La certificazione ambientale, sociale e economica come processo

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La certificazione ambientale, sociale e economica come processo
6.4 Certificazione ambientale, sociale ed economica come processo integrato
Roberto Buonamici e Caterina Rinaldi
Introduzione
La elaborazione attorno ai temi della responsabilità sociale d’impresa (RSI) si è intrecciata nel corso di
questi ultimi anni con quella più generale della “sostenibilità”, concetto che si è evoluto dall’originario
ambito ambientale per assumere via via il significato più ampio e comprensivo di “sostenibilità ambientale e sociale”, come dimensioni concettualmente tra loro non separabili e strettamente interrelate
anche sul piano delle politiche, delle procedure e delle strumentazioni necessarie ad una loro implementazione. D’altra parte la stessa dimensione sociale, con l’estendersi dei processi di globalizzazione, ha comportato sempre più, assieme alle problematiche “interne” dei dipendenti, quelle del rispetto
dei diritti nei paesi meno avanzati. I temi della RSI si intrecciano così anche con i temi del “Commercio equo e solidale”, sviluppatosi sul piano normativo prendendo in conto le stesse tematiche ambientali, oltre che sociali.
Per quanto riguarda le politiche comunitarie questo percorso di progressivo allargamento degli ambiti
è esplicitamente richiamato nel Libro Verde della Comunità Europea sulle “Politiche Integrate di Prodotto” [2], nella risoluzione del Parlamento Europeo relativa a “Norme comunitarie applicabili alle
imprese che operano nei PVS: verso un codice di condotta europeo” e nel Libro verde del Luglio 2001
“Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” [1]. Ugualmente, anche
nel più ampio contesto internazionale, il concetto di RSI, pur restando controverso ed oggetto di differenti interpretazioni, viene sempre più spesso associato con l’approccio “Triple bottom line”, secondo
il quale una organizzazione corrisponde a criteri di sostenibilità se è finanziariamente sicura, se minimizza il suo impatto ambientale e se agisce socialmente in conformità con le aspettative della società.
In particolare questo è l’approccio, che, a partire dagli anni novanta, con il superamento dei “Codici di
condotta”, viene assunto da alcune multinazionali e da alcune grandi istituzioni internazionali, anche
in risposta alle pressioni provenienti dai diversi stakeholders.
La stessa ISO ha in corso una discussione circa la “desiderabilità e la fattibilità di uno standard ISO
per la RSI” [16].
Nel seguito saranno descritti e presi in esame alcuni “Sistemi” o “Standard” di tipo integrato sviluppati
nell’ambito di iniziative internazionali; questa sintetica rassegna sarà preceduta da un breve escursus
dei “Sistemi di gestione ambientale” oggi più diffusi, anche per verificare compatibilità, possibili sinergie o difficoltà di integrazione e da alcune informazioni sull’”International Fairtrade Labelling Organization”, una iniziativa che riunifica diversi marchi nazionali di “Commercio equo-solidale”.
In conclusione verranno svolte alcune considerazioni circa l’interesse, le possibilità/difficoltà, ai fini
dell’attuale progetto, dello sviluppo di un approccio integrato.
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6.4.1 Sviluppo sostenibile e Politiche Integrate di Prodotto
La Commissione Europea nell’ambito del VI Programma Quadro di Azione Ambientale ha sviluppato
una riflessione in parte critica, circa gli strumenti finora adottati per affrontare il problema
dell’inquinamento, del consumo di risorse naturali non riproducibili e più in generale dello sviluppo
sostenibile. Solo interventi che siano in grado di incidere sugli “stili di vita” e quindi principalmente
sui prodotti o servizi e che assumano carattere sistemico possono conseguire risultati maggiormente
significativi, evitando anche il trasferimento degli impatti ambientali da un sistema all’altro, come
possibile attraverso interventi settoriali. L’intervento sui prodotti o servizi, visti come sistema, nella
loro intera catena di formazione del valore (dalla culla alla tomba), attraverso Politiche Integrate di
Prodotto (Integrated Product Policies, IPP), è divenuto perciò una parte significativa del VI PQ.
La definizione dell’ANPA di IPP è la seguente: “Per Politiche Integrate di Prodotto si intende un approccio integrato alle politiche ambientali rivolto al miglioramento continuo delle prestazioni ambientali dei prodotti (merci e servizi) nel contesto dell’intero ciclo di vita”. L' IPP è indirizzata al ciclo di
vita del prodotto nel suo complesso e si propone innanzitutto di evitare il trasferimento di un problema
da uno stadio del ciclo di vita ad un altro e da un comparto ambientale all'altro, differenziandosi quindi
dagli interventi mirati a ridurre o eliminare il singolo effetto ambientale.
I due concetti chiave delle IPP sono:
•
LIFE CYCLE THINKING (approccio culturale del “ciclo di vita”)
•
CORRESPONSABILIZZAZIONE E COINVOLGIMENTO di tutti gli attori: consumatori, organizzazioni non
governative, industria e rivenditori, associazioni di categoria, enti pubblici, etc….
L’affermazione e lo sviluppo di questi nuovi concetti intende mutare il modo di affrontare i problemi
ambientali passando da un approccio di tipo “end of pipe”, dove le emissioni erano ridotte tramite
l’adozione di impianti di abbattimento in processi produttivi già definiti, ad un atteggiamento preventivo dell’impatto ambientale già in fase di progettazione dei prodotti/servizi, in modo che i problemi
ambientali non siano più ritenuti pertinenti al solo sito produttivo, ma all’intero ciclo di vita dei prodotti/servizi.
Cambiano anche gli interlocutori delle aziende: si passa da una situazione nella quale l’unico interlocutore erano le autorità preposte al rispetto della legge, ad una in cui l’immagine ambientale
dell’impresa ha un interesse anche per organizzazioni ambientaliste, associazioni di consumatori e
consumatori stessi, azionisti e investitori.
In questo modo la questione ambientale può essere considerata dall’impresa come una opportunità di
sviluppo, un supporto all’individuazione di nuove nicchie di mercato promettenti, piuttosto che un
vincolo allo sviluppo da subire passivamente.
Si assiste così al diffondersi di nuove metodologie di analisi ambientale e di strumenti di gestione, di
comunicazione e di certificazione di tipo VOLONTARIO .
Principali strumenti per attuare le Politiche Integrate di Prodotto
L’IPP mira ad attivare una combinazione di strumenti e di meccanismi, anche di mercato, con particolare attenzione ai momenti in cui vengono prese le decisioni, che offrono spazio per un miglioramento:
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progettazione dei prodotti, scelta informata dei consumatori, integrazione del principio “chi inquina
paga”, etc… Ne deriva una gamma assai ampia di politiche da attivare, come tasse ecologiche, marchi
ed etichette ecologiche, responsabilità estesa dei produttori, appalti ed acquisti pubblici “verdi”, incentivi, etc.. e di strumenti tecnici da mettere a punto, come ad esempio ecodesign e banche dati. Tra essi
la Valutazione del Ciclo di Vita dei prodotti - Life cycle assessment, LCA - assume un particolare rilievo, rappresentando la metodologia per valutazioni quantitative sul ciclo di vita, base comune di diversi strumenti di gestione ambientale quali EPD (Dichiarazione Ambientale di Prodotto), ISO 14040,
Ecolabel, etc..
Tra i più significativi strumenti per attuare le IPP troviamo:
Strumenti economici
Promuovere la qualità ambientale di beni e servizi significa utilizzare al massimo le forze del mercato.
Poiché l'interesse economico è uno dei principali fattori trainanti, probabilmente gli strumenti più efficaci sono quelli che, come le imposte e gli aiuti, contribuiscono ad "ottenere il prezzo giusto" e ad internalizzare i costi esterni. Poiché oggi ciò non avviene, sono necessarie azioni supplementari per garantire una migliore informazione dei consumatori sulle caratteristiche ambientali dei prodotti e per
incoraggiare i produttori a puntare ad una migliore progettazione.
L'incentivo più potente a tale riguardo dovrebbe essere la "domanda ecologica”. Per quanto riguarda le
imprese, ci si può aspettare che esse migliorino le proprie prestazioni ambientali, compresa la qualità
ambientale dei prodotti, in funzione di: un risparmio diretto sui costi finanziari, un miglioramento
d’immagine e maggiori quote di mercato.
Internalizzazione dei costi e responsabilità del fabbricante
Il sistema dei prezzi in genere non tiene in conto i “costi ambientali” e questo, assieme ad altri fattori,
è un ostacolo alla protezione dell’ambiente ed allo sviluppo di un mercato “verde”.
A questo scopo la Commissione Europea sta sviluppando un insieme di misure legislative basate su
due punti: l’internalizzazione dei costi ambientali (“chi inquina paga”) e la responsabilità estesa del
produttore. Il primo concetto cerca di fare in modo che i costi per evitare e rimediare i danni
all’ambiente vengano sostenuti dai reali responsabili e non dalla società, cercando di responsabilizzare
anche economicamente le imprese. Allo stesso modo il principio della “responsabilità estesa del produttore” estende la responsabilità dell’azienda all’intero ciclo di vita del prodotto, soprattutto per quel
che riguarda le fasi finali del fine vita, vale a dire il suo possibile riciclo o il suo smaltimento. In realtà
la responsabilità è condivisa anche da fornitori, venditori, consumatori e altri soggetti che possono interagire con il bene in questione, ma si ritiene comunque che la responsabilità maggiore ricada sul
produttore del bene, poiché sono le sue scelte a determinare le principali caratteristiche del prodotto.
Appalti pubblici e “Green Procurement”
Il settore degli approvvigionamenti pubblici rappresenta mediamente il 12% del PIL dell'UE, ma può
raggiungere anche il 19% in alcuni Stati membri. Queste cifre mettono in evidenza il potere d'acquisto
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e quindi di indirizzo che hanno le amministrazioni pubbliche. Esse dovrebbero assumersi la responsabilità di fungere da traino nel processo di gestione ecologica e nel riorientamento dei consumi verso
prodotti “verdi” (Green Public Procurement).
Informazioni sui prodotti, marchi ecologici e dichiarazioni ambientali
Perché il mercato si orienti verso uno sviluppo sostenibile, tutti gli stakeholders devono poter disporre
e utilizzare informazioni sugli impatti ambientali dei prodotti e dei componenti nell'arco dell'intero ciclo di vita. E’ necessario che informazioni accurate e non ingannevoli siano sempre più disponibili e
più orientate agli utilizzatori. I fabbricanti dovrebbero conoscere il profilo ambientale dei componenti
che utilizzano nei propri prodotti, i progettisti dovrebbero esaminare l'impatto che le loro scelte hanno
su tutto il ciclo di vita del prodotto, i produttori dovrebbero trasmettere le informazioni lungo tutta la
catena fino ai consumatori e agli acquirenti, in una forma che sia facilmente accessibile. I rivenditori, i
consumatori e gli acquirenti dovrebbero poter riconoscere i prodotti più ecologici, da qui l’esigenza di
sviluppare l’etichettatura dei prodotti o altre forme di dichiarazione ambientale in modo da fornire informazioni comprensibili, pertinenti e credibili. Tra questi si possono distinguere due principali categorie :
•
strumenti e standards basati su autodichiarazioni;
•
marchi aziendali/di prodotto certificati.
Nella prima categoria rientrano principalmente i rapporti ambientali, mentre nella seconda le etichette
di prodotto, come l’Ecolabel o il Blaue Engel tedesco, ed i sistemi di gestione ambientale come ISO
14001 o EMAS. Si tratta di sistemi che si vanno rapidamente estendendo e che hanno come obiettivo
principale quello della comunicazione pubblica relativamente alle performances ambientali
dell’azienda o dei prodotti e servizi.
Nella descrizione che segue dei sistemi maggiormente utilizzati in Europa e a livello internazionale
(capitoli 2 e 3) sono state posti in evidenza gli obiettivi, gli indicatori e le procedure che caratterizzano
ciascun sistema. Per quanto riguarda le etichette di prodotto (paragrafo 3.2) l’attenzione è stata posto
sull’Ecolabel, in quanto si tratta di un marchio europeo, i cui criteri vengono stabiliti sulla base del ciclo di vita del prodotto.
6.4.2 Strumenti e standards ambientali basati su autodichiarazioni
Tra i più importanti sistemi basati su autodichiarazioni vi sono i bilanci e i rapporti ambientali che si
riferiscono all’azienda, e le asserzioni sul prodotto (cfr. l’etichettatura ambientale di tipo II, definita
nella norma internazionale ISO 14021).
Si tratta di strumenti di comunicazione volontari, basati su autodichiarazioni, che non prevedono un
processo di certificazione.
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Bilanci e rapporti ambientali
Nel bilancio ambientale dell’impresa confluiscono i dati fisici e monetari che complessivamente rappresentano le relazioni tra impresa e ambiente. Nel rapporto ambientale vengono riportate le informazioni del bilancio ambientale, con lo scopo di informare gli stakeholders sulle performances ambientali
dell’azienda.
Si tratta di un documento in cui vengono riportati i dati relativi a determinati indicatori ambientali (emissioni, consumi di risorse, spese ambientali, gestione dei rifiuti, etc..), la politica ambientale
dell’impresa e il sistema di gestione ambientale, il programma di miglioramento, le relazioni con fornitori ed altri stakeholders, informazioni sulla sicurezza, sui prodotti e servizi offerti, etc…
I rapporti ambientali (pubblicati in Italia per la prima volta nel 1990), si stanno rapidamente estendendo, oltre che alle grandi aziende (e ai gruppi) anche ad aziende di dimensioni medio-piccole. Attualmente non esiste un unico standard di riferimento.
Asserzioni ambientali auto-dichiarate (Etichettatura ambientale di tipo II, ISO 14021)
Questa norma internazionale nasce dal proliferare di asserzioni ambientali vaghe e fuorvianti come
“sicuro per l’ambiente” o “amico dell’ambiente”, etc…e dalla necessità di garanzie sull’affidabilità
delle informazioni riportate sui prodotti.
Le etichette di tipo II, definite dalla ISO 14021, si basano su autodichiarazioni del produttore, importatore, distributore o rivenditore e possono assumere la forma di dichiarazioni, simboli o etichette sia direttamente sul prodotto, che nella letteratura, nei bollettini tecnici e nella pubblicità relativa al prodotto. Un esempio è l’autodichiarazione della percentuale di materiale riciclato utilizzato nella fabbricazione di un prodotto.
La norma specifica i requisiti per le asserzioni ambientali autodichiarate e descrive i termini selezionati utilizzati comunemente nelle asserzioni ambientali, fornendo qualifiche per il loro stesso utilizzo.
Contiene inoltre una metodologia generale di valutazione e verifica per le asserzioni ambientali autodichiarate.
6.4.3 Marchi ambientali d’azienda e di prodotto certificati
Fanno parte di questo gruppo i sistemi che prevedono una certificazione da parte di un organismo accreditato: i sistemi di gestione ambientale (EMAS e ISO 14001) che si riferiscono al sito produttivo o
all’organizzazione, e le etichette ambientali che fanno riferimento al prodotto, come ad esempio
l’Ecolabel europeo.
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EMAS e ISO 14001
I Sistemi di Gestione Ambientale, SGA, sono un importante strumento di politica ambientale, che
permette ad un impresa (o servizio) di controllare e migliorare gli impatti delle proprie attività sull'ambiente. L'adesione a tali sistemi è volontaria e rappresenta una precisa assunzione di impegno da
parte dell'organizzazione al rispetto e salvaguardia dell'ambiente, oltre gli obblighi normativi, aumentando la visibilità nei confronti di cittadini, clienti, fornitori, dipendenti pubblica amministrazione,
etc… con cui l'impresa interagisce. I modelli di riferimento per l'adozione di un SGA sono la norma
ISO 14001 ed il Regolamento europeo EMAS (Ecomanagemente and Audit Scheme). Entrambi prevedono un processo di verifica e di certificazione da parte di un organismo accreditato.
ISO 14001 è uno schema di riferimento, riconosciuto a livello internazionale, per l'implementazione
da parte delle organizzazioni, di un sistema di gestione che, integrato con le altre esigenze di gestione,
aiuti l'organizzazione stessa a raggiungere i propri obiettivi ambientali ed economici. Ha come obiettivo quello di ottenere il miglioramento delle prestazioni ambientali dell’azienda, in un contesto di “miglioramento continuo”.
L’azienda deve creare e mantenere un Sistema di Gestione ambientale attraverso:
•
la definizione di una politica ambientale;
•
la pianificazione degli aspetti ambientali, degli obiettivi e traguardi e di programmi di gestione;
•
l’attuazione e il funzionamento, definendo la struttura responsabile, aumentando le competenze e la
comunicazione, implementando e controllando la documentazione necessaria e preparandosi
all’emergenze;
•
i controlli e le azioni correttive;
•
il riesame della direzione per verificare che il SGA continui ad essere efficace.
La registrazione EMAS è un sistema istituito a livello comunitario, per le organizzazioni che, volontariamente, desiderano valutare e migliorare la propria efficienza ambientale. La revisione del regolamento (Reg. CE n.716/2001 del 19 marzo 2001) che ha sostituito il precedente Regolamento (CEE)
1836 del 29 giugno 1993 ha introdotto in particolare:
•
l’estensione della possibilità di partecipazione al sistema;
•
l’adozione di un logo EMAS (Fig.1);
•
la scelta di un sistema di rapporti più adeguato alle necessità delle organizzazioni e delle parti interessate;
•
ISO 14001 come un passo intermedio verso EMAS;
•
la partecipazione dei dipendenti.
Al sistema possono aderire gli Stati membri dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo
(Norvegia, Islanda e Liechtenstein).
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Figura 1 – Logo della registrazione EMAS (Reg. CE n.716/2001)
Per ottenere la registrazione EMAS un’organizzazione deve rispettare i seguenti requisiti:
•
effettuare un’analisi ambientale, che descrive l’impatto e l’efficienza di attività, prodotti e servizi
dell’organizzazione;
•
dotarsi di un sistema di gestione ambientale per migliorare la propria efficienza ambientale;
•
fornire una dichiarazione relativa alle proprie prestazioni ambientali nell’ottica del miglioramento
continuo.
L’attuazione, l’audit, la verifica del sistema di gestione ambientale e la convalida della dichiarazione
ambientale forniscono i mezzi per migliorare l’efficienza ambientale dell’organizzazione ed assicurare
la credibilità del processo. La dichiarazione ambientale viene approvata da un verificatore accreditato
e viene registrata dall’organismo competente (in Italia il Comitato Ecolabel e Ecoaudit [3]).
Rispetto a ISO 14001, EMAS richiede alle organizzazioni di effettuare un’analisi ambientale iniziale e
di rendere pubbliche, nel quadro della dichiarazione ambientale, le informazioni relative alle politiche,
ai programmi, ai sistemi di gestione dell’ambiente e all’efficienza ambientale dell’organizzazione. Per
le organizzazioni partecipanti, l’adesione ad EMAS comporta numerosi vantaggi. Ecco qualche esempio:
•
un sistema di gestione ambientale e di qualità;
•
maggiore credibilità;
•
miglioramento della motivazione dei dipendenti e della capacità di lavorare in gruppo;
•
maggiore consapevolezza del personale;
•
miglioramento dell’immagine aziendale;
•
riduzione dei costi e semplificazioni amministrative;
•
nuove opportunità di mercato;
•
maggiore fiducia da parte dei consumatori;
•
miglioramento dei rapporti con i clienti, le comunità locali e gli organismi di controllo.
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Principali etichette ambientali di prodotto
Negli ultimi anni, è stato registrato un grande interesse a livello europeo nei confronti dei marchi di
prodotto, con lo scopo principale di fornire informazioni ai consumatori. A fianco alle misure obbligatorie, riguardanti per lo più aspetti inerenti la sicurezza dei prodotti, sono nati una serie di marchi nazionali di prodotto a carattere volontario, mirati a fornire informazioni di carattere ambientale. In numerosi Paesi esistono da molti anni marchi ambientali nazionali, mentre nel 1992 è nato il marco europeo Ecolabel.
La ISO ha predisposto la serie delle norme ISO 14020, in cui vengono descritti i divers tipi di marchi
ambientali, tra cui:
•
Etichettatura ambientale di tipo I (ISO 14024): sono basati su criteri sviluppati da una parte terza.
Per ottenere il rilascio dell’etichetta è necessario rispettare determinati valori soglia prestabiliti.
L’Organismo Competente per l’assegnazione dell’etichetta può essere sia pubblico che privato. Esempi di queste etichettature sono l’Ecolabel europeo, il Blaue Engel tedesco, il Nordic Swan scandinavo, l’Energy Star americano, etc..
•
Etichettatura ambientale di tipo III (TR/ISO 14025): consistono in una quantificazione dei potenziali impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto. Questi impatti devono essere valutati in conformità con le Specifiche di Prodotto e presentati in una forma tale che faciliti il confronto
tra prodotti attraverso la standardizzazione di alcuni parametri. Un esempio sono le Dichiarazioni
Ambientali di Prodotto (EPD).
In molti Paesi Europei sono attivi da parecchi anni marchi ambientali nazionali, come ad esempio il
“Blaue Engel” in Germania (con circa 4000 prodotti etichettati di 800 aziende), il Nordic Swan in
Svezia, Norvegia, Finlandia, Islanda e Danimarca, il Aenor Medio Ambiente in Spagna, il Grean Seal
in U.S.A., Environmental Choice in Canada, e l’Eco-label austriaco, etc… In Italia sarà sviluppato in
tempi brevi un marchio ambientale nazionale, in grado di valorizzare prodotti che rispettano requisiti
ambientali particolarmente elevati, con particolare attenzione alle caratteristiche ambientali specifiche
del territorio. Esistono poi una serie di marchi territoriali o specifici per un settore produttivo, come ad
esempio il marchio FSC per il legno proveniente da foreste gestite in modo sostenibile ed il marchio
Ecotex per il settore tessile.
Ecolabel: marchio europeo di qualità ambientale di prodotto
Con il regolamento CEE n. 880/92, abrogato dal Regolamento 1980/2000, viene istituito un sistema
comunitario di assegnazione del marchio di qualità ecologica, Ecolabel, inteso a promuovere la concezione, la produzione, la commercializzazione e l'uso di prodotti aventi un minore impatto ambientale
durante l'intero ciclo di vita.
Il sistema Ecolabel, uniforme su scala comunitaria e a carattere volontario, è uno strumento di politica
ambientale ed industriale che si fonda sulle forze di mercato.
L'Ecolabel è in grado di fornire a consumatori ed utenti una migliore informazione sull'impatto ambientale dei prodotti, costituendo una guida nelle scelte tra prodotti alternativi.
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I criteri ecologici vengono definiti e approvati a livello europeo e tengono conto dell’intero ciclo di vita del prodotto (dall’estrazione delle materie prime, produzione del prodotto, uso e manutenzione e fine vita); Ai parametri ambientali si aggiungono i criteri di idoneità all’uso del prodotto [4].
Il marchio Ecolabel è stato esteso anche ai servizi e alla vendita all’ingrosso e al dettaglio mentre non
può essere concesso l’uso dell’etichetta a prodotti alimentari, farmaceutici, bevande, sostanze e preparati pericolosi.
L’uso dell’etichetta Ecolabel viene concesso, in Italia, dal Comitato Ecolabel-Ecoaudit – Sezione Ecolabel Italia che si avvale del supporto tecnico dell’ANPA (Agenzia Nazionale per la protezione
dell’ambiente).
Può presentare domanda chi produce o commercializza un prodotto rientrante in un “gruppo di prodotti” per il quale sono stati stabiliti i criteri ecologici dalla Commissione europea, che consulta i principali ambienti interessati, costituiti dai rappresentanti a livello comunitario dell’industria, del commercio, delle organizzazioni dei consumatori e delle organizzazioni ambientaliste. L’etichetta (Fig. 2) è
assegnata per un periodo di produzione determinato che non può comunque superare il periodo di validità dei criteri, che viene stabilito per ciascun gruppo di prodotti.
I criteri devono essere rispettati per un massimo del 30% dei prodotti sul mercato a livello europeo,
affinché venga premiata l’eccellenza. Quando questa quota di mercato viene raggiunta i criteri vengono resi più restrittivi, nell’ottica del miglioramento continuo.
Figura 2 – Logo del marchio Ecolabel
Dal 1992, più di 350 prodotti di uso quotidiano hanno ottenuto l'Ecolabel, appartenenti a 16 gruppi di
prodotti, per cui sono stati definiti i criteri: lavatrici, frigoriferi, carta, ammendanti, materassi, pitture e
vernici, calzature, tessili, personal computer, detersivi per lavatrice e per lavastoviglie, lampadine,
computer portatili, materiali per pavimentazioni dure..etc….mentre la definizione è in atto per circa
altri 13 gruppi di prodotto.
Il nuovo piano di lavoro relativo al marchio Ecolabel appena messo a punto dalla Commissione Europea [4] che impegnerà fino al 2004 istituzioni europee e nazionali in azioni di sviluppo e promozione
del marchio, prevede che entro il 2005 saranno 35 i gruppi di prodotti certificabili.
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6.4.4 Il marchio FairTrade di commercio Equo e Solidale
L’International Fairtrade Labelling Organizations (FLO) rappresenta un network di 17 marchi nazionali di commercio Equo e solidale, tra cui Max Havelaar, Transfair e Rattvisemarkt. FLO è responsabile della concessione del marchio Fairtrade e vi è attualmente la tendenza a creare un unico marchio
di commercio Equo e Solidale a livello internazionale.
FLO ha sviluppato indicatori generici basati su standards e convenzioni internazionali relativi a: sviluppo sociale, economico e ambientale, differenziati per [17]:
1. Piccole organizzazioni di contadini e lavoratori;
2. Imprese con personale dipendente.
Ciascuno dei due standard prevede due tipi di requisiti:
•
minimi a cui le organizzazioni si devono conformare;
•
di processo, rispetto ai quali le organizzazioni devono mostrare miglioramento continuo.
Vediamo ad esempio il caso delle imprese con personale dipendente. Gli standards generici riguardano:
1. Sviluppo sociale: rispetto delle convenzioni ILO relative a non discriminazione, lavoro forzato e
minorile, libertà di associazione, condizioni dei lavoratori, salute e sicurezza dei lavoratori.
2. Sviluppo economico: il prezzo pagato per i prodotti Fairtade include un premio (Fairtrade
Premium) che deve essere utilizzato per migliorare la situazione socio-economica dei lavoratori,
delle loro famiglie e delle comunità (i lavoratori e il management decidono come utilizzarlo). I
produttori devono avere accesso ai mezzi logistici, amministrativi e tecnici per immettere i prodotti sul mercato (Export Ability).
3. Sviluppo ambientale: includere la protezione dell’ambiente nella gestione dell’impresa, implementare un sistema di gestione integrata del raccolto con lo scopo di stabilire un equilibrio tra la protezione dell’ambiente e i fattori economici, minimizzare l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi che parzialmente e gradatamente devono essere sostituiti con quelli di tipo biologico, etc..
Per ciascuno dei tre aspetti vengono poi riportati i requisiti minimi e quelli di processo. Vediamo ad
esempio quelli per lo sviluppo ambientale:
•
Requisiti minimi: rispetto della legislazione nazionale e internazionale riguardo l’uso di pesticidi e la
loro gestione, la protezione delle acque naturali, foreste ed ecosistemi ad alto valore ambientale, erosione e gestione dei rifiuti. Vengono indicati una serie di pesticidi che non possono essere utilizzati
(lista FAO/UNEP);
•
Requisiti di processo: il management implementerà un sistema di gestione integrata del raccolto.
10
FLO ha inoltre sviluppato indicatori specifici per le diverse categorie di prodotti. I prodotti attualmente etichettabili sono: caffè, cacao, miele, banane, te, succo d’arancia e zucchero, mentre sono in corso
di sviluppo i criteri per i prodotti in cotone e per i frutti tropicali.
Lo sviluppo di criteri specifici per gruppo di prodotto nasce dalla considerazione che i problemi dei
produttori e dei lavoratori e le modalità di commercio nei Paesi in via di sviluppo differiscono notevolmente a seconda del prodotto. Sono stati quindi stabiliti dei criteri specifici ambientali, sociali ed
economici per tipologia di prodotto.
I prodotti con il marchio FairTrade sono stati prodotti in modo da massimizzare i benefici per i lavoratori nei paesi in via di sviluppo. Possono ottenere il marchio produttori, commercianti (importatori, esportatori) e venditori (al dettaglio e all’ingrosso). FLO è responsabile dello sviluppo dei criteri e di
identificare, assistere e monitorare i produttori. La licenza di utilizzo del marchio viene assegnata alla
aziende per i prodotti che rispettano gli standars internazionali Fairtrade. Esiste un registro di tutti i
produttori che rispettano questi standard, suddivisi per ciascuna tipologia di prodotto per cui sono stati
stabiliti i criteri. Anche per gli importatori esiste un registro Faritrade. I produttori non pagano per la
loro certificazione: è il consumatore che paga e i guadagni, tornano al produttore. Solo i venditori al
consumatore finale pagano una quota per l’utilizzo del marchio all’Organismo Nazionale (NI) che
viene utilizzata per attività di promozione, certificazione e controllo del marchio nei singoli paesi. Il
marchio FairTrade garantisce:
Per le relazioni commerciali:
•
un prezzo che copre il costo della produzione;
•
un “Premio sociale” da investire nello sviluppo sociale;
•
un parziale pagamento anticipato per evitare indebitamenti delle piccole organizzazioni di produttori;
•
contratti che permettano una pianificazione della produzione a lungo termine;
•
relazioni commerciali a lungo termine che permettano una gestione pianificata e pratiche di produzione
sostenibili.
Per la produzione:
1. Per le cooperative di piccoli agricoltori: una struttura democratica e partecipativa;
2. Per le piantagioni e le aziende:
•
retribuzioni adeguate;
alloggio adeguato (dove appropriato);
• standards minimi di salute e sicurezza;
• diritto di associazione;
• nessun lavoro minorile o forzato;
• rispetto di requisiti ambientali minimi;
• programmi di sostenibilità ambientale.
•
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Il programma di monitoraggio FLO assicura che tutti i partners commerciali continuino a rispettare i
criteri Fairtrade e che i singoli produttori ne beneficino veramente. Tra gli obiettivi di sviluppo di Fairtrade vi è anche quello di assicurare un processo di certificazione indipendente da FLO.
In vendita nelle più importanti catene distributive in Europa, ma anche in America del Nord e Giappone, alcuni prodotti FairTrade hanno raggiunto anche il 10% della quota di mercato nazionale [16].
6.4.5 Esempi di integrazione tra aspetti sociali, economici e ambientali
Nel seguito sono presi in esame i principali esempi di standards di RSI che vedono l’integrazione di
aspetti sociali, economici e ambientali.
Linee guida e principi di riferimento:
1. Codici di condotta: dichiarazione ufficiale dei valori e delle prassi commerciali di un’impresa
e, a volte dei suoi fornitori. Un codice enuncia norme minime e attesta l’impegno preso
dall’impresa di osservarle e di farle osservare dai suoi appaltatori, subappaltatori, fornitori e
concessionari. Può trattarsi di un documento complesso che richiede il rispetto di norme precise e prevede un complesso meccanismo coercitivo. Rappresenta un riferimento di condotta
interna nei rapporti con committenti, clienti, fornitori, etc..Ha l’obiettivo principale di rendere esplicita la propria politica nell’affrontare alcune delle più importanti questioni, ambientali, sociali ed economiche. Vi sono problemi legati all’eterogeneità, ad una mancanza di effettiva verifiche e alla non confrontabilità;
2. “La Carta dei valori d’impresa”, elaborata dall’Istituto Europeo per il Bilancio Sociale e contenente nove valori/principi di riferimento [5];
3. Il progetto “cittadinanza d’impresa” promosso da Cittadinanzaattiva (Italia), per la predisposizione
di linee guida sulla cittadinanza d’impresa in Italia, intesa come un impegno costante da parte
delle aziende a promuovere un’integrazione tra esigenze di mercato e nuove responsabilità sociali.
Le linee guida prevedano un approccio integrato (comprendendo anche gli aspetti ambientali) ed un
coinvolgimento di tutti gli stakeholder (estensione all’intera filiera produttiva). Si prevede inoltre
un sistema di verifica e di certificazione da parte di un soggetto terzo [6];
4. Le linee guida OECD per multinazionali [7];
5. I nove principi del Global Compact delle Nazioni Unite, che riguardano i diritti umani, il lavoro e
l’ambiente [8];
6. La proposta di legge “Corporate Code of Conduct Bill 2000” in Australia, che prevede che alcuni
standards di condotta (inclusi gli aspetti ambientali) siano imposti ad imprese con più di 100 dipendenti che operano all’estero [9];
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7. EUROSIF (European Sustainable and Responsible Investment Forum): indica i criteri per un investimento socialmente responsabile, partendo dal presupposto che il rapporto rischio/rendimento
viene ottimizzato se si tiene conto degli aspetti etici e ambientali [10];
8. “Caux Round Table (CRT)” ha prodotto i “Principles for Business”, un documento che comprende principi inerenti l’impatto sociale di un azienda sulla comunità locale, aspetti etici e
dell’ambiente, corruzione ed altri aspetti [11];
9. Progetto SIGMA (Sustainability – Integrated Guidelines for Management): sviluppo di linee guida
con lo scopo di aiutare le organizzazioni a raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Il
progetto prevede anche lo sviluppo di indicatori pratici e appropriati in un ottica di miglioramento
continuo [12].
Nei paragrafi seguenti abbiamo riportato con maggiore dettaglio alcuni standards particolarmente significativi per gli scopi del progetto, in quanto utilizzano specifici indicatori di performance ambientale, economica e sociale e criteri di controllo e verifica.
Gli indici Dow Jones di sostenibilità
Si tratta di indici finalizzati ad identificare le imprese caratterizzate dalla migliore sostenibilità dal
punto di vista economico, sociale e ambientale su cui indirizzare gli investimenti. Sono stati sviluppati
due gruppi di indici:
•
Set di indici globali (DJSI World), lanciati nel 1999;
•
Set di indici europei (DJSI STOXX), lanciati nel 2001.
•
Il gruppo di indici DJSI riguarda valutazioni dell’impresa rispetto a:
•
aspetti economici, ambientali e sociali;
•
criteri di rischio e opportunità legati alla sostenibilità, specifici per settore industriale.
La sostenibilità dell’impresa viene valutata sulla base di:
•
criteri economici: corporate governance, pianificazione strategica, sviluppo organizzativo, codici di
condotta, gestione del rischio e delle crisi, gestione del capitale intellettuale, gestione delle IT & integrazione IT e gestione della qualità;
•
criteri ambientali: presenza di una politica ambientale, statuti ambientali, sistemi di gestione ambientale, performance ambientale, rapporto su ambiente, salute e sicurezza, contabilità ambientale (profitti e perdite);
•
criteri sociali: presenza di una politica sociale, coinvolgimento degli stakeholders, libertà di associazione/Layoff, parità di diritti e non discriminazione, salute e sicurezza sul lavoro, risoluzione dei
conflitti, standards per i fornitori, rapporto sociale, soddisfazione dei dipendenti, remunerazione, benefits dei dipendenti.
13
La sostenibilità aziendale viene quantificata tenendo conto delle seguenti fonti di dati:
•
questionario rivolto all’azienda;
•
documentazione aziendale;
•
informazioni pubbliche;
•
analisi dei media/stakeholders;
•
contatto personale con le aziende.
E’ richiesto un approccio di miglioramento continuo, una verifica esterna e un sistema di monitoraggio[15].
“Bench Marks” per misurare le performances sociali, ambientali ed economiche
Tra gli strumenti sviluppati per promuovere e misurare la responsabilità sociale e ambientale delle imprese vi è la metodologia “Bench Marks”, sviluppata da tre gruppi:
1. Taskforce on the Churches and Corporate Responsability (TCCR, Canada);
2. Ecumenical Council for Corporate Responsibility (ECCR, UK);
3. Interfaith Center for Corporate Responsability (ICCR, U.S.A).
La metodologia consiste in un set di principi, di criteri e di Bench Marks, per valutare la responsabilità sociale ed ambientale di un impresa.
Sono state individuate 16 aree tematiche particolarmente rilevanti, tra cui: lavoro, ecologia, giustizia
sociale, aspetti legati alla comunità, distribuzione equa dei benefits, diritti culturali e del territorio per
gruppi indigeni, donne, minoranze e bambini nell’ambiente di lavoro, rapporti con consumatori e
clienti, fornitori, partners di joint ventures, etc…
I principi rappresentano il punto di partenza: l’impresa stabilisce la strategia, la filosofia e le
intenzioni nei confronti della responsabilità sociale ed ambientale, sulla base di standards riconosciuti
a livello internazionale inerenti i diritti umani, il lavoro e l’ambiente [13].
I criteri evidenziano aspetti specifici (in relazione alle 16 aree tematiche) in base ai quali dovrebbero
essere sviluppati i codici di condotta. I 74 criteri misurano l’impegno dell’azienda rispetto ai principi
precedentemente stabiliti.
Infine i Bench Marks (140 indicatori) misurano il livello con cui un’azienda ha implementato i codici
di condotta (ambientali e sociali), in relazione ai suoi commitments.
Viene inoltre esaminato il livello di trasparenza dell’impresa rispetto alle informazioni fornite [13].
14
Rapporto di sostenibilità GRI (Global Reporting Intitiative)
La “Coalizione per Economie Ambientalmente Responsabili” (CERES) ha istituito nel 1997, in collaborazione con l’UNEP (l’United Nations Environment Programme), con associazioni ambientali e sociali, con istituti di certificazione e con coalizioni imprenditoriali, un programma denominato “Global
Reporting iniziative” (GRI), all’interno del quale sono state sviluppate le linee guida per la rendicontazione volontaria delle performances ambientali e sociali ed economiche delle imprese (Sustainable
Reporting Guidelines on Economic, Environmental and Social Performance, SRG) [14].
L’obiettivo del SRG è favorire la redazione di un report in cui vengano integrate le tre dimensioni economica, ambientale e sociale - di un’impresa, al fine di creare uno strumento capace di rappresentare la responsabilità dell’azienda verso la società, di quantificare e monitorare le sue prestazioni
(strumento di gestione), di fornire agli stakeholders un’immagine trasparente e credibile e di valorizzare gli sforzi intrapresi per quanto riguarda la sostenibilità.
La rendicontazione secondo le linee guida GRI garantisce la comparazione con altri report, ma GRI
non valuta la conformità delle aziende con le linee guida.
Ventuno multinazionali hanno partecipato nel 2000 ad una sperimentazione delle linee guida.
Il rapporto di sostenibilità contiene una prima parte che descrive nel dettaglio la strategia, la politica e
i sistemi di gestione dell’impresa per quanto riguarda la sostenibilità (con particolare attenzione al
coinvolgimento degli stakeholders).
Nella parte di rendicontazione invece, vengono descritte le performance dell’impresa sulla base di una
serie di indicatori:
•
indicatori di performance ambientale generalmente utilizzati;
•
indicatori di performance ambientali specifici per l’organizzazione;
•
indicatori di performance economica;
•
indicatori di performance sociale;
•
indicatori di performance integrati.
Gli aspetti considerati dagli indicatori sono i seguenti:
1. economico: stipendi e benefits, produttività, creazione di lavoro, fornitura, spesa per ricerca e sviluppo, investimenti per training ed altre forme di capitale umano. L’aspetto economico include anche informazioni relative all’aspetto finanziario, gli impatti economici relativi all’uso di prodotti e
servizi (incluso lo smaltimento quando applicabile), lo sviluppo della comunità, etc…
2. sociale: salubrità e sicurezza del luogo di lavoro, diritti del lavoro, diritti umani, condizioni di lavoro, controllo dei fornitori, impatto sociale associato all’uso di prodotti e servizi, etc….
3. ambientale: alcuni indicatori sono generalmente applicabili, mentre altri sono specifici per
l’organizzazione (settore di appartenenza, caratteristiche del sito, stakeholders, etc…). Entrambi
considerano: energia, materiali, acqua, emissioni, rifiuti, trasporti, fornitori, impatti nella fase d’uso
di prodotti e servizi, uso del territorio e biodiversità, rispetto di convezioni internazionali, etc….
15
Infine GRI propone due tipi di indicatori integrati:
•
indicatori sistemici: legano le performance economiche, ambientali e sociali ad
un micro livello (ad esempio quello dell’organizzazione) con condizioni ad un
macro livello (ad esempio regionale, nazionale o globale);
•
indicatori cross-cutting: integrano le informazioni tra due o più elementi di sostenibilità - economico, ambientale o sociale – delle performance di un organizzazione.
GRI incoraggia procedure di verifica sul rapporto di sostenibilità.
6.4.6 Conclusioni
Ancora prima di addentrarsi nella disamina circa la convenienza o meno dell’adozione di soluzioni di
RSI integrate a livello economico, sociale, ambientale, comprendere l’attuale stato dell’arte delle IPP e
le presumibili evoluzioni può permettere di comprendere meglio le stesse prospettive di sviluppo delle
RSI. Queste infatti sono di più recente sviluppo rispetto ai sistemi di gestione ambientale, ma date le
forti analogie, sia sul piano concettuale, il riferimento allo sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile, che delle procedure, è presumibile che le RSI finiscano per ripercorrere strade già percorse
per le questioni ambientali; d’altra parte, come dimostrano diverse indagini, eventuali marchi o sistemi
di RSI ed ambientali vengono spesso percepiti dai consumatori o da altri stakeholders come strettamente interconnessi, se non addirittura un tutt’uno non distinguibile.
La realizzazione della RSI richiede per svilupparsi ed estendersi un quadro di politiche e normative di
riferimento, come base per atti obbligati e/o decisioni volontarie da parte delle imprese; in particolare
la creazione di un “mercato di prodotti con requisiti sociali ed ambientali”, richiede lo sviluppo di
strumenti di imputazione giuridica, economica e culturale, con iniziative che coinvolgano tutte le fasi e
i soggetti della filiera prodotto: fornitori, produttori, distributori, consumatori. Sono evidenti in questo
caso le analogie tra problematiche sociali ed ambientali, ma anche per quanto riguarda altri aspetti,
quali: certificazione di azienda o di prodotto, soluzione unica o specificità settoriali, differenziazione
tra prodotti finali ed intermedi ed in particolare tutta la tematica assai rilevante delle PMI; il lungo dibattito già sviluppato per le questioni ambientali può offrire importanti spunti di riflessione per le RSI.
D’altra parte le stesse problematiche relative al “Commercio equo e solidale” debbono essere tenute in
attenta considerazione, riguardo alla inadeguatezza, se non addirittura alla contradditorietà, di strumenti quali la RSI per l’estensione dei diritti verso le economie più deboli. Sono note infatti le riserve
proprio da parte dei paesi più poveri circa la semplice adozione o estensione di misure antidumping,
sociale ed ambientale, che rischiano, se isolate, di divenire vere e proprie barriere per lo sviluppo. Il
Commercio equo e solidale, per quanto in modo ancora limitato e circoscritto ad alcuni settori, ha tentato di dare risposte concrete, che possono essere utile riferimento.
L’adozione di soluzioni di RSI “integrate” a livello economico, sociale ed ambientale è oggetto attualmente di un dibattito a livello delle maggiori istituzioni internazionali; la principale convenienza di
soluzioni integrate è correlata alla necessità di offrire a livello di mercato soluzioni facilmente indivi16
duabili e verificabili, laddove la proliferazione di diversi marchi, con riferimenti e nature diverse, può
finire per allontanare l’interesse del consumatore, finendo cosi per limitare l’efficacia dell’intero sistema. D’altra parte una soluzione integrata, che tenga conto di tutti i fattori ambientali, sociali ed economici, può finire per richiedere alle imprese un impegno assai oneroso in termini di investimenti di
risorse umane e finanziarie, e quindi divenire una vera e propria barriera, in particolare se si tratta di
PMI. La ricerca di un equilibrio, per quanto non facile tra queste contrapposte esigenze, potrà probabilmente consentire le soluzioni più efficaci.
Per quanto concerne poi una eventuale integrazione tra aspetti economici, ambientali e sociali sul piano più specificamente tecnico e procedurale molte problematiche rimangono aperte, soprattutto per
quanto riguarda l’identificazione di indicatori affidabili e verificabili che permettano di tener conto
degli impatti ambientali a monte e a valle la produzione (aspetto particolarmente difficoltoso per una
piccola media impresa).
Un altro problema importante che andrà risolto per un’eventuale integrazione con gli indicatori sociali,
è la differenza di approccio che esiste tra gli standards ambientali che fanno riferimento
all’organizzazione e quelli che fanno riferimento al prodotto/servizio (che generalmente tengono conto
dell’intero ciclo di vita).
Esistono inoltre significative differenze per quanto riguarda le problematiche ambientali, ma anche sociali, tra i diversi settori, che rendono difficile l’identificazione di indicatori adeguati.
Mentre per quanto riguarda gli indicatori ambientali ed economici si fa generalmente riferimento a parametri di tipo quantitativo e oggettivo, per gli aspetti legati al lavoro e ai diritti umani coesistono valutazioni di tipo oggettivo e di tipo soggettivo, parametri qualitativi e parametri quantitativi.
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Riferimenti bibliografici
[1] Commissione Europea - Libro verde: “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” - (CE, Bruxelles 18.7.2001).
[2] Commissione Europea - Libro verde sulle “Politiche Integrate di Prodotto” - febbraio 2001.
[3] ANPA (www.sinanet.anpa.it/novita/Emas).
[4] CE- Sezione Ecolabel - (http://europa.eu.int/comm/environment/ecolabel/index.htm).
[5] Istituto Europeo per il Bilancio Sociale (http://www.sean.it/servizi.php).
[6] Cittadinanza attiva (http://www.cittadinanzattiva.it/).
[7] Linee guida OECD (http://www. oecd.org/).
[8] “Nazioni Unite “Global Compact” (www.unglobalcompact.org/).
[9] Governo australiano “Corporate Code of Conduct Bill 2000”
(http://search.aph.gov.au/search/ParlInfo.ASP?action=browse&path=Legislation/#top).
[10] Eurosif “European Sustainable and Responsible Investment Forum” (http://www. Eurosif.info/index.shtml).
[11] Caux Round Table (CRT) (http://www. Cauxroundtable.org).
[12] British Standards Institution & partners “Progetto SIGMA” (www.projectsigma.com).
[13] Interfaith Center for Corporate Responsability (ICCR): (http://www.web.net/~tccr/benchmarks/).
[14] Global Reporting Initiative (www.globalreporting.org).
[15] Dow Jones Sustainability Indexes (http://www.sustainability-index.com/).
[16] Draft ISO CSR Report for Consultation “The desirability and Feasibility of ISO Corporate Social Responsibility Standards”; aprile 2002.
[17] International Fairtrade Labelling Organisation (http://www.fairtrade.net/).
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