Le associazioni: fondamenti giuridici e strumenti.

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Le associazioni: fondamenti giuridici e strumenti.
Roma, 25 gennaio 2007
“Le associazioni: fondamenti giuridici e
strumenti.”
a cura della
Funzione sviluppo associativo
ACLI Nazionali
“Le associazioni: fondamenti giuridici e strumenti”
I Modulo “Che cos’è un’associazione?”
- La Costituzione italiana
- Il Codice Civile italiano
- Enti di promozione sociale – Riconoscimento ministeriale dei fini assistenziali
- Associazioni di promozione sociale (Legge 383/2000)
- Associazioni di promozione sportiva
- Organizzazioni non lucrative di utilità sociale – ONLUS
- Associazioni di volontariato (Legge 266/91)
II Modulo “Come funziona un’associazione non riconosciuta?”
- Atto costitutivo e Statuto delle associazioni non riconosciute
- L’amministrazione delle associazioni non riconosciute – Attività istituzionali/Attività commerciali
III Modulo “Come aprire un’associazione non riconosciuta?”
- Atto costitutivo
- Statuto
- Codice fiscale
- Partita IVA Legge 398/1991
- REA – Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative
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La Costituzione Italiana
Gli articoli 17 e 18 della Costituzione, insieme agli artt. 39 (libertà di associazione sindacale) e 49
(libertà di associazione politica), formano il sistema delle garanzie costituzionali di quelle libertà
che possiamo definire collettive, in quanto il loro esercizio presuppone il concorso di una pluralità
di soggetti, accomunati da un unico fine, e non si esaurisce nella difesa di una sfera di autonomia
individuale, ma è diretto alla realizzazione di quelle comuni finalità.
L'
Assemblea Costituente ha sentito forte la necessità, vista anche l'
esperienza fascista appena
terminata, di sancire all'
interno dei diritti più fondamentali riconosciuti dalla Repubblica Italiana la
libertà di riunione (art. 17) e la libertà di associazione (art. 18). Pertanto il costituente ha utilizzato
una formula positiva, infatti entrambi gli articoli cominciano con la frase "I cittadini hanno diritto….",
creando quello che in giurisprudenza viene definito un precetto attivo: per precetto attivo si intende
quella norma che rendendo possibile un determinato comportamento del singolo o della collettività,
impone al legislatore di adottare ulteriori atti normativi che rendano l'
esercizio di questo diritto più
usufruibile possibile. Ed è in quest'
ottica che si sono approvate in parlamento leggi, principalmente
di carattere fiscale, che semplificano ed agevolano le associazioni non profit.
La Costituzione pone solo due limiti per ciascuna libertà: per la libertà di riunione quello di riunirsi
pacificamente e senz'
armi, e quello di darne preavviso alle autorità se la riunione si svolge in luogo
pubblico (l'
art. 18 del T.U.L.P.S. ha individuato nel questore l'
autorità competente ed in tre giorni il
preavviso indispensabile); per la libertà di associarsi vieta la segretezza della associazione ed il
fatto di perseguire scopi politici mediante organizzazioni di tipo militare.
Questi sono i due capisaldi giuridici di tutte le associazioni al quale sarà sempre necessario
richiamarsi parlando di associazioni.
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Il Codice Civile
Il Libro primo del Codice Civile Italiano si intitola "Delle Persone e della Famiglia"; al Titolo II "Delle
Persone Giuridiche" troviamo il Capo II "Delle Associazioni e delle Fondazioni" (artt. 14/35) ed il
Capo III "Delle Associazioni non Riconosciute e dei comitati" (artt. 36/42).
Partendo dalla categoria più generale dobbiamo sottolineare che secondo l'
art. 12 del c.c. "Le
associazioni e le fondazioni e le altre istituzioni carattere privato acquistano la personalità
giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto dal Presidente della Repubblica".
Due le principali caratteristiche che differenziano le associazioni riconosciute e non:
1. La personalità giuridica
Partiamo dal concetto di “capacità giuridica”, capacità che il codice civile lega esclusivamente alla
persona fisica (artt. 1 e 2) e non anche a quella giuridica, tanto da farla scaturire dall’evento stesso
della nascita. In realtà dalla previsione normativistica della “capacità giuridica” (pertanto esclusiva
dei soggetti fisici) possiamo estrapolare un concetto di “capacità giuridica generale”: “[…] essa si
risolve nell’attitudine della persona (sia fisica che giuridica) ad essere titolare di diritti e di doveri.”
(Prof. P. Rescigno).
Il codice civile prevede che l’acquisto della personalità giuridica da parte delle associazioni
avvenga attraverso un atto, decreto di riconoscimento, dell’autorità competente (in prima istanza il
Presidente della Repubblica, poi con il tempo sempre più sono i Prefetti ad essere delegati a livello
territoriale).
Ma la capacità giuridica deriva dalla personalità giuridica? In questo caso le associazioni non
riconosciute non hanno alcuna capacità giuridica?
Nella stesura iniziale del codice civile è chiara la limitazione delle associazioni non riconosciute,
tant’è che la dottrina le inserisce fra gli “enti di fatto” e non li concepisce come realtà distinte.
Comunque sin dall’inizio i confini fra le fattispecie sono labili: “ In tale grado di autonomia [delle
associazioni non riconosciute] si è parlato di “quasi-soggettività” o di “semi-soggettività”,
sottolineando la relatività dei concetti di capacità giuridica e di soggetto di diritto.” (Prof. P.
Rescigno).
L’evoluzione del diritto italiano ha, con particolare incisività nell’ultimo decennio, separato i concetti
di “capacità giuridica” e di “personalità giuridica”. Le associazioni non riconosciute oggi, pur non
rientrando nella fattispecie delle “personalità giuridiche”, sono a tutti gli effetti soggetti di diritto con
capacità giuridica autonoma. Questo determina la possibilità per una associazione non
riconosciuta di “stare in giudizio” sia nella veste di attore che in quella di convenuto, di essere
intestataria di beni mobili registrati e di beni immobili, di ricevere donazioni ed eredità senza
l’ottenimento del riconoscimento e di conseguenza della personalità giuridica. Se dieci anni fa le
associazioni non riconosciute venivano trattate fra gli enti di fatto, oggi sempre di più sono una
categoria a sé con i propri obblighi e doveri e con i propri diritti. Uno solo resta l’elemento
altamente distintivo fra le associazioni non riconosciute e quelle riconosciute: l’autonomia
patrimoniale.
2. L’autonomia patrimoniale
Vediamo i due articoli del codice civile relativi alle responsabilità degli amministratori nelle
associazioni riconosciute (art. 18) e non (art. 38).
art. 18. Responsabilità degli amministratori. “Gli amministratori sono responsabili verso l'
ente
secondo le norme del mandato. […]”
art. 38. Obbligazioni. “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'
associazione,
i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche
personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'
associazione.”
Nel dettato derivante dall’art. 18, quello relativo alle associazioni riconosciute, è chiaro che gli
amministratori sono responsabili personalmente solamente nel caso che il loro operato esuli dai
confini determinati dal loro mandato, in caso contrario, ossia qualora loro abbiano agito all’interno
dei poteri conferitegli dell’ente, il fondo dell’associazione risponde delle obbligazioni da loro
contratte in nome e per conto della stessa. Questa fattispecie è chiamata “autonomia patrimoniale
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perfetta”, in quanto esiste un fondo economico dell’associazione e che esso risulta distinto dai
patrimoni personali degli amministratori.
Di tutt’altro avviso è l’art. 38 che vincola i patrimoni personali di coloro i quali agiscono in nome e
per conto dell’associazione non riconosciuta. Questa fattispecie è definita “autonomia patrimoniale
imperfetta”, in quanto pur esistendo un fondo patrimoniale dell’associazione non riconosciuta,
attraverso il quale è legittimo operare, in caso di obbligazioni non assolte non vi è una netta
separazione fra lo stesso ed i patrimoni personali degli amministratori.
Sempre più la giurisprudenza ha determinato una priorità del fondo associativo rispetto a quello
personale nelle associazioni non riconosciute e nell’art. 6 comma 2 della legge 383/2000 questo
principio viene definito in maniera chiara, almeno per le associazioni di promozione sociale.
In definitiva possiamo affermare che l’abrogazione degli artt. 17, 600 e 786 nonché la nuova
versione dell’art. 473 aumentano in maniera decisa la capacità giuridica delle associazioni non
riconosciute avvicinandole sempre più a quelle riconosciute e distinguendole in maniera definitiva
dagli enti di fatto. Questo avvicinamento sarà completo solo dopo il riconoscimento dell’autonomia
patrimoniale perfetta anche per le associazioni non riconosciute.
Tutte le associazioni (riconosciute e non) hanno un fondamento contrattuale, nella più stretta
accezione giuridica del termine, corrispondente all'
atto costitutivo ed alla statuto. Pertanto questi
documenti dovranno rispondere almeno ai requisiti generali dei contratti di cui ci limitiamo a
riportare le caratteristiche fondamentali:
Art. 1321 c.c. - Nozione "Il contratto è l'
accordo di due o più parti per costituire, regolare o
estinguere un rapporto giuridico patrimoniale".
Art. 1325 c.c. - Indicazione dei requisiti "I requisiti del contratto sono:
1. L'
accordo delle parti;
2. La causa;
3. L'
oggetto;
4. La forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità."
Nel caso specifico delle associazioni tutto questo sta a significare che:
1. non sono validi atti costitutivi e statuti a firma unica, ma essi devono essere il prodotto
dell'
incontro di una molteplicità di soggetti, che si accordano per un determinato testo;
2. il motivo ultimo (la causa) dell'
associazione non dev'
essere contrario a norme imperative,
all'
ordine pubblico o al buon costume;
3. l'
oggetto (individuabile con lo strumento posto in essere per il raggiungimento della causa)
deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile;
4. dato il Decreto Legislativo 460/97, l'
atto costitutivo e lo statuto devono essere redatti per
iscritto ed a rivestire le forma dell'
atto pubblico (obbligatoria per quelle r.) o della scrittura
privata autenticata o registrata (per un approfondimento sulla forma del a.c. e dello st. vedi…..)
Lo stato quindi sancisce la riserva (o autonomia) di regolamentazione delle associazioni non
riconosciute (art. 36 c.c. ), però prevede determinate caratteristiche specifiche per le associazioni
che pur rimanendo non riconosciute vogliano ottenere determinate facilitazioni soprattutto di
carattere fiscale (vedi partita IVA 398/91).
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Comitati
“Il codice civile detta poche norme per regolare la figura del comitato, figura che si presenta per
alcuni aspetti analoga all’associazione, e per altri alla fondazione.
Il comitato infatti è costituito da più persone che si vincolano con un contratto per perseguire uno
scopo comune: si manifesta quindi come un fenomeno associativo. Il comitato mira però anche a
formare un patrimonio da destinare al raggiungimento dello scopo: ecco dunque che dal punto di
vista della struttura esso si configura analogamente alla fondazione (la fondazione è incentrata sul
fondo o patrimonio della stessa, mentre l’associazione lo è sulle persone che la compongono ndr) “
(A. Propersi, G. Rossi “Gli enti non commerciali” Ed. Pirola 1995).
“La disciplina dei comitati, in verità, è dettata della legge astraendo dal profilo della personalità; il
mancato conseguimento della personalità è contemplato soltanto per imporre ai componenti la
responsabilità delle obbligazioni assunte (art. 41, 1° comma), mentre la responsabilità degli
organizzatori e di coloro che assumono la gestione dei fondi è indipendente dalla personalità
giuridica del comitato” (Prof. G.U. Rescigno).
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Enti di promozione sociale
Riconoscimento Ministeriale dei fini assistenziali
L'
indagine normativa svolta per risalire alla determinazione giuridica di "ente di promozione
sociale" non è stata per niente agevole.
Possiamo intanto dire con certezza che le associazioni di cui sono riconosciuti i fini assistenziali
attraverso decreto del Ministero degli Interni fanno parte della più ampia categoria degli enti di
promozione sociale.
Ma quali sono i supporti giuridici a queste due fattispecie?
Per quello che riguarda la definizione di enti di promozione sociale possiamo evincerla dalla L.
19/11/1987 n. 476 "Nuova disciplina del sostegno alle attività di promozione sociale e contributi
alle associazioni combattentistiche"; il Titolo I di questa legge porta la classificazione degli "Enti e
associazioni di promozione sociale": "Al fine di incoraggiare e sostenere attività di ricerca, di
informazione e di divulgazione culturale e di integrazione sociale, nonché per la promozione
sociale e per la tutela degli associati, lo Stato concede contributi:
a) …
b) agli enti e alle associazioni italiane che perseguono i fini di cui al successivo comma due."
Il comma due prevede che i soggetti indicati "… promuovano l'
integrale attuazione dei diritti
costituzionali concernenti l'
uguaglianza di dignità e di opportunità e la lotta contro ogni forma di
discriminazione nei confronti dei cittadini che, per cause d'
età, di deficit psichici, fisici o funzionali o
di specifiche condizioni socio-economiche, siano in condizione di marginalità sociale."
Secondo questa normativa rientrano fra i soggetti di promozione sociale anche le persone
giuridiche privatizzate (associazioni riconosciute e fondazioni) ai sensi dell'
art. 115 del Decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 19777, n. 616.
Meno chiara risultano le caratteristiche delle associazioni a cui siano riconosciuti i fini assistenziali;
infatti in un primo momento questo riconoscimento trovava le sue radici nel D. Lgs. P. n. 78 del
28/06/1946 e seguente modifica a cura del D.L.C.P.S. n. 705 del 10/07/1947, ma entrambi gli atti
normativi subiscono una abrogazione esplicita da parte, prima, dell'
art. 1 L. 14/10/1974 n. 524, poi,
dall'
art. 1 L. 25/08/1991 n. 287. Dalla L. 287/91 si evince il persistere della possibilità per il
Ministero degli Interni di riconoscere ad associazioni di carattere nazionale i fini quali assistenziali
(art 3 comma 6 lettera e) ). Ma non è stato possibile rintracciare una normativa che indichi i
requisiti necessari perché il Ministero possa decretare sui fini assistenziali e su quale deve essere
l'
iter burocratico da seguire. Pertanto reputiamo ad oggi che si agisca sulla base di una prassi
ormai consolidata.
Il riconoscimento dei fini assistenziali è una qualificazione che lo Stato concede a particolari
associazione di carattere nazionale ponendole in una condizione giuridica avvantaggiata rispetto
alle altre. Infatti le associazioni così qualificate possono svolgere attività ed ottenere condizioni
vantaggiose esclusive per loro. Due esempi su tutti: la somministrazione di alimenti e bevande
quale attività istituzionale rivolta ai propri soci (D.Lgs 460/97) e la partita IVA opzionata Legge
398/91 e seguente L. 66/92.
Il funzionamento interno dell'
associazione che ottiene questo riconoscimento non subisce alcuna
variazione, mentre verso l'
esterno la stesse può agire meglio e con maggiori possibilità.
La fattispecie di “Associazione di promozione sociale” è stata oggi definitivamente codificata nel D.
Lgs 460/97 sotto l’aspetto fiscale e nella Legge 383/2000 sotto quello civilistico.
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Associazioni di promozione sociale (legge 383/2000)
Ad oggi esistono due tipologie di associazioni di promozione sociale: una di natura fiscale, l’altra
civilistica. Infatti la prima volta che troviamo la locuzione “associazioni di promozione sociale” è
all’interno del D. Lgs 460/1997 art. 5 comma 1 lettera a) “… per le associazioni politiche, sindacali,
…, di promozione sociale…”. Questa definizione determina uno status nuovo per le associazioni,
ma comunque valido esclusivamente a fini fiscali (Vedi capitolo “Atto Costitutivo – Statuto”). Nel
dicembre del 2000 (quindi tre anni dopo) viene emanata la Legge 383 dal titolo "Disciplina delle
associazioni di promozione sociale" che descrive e tipicizza le associazione di promozione sociale
sotto gli aspetti civilistici. Queste due figure sono simili ma non perfettamente coincidenti. Pertanto
ad oggi si possono avere associazioni che siano a norma con il D. Lgs 460/97 e non con la Legge
383/2000 o viceversa. Questa discrepanza complica non poco il comparto e si è in attesa di una
“norma di raccordo” che unifichi le due fattispecie.
Nel proseguio del capitolo parleremo delle “associazioni di promozione sociale” così come
identificate dalla Legge 383/2000.
Legge 7 dicembre 2000, n. 383, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 2000
“Art. 2.
(Associazioni di promozione sociale)
1.
Sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e
non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di
svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel
pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. […]”
Questa la definizione che la Legge 383/2000 dà delle associazioni di promozione sociale. L’art. 2
inoltre ci spiega chi non può essere associazione di promozione sociale:
- “2. Non sono considerate associazioni di promozione sociale, ai fini e per gli effetti della
presente legge, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro,
le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che hanno come finalità la
tutela esclusiva di interessi economici degli associati.
3. Non costituiscono altresì associazioni di promozione sociale i circoli privati e le associazioni
comunque denominate che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche e
discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati o prevedono il
diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa o che, infine, collegano, in
qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale.”
Il comma 3 e da mettersi in relazione con l’art. 5 del D. Lgs 460/1997.
Alcuni esperti hanno definito la Legge 383/2000 come una “legge quadro” sull’associazionismo: è
esattamente l’opposto. Infatti la stessa non riordina in alcun modo il comporto associativo, ma
invece mira a costituire una categoria, ristretta ed elitaria, di associazioni, alle quali, avendo
particolari requisiti, lo Stato concede alcuni privilegi in deroga alle norme generali delle
associazioni. L’attuale Ministro del Welfare ha dichiarato pubblicamente la volontà del suo
dicastero di produrre un testo unico sul non profit; forse in quel caso ci potremmo dire prossimi ad
una legge quadro sull’associazionismo.
Ecco alcune delle agevolazioni previste per le associazioni di promozione sociale:
1. “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione di promozione
sociale i terzi creditori devono far valere i loro diritti sul patrimonio dell’associazione
medesima e, solo in via sussidiaria, possono rivalersi nei confronti delle persone che hanno
agito in nome e per conto dell’associazione” (art. 6 comma 2)
2. “Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese nei confronti dei familiari conviventi degli
associati sono equiparate, ai fini fiscali, a quelle rese agli associati.” (art. 20 comma 1)
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3. le donazioni fatte dalle persone fisiche possono, fino ad un importo massimo annuo di £
4.000.000, essere portate in detrazione, in sede di dichiarazione dei redditi nel rapporto del
19% delle imposte lorde. (art. 22 comma 1 punto 1)
4. le donazione effettuate da persone giuridiche possono, sino ad un importo massimo di £
4.000.000 o ad un importo pari al 2% del reddito, essere interamente detratto dal reddito
stesso dell’impresa. (art. 22 comma 1 punto 2)
5. “… favorire l’accesso delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di
volontariato ai finanziamenti del Fondo sociale europeo per progetti finalizzati al
raggiungimento degli obiettivi istituzionali, nonchè, in collaborazione con la Commissione
delle Comunità europee, per facilitare l’accesso ai finanziamenti comunitari, inclusi i
prefinanziamenti da parte degli Stati membri e i finanziamenti sotto forma di sovvenzioni
globali.” (art. 28)
6. “Lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e
gli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le associazioni di promozione
sociale, iscritte da almeno sei mesi nei registri di cui all’articolo 7, per lo svolgimento delle
attività previste dallo statuto verso terzi.” (art. 30 comma 1)
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Associazioni di promozione sportiva
Analoga alla legge 383/2000, vi era in discussione in Parlamento, alla fine del 2000, un Disegno di Legge
per le “Associazioni di Promozione Sportiva”. Purtroppo la legislatura si è conclusa prima che il ddl fosse
definitivamente approvato da entrambi i rami del parlamento e pertanto il disegno di legge ha dovuto iniziare
di nuovo l’iter parlamentare da zero.
L’ottica comunque è quella di creare registri specifici che consentano allo Stato un miglior monitoraggio della
realtà non profit italiana e quindi permetta anche degli interventi più mirati nei vari settori di appartenenza
delle varie associazioni.
Le associazioni sportive, oggi, ottengono un riconoscimento particolare dal CONI quali enti di “promozione
sportiva”: questo riconoscimento determina la possibilità di accedere ad alcuni regimi agevolati, quali la
partita IVA 398/91, i compensi L. 133/99, l’accesso al credito sportivo del CONI ed altri.
È da ritenersi che le associazioni sportive, ed in particolare quelle che hanno ottenuto il riconoscimento quali
“enti di promozione sportiva”, possano accedere al registro ed alle agevolazioni della Legge 383/2000 sulle
“Associazione di promozione sociale”. Si auspica che i regolamenti attuativi delle varie leggi prevedano, un
domani, l’esclusività di iscrizione, ossia che una associazione debba scegliere fra uno dei regimi agevolativi
(promozione sociale, promozione sportiva, volontariato, onlus, ecc.) e che non possa accedere agli altri.
Nella realtà sportiva si usa spesso il termine “società sportiva”: sotto questa terminologia in realtà
incontriamo diverse figure giuridiche distinte fra di loro: l’associazione, la cooperativa, la società (sas, srl,
spa). La gestione e la normativa di riferimento variano in considerazione proprio della figura giuridica
utilizzata per svolgere le attività di natura sportiva.
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Organizzazioni non lucrative di utilità sociale
ONLUS
Il decreto legislativo che ha istituito le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) è il 460
del 4 dicembre 1997 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 2 del 2 gennaio 1998.
Questa nuova figura giuridica ha inteso creare una élite, riservando un trattamento speciale a
quelle “strutture” che hanno acquisito particolari meriti in seguito all’azione sociale svolta. Non a
caso abbiamo usato il termine “strutture”. Infatti possono diventare Onlus non solo le associazioni
che hanno lo statuto e l'
atto costitutivo autenticato o registrato, ma anche le fondazioni, i comitati,
le società cooperative; in più sono Onlus di diritto le organizzazioni di volontariato (Legge 266/91),
le organizzazioni non governative (Legge 46/87) e le cooperative sociali. Per contro non possono
in alcun caso divenire Onlus i partiti politici e i sindacati, gli enti pubblici, gli enti conferenti di cui
alla Legge del 30 luglio 1990 n. 218, le fondazioni bancarie, le associazioni di categoria e le
società commerciali diverse dalle cooperative.
Sin qui le figure giuridiche che possono o meno aspirare ad essere Onlus, ma questi requisiti da
soli non bastano; infatti bisogna fare una valutazione su quelle che sono le attività svolte e chi ne
sono i beneficiari prima di poter inoltrare la richiesta per divenire Onlus.
Sono undici i settori in cui si devono cimentare le Onlus: l’assistenza sociale e socio sanitaria,
l’assistenza sanitaria,
la beneficenza, l’istruzione, la formazione, lo sport dilettantistico, la tutela e promozione delle cose
d'
interesse artistico e storico, la tutela e valorizzazione della natura e dell'
ambiente, la promozione
dell'
arte e della cultura, la tutela dei diritti civili, la ricerca scientifica.
Alle Onlus non è permesso gestire attività non comprese tra quelle contemplate nell’elenco; in ogni
caso però anche se l’azione svolta in maniera esclusiva rientra in una delle undici categorie
menzionate non è che il secondo livello. L'
articolo 10, comma 1, lettera b) del decreto legislativo
stabilisce infatti che le Onlus devono perseguire esclusivamente finalità di utilità sociale, mentre i
commi 2 e 3 ci spiegano cosa intende la legge per "utilità sociale": «(…) Si intende che vengono
perseguite finalità di solidarietà sociale quando la cessione di beni o la prestazione di servizi
relative alle attività statutarie nei settori (…) [vedi le 11 categorie ndr], non sono rese nei confronti
di soci, associati o partecipanti, nonché degli altri soggetti indicati alla lettera a) del comma 6, ma
dirette ad arrecare benefici a :
a) persone svantaggiate in ragione di condizione fisiche, psichiche, economiche, sociali o
familiari;
b) componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari. (...)».
Il Dlgs 460/97 pone infatti precisi requisiti per rientrare nelle ONLUS
• le organizzazioni non lucrative di utilità sociale debbono avere esclusivamente uno o più degli
scopi elencati nella lettera a) dell’art.10 fra i quali effettivamente anche lo sport dilettantistico;
• debbono avere l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale. Lo stesso decreto
specifica (art.10 comma 2) che per solidarietà sociale deve intendersi attività dirette ad arrecare
benefici a persone svantaggiate in ragioni di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o
familiari e che tali attività possono essere rivolte ai propri soci solo se questi si trovano nelle
condizioni delle persone oggetto dell’intervento;
• debbono rispettare il divieto di svolgere attività diverse da quelle elencate appunto dall’art.10
comma 1 lettera a)
Il D.Lgs. citato pone poi l’obbligo che l’atto costitutivo o lo statuto redatto nella forma dell’atto
pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedano espressamente:
a) lo svolgimento di attività in uno o più dei seguenti settori:
1) assistenza sociale e socio-sanitaria;
2) assistenza sanitaria;
3) beneficenza;
4) istruzione;
5) formazione;
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6) sport dilettantistico;
7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla legge 1°
giugno 1939, n.1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 settembre 1963, n.1409;
8) tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, con esclusione dell’attività esercitata
abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all’art.7 del
decreto legislativo 5 febbraio1997, n.22;
9) promozione della cultura e dell’arte;
10) tutela dei diritti civili;
11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da
esse affidate ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che svolgono direttamente, in ambiti e
secondo modalità da definire con apposito regolamento governativo emanato ai sensi dell’articolo
17 della legge 23 agosto 1988, n.400;
b) l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale;
c) il divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lettera a) ad eccezione di quelle
ad esse direttamente connesse;
d) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o
capitale durante la vita dell’organizzazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non
siano imposte per legge o siano effettuate a favore di altre ONLUS che per legge, statuto o
regolamento fanno parte della medesima ed unitaria struttura;
e) l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali
e di quelle ad esse direttamente connesse;
f) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di suo scioglimento per
qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità,
sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996,
salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
g) l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale;
h) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire
l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della
partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il
diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina
degli organi direttivi dell’associazione;
i) l’uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico
della locuzione “organizzazione non lucrativa di utilità sociale” o dell’acronimo “ONLUS”.
In conseguenza difficilmente le associazioni non riconosciute possono fregiarsi dell’acronimo
ONLUS e pertanto dal punto di vista fiscale seguiranno le regole stabilite per gli enti non
commerciali.
La possibilità di essere annoverate fra le ONLUS è invece ammessa per le associazioni non
riconosciute affiliate a enti le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno.
Le associazioni pertanto possono essere denominate ONLUS per un’eventuale attività di
solidarietà (pro portatori di handicap, attività di beneficenza, pro componenti comunità estere
ecc..), e per il tempo strettamente necessario al compimento del progetto solidale.
È ovvio che potranno beneficiare delle condizioni previste per le ONLUS esclusivamente per il
progetto eventualmente realizzato e dovranno sottostare agli adempimenti previsti dal D.Lgs.
460/97 (tenuta di una contabilità separata da quella “istituzionale”, presentazione di un bilancio e
non di un rendiconto economico e finanziario ecc.).
Valutando l’insieme può non essere conveniente assumere la figura fiscale ONLUS se non per i
progetti di ampie dimensioni.
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Alleghiamo alcune tabelle che riordinano quanto sopra esposto.
TAB. 1
CHI RIENTRA FRA GLI ENTI NON COMMERCIALI (ARTT. 1-9, D. Lgs 460/97)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
Associazioni riconosciute (artt.14 e sogg. del c.c.)
Fondazioni riconosciute (artt. 14 e segg. del c.c.)
Associazioni e fondazioni non riconosciute (artt. 36 e segg. del c.c.)
Comitati (artt.39 e segg. del c.c.)
Fondazioni e associazioni bancarie (L.30.7.1990 - D.L.gs. 20.11.1990, n.356)
Organizzazioni di volontariato (L.11.08.1991, n.266)
Cooperative sociali (L:08.11.1991, 381)
I.P.A.B. (Istituzioni di Pubblica Assistenza e Beneficenza)
pubbliche e private (L.17.07.1980, n.6972)
Associazioni di promozione sociale (L. 07/12/2011, n. 383)
Associazioni sportive (L:16.11.1991, n.398 )
Associazioni senza fine di lucro e pro-loco (L. 06.02.1992, n.66)
Enti ecclesiastici cattolici (L:20.05.1985, n.222)
Enti religiosi di altre confessioni
Organizzazione non Governative (ONG) (art.28, L.26.02.1987, n.49)
Enti di promozione sociale (art.3, comma 6, L.25.08.1991, n.287)
Enti lirici (D.L.gs.29.06.1996, n.367)
TAB. 2
POSSONO DIVENTARE ONLUS
• associazioni
• fondazioni
• comitati
• società cooperative
• altri enti privati con o senza personalità giuridica
SONO IN OGNI CASO ONLUS
• organizzazioni di volontariato (L.266/91)
• organizzazioni non governative (L.49/87)
• cooperative sociali (L.381/91)
POSSONO DIVENTARE PARZIALMENTE ONLUS
• Associazioni di promozione sociale, Enti ecclesiastici delle confessioni religiose riconosciute,
ecc.
NON POSSONO DIVENTARE ONLUS
• Enti Pubblici, IPAB, società commerciali diverse dalle cooperative, fondazioni bancarie, partiti e
movimenti politici, organizzazioni sindacali, associazioni di categoria.
1) Per diventare ONLUS occorre che i soggetti indicati perseguano esclusivamente finalità di utilità
sociale con il divieto di svolgere attività diverse da quelle elencate nella tabella 3 e che le cessioni
di beni e le prestazioni di servizio siano rese nei confronti di persone (non soci) svantaggiate in
ragioni di condizioni fisiche, pratiche, economiche, sociali e familiari o, nel caso di componenti
estere, per aiuti umanitari.
2) Tali organizzazioni sono iscritte nelle ONLUS automaticamente.
3) Le associazioni di promozione sociale riconosciute quali assistenziali dal Ministero dell’Interno e
gli enti ecclesiastici possono diventare ONLUS limitatamente all’esercizio delle attività indicate
nella tabella 3 e per il tempo che esercitano tali attività. Le associazioni predette per questa attività
debbono tenere una contabilità separata secondo i criteri elencati all.art.25 del DL 460/97
14
TAB. 3
SETTORI DI ATTIVITA’ DELLE ONLUS
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Assistenza sociale e socio-sanitaria;
assistenza sanitaria;
beneficenza;
istruzione;
formazione;
sport dilettantistico;
tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico;
tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente;
promozione della cultura e dell’arte;
tutela dei diritti civili;
ricerca scientifica di particolare interesse sociale.
15
Associazioni di volontariato (Legge 266/91)
Legge n. 266, del 11 agosto 1991, pubblicata nella Gazz. Uff. 22 agosto 1991, n. 196
“Art. 3. Organizzazioni di volontariato.
1. È considerato organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di
svolgere l'
attività di cui all'
articolo 2, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle
prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.
2. Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più
adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.
3. Negli accordi degli aderenti, nell'
atto costitutivo o nello statuto, oltre a quanto disposto dal
codice civile per le diverse forme giuridiche che l'
organizzazione assume, devono essere
espressamente previsti l'
assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l'
elettività e la
gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri
di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti
l'
obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti,
nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell'
assemblea degli aderenti.
4. Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di
prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento
oppure occorrenti a qualificare o specializzare l'
attività da esse svolta.
5. Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e
nei modi previsti dalla legge, nell'
ambito di strutture pubbliche o con queste convenzionate.”
Queste le caratteristiche primarie e determinanti delle organizzazioni di volontariato. Ma per essere
considerate tali, qualunque sia la loro forma giuridica, è necessario adempiere all’iscrizione presso
i registri per il volontariato istituiti a livello regionale.
Ecco alcune delle agevolazioni previste per le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri:
“Art. 8. Agevolazioni fiscali.
1. Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato di cui all'
articolo 3, costituite esclusivamente
per fini di solidarietà, e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall'
imposta di
bollo e dall'
imposta di registro.
2. Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui all'
articolo 3, costituite
esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni di beni, né prestazioni di servizi
ai fini dell'
imposta sul valore aggiunto; le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono
esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i fini
suindicati.
3. […].
4. I proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi
imponibili ai fini dell'
imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dell'
imposta locale sui
redditi (ILOR), qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali
dell'
organizzazione di volontariato. I criteri relativi al concetto di marginalità di cui al periodo
precedente, sono fissati dal Ministro delle finanze con proprio decreto, di concerto con il Ministro
per gli affari sociali.”
Inoltre “…Lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono
stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nei registri di
cui all'
articolo 6 e che dimostrino attitudine e capacità operativa…” (art. 7), “ L'
iscrizione ai registri è
condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici nonché per stipulare le convenzioni e per
beneficiare delle agevolazioni fiscali, secondo le disposizioni di cui, rispettivamente, agli articoli 7 e
8…” (art. 6)
Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla Legge 266/1991
16
17
Atto costitutivo e Statuto delle Associazioni non riconosciute
La fattispecie giuridica delle associazioni si fondano su una base contrattualistica nel senso
giuridicamente più stretto. Il "contratto" fra gli associati è individuabile nell'
atto costitutivo e/o nello
statuto (artt. 16 e 36 c. c.). Pertanto questi atti dovranno avere i medesimi requisiti dei contratti: art
1321 c. c.:" Il contratto è l'
accordo di due o più parti [c.c. 1420, 1446, 1459] per costituire, regolare
o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale [disp. gen. 25; c.c. 1174, 1322, 1326]"; art.
1325 c. c.: " Indicazione dei requisiti.
I requisiti del contratto sono:
1) l'
accordo delle parti [c.c. 1326];
2) la causa [c.c. 1343];
3) l'
oggetto [c.c. 1346];
4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità [c.c. 1350, 1351,
1352]."
Pertanto non sono ammissibile, e neanche concepibili, atti costitutivi o statuto a firma unica
(stipulati quindi da una sola parte), oppure statuti che contengano scopi illeciti o lesivi della
comune morale o comunque contrari a norme imperative della legge italiana.
Il fine dell'
atto costitutivo è quello di "fermare" e codificare la volontà di alcuni di perseguire
determinati scopi attraverso la comune opera; parallelamente lo statuto serve sia per dare delle
regole di comportamento e funzionamento interno, necessarie per perseguire gli scopi prefissi.
Oggi gli sviluppi normativi hanno determinato una nuova funzione per lo statuto e l'
atto costitutivo;
infatti questi due strumenti sono indispensabili per ottenere facilitazioni, principalmente fiscali,
dimostrando agli organi di controllo lo svolgersi della vita associativa attraverso meccanismi
democratici (D. Lgs 460/97).
L'
art. 16 c. c. c porta quelli che sono i dati minimi da inserire all'
interno dell'
atto costitutivo e dello
statuto delle associazioni riconosciute, ma che per analogia e comodità viene utilizzato anche per
le associazioni non riconosciute come le nostre:
"16. Atto costitutivo e statuto. Modificazioni.
L'
atto costitutivo e lo statuto [c.c. 14, 23, 24, 27, 34] devono contenere la denominazione dell'
ente,
l'
indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, [c.c. 46], nonché le norme sull'
ordinamento
e sull'
amministrazione [c.c. 25, 28]. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i
diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di
fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite.
L'
atto costitutivo [c.c. 2365] e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione
[c.c. 27, 34] dell'
ente e alla devoluzione del patrimonio [c.c. 31, 32], e, per le fondazioni, anche
quelle relative alla loro trasformazione [c.c. 28; disp. att. c.c. 4]
[…]"
Altre clausole obbligatorie per gli atti costitutivi e gli statuti sono previste dal D. Lgs 460/97 che, di
controparte, prevede delle agevolazioni fiscali per gli enti non commerciali.
Il decreto legislativo sul "Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale" si compone di due sezioni. La prima (articoli 1-9),
"Modifiche alla disciplina degli enti non commerciali in materia di imposte sul reddito e di imposta
sul valore aggiunto" - che riguarda tutte le associazioni e gli enti non profit - e la seconda (articoli
10-30), "Disposizioni riguardanti le organizzazioni non lucrative di utilità sociale". Si tratta quindi
della legge istitutiva delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus).
In questo capitolo ci occuperemo della prima sezione, aiutandoci anche con la Circolare del
Ministero delle Finanze n. 124/E del 12 maggio 1998.
La prima importante novità è contenuta nell’articolo 1 del decreto legislativo, che va a modificare
l'
articolo 87 del DPR 917/86 (Testo Unico delle imposte sul reddito) con i seguenti commi:
- Comma 4: l'
oggetto esclusivo o principale dell'
ente residente è determinato in base alla legge,
all'
atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata
autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'
attività essenziale per realizzare
direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'
atto costitutivo o dallo statuto;
- Comma 4-bis: in mancanza dell'
atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'
oggetto
principale dell'
ente residente è determinato in base all'
attività effettivamente esercitata nel territorio
dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti.
18
Per la prima volta si richiede che l'
Atto Costitutivo e lo Statuto delle associazioni abbia forma
pubblica o scrittura privata autenticata o registrata. In caso contrario i fini perseguiti
dall'
associazione non saranno quelli specificati nello Statuto ma quelli presunti dalle forze
dell'
ordine in base all’osservazione della effettiva attività svolta sul territorio.
Per far valere dunque il "contratto stipulato fra gli associati" è necessario che questo abbia una
delle tre forme giuridiche previste dal nuovo articolo 87 comma 4 del DPR 917/86: atto pubblico,
registrazione privata o autenticata.
L'
articolo 5 del decreto legislativo 460/97 riporta quali sono le clausole obbligatorie all'
interno degli
atti costitutivi e statuti per poter accedere alle facilitazioni fiscali:
1) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi e
riserve di capitali durante la vita dell'
associazione; salvo che la destinazione o la
distribuzione siano imposte dalla legge.
Questa, che è da sempre una delle regole implicite per le associazioni non riconosciute, deve
da oggi diventare una regola esplicita e quindi codificata nel "contratto fra gli associati".
Il perché di questa norma è subito evidente. C’è infatti la necessità, sempre più marcata, di
impedire un uso distorto della forma giuridica dell'
associazione, la quale si distingue dalla
società principalmente per il perseguimento di scopi non economici. Inoltre nell’associazione i
responsabili politici non perseguono personali interessi economici. Ma il ragionamento da fare
è anche un altro. Se vi è il divieto per ogni singolo associato di ottenere, anche in natura, una
quota del fondo comune, come può il singolo socio ottenere dall'
associazione medesima un
servizio? Infatti l'
associazione per poter offrire un qualunque servizio dovrà sostenere delle
spese (dall'
affitto all'
acquisto di materiali, al pagamento delle bollette della luce, al pagamento
degli istruttori e così via) ed è quindi ipotizzabile un costo per il servizio medesimo. Pertanto si
può ipotizzare anche il pagamento di un corrispettivo da parte del singolo socio per quanto
offerto dall’associazione, sia una lattina di Coca Cola o per delle lezioni di ginnastica. Si tratta di
un obbligo derivante dalla legge, in quanto il corrispettivo è necessario a ripianare il fondo
comune ed evitare che si configuri il reato di "appropriazione indebita". Va da se che il
corrispettivo deve essere calcolato su una base “logica” e non di mercato, pur comprendendo
tutte le spese necessarie alla prestazione del servizio stesso.
2) L’obbligo di devolvere il patrimonio dell'
ente, in caso di scioglimento, ad altra
associazione analoga o a fini di pubblica utilità, sentito l'
organo previsto dalla Legge 662/96
(il Garante per l'
associazionismo).
3) Disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire
l'
effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente ogni limitazione in funzione
della temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o
partecipanti maggiori d'
età il diritto di voto per l'
approvazione e le modificazioni dello
statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'
associazione.
Questo punto mira ad eliminare la divisione fra varie tipologie di soci (fondatori, temporanei,
occasionali, ecc.) che limitano il reale svolgimento della vita democratica all'
interno
dell’associazione. Pertanto esiste una sola categoria di soci, i quali, con il pagamento della
quota annuale, assumono i diritti di elettorato attivo (diritto al voto) e passivo (diritto di essere
eletto) nonché il diritto di voto per le variazioni statutarie. L'
unico limite rimasto è quello della
maggiore età, conseguenza logica del fatto che i dirigenti delle associazioni non riconosciute,
quali le nostre, si devono assumere la responsabilità civile e penali. Anche questa è una norma
che cerca di smascherare le finte associazioni, in quanto l'
effettiva democraticità della struttura
comporta il rischio di perderne la gestione.
4) L’obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario
secondo le disposizioni statutarie.
Questo è forse ciò che comporta maggiori preoccupazioni, in quanto il rendiconto economico e
finanziario di fine anno diventa oggi un atto "ufficiale", sempre a disposizione dei soci ma ma
anche delle forze dell'
ordine. A questo proposito bisogna però prendere in considerazione due
situazioni diverse:
Associazioni con partita IVA;
Associazioni senza partita IVA.
Nel primo caso il rendiconto economico e finanziario, che andrà ad affiancarsi al bilancio
dell'
attività commerciale desumibile dalla dichiarazione dei redditi, dovrà essere redatto con un
19
maggiore attenzione in quanto il decreto legislativo ha ribadito con forza che l'
attività
commerciale di un ente non commerciale deve rimanere complementare ed inferiore alla attività
istituzionale. L’applicazione di questo precetto - vero da sempre in quanto a istituirlo è la stessa
definizione del Testo Unico Imposte sul Reddito(T.U.I.R.), diviene oggi più controllabile da parte
delle forze dell'
ordine, che possono confrontare il rendiconto economico e finanziario per la
parte istituzionale e la dichiarazione dei redditi per la parte commerciale. Questo è
importantissimo qualora l'
associazione abbia scelto l'
opzione per la partita IVA facilitata istituita
con la Legge 398 del 1991 (vedi Acli Oggi n. 58 del 13 Ottobre 1999), in quanto la prevista non
obbligatorietà dei libri contabili viene meno nel caso in cui il rapporto fra attività istituzionale e
commerciale dovesse pendere dalla parte di quella commerciale, con effetto retroattivo all'
inizio
dell'
anno in discussione.
Nella seconda ipotesi è importante redigere in maniera sempre più chiara il nostro rendiconto
economico e finanziario, sia per correttezza nei confronti dei soci, sia per poter dimostrare alle
forze dell'
ordine il rispetto delle normative vigenti. Per concludere, su questo argomento, rimane
da dire che:
le regole con le quali preparare il rendiconto economico e finanziario delle attività istituzionali
continuano a deciderle i soci;
solo con l'
adeguamento a queste norme i servizi svolti nei confronti dei nostri associati non
hanno rilievo ai fini fiscali.
5) il punto e) del D.Lgs non risulta omogeneo in quanto parla di più aspetti contemporaneamente:
dell'
eleggibilità libera degli organi amministrativi.
Del principio del voto singolo di cui all'
articolo 2532, secondo comma, del Codice civile
(…Ogni socio ha diritto ha un voto qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni…)
che rappresenta quello che viene definito "una testa un voto". In realtà questa norma, riportata
nelle regole delle cooperative, sta ad indicare che qualunque sia la quota di partecipazione
all'
interno della cooperativa tutti i soggetti hanno diritto ad un solo voto in quanto deve prevalere
la caratteristica personale su quella finanziaria. In realtà il legislatore, sbagliando, ha voluto
citare questo articolo per negare la possibilità dell'
istituto della delega o del voto per
corrispondenza. Nelle associazioni deve votare chi è presente alle riunioni e pertanto i quorum
di validità devono essere calcolati sui presenti. L'
errore, evidente visto che la delega nelle
cooperative è ammessa dall’articolo 2534 ed anche il voto per corrispondenza dall’articolo 2532
IV comma, è chiarito dalla Circolare 124/E che riporta anche la relazione illustrativa al decreto
che conferma l'
interpretazione del divieto di delega. Divieto che viene meno per le associazioni
complesse quali le Acli a livello nazionale, ma non territoriale.
Sempre il punto e) passa poi ad indicare la "sovranità dell'
assemblea dei soci, associati o
partecipanti e i criteri di loro ammissibilità ed esclusione". Rappresenta una novità il dover
indicare nel proprio statuto le norme che regolano l'
ammissione e l'
eventuale esclusione dei
soci. In questo modo si limita il potere del consiglio direttivo obbligandolo ad attenersi a precisi
dettati statutari.
Ed ancora "criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle
relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti": anche queste sono norme che le Acli
avevano già messo in atto da anni, ma adesso diventano obbligatorie per tutte le strutture che
si sono dotate di uno statuto proprio.
Per concludere troviamo l'
intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad
eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa: significa che
il pagamento della quota associativa è un atto personale e quindi la stessa non può "passare di
mano" né cambiare di valore nel corso dell'
anno.
Ribadiamo che tutto questo costrutto normativo è necessario per due ragioni:
per ottenere le facilitazioni fiscali proprie degli enti no profit, quali ad esempio la Partita Iva a
norma della 398/91; per ottenere che i servizi svolti nei confronti dei propri associati non siano
considerati commerciali (tranne quelli espressamente indicati come tali dalla legge).
20
L’amministrazione delle associazioni non riconosciute
Attività istituzionali/Attività commerciali
Le associazioni non riconosciute, fiscalmente parlando, rientrano nella categoria degli enti non
commerciali o non profit.
Nel seno della stessa associazione non riconosciuta può esservi un'
unica contabilità o convivere
due contabilità separate, qualora l’associazione abbia fatto espressa richiesta della partita IVA.
Nel primo caso, sicuramente il più semplice, avremo un'
associazione in possesso del solo codice
fiscale: in questa situazione l'
unica contabilità che dovrà tenere il consiglio direttivo è quella
chiamata istituzionale.
Nel secondo caso l'
associazione oltre ad avere un numero di codice fiscale avrà anche un numero
di partita IVA (qualora codice fiscale e partita IVA fossero richiesti in contemporanea il numero
risulterebbe il medesimo): in questa fattispecie il consiglio direttivo dovrà tenere due contabilità,
una istituzionale, l'
altra commerciale.
La differenza sostanziale fra le due tipologie di contabilità (istituzionale e commerciale) risiede nel
fatto che l'
una, quella istituzionale, serve al consiglio direttivo per dimostrare ai soci qual è la
situazione economica dell'
associazione e come si è venuta a verificare, mentre la contabilità
commerciale ci permetterà di pagare le dovute tasse inerenti quelle attività che o non erano rivolte
ai nostri soci o che, se pur rivolte ai nostri soci, sono considerate comunque commerciali.
L'
amministrazione di una associazione non riconosciuta avente solo codice fiscale è relativamente
semplice, ma richiede comunque degli adempimenti quanto più precisi possibili, e soprattutto tali
da mettere il singolo socio in grado di valutare l'
operato del consiglio direttivo e dell'
associazione
tutta.
Le regole per stabilire come va mantenuta la registrazione delle spese e delle entrate vanno
desunte dallo statuto dell'
associazione e vanno rispettate alla lettera; qui di seguito riportiamo gli
adempimenti necessari dedotti dallo statuto tipo più avanti allegato.
Compito istituzionale del Consiglio Direttivo e quello di stendere il rendiconto economico e
finanziario consuntivo e preventivo e di sottoporlo alla votazione dell'
assemblea generale dei soci
annualmente (entro tre mesi dalla chiusura dell'
anno sociale).
La compilazione del rendiconto economico e finanziario consuntivo si compone di due prospetti e
di due relazioni e precisamente:
1) situazione patrimoniale che indica tutte le attività e le passività che formano lo stato patrimoniale
al giorno indicato (chiusura di esercizio che in genere è il 31 dicembre di ogni anno) e la cui
differenza aritmetica è rappresentata, tolto il capitale e le riserve, dall’utile o dalla perdita
dell’esercizio;
2) conto profitti e perdite (o costi e ricavi) che indica come la gestione si è svolta durante
l’esercizio. Esso rappresenta la vita economica dell'
associazione e indica come si è giunti all’utile o
alla perdita risultante dalla situazione patrimoniale ;
3) relazione del consiglio di Presidenza con la quale si illustra in maniera critica e reale il
rendiconto;
4) relazione del Collegio dei sindaci.
Logica vuole che per poter adempiere a queste operazioni il Consiglio Direttivo dovrà provvedere
durante l'
anno alla compilazione di un libro prima nota (non vidimato) ed alla tenuta delle pezze
d'
appoggio (fatture, scontrini, rimborsi spese analitici, ecc.) che ne giustificano le voci.
La normativa fiscale, stabilisce che, ai fini IVA, per le associazioni politiche, sindacali e di
categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive le prestazioni specifiche rese ai soci, associati
o partecipanti (dietro compensi ad hoc, anche ottenuti sotto forma di contribuzione supplementare)
non si considerano svolte nell’esercizio di attività commerciali purché le stesse siano effettuate in
conformità alle finalità istituzionali (siano cioè previste dallo Statuto Sociale). In linea generale
pertanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi resi ai soci non sono imponibili ai fini IVA.
Per maggiore comprensione possiamo esemplificare nel presente prospetto le attività non
considerate commerciali.
Artistiche: Mostre, rassegne, spettacoli teatrali, cinematografici, foto, ecc.
Culturali: Visite guidate a gallerie e musei, attività bibliografiche, filateliche, numismatiche,
hobbistiche, ecc.
21
Musicali: Attività corali, folkloristiche, musica leggera, classica, ecc.
Sportive: Gare, tornei, incontri, battute di caccia e di pesca, attività subacquea con uso di
attrezzature e impianti, gestione di impianti sportivi (per prestazioni ai soci o ad altre associazioni
che svolgono la stessa attività facente parte di una unica organizzazione locale o nazionale).
Turistiche: Gite, crociere, soggiorni, vacanze, settimane bianche ad eccezione di quelle in cui
l’associazione sia ente organizzatore assimilabile all’agenzia di viaggio.
Varie: Tutti gli incassi corrisposti dai soci per le attività di cui sopra. Somministrazione di bevande,
dolci, caramelle, generi di caffetteria anche mediante corrispettivo corrisposto da soci.
Contributi da Enti e privati, da soci e consiglieri.
Le quote associative ordinarie e straordinarie, nonché tutte le somme provenienti da attività non
commerciali.
Il D. Lgs 460/1997 esclude dalle attività considerate commerciali (anche se rivolte ai soli soci) i
fondi provenienti da raccolte pubbliche svolte occasionalmente ed i contributi corrisposti da
amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di attività convenzionate.
Le associazioni quando svolgono le suddette attività a favore dei soci, anche in presenza di
contributi suppletivi per particolari prestazioni (quote orarie per campi da tennis, bocce, gestione
del bar, ecc.):
• pagano l’IVA quale ultimo consumatore;
• sono esentate dalle scritture contabili obbligatorie;
• sono esentate dalla presentazione del bilancio (al Tribunale, ecc.).
Pertanto gli unici obblighi che competono loro, sono quelli di conservare per 10 anni le fatture di
acquisto debitamente numerate e di richiedere il numero di codice fiscale.
È appena il caso di dire che tali attività vengono considerate “non commerciali” anche ai fini IRPEG
e che pertanto per il loro svolgimento non è richiesta neppure la denuncia dei redditi (mod. 760) a
meno che le associazioni non posseggano beni fondiari (immobili) o di natura fondiaria (affitti di
campi, ecc.) o di capitali (esclusi ovviamente gli interessi di c/c bancario che sono soggetti ad
imposta all’origine).
Condizioni perché tali attività restino non commerciali La normativa vigente elenca alcune
condizioni affinché tali attività siano effettivamente annoverate quali non commerciali.
- Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi debbono essere svolte nei confronti dei soci;
- per la gestione del bar l’associazione deve essere iscritta ad associazione riconosciuta quale
assistenziale (vedi capitolo “Enti di promozione sociale – Riconoscimento Ministeriale dei fini
assistenziali”);
- gli statuti debbono contenere obbligatoriamente:
• denominazione della società;
• indicazione della sede sociale;
• finalità istituzionali;
• indicazione del fondo sociale;
• poteri degli organi associativi e loro durata in carica;
• mancanza di finalità lucrativa;
• oggetto e scopo non economico;
• divieto di distribuzione diretta o indiretta di utili, avanzi di gestione, fondi, riserve o capitali,
durante la vita dell’associazione;
• obbligo di devolvere, in caso di scioglimento dell’associazione, il patrimonio residuo ad altra
associazione con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità, sentito l’organo di controllo che dovrà
essere nominato con decreto interministeriale;
• disciplina uniforme del rapporto associativo in relazione alla temporaneità della partecipazione
(non è possibile limitare i diritti dei soci in relazione al tempo di adesione);
• diritto di voto a tutti gli associati maggiori di età per l’approvazione e la modificazione dello statuto
e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi;
• principio di voto singolo ai sensi dell’art.2532 del codice civile;
• sovranità dell’assemblea;
• indicazione dei criteri di ammissione e di esclusione degli associati;
• obbligo di redigere ed approvare il rendiconto economico e finanziario annuale;
• idonee forme di pubblicità ai soci delle convocazioni dell’assemblea, delle relative deliberazioni,
dei bilanci o rendiconti;
22
• intrasmissibilità della quota o contributi associativi per atto tra vivi (può però prevedersi la
possibilità di subentro dell’erede in caso di morte dell’associato);
• non rivalutabilità della quota o contributi associativi.
Se invece l'
associazione dovesse gestire, in maniera complementare, attività commerciali, perché
rivolte a non soci o previste dalla legge come tali, affianco del rendiconto economico e finanziario
si dovrà tenere un bilancio commerciale inerente le sole attività commerciali. Per poter far questo
l'
associazione dovrà fare richiesta di una partita IVA. Per le associazioni quali enti assistenziali o
enti di promozione sportiva è stata istituita, con la Legge 398/91, una partita IVA speciale che
prevede degli adempimenti semplificati: per la gestione di questa partita IVA si rimanda al capitolo
specifico.
Dal momento che convivono due diverse contabilità all'
interno della nostra associazione, anche
quella istituzionale diviene di interesse per le forze dell'
ordine, in quanto necessario per il raffronto
fra attività istituzionale e quella commerciale necessariamente a favore della prima per il
mantenimento della qualifica di "non commerciale". Due precisazioni in merito:
1) i tutori dell'
ordine (la Guardia di Finanza) non possono valutare il rendiconto dell'
anno in corso,
ma esclusivamente quelli già conclusi e posti al voto dell'
assemblea;
2) non è nei poteri della Guardia di Finanza mettere in discussione le pezze d'
appoggio, ma
esclusivamente la loro esistenza o meno, in quanto la "accettabilità" o meno delle stesse è di sola
competenza del Collegio dei Sindaci e più in generale dei soci.
Il DLgs 460/97 peraltro prevede per le associazioni la perdita della qualifica di Ente non
commerciale qualora la gestione delle attività commerciali superi per un intero periodo d’imposta in
redditi, immobilizzazioni, investimenti e ricavi, quella delle attività istituzionali. In questo caso
anche le attività elencate prima elencate quali istituzionali debbono essere considerate
commerciali e seguire gli adempimenti del bilancio commerciale. La perdita di qualifica opera a
partire dal 1 gennaio dell’anno d’imposta seguente a quello in cui sono venuti meno i requisiti
richiesti.
La circolare esplicativa del Dlgs 460/97 chiarisce giustamente che i suddetti parametri non sono
“tassativi” ma piuttosto un metro di giudizio per i pubblici ufficiali comandati al controllo dell’attività
dell’associazione.
Diventa pertanto estremamente importante la relazione accompagnatoria del rendiconto
economico e finanziario per dimostrare la coerenza dell’associazione con i propri fini istituzionali, e
diviene obbligatorio il mantenimento delle pezze d'
appoggio che suffragano il rendiconto
economico e finanziario per almeno 10 anni.
Alcune attività però, come già sottolineato, sono indicate nell’art. 4, 5° comma del DPR 633/72,
come sinonimo di operazioni assistite dal carattere della commercialità per presunzione legale.
Tali attività, indicate tassativamente dalla legge, sono:
• cessioni di beni nuovi prodotti dalle associazioni con lo scopo di venderli: quali le pubblicazioni
(escluse quelle che sono cedute prevalentemente all’interno delle associazioni); quadri (per
esempio a seguito di una mostra di pittura organizzata dall’associazione fra i propri soci);
modellismo (per esempio a seguito di una “gara” fra soci, ecc.);
• gestione di spacci aziendali e di mense e somministrazioni di pasti (con esclusione per esempio
della gestione del bar se questi possiede regolare licenza per gli alcoolici e superalcoolici di una
associazione riconosciuta ai sensi della normativa vigente sul commercio L. 287/1991 art. 3,
comma 6 lettera e));
• trasporto e deposito di merci;
• trasporto di persone;
• organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio (il D. Lgs
460/1997 esclude, dalla “commercialità” ai soli fini IRPEG, l’organizzazione di viaggi e soggiorni
turistici qualora tali attività risultino complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi
istituzionali e rivolta ai soci);
• pubblicità commerciale (sponsorizzazione , ecc.);
• gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
• telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari;
• esercizio di attività di cui all’articolo 2195 del codice civile;
• attività industriale di produzione di beni e servizi;
• attività intermediaria nella circolazione dei beni;
23
• attività bancaria e di assicurazione;
• attività ausiliare alle precedenti;
• attività in favore di terzi (anche se istituzionali) contro pagamento di corrispettivi.
24
Codice Fiscale
L'
obbligo di iscrizione per le associazioni non riconosciute all'
anagrafe tributaria non è una norma
così esplicita.
L'
anagrafe tributaria, al cui interno i soggetti vengono identificati attraverso il codice fiscale, è stata
istituita con il Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 605 del 29 settembre 1973. Il
decreto è stato più volte modificato e specificato; fra gli interventi più importanti ricordiamo la legge
n. 784 del 02 novembre 1976 e il D.P.R. n. 955 del 23 dicembre 1977; comunque tutti i
provvedimenti hanno comportato modifiche dirette al decreto iniziale 605/73, quindi il testo attuale
e vigente del sopraindicato provvedimento è esauriente.
L'
art. 1 comma 1 definisce i compiti dell'
anagrafe tributaria: "L'anagrafe tributaria raccoglie e ordina
su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denuncie presentate agli
uffici dell'amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che
possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari[….]."
L'
art. 2 comma 1 determina i soggetti sottoposti ad iscrizione: "Sono iscritte all'anagrafe tributaria,
secondo un sistema di codificazione stabilito con decreto del Ministro per le Finanze, le persone
fisiche, le persone giuridiche e le società, associazioni ed altre organizzazioni di persone o di
beni prive di personalità giuridica alle quali si riferiscono i dati e le notizie raccolti ai sensi
dell'art. 1, o che abbiano richiesto l'attribuzione del numero di codice fiscale a norma dell'art. 3[…]."
E'vero che l'
indicazione "associazioni ed altre organizzazioni di persone" ci individua senza alcun
dubbio, ma il richiamo fatto ai "dati e le notizie raccolti ai sensi dell'art.1" ci impone una più
approfondita analisi della questione. Quali sono questi dati e notizie? Potremmo anche provare a
dare una risposta intuitiva, ma nel settore giuridico non è consigliabile; infatti se proseguiamo nella
lettura del D.P.R. troviamo all'
art. 6 un elenco assai specifico e dettagliato di tutti quegli atti che
devono obbligatoriamente comportare il codice fiscale. Qui di seguito mettiamo esclusivamente a
titolo di esempio un piccolo elenco ricavato dall'
art. 6 che non vuole assolutamente essere
esaustivo:
"a)
fatture e documenti equipollenti emessi ai sensi delle norme concernenti l'
imposta valore
aggiunto, relativamente all'
emittente;
richieste di registrazione,[...], degli atti da registrare in termine fisso...
dichiarazione dei redditi previste dalle norme concernenti l'
imposta sul reddito, [...] comprese le
dichiarazioni dei sostituti d'
imposta...
[...]; domande per concessioni di aree pubbliche;…
atti emessi da uffici pubblici riguardanti le concessioni, autorizzazioni e licenze [...] relativamente ai
soggetti beneficianti...
g bis) mandati, ordini ed altri titoli di spesa emessi dalle amministrazioni dello stato o da altri enti
pubblici [...]
g ter) contratti di assicurazione [...]; contratti di somministrazione di energia elettrica,
relativamente agli utenti.
Da questa rapida scorsa all'
art. 6 ci possiamo rendere conto che un’associazione ha la necessità
di avere il codice fiscale per poter porre in essere tutti quegli atti fondamentali per la vita reale di
una struttura.
Cerchiamo ora di riordinare le idee e di usare un linguaggio che non sia quello della legge. Ecco i
casi in cui una associazione ha l'
obbligo di avere un numero di codice fiscale:
effettuare acquisti di qualsiasi genere con fattura (presso cioè i grossisti);
effettuare la dichiarazione IVA per l'
inizio di attività (es. licenza per ballo o festa patronale);
effettuare pagamenti derivanti da rapporti di lavoro (dipendente, coordinato e continuativo,
associazione in partecipazione, ecc.);
effettuare registrazioni di atti pubblici e privati in termine fisso (atti costitutivi, statuti, ecc);
chiedere autorizzazioni, licenze e concessioni;
ottenere pagamenti e contributi dalle amministrazioni dello Stato;
richiedere contratti per la somministrazioni di energia elettrica, acqua, gas e telefonica.
A questo punto possiamo affermare senza temere di essere approssimativi: sì, tutti le
associazioni sono tenute a fare richiesta del codice fiscale, perché questo è indispensabile
per lo sviluppo concreto della vita associativa, ed anche perché il codice fiscale ci permette
di fornire le stesse di una "carta d'
identità" che lo individui senza possibilità d'
errore.
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La partita I.V.A. "opzionata" 398/91
La "398 del 91", è una abbreviazione che identifica una particolare partita IVA, studiata
appositamente per il comparto associativo; meglio conosciuta anche come "partita IVA opzionata".
Questa gestione di partita IVA è stata inserita nell'
ordinamento con la legge del 16 dicembre 1991,
n. 398 (per questo è chiamata la "398 del 91"). Inizialmente doveva essere utilizzata
esclusivamente dalle società sportive dilettantistiche, successivamente è stata estesa a tutti gli enti
associativi ed alle pro-loco con la legge n. 66 del 1992 (articolo 9 bis). La legge vuole semplificare
il regime fiscale di questi enti con alcune limitazioni: possono, infatti, accedervi solo quegli enti che
svolgono attività commerciale in maniera complementare e non principale (decreto legislativo
460/97) ed impone un tetto massimo di fatturazioni che con la legge finanziaria 2003 è stato
elevato a € 250.000.
Schematizziamo, qui di seguito, gli adempimenti necessari per operare in maniera corretta con la
partita IVA opzionata ai sensi della legge n. 398 del 16 dicembre 1991; è possibile utilizzare tale
partita IVA per tutti i proventi conseguiti nell’esercizio delle attività commerciali connesse agli scopi
istituzionali dell’associazione.
1. Aprire la partita IVA presso l’Ufficio delle Entrate.
2. In sede di apertura della partita IVA, o in un secondo momento, fare l’opzione ai sensi della
legge 398/91; per richiedere di operare con il sistema semplificato è necessario darne
comunicazione, con raccomandata con ricevuta di ritorno, all’Ufficio IVA, all’Ufficio delle
Entrate ed alla SIAE.
L’opzione ha validità 5 anni.
3. Acquistare presso i negozi specializzati in materiale per ufficio, i “Prospetti riepilogativi”
come previsti dal Decreto Ministeriale 11.02.1997 (G.U. n. 37 del 14.02.1997).
4. Sul prospetto andranno riportati, entro il giorno 15 del mese seguente, tutti i corrispettivi
derivanti da attività commerciali.
5. Trimestralmente si calcolerà l’IVA dovuta nell’ordine del 50% del previsto dalla legge.
Sono previste, peraltro, specifiche percentuali di detrazione forfettizzata:
- per le prestazioni di sponsorizzazione la detrazione è forfettizzata in misura pari
ad un decimo dell’imposta relativa alle operazioni stesse ( pagare i 9/10 e
trattenere il rimanente);
- per le cessioni o le concessioni di diritti di ripresa televisivi e di trasmissione
radiofonica la detrazione compete in misura pari ad un terzo dell’imposta relativa
alle operazioni stesse.
6. Entro il giorno 16 del secondo mese successivo al termine del trimestre, (pertanto per il
trimestre gennaio, febbraio, marzo la scadenza è quella del 16 maggio), si procederà al
versamento dell’IVA dovuta attraverso il modello F24 presso gli sportelli postali o bancari.
I codici tributo per l’IVA periodica sono: 6031 per il primo trimestre, 6032 per il secondo
trimestre, 6033 per il terzo, 6034 per il quarto; sarà necessario aggiungere a quanto dovuto
l’ 1% dell’importo, come interessi dovuti.
7. A fine anno sarà necessario compilare il “Modello Unico Enti non commerciali ed
equiparati” con una redditività presunta del 3%, sul quale andranno versati il 36% di
IRES ed il 4,25% di IRAP (l’ipotesi prevede che l’associazione non abbia attivi
contratti di lavoro, in quanto essi incidono nel calcolo dell’IRAP).
8. Sarà altresì necessario approvare in Assemblea ordinaria dei Soci il rendiconto economico
e finanziario (attività istituzionali) che deve rispondere ai caratteri di esattezza, correttezza
e comprensibilità previsti dalla legge. Il rendiconto dovrà essere portato a conoscenza dei
soci con lo stesso meccanismo usato per la convocazione dell’Assemblea, e dopo
l’approvazione dovrà essere allegato al verbale con la relativa documentazione esplicativa.
9. E’ necessario numerare progressivamente e conservare per 10 anni le fatture in entrata ed
in uscita.
10. E’ necessario mantenere i giustificativi inerenti il rendiconto economico e finanziario per 10
anni.
26
Si evince facilmente che il regime della 398/91 è vantaggioso, ma rimane da valutare se alla
struttura serve o meno una partita IVA. Infatti solo quando si opera con persone non associate (ad
esempio in occasione di feste patronali, sponsorizzazioni, etc.) c’è la necessità di avere partita
IVA; oppure in presenza di alcuni servizi, anche se rivolti agli associati, come la mensa,
l’organizzazione di viaggi etc. Non occorre, invece, per i contributi generici dati dagli Enti pubblici
per le attività istituzionali, nei confronti dei quali è sufficiente una ricevuta.
Per poter accedere alle agevolazioni della legge 398/91 è necessario rispettare i massimali sopra
indicati ed essere in linea con quanto previsto dal decreto legislativo n. 460 del 1997.
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REA - Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative
La Legge 29 dicembre 1993 n° 580, riguardante il riordino delle Camere di Commercio, Industria,
Artigianato e Agricoltura, ha previsto all'
art. 8:
1. l'
istituzione del Registro delle imprese di cui all'
art. 2188 del c.c.;
2. la tenuto dello stesso presso la C.C.I.A.A.;
3. l'
istituzione del Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative, con obbligo di iscrizione
in apposita sezione speciale, per tutti i soggetti che svolgono, anche in via sussidiaria rispetto
all'
oggetto principale, attività economiche commerciali e/o agricole.
Con il D.P.R. 7 dicembre 1995 n° 581 (regolamento per l'
attuazione del predetto art. 8 della L.
580/93) sono state impartite istruzioni per l'
iscrizione e la tenuta del Registro delle imprese e del
REA.
L'
iscrizione ha la funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità.
In particolare, la Circolare del Ministero dell'
Industria del Commercio e Artigianato del 9 gennaio
1997 n° 3407 ribadisce l'
obbligo di iscrizione al REA da parte di tutti i soggetti che pongono in
essere forme di esercizio collettivo di attività economiche (commerciali e/o agricole) che si
collocano in una posizione sussidiaria e ausiliaria rispetto all'
oggetto principale dell'
attività di natura
ideale, culturale, ricreativa ecc. ed elenca quali soggetti obbligati le Associazioni riconosciute e
non, comprese le associazioni di categoria, i partiti politici, i sindacati, le fondazioni, i comitati, gli
organismi religiosi.
La circolare, inoltre, ricorda che se tali soggetti svolgono un'
attività d'
impresa in via esclusiva o
principale sono obbligati ad iscriversi nella sezione ordinaria del Registro delle imprese.
L'
iscrizione deve essere fatta dal legale rappresentante, presso la provincia in cui ha sede legale
l'
ente dichiarante, entro 30 giorni dall'
inizio delle attività economiche. Le denunce che devono
essere effettuate mediante la compilazione del Modello R, comportano il pagamento di diritti di
segreteria e dell'
imposta di bollo.
Nel sistema delle associazioni non profit sono quindi tenute all'
iscrizione al REA tutte le
associazioni che svolgono in maniera complementare o occasionale attività commerciali, ossia
coloro che hanno fatto richiesta di una partita IVA, sia ordinaria che opzionata 398/91.
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