosità
nel nostro settore è
molto alto”, dice. “Si
spendono troppi soldi
in processi e avvocati,
invece di usarli per
nuove idee”
BrUNO FErT (PICTUrETANK)
Brad Stone, Bloomberg Businessweek, Stati Uniti
cambiata afatto. “I nostri valori sono sempre gli stessi”, dice. “Stiamo solo cercando
di usare le innovazioni tecnologiche su vasta scala per aiutare le persone e migliorare
la vita di tutti. I progetti che stiamo portando avanti, tra cui le automobili con pilota
automatico, si basano sull’uso della tecnologia al servizio dell’uomo. E credo che ci
sia ancora moltissimo lavoro da fare”.
Un nome comune
Page ha fondato Google insieme a Sergey
Brin nel 1998, all’età di 25 anni. La loro
azienda è una delle più importanti nella
storia della Silicon valley: nata da un progetto di ricerca all’università di Stanford, in
poco più dieci anni è diventata un colosso
multimiliardario.
Nei mesi che hanno preceduto la sua nomina uiciale ad amministratore delegato,
Page è stato impegnato a riorganizzare il
consiglio direttivo. Uno degli obiettivi era
quello di velocizzare il processo decisionale in un’azienda che ormai contava quasi
30mila dipendenti. Page ha anche cominciato a eliminare i progetti che non funzionavano: servizi come Knol, la risposta a
Wikipedia, e Google Wave, un complicato
strumento pensato per migliorare la produttività, sono initi nel cosiddetto “cimitero di Google”. La nuova organizzazione
aziendale si basa su sette divisioni: ricerca,
Larry Page con due collaboratori
Da sapere
Numero di utenti, gennaio 2012. Fonte: ComScore, Twitter
850
milioni
140
Facebook
pubblicità, YouTube, Android, Chrome,
commercio e social network. Page ha lavorato alla deinizione di obiettivi chiari per i
responsabili di ciascun gruppo. “Per certi
versi abbiamo gestito l’azienda in modo da
far sbocciare mille iori, ma ora dobbiamo
comporre un bouquet coerente”, ha dichiarato Brin lo scorso autunno durante una
conferenza sulle nuove tecnologie.
A giugno del 2011 Google ha presentato
l’ultima creazione della divisione social
network: Google+. Page ha chiesto a tutti i
dipendenti dell’azienda di dedicarsi al progetto, ofrendo bonus di ine anno legati ai
risultati. E si dice soddisfatto dei progressi
compiuti inora. “Siamo partiti meno di un
anno fa e abbiamo ottenuto risultati molto
positivi, decisamente superiori alle mie
aspettative”, spiega. “Non signiica che domani diventeremo il primo social network
del mondo. Non è un’ipotesi realistica. Ma
credo che Google+ stia crescendo più velocemente rispetto ad altri servizi”.
Molti osservatori, e non pochi azionisti
e analisti di Google, non ne sono così sicuri.
Secondo la società di ricerca ComScore,
nel mese di gennaio i 100 milioni di iscritti
a Google+ hanno usato il servizio per una
media di 3,3 minuti. Gli 850 milioni di utenti di Facebook trascorrono in media 7,5 ore
al mese sul sito. Page cita il numero dei suoi
follower su Google+, pari a due milioni di
100
milioni
milioni
Twitter
Google+
utenti, a dimostrazione del fatto che le persone stanno cominciando a usare il social
network. Inoltre, aferma, Google+ ha anche dato un valore aggiunto ai risultati di
ricerca di Google. Racconta il caso di un
suo amico, un ingegnere di Google che si
chiama Ben Smith. È un nome così comune
che la ricerca restituisce milioni di risultati.
Ora che Google sa che Page e un certo Ben
Smith sono in contatto, i risultati sono più
accurati. Un nome comune “è un vantaggio
se si tiene alla privacy, ma è uno svantaggio
per chi vuole essere rintracciato dagli amici”, spiega. “Per la prima volta, è possibile
digitare ‘Ben Smith’ nel motore di ricerca e
trovare la persona che conosciamo”.
La realtà distorta
Il collegamento dei dati da Google+ al suo
motore di ricerca, tuttavia, ha anche suscitato critiche. L’integrazione tra Google e
Google+, conosciuta con il nome Search,
plus your world (il tuo mondo nella ricerca
di Google), è stata presentata a gennaio tra
un coro di proteste da parte di blogger,
gruppi di difesa della privacy e concorrenti,
che hanno accusato l’azienda di riservare
un trattamento di favore ai suoi contenuti.
Secondo Bloomberg News, la Federal
trade commission ha messo sotto esame
Google+ nell’ambito di un’indagine antitrust su eventuali abusi, da parte di Google,
del suo monopolio nella ricerca. In Europa
e negli Stati Uniti gli organi di controllo
stanno anche indagando su una serie di
cambiamenti sulla privacy grazie ai quali
l’azienda può monitorare il modo in cui i
consumatori usano i suoi servizi.
Page è visibilmente irritato da questo
scetticismo. Sarebbe felice, spiega, di integrare i dati di Facebook e Twitter nei risultati di ricerca di Google, ma non può farlo
perché questi siti non lo permettono. “Ci
piacerebbe molto poter accedere ai dati
esterni. Ma non è possibile, ed è una cosa
frustrante”, dice. Cita come esempio la
questione della trasferibilità a senso unico
delle rubriche dei contatti tra Gmail e Facebook. I nuovi iscritti a Facebook possono
rintracciare velocemente i loro contatti
Gmail, ma non viceversa: i nuovi utenti di
Gmail non possono trovare in modo altrettanto semplice i loro amici su Facebook.
Page si lamenta anche del fatto che,
spesso, le aziende di tecnologia si fanno
causa a vicenda per questioni legate alla
proprietà intellettuale. “Nel nostro settore
il tasso di litigiosità è particolarmente alto”, dice. “Si spendono troppi soldi per avvocati e processi, invece di usarli per realizzare buoni prodotti”.
Aggiunge che Google non ha mai intrapreso azioni aggressive per far rispettare i
suoi brevetti di ricerca, e poi spara a zero
sui fautori della guerra nel campo delle
piattaforme mobili: “Se un’azienda arriva
a quel punto vuole dire che è alla ine del
suo ciclo di vita o non ha molta iducia nella sua capacità di afrontare la concorrenza”. Alla ine della conversazione, Page ricorda un episodio raccontato nella fortunata biograia di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson. Nel libro si legge che Page
chiamò Jobs, ormai in in di vita, per chiedergli un consiglio sulla gestione di Google. Jobs aveva minacciato una “guerra
termonucleare” contro Google, colpevole
di aver copiato in Android alcuni elementi
dell’iPhone, ma mise da parte il risentimento e ofrì i suoi consigli.
Page racconta la vicenda in modo diverso. Dice che fu Jobs a contattarlo, non
viceversa, e quando si incontrarono, qualche mese prima della sua morte, il fondatore della Apple gli diede indicazioni utili
su come gestire l’azienda. Page è convinto
che l’ostilità di Jobs nei confronti di Google
servisse solo per “fare scena”. L’apparente
rancore di Jobs nei confronti di Android,
spiega, serviva solo a motivare i dipendenti della Apple. “Molte aziende hanno bisogno di trovare un concorrente contro cui
coalizzarsi. Personalmente credo che sia
meglio puntare più in alto, e non guardare
alla concorrenza”.
Potrebbe essere un classico caso di distorsione della realtà, in perfetto stile Silicon valley. Ma il pioniere di questa pratica,
l’unico che potrebbe dirci come stanno veramente le cose, non c’è più. Oggi il numero uno è Larry Page e dovrà lavorare sodo,
più di quanto non stia già facendo, per restarlo. u eds
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
107
Economia e lavoro
Un mondo di tassi
truccati
The Economist, Gran Bretagna
In Europa, Nordamerica e Asia
sono in corso indagini per capire
se le grandi banche manipolano
i tassi d’interesse applicati ai
prestiti. Provocando forti perdite
ai loro stessi clienti
utti danno per scontato che le
banche calcolino il tasso d’interesse valutando onestamente
quanto gli costa prestare soldi.
Ma le autorità inquirenti di diversi paesi in
Europa, Nordamerica e Asia sospettano che
gli istituti abbiano manipolato il Libor (London interbank ofered rate, tasso di riferimento per i prestiti tra banche), un valore
che varia ogni giorno in base alle stime fatte
dagli istituti e che inluenza i tassi applicati
a prestiti e titoli. Finora sono emerse poche
informazioni dalle indagini, ma alcuni documenti delle autorità canadesi e statunitensi dipingono un quadro della vicenda
poco incoraggiante.
Il sospetto che nel Libor ci fosse qualcosa che non andava era sorto già nel 2008.
All’epoca la crisi aveva acuito i rischi inanziari, ma il tasso, che sarebbe dovuto salire
di conseguenza, non si è mosso. Quello
stesso anno un gruppo di economisti statunitensi ha difuso un documento in cui si
dimostrava che le stime elaborate dalle singole banche erano stranamente simili, anche se ogni istituto era esposto a livelli di
rischio diferenti. Ma secondo Rosa Abrantes-Metz, docente dell’Università di New
York che ha partecipato allo studio, mancavano prove schiaccianti.
Ora da un’indagine avviata dall’autorità
antitrust del Canada emergono ulteriori
elementi a conferma del fatto che alcuni
dati forniti dalle banche erano stati manipolati. Nei documenti si solleva il sospetto
che un gruppo di operatori inanziari fosse
in contatto per cercare di inluenzare il Libor applicato alle operazioni in yen. Tra le
carte ci sono anche le sintesi di messaggi
inviati dall’operatore A, dipendente di una
banca, rimasta anonima, che ha collaborato
con gli inquirenti. Nell’indagine sono implicati molti istituti, ma il brano che segue si
riferisce alla Royal Bank of Scotland (Rbs).
“L’operatore A ha spiegato al trader della
Rbs con chi era d’accordo e come aveva alterato il Libor per lo yen. Inoltre ha illustrato le sue operazioni sul mercato, ha espresso il desiderio che il Libor per lo yen seguisse un certo andamento e ha chiesto all’operatore della Rbs di convincere la sua banca
ad adeguare le stime per il Libor ai suoi desideri. Il trader della Rbs ha preso atto delle
informazioni e ha confermato che si sarebbe comportato di conseguenza”. La Rbs
sostiene di disporre di “prove legali e fattuali” per difendersi da queste accuse.
T
108
Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Il caso di Baltimora
RUBBERBALL/CORBIS
Se le indagini in Canada gettano luce sulle
manovre delle banche per manipolare il Libor, le cause civili avviate dai loro clienti
negli Stati Uniti indicano quali sarebbero le
vittime di questi tassi truccati. Secondo Bill
Butterield e Anthony Maton, dello studio
legale Hausfeld, oltre alle grandi società
d’investimento, sono coinvolti tre diferenti gruppi di clienti. Uno è composto dagli
operatori di borsa penalizzati dalla manipo-
lazione del Libor. Un altro è quello di chi ha
investito in obbligazioni aziendali collegate
al Libor, che avrebbero avuto un rendimento più alto se il tasso non fosse stato abbassato artificialmente. L’ultimo gruppo è
quello dei clienti che hanno comprato dalle
banche dei titoli swap sui tassi d’interesse.
Per esempio l’amministrazione comunale
di Baltimora, la cui storia è emblematica. I
comuni si fanno prestare denaro per inanziare la costruzione di grandi opere pubbliche, come strade e sistemi fognari. Spesso il
prestito meno costoso è quello a tassi variabili, che però non ha la stabilità del mutuo a
tasso isso. Allora si può ridurre il rischio
sottoscrivendo uno swap. In base all’accordo, la banca paga al comune degli interessi
variabili basati sul Libor, che compensano
quelli del prestito. A sua volta il comune
versa all’istituto degli interessi a tasso isso.
Baltimora ha sottoscritto swap per più di
cento milioni di dollari. Una contrazione
artiiciale del Libor, quindi, avrebbe causato al comune una perdita annuale di milioni
di dollari.
Se Baltimora vincerà la causa, anche altre città che hanno comprato gli stessi prodotti potranno chiedere il risarcimento.
Secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2010 negli Stati Uniti sono stati irmati swap per un valore compreso tra 250 e
500 miliardi di dollari. Alcuni processi,
inoltre, sono istruiti in base allo Sherman
act, la legge antitrust statunitense, che prevede un risarcimento pari al triplo dei danni
subiti. I comuni degli Stati Uniti potrebbero
aver diritto a un indennizzo di quaranta miliardi di dollari. u fp
Banca mondiale
Miliardari
soddisfatti
IN BREVE
Giappone Il governo inanzierà
il Fondo monetario internazionale per 60 miliardi di dollari,
venendo incontro alla richiesta
dell’istituto di ampliare le sue risorse per afrontare la crisi del
debito nell’eurozona.
Arriva
l’austerità
Un medico per presidente
PEDRO LADEIRA (AFP/GETTY IMAGES)
Il 16 aprile il senato degli Stati
Uniti ha bocciato la cosiddetta
Bufett rule, una proposta di legge voluta dal presidente Barack
Obama. Il progetto, scrive il
Washington Post, prevede
un’aliquota minima del 30 per
cento per l’imposta sul reddito
dei cittadini con entrate annuali
superiori a un miliardo di dollari. La Bufett rule prende il nome dall’investitore Warren Buffett, una delle persone più ricche del mondo. All’inizio del
2011 Bufett ha dichiarato pubblicamente che gli statunitensi
ricchi come lui pagano troppo
poche tasse in proporzione al loro reddito.
ARMI
Brasilia, 5 aprile 2012. Jim Yong Kim
Jim Yong Kim, medico statunitense di origine sudcoreana,
è il nuovo presidente della Banca mondiale. Per la prima
volta, scrive il Guardian, il ruolo non è stato aidato a un
esponente della inanza, ma a un esperto di sanità. Kim,
sostenuto da Stati Uniti, Europa, Giappone e Canada, ha
battuto Ngozi Okonjo-Iweala, la ministra dell’economia
nigeriana sostenuta dai paesi emergenti, sempre più critici
verso la predominanza occidentale sulle nomine alla
Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale. u
Il numero Tito Boeri
475 milioni
I contributi dello stato ai partiti per le elezioni del 2008 ammontano a 475 milioni di euro.
Purtroppo la proposta AlfanoBersani-Casini si limita ad aggiungere qualche regola di trasparenza, evitando il problema vero: la dimensione delle
risorse pubbliche messe a disposizione dei partiti.
I dati mostrano che i partiti
hanno speso per la campagna
elettorale del 2008 solo un
quinto dei inanziamenti ricevuti. Questo signiica che si
potrebbero ridurre dell’80 per
cento i fondi per i “rimborsi
delle spese elettorali”. Biso-
Negli ultimi dieci anni le spese
militari sono cresciute del 40
per cento, tenendo fuori dalla
crisi il settore delle armi. Ma
ora, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung, Stati Uniti
ed Europa devono tagliare i costi degli armamenti. Secondo
l’istitut0 di ricerca svedese Sipri, nel 2011 le spese militari nel
mondo sono rimaste ferme a
1.740 miliardi di dollari, mettendo in diicoltà i grandi esportatori. Tra i motivi della stagnazione, i tagli in paesi indebitati
come Spagna e Italia. Le spese
militari, invece, crescono in
Asia, Africa e Medio Oriente.
I paesi che spendono
di più per le armi
Miliardi
di euro
Variazione
delle spese
tra il 2010
e il 2011 , %
Stati Uniti
711
-1,2
Cina
143
+6,7
Russia
73
+9,3
Gran Bretagna
63
-0,4
Francia
63
-1,4
Giappone
59
0
India
49
-4,9
Arabia Saudita
49
+2,2
Germania
47
-3,5
Brasile
35
-8,2
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CINA
gnerebbe collegarli al numero
di voti efettivamente ricevuti
e non agli elettori “potenziali”. Lo stato, inoltre, deve pretendere che le spese siano documentate, invece di elargire i
soldi ex ante come fa ora.
Per stabilire il rimborso dovuto per ogni voto raccolto si
può fare riferimento al partito
più virtuoso. Secondo calcoli
fatti da lavoce.info, in questo
caso è la Lega, con una spesa
accertata di 0,52 euro per voto.
Con questi semplici princìpi,
per le elezioni del 2008 la Lega non avrebbe ricevuto 7,30
euro per voto e anche gli altri
partiti avrebbero dovuto adeguarsi al rimborso più basso.
In tutto lo stato avrebbe risparmiato 443 milioni. Non
pochi di questi tempi.
Oltretutto, i partiti sono associazioni volontarie a favore
delle quali i cittadini possono
fare donazioni, se documentate e trasparenti. Quindi, se
non bastassero i soldi elargiti
dallo stato, potranno comunque provvedere iscritti e simpatizzanti. Stabilendo, però,
un tetto alle singole donazioni. Per evitare che qualche
straricco si “compri” un partito. u
Lo yuan
è più libero
Dal 16 aprile il cambio dello
yuan può aumentare o diminuire dell’1 per cento rispetto al valore issato quotidianamente
dalla banca centrale cinese.
“Questa decisione”, spiega Le
Monde, “è un ulteriore passo
nella politica delle autorità di
Pechino volta a liberalizzare la
moneta e a farla diventare una
valuta internazionale. L’obiettivo a lungo termine del governo,
infatti, è rendere lo yuan una
moneta pregiata come il dollaro
o la sterlina, la cui posizione riletta l’importanza della Cina
nell’economia mondiale”.
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FONTE: FRANKFURTER ALLGEMEINE zEITUNG
STATI UNITI
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
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Strisce
non posso credere che oggi,
nel bel mezzo di aprile,
arriveremo a 32 gradi. questo
può voler dire una sola cosa:
una telefonata da tutta la
famiglia.
perché i parenti sono così
ossessionati dal meteo?
stanno lì ad aspettare il minimo
cambiamento di temperatura
per chiamarti e annoiarti a
morte con il tempo.
ti giuro, per loro
il Weather Channel è un po’
come un canale porno.
aspetta, non starai mica
dicendo che...?
certo.
mentre guardano
il meteo i tuoi
ci danno
dentro.
questo
spiega perché
lo guardano con
un sottofondo
jazz.
ugh.
Sono così contenta che Obama ha
vinto. Ora tutto mi sembra possibile.
Ti prego, dimmi che hai fatto
un viaggio nel tempo.
No, ma penso che il primo presidente nero
rappresenti una nuova speranza per questo
paese in crisi.
Va bene, mi accontento.
È da un po’ che penso a questo killer della
motosega che sta terrorizzando i boschi.
ma non prendete la scossa
a sedervi lì?
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Quel pazzo taglia in due gli alberi e
li trasforma in fogli di carta su cui scrive
qualcosa.
il segreto sta
nell’evitare
i cavi che
puzzano di
pollo fritto.
E poi, non contento, si mette a leggere le sue
storie agli alberelli più giovani.
L’oroscopo
Rob Brezsny
Hai dovuto afrontare il test prima di aver potuto studiare. È giusto? Assolutamente no. Questa è la cattiva notizia. Quella buona è che si trattava solo della prova di un
esame molto più importante e approfondito al quale manca ancora qualche settimana. E c’è anche una notizia migliore: le cose
che dovrai sapere prima di allora ti stanno venendo incontro e
continueranno ad arrivare. Applicati con diligenza, Ariete. Hai
molto da imparare, ma per fortuna hai tutto il tempo per prepararti come si deve.
liante che hanno. Sarei felice se diventasse l’apertura dei notiziari,
per ricordare quanto è misterioso
il mondo. Mi piacerebbe che gli
amanti lo dicessero al culmine del
loro atto d’amore. Ho deciso che
sarai tu a lanciare questa moda,
Vergine. Sei la scelta migliore perché il tuo, tra tutti i segni dello zodiaco, è quello che nelle prossime
settimane ha più probabilità di vivere le avventure più straordinarie.
TORO
BILANCIA
Sai cos’hanno in comune
Salvador Dalí, Martha Graham, Stephen Colbert, David Byrne, Maya Deren, Malcolm X, Willie Nelson, Bono, Dennis Hopper,
Cate Blanchett, George Carlin, Tina Fey, Sigmund Freud? Sono tutti
e tutte del Toro. Diresti che sono
persone sensate, materialiste, pigre e ossessionate dalle comodità
e dalla sicurezza, come le descrivono di solito i testi di astrologia?
No. Sono (o sono stati) tutte persone innovatrici dotate di uno stile
unico e di una grande creatività.
Loro sono i tuoi modelli nella fase
di massima espressione di te stesso che stai attraversando.
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
GEMELLI
Nel dicembre del 1946 tre
pastori beduini stavano sorvegliando il gregge sulle rive del
mar Morto quando scoprirono una
piccola grotta. Sperando che contenesse un tesoro nascosto, decisero di esplorarla. Il più esile dei
tre riuscì a entrarci e portò fuori
dei vecchi rotoli polverosi racchiusi in vasi di terracotta. I pastori rimasero delusi. Ma quei manoscritti, noti poi come i rotoli del mar
Morto, sarebbero stati uno dei ritrovamenti più importanti dell’archeologia. Ricordati questa storia,
Gemelli, perché credo che presto ti
succederà qualcosa di metaforicamente simile: una preziosa scoperta all’inizio potrebbe apparirti in
una forma tutt’altro che eccitante.
CANCRO
Un giorno il diavolo riunì i
suoi collaboratori più stretti.
Era seccato: il reclutamento delle
persone nate sotto il segno del
Cancro era sceso al di sotto delle
previsioni. “È inaccettabile”, disse
furioso il signore delle tenebre.
“Da qualche tempo quegli insopportabili Granchi sono troppo sani
di mente per lasciarsi abbindolare
dalle nostre bugie. Francamente,
non so più cosa fare. Suggerimenti?”. Il suo esperto di marketing
disse: “Raddoppiamo gli sforzi per
convincerli che il mondo inirà il 21
dicembre 2012”. E il suo vicepresidente: “Sfruttiamo la loro paura di
restare senza ciò di cui hanno bisogno”. Il capo dei servizi segreti ebbe un’altra idea: “Io direi di ofrirgli qualcosa di attraente ma inutile
per distrarli dai loro veri obiettivi”.
Quando una stella marina
perde un braccio può farselo ricrescere. Secondo la mia lettura dei presagi, nella prossima fase
del tuo ciclo astrale sarai molto simile a una stella marina. Sarai più
brava del solito a recuperare parti
di te che hai perso e risvegliarne altre che sono cadute in letargo. Nel
prossimo futuro, le tue parole magiche saranno “ringiovanire”, “ripristinare” e “risvegliare”. Se ti
concentrerai davvero e ti riempirai
della luce del sole spirituale, potresti addirittura attuare una sorta di
resurrezione.
LEONE
“Se non gestisci la tua vita,
qualcun altro lo farà per te”,
diceva lo psicologo John Atkinson.
Ricordatelo nelle prossime settimane, Leone. Scrivilo su un grosso
foglio di cartone e mettilo dove
puoi vederlo ogni mattina quando
ti svegli. Usalo come stimolo per liberarti dalla pigrizia che non ti fa
vivere la vita che vuoi veramente.
Ogni tanto, chiediti anche se dipendi troppo dall’approvazione o
dal riconoscimento degli altri. Hai
deciso che una persona, un’ideologia o un’immagine di successo è
più importante del tuo intuito? Hai
ceduto il controllo di un settore
della tua vita a un’autorità esterna?
SCORPIONE
Avere troppe cose buone
non è sempre positivo (hai
mai provato l’iperventilazione?). E
averne troppo poche non va bene
(sei mai stato disidratato?). Alcune
cose fanno bene a piccole dosi ma
fanno male se si esagera (pensa al
vino o alla cioccolata). Anche una
piccola quantità di una cosa veramente cattiva è pericolosa (è diicile fumare crack con moderazione). La prossima settimana sarà il
momento ideale per questo tipo di
rilessioni, Scorpione. Capirai molte cose se soppeserai e misurerai
tutto quello che c’è nella tua vita e
deciderai quello che è troppo e
quello che è troppo poco.
VERGINE
Le ultime parole che ha
pronunciato il pioniere
dell’informatica Steve Jobs prima
di morire sono state: “Oh wow.
Oh, wow. Oh, wow”. Propongo di
promuovere l’uso di questo mantra quanto quello delle altre creazioni di Jobs come l’iPhone e
l’iPad. Mi piacerebbe che tutti lo
pronunciassero ogni volta che si
rendono conto della vita strabi-
SAGITTARIO
Lo scultore Constantin
Brancusi per la sua arte aveva una strategia: “Crea come un
dio, domina come un re, lavora come uno schiavo”. Ti consiglio di
adottare una tattica simile nelle
prossime settimane, Sagittario.
Potresti fare rapidi progressi in un
progetto che ti è molto caro. Quindi cerca di avere una visione chiara
del sogno che vuoi realizzare.
Traccia un piano d’azione audace
e deinitivo. E poi raccogli il più
possibile la forza, la concentrazione e l’attenzione ai dettagli necessarie per trasformare il tuo desiderio in forma concreta.
CAPRICORNO
“Se nel castello c’è una porta che ti hanno detto di non
varcare mai”, dice la scrittrice Anne Lamott, “devi assolutamente
farlo. Altrimenti, continuerai a
spostare i mobili in stanze che già
conosci”. Penso che per te le prossime settimane saranno il momento ideale per superare quella porta
proibita, Capricorno. Le esperienze che ti attendono dall’altra parte
potrebbero non essere quelle di cui
hai sempre avuto bisogno, ma forse sono quelle di cui avrai bisogno
in futuro. E il tabù che vieta di avventurarsi nell’ignoto è ormai vecchio. Il rischio più grande che puoi
correre è liberarti di una paura che
ormai è diventata una dipendenza.
ACQUARIO
Quando cade sulla terra arida, la pioggia attiva nel terreno certi composti chimici che
emettono un odore particolare. Se
lo senti quando non sta piovendo
signiica che è scoppiato un temporale nelle vicinanze e il vento lo
sta portando ino a te. Ho il sospetto che presto sarai inondato da una
versione metaforica di quel profumo, Acquario. Una zona arida della tua vita sta per ricevere l’acqua
di cui ha tanto bisogno.
PESCI
Il 40 per cento degli statunitensi non sa che i dinosauri
si estinsero molto prima della
comparsa degli esseri umani sulla
terra. Quando vedono un vecchio
cartone animato in cui Fred
Flintstone cavalca un diplodoco,
pensano che sia un fatto storico.
Nelle prossime settimane, Pesci,
dovrai tenerti alla larga da chi coltiva convinzioni tanto sbagliate. È
più importante del solito che tu
frequenti persone con un minimo
di conoscenza della storia
dell’umanità e della realtà. Circondati di inluenze intelligenti, per
favore.
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internazionale.it/oroscopo
ARIETE
COMPITI PER TUTTI
A quale ilm somiglia la tua vita
da qualche mese?
tom, tRouw, paEsI bassI
L’ultima
Na!, RuE89, fRaNcIa
tagli in Europa.
mIx & REmIx, l’hEbdo, svIzzERa
titanic, la verità sul naufragio. “afondato!”.
baRsottI
wuERkER, polItIco, statI uNItI
francia, sarkozy non riesce a distanziare hollande nella corsa
alla presidenza. “Non è facile correre con i tacchi alti”.
“ti ricordi quando dicevi che la cosa più diicile sarebbe stata
unire il popolo afgano?”. Matt Wuerker ha vinto il Pulitzer 2012.
“Ehi ragazzi, siamo invitati a un barbecue”.
Le regole Insalata
1 l’insalata in busta non sa di niente. Neanche di terra, però. 2 Non dire “insalatona”. 3 Era
l’alimento base delle modelle, prima che arrivasse l’Evian. 4 vacci piano coi semi, non sei mica
una gallina. 5 È davvero bio solo quando ci trovi un verme. 6 se ci metti pollo, würstel, feta,
avocado, maionese e uova sode, tanto vale che ti mangi un big mac. [email protected]
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Internazionale 945 | 20 aprile 2012
Dall’autore di The Corporation,
il libro che racconta la guerra nascosta
per conquistare la mente, la salute
e il futuro dei nostri figli
Feltrinelli
FOREVER NOW
Le icone: il nastro verde e rosso.
Ispirato al fascino e all’eleganza del mondo equestre. Colori simbolo della nostra tradizione.