Untitled - Edizioni Leucotea

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Untitled - Edizioni Leucotea
LEUCOTEA
ISBN 978-88-97770-16-9
© Copyright 2013 by Edizioni Leucotea Srl,
Via Matteotti 154 — Sanremo
www.edizionileucotea.it
Per l’immagine di copertina:
© Copyright 1993 Rosy Palazzolo — La linea rossa
Prima edizione
CLAUDIO TROBIANI
DOMATI
EDIZIONI LEUCOTEA
SANREMO
I.
L'aveva appena riportata a casa e la stava guardando mentre
raccoglieva borsa e ombrello da sotto il sedile della macchina.
L'unica luce che la illuminava era quella di un lampione, che
proveniva dalle sue spalle, mettendole in ombra il viso, così da
nasconderne e mutarne i tratti.
I suoi occhi sembravano brillare come due piccole fiammelle
nel buio.
La baciò e, dopo che si fu allontanata, rimase ancora qualche
attimo proteso in avanti, con l'intenzione di prolungare il più
possibile quell'attimo di piacere.
Provò un sentimento che non aveva mai sperimentato prima:
sentiva la sua mancanza, nonostante lei fosse lì in quel momento. L'abbracciò, ne assaporò il profumo e capì che aveva percepito il suo stato d'animo, lo capiva e forse addirittura lo condivideva.
Improvvisamente si sentì sprofondare nel sedile ed aggiunse
alla lista di cose da fare quella di portare l'auto da un bravo carrozziere; anzi da un ottimo carrozziere, dato che sprofondava
sempre di più. Ad un certo punto si trovò in una posizione così
scomoda che dovette interrompere l'abbraccio. Si voltò allora
verso il sedile, accorgendosi che tutta la parte dell'abitacolo
dedicata al conducente andava sprofondando sempre di più,
portandolo con sé.
“Salutala.”
Si girò di scatto verso la propria ragazza, ma non fece in tempo a soddisfare il consiglio del suo istinto: era già un paio di
metri più in basso rispetto al sedile del passeggero. Adesso lo
guardava dall'alto e l'ultima emozione che riuscì a leggere sul
suo volto, solitamente così dolce e raggiante, fu disperazione.
Iniziò la sua discesa in un buio pesto, a velocità crescente,
sempre più velocemente, sempre più buio, buio e veloce, buio e
veloce, “salutala”, buio e veloce.
Gridò.
Sentì l'urlo perforargli i timpani, ma non percepì il movimento delle sue labbra. Riecheggiò nella sua testa per numerosi secondi, poi si trasformò in un suono metallico, frastornante eppure familiare.
Iniziava a ricomporre i tasselli: sapeva dove si trovava ed ini7
ziava a ricordare.
Finalmente il buio pesto divenne luce abbagliante.
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II.
La luce del mattino ed il suono della sveglia sul comodino lo
riportarono in fretta alla realtà, che, molto più nitida del suo
sogno, faceva molto più schifo.
Aveva la bocca secca e percepì l'umidità del letto che aveva
inzuppato di sudore durante la notte. Nonostante si fosse quasi
abituato alla sua nuova condizione di vita, si sentì tremendamente solo. La solitudine si mescolava al rimorso di non aver
goduto a pieno della compagnia delle persone che aveva avuto
intorno: aveva dato sempre per scontata la loro presenza, così
come il loro affetto. Non che fosse una persona superficiale, ma
era sempre stato sicuro di costituire un’unica entità con le persone a cui voleva bene. Loro erano il suo mondo, non se ne sarebbero potute andare senza che se ne andasse anche lui, così
come una spiga di grano sa con certezza che sarà colta insieme
alle sorelle che la circondano. Questa granitica certezza era stata spazzata via: il fato, Dio o chi per lui aveva deciso di rimescolare le sue spighe, di separarle e di far perdere di vista quelle che prima erano vicine tra loro.
Il suo sogno non era stato altro che un tuffo nel passato, sorvolando ovviamente sulla parte in cui sprofondava nel sedile.
Un passato nemmeno così lontano.
Anche se l'intervallo di tempo che lo separava da quella che
oramai considerava la sua vecchia vita era relativamente breve
(di un mese al massimo), la moltitudine dei fatti che si erano
susseguiti sarebbe stata sufficiente a riempire un'intera esistenza.
Ancora a letto, ripercorse nella sua mente l'ultimo mese, cadendo di nuovo in uno stato di dormiveglia, durante il quale,
molto velocemente, la sua mente elaborò un nuovo sogno. A
differenza del precedente però, non fu un prodotto libero del
suo inconscio, ma un qualcosa di guidato dal flusso dei suoi
ricordi.
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III.
Si era appena alzato dal letto e, pensando ancora alla serata
trascorsa con la sua ragazza, andava dirigendosi verso il bagno,
vestiti alla mano.
Accese il phon, lo impostò alla minima velocità ed alla massima temperatura e lo sistemò in modo tale che il getto d'aria lo
riscaldasse mentre si cambiava.
Era una strana abitudine per la quale spesso i genitori lo rimproveravano. Dicevano che era un inutile spreco di energia
elettrica e che la mattina quel rumore assordante infastidiva
loro ed i vicini.
Quel giorno però avrebbe potuto dedicare più tempo al suo
strano vizio: era domenica, era abbastanza tardi da poter fare
tutto il rumore che voleva e poi era in netto anticipo per l'appuntamento con Ezio.
Scese al piano di sotto per fare colazione una ventina di minuti dopo, dando ai suoi familiari l'impressione di essere decisamente di buon umore.
‒ Ehi! ‒ Esclamò sua madre vedendolo scendere le scale, ‒
Ci manca poco che ti vediamo scendere tutte le scale con un
solo salto! Come mai così su di giri?
‒ Chi io? Non saprei, forse perché è domenica. ‒ Rispose lui
sfoderando un sorriso.
Ultimamente era meno raro vederglielo fare.
Qualcosa era cambiato di recente. Aveva ritrovato la felicità
con la sua ragazza dopo un periodo difficile ed aveva smesso di
bere. Non sapeva quale delle due cose fosse la causa e quale
l'effetto, ma stava bene così e trasmetteva in modo contagioso
il suo stato d'animo a chiunque gli stesse accanto.
Fece una colazione abbondante, durante la quale discusse con
i suoi due fratelli circa la festa che si sarebbe dovuta tenere a
casa di un loro amico. Era una serata in cui era richiesta fin
troppa eleganza per tre ragazzi di diciannove, diciassette e sedici anni, ed avevano a disposizione una sola cravatta nera, che,
stando a ciò che c'era scritto sull'invito, era necessaria per entrare.
Fu lui a cedere per primo, tanto a lui sarebbe stato permesso
di entrare anche in pigiama se solo avesse voluto.
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Il ragazzo che aveva organizzato la festa, infatti, era Ezio, il
suo migliore amico, praticamente da una vita. Ultimamente era
diventato un vero patito della moda e delle feste in grande stile.
In fin dei conti poteva permetterselo benissimo dato che le finanze di certo non gli mancavano e che i suoi erano andati in
vacanza per due settimane lasciandogli a disposizione la fantastica villa che avevano a Quarto Miglio, sull'Appia.
Salutò sua madre e i suoi fratelli, che stavano ancora litigando per la cravatta, ed uscì sorridendo. Dopo nemmeno un minuto la madre lo vide rientrare nuovamente e conoscendolo capì
che si era dimenticato le chiavi della macchina.
‒ Sei proprio innamorato! ‒ Lo apostrofò sghignazzando.
Finse di non aver capito e si girò in fretta allontanandosi. Entrambi sapevano che si era girato per nascondere un sorriso.
Guidò con tranquillità, senza alcuna fretta, tanto era in vacanza.
Si gustò il tragitto e la musica natalizia del cd che aveva appositamente preparato il giorno prima. Gli venne in mente una
pubblicità che fino a poco tempo prima si vedeva molto spesso
in tv. Decantava le qualità di un'automobile, una Fiat o forse
una Seat. La figura centrale era un signore distinto che invitava,
con voce calma e pacata, a godersi il viaggio quando si è in
macchina, ad apprezzare ogni curva, ogni variazione del terreno, e soprattutto ad apprezzare il paesaggio che ci circonda
mentre guidiamo, che troppo spesso trascuriamo.
Aveva sempre odiato l'Appia, perennemente trafficata, con un
semaforo ogni 100 metri. Quel giorno però, in assenza di traffico e stress, si rese conto che quella strada offriva i paesaggi più
belli di ogni altra strada di Roma: le grandi distese verdi che ne
accompagnavano il tragitto, l'antica villa della famiglia dei
Quintili e le rovine dell'acquedotto romano.
Superò Quarto Miglio, dove aveva la villa il suo migliore
amico. Adesso lo stava aspettando nella sua casa in centro, la
sua residenza invernale. Casa non è però il termine più adatto
per definire il maestoso attico in Via Cavour dove abitava Ezio.
Non faticò a trovare parcheggio, la maggior parte delle persone erano fuori per le vacanze: chi aveva colto l'occasione per
viaggiare, chi per andare a trovare i parenti lontani in qualche
paesino sperduto.
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Citofonò. Ezio, o qualcuno per lui, aprì senza nemmeno chiedere chi fosse.
Mentre ragionava sull'improvvisa ingenuità del suo amico, si
ricordò del nuovo videocitofono che l'amministrazione del palazzo aveva fatto installare e si sentì piuttosto stupido.
Spinse l'enorme portone del palazzo, sorprendendosi come
sempre del fatto che, nonostante la sua grandezza, bastasse una
leggerissima pressione per aprirlo.
Salì sull'ascensore, l'unica cosa pericolante di quel fantastico
palazzo, del quale non si fidava per niente, tuttavia, dopo aver
tentato, una volta sola in vita sua, di fare dieci rampe di scale a
piedi, era giunto alla conclusione che fosse più saggio rischiare
la sua vita su quell'aggeggio anziché tentare ogni volta
quell'impresa epica.
Arrivato all'ultimo piano, l'ascensore emise un leggero scampanellio, che indicava l'imminente apertura delle porte, ma che
gli ricordò il segnale dell'inizio di un incontro di pugilato.
Bussò con il batacchio dell'enorme porta in legno della casa
di Ezio. Sembrava meno imponente solo se paragonata al portone del piano terra. La porta si aprì sotto i suoi colpi e capì
quindi che era aperta.
Entrò nell'ampio corridoio dai soffitti altissimi, dalle pareti
bianco perla e dal pavimento in marmo a scacchi bianchi e neri.
Pensò che non si sarebbe mai abituato a tanto sfarzo, nemmeno
se ci fosse finito ad abitare.
Il corridoio continuava senza porte per una decina di metri,
poi si divideva in due ad angolo retto. La parte di sinistra conduceva alla camera da letto dei genitori di Ezio, alla cucina, al
salone, alla sala hobby e a due bagni, quella di destra invece
portava ad un altro bagno, a due camere degli ospiti, ad un ripostiglio, alle scale per il tetto e alla stanza di Ezio, dove si diresse.
Ci aveva messo anni per riuscire ad imparare la disposizione
di quella infinità di camere, più di una volta, cercando il bagno,
si era ritrovato nella camera da letto dei genitori di Ezio.
‒ Pietro! ‒ Lo salutò il suo amico non appena lo vide entrare
in camera, ma senza l'entusiasmo che si aspettava, soprattutto
considerando la festa imminente.
Rispose al saluto e dopo un attimo di esitazione chiese: ‒ Che
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ti prende? L'Ezio che conosco io impazzisce per le feste, soprattutto quando è lui ad organizzarle.
‒ Sì hai ragione, ma ci sono dei problemi ed il tempo per risolverli non basta.
‒ Che genere di problemi? ‒ Chiese Pietro preoccupato, pensando, come suo solito, al peggio.
‒ Ancora siamo in alto mare con i preparativi: devo prendere
l'impianto audio oggi pomeriggio, devo andare a cercare un
barman, devo preparare le liste degli invitati da dare ai buttafuori e nel frattempo dovrei essere a Quarto Miglio ad accendere i riscaldamenti, altrimenti domani sera avremo centocinquanta ghiaccioli. Mi scoccia chiedertelo, ma non è che potresti
darmi una mano?
‒ Non ce la faremmo nemmeno in due, ma per fortuna sto
con un angelo e penso che per lei non sarà un problema andare
a Quarto Miglio da questa sera ad accendere i riscaldamenti.
Tanto domani mattina la raggiungiamo no?
‒ Grazie! Sì certo si tratta solo di una nottata lì...
‒ ...mentre per le liste ci penso io: chiamo i PR e mi faccio
dire tutti i nomi, così neanche devo muovermi da qui. ‒ Disse
sorridendo, vedendo che l'amico riacquistava le speranze. ‒ Dovrò sentire anche mia madre per farmi portare la roba da vestire
per oggi, domani e dopodomani.
‒ Dopodomani? ‒ Replicò Ezio con aria smarrita.
‒ Non rimaniamo a dormire da te?
‒ Hai ragione, fortuna che me l'hai ricordato. ‒ Rispose allora
Ezio, con un tono che lasciò credere a Pietro che se ne fosse
dimenticato.
Pensando nel frattempo che, se quella conversazione non
avesse avuto luogo, avrebbe rischiato di finire a dormire in
mezzo alla strada rispose: ‒ Ok, perfetto. Allora ci rivediamo
questa sera all'ora di cena. Diamoci da fare.
‒ Per il pranzo chiedi alla cameriera, dovrebbe arrivare per le
undici. È sufficiente che tu le dica a che ora vuoi mangiare e
cosa vuoi mangiare e lei farà il resto. Non c'è bisogno che ti
dica di fare come se fossi a casa tua. A stasera. ‒ Lo salutò Ezio
voltandosi e uscendo in tutta fretta dalla sua stanza.
Nonostante la situazione richiedesse un’azione rapida da parte sua, si sentì comunque molto stanco e decise di sedersi sul
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letto di Ezio a risistemare le idee.
Il letto era a baldacchino, in legno massello scuro, come quelli che si vedono nelle rappresentazioni delle case dei nobili di
altri tempi. Le stesse coperte lasciavano intendere la classe di
Ezio e della sua famiglia, non si preoccupavano solo di mostrare agli altri di avere il meglio del meglio come facevano i cosiddetti ‘burini’ arricchiti, gente di campagna, ma si assicuravano di avere il meglio anche nei minimi particolari: le coperte
erano di seta e le cuciture lasciavano intendere l'ottima fattura.
Il pavimento era in parquet lucido e di colore più chiaro rispetto al legno del baldacchino, le pareti invece erano ricoperte da
carta da parati con un motivo geometrico. Il lampadario era in
ottone e pendeva da una catena, anch'essa di ottone, ancorata al
soffitto bianco. Gli altri elementi di arredamento, oltre al letto,
erano una cassettiera, un armadio a quattro ante ed una scrivania con libreria annessa, i quali, anche all'occhio poco esperto
di Pietro, sembravano mobili di notevole valore.
Riuscì a tornare dal viaggio nel flusso dei suoi pensieri solo
dopo qualche minuto e si rese conto di essere decisamente in
ritardo sulla tabella di marcia.
Passò il resto del pomeriggio al telefono. Chiamò la ragazza,
che non si lasciò convincere subito ad andare a dormire da sola
nella villa a Quarto Miglio. Sentì sua madre, la prima volta per
chiederle di portargli la borsa con le sue cose e la seconda per
ricordarle di mettere anche spazzolino da denti e rasoio. Chiamò infine i PR, con i quali perse la maggior parte del tempo,
data l'irreperibilità e la demenza che ne caratterizzavano la
maggior parte.
Arrivò alle sette di sera stremato e con lo stomaco praticamente vuoto, riempito, per modo di dire, solo da un panino con
la mortadella. Non aveva avuto il tempo di sfruttare l'irripetibile occasione di avere una schiera di domestici al suo servizio.
Sentì delle voci provenire dalla tromba delle scale, ma le
ignorò, era troppo stanco per interessarsene. Dopo poco scoprì
a chi appartenevano: erano le voci di Ezio e dei due facchini
che aveva pagato per trasportare l'attrezzatura noleggiata per la
festa.
‒Vedo che anche tu non hai passato un pomeriggio rilassante
disse Pietro, percorrendo il corridoio in direzione dell'amico.
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Ezio aspettò che i facchini se ne fossero andati prima di rispondere.
‒ No per niente, però alla fine sono riuscito a risolvere tutto.
A te come è andata? Tutto liscio?
‒ Sì, anche se è stata più dura del previsto.
‒ L'importante è che sia andata. ‒ Disse Ezio sistemandosi la
camicia e scortando l'amico verso la cucina. ‒ Ora rimane solo
la parte più facile del lavoro: godersi la festa.
Chiamò la cuoca e le chiese di cucinare un pasto abbondante:
come primo delle tagliatelle al sugo di capriolo e per secondo
una tagliata di Chianina. Pietro, ringraziò in cuor suo l'amico
per aver utilizzato l'aggettivo “abbondante”, stava morendo di
fame ed aveva veramente bisogno di qualcosa di sostanzioso.
‒ Questa sera, amico mio, ti presenterò mio nonno, di solito
passa le giornate nella sua stanza. Da quando è morta la nonna
è venuto a stare qui, anche se non si vede mai. Dato che oggi
ceniamo presto, siederà a tavola con noi. Mi raccomando, non
dare troppo ascolto a quello che dice. ‒ A quest'ultima affermazione non seguì una risata come Pietro si aspettava, così ne
concluse che Ezio dovesse vergognarsi per qualche motivo di
suo nonno.
Ezio non accettava di farsi vedere debole dagli altri. Il sentimento che meno gli piaceva di vedere sul volto di chi gli stava
intorno era la compassione. Quando stava male sminuiva i dolori o i disagi che la malattia gli procurava. Ci provava solo con
le ragazze alle quali sapeva per certo di piacere oppure, in assenza di queste, con ragazze facili.
Non voleva solo apparire un vincitore, doveva esserlo.
Diceva spesso che quando appari per ciò che vorresti essere
convinci tutti, tranne te stesso, ma quando sei ciò che appari
allora convinci anche te stesso, il giudice più severo. Questa
singola frase spiegava tutti i comportamenti ed il carattere di
Ezio.
Attesero che la cena fosse pronta, giocando con il biliardo
che stava in sala hobby e che, nonostante il suo costo, non era
uno dei passatempi preferiti di Ezio.
Quando la cameriera li chiamò, Pietro stava infatti vincendo,
gli mancava di imbucare solamente la palla numero uno per
poter chiudere la partita. La fame in quel momento era però più
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forte di qualsiasi desiderio di vincere e quindi interruppero la
partita proprio al momento del tiro della vittoria.
Il nonno di Ezio, un certo Terenzio, di cui Pietro aveva solo
sentito parlare, li aspettava già seduto in tavola. Aveva un’aria
molto lugubre e scatenò, a prima vista, un sentimento di inquietudine in Pietro, che esitò qualche attimo prima di porgergli la
mano quando gli si presentò.
Nell'aspetto era un ordinario vecchietto. Aveva i capelli bianchi radi ai lati e dietro la testa, mentre erano completamente
assenti sulla fronte. Folte sopracciglia, anch'esse bianche, lo
facevano sembrare perennemente accigliato. Profonde rughe gli
solcavano il volto ed erano ben visibili anche sul dorso delle
mani. Sembrava di corporatura esile, ma non si poteva dire con
certezza, dato che indossava una maglietta molto grande, che
mascherava la sua fisionomia.
Dopo aver stretto la mano al nonno, quest'ultimo si sedette di
nuovo a capotavola, mentre Ezio e Pietro si sedettero uno di
fronte l'altro sui due lati più lunghi del grosso tavolo rettangolare.
Tra il primo ed il secondo, Pietro si accorse che Terenzio lo
fissava e per allontanare la sgradevole sensazione di inquietudine che quell'uomo provocava in lui, fece vagare lo sguardo per
la stanza. Era una delle stanze che frequentava meno quando
era a casa di Ezio e sfruttò l'occasione per cogliere dei particolari che nelle sue rare visite gli erano sfuggiti. Si accorse, ad
esempio, di una nota fuori tono rispetto all'armonia generale
che regnava nel resto della casa: tra un perfetto battiscopa in
legno ed una pregiatissima carta da parati, nell'angolo più lontano dall'entrata, c'erano delle tracce di muffa. Era una piccola
imperfezione, ma, ora che l'aveva notata, il suo sguardo continuava a caderci, così come si dice che la lingua batta sempre
sul dente che duole.
Gli piaceva quella piccola macchiolina scura. Dava un tocco
di realtà ad una reggia fin troppo surreale, dove il lusso, l'asetticità e la totale assenza di disordine davano l'impressione che
nessuno ci vivesse.
Riuscì a distrarsi dallo sguardo pesante del nonno, fino a che
quest'ultimo non decise di rivolgergli la parola.
‒ Tu sei l'amico di mio nipote.
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A Pietro non sembrò una vera e propria domanda, sia per l'intonazione con cui gli era stata posta, sia per il fatto che, se lo
era, non aveva molto senso, ma quando vide che Terenzio iniziò ad assumere un'espressione sempre più severa, si affrettò a
rispondere affermativamente.
‒ Non ti ho mai visto, ma qualche volta dalla mia stanza ho
sentito chiamare il tuo nome da Ezio, quindi non è la prima
volta che vieni qui.
Anche questa volta Pietro impiegò un tempo piuttosto lungo a
rispondere, dato che non sapeva assolutamente come continuare la conversazione e che lo sguardo fisso del nonno, interrotto
di rado da battiti di ciglia, non lo aiutava.
‒ Ha ragione signore, è da parecchi anni che Ezio ed io ci conosciamo, ed anche per me questa è la prima volta che la incontro.
‒ E dimmi ragazzo, ‒ lo interruppe il nonno dando l'impressione di disinteressarsi completamente delle parole di Pietro ‒
cosa ne pensi della politica? E cosa pensi del fatto che il movimento secessionista del nord Italia, il partito del MSNI, abbia
vinto le elezioni il mese scorso?
Pietro si era da sempre disinteressato di politica: era convinto
che le uniche cose sulle quali i vari governi potessero realmente
intervenire fossero poche. Le cose che contavano veramente,
come gli affetti, la famiglia, l'arte e la conoscenza, mai sarebbero state influenzate da quei quattro vecchi che non sapevano
decidersi su nulla. Nonostante ciò provò comunque a dare una
risposta che soddisfacesse la curiosità del nonno.
‒ Penso che sul fatto che abbiano ragione o meno si possa
discutere all'infinito senza trovare un punto di accordo, ma penso anche che se vogliono davvero separare l'Italia occorre che
questa separazione sia fatta con criterio e soprattutto consultando i cittadini. È possibile, secondo me, che una città che si trovi
geograficamente al nord, non voglia essere separata dal sud o
viceversa. È una scelta che va compiuta con le dovute precauzioni.
L'angolo sinistro della bocca di Terenzio si sollevò per un
attimo, in quello che poteva essere un accenno di sorriso.
‒ Bravo ragazzo! ‒ Esclamò all'improvviso. ‒ Mi piace come
ragioni. Bravo anche tu Ezio, vedo che sai sceglierti gli amici.
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La tensione generata da quell’interrogatorio, dallo sguardo
fisso del nonno e dalla sua figura, si sciolse definitivamente
quando Terenzio mostrò finalmente i denti in un sorriso pieno.
La conversazione proseguì per il resto della cena e si protrasse a lungo anche dopo di essa in un clima di tranquillità. L'unico che invece continuò a mostrarsi teso per tutta la serata fu
Ezio, che, secondo Pietro, aveva ancora paura che il nonno lo
mettesse in ridicolo.
Dato che la conversazione continuò più a lungo di quanto
previsto, Ezio e Pietro si fecero portare dei sorbetti per rinfrescarsi la gola, mentre Terenzio optò per un liquore amaro.
Il sorbetto fu servito loro in due calici da spumante, mentre al
nonno venne portata una bottiglia di amaro accompagnata da
un semplice bicchiere di vetro.
Pietro era a metà della sua porzione di sorbetto che, a suo parere, era il migliore che avesse mai assaggiato, quando suonò il
campanello. Si aspettò che Ezio si alzasse da tavola per andare
a vedere chi fosse, ma, come spesso accadeva, si era dimenticato dell'invisibile e silenzioso esercito che il suo amico aveva a
disposizione in casa propria.
Dopo poco tempo giunse in sala da pranzo un domestico piuttosto giovane che Pietro non aveva mai visto. Poteva avere al
massimo la loro età.
‒ Signor Ezio. ‒ Disse il giovane con la timidezza di un bambino che confessa ai genitori di aver commesso una marachella.
‒ La madre del signor Pietro è qui e dice che è venuta a portargli la valigia con le sue cose. La faccio entrare?
‒ Certo. ‒ Rispose prontamente Ezio ‒ Ed anche di corsa, non
farla aspettare.
Dopo neanche un minuto la mamma di Pietro entrò in sala da
pranzo, scortata dal domestico che reggeva la valigia.
Ezio si alzò immediatamente per salutare la sua ospite, per la
quale aveva avuto da sempre un riguardo speciale, mentre il
nonno si limitò a fare un cenno con il capo.
‒ Buonasera Nadia. ‒ La accolse. ‒ Come sta? Prego si accomodi, si sieda con noi.
‒ Ezio, sempre così educato, ma ti ho detto almeno un milione di volte di non darmi del lei, mi fai sentire vecchia. ‒ Disse
ridacchiando, con aria quasi civettuola.
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Si voltò poi in direzione del figlio, che nel frattempo aveva
colto l'occasione per finire il suo sorbetto e che si stava alzando
solo in quel momento per andare a salutarla.
‒ Dovresti prendere esempio dall'educazione del tuo amico. ‒
Lo rimproverò bonariamente Nadia, alludendo forse anche
all'indifferenza con la quale era stata accolta da Terenzio.
‒ È colpa dei miei genitori se non ho una buona educazione.
Rispose Pietro stuzzicando la madre. Era una scenetta usuale
ed Ezio era oramai abituato a questi finti battibecchi tra madre
e figlio, ma comunque lo divertivano.
Quella sera Nadia andava piuttosto di fretta, cosa che Pietro
dedusse dal fatto che non si era accomodata per la solita piacevole chiacchierata che intratteneva con Ezio ed i suoi genitori
quando veniva a trovarli.
Indicò la borsa al figlio dicendo: ‒ C'è tutto quello che mi hai
chiesto ed anche qualcosa in più, mi raccomando di non arrecare troppo disturbo ad Ezio che ti ospita.
‒ Non si preoccupi ‒ intervenne Ezio ‒ ci divertiremo ed è
suo figlio che fa un favore a me rimanendo, non il contrario.
‒ Va bene ‒ sorrise Nadia ‒ ma non fate troppi danni, io ora
devo andare che è quasi mezzanotte e devo andare a prendere
quegli altri due.
‒ Non mi ero accorto che fosse così tardi ‒ esclamò sorpreso
Pietro. ‒ Dove devi andare a prenderli?
‒ Ad una festa di un loro amico, ora devo veramente scappare, ci vediamo, buona serata e, Ezio, ricordati di salutarmi i
tuoi.
Pietro si ricordò solo allora di Terenzio, che era rimasto per
tutta la durata della conversazione in disparte a bere. Doveva
aver scolato un bel po' di liquore, a giudicare dal livello del liquido nella bottiglia. Pensò di dover avvertire Ezio, ma poi decise che il problema non lo riguardava e si voltò per prendere la
sua valigia dal domestico. Notò che nel frattempo la madre se
ne era andata molto silenziosamente e molto in fretta.
Andarono a letto molto presto, Ezio nella sua stanza e Pietro
in quella degli ospiti, lì accanto.
Appena entrato nella sua stanza posò la sua valigia sul letto,
fece scorrere la zip e la aprì. Ad una rapida occhiata sembrava
esserci tutto, poi, cercando il pigiama, si accorse che sua madre
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lo aveva dimenticato.
In un'altra occasione sarebbe potuto andare a dormire con ciò
che aveva addosso, ma aveva i vestiti contati per i giorni a venire e quindi decise di andare a chiedere un pigiama ad Ezio.
Percorse il breve tratto di corridoio che separava la propria
stanza da quella del suo amico e, vedendo la porta accostata,
entrò dimenticandosi completamente di bussare.
Quello che vide non gli piacque affatto: Ezio stava bevendo
del liquore da un bicchiere che neanche cinque minuti prima
doveva essere stato pieno. Era seduto, rivolto verso la finestra e
con le gambe sul davanzale.
Non era un bigotto, secondo lui andava bene bere alle feste o
magari durante i pasti, ma non andava affatto bene bere dei superalcolici di nascosto e peggio che mai da solo.
‒ Scusa non ho pensato a bussare, se vuoi me ne vado, mi
serviva solo un pigiama. ‒ Disse freddamente rimanendo sull'uscio e tenendo ancora la mano sulla maniglia della porta.
Ezio nemmeno si girò per rispondergli e mantenne lo sguardo
fisso fuori dalla finestra.
‒ Terzo cassetto in basso. Prendi quello rosso, credo ti andrà
bene.
‒ Ok, grazie. ‒ Intanto si era già allontanato dalla porta e si
stava dirigendo verso la cassettiera, dinnanzi alla quale si piegò, aprì il terzo cassetto e, individuato il pigiama lo afferrò. Richiuse poi il cassetto e si diresse verso la porta della stanza, con
l'intenzione di ignorare ciò che aveva visto. Fece tutto ciò molto meccanicamente, come una marionetta comandata da un burattinaio inesperto.
Quando fu a meno di due passi dall'uscio della stanza, fu
bloccato inaspettatamente dalla voce dell'amico.
‒ Non sono un alcolizzato, è solo che non riesco a dormire. ‒
Finalmente si voltò e Pietro vide per la prima volta la tristezza
e la malinconia sul volto del suo amico. ‒ I miei sono sempre in
viaggio o comunque lontani da qui, vivo con mio nonno che,
come avrai potuto notare, non ci sta più tanto con la testa, e con
i camerieri. Tutto questo l'ho sempre potuto sopportare, non mi
ha mai pesato più di tanto. Ultimamente però si è aggiunto un
nuovo problema, se così si può definire. Non so se l'hai notato,
ma da qualche giorno si respira un'atmosfera strana a Roma: è
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