Seminario III - Le obbligazioni - Dipartimento di Giurisprudenza

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Seminario III - Le obbligazioni - Dipartimento di Giurisprudenza
ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I
(corso E-N, Prof. Carlo Granelli)
SEMINARIO III – 28 marzo 2013
Aula V Ore 14.00-16.00
(Dott. Emanuele Tuccari)
- Le obbligazioni pecuniarie. Le obbligazioni solidali. Le obbligazioni naturali.–
MATERIALI
1. Principio nominalistico (Trib. Bologna Sez. II, 08-03-2011) …………………………p. 2;
2. Interessi usurari (Trib. Benevento, 05-05-2009) …………………………….………...p. 5;
3. La solidarietà attiva e passiva (Cass. n. 11366/2006) (solo massima)............................p. 8;
4. Obbligazioni solidali e transazione (Cass., sez. III, 05-07-2001, n. 9071).....................p. 9;
5. Obbligazioni solidali e remissione del debito (Cass., 14.7.2006, n. 16125)………….p. 13;
6. Obbligazioni naturali/convivenza more uxorio (Cass., sez. II, 13-03-2003, n. 3713) p. 18.
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OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
La disciplina delle obbligazioni pecuniarie è contenuta principalmente nel libro IV (“Delle
Obbligazioni”) del Codice Civile: artt. 1277 e ss.
Capo VII - Di alcune specie di obbligazioni; Sezione I - Delle obbligazioni pecuniarie:
Art. 1277.
Debito di somma di danaro.
I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento
e per il suo valore nominale.
Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del
pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.
Art. 1282.
Interessi nelle obbligazioni pecuniarie.
I crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la
legge o il titolo stabiliscano diversamente. […]
Art. 1224.
Danni nelle obbligazioni pecuniarie.
Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora
gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di
aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella
legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.
Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento.
Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.
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PRINCIPIO NOMINALISTICO
Trib. Bologna, Sez. II, 08-03-2011
Deduce Fe.Ma., Avvocato in omissis, di avere reso prestazioni professionali a favore della M.Co.
S.r.l. nell'esecuzione immobiliare iscritta al n. 40/91 R.G. promossa contro la Na. S.r.l., legalmente
rappresentata da Na.Se., e di aver preso parte all'accordo che ha portato la società M. a rinunciare
all'esecuzione mediante il versamento dell'importo di Lire 20.000.000= cui si accompagnava
l'impegno, a titolo personale, del Na. di rifondere competenze e spese legali nell'importo di Lire
21.000.000=; sennonché, gli assegni consegnati in pagamento sono andati insoluti, tanto da rendere
necessario il ricorso alla presente azione per sentire pronunciata la condanna del Na. al pagamento
dell'importo non onorato, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Il giudizio, che si è svolto nella contumacia del convenuto giusta dichiarazione del precedente
istruttore all'esito dell'udienza celebrata il 27.01.2005, ha dato conto della fondatezza della domanda
attorea, avendo l'Avv. Fe. provato, sia tramite produzioni documentali, sia tramite assunzioni
testimoniali, che la consegna dei due assegni da parte del Na. (dell'importo di Lire 10.500.000=
cadauno; docc. nn. 3-4) è avvenuta a titolo di pagamento del compenso spettante al legale che
assisteva la controparte in sede esecutiva e che, una volta intervenuta la rinuncia all'esecuzione, non
sono stati onorati.
La valenza propria dei titoli quale promessa di pagamento, le risultanze processuali in ordine ai
tempi ed alla causa della consegna ed, inoltre, il contegno processuale del convenuto che non si è
presentato a rendere l'interrogatorio formale, nonostante rituale notificazione dell'ordinanza
ammissiva, consentono di ritenere fondato il credito azionato; ne segue che Na.Se. viene
condannato al pagamento in favore dell'Avv. Fe. della somma di Euro 10.847,00= (vecchie Lire
21.000.000=), oltre interessi al tasso legale dal 11.01.2001 al saldo effettivo.
Non può invece riconoscersi il di più domandato a titolo di rivalutazione monetaria, trattandosi di
debito di valuta e non essendo stato provato il maggior danno patito; il compenso dovuto al
professionista, infatti, costituisce un debito soggetto al principio nominalistico la cui rivalutazione
non può essere automaticamente riconosciuta, dovendo essere adeguatamente dimostrato il
pregiudizio patrimoniale risentito a causa del ritardato pagamento (cfr, Cass. n. 2823/2002).
Le spese di causa, nel necessitato ricorso all'azione giudiziaria, seguono la soccombenza e vengono
poste a carico di parte contumace nell'importo liquidato nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita,
così dispone:
1) in accoglimento della domanda, dichiara tenuto per il titolo dedotto in causa e, per l'effetto,
condanna Na.Se. al pagamento in favore dell'Avv. Fe.Ma. della somma di Euro 10.847,00= oltre
interessi al tasso legale dall'11.01.2001 al saldo;
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2) condanna altresì Na.Se. alla rifusione in favore di parte attrice delle spese di giudizio che liquida
in complessivi Euro 2.640,71= oltre rimborso forfetario, C.P.A. ed I.V.A. come per legge, di cui
Euro 194,71= per spese, Euro 836,00= per diritti e Euro 1.610,00= per onorario.
Così deciso in Bologna, il 3 marzo 2011.
Depositata in Cancelleria il 8 marzo 2011.
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INTERESSI USURARI
Art. 1815.
Interessi
Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la
determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'art. 1284.
Se sono convenuti interessi usurari , la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. (NOTA*)
----(NOTA*) Il presente comma è stato così sostituito dall' art. 4 L. 07.03.1996, n. 108 (Disposizioni
contro l'usura) in vigore dal 24.03.1996. Si riporta di seguito il testo previgente: "Se sono
convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale."
Trib. Benevento, 05-05-2009
FATTO - Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 14/5/2007, ritualmente notificato, Russo Roberto, premesso di avere
sottoscritto, in data 25/7/1997 con atto per Notar Ia. (rep. 17914/2483) con la Ba.Po. S.p.A. - Filiale
di Benevento, un contratto di mutuo per l'importo di Lire 100.000.000 (con iscrizione ipotecaria su
un immobile sito in Benevento alla via (omissis)) al tasso fisso dell'8,25% da restituirsi in 120 rate
mensili dell'importo di Lire 1.226.526 a decorrere dal 25/8/97, di cui aveva già provveduto al
pagamento di n. 117 rate per un importo di Lire 143.503.542, esponeva che in alcuni periodi il detto
tasso fisso era stato superiore al tasso effettivo globale determinato dalla legge 108/96 di talché, per
gli stessi periodi, ai sensi dell'art. 4 legge 108/96 non erano dovuti interessi perché quelli convenuti
si rivelavano usurari. Tanto premesso l'attore conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di
Benevento, la Ba.Po. S.p.A. perché, accertata la usurarietà dei tassi applicati, fosse condannata al
pagamento della somma di Euro 8.947,07 (pari a Lire 17.323.954) a titolo di restituzione di interessi
corrisposti e non dovuti, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ovvero di quella diversa somma
da accertarsi in corso di causa; il tutto con il favore delle spese di giudizio con attribuzione.
Instaurato il contraddittorio si costituiva la convenuta eccependo la prescrizione e chiedendo il
rigetto della domanda, vinte le spese di lite.
Concessi i termini ex art. 183 VI e c.p.c., in assenza di attività istruttoria le parti venivano invitate a
precisare le conclusioni e la causa era riservata in decisione all'udienza del 22/1/2009 con
assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di
replica.
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DIRITTO - Motivi della decisione
Preliminarmente, in ossequio al principio processuale secondo cui il thema decidendum è quello
delineato nei rispettivi atti introduttivi del giudizio e che con la prima memoria ex art. 183 VI e
c.p.c. non è possibile introdurre domande nuove, deve precisarsi che non può essere presa in
considerazione la richiesta, avanzata da parte attrice, di riduzione all'8% del tasso ex art. 1 c. 2
legge 24/2001.
Trattasi, infatti, di una istanza fondata su una causa petendi diversa da quella prospettata con l'atto
di citazione, in relazione alla quale non è stato accettato il contraddittorio.
Ciò premesso, venendo al merito della questione, in punto di fatto giova ribadire che il mutuo è
stato contratto in data 25/7/1997 al tasso fisso dell'8,25% e che, nel corso del rapporto, tale tasso
che al momento della pattuizione era inferiore al c.d. tasso soglia per il periodo 1/7/97 - 30/9/97
(pari al 15,420%) in alcuni periodi successivamente specificati si era rivelato superiore.
Il problema, pertanto, è quello di stabilire se tale sopravvenuta usurarietà possa incidere in ordine
alla determinazione degli interessi.
Orbene, la legge 28/2/2001 n. 24, di conversione del DL 29/12/2000 n. 394, di interpretazione
autentica della legge 7/3/1996 n. 108, ha fissato la valutazione della natura usuraria dei tassi di
interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione.
La particolarità della questione, nel caso in esame, è rappresentata dal fatto che la pattuizione è
avvenuta successivamente alla entrata in vigore della legge antiusura: in questo caso, pertanto, parte
mutuante era in grado di prevedere che l'interesse convenuto per un tasso al momento legittimo
potesse poi risultare usurario a seguito di un abbassamento del tasso soglia di riferimento e
cautelarsi con l'apposizione di apposite clausole di adeguamento del tasso.
Tuttavia, prevedere in tale ipotesi l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 1815 c. 2 c.c.
significherebbe non leggere la norma in modo costituzionalmente orientato perché l'alea per il
mutuante potrebbe determinare una restrizione all'accesso al mercato creditizio con seri pregiudizi
proprio per i piccoli risparmiatori.
Ritiene, pertanto, questo Giudicante che la fattispecie in esame possa essere assimilata a quella in
cui la stipulazione del mutuo, con tasso fisso rivelatosi nel corso degli anni usurario, sia stata
anteriore alla entrata in vigore della legge 108/96.
La conseguenza, pertanto, è che - partendo dal presupposto che l'art. 1815 comma 2 c.c. sia
applicabile solo alle fattispecie ab origine usurarie - la sopravvenuta usurarietà del tasso deve essere
considerata quale circostanza determinante un contrasto tra la clausola originaria e la norma
imperativa, contrasto che si risolverebbe nella nullità sopravvenuta della clausola e nella sua
sostituzione, secondo il meccanismo di cui agli artt. 1419 comma 2 e 1339 c.c. (non operando la
sanzione ex art. 1815 comma 2 c.c.) con la clausola che obbliga il debitore per un tasso pari al tasso
soglia di riferimento.
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Avendo, però, la convenuta eccepito la prescrizione quinquennale ex art. 2948 cc, la condanna alla
restituzione degli interessi corrisposti in misura maggiore deve essere contenuta a fare data dai
cinque anni dalla prima messa in mora dell'aprile 2005.
In questi termini la pretesa attorea può essere parzialmente accolta.
Il contrasto giurisprudenziale e dottrinario in materia e l'accoglimento parziale della domanda
inducono a compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Ordinario di Benevento - Sezione Civile - in persona del dr. Guglielmo Cinque con
funzioni di Giudice Unico, definitivamente pronunziando e disattesa ogni altra istanza, deduzione
ed eccezione, così provvede:
1. accoglie parzialmente la domanda e dichiara che, in relazione al contratto di mutuo di cui è
processo, gli interessi sono dovuti nei limiti del c.d. tasso soglia di cui alle relazioni trimestrali
previste dalla legge 108/96 qualora il tasso pattuito fosse superiore a questo;
2. condanna, per l'effetto, la convenuta alla restituzione degli importi corrisposti per interessi in più
rispetto alla statuizione sub 1), nei limiti della prescrizione quinquennale dalla prima messa in mora
dell'aprile 2005 e nei periodi in cui vi è stato il superamento del tasso fisso pattuito dell'8,25%
rispetto a quello c.d. "soglia", oltre interessi legali, sulla somma dovuta, dalla domanda al soddisfo;
3. compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Benevento il 5 maggio 2009.
Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2009.
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OBBLIGAZIONI SOLIDALI
Le obbligazioni solidali sono disciplinate all’interno del codice civile. In particolare, si tratta di una
ventina di articoli (artt. 1292-1313 cod. civ.), che delineano non solo la nozione di solidarietà, ma
ne regolamentano il funzionamento e le principali conseguenze giuridiche, anche nei rapporti con
altri istituti del nostro ordinamento.
Cass. n. 1136/2006
MASSIMA
La solidarietà attiva nelle obbligazioni non si presume , nemmeno in caso d’identità della res
debita, ma deve risultare espressamente dalla legge o dal titolo, atteso che nella solidarietà attiva
non si riscontra un vantaggio dei creditori solidali, essendo sicuramente avvantaggiato solo il
debitore, che si libera dalla prestazione rendendola ad uno qualsiasi dei creditori. Ne consegue che
gli effetti preclusivi della prescrizione si verificano esclusivamente in favore di quello tra i creditori
che compia atti d’interruzione (Cfr. Cass. 21.01.2011, n. 1406 – prescrizione e solidarietà passiva).
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Cass., sez. III, 05-07-2001, n. 9071.
Obbligazioni solidali e transazione
MASSIMA
In tema di obbligazioni solidali, la norma di cui all’art. 1304 c.c. - a mente della quale la
transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli
altri se questi non dichiarano di volerne profittare - postula, per la sua concreta applicabilità, la
sussistenza di un negozio transattivo stipulato in relazione ad un’obbligazione gravante su più
debitori in solido per l’intero debito solidale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I grado: Tribunale.
- Con atto notificato il 9.1.1985, Fiorenza Pedrabissi, Arnaldo Stanga e M. Assunta Stanga
convenivano davanti al Tribunale di Milano la S.p.a. Mazzalveri e Comelli International per sentirla
condannare al risarcimento dei danni conseguenti alla morte del congiunto Roberto Stanga –
operaio elettricista di anni 23 alle dipendenze della S.r.l. F.A.A.E., inviato a Bagdad dalla predetta
società, alla quale la convenuta, titolare dell’appalto per l’ampliamento del Museo Irakeno, aveva
subappaltato l’esecuzione delle opere di realizzazione dell’impianto elettrico -, a seguito di
folgorazione da energia elettrica verificatasi, per fatto e colpa di dipendenti della società convenuta,
mentre, al di fuori delle sue mansioni di dipendente della S.r.l. F.A.A.E., stava procedendo alla
riparazione di un guasto nel cantiere della predetta società.
- La convenuta resisteva deducendo che lo Stanga era dipendente della S.r.l. F.A.A.E.,
subappaltatrice per l’esecuzione delle opere di realizzazione dell’impianto elettrico; che la predetta
società, a mezzo della S.p.a. Milano Assicurazioni, aveva in via transattiva risarcito il danno,
versando agli attori, che avevano rilasciato quietanza liberatoria, la somma di L. 108.690.660; che
la S.p.a. Mazzalveri aveva dichiarato di voler profittare dell’accordo transattivo stipulato con i
creditori dalla condebitrice S.r.l. F.A.A.E.; che il credito era stato estinto e la domanda spiegata nei
suoi confronti doveva conseguentemente essere rigettata; formulava, inoltre, domanda di manleva
nei confronti della S.r.l. F.A.A.E., che si costituiva resistendo.
- Il tribunale, con sentenza del 14.5.1992, accoglieva la tesi difensiva della convenuta; rigettava la
domanda di risarcimento e la domanda di manleva.
II grado: Appello.
- Proponevano appello gli attori, nei confronti della sola convenuta, deducendo che erroneamente il
tribunale aveva ritenuto applicabile l’art. 1304 c.c.; sostenevano che non era configurabile una
responsabilità solidale tra la S.r.l. F.A.A.E. e la S.p.a. Mazzalveri, costituente il necessario
presupposto per l’operatività della suindicata disposizione, sotto un duplice profilo; in primo luogo,
perché l’istruttoria svolta aveva consentito di accertare che il decesso dello Stanga si era verificato
per fatto e colpa esclusivi di dipendenti della S.p.a. Mazzalveri, i quali, ripristinando, senza
previamente accertarsi delle ragioni per le quali era stata disattivata, l’erogazione dell’energia
elettrica al cantiere, avevano determinato la morte per folgorazione dello Stanga, che, al di fuori
delle sue mansioni di dipendente della società subappaltatrice, era stato incaricato dal capo cantiere
della società appaltatrice di riparare un guasto; in secondo luogo, perché la pretesa solidarietà era
contraddetta dalla clausola di manleva stipulata, secondo l’assunto della convenuta, tra le due
società, in virtù della quale la subappaltatrice, a prescindere da qualunque propria responsabilità, si
era impegnata a tenere indenne l’appaltatrice da ogni onere in ordine ad infortuni e sinistri.
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- Resisteva la S.p.a. Mazzalveri.
- La Corte d’appello di Milano, con sentenza dell’8.7.1997, rigettava il gravame. Considerava:
a) che non si poneva un problema di integrazione del contraddittorio, per non essere stato notificato
il gravame alla S.r.l. F.A.A.E., presente in primo grado su chiamata della S.p.a. Mazzalveri a titolo
di garanzia impropria, poiché alla notificazione avrebbe potuto provvedere la S.p.a. Mazzalveri, che
invece non aveva ritenuto di farlo;
b) che la copertura assicurativa dei fatti lesivi della sfera dei suoi dipendenti era stata approntata
dalla subappaltatrice S.r.l. F.A.A.E. anche nell’interesse dell’appaltatrice S.p.a. Mazzalveri, non a
titolo indennitario o non soltanto a titolo indennitario, ma eminentemente a titolo risarcitorio, e che,
conseguentemente, correttamente il tribunale aveva ritenuto applicabile l’art. 1304 c.c. in relazione
alla definizione transattiva del rapporto risarcitorio, a prescindere da ogni concreto accertamento di
particolari responsabilità per l’evento;
c) che la c.d. copertura indennitaria, assicurata essa pure per impulso della S.r.l. F.A.A.E., era
destinata al ristoro dei danni derivanti da eventi lesivi già ricompresi nella c.d. copertura risarcitoria
- se ed in quanto non ascrivibili a colpa di alcuno ovvero se ed in quanto accaduti nello svolgimento
di ogni altra attività extraprofessionale, e che, pertanto, il ristoro in questione non era suscettivo di
duplicazione, per effetto di una cumulativa operatività delle due coperture;
d) che, diversamente da quanto affermato dagli appellanti, il vincolo solidale non poteva ritenersi
escluso dalla eventuale diversità delle fonti dell’obbligazione relativa;
e) che la c.d. manleva fatta valere dalla S.p.a. Mazzalveri nei confronti della S.r.l. F.A.E.E. risultava
essere nulla più di un regresso esercitato verso una parte che aveva assunto, nell’ambito del
rapporto interno, l’impegno di sostenere totalmente il peso economico dell’obbligazione solidale,
sicché non era ravvisabile l’inconciliabilità tra manleva e solidarietà denunciata dagli appellanti.
Cassazione.
Avverso la sentenza Fiorenza Pedrabissi e Maria Assunta Stanga, in proprio e quali eredi di Arnaldo
Stanga, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria.
Ha resistito, con controricorso, la S.p.a. Mazzalveri.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Il primo motivo denuncia: violazione dell’art. 2049 c.c., in relazione all’art. 2043 c.c. e falsa
applicazione degli artt. 1304 e 2055 c.c., per avere ritenuto soddisfatta ed estinta l’obbligazione di
risarcimento del danno della S.p.a. Mazzalveri, unica responsabile e obbligata in conseguenza del
fatto delittuoso dei suoi dipendenti, che hanno causato colposamente la morte di Roberto Stanga,
facendola profittare delle erogazioni economiche, avvenute sulla base di una ampia polizza
assicurativa contro i rischi professionali, assimilabile a quella sulla vita, stipulata dalla di lui datrice
di lavoro S.r.l. F.A.E.E., estranea al fatto dannoso e perciò non obbligata in via solidale. Omessa,
insufficiente, contraddittoria motivazione sul punto.
Deducono i ricorrenti:
che, alla stregua dell’istruttoria svolta, la morte del loro congiunto Roberto Stanga si è verificata per
colpa esclusiva di dipendenti della S.p.a. Mazzalveri, mentre lo Stanga svolgeva una attività
esulante dal suo rapporto di lavoro con la S.r.l. F.A.A.E.;
che la responsabilità solidale di più persone sussiste quando ciascuno di essi sia imputabile, anche
se in misura diversa, dell’evento dannoso;
che la giurisprudenza della S.C. (sent. n. 7979/94) ha statuito che, ai sensi dell’art. 1304 c.c., la
transazione produce i suoi effetti estintivi dell’obbligazione solidale nei limiti della obbligazione
stessa e non si estende alla parte della obbligazione non solidale, perché dovuta esclusivamente da
uno dei condebitori;
che la corte d’appello non ha motivato sulle ragioni per cui la datrice di lavoro S.r.l. F.A.A.E.
avrebbe dovuto reputarsi concorrente con la S.p.a. Mazzalveri nella produzione dell’evento
dannoso, ed avrebbe quindi dovuto considerarsi condebitrice solidale della S.p.a. Mazzalveri, con
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conseguenti effetti satisfattori della transazione conclusa dalla S.r.l. F.A.A.E. e dell’esborso
assicurativo nei confronti dell’obbligazione risarcitoria della S.p.a. Mazzalveri.
2) Il secondo motivo denuncia: violazione e falsa applicazione delle norme riguardanti le regole
probatorie (artt. 115 e 116 c.p.c.) e di quelle sulla interpretazione dei documenti negoziali, quali
nella specie la polizza assicurativa e la transazione con la Compagnia Assicuratrice (artt. 1362,
1363, 1366, 2702, 2697 c.c.). Omissione, insufficienza, contraddittorietà della motivazione.
Deducono i ricorrenti:
che la sentenza della corte d’appello afferma, senza alcuna motivazione, e senza l’indicazione di
alcun elemento e contro tutte le evidenze documentali di segno opposto, che la S.r.l. F.A.A.E. aveva
stipulato la polizza assicurativa anche nell’interesse della S.p.a. Mazzalveri e non esclusivamente
nell’interesse proprio e dei propri dipendenti, come invece risulta dal tenore della polizza
assicurativa contro i rischi professionali n. 702374 stipulata con l’agenzia di Oristano della
Compagnia Milano;
che la motivazione della corte è contraddittoria laddove da un lato assolve la S.p.a. Mazzalveri sulla
base del combinato disposto degli artt. 2055 e 1304 c.c., e dall’altro la assolve altresì come soggetto
a favore del quale si doveva considerare estesa anche contrattualmente la polizza assicurativa
stipulata dalla S.r.l. F.A.A.E., poiché da un lato considera estinto l’obbligo risarcitorio della S.p.a.
Mazzalveri "ex lege", in virtù delle erogazioni compiute dalla S.r.l. F.A.A.E., supponendola
concorrente nella produzione dell’evento e quindi condebitrice solidale, e dall’altro lato la assolve,
quale in quanto supposta beneficiaria "ex contractu" della polizza assicurativa stipulata dalla S.r.l.
F.A.A.E. per coprire responsabilità di quest’ultima.
3) I due motivi possono essere congiuntamente esaminati, in ragione della loro intima connessione,
e vanno accolti per quanto di ragione.
4) La corte territoriale, confermando sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto la S.p.a.
Mazzalveri - che aveva resistito all’azione di risarcimento promossa dai congiunti dell’operaio
deceduto dichiarando di voler profittare della transazione conclusa tra i congiunti dello Stanga e la
S.p.a. Milano Assicurazioni per conto della S.r.l. F.A.A.E. - abilitata ad invocare la norma dettata
dall’art. 1304 c.c., secondo il quale la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido
non produce effetto nei confronti degli altri se questi non dichiarano di volerne profittare.
La ragione fondante la decisione si identifica e si esaurisce nell’affermata applicabilità della
suindicata disposizione.
Va peraltro rilevato che l’applicabilità dell’art. 1304 c.c. postula la sussistenza di una transazione
che risulti stipulata in relazione ad una obbligazione gravante su più debitori in solido per l’intero
debito solidale.
La corte milanese non ha adeguatamente motivato circa la sussistenza del suindicato presupposto.
Non ha invero dato conto di aver esaminato il contenuto della transazione, al fine di accertare se vi
fosse o meno menzione di un debito solidale coinvolgente anche la S.p.a. Mazzalveri, se la
transazione avesse o meno ad oggetto l’intero debito o una parte soltanto dello stesso, se l’atto
recasse o meno un riferimento ad una polizza assicurativa ed in caso positivo di quale tipo di
polizza si trattasse: del tenore della transazione non viene fatto cenno alcuno in motivazione.
Si trattava, d’altra parte, di indagine indefettibile, dal momento che la questione della carenza del
vincolo di solidarietà tra la S.r.l. F.A.A.E. e la S.p.a. Mazzalveri era stata espressamente sollevata
dagli appellanti, che avevano diffusamente argomentato sia sulla esclusiva riferibilità dell’evento
mortale a dipendenti della S.p.a. Mazzalveri, emergente, a loro avviso, dagli esiti dell’istruttoria
svolta, sia sulla riferibilità della transazione all’adempimento di obblighi derivanti da polizza contro
il rischio di infortuni stipulata dalla S.r.l. a tutela dei propri dipendenti.
E non è sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione l’affermazione della corte d’appello affermazione esatta, diversamente da quanto opinano i ricorrenti (vedi sent. n. 2605/93) -, che la
solidarietà non è esclusa dalla diversità di fonte delle rispettive responsabilità, poiché tale
enunciazione di principio non è sorretta da nessuna indicazione circa l’eventuale diverso titolo della
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responsabilità gravante sulla datrice di lavoro dello Stanga, avuto riguardo alla peculiarità della
fattispecie, come ricostruita dagli appellanti, e non contraddetta dalla corte.
Così come non rilevano le considerazioni svolte dalla corte territoriale circa l’obbligo di manleva
che sarebbe stato assunto dalla S.r.l. F.A.A.E. nei confronti della S.p.a. Mazzalveri, trattandosi di
questioni inerenti alla domanda di garanzia svolta in primo grado dalla convenuta, in via
subordinata all’eccezione di estinzione dell’obbligo risarcitorio in virtù dell’adesione alla
transazione ex art. 1304 c.c., domanda disattesa dal tribunale (perché assorbita dall’accoglimento
della tesi difensiva principale) e non coltivata in grado di appello (nel quale la S.r.l F.A.A.E. non è
stata chiamata).
5) In conclusione, il ricorso va accolto. La sentenza va cassata e la causa rinviata ad altra sezione
della Corte d’appello di Milano.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese del giudizio di cassazione, ad alta sezione della Corte d’appello di Milano.
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Obbligazioni solidali e remissione del debito
Cass., sez. III, 14-07-2006, n. 16125.
MASSIMA
In tema di solidarietà passiva, qualora il creditore agisca, ai sensi dell’art. 1292 c.c., contro uno
qualsiasi dei condebitori solidali, esercita un suo preciso diritto che, però, non può comportare
automatica rinuncia del credito nei confronti dell’altro o degli altri condebitori solidali, poiché,
diversamente, si contraddirebbe la stessa facoltà di scelta che la citata norma riconosce al
creditore ed il diritto del debitore solidale escusso di rivalersi nei riguardi dei suoi condebitori
solidali per le quote di rispettiva responsabilità; tale conclusione si impone anche se l’azione sia
stata esercitata nei confronti di uno soltanto dei condebitori solidali a causa della convinzione che
questo, e non altri, sia il debitore, dato che la volontà di remissione presuppone anche, e in primo
luogo, la consapevolezza, nel creditore, dell’esistenza del debito, non potendo certo configurarsi la
remissione di un debito che lo stesso remittente reputasse, a torto o a ragione, inesistente (nella
specie, la suprema corte, sulla scorta dell’enunciato principio, ha cassato con rinvio l’impugnata
sentenza, con la cui motivazione, in violazione delle norme che governano la solidarietà passiva nei
rapporti obbligatori, era stato erroneamente ravvisato che la convinzione dell’esclusiva
responsabilità del conducente di un veicolo, la quale aveva indotto il danneggiato ad orientare la
sua azione solo contro la società assicuratrice dello stesso veicolo, oltre che del suo proprietario,
aveva comportato l’abbandono della possibilità di azione contro il proprietario dell’automezzo nel
quale egli aveva preso posto, così desumendone la rinuncia a quest’ultima azione).
La remissione del debito, quale atto abdicativo di natura negoziale, esige e postula che il diritto di
credito si estingua conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che
l’estinzione si verifichi solo se ed in quanto voluta dal creditore con la conseguenza che la volontà
di remissione presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza, nel creditore, dell’esistenza
del debito; peraltro, pur non potendosi presumere, la remissione del debito può ricavarsi anche da
una manifestazione tacita di volontà, ma in tal caso è indispensabile che la volontà abdicativa
risulti da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la
volontà di avvalersi del diritto di credito.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I grado: Tribunale.
- Stefano Calderoni ha chiesto la condanna della società Italia Assicurazioni (ora La Fondiaria
assicurazioni - SAI) al risarcimento dei danni subiti anche a causa delle gravi lesioni riportate a
seguito dello scontro verificatosi il 1 gennaio 1989 tra l'auto Mercedes tg. Roma ++++, condotto dal
proprietario Colucci Carlo, nella quale egli prendeva posto, e l'autocarro Fiat OM 50 tg ++++, di
proprietà di Franco Fusco, condotto da Giuntini Raffaele ed assicurato, per la r.c.a., con la società
Italia Assicurazioni.
Il Calderoni ha giustificato la sua domanda sostenendo che il sinistro è stato provocato solo dalla
imprudente condotta di guida del Giuntini.
- La società Italia Assicurazioni, essendone sta autorizzata, ha chiamato in causa il Colucci, in
quale, a sua volta, ha spiegato, per i danni da lui subiti, domanda riconvenzionale nei confronti del
Giuntini, della società Italia Assicurazioni e del Fusco ed ha chiamato in causa la società Tirrena
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Assicurazioni, con la quale era assicurato per la r.c.a., perchè fosse tenuto indenne da eventuali
condanne al risarcimento dei danni.
La società Tirrena ha chiesto il rigetto delle domande proposte nei confronti del Colucci.
- Con sentenza del 14 aprile 1997/23 gennaio 1998 il Tribunale di Roma, accertato il concorso di
colpa dei due conducenti dei veicoli nella misura del 25% per il Colucci e del 75% per il Giuntini
ha condannato il Fusco, il Giuntini e la società La Fondiaria al risarcimento nella misura del 75%
del danno subito dal Calderoni "in considerazione del fatto che lo stesso, non concludendo nei
confronti del proprio vettore, ha dimostrato di volere rimetere il debito a favore di quest'ultimo".
II grado: Appello.
La Corte di appello di Roma ha respinto sia l'appello principale del Caldiroli contro la predetta
sentenza sia gli appelli incidentali della società La Fondiaria Assicurazioni, della Compagnia
Tirrena di Assicurazioni e di Colucci Carlo.
La Corte ha, in particolare rilevato come affatto corretta dovesse ritenersi sia la conclusione del
giudice di primo grado circa la misura del concorso di colpa dei conducenti dei veicoli antagonisti
ai quali è rispettivamente addebitatane, per il conducente dell'autocarro, una svolta a sinistra senza
dare la precedenza al veicolo antagonista e senza rispettare il divieto di quella manovra, e, per il
conducente del veicolo, una velocità eccessiva, quale denunciata dalle tracce di frenata sia la
conclusione che ha condotto il giudice di primo grado a ridurre pro quota, in relazione alla
percentuale di colpa del conducente dell'autocarro, il danno da risarcire al Caldiroli dato che questo
non ha agito contro il proprietario e conducente del veicolo in cui egli prendeva posto.
Cassazione.
Caldiroli Stefano ha impugnato questa sentenza con ricorso per Cassazione.
Resistono, con controricorso, il Colucci e la società Fondiaria - Sai s.p.a. che ha, a sua volta,
proposto appello incidentale.
MOTIVI
Il ricorso incidentale deve essere anzitutto riunito a quello principale avendo per oggetto la
medesima sentenza.
1. Con il primo motivo del ricorso principale [= del Caldiroli] si denuncia "la violazione e falsa applicazione dell'art.
112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4".
Si sostiene che la Corte di merito ha ignorato il motivo di appello che investiva la pronuncia del giudice di primo grado
che aveva tratto la prova della rinuncia del diritto al risarcimento del danno nei confronti del Colucci dalla assenza di
una domanda In proposito del Caldiroli.
1.1. Nei termini in cui è stato proposto il motivo è infondato.
La Corte di merito ha espressamente considerato, a pagina nove della sentenza, il motivo di appello indicato dal
ricorrente con la censura in esame, disattendendolo sulla base del rilievo "che la domanda originaria introduttiva il
primo grado (v. citazione ivi) - e qui non modificabile - è fondata sull'assunto delle esclusiva responsabilità del
conducente (e proprietario) dell'autocarro, contro il quale, in via categorica ed esclusiva, il Calderoni propone la propria
domanda risarcitoria".
La sentenza, cioè, si pone solo in una prospettiva (la ragione della scelta di azione contro uno solo dei debitori) diversa
da quella in cui si è posto il giudice di primo grado (oggettiva assenza di una domanda contro il condebitore) per
valorizzare lo stesso fatto e ribadire lo stesso concetto: che, cioè, avendo il Caldiroli agito solo contro la società
assicuratrice dell'autocarro, e non anche contro il Colucci, non vi può essere spazio per una condanna di quest'ultimo,
corresponsabile solidale, al risarcimento dei danni per l'intero.
È, infatti, evidente che il riferimento alle premesse di fatto e di diritto del Caldironi sulla responsabilità del sinistro,
contenuto nella sentenza della Corte di merito per giustificare la sua decisione, è solo in funzione della supposta
esigenza di chiarire la ragione della scelta operata dal Caldironi nel proporre la sua domanda solo nei confronti del
proprietario e dell'assicuratore del veicolo antagonista, e non modifica affatto, quindi, il fatto dal quale la decisione è
fatta dipendere anche dal giudice di appello, fatto che è, nella sentenza del giudice di primo grado, e resta, nella
sentenza di secondo grado, la scelta processuale del Caldironi.
2. Con il secondo motivo si denuncia la "violazione e falsa applicazione degli artt. 2055, 1292,
1301, 1311 cod. civ. - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia".
Dopo avere evidenziato che dalla sentenza impugnata non affiora con sufficiente certezza quale sia
stato il ragionamento che ha condotto il giudice a riconoscere al Caldiroli il diritto al risarcimento
del danno solo nei limiti della percentuale di colpa del conducente dell'autocarro e come tale
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incertezza dia adito alla possibilità di ricostruire il pensiero della Corte sia supponendo che si sia
voluto fare dipendere la pronuncia da una asserita rinuncia a far valere la solidarietà nei confronti
del conducente e proprietario dell'auto in cui egli prendeva posto sia da asserita remissione del
debito, si rileva che nell'uno come nell'altro caso la sentenza non potrebbe sottrarsi alla censura di
violazione di legge e vizio di motivazione; infatti, si chiarisce, la domanda di risarcimento nei
confronti di uno soltanto dei condebitori solidali non può comportare, di per se, rinuncia nè alla
solidarietà nè ad una quota del diritto di credito e tantomeno tale rinuncia può farsi dipendere dalla
circostanza che la domanda si basi sulla asserita premessa di una esclusiva responsabilità del
soggetto contro il quale essa è proposta.
2.1. Il motivo deve essere senz'altro condiviso.
La Corte di appello, in realtà, non spiega espressamente l'iter logico che ha guidato la sua decisione
sulla misura del danno risarcibile dalla società Fondiaria Assicurazioni; ma l'estrema sintesi che
caratterizza la motivazione depone per una totale adesione della Corte al ragionamento logico giuridico del giudice di primo grado, cui si aggiunge il chiarimento sulle motivazioni che avrebbero
determinato la condotta processuale del Caldiroli.
Nel pensiero della Corte di merito, dunque, la convinzione della esclusiva responsabilità del
conducente dell'autocarro avrebbe indotto il Caldiroli ad orientare la sua azione solo contro la
società assicuratrice dell'autocarro (ed il proprietario dello stesso), abbandonando la possibilità di
azione contro il proprietario del veicolo nel quale egli prendeva posto e perciò a tale azione
rinunciando.
Ma questo ragionamento si risolve in una illazione che prescinde del tutto dalle norme che
governano la solidarietà passiva nei rapporti obbligatori e che espressamente consentono al
creditore di agire per l'intero suo credito nei confronti di ciascun condebitore solidale (art. 1292 cod.
civ.) ed a quest'ultimo di rivalersi nei confronti dei condebitori non escussi per le quote di rispettiva
responsabilità (art. 1299 cod. civ.).
A) È, infatti, evidente che se, ai sensi dell'art. 1292 cod. civ., il creditore può agire per l'intero
contro qualsiasi dei condebitori solidali, deve anche riconoscersi che l'azione che in concreto sia
stata proposta contro uno solo dei debitori solidali costituisce solo esercizio di un preciso diritto che
non può comportare automatica rinuncia del credito nei confronti dell'altro o degli altri condebitori
solidali senza contraddire la stessa facoltà di scelta che la norma citata riconosce al creditore ed il
diritto del debitore solidale escusso di rivalersi nei confronti dei suoi condebitori solidali per le
quote di rispettiva responsabilità.
Tale conclusione si impone anche se l'azione sia stata esercitata nei confronti di uno soltanto dei
condebitori solidali a causa della convinzione che questo, e non altri, sia il debitore dato che la
volontà di remissione presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza, nel creditore,
dell'esistenza del debito, non potendo certo configurarsi la remissione di un debito che lo stesso
remittente reputasse, a torto o a ragione, inesistente.
Infatti - come evidenziato da Cass. 21 dicembre 1998 n. 12765, specie in motivazione - la natura
negoziale della remissione, quale atto abdicativo, esige e postula che il diritto di credito si estingua
conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che l'estinzione si
verifichi solo se e in quanto voluta dal creditore con la conseguenza che la volontà di remissione
presuppone anche, e in primo luogo, la consapevolezza, nel creditore, dell'esistenza del debito.
È vero che la remissione del debito, pur non potendosi presumere, può1 tuttavia ricavarsi anche da
una manifestazione tacita di volontà, ma in tal caso è indispensabile che la volontà abdicativa risulti
da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà
di avvalersi del diritto di credito (Cass. 27 giugno 1991 n. 7215, Cass. 18 giugno 1990 n. 6116;
Cass. 12 giugno 1987 n. 5148; Cass. 17 marzo 1970 n. 691).
Si evidenzia così l'errore di diritto nel quale è incorso il giudice di merito nel trarre la presunzione
di una volontà abdicativa del Caldiroli dalla assenza di una domanda giudiziaria di questo nei
confronti del Colucci, conducente del veicolo in cui egli era trasportato.
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B) Nè a diversa conclusione si potrebbe approdare ove si volesse supporre che il giudice di merito
ha inteso solo riferirsi ad una rinuncia del Caldiroli alla solidarietà.
Anzitutto l'art. 1311 cod. civ. prevede la presunzione di rinunzia alla solidarietà a favore di uno dei
debitori solidali, prevista dall'art. 1311 cod. civ., soltanto se il creditore rilasci quietanza "per la
parte di lui", senza riserve per il credito residuo, ovvero se ha agito giudizialmente pro quota, con
l'adesione del debitore convenuto, condizioni che indubbiamente esulano dalla fattispecie in esame
(sul punto cfr., Cass. 17 maggio 1990 n. 4280, specie in motivazione).
In ogni caso la rinuncia alla solidarietà nei confronti del Colucci non avrebbe potuto escludere la
responsabilità degli altri condebitori escussi per l'intero credito.
Questa Corte ha, infatti, chiarito, con sentenza del 28 marzo 2001 n. 4507, che nel caso di rinuncia
alla solidarietà a favore di taluno dei condebitori, mentre, per un verso, nei rapporti esterni con il
creditore il beneficiario della rinuncia rimane tenuto al pagamento soltanto della sua quota, per altro
verso lo stesso creditore conserva l'azione "in solido" contro gli altri debitori, non destinatari della
rinuncia, per l'intero suo credito, compresa, perciò, la quota del beneficiario ex art. 1311 cod. civ.
posto che il creditore che rinuncia alla solidarietà a favore di taluno dei condebitori non può mutare
la qualificazione della natura dell'obbligazione, la quale, se dipende da un medesimo titolo, non può
atteggiarsi come solidale soltanto nei confronti di alcuni e non di tutti i coobbligati, come, del resto,
è confermato dall'art. 1313 cod. civ., che specifica la regola generale dell'art. 1299 cod. civ., comma
2, con disposizione ritenuta applicabile, secondo l'esegesi della dottrina e della giurisprudenza,
anche ai rapporti interni di regresso tra i condebitori, oltre che a quelli esterni, prevedendo, in
ordine ai rapporti interni, il diritto del condebitore solidale, che ha pagato per l'intero e non è
riuscito ad ottenere la quota di un condebitore insolvente, di esercitare azione di regresso verso il
beneficiario della rinuncia sia della parte proporzionale della quota dell'insolvente sia dell'intera
quota propria dello stesso beneficiario (nello stesso senso sent n. 4919 del 1979 riv. 401576).
3. Con il terzo motivo si denuncia "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa in punto decisivo della
controversia - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".
Si addebita al giudice di merito di avere omesso ogni motivazione sulle numerose e specifiche censure mosse, con i
motivi di appello, alle valutazioni sulla entità delle conseguenze invalidanti prodotte dalle lesioni limitandosi a rilevare
come queste valutazioni fossero basate sul motivato parere del consulente tecnico.
3.1. Il motivo non può essere condiviso.
È vero che con il suo appello il Caldiroli aveva censurato anche la statuizione del giudice di primo grado sulla entità
delle conseguenze delle lesioni riportate sostenendo: a) che il ct, aveva errato nell'escludere il rapporto di causalità tra il
sinistro ed il danno riscontrato alla colonna vertebrale senza tenere conto della certificazione del ricovero in ospedale,
dalla quale risultava accertata una sintomatologia dolorosa lombare; b) che il consulente tecnico aveva errato nel negare
la utilità di accertamenti specialistici neurologici per l'accertamento degli effetti del trauma cranico contusivo, al quale il
consulente di parte ricollegava, invece, una sindrome cefalico vertiginosa e da rilevante reazione di ansia; c) che il
consulente tecnico aveva del tutto ignorato i danni alle articolazioni tempio - mandibolare e la sublussazione del
menisco articolare; d) che le spese odontoiatriche riconosciute dal ct. erano inferiori al dovuto.
Ma la Corte di appello ha disatteso queste censure osservando "che la determinazione delle percentuali invalidanti
relative ai postumi accertati, anche grazie ai chiarimenti forniti, appare ben motivata dal ct. di primo grado, dalle cui
conclusioni non vi è ragione di discostasi, dato che, per quanto attiene, in particolare, i danni lamentati alla regione
lombare, "la forza lesiva" dell'urto si era estrinsecata a livello del massiccio facciale ed in misura minima a livello della
regione lombare.
Per quanto più attenta alla censura che investiva l'accertamento negativo del rapporto di causalità tra il sinistro e le
lesioni alla regione lombare, la motivazione sinteticamente riportata si da carico, dunque, anche delle altre censure del
motivo di appello attraverso il rinvio alle argomentazioni contenute nel parere del consulente tecnico e nei chiarimenti
ulteriori dallo stesso forniti proprio sulle considerazioni critiche di parte.
Per soddisfare il requisito di specificità e di autosufficienza, il motivo di ricorso non avrebbe potuto conseguentemente
limitarsi a denunciare genericamente la carenza di motivazione ma avrebbe dovuto considerare, riportandone il
contenuto, anche gli argomenti del consulente tecnico richiamati nella motivazione della sentenza per dimostrare se ed
in quale misura essi fossero incongrui rispetto alle specifiche allegazioni di parte sulla entità dei singoli danni fisici che
essa assumeva essere stati prodotti dal sinistro.
4. Con il quarto motivo si denuncia "l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia" addebitando alla Corte di merito di non avere motivato sulla doglianza che investiva la liquidazione del
danno morale.
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4.1. Il motivo è infondato perchè non autosufficiente, dato che non riproduce, integralmente o anche solo
sinteticamente, la censura di appello che addebita alla Corte territoriale di avere ignorato e non consente, così, di
valutare se tale censura fosse dotata del necessario requisito di specificità, senza del quale non vi è obbligo di
motivazione del giudice.
5. Con il ricorso incidentale la società Fondiaria - Sai denuncia omessa pronuncia in ordine alla domanda di manleva
avanzata nei confronti del sig. Carlo Colucci in violazione della normativa di cui all'art. 112 c.p.c.".
Si afferma che la Corte di merito ha omesso di pronunciare sulla domanda di manleva proposta contro il Colucci.
5.1. Il motivo deve considerarsi assorbito dall'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale.
Esso, come è evidente, ripropone infatti una domanda che presupponeva la condanna della società al pagamento
integrale dei danni sofferti dal Caldiroli a seguito del sinistro ed anche per la quota, quindi, relativa alla percentuale di
colpa imputabile al Colucci, condanna che, come si è detto, la Corte territoriale ha, invece, limitato alla percentuale di
colpa del Giuntini.
L'accoglimento del secondo motivo di ricorso, comportando il riconoscimento del diritto del Caldiroli all'integrale
risarcimento dei danni, rende attuale il diritto di rivalsa della società Fondiaria sulla cui domanda, conseguentemente, il
giudice di rinvio sarà tenuto a pronunciarsi.
6. Al giudice di rinvio conviene rimettere la pronuncia sulle spese del giudizio in Cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE
Riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri, dichiara
assorbito il ricorso incidentale.
Cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra
sezione della Corte di Appello di Roma.
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Obbligazioni naturali e convivenza more uxorio
La definizione dell’obbligazione naturale ed i suoi effetti sono contenuti prevalentemente nell’art.
2034 cod. civ., che dispone:
Art. 2034.
Obbligazioni naturali.
Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri
morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma
esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.
Cass., sez. II, 13-03-2003, n. 3713.
MASSIMA
Le prestazioni patrimoniali di uno dei conviventi more uxorio non possono inquadrarsi nello
schema dell’obbligazione naturale se hanno come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e
non sussiste un rapporto di proporzionalità tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti
reciprocamente dai conviventi (nella specie, al convivente more uxorio che aveva realizzato un
immobile, a proprie spese e con la propria manodopera, sul fondo appartenente al partner, è stato
riconosciuto il diritto all’indennizzo).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- (I grado) Con atto di citazione 22.06.1987, Antonio Atzori, premesso che aveva convissuto "more
uxorio" per oltre 13 anni con Lucia Sanna; che durante tale periodo la Sanna aveva acquistato un
terreno sito in agro di Quartucciu con denari da lui messi a disposizione; che su tale terreno esso
attore, muratore di professione, aveva costruito, acquistando i materiali e lavorando tutto il suo
tempo libero, la casa di abitazione ed altro edificio adiacente di tre piani al grezzo, oltre dei locali
accessori; che dopo tanti anni di convivenza la Sanna gli aveva intimato di lasciare la casa di
abitazione ed aveva pubblicato su un giornale locale l'offerta di vendita dell'intero edificio; che in
tale comportamento della Sanna andava ravvisato il "periculum in mora" che giustificava il
sequestro conservativo autorizzato dal Presidente del Tribunale il 16.05.1987, regolarmente
eseguito; tutto ciò premesso convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Cagliari, la Sanna al fine
di ottenere la convalida del sequestro conservativo, e, nel merito, la condanna della Sanna al
rimborso dei denari messi a sua disposizione per l'acquisto del terreno, nonché alla restituzione del
valore dei materiali e della mano d'opera impiegati nella costruzione degli immobili su detto fondo,
ovvero al pagamento dell'aumento di valore arrecato al fondo, nella misura di L. 120.000.000 o di
altra somma, anche eventualmente a titolo di ingiustificato arricchimento.
Costituitasi, la Sanna chiese il rigetto della domanda.
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Espletata l'istruttoria, anche mediante c.t.u., il Tribunale inquadrò la fattispecie nell'ambito dell'art.
936 c.c.; ritenne l'Atzori terzo ai sensi della citata norma in quanto aveva costruito in assenza di
alcun vincolo giuridico che gli attribuisse la facoltà di edificare; escluse che la costruzione potesse
ritenersi adempimento da parte del convivente "more uxorio" di un'obbligazione naturale nei
confronti della famiglia di fatto; liquidò il "quantum" per impiego dei materiali e mano d'opera nella
somma complessiva, compresa la rivalutazione, di L. 62.726.397; non liquidò gli interessi perché
non richiesti; rigettò tutte le altre istanze; convalidò il sequestro conservativo e pose a carico della
Sanna le spese del giudizio.
- (II grado) La Corte d'appello di Cagliari, con sentenza n. 77/01 del 01.12.2000/27.02.2001,
accolse per quanto di ragione l'appello principale dell'Atzori e, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale, che confermò nel resto, condannò la Sanna a corrispondere all'Atzori gli interessi legali
sulla suddetta somma di L. 62.726.307 dalla data della domanda alla data della decisione, nonché
sulla stessa somma ulteriori interessi dalla data della notifica dell'atto di appello al saldo; rigettò
l'appello incidentale della Sanna; dispose lo svincolo della cauzione di L. 10.000.000 e ne dispose la
restituzione all'Atzori; condannò la Sanna al pagamento delle spese del grado.
La Corte cagliaritana ritenne infondata la tesi della Sanna, secondo cui sussistendo tra lei e l'Atzori,
conviventi "more uxorio", una famiglia di fatto, tutte le prestazioni reciprocamente eseguite
nell'ambito di tale rapporto avevano natura di obbligazioni naturali, con conseguente irripetibilità di
quanto dato e prestato reciprocamente. Osservò che ai fini dell'adempimento dell'obbligazione
naturale, nel rapporto di convivenza "more uxorio", si richiedeva che vi fosse un rapporto di
proporzionalità tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai
conviventi. Nel caso specifico tale rapporto di proporzionalità non sussisteva, anzi non poteva
neppure parlarsi di adempimento di un dovere morale, dato che la prestazione dell'Atzori non si era
esaurita nel procurare alla famiglia di fatto un'abitazione dignitosa e confortevole, ma aveva avuto
come effetto l'arricchimento esclusivo della Sanna, che era diventata proprietaria, in base al
principio dell'accessione, non solo della casa ma anche di un fabbricato di tre piani e di tre locali.
La Corte d'appello escluse che l'Atzori avesse rinunziato a far valere il suo credito, perché dalla
scrittura del 31.05.1987 emergeva soltanto che l'Atzori e la Sanna avevano diviso tra loro i beni
mobili, senza manifestare alcuna volontà abdicativa in relazione agli altri beni. A tal riguardo la
prova per testi dedotta dalla Sanna era inammissibile perché irrilevante, risultando anzi dal suo
contenuto e dalla dichiarazione agli atti di Chiara Luisa Muscas il contrario, cioè che l'Atzori non
intendeva affatto rinunciare a chiedere alla Sanna quanto dovutogli per la costruzione degli
immobili. Rilevò, inoltre, che il diritto dell'Atzori non poteva venir meno per il fatto che la Sanna
avesse dato un rilevante contributo economico per il soddisfacimento delle necessità della famiglia
di fatto, donde l'irrilevanza sul punto della prova dedotta.
Infine la Corte territoriale, ritenuto per ferma la qualificazione giuridica dell'azione promossa
dall'Atzori, inquadrata dal Tribunale nell'ambito dell'art. 936 c.c., per non essere stato proposto al
riguardo uno specifico motivo di appello, nonché per la stessa ragione il "quantum" liquidato dal
Tribunale, osservò che l'Atzori aveva chiesto il rimborso dei materiali e della mano d'opera ovvero
il corrispettivo dell'aumento di valore del fondo con rivalutazione e interessi sino alla data della
liquidazione, per cui aveva diritto agli interessi che il primo giudice aveva omesso di attribuirgli.
- Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Sanna deducendo quattro motivi di
annullamento.
L'Atzori ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A fondamento dell'impugnazione la ricorrente deduce:
1) Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte e rilevabile d'ufficio in relazione all'art. 360
n. 5 c.p.c., oltreché violazione e falsa applicazione dell'art. 936 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che la Corte d'appello avrebbe inquadrato la fattispecie nell'ambito dell'art. 936 c.c. sull'erroneo presupposto
che la decisione del Tribunale, sul punto, non sarebbe stata investita da uno specifico motivo di impugnazione, senza considerare che,
invece, con l'atto di appello incidentale era stata proposta la questione riguardante l'inapplicabilità dell'art. 936 c.c., posto che la
Sanna aveva dedotto che l'Atzori non poteva essere considerato terzo nei suoi confronti "visto il rapporto di convivenza tra di loro
esistente", all'epoca dei fatti di causa, e che trattandosi di "un vero e proprio rapporto giuridico" occorreva, nella fattispecie, fare
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riferimento non già alla disciplina contenuta nell'art. 936 c.c. ma al "regime della famiglia di fatto" nell'ambito del quale il contributo
dato da uno dei "partner" nell'opera edificatoria doveva qualificarsi come adempimento di una obbligazione naturale.
Aggiunge la ricorrente che, in ogni caso, l'art. 936 c.c. non poteva trovare applicazione e nessun indennizzo era dovuto all'Atzori
perché le opere erano state da lui realizzate abusivamente tanto che essa ricorrente aveva dovuto subire un procedimento penale ed
aveva dovuto chiedere la sanatoria edilizia. Inoltre vi era stata prevalenza della mano d'opera fornita dall'Atzori rispetto al valore dei
materiali impiegati, il cui importo non era superiore a L. 1.800.000. Infine l'Atzori aveva eseguito non una costruzione "ex novo", ma
solo opere di ristrutturazione di un precedente edificio, per cui anche sotto tale profilo erroneamente la Corte d'appello aveva ritenuto
applicabile l'art. 936 c.c., anziché l'art. 1150 c.c. riguardante le addizioni migliorative, norma quest'ultima che neppure poteva trovare
applicazione, essendo da escludere l'indennizzo nell'ipotesi di costruzione abusiva, anche se successivamente sanata.
2) Motivazione insufficiente circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e
rilevabile d'ufficio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., oltreché violazione e falsa applicazione degli
artt. 116 c.p.c., 2729 c.c. e 3 Cost., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.
Assume la ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che le opere realizzate
dall'Atzori fossero state eseguite in adempimento di un'obbligazione naturale, ritenendo che non
ricorrevano i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, senza considerare che la prestazione del
convivente era stata effettuata in adempimento dell'obbligo di assicurare alla famiglia di fatto
un'abitazione sicura e dignitosa, e l'impegno economico sostenuto a tal fine non era certo
sproporzionato rispetto a quello che sarebbe stato normale pretendere; inoltre la sentenza impugnata
erroneamente ha ritenuto irrilevante il contributo della Sanna alle necessità domestiche e alla cura
della casa, pur risultando dai documenti e dalla prova testimoniale il suo apporto economico alle
attività del convivente e all'acquisto di una motozappa da questi utilizzata per i propri lavori di
campagna. Anche dalla complessità delle opere realizzate si doveva trarre per presunzioni il
convincimento che esse avevano richiesto l'attività di più persone, per cui l'apporto dell'Atzori
avrebbe dovuto essere ridimensionato e conseguentemente la sua prestazione, da ritenere
proporzionata e adeguata, essere considerata come adempimento di un'obbligazione naturale.
In ogni caso, il lavoro svolto dall'Atzori nell'opera edificatoria, qualora non fosse stato inquadrabile
nello schema dell'obbligazione naturale, era da ritenere soggetto alla presunzione di gratuità che è
tipica delle prestazioni di lavoro effettuate nell'ambito dei rapporti interfamiliari, ivi compresi quelli
di convivenza "more uxorio". Erroneamente la corte d'appello ha attribuito all'Atzori il diritto
all'indennizzo in base al medesimo principio che, nella stessa situazione, tale diritto è riconosciuto a
favore del coniuge (che abbia costruito su suolo di proprietà dell'altro), senza considerare la
differenza che sussiste tra il rapporto coniugale e quello "more uxorio", che non possono essere
trattati allo stesso modo senza violare il principio costituzionale di uguaglianza.
3) Omessa o, almeno, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia
prospettato dalle parti e rilevabile d'ufficio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., oltreché violazione e
falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che, una volta chiarito, in base al motivo precedente, che la fattispecie andava
inquadrata nell'ambito del regime giuridico tipico delle obbligazioni naturali, la sentenza impugnata
avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale intesa a dimostrare l'apporto economico della
Sanna alle esigenze della famiglia di fatto e la rinuncia dell'Atzori a far valere il diritto azionato.
Né, riguardo a tale rinuncia, la prova del contrario poteva essere desunta, come ritenuto dalla Corte
d'appello, dalla dichiarazione del 6.6.1988 sottoscritta da Chiara Luisa Muscas, né, comunque, tale
dichiarazione poteva essere di preclusione alla prova testimoniale.
4) Omessa o, almeno, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte e rilevabile d'ufficio,
in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., con violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza ai sensi
dell'art. 360 n. 4 c.p.c.
Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata erroneamente ha ritenuto che la domanda di pagamento degli interessi era stata
proposta sia per le somme relative all'aumento di valore arrecato al fondo sia per il rimborso del valore dei materiali e della mano
d'opera, mentre in effetti la domanda si riferiva soltanto al primo aspetto della vicenda. Correttamente il Tribunale non aveva
liquidato gli interessi per il secondo aspetto perché non richiesti. La Corte d'appello, al contrario, violando il principio della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ha liquidato anche tali interessi.
1.1. Il primo motivo è infondato sotto tutti i profili.
La Corte d'appello ha ricondotto la pretesa dell'Atzori nell'ambito dell'art. 936 c.c., confermando la qualificazione giuridica data dal
Tribunale, dopo aver esaminato ed escluso la fondatezza dei contrari rilievi della Sanna diretti a sostenere che le opere realizzate dal
convivente erano state eseguite in adempimento di un'obbligazione naturale.
Ed in effetti la Sanna, con il suo appello incidentale (il quale conteneva indistintamente, all'interno di un unico corpo argomentativo,
formato da una serie di proposizioni progressivamente numerate (da 1 a 35) sia l'esposizione dei fatti sia i motivi di gravame) aveva
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sostanzialmente dedotto che il Tribunale erroneamente aveva fatto riferimento all'art. 936 c.c., quando nella specie doveva trovare
applicazione il "regime della famiglia di fatto" e conseguentemente la disciplina dell'obbligazione naturale.
La Corte d'appello doveva, quindi, occuparsi essenzialmente del problema attinente la sussistenza o meno di un'obbligazione naturale
nell'ambito dei rapporti di convivenza "more uxorio" tra le parti, per verificare se la fattispecie concreta fosse riconducibile alla
disciplina dell'art. 2034 c.c., la cui eventuale applicabilità avrebbe conseguentemente condotto a negare il diritto alla ripetizione
dell'indennizzo di cui all'art. 936 c.c. Ed una volta esclusa, con adeguata e congrua motivazione la sussistenza di un'obbligazione
naturale in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresi i rapporti tra le parti nell'ambito della famiglia di fatto, non
vi era alcuna ragione per cui la Corte d'appello doveva esaminare altre questioni attinenti ai presupposti di applicabilità dell'art. 936
c.c. non specificamente sottoposte al suo esame.
Pertanto, correttamente, la Corte d'appello, dopo aver escluso che le prestazioni dell'Atzori fossero conducibili all'adempimento di
un'obbligazione naturale, ha ritenuto di dover confermare la qualificazione giuridica dell'azione proposta dall'Atzori, inquadrata dal
Tribunale nell'ambito dell'art. 936 c.c., non essendo stati proposti, al riguardo, specifici motivi di doglianza.
1.2. Né può trovare ingrosso l'ultima parte della doglianza perché con essa vengono sollevate questioni nuove, relative sia alla
sussistenza dell'illecito edilizio e successiva sanatoria sia alla prevalenza della mano d'opera impiegata dall'Atzori rispetto ai
materiali dallo stesso forniti, sia alla consistenza e tipologia dell'opera realizzata, mai dibattute tra le parti e mai sottoposte all'esame
dei giudici di merito. Questioni che presuppongono nuovi accertamenti e indagini sicuramente riservati al giudice di merito e preclusi
in sede di legittimità (v. fra le tane: Cass. 19.3.1996 n. 2294), dovendo i motivi del ricorso per cassazione investire, a pena di
inammissibilità, questioni che abbiano formato oggetto del "thema decidendum" come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste
delle parti (cfr. "ex plurimis": Cass. 29.10.2001 n. 13403).
2.1. Anche il secondo motivo è infondato.
Ed invero, riaffermato il principio di diritto (peraltro non contestato dalla ricorrente) che
un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente "more uxorio" può configurarsi come
adempimento di un'obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e
proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del "solvens", va detto che con il
motivo si tende a sollecitare un riesame dei fatti di causa e delle risultanze probatorie, peraltro sulla
base di considerazioni ipotetiche ed elementi presuntivi.
Trattasi in altri termini di doglianza di merito tendente alla rivalutazione dei dati processuali, non
deducibile in sede di legittimità, se non nei limiti della mancanza, insufficienza o contraddittorietà
di motivazione, che nel caso specifico non ricorre avendo i giudici di merito correttamente
giustificato il loro convincimento, circa la non configurabilità della prestazione dell'Atzori come
adempimento di un'obbligazione naturale, allorché hanno rilevato che, in base alle prove
acquisite e alla c.t.u., non sussisteva un rapporto di proporzionalità tra l'opera edificatoria
realizzata dall'Atzori e l'adempimento dei doveri morali e sociali da lui assunti nell'ambito della
convivenza di fatto.
La sentenza impugnata ha anche evidenziato come non era neppure da parlarsi di adempimento
di un dovere morale in relazione alle prestazioni dell'Atzori, dato che queste non si erano
esaurite nel procurare alla famiglia di fatto un'abitazione dignitosa e confortevole, ma
avevano avuto come effetto l'arricchimento esclusivo della Sanna, per effetto dell'accessione,
non solo della proprietà di un appartamento di circa mq. 175, ma anche di un fabbricato di tre piani
di circa mc. 860 non ultimato, autonomamente utilizzabile con destinazione commerciale o
residenziale, nonché tre locali di sgombero di mc. 154.
L'indagine sulla sussistenza di un dovere morale e sociale e lo stabilire se una prestazione abbia il
carattere della adeguatezza e della proporzionalità si risolve in accertamento di fatto, riservato al
giudice di merito, incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione sufficiente e immune da
vizi logici e da errori di diritto.
Inammissibilmente, pertanto, la ricorrente pretende disattendere tale accertamento e sostenere, sulla
base di un discutibile dato presuntivo costituito dalla rilevante mole dell'opera realizzata, che
l'attività edificatoria non sarebbe il frutto del lavoro di una sola persona, per inferirne, anche in
considerazione del suo contributo economico, un ridimensionamento dell'apporto dato dall'Atzori
nella costruzione dei fabbricati.
2.2. Quanto all'assunto della ricorrente che, qualora la prestazione dell'Atzori non possa inquadrarsi
nello schema concettuale dell'obbligazione naturale, la prestazione stessa dovrebbe presumersi
gratuita, essendo stata resa nell'ambito dei rapporti di convivenza "more uxorio", va osservato che
ciò, nel caso specifico, non può trovare applicazione. Invero la presunzione di gratuità è da ritenere
che venga meno quando risulti che la prestazione esuli dai doveri di carattere morale e civile di
mutua assistenza e collaborazione, in relazione alle qualità e condizioni sociali delle parti, e si
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configuri come mera operazione economico-patrimoniale, che abbia determinato un inspiegabile e
illogico arricchimento del convivente "more uxorio", con proprio ingiusto danno.
2.3. Pertanto, correttamente la Corte d'appello ha riconosciuto all'Atzori il diritto all'indennizzo, che
non può essere contestato in base a ipotetica violazione dei principi costituzionali (in particolare
quello di uguaglianza).
3.1. Il terzo motivo è, nella prima parte, superato dalla qualificazione dell'azione come ipotesi dell'art. 936 c.c., e non come
obbligazione naturale; ed è infondato nella restante parte avendo la Corte d'appello giustificato l'inammissibilità della prova orale
perché irrilevante ed escluso la rinuncia dell'Atzori a far valere il suo diritto sia in base al contenuto della scrittura del 31.5.1987 sia
in base alla deposizione di Chiara Luisa Muscas.
Per il resto è sufficiente ricordare che la valutazione delle risultanze processuali nonché della prova testimoniale insieme al controllo
sulla loro concludenza - come la scelta, fra le varie risultanze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della sua decisione una fonte di prova
ad esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro
tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni avverse ("ex plurimis": Cass. 8.11.1996 n. 9744; 6.9.1995
n.9384; Cass. 14.4.1994 n. 3498); onde la sentenza impugnata non è suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi
considerati dal giudice di merito siano, secondo l'opinione del ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione, conforme alla
tesi da lui sostenuta.
4.1. Il quarto motivo è destituito di fondamento.
La Corte d'appello ha chiarito che l'Atzori aveva chiesto in primo grado gli interessi sia sul valore del materiale e della mano d'opera
sia sull'aumento del valore arrecato al fondo e che tale richiesta si riferiva alternativamente all'uno o all'altro titolo. Sul punto vi era
stata omissione da parte del Tribunale, per cui andavano riconosciuti gli interessi sulla somma liquidata.
In base alle considerazioni svolte, il ricorso va, quindi, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di cassazione, liquidate come in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, che liquida in complessivi € 140,00, oltre € 2.000,00 per onorario.
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