Caso clinico P. è una ragazza di 26 anni, studentessa presso la faco

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Caso clinico P. è una ragazza di 26 anni, studentessa presso la faco
Caso clinico P. è una ragazza di 26 anni, studentessa presso la facoltà di matematica. Dal punto di vista fisico appare trascurata e sciatta. Giunge presso il CSM del territorio di riferimento, inviata dal suo medico curante che, accorgendosi del suo umore, le ha consigliato di rivolgersi alla psicologa del servizio. P. si sente molto depressa e non riesce ad accettare il suo umore "cupo" (come ella lo definisce); umore che finisce sempre per rovinarle le giornate, togliendole ogni entusiasmo per le cose che fa. Un tempo era una persona brillante e solare, ma in realtà sente che a causa della sua depressione non riesce mai a dare il meglio di sè. Ha paura delle conseguenze della sua depressione. Negli studi, negli ultimi tempi, sta collezionando una serie di insuccessi che come un "serpente che si morde la coda " la fanno diventare "sempre più depressa e quindi meno concentrata e quindi sempre più triste etc. etc. etc etc.". P. appare fortemente in sovrappeso e dichiara quasi subito alla psicologa di avere un problema con il cibo. Ogni giorno si sforza di mangiare bene e pensa ossessivamente che deve mangiare bene. Prepara delle liste di cibo sano da comprare e scarica delle ricette macrobiotiche da preparare. Compra dei prodotti biologici in piccole quantità per non avere molto cibo in casa, ma a fine serata, si innervosisce molto per questa insana scelta di controllarsi e si lascia andare a grandissime abbuffate di cibo spazzatura che comunque continua a comprare quasi in preda a dei raptus da shopping compulsivo. Dichiara: "Sono molto grassa, lo so e non mi importa. O meglio fosse per me starei anche bene così. Non è l'estetica quello che mi preoccupa. Io ho un compagno, ma secondo lei, è possibile che lui sia innamorato di una grassa obesa come me? Io sento che ho bisogno di una persona accanto, ma sicuramente lui non mi ama perchè sono grassa e brutta. Mi guardo allo specchio io, sà! So che l'unico modo per stare bene è che io dimagrisca. Ho deciso di cominciare una dieta. Ma non ce la sto facendo proprio. Ho bisogno di capire perchè non riesco a controllarmi con il cibo. Vorrei smettere di abbuffarmi per essere una persona normale". La terapeuta le chiede se è la prima volta che ha deciso di intraprendere una dieta. P. appare quasi innervosita dalla domanda e dichiara che ovviamente non è assolutamente così. "Starei così se fosse la prima volta. Be almeno prima ci proverei, non crede? Mica verrei qui senza sapere e aver provato che è una cosa impossibile. Non capisco come abbia potuto pensare che io non ci abbia già provato. Pensa che io sia una sprovveduta?" La terapeuta allora dice: "Mi sta dicendo che non è la prima volta e che per lei è difficile fare una dieta e che avrebbe bisogno di essere aiutata in questo percorso? P. allora risponde che nella sua vita è sempre stata grassa. Da bambina la sfottevano tutti per il suo peso e la sua mole. Ha cominciato la prima dieta da adolescente, intorno ai quattordici anni. La madre l'aveva portata da una dietologa proprio perchè altrimenti con i cambiamenti del corpo dell'adolescenza si sarebbe trovata male e magari non sarebbe più dimagrita. Con l'inizio della dieta, P. era dimagrita un pò, ma subito dopo, dopo circa sei mesi, aveva ripreso i chili persi, più altri dieci. "E da allora è cominciata tutta una corsa a diete per perdere e riprendere chili. Sono stufa e stanca di questo rapporto così malato con il cibo. Sono consapevole che ogni dieta, anzicchè farmi perdere peso, nel lungo tempo mi fa ingrassare ancora di più". Su domande specifiche della terapeuta che riprendono alcuni temi solo accennati, P. dichiara che dal punto di vista delle relazioni prova sempre un senso di minaccia e una tristezza come se fosse sempre sul punto di perdere le persone che ama. Ha un compagno che la sostiene molto, ma lei non sente di amarlo allo stesso modo. In realtà la questione è più complessa. P. dichiara: "Io lo amo, ma siccome ci sono giorni in cui non provo entusiasmo ho paura di non amarlo abbastanza perchè non credo che lui mi ami e sento che prima o poi lui mi lascerà. E' inutile soffrire per questo, perchè chi è colpa del suo mal pianga se stesso. Lo so che me lo merito che è colpa mia, perchè se mi comporto male è ovvio che poi le persone si stancano e mi abbandonano. Hanno tutto il diritto di farlo, perchè me lo merito. Sono grassa e me lo merito." A proposito della famiglia dice: "Anche loro stanno soffrendo molto a causa mia. Il mio malessere li sta distruggendo. Mia madre non sa più che fare per la mia depressione. Mi è molto vicina, ma che ci posso fare se sto male? Sto distruggendo non solo la mia vita, ma quella della mia famiglia e di tutte le persone che mi stanno vicino. Penso che sia una maledizione amarmi. Chi mi ama sta male. Sono io la causa di tutto, lo so. Penso di avere una malattia. Sono depressa e sto male ed è colpa mia il fatto che gli altri stanno male. Faccio di tutto per cercare di reagire. Mi sto impegnando nello studio. Prego molto. Cerco sempre di pensare alle cose. Penso tantissimo. Mi sforzo di pensare. E alla volte mi scoppia la testa per quanto penso. Ma penso male. E' tutta colpa mia se la mia famiglia sta soffrendo e il mio ragazzo sta perdendo la paziente. Ho paura di rimanere sola. Ma se e quando succederà non potrò farci niente. Me lo merito. La vita è uno schifo, io sono uno schifo, il mio corpo mi fa schifo e nonostante io pensi, faccia cose, preghi, le colpe rimangono, gli altri ti abbandonano ed è inutile sforzarsi, perchè il futuro non può essere nient'altro che depressione. Ma me lo merito. Sono grassa e me lo merito. Sono gli altri che non si meritano tutto questo" (piange a dirotto). Una volta calmata, la terapeuta le chiede di parlare del suo rapporto con il fidanzato. P. sta con F. da 7 anni da quando aveva 19 anni. Si sono conosciuti all'università. Lui si è ritirato dopo aver trovato un lavoro come ragioniere contabile in una piccola azienda e da allora non ha più dimostrato l'intenzione di proseguire gli studi. P. non condivide assolutamente questa scelta, perchè per lei la laurea è importante e vorrebbe costruire un futuro ed una famiglia con delle garanzie che solo l'affermazione professionale dopo la laurea può dare. In questo modo lei sente la responsabilità di portare avanti una famiglia, l'economia della casa, "perchè uno che non ha una laurea e un lavoro è sempre esposto al rischio di essere mandato via, se poi magari arriva in azienda uno laureato. " Dichiara che prima era molto arrabbiata per questo ma che ora si è rassegnata. "Ognuno deve fare quello che vuole. Io non approvo e non ho mai approvato, ma è la sua vita e poi sarà lui a pentirsi. Solo che poi magari quando avremo una famiglia pagherò anche io la colpa di non avergli impedito di abbandonare gli studi. Sono molto arrabbiata... non è vero che sono rassegnata. Sono arrabbiatissima." La terapeuta le chiede di approfondire il tema della rabbia. P. allora dichiara che in questo periodo è molto arrabbiata con il ragazzo. Nel senso che le si è riattivata la rabbia per il fatto che non vuole costruire un futuro con un uomo non realizzato professionalmente e dal punto di vista degli studi. Non riesce a perdonargli il fatto di non averla ascoltata quando le ha insistentemente detto di non lasciare l'università. "Se non mi ha ascoltata vuol dire che non mi ama". Aggiunge inoltre che sta fortemente pensando di lasciare il suo ragazzo. Anzi dichiara che ha proprio deciso di lasciarlo e che sta pensando a come comunicargli questa decisione. Non si fida del suo "finto amore." La terapeuta le chiede di anche di parlare della sua famiglia. La madre di P. è la responsabile di una cooperativa di servizi alla persona. Una donna molto interessata al sociale, soddisfatta del suo lavoro e molto premurosa con tutti e con lei soprattutto. Il padre, è morto quando lei aveva quattordici anni per un infarto. I genitori si erano separati, qualche anno dopo la sua nascita. Non andavano proprio d'accordo. Avevano due caratteri molto diversi. La madre si era quasi subito fidanzata con un altro uomo e sembrava/sembra felice. P. dichiara a questo proposito che da bambina era continuamente sballottata tra un week-­‐end al mese con papà e tutto il resto del tempo con la mamma e il suo compagno. Dichiara che le piaceva fare la valigetta quando andava da papà, ma poi si sentiva in colpa che lasciava la mamma, che di solito la salutava sulla porta di casa con gli occhi pieni di lacrime e lei si sentiva così in colpa che faceva finta di piangere per non farla dispiacere per il fatto che invece lei era felice di andare da papà. Poi però era papà a dispiacersi e quando arrivavano a casa si chiudeva in bagno e piangeva tanto, ma piano per non farsi sentire dal padre, perchè altrimenti poi papà stava ancora peggio. Si sentiva sempre in colpa, una colpa terribile. La terapeuta le restituisce che il senso di colpa sembra essere un tema ricorrente della sua vita e la paziente appare quasi sorpresa di questa affermazione, ma annuisce senza commentare. Chiede però alla terapeuta di interrompere la seduta perchè si sente troppo giù e prendono un appuntamento per la settimana successiva. Individuare: -­‐
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Segni Evento critico e fallimento collusivo lettura/interpretazione del caso Meccanismi di difesa Elementi riconducibili ai costrutti di base del modello sistemico-­‐diadico