Paolo VI operatore di unità tra le Chiese
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Paolo VI operatore di unità tra le Chiese
BEATIFICAZIONE DI PAOLO VI Paolo VI operatore di unità tra le Chiese di Aldino Cazzago Introduzione «La Chiesa! È questo l’anelito profondo di tutta la nostra vita, il sospiro incessante, intrecciato di passione e di preghiera, di questi anni di Pontificato, da quando il Signore ha voluto affidarci la cura degli agnelli e delle pecore, in pegno di un amore misterioso di cui scopriremo il filo segreto solo in Cielo, e che a nostra volta ci obbliga giorno per giorno a una risposta d’amore: Tu scis, quid amo te (Io. 21, 15-17). Questo amore per Cristo e per la Chiesa ci ha spinti a conservarne e a garantirne in questi anni l’unità, la piena concordia» 1. Poche altre parole di Paolo VI al pari di queste sintetizzano con altrettanta efficacia il suo intero pontificato. Erano parole che, come per altre circostanze, erano state scelte con particolare cura perché da pronunciare, il 22 giugno 1973, al cospetto del collegio cardinalizio in occasione del decimo anniversario dell’elezione pontificia. Il suo difficile pontificato si sarebbe protratto per altri cinque anni. Durante i suoi quindici anni di pontificato Paolo VI non si preoccupò solo di «conservare» e di «garantire» l’unità interna della Chiesa cattolica 2; suo costante assillo fu anche quello di operare e di spendersi per ricostituire l’unità tra le Chiese proprio in un periodo di grandi trasformazioni sociali i cui effetti si riversavano inevitabilmente anche sul modo di pensare la stessa fede cristiana 3. 1 lato. 2 I corsivi nei vari testi sono sempre nostri. Se dell’originale verrà di volta in volta segna- In questa sede tralasceremo del tutto le contestazioni del papato provenienti dall’interno della stessa Chiesa cattolica. 3 Di ritorno negli Stati Uniti dall’Assemblea Generale che il Consiglio ecumenico delle Chiese aveva tenuto a Uppsala nel luglio 1968, Meyendorff scrisse di essere «impressionato 702 Aldino Cazzago Le riflessioni che seguono illustreranno perciò solo questo specifico ambito del tema dell’unità. Dopo aver brevemente illustrato due dei numerosi aspetti del suo pensiero sul primato del vescovo di Roma, ci soffermeremo solo su due fatti, due gesti, spiccatamente ecumenici del suo pontificato per mostrare come quella riflessione e quei gesti abbiano poi contribuito a dar forma al suo ministero apostolico 4. La scelta di uno dei due gesti è ancora più motivata dal fatto che in questo 2014 si ricorda il cinquantesimo anniversario della sua storica visita ai Luoghi Santi nel gennaio 1964. Molti sarebbero i testi e i fatti che si dovrebbero rivisitare per il nostro tema; quelli scelti sono un primo aiuto per delineare il ritratto spirituale e la passione per l’unità di questo autentico “Servo di Dio” e ora “Beato”. Primato e carità Delineare seppur per accenni l’opera di Paolo VI in favore dell’unità tra le Chiese, significa immediatamente essere rimandati a una seconda tematica ad essa collegata e cioè la sua concezione e il suo esercizio del primato del vescovo di Roma. Come attesta la secolare tradizione storica autorevolmente confermata dai concili, al primato del vescovo di Roma è connessa una potestà canonica senza la quale esso perderebbe la sua capacità di esercizio. Anche se non deve esercitarla in prima persona in quanto arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini conosce questa verità dogmatica; divenuto Paolo VI, a quella stessa verità è chiamato non solo a dare personalmente forma in forza del suo ministero apostolico, ma ancora prima ad approfondirla e a disvelarne la sua profondità teologica. Si tratta di una esigenza assolutamente personale, intima, ma che si rivelerà ricca di conseguenze per il suo pontificato e per la successiva storia della Chiesa 5. Nell’agosto 1963, a nemmeno due mesi dall’elezione pontificia avvenuta il 21 giugno, in alcuni privati appunti frutto dei giorni di ritiro vissuti a Castelgandolfo, egli scrive: dalla tremenda confusione» che stava attraversando il mondo cattolico e protestante (J. Meyendorff, Witness to the World, St. Vladimir’s Seminary Press, New York 1987, p. 30). 4 Nel suo Diario del Concilio, alla data del 14 settembre 1965 Y.M. Congar si rammaricava che Paolo VI non avesse «la teologia dei suoi gesti e dei suoi messaggi». Pierre Duprey gli rispondeva che tutto ciò sarebbe accaduto col tempo. Cfr. Y.M. Congar, Diario del concilio, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, vol. II, p. 326. 5 Vale qui la pena ricordare l’invito «al dialogo fraterno» sul tema del primato che nel 1995 Giovanni Paolo II ha rivolto ai responsabili delle altre Chiese (Ut unum sint, nn. 95). Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 703 «Doveri e bisogni propri della straordinaria condizione in cui, certo per divina disposizione, ora mi trovo. Più di così non potrei essere impegnato alla corrispondenza alla volontà di Dio [...]. Perfezione cercata e vissuta al massimo grado. “Diligis me plus 6 his”.Tensione forte e soave. Primato non solo nella potestà, ma altresì nella carità. – Come si fa, ormai al vespro della vita terrena, a salire su questo vertice?» 7 Sul legame tra papato e carità egli torna il 27 ottobre 1969 nel discorso a conclusione del Sinodo straordinario dedicato al tema della collegialità episcopale: «Il Papa dev’essere un cuore per la Chiesa, allo scopo di far circolare la carità, che dal cuore parte e al cuore viene, come un carrefour della carità, che tutti riceve e tutti ama, perché, come scrive S. Ambrogio, Cristo “sul punto di salire al cielo, lasciò a noi Pietro come il vicario del suo amore” (Exp. in Luc X, 175; P.L. 15, 1942)». Egli sa che la «straordinaria condizione» in cui si trova reclama da lui atteggiamenti che paiono reciprocamente escludersi: di solitudine e di comunione. Negli appunti sopra citati descrive così il primo di questi atteggiamenti: «Bisogna che mi renda conto della posizione e della funzione, che ormai mi sono proprie, mi caratterizzano, mi rendono inesorabilmente responsabile davanti a Dio, alla Chiesa, all’umanità. La posizione è unica. Vale a dire che mi costituisce in una estrema solitudine. Era già grande prima, ora è totale e tremenda. Dà le vertigini. Come una statua sopra una guglia; anzi una persona viva, quale io sono. [...]. Anche Gesù fu solo sulla Croce. [...]. Io e Dio. Il colloquio con Dio diventa pieno e incomunicabile». Il secondo, quello della comunione, non ha meno spazio e urgenza: «La lucerna sopra il candelabro arde e si consuma da sola. Ma ha una funzione, quella di illuminare gli altri; tutti, se può. Posizione unica e solitaria; funzione pubblica e comunitaria. Nessun ufficio è pari al mio impegnato nella comunione con gli altri. Gli altri: questo mistero, verso il quale io devo continuamente dirigermi, superando quello della mia individualità, della mia apparente incomunicabilità. Gli altri, che sono miei; oves meas [Gv 6 Corsivo nell’originale. Paolo VI, Ritiro, 5-13 agosto 1963, in Id., Meditazioni inedite, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma 19932, pp. 21-30; qui alla p. 21. 7 704 Aldino Cazzago 21,17]; e di Cristo. Gli altri, che sono Cristo: mihi fecistis [Mt 25,40]. Gli altri, che sono il mondo: sollicitudo omnium ecclesiarum [2Cor 11,28]. Gli altri al cui servizio io sono: et vos debetis alter alterius lavare pedes; confirma fratres tuos [Lc 22,32]. Ecco ognuno è mio prossimo. [...] Preghiera ed amore universali. Iniziativa sempre vigilante al bene altrui: politica papale» 8. Un anno dopo, quelle private riflessioni dell’agosto 1963, sono riprese nella più solenne enciclica Ecclesiam suam: «E vogliamo altresì considerare che questo cardine centrale [quello del primato] della santa Chiesa non vuole costituire supremazia di spirituale orgoglio e di umano dominio, ma primato di servizio, di ministero, di amore. Non è vana retorica quella che al Vicario di Cristo attribuisce il titolo di servo dei servi di Dio» (n. 114). Un ostacolo sulla via dell’unità: il primato Paolo VI è ben consapevole che il contesto entro il quale egli deve esercitare quella «politica papale» sui generis che è il primato anche «nella carità», è quello della plurisecolare divisione fra le Chiese. Aprendo il 29 settembre 1963 la seconda sessione dei lavori conciliari, egli ricorda ai quasi 2.500 padri che lo ascoltano che «il terzo scopo che interessa il Concilio e ne costituisce, in un certo senso, il suo dramma spirituale» è quello «che riguarda “gli altri cristiani”, coloro cioè che credono in Cristo, ma che noi non abbiamo la fortuna di annoverare con noi compaginati nella perfetta unità di Cristo, che solo la Chiesa cattolica può loro offrire» 9. Se è vero che il «dramma spirituale» della divisione tra le Chiese tocca e ferisce tutti i cristiani, è ancor più vero che nessuno lo è al pari di lui proprio in virtù del primato che, in quanto successore di Pietro, è chiamato a esercitare. Egli avverte chiaramente di essere parte fondamentale del problema della divisione delle Chiese e, per taluni, della mancata soluzione di esso. Le parole della Ecclesiam suam non potrebbero essere più chiare: 8 9 Ibid., pp. 28-29. In Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 198112, vol. I, n. 168*. Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 705 «Non si dice da alcuni che, se fosse rimosso il primato del Papa, l’unificazione delle Chiese separate con la Chiesa cattolica sarebbe più facile? Vogliamo supplicare i Fratelli separati a considerare la inconsistenza di tale ipotesi» (n. 62). Nell’udienza generale di mercoledì 18 gennaio 1967 torna sulla stessa questione: «Noi sappiamo che il Nostro apostolico ministero, posto al centro della Chiesa, è, per quasi tutti questi Fratelli [delle Chiese e comunità non cattoliche], uno degli ostacoli principali alla loro ricomposizione nell’unità della Chiesa, pur così voluta da Cristo; sappiamo d’essere, al di fuori del cerchio cattolico, spesso accusati in molti modi. Oh, non tentiamo ora una Nostra giustificazione, quale crediamo poter fare, sempre nel nome di Cristo Signore; ma osiamo soltanto mandare a tutti i Fratelli separati, di buona volontà, un beneaugurante pensiero, con una semplice, umile e sincera parola: nolite timere!» 10 Tre mesi dopo, il 28 aprile, il tema è rilanciato in occasione dell’udienza ai componenti del Segretariato per l’Unità dei Cristiani: «Che diremo delle difficoltà cui sono sempre così sensibili i nostri fratelli separati: quella che proviene dalla funzione che il Cristo ci ha assegnato nella Chiesa di Dio e la nostra tradizione ha sancito con tanta autorità? Il papa, lo sappiamo bene, è senza dubbio l’ostacolo più grave sulla strada dell’ecumenismo». Nell’udienza generale di mercoledì 21 gennaio 1970, durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, egli torna nuovamente sulla stessa difficoltà che, a giudizio delle altre Chiese, ostacola il raggiungimento dell’unità: «Dov’è, dov’è l’unità della fede, della carità, della comunione ecclesiale? Le difficoltà sembrano insormontabili! L’ecumenismo sembra consumarsi in un conato illusorio! [...] Ma Pietro allora, dicono, alcuni, non potrebbe rinunciare a tante sue esigenze, e non potrebbero cattolici e dissidenti celebrare insieme l’atto più alto e definitivo della religione cristiana, l’Eucaristia, e proclamare finalmente raggiunta la sospirata unità? Purtroppo non così». 10 Corsivo nel testo originale. 706 Aldino Cazzago Le stesse parole, pur nella loro identica letteralità, possono risuonare con un significato assai diverso a seconda del luogo in cui vengono pronunciate. Parlare della verità del primato ad una udienza generale può essere, dato il tipo di uditorio, facile; proclamare la stessa verità, fare della propria persona lo spazio fisico e spirituale della sua espressione e tutto ciò di fronte ad un uditorio che in forme diverse reclama il suo sostanziale cambiamento quando non la sua cancellazione, richiede un coraggio che deve presentarsi con il volto della carità e non del predominio e dell’autosufficienza. Le parole che Paolo VI pronuncia il 10 giugno 1969 durante la sua storica visita al Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra vanno in questa direzione: «Eccoci dunque in mezzo a voi. Il Nostro nome è Pietro. E la Scrittura ci dice quale significato Cristo ha voluto attribuire a questo nome, quali doveri esso Ci impose: le responsabilità dell’apostolo e dei suoi successori». Dopo aver ricordato che il Signore ha dato a Pietro anche i nomi di «pescatore» e di «pastore» così prosegue: «Per ciò che riguarda Noi, siamo convinti che il Signore Ci ha concesso, senza alcun merito da parte Nostra, un ministero di comunione. Certamente non per isolarci da voi egli Ci ha dato questo carisma, né per escludere tra noi la comprensione, la collaborazione, la fraternità e finalmente la ricomposizione dell’unità, ma bensì per lasciarci il precetto e il dono dell’amore, nella verità e nella umiltà (cfr. Eph. 4, 15; Io. 13, 14). E il nome che Noi abbiamo preso, quello di Paolo, indica abbastanza l’orientamento che Noi abbiamo voluto dare al Nostro ministero apostolico». Questo primato che ha nella carità e nella comunione la sua sorgente più autentica, Paolo VI l’ha plasticamente mostrato in segni che Oscar Cullmann ha definito come «profetici» 11. In questa sede si vorrebbe tornare a riflettere su due di essi, a nostro giudizio espressivi di un intero pontificato: il viaggio in Terra Santa dal 4 al 6 gennaio 1964 12 e in particolare gli incontri con il patriarca Atenagora e il famoso bacio ai 11 O. Cullmann, Paul VI et l’oecuménisme, in Istituto Paolo VI - Notiziario, n. 4 (1982), pp. 51-62; qui alla p. 59. 12 Il testo più sicuro per ricostruire la cronologia dell’intero viaggio in Terra Santa è stato curato dallo storico Michele Maccarrone e pubblicato nel novembre 1964. Cfr. Il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa, 4-6 gennaio 1964, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1964, p. 237. I discorsi di Paolo VI e Atenagora nella originale versione latina e greca e nella traduzione ufficiale francese si leggono anche nello storico volume Tomos Agapis, Vatican Phanar (1958-1970), Tipografia Poliglotta Vaticana, Rome-Istanbul 1974. Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 707 piedi del metropolita Melitone il 14 dicembre 1975 13, in occasione del decimo anniversario dell’abrogazione delle scomuniche avvenuta il 7 dicembre 1965 a conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. L’icona del pontificato: il viaggio in Terra Santa Mercoledì 4 dicembre, giorno di chiusura della seconda sessione dei lavori conciliari, in San Pietro si diffonde la voce che il Papa avrebbe annunciato un suo viaggio in Terra Santa. Il 9 dicembre, Henri de Lubac così scrive: «La voce si trasmetteva attraverso le scalinate dell’aula conciliare [in San Pietro], salendo fino alle tribune, ma la cosa pareva irreale, e nessuno osava crederci». Terminata la parte del discorso che tutti hanno potuto seguire grazie ai fogli in possesso, «Paolo VI, con voce forte, in cui l’emozione si mescolava alla fermezza», dà il suo annuncio: «[...] abbiamo deliberato, dopo matura riflessione e non poca preghiera di farci noi stessi pellegrini alla terra di Gesù nostro Signore”» 14. Era la prima volta che un Papa tornava nella terra da cui millenovecento anni prima l’apostolo Pietro era partito 15. Nel 1969, il patriarca di Costantinopoli, Atenagora, dirà a Olivier Clément di essere stato «sconvolto dalla notizia» 16 di quel prossimo viaggio. Il viaggio voleva essere un’occasione per «onorare personalmente, nei luoghi santi, ove Cristo nacque, visse, morì e, risorto, salì al cielo, i 13 Per una visione generale dei rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa fino alla conclusione del pontificato di Paolo VI rinviamo a D. Salachas, Il dialogo teologico ufficiale tra la Chiesa cattolico-romana e la chiesa ortodossa. Iter e documentazione, in Quaderni di O Odigos, X, n. 2 (1994); P. Mahieu, Paul VI et les orthodoxes, Cerf, Paris 2012. Artefice dei rapporti tra Roma e Costantinopoli fu Johannes Willebrands, dal 1960 primo segretario del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e dal 1969 suo presidente. Grazie alla recente apertura del suo archivio personale questo aspetto del pontificato di Paolo VI è oggi meglio conosciuto. Cfr. K. Schlekens, Envisager la celebration entre catholiques et orthodoxes. Johannes Willebrands et Athénagoras de Costantinople, in Istina, LVII (2012), pp. 127-157. 14 H. de Lubac, Paolo VI pellegrino di Gerusalemme, in Id., Paradosso e mistero della Chiesa, Jaca Book, Milano 1979, pp. 117-123; qui alla p. 117. Nel suo Diario del concilio anche Congar si sofferma brevemente sull’annuncio di Paolo VI (cfr. Diario del concilio, cit., vol. I, p. 520). 15 Da un Appunto riservato dello stesso Paolo VI, si apprende che l’ipotesi di un viaggio in Terra Santa maturò in lui già tre mesi dopo elezione. L’Appunto porta la data del 21 settembre 1963. L’Appunto si legge in Il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa, cit., pp. 9-10. 16 Atenagora con Olivier Clément, Umanesimo spirituale. Dialoghi tra Oriente e Occidente, a cura di A. Riccardi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013, pp. 406 (or. fr. 1969). La più completa biografia del patriarca Atenagora è ancora quella di Valeria Martano. Cfr. V. Martano, Athenagoras, il patriarca (1886-1972). Un cristiano fra crisi della coabitazione e utopia ecumenica, Il Mulino, Bologna 1996. 708 Aldino Cazzago misteri primi della nostra salvezza: la Incarnazione e la Redenzione». Lo spirito e l’atteggiamento interiore sarebbe stato quello della preghiera, della penitenza, del rinnovamento al fine di «offrire a Cristo la sua Chiesa» e, secondo una prospettiva ecumenica già in atto nel Concilio, mosso dal desiderio di «chiamare ad essa [alla Chiesa] unica e santa i Fratelli separati, per implorare la divina misericordia». Vi era infine un’ultima intenzione: «implorare la divina misericordia in favore della pace fra gli uomini, la quale in questi giorni mostra ancora quanto sia debole e tremante, per supplicare Cristo Signore per la salvezza di tutta l’umanità» 17. Nel tardo pomeriggio di sabato 4 gennaio Paolo VI, con una commozione che giunge fino alle lacrime, celebra messa al Santo Sepolcro 18. Domenica 5, alle ore 21,30, al termine di una giornata fitta di visite a numerosi luoghi evangelici – Nazareth, Chiesa del Primato a Tabgha, Cafarnao, Monte Tabor, Cenacolo e Dormizione –, avviene il sospirato incontro con il patriarca Atenagora. Alcuni dei testimoni oculari di quell’indimenticabile avvenimento hanno lasciato dettagliate ricostruzioni di quanto avvenne quella sera presso la residenza del Delegato Apostolico a Gerusalemme 19. Uno di essi, di parte ortodossa, il professor A. Panotis, scrive: «Il patriarca, rivestito del suo “velo” e dei suoi engolpia, senza pastorale, percorre, imponente, il corridoio. Contemporaneamente, il papa Paolo discende, attraverso la scala interna degli appartamenti [della Delegazione]. L’incontro avviene proprio ai piedi della scala. Nessun imbarazzo, né dall’una, né dall’altra parte. Con le lacrime agli occhi, essi aprono spontaneamente le braccia, si stringono l’un l’altro in Cristo, si stringono forte. Tra17 Discorso a chiusura del secondo periodo, in Enchiridion Vaticanum, vol. I, n. 230*-231*. Cfr. A. Pizzuto (a cura di), Paolo VI pellegrino di fede e di pace in Terra Santa, Cantagalli, Siena 2013, p. 43. Come è noto, molti dei luoghi visitati dal Pontefice sono in custodia ai Francescani della Terra Santa. Al termine della visita di Paolo VI a questi luoghi, ogni responsabile francescano scrisse la cronaca dettagliata di quanto accaduto. Queste cronache furono poi raccolte negli Acta Custodiae Terrae Sanctae (nn. 1-2/1964). A cinquantanni da quei fatti, Alfredo Pizzuto ha curato la pubblicazione, fin qui inedita, di quell’interessante documento. 19 Qui ricordiamo quelli di mons. Pasquale Macchi, segretario del Pontefice, di Pierre Duprey del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e di padre Giulio Bevilacqua, maestro del giovane Montini e poi amico e consigliere di Paolo VI, e di p. Anastasio Ballestrero, generale dei Carmelitani Scalzi. Cfr. P. Macchi, Il pellegrinaggio in Terra Santa, in I viaggi apostolici di Paolo VI, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 2004, pp. 33-45; P. Duprey, I gesti ecumenici di Paolo VI, in Paolo VI e l’ecumenismo, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 2001, pp. 198-214; G. Bevilacqua, Con Paolo VI in Palestina, in Id., La parola di Padre Giulio Bevilacqua, Morcelliana, Brescia 1976, pp. 177-195; A. Ballestrero, Autoritratto di una vita. P. Anastasio si racconta, Edizioni OCD, Roma 2002, pp. 196-199. 18 Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 709 scorrono alcuni istanti, densi di profonda commozione. I presenti piangono di gioia in questo momento storico che tante generazioni di cristiani avevano atteso» 20. Qualche anno dopo Atenagora ricorderà così quegli indimenticabili minuti: «Ci siamo abbracciati una volta, due volte e poi ancora, ancora. Come due fratelli che si ritrovavano dopo una lunghissima separazione» 21. Dopo la conversazione privata fra i due, le rispettive delegazioni al completo si incontrano. Nel suo discorso in greco il Patriarca auspica che questo incontro sia «l’alba di un giorno luminoso e benedetto» quando finalmente le due Chiese potranno comunicare allo stesso calice. Ora, egli dice che lui e il Papa sono come i due discepoli di Emmaus: anche a loro Cristo si affiancherà per indicargli la “strada da seguire”. Il Papa risponde con un breve testo non scritto e poi, come a raccogliere l’auspicio di una comune eucarestia appena formulato dal patriarca, dona al suo illustre ospite un prezioso calice. Segue poi la recita in latino e in greco del Padre Nostro. Il Papa e il Patriarca si dirigono verso la porta, «dove si abbracciano di nuovo prima di separarsi» 22. La cronaca di quel primo incontro non può però terminare senza riportare almeno qualche passaggio del dialogo in francese tra Atenagora e Paolo VI reso noto solo dopo la morte di Atenagora nel luglio 1972. In verità questa conversazione non si sarebbe mai dovuta conoscere, ma a causa di una (felice) dimenticanza 23 è stata consegnata per sempre alla storia: «Il Papa: Le esprimo tutta la mia gioia, la mia emozione. Veramente penso che questo è un momento che viviamo in presenza di Dio. Il Patriarca: In presenza di Dio. Lo ripeto, in presenza di Dio... Il Papa: Ed io non ho altro pensiero, mentre parlo con Lei, che quello di parlare con Dio. Il Patriarca: Sono profondamente commosso, Santità. Mi vengono le lacrime agli occhi. 20 In P. Duprey, I gesti ecumenici di Paolo VI, cit., p. 200. Cfr. Il viaggio di Paolo VI in Terra Santa, cit., p. 87. 21 Atenagora con Olivier Clément, Umanesimo spirituale, cit., p. 411. 22 Il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa, cit., p. 90. 23 La conversazione tra il Patriarca e il Papa venne registrata dai tecnici della televisione italiana che lasciarono inavvertitamente in funzione gli strumenti di registrazione proprio durante il loro riservato colloquio. 710 Aldino Cazzago Il Papa: Siccome questo è un momento realmente di Dio, dobbiamo viverlo con tutta l’intensità, tutta la rettitudine e tutto il desiderio... [...] Il Patriarca: Penso che la Provvidenza abbia scelto Lei per aprire il cammino del suo... Il Papa: La Provvidenza ci ha scelto per capirci l’un l’altro. Il Patriarca: I secoli attendevano Lei. I secoli per questo giorno, questo grande giorno... Quale gioia in questo luogo, quale gioia nel Sepolcro, quale gioia nel Golgota, quale gioia sulla strada che ieri Lei ha percorso... Il Papa: Sono così ricolmo di impressioni che avrò bisogno di molto tempo per lasciar calmare e interpretare tutta la ricchezza di emozioni che ho nell’animo. Voglio, tuttavia, approfittare di questo momento per assicurarla dell’assoluta lealtà con la quale tratterò sempre con Lei. Il Patriarca: La stessa cosa da parte mia. [...] Il Patriarca: Poiché abbiamo questo grande momento; noi perciò resteremo insieme. Cammineremo insieme. Che Dio... Vostra Santità, Vostra Grande Santità inviato da Dio... Il Papa dal grande cuore. Sa come la chiamo? O megalocardos, il Papa dal cuore grande. Il Papa: Siamo solo degli umili strumenti. [...] Il Papa: Le dirò quello che credo, che sia esatto, derivato dal Vangelo, dalla volontà di Dio e dall’autentica tradizione. Lo esprimerò. E se vi saranno dei punti che non coincidono con il suo pensiero circa la costituzione della Chiesa... Il Patriarca: Lo stesso farò io... [...] Il Papa: Ci sono due o tre punti dottrinali sui quali c’è stata, da parte nostra, un’evoluzione, dovuta all’avanzamento degli studi. Esporremo il perché di questa evoluzione e lo sottoporremo alla considerazione Sua e dei vostri teologi. Non vogliamo inserire nulla di artificiale, di accidentale in quello che crediamo essere il pensiero autentico. Il Patriarca: Nell’amore di Gesù Cristo. [...] Il Papa: Nessuna questione di prestigio, di primato, che non sia quello... stabilito dal Cristo. Ma assolutamente nulla che tratti di onori, di privilegi. Vediamo quello che Cristo ci chiede e ciascuno prende la sua posizione; ma senz’alcuna umana ambizione di prevalere, d’avere gloria, vantaggi. Ma di servire. Il Patriarca: Come Lei mi è caro nel profondo del cuore... Il Papa: ...ma di servire» 24. 24 Il testo della conversazione è stato pubblicato ne La Croix del 22 luglio 1972 alcuni giorni dopo la morte del patriarca Atenagora avvenuta il 7 dello stesso mese. È stato poi ripreso Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 711 Che dire di questa straordinaria testimonianza? Con assoluta libertà, senza testi preparati in anticipo e confidando nella riservatezza del dialogo, il Papa e il Patriarca si scambiano reciprocamente quanto nel loro cuore va maturando da tempo. Pare di assistere a una confessione che si ha il coraggio di fare solo a chi si sa potrà comprenderla. Al pari di un fiume, la conversazione scorre sorretta tra due argini: quello del «desiderio» (il vocabolo ricorre per ben sei volte lungo tutta la conversazione) e quello della volontà di stare e camminare «insieme» (anche questo termine presente per sei volte). Uno stesso fuoco anima i due: «far avanzare le vie di Dio», «servire la causa di Gesù Cristo», il tutto «nell’amore di Gesù Cristo». E, poi, lo confessano l’uno all’altro: è la «Provvidenza» che li ha scelti per questo incontro. Il mattino seguente, festa dell’Epifania, poco prima delle ore 10, il Papa restituisce la visita ad Atenagora. L’incontro avviene presso la sede del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme nella splendida cornice del Monte degli Ulivi. Dopo un colloquio riservato di dieci minuti, il Papa e il Patriarca fanno ritorno nella sala d’onore. Al cospetto delle due delegazioni, come da programma, il Papa, «intimamente commosso»25, legge in latino il suo discorso. I temi toccati sono quelli della gioia per un incontro che, desiderato già dallo stesso papa Giovanni XXIII, viene a interrompere «secoli di silenzio e di attesa». L’incontro dei due «pii pellegrini di Roma e di Costantinopoli», sono ancora le parole di Paolo VI, avviene poi in quello che secondo «un’antica tradizione cristiana» è «il centro del mondo», e cioè «il punto in cui fu piantata la croce gloriosa del nostro Salvatore, dal quale egli “innalzato da terra, attrae tutto a sé” (cfr. Gv 12,32)». Poi Paolo VI così prosegue: «Certo, da una parte come dall’altra, le vie che conducono all’unione possono essere lunghe, e piene di difficoltà. Ma le due strade convergono l’una verso l’altra, e giungono alle sorgenti del Vangelo. Del resto, non è di buon auspicio, che l’odierno incontro si compia su questa Terra, ove il Cristo ha fondato la sua Chiesa, e versato il suo sangue per essa?» da La Documentation Catholique nel dossier in memoria dello stesso Atenagora. Cfr. La Documentation Catholique, n. 1614, 6-20 août 1972, pp. 721-725. Per la traduzione italiana abbiamo seguito la versione che si legge in Daniel Ange (Paolo VI. Uno sguardo profetico. 1. Un amore che si dona, Ancora, Milano 1980, pp. 143-146). Quando il caso l’abbiamo modificata per una maggior aderenza al testo francese. 25 Il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa, cit., p. 107. 712 Aldino Cazzago Certo restano le «divergenze» dottrinali, liturgiche e disciplinari che dovranno essere affrontate «in spirito di fedeltà alla verità e di comprensione nella carità. Ma ciò che fin d’ora può e deve progredire, è questa fraterna carità [...] premurosa di conformarsi al Divino Maestro, e di lasciarsi attirare e trasformare da Lui». Infine un ultimo atto di omaggio al suo ritrovato interlocutore: «Ci mancano le parole per esprimere adeguatamente quanto ci abbia toccato questo Vostro atteggiamento, e non soltanto. Infatti, anche la Chiesa Romana e il concilio ecumenico accoglieranno certamente con profonda gioia questo storico avvenimento». Terminato il discorso il Patriarca offre al Papa un encolpion, la medaglia raffigurante Cristo maestro portata al collo dai vescovi bizantini e che Paolo VI mette con l’aiuto dello stesso patriarca e la croce d’oro del millennio del Monte Athos. Dai membri della delegazione ortodossa si eleva per due volte l’esclamazione liturgica propria dell’ordinazione sacerdotale o consacrazione episcopale in Oriente: «Áxios!», «Áxios!», «È degno!», «È degno!». Alternativamente, in greco e in latino, dalla stessa copia del Vangelo, Atenagora e Paolo VI leggono poi il capitolo 17 di san Giovanni che ha al suo centro la richiesta di Cristo al Padre che «tutti siano uno». Segue quindi il Padre Nostro recitato nelle stesse due lingue. Poi, consapevole della portata teologica del gesto che va ben oltre un sentimento di pura cortesia, Paolo VI, rivolto al Patriarca, esclama: «Santità, vogliamo benedire insieme il popolo?» «La risposta di Atenagora, scrive mons. Pierre Duprey presente all’incontro, è scontata» 26. L’incontro termina con lo scambio del bacio di pace. Come dirà poi il Patriarca a Clément, in quell’incontro «tutto era gesto, simbolo, celebrazione» 27. A conclusione di questa sommaria ricostruzione dell’incontro tra il Papa e il Patriarca, ci pare interessante far rilevare una significativa convergenza di giudizio sulla figura di Atenagora. Padre Giulio Bevilacqua, che fu testimone oculare dell’incontro tra il Papa e il Patriarca, così osservava: 26 P. Duprey, I gesti ecumenici di Paolo VI, cit., p. 203. Cfr. Il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa, cit., pp. 109-110. 27 Atenagora con Olivier Clément, Umanesimo spirituale, cit., p. 415. Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 713 «Se aveste visto questo vecchio, imponente: sembrava proprio Abramo. Io dicevo: “Lui è Abramo, il papa è Isacco”, sembrava suo figlio, molto dignitoso e molto celeste, e aveva negli occhi una tale luminosità...Ho visto oggi [il giorno in cui tenne la sua conversazione a Brescia] in una fotografia, sopra un giornale che mi hanno fatto vedere, il gioco delle mani tra il patriarca e il papa, il patriarca che accarezzava le mani di Paolo VI, lo covava con gli occhi; si erano parlati della Chiesa la sera prima» 28. Olivier Clément gli fa eco con queste parole: «Il volto del patriarca ha un che non di indeciso bensì di illimitato, testimoniato dalla barba purificata dal biancore. [...] Questo volto non si oppone né si esalta, ma risplende. Il giorno e la notte si armonizzano. Alla barba luminosa (che fu nerissima) corrispondono i grandi occhi notturni, ancorché illuminati da una luce segreta. [...] Il papa è preciso, fragile, piccolo. I suoi gesti sono vivaci e frequenti. Solleva spesso il braccio per esaltare e benedire. Il patriarca è alto, il suo abito scuro dalle maniche ampie ondeggia, ma lui è ben diritto, immoto come un albero» 29. Cappella Sistina, 14 dicembre 1975 Come detto in precedenza una lettura del primato nella prospettiva del servizio non può non accennare a quanto accadde il 14 dicembre 1975. Esattamente dieci anni prima, il 7 dicembre 1965, vigilia della solenne chiusura del Concilio, per comune decisione di Paolo VI e di Atenagora, in contemporanea, a Roma e a Istanbul vennero abrogate le scomuniche 30 che dal 1054 si frapponevano come un invalicabile muro fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Come scriveva nel 1976 Michel Van Parys, si trattava di un «passo di riconciliazione tra l’antica e la nuova Roma» la cui portata «superava le due chiese» 31. Pierre Duprey, infaticabile servitore della causa dell’ecumenismo, ricordava così quello storico atto del 7 dicembre di trent’anni prima: «Quell’atto liberante 28 G. Bevilacqua, Con Paolo VI in Palestina, cit., p. 187. Atenagora con Olivier Clément, Umanesimo spirituale, cit., p. 426. 30 Le varie lettere che precedettero l’avvenimento, i testi della Dichiarazione comune, il Breve Ambulante in dilectione di Paolo VI e il Tomos di Atenagora si leggono in Tomos Agapis, cit, nn. 121-129, pp. 254-294. 31 M. Van Parys, Incontrare il fratello, Qiqajon, Magnano (BI) 2002, pp. 21-53; qui alla p. 25. Le pagine indicate son la traduzione italiana dell’articolo intitolato La rencontre du frère. Dimension dernière du projet oecumenique e pubblicato nel 1976 in Irenikon, (pp. 3-22) a commento dell’incontro tra il Papa e il metropolita Melitone. 29 714 Aldino Cazzago [l’abolizione delle scomuniche] ha agito e ha avviato un processo di purificazione che ha mutato gli atteggiamenti di tutti, di coloro che hanno funzione di guida nella Chiesa e di chi deve ispirarsi ai loro atti e farli propri. Fino al punto che il pontificato di papa Giovanni Paolo II ne è stato costantemente scandito, nutrito, arricchito» 32. In quel 14 dicembre 1975, nella Cappella Sistina, Paolo VI, al termine della messa 33 celebrata alla presenza della delegazione del patriarca di Costantinopoli Dimitrios e di poche altre persone per ricordare la rimozione degli anatemi, compie un gesto fino ad ora unico nella storia del papato. Terminata la celebrazione eucaristica il corteo si appresta a lasciare la cappella mentre il Papa sosta all’altare. Dopo qualche istante egli si dirige verso il metropolita Melitone che il segretario del Papa ha all’improvviso pregato di fermarsi. Pierre Duprey, che fu testimone oculare di ciò che stava accadendo, scrive: «Chi è ai primi posti non crede ai suoi occhi; gli altri, più distanti, chiedono spiegazioni sommesse, mormorano domande, si sporgono, cercano di vedere. Vi è chi fa il segno di croce, chi congiunge le mani in preghiera. Una frase sussurrata si trasmette dalle prime file e rimbalza oltre la grata che divide la Sistina, fino ai fedeli più lontani e che non scorgono bene l’altare: “Il papa si sta inginocchiando davanti all’inviato del patriarca; il papa bacia i piedi del metropolita” Il fotografo pontificio, che ha lasciato l’altare assieme al corteo, non fissa l’evento. Rimane, per i posteri, una sbiadita sequenza, tre immagini sfuocate, tratte da una ripresa televisiva, pallido emblema di ciò che è stato e che, per sempre sarà» 34. Grandi sono la sorpresa e lo sconcerto del metropolita che prima tenta di trattenere Paolo VI, ma poi lo lascia fare. Pur desideroso di fare altrettanto, viene invece convinto dal Papa stesso a rinunciare limitandosi a stringergli e a baciargli la mano. Prima di lasciare Roma Melitone commenta così il gesto di Paolo VI: 32 P. Duprey, I gesti ecumenici di Paolo VI, cit., p. 208. Altri particolari di questi irripetibili momenti sono stati raccontati dal mons. Pasquale Macchi a Patrice Mahieu. Cfr. P. Mahieu, Paul VI et les orthodoxes, cit., pp. 237-238. 33 Il giorno precedente Paolo VI aveva preso visione del commovente messaggio inviatogli dal patriarca Dimitrios I e portato a Roma dal metropolita Melitone. Nel messaggio si annunciava, tra l’altro, la costituzione di due commissioni di parte ortodossa per dar avvio al dialogo teologico con la Chiesa cattolica. A questo messaggio il Papa avrebbe risposto durante l’omelia della messa del giorno seguente. 34 P. Duprey, I gesti ecumenici di Paolo VI, cit., p. 211. Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 715 «Questo gesto – lo ripeto – come ho già detto subito dopo la cerimonia, è stato il gesto di un santo. Solamente un santo ha il coraggio di fare quello che ieri ha fatto il papa! Un gesto di santità, di riconciliazione e di mortificazione». Alcuni giorni dopo, da Istanbul, il patriarca Dimitrios torna sul gesto di Paolo VI e dice: «Per mezzo di questa manifestazione il venerabilissimo e a noi carissimo fratello il papa di Roma Paolo VI ha superato se stesso e ha mostrato alla Chiesa e al mondo chi è e può essere il cristiano vescovo e soprattutto il primo vescovo della cristianità, e cioè forza di riconciliazione e di unificazione della Chiesa e del mondo» 35. Conclusione A cinquant’anni dallo storico viaggio in Terra santa, a quasi quaranta dal bacio ai piedi del metropolita Melitone e a trentasei dalla morte di Paolo VI, si ha una sufficiente distanza temporale per una valutazione d’insieme del modo in cui egli ha esercitato il suo ministero petrino a servizio dell’unità della Chiesa. Un eccellente conoscitore del suo pontificato già nel 1978, anno della morte di Paolo VI, così scriveva: «È falso dire che era angosciato. Era abitato da un fuoco. Era della razza spirituale di una santa Caterina da Siena. O di quella degli uomini di ardore di cui si parla per il profeta Daniele. La Chiesa e la sua unità sono state l’amore e la passione della sua vita. [...] Oggettivamente, freddamente, il bilancio ecumenico del pontificato è impressionante. Egli ha dato corpo, vita, movimento, efficacia all’impegno del concilio per l’ecumenismo» 36. Nel 2011 il patriarca ecumenico Bartolomeo I, dopo aver visitato la casa natale di Paolo VI, in una lettera lo ha definito come il «papa dalle grandi visioni» «che ha dato forma al futuro del dialogo ecumenico e teologico» tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Al pontificato di Paolo VI un fattore di stimolo nella direzione della ricerca dell’unità tra le Chiese è venuto dalla presenza, trasformatasi 35 Questa e la precedente dichiarazione del metropolita si leggono nella dettagliata cronaca dell’incontro tra il Papa e il metropolita pubblicata ne La Civiltà Cattolica, 1976, I, pp. 273283. Altra cronaca dell’avvenimento si legge in Irenikon, XLIX (1976), pp. 59-65. 36 Y.M. Congar, Saggi ecumenici, Città Nuova, Roma 1986, pp. 141-154; qui p. 153. 716 Aldino Cazzago col tempo in rapporto amicale e fraterno, del patriarca Atenagora. Nella citata lettera, il patriarca Bartolomeo I, dopo aver ricordato i suoi anni di studio, 1963-1966, a Roma presso il Pontificio Istituto Orientale e durante i quali ebbe modo di incontrare in udienza lo stesso Pontefice, così continua: «È stato durante il suo pontificato che le nostre due Chiese hanno sperimentato uno storico riavvicinamento e un “dialogo della carità” senza precedenti, con la straordinaria immaginazione e l’eccezionale iniziativa manifestate in particolare dalle guide profetiche delle Chiese, il patriarca ecumenico Atenagora (1886-1972) e papa Paolo VI (1897-1978)» 37. Agli occhi di Paolo VI il primato che il Signore gli aveva affidato – come «pegno di un misterioso amore», aveva detto ai cardinali il 22 giugno 1973 – è stato anzitutto un primato vissuto in quell’amore e in quella carità che si attua nella forma del servizio e non della superiorità e del dominio. A chi gli rimproverava di aver umiliato la Chiesa baciando i piedi di Melitone egli rispose che ciò gli sembrava impossibile visto che si era limitato a «fare quello che aveva fatto il Signore Gesù con i suoi discepoli, cioè mettersi in ginocchio per lavare i piedi» 38. Conscio della pesante eredità della divisione che i secoli passati gli hanno consegnato, Paolo VI ha pensato e vissuto il primato come «ministero di comunione». Per lui il fine ultimo di tale ministero è sempre stato quello di favorire l’unità tra le Chiese e tra esse vi è ovviamente anche e soprattutto quella con la Chiesa di Roma. Il 19 gennaio 1977 lo aveva spiegato così: «Noi ringraziamo il Signore, che ci ha concesso di farci strumento di questo incontro fra i cristiani di varia denominazione e di dare così il nostro contributo a questa misteriosa opera dello Spirito Santo, che vitalizza la Chiesa del nostro tempo. Del resto, non diversamente intendiamo la Sede di Pietro che come peculiare forma di servizio per l’unità della Chiesa». Se il papato è stato all’origine di molte delle divisioni, dallo stesso papato, nella persona di Paolo VI, è cominciata un’opera di ricostituzione e di tessitura dell’unità tra le Chiese. 37 La visita è avvenuta il 9 settembre 2011. La lettera nell’originale versione in inglese e nella traduzione italiana è pubblicata in Istituto Paolo VI - Notiziario, n. 63 (2012), pp. 29-31. 38 Questa risposta di Paolo VI è stata raccontata da Pierre Duprey nel 1989 (cfr. P. Duprey, Paul VI et le decret sur l’oecuménisme, in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al concilio, Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 1989, p. 233) e nel 1998 riferita con maggiori particolari da Pedro Rodríguez (cfr. Discussione, in Paolo VI e l’ecumenismo, cit., p. 272). Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 717 Studiosi 39 del pontificato di Paolo VI affermano che col passare del tempo e grazie ad un fecondo intreccio tra pensiero e azione egli ha maturato una sempre più profonda percezione ecumenica del suo ministero a servizio dell’unità della Chiesa. Da una concezione ancora improntata all’idea di un “ritorno” degli altri fedeli alla Chiesa cattolica 40 egli è passato ad una concezione di unità tra le Chiese che, partendo da una comunione, benché non piena ma già in atto, tende sempre più verso quella pienezza 41 che può essere accolta solo come risposta di tutti, cioè comunionale, al dono dell’amore di Dio. In lui questo desiderio di pienezza è stato al contempo fonte di sofferenza e di speranza: sofferenza per le ferite inferte da tutti all’unità e alla comunione, speranza per un compimento non ancora raggiunto. Le parole dell’omelia del 25 gennaio 1975, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, mostrano tutto ciò con assoluta evidenza: «In questi ultimi anni si sono fatti passi mirabili verso la riconciliazione in differenti direzioni; tutti lo sanno e lo vedono; e certamente tutti ne esultiamo. Ma per ora nessun passo è giunto alla meta! Il cuore, che ama, è sempre frettoloso; se la nostra fretta non è esaudita, l’amore stesso ci fa soffrire. Noi comprendiamo l’inadeguatezza dei nostri sforzi. Noi intravediamo le leggi della storia, che esigono un tempo più lungo delle nostre umane esistenze; ed è comprensibile che la lentezza delle conclusioni ci sembri vanificare desideri, tentativi, sforzi, preghiere. Accettiamo questa economia dei disegni divini, e ci proponiamo umilmente di perseverare. [...] Comprendete, Fratelli, pertanto la nostra tristezza; essa è l’espressione del nostro amore, del nostro desiderio, della nostra carità». Come già detto, il viaggio in Terra Santa con l’incontro con Atenagora e il bacio ai piedi del metropolita Melitone sono stati due gesti fortemente simbolici, «icone»42 di un intero pontificato. 39 Per un’abbondante documentazione su questo aspetto si rinvia a: Paolo VI e l’ecumenismo, cit.; Y.M. Congar, L’oecuménisme de Paul VI, in Paul VI et la modernité dans l’eglise, École Française de Rome, 1984, pp. 807-820. 40 Si veda il Discorso di apertura della seconda sessione dei lavori conciliari del 29 settembre 1963 e l’omelia a Betlemme il 6 gennaio 1964. 41 Cfr. Il Breve Anno ineunte, 25 luglio 1967; la Dichiarazione comune tra il Papa e il Patriarca, 28 ottobre 1967; Udienza generale, 22 gennaio 1969; Udienza generale, 25 gennaio 1975; Udienza generale, 19 gennaio 1977; Evangelii nuntiandi, n. 54. 42 Uno dei primi a descrivere l’abbraccio fra Paolo VI e Atenagora in Terra Santa come «icona dell’incontro» è stato il teologo ortodosso Léon Zander. Alle sue considerazioni anche noi ci rifacciamo. Cfr. L. Zander, “La Rencontre”, in Irenikon, XXXVII (1965), pp. 75-80. 718 Aldino Cazzago Come è noto ogni icona ha un aspetto materiale, concreto e visibile, come la forma e i colori e un aspetto spirituale, ad esempio la realtà di colui che è rappresentato. Nella logica dell’incarnazione, ogni icona è una rivelazione del divino nell’ambito umano; non va solo contemplata perché è anche un insegnamento che va attuato nella vita; e infine è un’ispirazione che aiuta a pensare che un altro mondo è possibile. Rivelazione, insegnamento, ispirazione, sono esattamente i termini alla luce dei quali è possibile rileggere gli avvenimenti che abbiamo qui considerato e, nella loro ottica, il pontificato stesso. Pur nella loro assoluta contingenza, i due gesti rivelano come possibile quell’unità voluta da Dio per la sua Chiesa e purtroppo, anche oggi, non ancora realizzatasi nella comunione all’unico calice; insegnano a tutti a farsi operatori di questa unità e danno forza per credere che l’amore e la benevolenza di Dio, resi evidenti dalla benedizione impartita insieme, sono capaci di dar forma a un mondo rinnovato. Paolo VI compì i suoi gesti non sull’onda di un pur sincero sentimento ma solo dopo attenta riflessione e preghiera. Quando gli fu chiesto se il bacio ai piedi del metropolita fosse stato un gesto improvvisato egli rispose che «il gesto non è stato improvvisato; è stato assai meditato dal papa per molto tempo. È fatto dopo una meditazione davanti al Signore». Come ha detto con ragione Pierre Duprey, il gesto era il mezzo per «esprimere ciò che egli non poteva esprimere in altro modo» 43. Il tema dell’unità non è stato certamente uno dei tanti temi, ma “il” tema del pontificato di Paolo VI. Non c’è allora da meravigliarsi se il Decreto 44 firmato dal cardinale Angelo Amato il 20 dicembre 2012 e che riconosce l’eroicità delle virtù di Paolo VI si apre proprio con le parole con le quali anche noi abbiamo dato avvio al presente contributo, quelle da lui pronunciate il 22 giugno 1973. Una conclusione si impone allora a noi: la passione per l’unità della Chiesa è stata la via maestra per quella santità che la Chiesa si appresta a riconoscergli. Aldino Cazzago 43 44 Cfr. Discussione, in Paolo VI e l’ecumenismo, cit., p. 327. Il Decreto si legge in Istituto Paolo VI - Notiziario, n. 65 (2013), pp. 36-39. Paolo VI operatore di unità tra le Chiese 719 RIASSUNTO Sulla scia del rinnovamento ecclesiologico portato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, il tema della Chiesa, della sua vita e della sua unità è stato certamente centrale nel lungo pontificato di Paolo VI. La sua riflessione e il suo esercizio del primato petrino vanno perciò riletti alla luce di questo rinnovamento. Carità e comunione sono state le costanti con cui egli ha vissuto il suo ufficio di successore dell’apostolo Pietro. Il viaggio in Terra Santa nel gennaio 1965 e il bacio ai piedi del metropolita Melitone nel dicembre 1975, come due “icone”, spalancano il nostro sguardo su questo modo di servire l’unità tra le Chiese. SUMMARY In the wake of the ecclesiological renewal brought by the Ecumenical Vatican II Council, the theme of the Church, of her life and her unity was certainly central in the long pontificate of Paul VI. His reflection and his exercise of the Petrine Primacy should therefore be read in the light of this renewal. Charity and communion are the constants with which he practised his office as successor to the Apostle Peter. His journey to the Holy Land in January 1965 and the kiss to the feet of Metropolitan Meliton in December 1975, as two “icons”, open our eyes wide on this manner to serving the unity of the Churches.