Tempo Pasquale - Nota liturgica
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Tempo Pasquale - Nota liturgica
DANIELE PIAZZI Celebrare il Tempo di Pasqua: nota liturgica La Pasqua è la festa fondamentale del culto cristiano: tutto l’anno liturgico trae da essa l’origine. La singolarità del mistero pasquale non sta nel fatto che Gesù ha compiuto un’opera straordinariamente grande e sovrumana, ma nell’aver assunto le esperienze più profonde dell’uomo e nell’averle vissute e “patite” al modo degli uomini, e in obbedienza a Dio. Con alle spalle la tradizione ebraica della Pasqua annuale, che commemorava l’esodo dall’Egitto; meditando le narrazioni evangeliche della passione, sepoltura e risurrezione del Signore, la seconda generazione cristiana (sec. II) iniziò a celebrare la memoria annuale della risurrezione. Alcune chiese il 14 di Nisan (pasqua ebraica) altre tradizioni la domenica successiva. Fu il concilio di Nicea del 325 a stabilire la celebrazione della Pasqua nella domenica successiva al plenilunio di primavera (tra il 22 marzo e il 25 aprile). La festa pasquale, però, non intendeva celebrare I CINQUANTA GIORNI solo la risurrezione, ma la globalità del mistero di Cristo morto, sepolto, risorto, asceso al cielo. Gradualmente DOM. DELLA RISURREZIONE alcune chiese cominciarono a scandire il mistero pasquale L’annuncio alle Donne, a Pietro e a Giovanni anche cronologicamente, fino ad abbracciare con il digiuno preparatorio il venerdì e il sabato precedente, DOM. II E III DI PASQUA Le domeniche delle apparizioni fino alla creazione di tutta una settimana, celebrando così gli eventi degli ultimi sette giorni della vita di Gesù. DOM. IV DI PASQUA Nacque quello che Agostino chiamò “il triduo del La domenica del buon Pastore Signore crocifisso, sepolto e risorto”. Oggi si apre il DOM. V E VI DI PASQUA giovedì sera, commemorando l’ultima cena e la consegna Le domeniche dell’«addio» del mandatum novum. Il primo giorno del Triduo è il SCENSIONE venerdì santo che commemora la passione del Signore. Il A Il Risorto siede alla destra del Padre secondo giorno del Triduo è il sabato santo, giorno che commemora la sepoltura del Signore e la sua discesa agli PENTECOSTE inferi. La Liturgia delle Ore di questo giorno è un Il Risorto manda lo Spirito Santo commosso lamento sulla morte dell’Unigenito, ma anche la proclamazione della speranza che colui che ha condiviso anche l’oltre la morte, è anche colui che guiderà alla risurrezione, perché “sue sono le chiavi della morte e dell’inferno”. Il terzo giorno del Triduo è la domenica della Risurrezione, celebrata nella veglia notturna, “ la madre di tutte le veglie cristiane”. Nella ricchezza dei suoi momenti celebrativi essa esprime al più alto grado il significato della Pasqua. La messa del giorno di questa domenica è riflesso della celebrazione notturna, prolunga l’annuncio del kérigma pasquale e apre il tempo delle sette settimane e delle otto domeniche, il laetissimum spatium, da celebrare come fosse una sola grande domenica. La struttura del Lezionario domenicale Le tre letture non sono coordinate tematicamente, ma offrono ogni anno tre itinerari paralleli che a tratti si intersecano e si richiamano. I vangeli caratterizzano in maniera abbastanza uniforme le domeniche pur variando le pericopi nei tre anni: «Fino alla III domenica di pasqua, le letture del vangelo riportano le apparizioni di Cristo risorto. Le letture sul Buon Pastore sono ora assegnate alla IV domenica di pasqua. Nella V, VI e VII domenica di pasqua si leggono stralci del discorso e della preghiera del Signore dopo l’ultima cena» (OLM 100). In un certo senso la domenica del buona pastore suddivide in due blocchi le domeniche pasquali: le prime annunciano le apparizioni del Risorto, le ultime preparano al dono dello Spirito e a vivere il tempo della Chiesa, tempo dell’Assente e del Veniente. «La prima lettura è desunta dagli Atti degli apostoli, ed è distribuita, in un ciclo triennale, in progressione parallela: viene così presentato ogni anno qualche elemento sulla vita, la testimonianza e lo sviluppo della chiesa primitiva. Per la lettura dell’apostolo si ricorre nell’anno A alla prima lettera di Pietro, nell’anno B alla prima lettera di Giovanni, e nell’anno C all’Apocalisse: sono testi che sembrano accordarsi assai bene con quel senso di fede gioiosa e di ferma speranza, che è proprio del tempo pasquale» (OLM 100). Un solo giorno di festa, come una “grande domenica” La solennità ebraica delle sette settimane (Es 34,22; Dt 16,9-10), dagli Azzimi alla festa della mietitura (Es 23,16), diventa la celebrazione cristiana della Pentecoste, intesa sia come cinquantesimo giorno conclusivo della Pasqua, sia come periodo di cinquanta giorni che prolungano la Pasqua. La fede cristiana ha una dimensione gioiosa che scaturisce dalla fede pasquale; per questo la liturgia di questo tempo è trapuntata ovunque di alleluia, per questo, secondo la tradizione patristica, in questo tempo non ci si inginocchia durante la preghiera, ma si sta in piedi nella posizione dei vivi, dei risorti. Sant’Agostino chiama questo tempo: “laetissimum spatium”. Il numero sette ha un forte significato simbolico: indica pienezza, compimento, perfezione. Se le settimane del tempo pasquale sono sette, - sette settimane che trovano pienezza nelle otto domeniche -, questo ci fa comprendere come il Signore morto, sepolto, risorto, asceso al cielo che manda lo Spirito sulla Chiesa nascente, sia il compimento e la pienezza delle opere di Dio. I cinquanta giorni della pasqua sono un pezzo di vita eterna nel tempo. La vita eterna è richiamata dal numero otto: l'ottavo giorno è il giorno che non esiste nella settimana e che è fuori del tempo. Il tempo della gloria e della signoria del Risorto Il tempo pasquale ci fa comprendere, soprattutto con la solennità dell’Ascensione, che Dio «ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che abbiamo crocifisso (cfr. At 2, 36). La sua umanità è innalzata «alla destra del Padre.. Dio consegna la signoria sul mondo a colui che apparentemente è stato un fallito, tanto da essere disprezzato e reietto dagli uomini. Su di lui, pietra angolare, profeta rifiutato, Dio costruisce il nuovo futuro dell'uomo, poiché la morte è vinta. Il Risorto è il vero Signore e sovrano di tutte le cose. Il destino dei rifiutati, dei disprezzati, degli oppressi, degli «uccisi» di questo mondo è un futuro di sovranità, di gloria, di liberazione. La loro «morte. è porta alla vita. Il Signore crocifisso e innalzato sopra ogni creatura è ora garanzia e certezza che questo progetto di Dio non è illusione, ma verità: «Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo,non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria» (Prefazio dell’Ascensione I). Il primo dono del Risorto: l’effusione dello Spirito La signoria di Cristo e il primato di Dio e del suo progetto sono opera in noi dello Spirito. Lo Spirito è l'energia di Dio stesso in noi, che ci libera da ogni schiavitù, che diventa la nuova legge, che è riconciliazione e armonia. Posti sotto la regalità del Risorto, inseriti dentro un nuovo 2 corso della storia, una storia positiva che si realizza secondo la mente di Dio, siamo sospinti da Dio stesso in noi, siamo spinti e attratti insieme verso nuove mete e nuovi orizzonti: un nuovo cielo e una nuova terra. Lo Spirito Santo si mostra all’azione non direttamente, ma indirettamente nei suoi frutti: in una verità della Parola che ci affascina e ci spinge a metterla, pur poveramente, in pratica; in una forza interiore che fa salire sulla croce e ci cambia il cuore; in una mentalità nuova di fronte alla vita e alla morte; in una gioia interiore che nasce dalla misericordia e dall'elezione che Dio riserva ai suoi figli peccatori; nella fedeltà sofferta ma costante alla propria vocazione e al proprio stato di vita; nei doni e nei carismi che elargisce a ciascuno per l'utilità di tutti; nella forza di una santità che fa miracoli e vince il mondo; in un'evangelizzazione che riunifica le disparate lingue degli uomini Un popolo di rinati: la Chiesa Il Tempo pasquale è il tempo in cui riscoprire i sacramenti dell'iniziazione. Noi siamo iniziati dal battesimo, dalla cresima e dall'eucaristia. Non veniamo iniziati ai sacramenti. Sono essi che generano la vita cristiana. Sono il grembo di una madre che continuamente genera figli: la Chiesa. Il tempo pasquale sottolinea questa dimensione feconda della comunità. Il tempo pasquale è il tempo della mistagogia, del graduale inserimento dei nuovi battezzati nel mistero di Cristo e nella assunzione di ruoli e servizi dentro la comunità: «Il tempo della mistagogia ha una importanza grandissima e consente ai neofiti, aiutati dai padrini, di stabilire più stretti rapporti con i fedeli e di offrire loro una rinnovata visione della realtà e un impulso di vita nuova» (Rito iniziazione cristiana degli adulti, n. 39). Per questo il tempo pasquale fa penetrare le profondità del mistero della Chiesa. L’evangelo è annunciato e la fede si sviluppa dentro una comunità. Celebrare la Pasqua significa prendere coscienza della dimensione ecclesiale e comunitaria della fede cristiana. Il libro degli Atti, tornando ogni anno nella liturgia domenicale e feriale, “costringe” a interrogarci sul nostro stile di essere Chiesa e ci offre le coordinate migliori per ricostruire la nostra identità di popolo di Dio. Una vita da risorti: morale cristiana, morale pasquale Spesso motiviamo le scelte concrete della vita con un generico moralismo: questo è bene, questo è male. La fede pasquale esige di più. Spesso riserviamo la dimensione morale e il richiamo alla penitenza evangelica alla sola quaresima. Così la vita morale stessa del cristiano rischia di assumere tonalità molto moralistiche e “quaresimali”. Ma anche il tempo pasquale celebra un aspetto della conversione cristiana. Noi evitiamo il male, perché il male e la morte sono vinti dal Risorto e vogliamo crescere fino alla piena maturità di Cristo, fino a diventare dei risorti. Ci impegniamo a vivere la carità come suprema norma di vita, poiché questa ci fa fare pasqua, ci fa passare dall’odio all'’amore, dalla morte alla vita: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Il nostro impegno morale e caritativo traduce in gesti, scelte, pensieri e decisioni la nostra fede nella vita. L’impegno morale, soprattutto il comandamento nuovo, porta il cristiano e la sua comunità a cambiare la storia, a immettervi semi di vita, di servizio, di gratuità, a prepararla per la grande risurrezione. «Risuscitato nel suo vero corpo» Il tempo pasquale ha anche una forte dimensione antropologica ed escatologica. La carne redenta e risorta dell’uomo Gesù ci costringe a mettere nel cuore del mistero pasquale la condizione 3 dell’uomo, mortale e ferito, ma chiamato alla salvezza. È l’uomo “caduto” che vedrà la sua umanità innalzata con Cristo, nella gloria (cfr. colletta dell’Ascensione): «Guarda con bontà il tuo popolo, Signore… e guidalo alla gloria incorruttibile della risurrezione» (Orazione dopo la comunione della terza domenica). Questo tempo liturgico celebra anche i due doni che scaturiscono dal mistero pasquale: la giustificazione e l’adozione filiale: «Vi è un duplice aspetto nel mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal peccato, con la sua risurrezione ci dà accesso ad una vita nuova. Questa è dapprima la giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio… Essa compie l’adozione filiale, poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i suoi discepoli dopo la sua risurrezione» (CCC n. 654). La Pasqua celebra la grande riconciliazione tra Dio e gli uomini, che ritenendo la morte loro nemica vedono in essa il più grande ostacolo a fidarsi di Dio. Ma se Dio stesso ha assaggiato la morte nel corpo del Figlio, l’ostacolo è tolto e ci possiamo riconciliare, per costruire con Dio un nuovo futuro di comunione. 4