Prefazione di Franco Frattini
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Prefazione di Franco Frattini
Prefazione Habent sua fata UbelU. Accade raramente che un reportage, proprio per la sua intrinseca natura di genere della letteratura di viaggio, legato al preciso momento spazio-temporale descritto, riesca a conservare intatto nel tempo il suo valore ben oltre il pregio della fedele testimonianza cronachistica. Owiamente gli esempi illustri non mancano; per restare solo ad alcuni tra i più noti casi di scrittori italiani maggiormente apprezzati, vengono subito in mente i nomi e gli scritti di maestri del giornalismo internazionale ormai considerati dei classici come Guelfo Civinini, Giuseppe Prezzolini, Luigi Barzini e, in tempi a noi più vicini, Indro Montanelli e Oriana Fallaci. Da questa prima riflessione vorrei partire per presentare al pubblico italiano le awincenti pagine racchiuse in questo volume del collega Radek Sikorski, oggi apprezzato Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Polonia ma, fin da giovanissimo, intellettuale impegnato nel suo Paese ed all' estero sui temi della democrazia e della civile convivenza dei popoli, con altrettanto luminosa esperienza internazionale di giornalista e scrittore. 7 Quando apparve per la prima volta, in inglese, nel 1989, edito dalla casa editrice londinese Chatto & Windus (subito seguito dall'edizione americana del 1990 per la Paragon House di New York) Sikorski aveva solo 26 anni. Si era però già fatto conoscere come uno dei leader del movimento studentesco polacco di opposizione al regime comunista, durante i primi scioperi del movimento sindacale Solidarnosc. Dopo la promulgazione nel suo Paese della Legge Marziale, nel 1981, maturò la mai agevole decisione di autoesiliarsi e si stabili in Inghilterra, dove fu studente di Filosofia ed Economia Politica ad Oxford. Come però sappiamo, non si trattò di un comodo rifugiarsi in un'accademica turris eburnea, ma molto più verosimilmente di un proseguimento, con altri mezzi ed in un diverso ambiente, della propria battaglia civile e di impegno militante. Nel 1987 (l'anno in cui realizzò il suo rejJortage sulla guerra afghano-sovietica, oggi pubblicato anche da noi in Italia) con un gesto altamente simbolico di dissidenza rispetto alle costrizioni e ai rigori imposti in Polonia da un regime comunista e autoritario, chiese ed ottenne la cittadinanza inglese: in stretta concomitanza dunque con la sua precoce vocazione di giornalista freelance, prima, e di corrispondente di Guerra, poi, in Angola, nella ex Jugoslavia e quindi in Afghanistan, per testate prestigiose come The Sunday Telegraph, The Spectator, National Review e The Observer. Una carriera di meritato prestigio insomma, che lo farà subito diventare anche un volto televisivamente noto, come geostratega con esperienze dirette e sul campo in diverse zone calde del mondo, in numerosi servizi per autorevoli emittenti come BBC World, CNN, FOX News e The Voice of America. In prospettiva storica, è utile ricordare che, a fronte del pressoché totale embargo di notizie imposto al mondo occidentale dallo stato di guerra, saranno proprio le pagine di Dust of tI,e Saints a gettare una prima luce di puntuale informazione sulla lotta condotta dai ribelli afghani contro le forze occupanti dell'allora Unione Sovietica. Come pure (ed è questo un ulteriore merito dell' opera, specialmente alla luce di quanto ac- 8 cadrà dopo) sulla scelta americana, poi divenuta causa comune degli Alleati, di sostenere le forze insurrezionali del complesso reticolo della resistenza tribale ai russi invasori. Talebani inclusi. Una seconda stagione di peculiare vitalità editoriale quest'opera l'ha conosciuta nelle varie edizioni in lingua polacca: dalla prima del 1995 per Alfa-Wero, fino all'ultima, più recente e maggiormente diffusa, del maggio 2007, con la AMF Plus Group di Varsavia. Con l'Autore che, nel frattempo, dopo essere stato Ministro della Difesa dal 2005, veniva ad assumere la guida del Ministero degli Esteri (entrambi Dicasteri a lui già direttamente noti per le precedenti esperienze tenutevi in passate legislature come Vice Ministro, a far data dal suo rientro in Polonia nel 1992). A distanza di un paio di decenni da quando il libro uscì per la prima volta in inglese, l'edizione polacca ha potuto funzionare egregiamente come indiretta cartina di tornasole per la verifica di molte questioni, in qualche misura già preconizzate dall'Autore del fortunato reportage: a partire dalla definitiva uscita dei russi dall'Afghanistan, per arrivare alla completata destrutturazione e scomparsa dell'URSS come polo di influenza ideologica di riferimento globale. Con in mezzo la caduta del muro di Berlino, la Polonia ormai incardinata sia nella NATO sia nell'Unione Europea, fortificata dalla straordinaria commistione di legacy svolta (e consegnata ai polacchi come al resto del mondo) dall'indimenticabile papato di Karol Wojtyla e dall' esemplare azione di Solidarnosc. Del resto, in più passaggi del volume, è lo stesso Autore a spiegare come e perché le ragioni della lotta di un popolo come quello afghano ed islamico contro l'oppressione dell'invasore sovietico abbiano, da subito, fatto scattare nel suo animo di polacco cristiano straordinarie pulsioni simpatetiche per una medesima ansia di libertà, che riesce ad accomunare gli individui anche al di là delle rispettive differenze di credo religioso. Ed è anche questa una delle ragioni del fascino che ancora genuinamente trasuda, coinvolgente, dalle pagine del- 9 l'awincente racconto. In questo caso vieppiù corroborate dall'orgoglio dell'Autore che ha così avuto la possibilità di rivendicare - questa volta da ruoli apicall di Governo - la giustezza della confermata presenza del proprio Paese in Afghanistan: per presidiare ed accompagnare lo sforzo di transizione (sempre difficile e faticoso, COme sappiamo anche noi italiani) verso la tormentate del pianeta, come ancor oggi rimane quella afghana. Cuscita di questa edizione in italiano de La [)olvere dei santi trova il nostro Paese ininterrottamente impegnato nella missione [nternational Security Assistance Force della NATO, a partire dal 2002. Mentre risale e al 2005 la nostra assunzione del comando delle operazioni proprio nella regione di Herat, all'epoca descritta nel re[)ortage di Sikoski. Complessivamente, la nostra attività di supporto al Governo afghano nel mantenimento della sicurezza si esplica sia a!:traverso la conduzione in ambito NATO di azioni militari, secondo il mandato ricevuto dall'ONU, sia tramite il contributo ad azioni umanitarie e di ricostruzione. Rispetto agli anni in cui l'Autore di questo volume viaggiava per l'Afghanistan con il 'wlashnikov a tracolla, alle prese con i frequenti raid degli elicotteri dell' Armata Rossa e mimetizzato tra i mujaedhin alla volta di Herat, la situazione è 'certamente cambiata, anche se il percorso in direzione della pace è ancora non sen1pllce. E tuttavia, nonostante l'alto prezzo pagato in vite umane con i trentacinque componenti del nostro contingente caduti in missione, possiamo dire che esso sia divenuto parte integrante degli impegni concretamente sostenuti ed alimentati dall'Italia. Quella da noi disimpegnata nell'odierno Afghanistan - e mi sia concesso ricordarlo con soddisfazione anche in questa sede - è un'azione di cooperazione civile e culturale a tutto campo: che continuerà anche dopo la già scadenzata conclusione della nostra presenza militare. Con un rafforzamento, viceversa, degli sforzi sin qui prodigati per la ricostruzione: a partire (giusto per fornire qualche esempio tra i tanti possibili) 10 dal miglioramento già strutturato del sistema sanitario di Herat; con il proseguimento dei corsi annuali di formazione per la futura classe dirigente afghana (amministratori pubblici, magistrati, giovani diplomatici, insegnanti, polizia di frontiera, operatori economici); il primo dei quali è già stato vararo a Roma dal nostro Governo con l'espressa soddisfazione del Governatore Daud Shah Saba, recentemente in visita in Italia. È dunque anche alla luce di questi riconosciuti progressi odierni in terra afghana che la lettura delle pagine del libro di Sikorski potrà offrire ai lettori un utile quadro di riferimento e di prima mano dell'humU.l territoriale ed umano complessivo della regione afghana in cui siamo tuttora presenti: sia pure al semplice scopo di meglio comprendere la parabola evolutiva da cui è partita la moderna vicenda di riscatto civile e di affrancamento etico-politico di questo Paese, a fronte dell'oppressione subita e delle ben più drammatiche condizioni in cui, appena qualche decennio fa, versava. Anche a questo servono i libri e non è questione peregrina o di poco conto richiamarne qui uno dei possibili motivi di utilità. Detto questo, certo nessuno si illude che una migliore e più puntuale conoscenza dei tanti come-dove-e-jJerclté storici di eventi che hanno segnato il corso di un' epoca, come quelli che nella fattispecie troviamo scandagliati e descritti in questo reportage, possa offrire un lenimento pur lieve ai sacrifici compiuti dalla nostra e dall'intera coalizione internazionale dei Paesi impegnati nello sforzo di ricostruzione post-bellico. Quel che è certo è che in Afghanistan si continua a morire e che purtroppo le stragi si susseguono ancora: come quella che, nel mese di maggio, ha fatto altre quattro vittime e diversi feriti (tra cui cinque italiani, di cui uno grave) proprio a Herat, per l'esplosione di un ordigno lanciato da /wmi/wze talebani contro il Centro pet' la Ricostruzione Provinciale, gestito dal nostro personale militare e civile. Laddove si calcob che solo quest'anno sono stati almeno centonovantotto i soldati clell'ISAF che hanno perso la vita e mille e quattrocento le per- Il dite subite dagli Stati Uniti in un decennio. Ma la democrazia ha le sue regole ed impone a tutti dei costi da pagare, alti o bassi, lievi o tragicamente dolorosi che, volta a volta, essi possano essere. Altrettanto indubitabile è, però, che una più compiuta analisi documentaria del retroterra storico, socio-politico e latamente umano di questo Paese, com'è questo offerto dalle pagine di Sikorski, possa aiutare a comprendere con spirito più maturo e disincantato le difficili scelte operate dalle singole collettività nazionali per la tutela della Pace e della civile convivenza democratica dei Popoli. Ed è questa una sfida globale che l'Italia ha puntualmente saputo e voluto accogliere con dignità, coraggio e competenza: in Afghanistan come in ciascuna delle altre missioni italiane all' estero - in tutto trentatré ed operanti in ventuno Paesi con compiti di peace"eeping e di stabilizzazione - tuttora attive in quelle zone calde del mondo in cui la comunità internazionale ha chiesto al nostro Paese di dispiegare al meglio la capacità di mediazione, l'impegno umanitario e l'esperta opera di ricostruzione civile, che da più parti e sempre in più occasioni ci viene riconosciuta. Franco Frattini Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana Roma, giugno 2011 12