l`usignolo della chiesa attolica
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l`usignolo della chiesa attolica
L’USIGNOLO DELLA CHIESA ATTOLICA Lingua Fanciulletto perverso con le gemme dell’Europa terse nel mio sesso, morto di timidezza feci ingresso nel museo vigilato dagli Adulti. Amai la statua più nuda d’amore: dov’ero carne essa era avorio. Come farle indossare i maliziosi calzoni che fasciavano l’ingenuo mio fianco? E ancora io m’estenuo, eterno fanciulletto, ad abbracciare con uno sguardo il marmo che m’abbaglia. Diedi i miei ardori fidi e informi a quella Forma preesistente, accesa del mio amore, e crudelmente illesa. Io amavo troppo! Era fanciullesca, senza ironia, la mia dolce speranza: non concessi la minima vacanza ai miei sogni, né il minimo sorriso: ma erano le Origini. E i miei baci non corrisposti erano capaci di distrarmi da una morte certa. E la via della morte mi fu aperta. Tu, orribile statua, sei la morte nel mio passato, io non voglio più volerti, voglio il mio silenzio nudo, il silenzio del fanciullo che un’Europa senza statue accendeva con l’aurora, del fanciullo che in dialetto vola sul suo vergine cuore senza mondo. Rinnego tutto quanto ho confessato per commuoverti, rinnego il mio peccato e il mio rimorso: sarò avorio anch’io, avorio di un fanciullo ignoto a Dio. Ripercorro a ritroso il mio cammino: privo di te com’è dolce il paesaggio padano, senza ombre di miraggi! Il Livenza scatena le sue rose verdi, l’Idria specchia inodorose viole, il cielo senza azzurro guarda le rogge casarsesi senza infanzia. E tintinnano i coltelli nei pranzi di Capodanno in un nitore lieto. Geme senza echi il maggiolino ai sensi del nascosto fanciullino. 1 Senza la tua minaccia d’alabastro rivivrò gli slanci per mia madre, le soggezioni pel mio grembo, ladro di tenerezze e gentili vergogne... Riproverò stupori senza ombra per l’orologio, il topo, la fionda, i compagni, la chiesa, la piazzetta. Sarò il Narciso fiore che si specchia amante senza amore, con l’orecchia distratta dalle voci che l’amore senza parole inventa per il fiore. Ma tu, o endecasillabo di avorio, o madrigale di viola, o statua di poetiche, tra gli smalti e l’acqua dell’Arcadia, eternamente adulta, ami solo la gioia... e la purezza. Non vuoi peccati, o pianti, di fanciulli! E dunque? Può l’angelo pregare nel Partenone? o il martire tornare giglio? L’amore infine è aridità. Ma sì, sarò reo d’averti amata, o Autorità, io, l’Unico, il Segnato. No, non ho madre, non ho sesso, ho ucciso il padre col silenzio, amo la mia pazzia di acqua e assenzio, amo il mio giallo viso di ragazzo, le innocenze che fingo e l’isterismo che celo nell’eresia o lo scisma del mio gergo, amo la mia colpa che quando entrai nel museo degli adulti era la piega dei calzoni, gli urti del cuore timido: e tu rifiuti ciò per cui ti amo, non mi muti. 2