Corporate governance e creazione di valore nella prospettiva
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Corporate governance e creazione di valore nella prospettiva
Corporate governance e creazione di valore nella prospettiva sistemico-vitale SERGIO BARILE∗ MAURO GATTI** Abstract Questo lavoro unisce la creazione di valore e l’approccio comportamentale al tema dell’efficienza economica, attraverso la quale il sistema di corporate governance dovrebbe mirare a ottimizzare i risultati economici, con un forte accento sul benessere dei diversi portatori di interesse che chiede maggiore attenzione e responsabilità nei confronti di altri attori piuttosto che dei soli azionisti (es: i dipendenti, i fornitori, i clienti, le banche e altri finanziatori, i regolatori, l’ambiente e la comunità in generale). Dopo aver descritto la corporate governance quale modalità inclusiva delle relazioni tra gli stakeholder e degli obiettivi per i quali la società è governata, presenta un quadro dell’insieme dei processi, delle politiche, delle leggi e delle istituzioni che influenzano il modo in cui un’impresa è diretta, amministrata e controllata. È opportuno sottolineare che lo sforzo che la ricerca in oggetto intende portare avanti consiste, non nella proposizione di nuovi modelli di governance quanto, piuttosto, nella costruzione di una teoria vettoriale del valore in grado di contemplare l’articolazione delle dotazioni valoriali degli attori in gioco. Tale metodologia non soltanto consente ai manager di individuare le competenze utili alla creazione di valore, di massimizzare l’interesse degli stakeholder, e di adottare una concezione di comportamento basata sul valore, ma consente anche ad operatori e manager di comprendere quali sono i fattori critici connessi alla creazione di valore nella propria organizzazione. Parole chiave: corporate governance, shareholder, stakeholder, creazione di valore This work combines the value creation and the behavioural approaches to the economic efficiency view, through which the corporate governance system should aim to optimise economic results, with a strong emphasis on stakeholders welfare which calls for more attention and accountability to players other than the shareholders (e.g.: employees, suppliers, customers, banks and other lenders, regulators, the environment and the community at large). After a description of corporate governance as including the relationships among the stakeholders and the goals for which the corporation is governed, it presents a framework of the set of processes, policies, laws and institutions affecting the way in which a firm is directed, administered or controlled. In conclusion, the intent of this study is not the proposal of new model of corporate governance, but a new research effort concerning a vectorial theory of value that focusing on the applications side can provide ∗ ** Ordinario di Economia e gestione delle imprese - Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e-mail: [email protected] Ordinario di Economia e gestione delle imprese - Università degli Studi di Salerno e-mail: [email protected] sinergie n. 73-74/07 150 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE support to study the dynamics of firm behaviour, designing a value metrics and identifying value drivers. This methodology not only enables managers to understand the expertise required to create economic value, maximize stakeholders wealth, and adopt a value-based philosophy, but also gives executives and managers an understanding of the value drivers critical to their organization, enabling them to link corporate strategies to their own performance and compensation. The authors hopes that this vectorial approach can improve a development of measurement tools and techniques of firms value creation performance. Key words: corporate governance, shareholder, stakeholder, value creation 1. L’importanza della corporate governance per l’economia d’impresa Nell’attuale scenario economico, in cui le pressioni che spingono gli attori economici a confrontarsi con le dinamiche dei mercati globali si intrecciano con la necessità, per le istituzioni, di garantire un corretto sviluppo dei contesti locali, il tema della corporate governance assume una valenza significativa. Sotto questo profilo, l’importanza della tematica in oggetto appare più ampia di quella, alquanto restrittiva, che in prima istanza potrebbe dedursi dalla definizione corrente di corporate governance, secondo la quale essa rappresenterebbe il mero complesso di norme giuridiche volto a disciplinare la distribuzione dei poteri e delle responsabilità di governo delle società quotate in borsa. Sulla base di consolidati presupposti teorici e pratici e tenendo in debita considerazione la differenza esistente fra modelli teorici - previsti o disegnati su carta - e quelli emergenti nella prassi quotidiana, frutto della reale dinamica delle interazioni tra i diversi attori sociali, risulta evidente come dai modelli effettivi di corporate governance dipendano, in ultima analisi, l’affidabilità e la credibilità dell’intero complesso istituzionale preposto ad assicurare l’efficacia e l’efficienza del moderno sistema di produzione capitalistico. Da ciò consegue che la adozione di efficaci modelli di corporate governance comporterebbe, tra le altre, la possibilità1: - 1 per un determinato “Sistema-Paese”, di attrarre investimenti esteri tali da incrementare il livello occupazionale, lo sviluppo tecnologico ed il benessere economico dell’intero territorio; per le imprese nazionali, di poter acquisire capitali all’estero e finanziare investimenti per lo sviluppo, nonché di partecipare a network internazionali che garantiscono l’accesso a più vaste opportunità e a risorse di varia natura; per la collettività dello stesso territorio, di poter fare affidamento su istituzioni capaci di promuovere il benessere e lo sviluppo economico sulla base di regole di equità e di garantire tutele adeguate a quei soggetti che, per evidenti motivi (quali, ad esempio, la presenza di asimmetrie informative e/o di squilibri nei rapporti di potere), si trovano in posizioni di relativa debolezza rispetto alle controparti negoziali; Sul concetto di efficacia di un modello di corporate governance ci si soffermerà più diffusamente in seguito. SERGIO BARILE - MAURO GATTI - 151 infine, per tutti gli attori economici, di poter assumere decisioni all’interno di un quadro istituzionale relativamente certo e stabile, al cui interno siano garantiti: il rispetto delle norme e della correttezza nelle relazioni economiche; eguali condizioni di accesso alle risorse; adeguati strumenti e meccanismi operativi allo scopo di prevenire situazioni di crisi che possano gravemente danneggiare interessi collettivi e soggettivi (o, almeno, a circoscriverne gli effetti negativi). Per gli studi di economia d’impresa, il tema della corporate governance riveste una posizione di centralità in quanto la sua comprensione si rivela imprescindibile per l’approfondimento di problematiche, quali: - - - la conformazione degli assetti proprietari e di governo dell’impresa, la ripartizione dei poteri e delle responsabilità di governo e di controllo fra i vari organi, la natura delle relazioni tra la proprietà e l’organo di governo ed i conseguenti riflessi sulla condotta e sulle performance d’impresa; le modalità con cui hanno luogo i processi decisionali che conducono alla formulazione degli indirizzi strategici e degli obiettivi d’impresa e come tali processi vengano influenzati dai diversi attori in grado di esercitare pressioni sull’organo di governo; le modalità di composizione dei vari interessi nell’ambito del processo di ripartizione della ricchezza generata dall’impresa; le forme della comunicazione, istituzionale e non, dell’impresa con i vari pubblici di riferimento; ecc. Più in particolare, facendo riferimento alla corrente di studi che pone al centro dell’attenzione le dinamiche di governo d’impresa, il tema della corporate governance impone una molteplicità di riflessioni, sotto il profilo della struttura e del comportamento dell’organo di governo2. Tra questi, si possono menzionare: - 2 il problema dell’identificazione dei soggetti in grado di esercitare realmente la governance dell’impresa; la natura e l’architettura del network di relazioni che l’organo di governo è in grado di realizzare con le entità, sistemiche e non, appartenenti all’ambiente e al contesto nei quali l’impresa opera; le relazioni di causa-effetto tra i profili strutturale e dinamico della corporate governance e le performance d’impresa; l’azione di governo in condizioni di elevata complessità ambientale; la dotazione di competenze e di conoscenze che devono possedere coloro che ricoprono responsabilità di governo e la qualità dei processi informativi necessari per consentire che tale ruolo e le correlate funzioni siano adeguatamente svolte; Cfr., tra gli altri, FAZZI R., Il governo d’impresa, Vol. I, Giuffrè, Milano, 1982; SARACENO P., Il governo delle aziende, Libreria Universitaria Editrice, Venezia, 1972; GOLINELLI G.M., L’approccio sistemico al governo dell’impresa - I L’impresa sistema vitale, 2° ed., Cedam, Padova, 2005. 152 - CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE lo stile direzionale e le capacità necessarie per armonizzare gli inevitabili conflitti fra portatori di interessi e renderli compatibili con le esigenze vitali del sistema impresa. 2. L’attuale dibattito sulla corporate governance Il tema della corporate governance è tornato negli ultimi anni al centro dell’attenzione delle discipline economiche, organizzative e manageriali oltre che di quelle giuridiche. Il rinnovato interesse per questa tematica è riconducibile a varie ragioni. Alcune di esse discendono dalle recenti grandi trasformazioni politiche ed economiche della società contemporanea. Altre invece, pur inquadrate nella cornice di queste trasformazioni, attengono piuttosto all’evoluzione della teoria e della prassi giuridico-amministrativa e fanno riferimento alle modalità e alle tecniche con cui la corporate governance viene effettivamente realizzata. Oltre a questi motivi, non va sottaciuto l’impatto emotivo suscitato dall’ondata di dissesti finanziari che, all’inizio del nuovo millennio, ha investito numerose imprese in tutto il mondo. La corporate governance è così divenuta il crocevia di un complesso dibattito in cui si intrecciano discussioni di carattere filosofico-idealistico - focalizzate sullo stato di salute del sistema capitalistico e dell’economia di mercato, sul ruolo dell’impresa e sulla natura dei rapporti che questa instaura con la società - e altre di ordine prettamente pratico, perlopiù mirate a delineare e a proporre interventi correttivi di talune distorsioni di quello che, in termini assai generici, può essere definito il “regolare” corso della dinamica economica. Il tema appassiona e divide spesso gli studiosi perché alle sue fondamenta vi è - e non può essere altrimenti - una determinata visione del rapporto tra impresa, istituzioni e società. In particolare, l’attuale dibattito si caratterizza per la presenza di posizioni diverse circa il ruolo che l’impresa è chiamata a svolgere all’interno della comunità di appartenenza. In una prima prospettiva di analisi si collocano quanti enfatizzano il ruolo determinante che l’impresa ha svolto - e svolge tuttora - per lo sviluppo e per il benessere sociale. In stretta connessione con questa visione, non si manca di sottolineare il ruolo d’impulso esercitato dalla proprietà dell’impresa, riconoscendo in essa l’attore determinante, nel cui prioritario interesse l’impresa deve operare. Altri invece, pur non disconoscendo i suddetti ruoli, si soffermano maggiormente su alcune significative distorsioni che producono rilevanti effetti negativi sulla società e sui cittadini, effetti che vengono messi in stretta correlazione sia con il crescente potere delle organizzazioni imprenditoriali sia con la concezione che vede l’assoluta preminenza degli interessi della proprietà, a scapito di quelli di altri soggetti3. 3 Significativo, in proposito, è il recente dibattito accademico che si è aperto nelle discipline manageriali e organizzative. Ad iniziarlo, sulla Academy of Management Review, è un articolo particolarmente critico sul modello della cosiddetta Economia dei SERGIO BARILE - MAURO GATTI 153 Da un’analisi delle summenzionate riflessioni critiche che sono alla base - come accennato - di questo lavoro, i punti salienti possono così sintetizzarsi4: 1) la crisi che ha avuto per protagoniste numerose imprese appartenenti ai Paesi economicamente più sviluppati nei primi anni del nuovo millennio, determinata spesso da comportamenti illeciti ed immorali di gran parte delle relative classi dirigenti, non ha prodotto effetti solo sul piano economico, ma ha anche condotto ad una progressiva delegittimazione del ruolo dell’impresa come istituzione ed un consistente deterioramento, presso la pubblica opinione, dell’immagine di professionalità e di integrità del management; 2) la responsabilità degli scandali societari e delle prassi che ne sono state causa deve essere attribuita, in misura non del tutto irrilevante, anche al mondo accademico e alle teorie che questo ha contribuito a diffondere, in specie attraverso l’insegnamento nelle business school; 3) le teorie dominanti sulla corporate governance, sviluppatesi nell’ultimo trentennio, sono state alla base delle suddette prassi, in quanto incorporanti un set di idee e di assunti ispirati a princìpi “neo-liberisti” caricati ideologicamente e volutamente moral-free, ossia svincolati da ben definiti contenuti morali. Il modo in cui queste teorie hanno influenzato la prassi manageriale, inoltre, è 4 Costi di Transazione (TCE) di GHOSHAL S., MORAN P., “Bad for Practice: A Critique of Transaction Cost Theory”, Academy of Management Review, vol. 21, N. 1, 1996, pagg. 13-38. Agli Autori risponde il principale esponente della TCE, WILLIAMSON O.E., “Economic Organization: The Case for Candor”, Academy of Management Review, 1996, vol. 21, N. 1, pagg. 48-57, cui segue l’ulteriore replica di GHOSHAL S., MORAN P., “Theories of Economic Organization: The Case fo Realism and Balance”, Academy of Management Review, vol. 21, N. 1, 1996, pagg. 58-72. Qualche anno dopo, il dibattito si sposta sulla rivista dell’Academy of Management Learning & Education. A rinnovarlo è ancora GHOSHAL S., “Bad Management Theories Are Destroying Good Management Practices”, Academy of Management Learning & Education, vol. 4, N. 1, 2005, pagg. 7591. In questo lavoro, Ghoshal attacca duramente le teorie manageriali ed organizzative dominanti e l’ideologia che le sostiene. A questo articolo succedono vari interventi di risposta, tra i quali vanno menzionati i seguenti: PFEFFER J., “Why Do Bad Management Theories Persist? A Comment on Ghoshal”, Academy of Management Learning & Education, vol. 4, N. 1, 2005, pagg. 96-100; MINTZBERG H., “How Inspiring. How Sad. Comment on Sumantra Ghoshal’s Paper”, Academy of Management Learning & Education, vol. 4, N. 1, 2005, pag. 108; DONALDSON L., “For Positive Management Theories While Retaining Science: Reply To Ghoshal”, Academy of Management Learning & Education, vol. 4, N. 1, 2005, pagg. 109-113; HAMBRICK D.C., “Just How Bad Are Our Theories? A Response To Ghoshal”, Academy of Management Learning & Education, vol. 4, N. 1, 2005, pagg. 104-107; MOSS KANTER R., “What Theories Do Audiences Want? Exploring the Demand Side”, Academy of Management Learning & Education, vol. 4, N. 1, 2005, pagg. 93-95. A Sumantra Ghoshal, di recente scomparso, va dunque il merito di aver innescato un serrato dibattito sull’importanza del rapporto tra teoria e prassi e, più in generale, sul ruolo pedagogico delle Business School. Cfr. GHOSHAL S., “Bad Management Theories Are Destroying Good Management Practices”, cit. 154 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE dipeso anche dai processi con cui esse tendono a fornire rappresentazioni semplificate della realtà, processi che hanno spesso privilegiato l’eleganza formale dei modelli sottostanti e si sono caratterizzati per una significativa intenzione prescrittiva. Tale influenza, da ultimo, è per taluni ascrivibile ad una acritica e talora inconsapevole recezione delle medesime teorie da parte degli operatori economici. La critica, in definitiva, si rivolge non solo all’apparato concettuale dominante (sintetizzato in alcune rilevanti impostazioni concettuali, quali la teoria dell’agenzia, la teoria dei costi di transazione, la teoria delle cinque forze competitive, la teoria del valore per l’azionista, ecc.), ma anche agli specifici strumenti e meccanismi i quali, derivando da quelle teorie, sono poi effettivamente messi in pratica, concorrendo a definire la prassi dominante nel quadro dell’attuale corporate governance. Tra i vari strumenti e meccanismi messi in discussione si possono segnalare, in via esemplificativa: - - - i piani e l’assegnazione di stock option all’alta direzione e al management aziendale, originariamente ideati per favorire l’allineamento degli interessi di quanti rivestono responsabilità di governo e di gestione dell’impresa con quelli della proprietà; l’inasprimento dei sistemi di controllo, tanto esterni quanto interni all’impresa, volti a delimitare il potenziale di opportunismo presente nelle intenzioni, nelle motivazioni e nei comportamenti degli attori economici, in specie di quelli che ricoprono posizioni di elevata responsabilità; nelle grandi corporation, l’incremento del numero di amministratori indipendenti e la separazione dei ruoli di chairman del board of executive e di chief executive officer, al fine di rendere più efficaci i controlli sul management; il mercato del controllo del capitale di rischio, i cui meccanismi dovrebbero indurre il management a massimizzare il valore di mercato delle azioni, ecc5. Infine, la critica si conclude con un invito a ripensare il tema (e, di riflesso, i modelli) della corporate governance per imprimere, su nuove basi concettuali, una significativa inversione di tendenza tanto alla teoria quanto alla prassi. Risulta quindi evidente che per poter contribuire al dibattito in corso occorre approfondire le dinamiche con cui un modello di corporate governance prende forma e viene recepito dagli attori economici. In questo senso, il lavoro focalizza l’attenzione sulla necessità di considerare attentamente i rapporti tra i comportamenti economici e lo specifico contesto in cui essi si svolgono (ad esempio, il contesto nazionale), il cui svolgimento determina la formazione di un particolare “campo di attrazione comportamentale” che è alla base della formazione 5 L’irrilevanza di tali strumenti e meccanismi, peraltro, è avvalorata da una serie di ricerche empiriche che mostrano il loro scarso impatto sulle performance d’impresa. V., in proposito, GHOSHAL S., “Bad Management Theories Are Destroying Good Management Practices”, cit., pagg. 80-81. SERGIO BARILE - MAURO GATTI 155 dell’effettivo modello di corporate governance. Ci si propone, inoltre, di approfondire il rapporto tra un determinato modello di corporate governance cui una certa impresa - più o meno consapevolmente - aderisce ed il processo di creazione di valore che da questa scelta consegue, proponendo una specifica modalità di analisi ed una diversa metrica di misurazione del valore. Per ciascuno di questi aspetti si offrirà una duplice chiave di lettura, finalizzata sia ad inquadrare l’argomento sulla base della letteratura consolidata, sia ad esporre una peculiare prospettiva di analisi della corporate governance e del concetto di creazione di valore. 3. L’evoluzione del concetto di corporate governance Il concetto di corporate governance mal si presta ad essere univocamente definito. In senso stretto, come in precedenza anticipato, la corporate governance rappresenta il complesso di disposizioni normative per mezzo delle quali si attribuiscono ai vari organi societari i poteri e le responsabilità di conduzione delle imprese e si definiscono i controlli sugli organi stessi. Così intesa, la corporate governance trova la propria fonte nel sistema normativo, primario e secondario (in particolare, nel diritto civile e societario, nonché nei regolamenti degli enti di vigilanza e controllo delle società e dei mercati, quali la Consob, la Banca d’Italia, l’Antitrust, ecc.). Sin dall’epoca del fondamentale studio di Berle e Means6, incentrato sulla separazione e sulla contrapposizione - nelle grandi imprese - tra proprietà e controllo, il disegno e l’articolazione del complesso normativo mirano a disciplinare la conformazione degli assetti societari e l’attribuzione di poteri e responsabilità ai vari organi societari; essi, tuttavia, necessitano - più a monte - dell’identificazione del soggetto in nome del quale l’attività d’impresa deve essere prioritariamente condotta o - in altri termini - del riconoscimento degli interessi cui deve essere attribuita una preminente importanza nella conduzione delle imprese in forma di società. In quest’ottica, da tempo si confrontano, in ambito giuridico, due diverse impostazioni7: quella che vede la preminenza degli interessi della proprietà, intesa come l’insieme dei titolari del capitale di rischio (definiti anche residual claimants), una prospettiva che viene in gergo denominata “contrattualistica”, e quella che vede la preminenza degli interessi della società/impresa, concepita come entità in sé, dotata di una propria individualità distinta da quella dei soggetti, visione quest’ultima denominata “istituzionalistica” e che affonda le sue radici, tra gli altri, 6 7 BERLE A.A.JR., MEANS G.C., The modern corporation and private property, New York, Macmillan, 1932 (trad. it. Società per azioni e proprietà privata, Einaudi, Torino, 1968). Si veda GALGANO F., Il nuovo diritto societario, in “Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia”, vol. XXIX, Cedam, Padova, 2003, pagg. 49-62. 156 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE negli scritti di Rathenau8. Appare importante, in proposito, osservare come la prevalenza dell’una o dell’altra visione sia tale da orientare tanto il processo di produzione di norme quanto, per effetto indotto, i comportamenti degli attori economici. A partire dal secondo dopoguerra, l’ampliamento del dibattito generato dall’antagonismo tra le due suddette concezioni al di là degli studi meramente giuridici, la progressiva presa di coscienza dei numerosi interessi che ruotano attorno all’impresa nonché la diffusione delle forme istituzionali democratiche anche a Paesi di più recente industrializzazione, hanno condotto - seppur con ritmo ed intensità diversi - consistenti modificazioni nella sensibilità collettiva; ciò, unitamente a più pressanti richieste provenienti da vari strati sociali, ha indotto i legislatori ad estendere la tutela degli interessi di categorie considerate deboli se confrontate con il crescente potere della grande impresa: dapprima i lavoratori dipendenti (per il tramite dei sindacati) ed i creditori; quindi i risparmiatori, gli azionisti di minoranza, i consumatori, ecc. sino a considerare le più generali istanze della collettività e dell’ambiente9. Tutto ciò ha contribuito a ripensare il concetto di corporate governance, ora concepita come il complesso di norme giuridiche preposte non solo a regolamentare i rapporti di potere tra proprietà e management, ma anche a delimitare in forme più stringenti l’ambito discrezionale di quanti assumono responsabilità di governo delle imprese e nelle modalità secondo le quali avviene l’attribuzione delle risorse aziendali fra i vari progetti di sviluppo, sia nella distribuzione della ricchezza prodotta, nell’ottica della soddisfazione delle molteplici aspettative di quanti hanno interesse alla gestione d’impresa10. Inoltre, la progressiva formazione di un mercato globale del capitale finanziario, l’espansione delle borse valori e la comparsa - anche nei Paesi di più recente industrializzazione - di operatori finanziari di rilevanti dimensioni, nonché il susseguirsi di dissesti societari, hanno fatto emergere il ruolo fondamentale della fiducia quale meccanismo fondante delle transazioni economiche e quale “bene” in sé degno di tutela. Hanno così trovato diffusione i primi codici di auto-disciplina in materia di corporate governance, istituiti da organismi qualificati, 8 9 10 RATHENAU W., “La realtà della società per azioni. Riflessioni suggerite dall’esperienza degli affari”, Rivista delle Società, Anno V, Fasc. 4-5, Luglio-Ottobre 1960, pagg. 912947 (Tit. orig. “Vom Aktienwesen-Eine geschäftliche Betrachtung”, [dello stesso Autore] Gesammelte Schriften, 5 voll., vol. V, Fischer Berlag, Berlin, 1918-1925). Esempi di simili processi normativi, nel nostro Paese, sono rappresentati dal susseguirsi di normative che testimonia il progressivo riconoscimento giuridico dei vari interessi menzionati: dallo statuto dei lavoratori, nei primi anni settanta, alla cosiddetta miniriforma delle società per azioni del 1974, che ha istituito obblighi di maggiore trasparenza per le imprese e controlli più pressanti sull’operato degli amministratori delle società quotate (istituzione della Consob, della revisione e certificazione dei bilanci, limitazioni agli incroci azionari, ecc.) a beneficio del pubblico dei risparmiatori, sino ad arrivare, ai giorni nostri, al recepimento della cosiddetta class action di ispirazione anglosassone, che consente l’avvio di azioni collettive e unificate promosse da piccoli azionisti e risparmiatori i cui interessi siano stati lesi da imprese emittenti titoli azionari o di debito. Ne sono esempio il codice Cadbury in Gran Bretagna ed il rapporto Vienot in Francia. SERGIO BARILE - MAURO GATTI 157 che si sono affiancati (ed hanno, in un certo senso, integrato) le norme giuridiche, ampliando l’ambito di regolamentazione ed il portato della corporate governance11. Quest’ultima deve essere allora intesa come l’insieme di norme giuridiche, di regole di autodisciplina, di strumenti e di meccanismi per mezzo dei quali si mira ad assicurare la tutela del bene primario “fiducia”, che gli operatori ripongono nelle diverse istituzioni (tra le quali le imprese) operanti nel sistema economico e finanziario. Ed è in proposito evidente come il tentativo di ripristinare la fiducia perduta, dopo gli scandali finanziari degli ultimi anni, abbia prodotto reazioni difformi e variegate nei vari Paesi e, all’interno del nostro Paese, fra categorie di attori diverse. Tra queste, oltre alle misure di inasprimento delle sanzioni e delle pene per coloro che - con il proprio comportamento - mettono a repentaglio la fiducia degli operatori, il richiamo al rispetto dei codici di autodisciplina, l’invocazione dell’etica e della responsabilità sociale, rimedi di ultima istanza di fronte all’inefficacia dei mezzi giuridici e all’intensificarsi dei conflitti di interesse, mostra tutta la sua inefficacia se non si provvede a modificare il substrato culturale da cui hanno origine i comportamenti degli attori economici12. La corporate governance diviene, a questo punto, oggetto di analisi in ottica multidisciplinare: l’economia politica, l’economia aziendale, la sociologia ed altre ancora. Il cuore del dibattito resta quello di come disegnare e rendere operanti nonché efficaci istituzioni, norme, regole e meccanismi, ossia in grado di realizzare un’equa composizione delle aspettative di tutti i soggetti interessati alla gestione e ai risultati dell’impresa e di prevenire crisi strutturali che possano mettere a repentaglio la legittimazione delle istituzioni su cui si fonda l’economia di mercato. Il baricentro della corporate governance si colloca in una posizione intermedia rispetto alla molteplicità di attori e di interessi che gravitano attorno all’impresa. Tuttavia, restano aperti alcuni quesiti di fondo: in nome di quale principio un’impresa deve essere governata e chi è legittimato a dettare tale principio? Quale ideologia è alla base di tali principi? Quali sono gli interessi che l’impresa deve prioritariamente soddisfare? Si può individuare ed affermare una finalità intrinseca della corporate governance? Le risposte a tali quesiti conseguono dalla comprensione di come è strutturato un modello di corporate governance e dal tipo di sistema che emerge da tale struttura. Un modello di corporate governance rappresenta il risultato di un processo evolutivo che dà forma al complesso di istituzioni preposte alla regolazione degli interessi che ruotano attorno all’impresa. Sotto questo profilo, il modello di corporate governance risente della specifica evoluzione sociale, economica e culturale di un determinato contesto, influenzando il comportamento degli attori economici che in esso si trovano ad operare (path dependence). 11 12 Si veda, in particolare, il Codice di Autodisciplina emanato da Borsa Italiana, il cui contenuto è approfonditamente commentato in DI TORO P., Governance, etica e controllo. Assetti societari, codici di autodisciplina e audit interno, Cedam, Padova, 2000. Si veda ROSSI G., Il Conflitto Epidemico, Adelphi, Milano, 2003. 158 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE Gli studi comparati in tema di corporate governance propongono una classificazione dei vari modelli in relazione a diversi elementi: 1) la tipologia di fonti, giuridiche e non, da cui discendono le norme, le regole e gli specifici meccanismi della corporate governance; 2) il complesso di istituzioni che presiedono al compito di rendere effettivamente operanti tali norme, regole e meccanismi; 3) gli interessi che devono essere salvaguardati nei rapporti di potere che si stabiliscono tra le grandi organizzazioni imprenditoriali e la collettività; 4) l’individuazione dello scopo che ci si propone di realizzare mediante interventi di corporate governance; 5) gli assunti di base ideologici che ispirano il disegno istituzionale; 6) le teorie che supportano tale ideologia; 7) la struttura istituzionale che rappresenta la dotazione di risorse pubbliche e private per mezzo della quale una determinata collettività intende regolare i rapporti di potere tra le grandi organizzazioni imprenditoriali e la collettività medesima; 8) il contesto culturale all’interno del quale tali relazioni si svolgono; 9) il disegno istituzionale o di rapporti, il che significa, anche, individuare le specifiche regole e i meccanismi da approntare per renderle operative. I suddetti elementi concorrono a definire la struttura e lo schema organizzativo della corporate governance, in altre parole, il modello. Quest’ultimo, dunque, definisce uno schema astratto di funzionamento e, pertanto, implica una capacità “potenziale” di orientamento dei comportamenti e di controllo sociale che non necessariamente coincide con i comportamenti effettivi degli operatori. In definitiva, l’aderenza formale ad un modello di corporate governance non comporta automaticamente il conseguimento dei risultati sperati al momento del suo concepimento. La struttura di corporate governance finisce - in sostanza - per essere uno schema contestualizzato di azione collettiva organizzata, volto ad incidere direttamente sulla capacità decisionale dell’organo di governo e sulle dinamiche di funzionamento dell’impresa. Più in particolare, le caratteristiche strutturali di un modello di corporate governance subiscono gli effetti della contestualizzazione in ragione di: a) contingenze culturali, ossia degli effetti che attengono alle differenze di mentalità degli attori - ad esempio intese come l’accettazione delle distanze sociali e di potere, la propensione al rischio, il significato attribuito al lavoro e gli standard etici prevalenti, il grado di identificazione con il gruppo di appartenenza - dando vita a contingenze correlate a differenze sistematiche nel grado di formalizzazione, accentramento e modalità di relazione e di controllo SERGIO BARILE - MAURO GATTI 159 sociale presenti ed efficaci nell’organizzazione del sistema sociale ed economico13; b) contingenze istituzionali, che riflettono l’influenza del contesto nel quale gli attori economici operano e più in particolare: l’influenza generata dai cosiddetti dispensatori di teorie e di modelli organizzativi (comunità scientifica, business school, imprese leader); i sistemi educativi e di formazione professionale; le norme fondamentali dei sistemi legali; la struttura politica; il livello di industrializzazione; il ruolo dello Stato nell’economia (Meyer e Rowan, 1977; Zucker, 1987)14. La teoria delle contingenze rende dunque evidente la dipendenza di ciascun modello di corporate governance dall’evoluzione sociale, storica, politicoistituzionale, economica e culturale (path dependency) di un determinato contesto: la considerazione di questi elementi e degli effetti che ne derivano contribuiscono alla formazione dei cosiddetti “campi di attrazione comportamentale” entro cui le istituzioni pubbliche e di regolazione dell’attività economica e le forme di organizzazione diretta di queste ultime si “contagiano” a vicenda, stabilendo quali siano i modi “legittimi” di organizzare ed agire. All’interno di questi campi - pensabili anche come stati-nazioni - si determina una sorta di isomorfismo strutturale e comportamentale, che permette una più approfondita analisi del rapporto tra il contesto di riferimento in cui sorgono i modelli di corporate governance ed i comportamenti imprenditoriali15. Quanto appena osservato avvalora la natura embeddedness dei modelli di corporate governance. Da quanto appena detto si evince che i modelli di corporate governance non sono altro che una costruzione sociale che riflette un corpus di idee, norme, regole e codici di comportamento. Essi non possono essere ricondotti ad oggettivi principi aprioristici validi universalmente, in quanto sono il frutto irripetibile della storia, degli individui che l’hanno vissuta, dei contesti nei quali si è svolta, e dei contesti nei quali deve produrre effetti. Si potrebbe dire, dunque, che tali modelli evidenziano i confini simbolici di azione degli attori economici - istituzioni comprese - dettati dai valori di riferimento di una data comunità. 13 14 15 Si veda, in particolare, HOFSTEDE G., Culture Consequences: International Differences in World-Related Values, Beverly Hills, CA, Sage, 1980. Inoltre, GRANDORI A., L’organizzazione delle attività economiche, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 53. Cfr. POWELL W., DI MAGGIO P.J., (Eds.), The New Institutionalism in Organizational Analysis, University of Chicago Press, Chicago, 1991; Cfr. GUATRI L., VICARI S., Sistemi d’impresa e capitalismi a confronto. Creazione di valore in diversi contesti, Egea, Milano, 1994. 160 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE 4. Corporate governance, dell’impresa impresa sistema-vitale e governo La pluralità di definizioni di corporate governance fornite in letteratura consente di configurare, in estrema sintesi, due diverse prospettive di analisi: una prima “ristretta” ed una seconda “allargata”16. A riguardo è opportuna una premessa concettuale: la mancanza di una definizione comune e condivisa del concetto di corporate governance è da ricondurre all’ampiezza che le diverse accezioni possibili riconoscono alle categorie di soggetti coinvolti, perché partecipano al governo d’impresa (attori del processo di governo) e, al contempo, alle categorie dei soggetti nei confronti dei quali viene ad essere esercitato il governo stesso (portatori di interessi specifici nei confronti dell’impresa). Dalle due accezioni di corporate governance, proposte in letteratura, ed alla luce di quanto fin qui esposto, è possibile osservare: a) la prima accezione, “ristretta”, considera soggetti coinvolti nel processo di governo solo coloro i quali sono responsabili della tutela degli interessi degli azionisti, ritenuti unici soggetti rilevanti e nei confronti dei quali deve muoversi il processo di creazione di valore (il riferimento è alle società quotate ed al governo promosso dai membri del consiglio di amministrazione). L’adozione di tale accezione fa sì che il concetto di corporate governance coincida con l’insieme di vincoli che, giuridicamente imposti, guidano il processo di governo delle dinamiche imprenditoriali nell’unica direzione degli interessi degli azionisti destinatari del valore creato;17 b) la seconda accezione, “allargata”, considera quali soggetti partecipi, perché direttamente influenti, al processo di governo dell’impresa non solo le strutture interne all’organizzazione responsabili dell’adozione di meccanismi di regolazione (è il caso del consiglio di amministrazione), ma anche quegli istituti esterni alla stessa, ovvero tutti “gli strategic stakeholder quali fornitori di rilevanti contributi nel processo aziendale di produzione economica e, senza i quali diminuirebbe la capacità dell’impresa di creare valore nel tempo”18. L’accettazione di tale accezione comporta una rivisitazione del concetto di corporate governance, qualificata come l’insieme di regole, istituzioni, consuetudini e organi formali che presiedono al contemperamento degli interessi dei differenti stakeholder dell’impresa e nei confronti dei quali dovrà orientarsi il valore creato. 16 17 18 Cfr. ZATTONI A., Il governo economico delle imprese, Egea, Milano, 2004. Rientrano in tale categoria tutti i modelli che si avvalgono della Teoria dell’Agenzia nella sua formulazione originaria. Cfr. ESPOSITO DE FALCO S. (a cura di), Evoluzioni e prospettive negli studi sulla governance tra economia d’impresa e diritto societario, ESI, Napoli, 2006, p. 79. SERGIO BARILE - MAURO GATTI 161 Le due interpretazioni fornite consentono di condurre a sintesi il dibattito, tuttora vivace, sulla qualificazione del concetto di corporate governance, seppur non esaurendo il complesso delle problematiche affrontabili. Le due accezioni presentate ripercorrono l’evoluzione del concetto di governance che, in ragione di un costante processo di democraticizzazione, ha portato nel tempo a qualificare il concetto di impresa relazionale, peraltro socialmente responsabile nei confronti dei pubblici di riferimento, i cui confini non sono in maniera univoca definibili. La qualificazione dell’impresa relazionale, sistema aperto, non può che richiedere la rilettura della governance, andando ad includervi tutti quei meccanismi, interni ed esterni, destinati ad orientare lo svolgimento dell’attività di impresa, nel rispetto di criteri di coinvolgimento e di partecipazione della pluralità di attori interessati al processo decisionale. Così, le nuove problematiche sollevate dalla volontà di specificazione dei confini di impresa promossa dalle recenti chiavi interpretative delle dinamiche organizzative - relazionale e sistemica - concorrono all’estensione dello stesso concetto di governance, teso alla tutela degli interessi complessivamente coinvolti, che necessariamente vede aggiungere al portato della visione normativa tradizionale (sistemi di regole codificate, in realtà veri e propri vincoli istituzionalmente imposti) una ulteriore categoria di regole non formalizzate emergenti dalle relazioni, diffuse e continuative, attivate tra l’impresa e tutti gli interlocutori alla prima legati, sulla base delle quali costruire il processo di creazione di valore. Le regole non normate cui si fa riferimento non sono imposte, ma, piuttosto, risultanti dalla concertazione tra l’organo di governo dell’impresa e tutti gli stakeholder (visione intersoggettiva del governo). La visione di governance che ne emerge, tende a qualificare la stessa come quel sistema di valori che, accolto e fatto proprio dall’organo di governo, conduce l’impresa verso la propria sopravvivenza. Naturalmente, è opportuno sottolineare che la qualificazione ora fornita di governance porta con sé la necessità per l’impresa, e per lo studioso, di sottolinearne la flessibilità. Ciò vuol dire che non saranno accettabili quei modelli di governance, peraltro diffusamente proposti dalla letteratura nazionale ed internazionale, universalmente validi perché risultanti dall’adozione di un approccio analiticonormativo; sarà, invece, auspicabile che l’organo di governo persegua una maggiore flessibilità di azione che risponda al costante monitoraggio degli interessi, di cui gli interlocutori dell’impresa si rendono portatori, sempre che siano ritenuti influenti sulla determinazione delle dinamiche imprenditoriali. In ragione di quanto fin qui osservato diviene utile cogliere il distinguo tra un insieme condiviso di comportamenti riconducibili ad indicazioni procedurali prefissate e l’effettiva prestazione derivante da tali indicazioni. In sostanza focalizzare l’attenzione ora sulla ricetta ed ora sulla pietanza, distinguendo quindi il modello di governance dal processo di governance. Dove con il primo si considera il complesso della struttura dell’organo di governo, l’insieme delle regole e dei meccanismi volti a garantire l’adeguata interazione tra impresa e contesto; con il secondo si fa riferimento all’effettiva interazione tra organo di governo, componenti del sistema e stakeholder esterni. Con riferimento all’approccio sistemico vitale il 162 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE processo di governance può essere descritto dalla sequenza di strutture specifiche estratte dalla relativa struttura ampliata (modello di governance) in ragione delle finalità alla base dell’interazione stessa. La finalità cui si fa riferimento attiene al concetto di creazione di valore e, quindi, all’individuazione del destinatario di quest’ultimo. La delimitazione del modello di governance (struttura ampliata) definisce indirettamente la direzione del processo di creazione di valore. A parità di condizioni, l’attribuzione al processo di governance di una direzione che tenga conto dell’effettivo ruolo e peso assunto dai diversi interlocutori dell’impresa pone le condizioni favorevoli alla creazione di valore. Di converso, aumenta il rischio per l’impresa di mancata creazione, ovvero di dispersione, di valore a seguito di una lettura miope del proprio contesto e/o per effetto di un elevato condizionamento esercitato da parte di sistemi terzi non inclusi nella struttura ampliata dell’impresa. La flessibilità preordinata, in quanto contemplata nella definizione della struttura ampliata, consente l’allineamento in corso del modello di governance rispetto alle dinamiche coinvolgenti l’organo di governo ed i suoi interlocutori, garantendo, al contempo, creazione di valore e non distruzione dello stesso. Non meno rilevante, infatti, è l’avvenuto riscontro da parte degli studiosi circa l’opportunità di muovere riflessioni che tengano conto della necessità per l’organo di governo dell’impresa di rivedere, in maniera continuativa nel tempo, le modalità attraverso le quali esercitare la propria attività, alla luce delle diverse configurazioni che le relazioni tra impresa e stakeholder possono assumere. Dalle considerazioni proposte appare sostenibile l’interdipendenza tra la definizione del modello di governance adottato dall’impresa e le potenzialità per la stessa di creare valore, contenendo il rischio di distruggerne. Infatti, se emerge con chiarezza che il dibattito in oggetto ha condotto ad un ampliamento dei confini del concetto di governance, con effetto diretto sulle dinamiche imprenditoriali, è altrettanto immediato sostenere che lo stesso processo di creazione di valore ha dovuto rivedere i propri principi ispiratori a seguito di tale rilettura. È, pertanto, opportuno interrogarsi sul processo che conduce alla creazione di valore ed alla sua misurazione. 5. Corporate governance e creazione di valore Il tema del rapporto tra corporate governance e creazione di valore è stato ampiamente trattato - attraverso studi teorici ed empirici - negli ultimi decenni da studiosi delle nostre discipline, da economisti e da giuristi. Molto si è scritto in proposito e tuttavia permane una sensazione di insoddisfazione circa la capacità di rappresentare il fenomeno e, a maggior ragione, di identificare delle “ricette”, delle indicazioni più o meno normative per il governo delle imprese. Infatti, il rapporto in oggetto non viene univocamente definito, se non a rischio di eccessive semplificazioni, anche all’interno delle medesime coordinate epistemologiche di riferimento - intenzionalismo / funzionalismo; individualismo (egoistico o meno) / olismo; razionalità soggettiva / sistemica; determinismo / volontarismo - delle teorie SERGIO BARILE - MAURO GATTI 163 poste a base delle modellizzazioni (Agency Theory, Stewardship Theory, teorie manageriali, sistemica, teoria dell’azione sociale), dei metodi di analisi adottati, delle finalità degli studi (normative o descrittive) e delle prospettive di osservazione e di azione proposte (Inside out / Outside in)19. La pluralità di definizioni fornite del concetto di valore ripropone la diversità di interpretazione del concetto di corporate governance. In realtà, l’ampliamento dei confini dei mercati, in cui le imprese operano (ed il riferimento non può essere unicamente ai mercati regolamentati), ha concorso alla rideterminazione dello scenario competitivo. L’effetto di tale ampliamento è consistito prevalentemente nella generazione di un clima di incertezza che ha investito tutti gli stakeholder interessati, in via diretta ed indiretta, alle scelte compiute dalle diverse realtà organizzative e, di riflesso, ai modelli di governo adottati dalle stesse. In tale prospettiva tanti sono stati gli interventi volti ad esaminare le regole di condotta idonee a creare valore per l’impresa e, quindi, per tutti i soggetti influenti sulla sopravvivenza della stessa. L’individuazione di tali regole ha scontato l’adozione di una chiave interpretativa, più o meno restrittiva, dei vari interrogativi, quali ad esempio: Cosa si intende con il termine valore? Chi sono i destinatari del valore, ovvero chi sono i soggetti che possono reclamare un diritto al valore? Quali sono le strade per generare valore?20 E, ancora, è sufficiente discutere di creazione di valore in un’ottica di breve periodo oppure è corretto parlarne soltanto in un’ottica di lungo periodo? Infine, se è possibile misurare il valore creato è possibile anche misurarne la distruzione? Il recupero delle due descritte impostazioni, “ristretta” ed “allargata”, di corporate governance, riconduce l’analisi in corso alla lettura del concetto di valore in due diverse accezioni. Il riferimento è nello specifico al passaggio dal concetto di shareholder value a quello di stakeholder value. I due concetti sono esplicitabili in ragione della diversa ampiezza della categoria di soggetti destinataria del valore creato. Infatti, con il primo si intende 19 20 Per una ricostruzione degli filoni di studio sulla corporate governance, tra i molti cfr. SUNDARAMURTHY C., LEWIS M., “Control and collaboration: Paradoxes of governance”, Academy of Management Review, vol. 28, n. 3, 2003; cfr. AIROLDI G., FORESTIERI G. (a cura di), Corporate Governance, Etas Libri, Milano, 1998; cfr. ESPOSITO DE FALCO S. (a cura di), Evoluzione e prospettive negli studi sulla governance tra economia d’impresa e diritto societario, op. cit. Se tra i diversi obiettivi dell’impresa ritroviamo la produzione da parte della stessa di valore economico e sociale nel tempo è perché già le teorie sulla sopravvivenza, come finalità ultima dell’impresa, avevano individuato tale contenuto; ciò che si intende sottolineare nel prosieguo è la non riducibilità a categorie meramente economicofinanziarie del valore: “una comunità non è una aggregazione anonima o utilitaristica (se così fosse non avrebbero tanto rilievo le dinamiche informali), mentre la durata nel tempo - se si guarda a fondo la parola sopravvivenza - evoca non già una soglia minima per poter restare in vita, bensì il desiderio di lasciare nella realtà e nella storia (luogo di opportunità-minacce) un segno del proprio passaggio”. Cfr. CASELLI C., Il paradigma del valore e la sua rottura: il caso del non profit, in “Impresa Progetto”, Rivista on line del DITEA, n. 1, 2004, p. 2. 164 CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE riferirsi al valore creato per gli azionisti; la dimensione utile alla misurazione del valore creato è quella economico-finanziaria. Con il secondo il riferimento è all’accezione di “valore allargato”, ampiamente esposta in letteratura, laddove il valore trova una esplicitazione multidimensionale (economica, competitiva, sociale). A tal proposito, è opportuno sottolineare che al dibattito avente ad oggetto la creazione di valore d’impresa ha fatto seguito l’elaborazione di modelli preposti alla misurazione dello stesso che nel tempo hanno evidenziato la incompletezza e la non esaustività. L’inefficacia funzionale che li ha caratterizzati si ritiene possa derivare dalla non coerenza degli stessi rispetto alla visione di impresa flessibile, propria dell’approccio sistemico vitale, adottata in questa sede. Se infatti un’impresa flessibile impiega un modello di governance garante del proprio adattamento ad un contesto i cui confini sono soggetti a continua ridefinizione, è altrettanto opportuno che il valore cui la stessa finalizza il proprio agire sia concretamente definito nella sua costante dinamicità, oltre che nella sua natura multidimensionale. Proprio per contemplare questi ultimi due aspetti è necessario abbandonare una misurazione scalare del valore e procedere ad una ridefinizione vettoriale che tenga conto dell’azione composita promossa dalle parti coinvolte nel processo di creazione dello stesso. Alla luce delle considerazioni ora promosse, emerge chiara la chiave interpretativa che si intende adottare. La concettualizzazione portante è da ricondurre alla contemporanea considerazione della dotazione di varietà informativa e valoriale delle componenti dell’impresa, cui è destinato l’insieme dei vincoli e delle regole contemplate nel modello di governance adottato dalla stessa, e quella degli attori esterni all’impresa, qualificabili come stakeholder di quest’ultima. Le componenti della struttura aziendale, infatti, hanno una propria varietà, una dotazione valoriale, che non necessariamente risulta consonante con l’insieme di norme (imposte dal Legislatore o dal Sovrasistema finanziario) e regole (ad es. codici di autodisciplina) che qualificano il modello di governance vigente nell’impresa osservata21. Il livello di performance dell’interazione intra-sistemica ed inter-sistemica è dipendente dalla consonanza rilevabile tra la dotazione valoriale riconducibile al modello di governance e la dotazione valoriale dei destinatari della stessa: board, top management, comitati di controllo, SBU dell’impresa, unità organizzative funzionali, stakeholder esterni, ecc. Lo scostamento tra le dotazioni in oggetto, ovvero la dissonanza tra le stesse, produce una distorsione dei risultati ottenuti dall’esercizio dell’attività d’impresa rispetto ai risultati inizialmente configurati in fase di progettazione ed attesi da sovrasistemi rilevanti. 21 Circa il concetto di consonanza, cfr. GOLINELLI G.M., L’approccio sistemico al governo dell’impresa, I L?impresa sistema vitale, Cedam, Padova, 2000; cfr. GOLINELLI G.M., L’approccio sistemico al governo dell’impresa, III Valorizzazione delle capacità, rapporti intersistemici e rischio nell’azione di governo, Cedam, Padova, 2002; GOLINELLI G.M., L’approccio sistemico al governo dell’impresa, I L’impresa sistema vitale, 2° ed., cfr. BARILE S., “Introduzione alla dinamica di varietà di un sistema vitale”, in BARILE S. (a cura di), L’impresa come sistema. Contributi sull’Approccio Sistemico Vitale (ASV), Giappichelli, Torino, 2006. SERGIO BARILE - MAURO GATTI 165 Il risultato, la performance, la distorsione della stessa, piuttosto che i costrutti di consonanza e dissonanza, aiutano a leggere il concetto di valore che si intende trasferire in tale contesto adottando la chiave interpretativa sistemico-vitale. È opportuno sottolineare che lo sforzo che la ricerca in oggetto si intende portare avanti consiste, paradossalmente, non nella proposizione di nuovi modelli di governance quanto, piuttosto, nella costruzione di una teoria vettoriale del valore in grado di contemplare l’articolazione delle dotazioni valoriali degli attori in gioco. Pertanto, nulla di nuovo in termini di indicazione di un ambito di ricerca. Basti pensare alle note concettualizzazioni sul valore allargato ed alla conseguente esigenza di inserire nei modelli esplicativi delle valutazioni imprenditoriali le dimensioni competitiva e sociale22. Ciò che si vuole evidenziare è come procedere nella formulazione di una teoria vettoriale del valore e quali ne siano le implicazioni in termini di pura capacità descrittiva dei fenomeni d’impresa23. La dotazione valoriale della componente interna e/o esterna all’impresa è riassumibile attraverso un vettore ad “n” dimensioni espressivo della varietà posseduta dalla componente stessa. La qualificazione della varietà in ottica ASV avviene ricorrendo ad una sintesi esemplificativa fondata sulle seguenti dimensioni: a) unità informative, rappresentate dalla dotazione informativa di base della componente; b) schemi, ossia dotazione di schemi di sintesi delle unità informative di base possedute dalla componente, risultanti dalla composizione di sottoinsiemi di unità elementari di informazione; c) categorie, vale a dire capacità, in termini di conoscenza posseduta, di collegare unità elementari di informazione tra loro o con schemi di sintesi24. La formalizzazione di quanto sopra sostenuto circa l’esistenza o meno di consonanza tra dotazioni valoriali di componenti interne ed esterne all’impresa e tra queste ultime e la dotazione valoriale del modello di governance può essere la seguente: dato v1 e v2, espressioni vettoriali della varietà di due componenti, in ragione delle quantità di informazioni u1 e u2 (con u1<u2), possedute dalle stesse due in un determinato contesto, si definisce consonanza C tra le varietà delle due componenti il: v1 − v 2 ≡C u1→u 2 u1 − u 2 lim 22 23 24 Tra le diverse analisi sul concetto di valore allargato, tra i molti cfr. SCIARELLI S., “La produzione del valore allargato quale obiettivo dell’etica nell’impresa”, Finanza Marketing e produzione, vol. 40, n. 4, 2002. Per grandezza vettoriale si intende una grandezza scalare connotata da una direzione e da un verso. Cfr. BARILE S., “Introduzione alla dinamica di varietà di un sistema vitale”, op. cit. CORPORATE GOVERNANCE E CREAZIONE DI VALORE 166 e, quindi: ∂v =C ∂u Dd,i Vi Vd Dd,i Vd Vi Fig. 1: Esempio di riduzione di consonanza Fonte: BARILE S., (a cura di), L’impresa come sistema. Contributi sull’Approccio Sistemico Vitale (ASV), Giappichelli, Torino, 2006. La consonanza esistente tra due diverse varietà v1 e v2, definisce, in termini di unità informative impiegate, la maggiore o minore capacità di sovrapposizione tra le due diverse varietà. Dal punto di vista geometrico la consonanza deve intendersi come avvicinamento dei due punti v1 e v2 che esprime le varietà possedute dalle componenti o sistemi vitali in ragione di unità informative aggiunte. In concreto possiamo affermare che se due componenti o sistemi vitali, nella loro dinamica esistenziale, ampliando la propria conoscenza (acquisendo unità informative), registrano posizioni di varietà sempre più contigue, essi sono da definirsi consonanti. La figura 1 rappresenta una riduzione di consonanza da ricondurre ad un allentamento tra le dotazioni valoriale delle componenti interagenti in seguito, ad esempio, all’introduzione di un nuovo modello di governance dell’impresa. In una simile fattispecie fa intendere che il sistema non rispondendo alle esigenze di cui sono portatrici le componenti stia distruggendo valore. Viceversa, nell’ipotesi in cui dovesse verificarsi un avvicinamento tra le dotazioni valoriali delle componenti in oggetto, si rileverebbe un incremento del valore prodotto dall’impresa per le stesse. Ipotizzando, per semplicità, una rappresentazione bidimensionale della dotazione valoriale è possibile comprendere con maggiore chiarezza l’impatto della consonanza sull’entità di valore creato per i soggetti interagenti (fig. 2). Pertanto, identificato con il vettore v1 la dotazione della prima componente e con v2 la dotazione della seconda e considerato che entrambi abbiano lo stesso verso, quanto maggiore risulterà essere la distanza tra questi ultimi - ossia quanto minore risulterà la consonanza (Cb rispetto a Ca) - tanto inferiore sarà il valore creato nella interazione tra gli stessi (caso sub a). SERGIO BARILE - MAURO GATTI 167 a) v1 Ca v2 v1 b) Cb v2 Fig. 2: Esempio di riduzione di consonanza Fonte: Ns. elaborazione Il nodo da sciogliere diviene, pertanto, la qualificazione delle categorie e degli schemi caratterizzanti gli attori in gioco. Conseguita una descrizione delle stesse, infatti, diviene possibile valutare ex post la consonanza tra lo specifico modello di governance adottato dall’impresa e l’insieme degli stakeholder interni ed esterni alla stessa impresa.Da quanto sinora esposto deriva che l’azione di governo del sistema impresa dovrà esercitarsi sì nel rispetto del modello di governance adottato e descritto, ma dovrà necessariamente consistere nel continuo allineamento tra valore vettoriale dello stesso e valore vettoriale della struttura specifica qualificante l’impresa in quel dato momento storico. La misurazione dello scostamento tra i due valori vettoriali concorre, in conclusione, al tentativo di accrescere il valore creato per l’impresa. Bibliografia AIROLDI G., FORESTIERI G. (a cura di), Corporate Governance, Etas Libri, Milano, 1998 BARILE S., “Introduzione alla dinamica di varietà di un sistema vitale”, in BARILE S. (a cura di), L’impresa come sistema. 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