72 - Anafi

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72 - Anafi
a cura di Delia Pertici
UNA INIEZIONE AL POSTO DELLA CASTRAZIONE?
I ricercatori della Università della California stanno perfezionando una procedura che, di fatto, immunizza i vitelli maschi dalla mascolinità! Si tratta di una iniezione
che induce i maschi a produrre degli anticorpi contro
uno degli ormoni necessari a produrre testosterone. Come si sa, il testosterone, prodotto dai testicoli, stimola
l’attività sessuale, e, nei bovini da carne, pare provochi
un indurimento delle carni.
Ricerche fatte sul comportamento degli animali hanno dimostrato che i maschi immunizzati non sarebbero
più aggressivi di quelli castrati. Inoltre, non sono state rilevate differenze significative sulla qualità della carne. È
dal 1980 che gli scienziati lavorano a questo metodo di
sterilizzazione ,ma fino ad oggi erano state necessarie almeno 4 immunizzazioni. I ricercatori dicono che questa
nuova formula funziona bene con solo due iniezioni, ma
stanno ancora perfezionandola per evitare indesiderati
effetti collaterali e renderla accessibile dal punto di vista
commerciale.
ARRIVA IL FREDDO, ATTENZIONE AI CAPEZZOLI
Con l’inverno, come ogni anno, iniziano i problemi ai
capezzoli ed iniziano sulle riviste di settore i consigli
dei tecnici che si occupano di questo problema. È rassicurante constatare che tutti arrivano più o meno alle
stesse conclusioni e danno quindi, più o meno, gli stessi consigli. Ma, si sa, le cose ripetute non fanno mai
male, quindi...
Leo Timms, specialista della Università dell’Iowa, è
convinto che per controllare davvero se ci sono o no lesioni sulle punte dei capezzoli, la cosa giusta da fare sia
“girarli” ed osservarli da vicino, altrimenti non si saprà
mai che queste lesioni esistono.
Per mantenere i capezzoli morbidi e puliti e minimizzare i traumi cui sono sottoposti d’inverno, il professor
Timms dà i seguenti suggerimenti:
• assicuratevi che tutta l’attrezzatura della sala mungitura funzioni perfettamente;
• fate attenzione all’igiene in sala mungitura tenendo
le mani pulite ed utilizzando salviette monouso per pulire e asciugare i capezzoli;
• evitate la sovramungitura, cioè il tempo di attacco
dei gruppi, senza però modificare la fase di massaggio;
• fissate una routine di lavoro che consenta di attaccare il gruppo entro un minuto, un minuto e mezzo dalla
prima stimolazione;
• con il freddo, lavate e asciugate i capezzoli senza
strofinarli;
• scegliete una soluzione disinfettante dopo mungitura (post-dip)che contenga germicida e dal 5 al 10% di
balsamo.
Larry Fox, insieme ai suoi colleghi della Washington
State University, ha condotto una ricerca sulla possibilità
di continuare a immergere i capezzoli in inverno. Ecco i
suoi consigli derivati dai risultati della ricerca:
• sia per la pre che per la post- immersione, bisogna
utilizzare un prodotto che contenga un balsamo tipo lanolina o glicerina.Attenzione però a che la concentrazione non superi il 10% perché una concentrazione più alta
potrebbe interferire con la capacità battericida del prodotto;
• bisogna assicurarsi che sia il prodotto utilizzato per
il pre-dip che per il post-dip contenga lo stesso germicida, come per esempio clorexidina o iodio;
• non vanno utilizzate creme o balsami per mammelle. I ricercatori hanno scoperto che queste creme non
solo non migliorano la condizione della epidermide dei
capezzoli, ma per di più possono favorire la crescita dello Staf.aureus, più di quanto possano fare le soluzioni disinfettanti;
• infine, prima di fare uscire al freddo le vacche in
asciutta, i capezzoli vanno immersi quindi asciugati (non
strofinandoli, ma “assorbendo” la soluzione con una salvietta) almeno un minuto dopo l’immersione.
ALLA FINE, LA SABBIA CONVIENE Sean Tollenaar, un
allevatore californiano, è molto felice di aver deciso di
utilizzare la sabbia come lettiera per le sue cuccette. Dal
momento in cui è stata cambiata la lettiera, il signor Tollenaar ha notato che le vacche sono più pulite, le cellule
somatiche sono scese, e le vacche sembrano anche più
felici.
Inoltre, sembra che la sabbia si ripaghi da sola contribuendo ad una maggiore produzione di latte. Prima dell’uso della sabbia, la media dell’allevamento era di 30-31
litri al giorno; dopo le prime 3 settimane con lettiera di
sabbia la media in cisterna è salita a 37 litri al giorno!
L’allevatore non sa se e quanto di questo aumento sia dovuto al solo utilizzo della sabbia, anche perché contemporaneamente sono migliorate le condizioni atmosferiche e la razione è stata aggiustata, ma è sicuro che basta
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un litro di latte in più al giorno per compensare il costo
della sabbia, o forse ancora meno se si considera un
prezzo del latte di 10 dollari/100 libbre (circa 364 Lire/litro con 1$ = Lit. 1650). Poiché la sabbia costa 10 dollari
alla tonnellata ed ha calcolato che ne usa circa 18 kg per
vacca/giorno, il signor Tollenaar spende quindi Lit.
297/vacca/giorno.
BREVI NOTE SULLE ULTIME RICERCHE NEL CAMPO
DELLA ALIMENTAZIONE Come ogni anno, anche
quest’anno il convegno della American Dairy Science Association e della American Society of Animal Science (Associazione della zootecnia da latte americana e Società
americana di Zootecnia), tenutosi a Denver, nel Colorado, ha riservato importanti novità nel campo della ricerca sulla alimentazione e gestione del bestiame da latte.
Basti tenere conto che nei 4 giorni del convegno sono
state presentate ben 1.600 relazioni! Ecco, molto in breve, alcuni degli argomenti di cui si è trattato, come sono
stati riportati dalla rivista Dairy Today (USA).
Ph del rumine Negli ultimi due anni è stato dimostrato
molto interesse nel rapporto che esiste tra Ph del rumine e acidosi, zoppie e titoli.Alcuni ricercatori dello Stato
di New York hanno fatto una valutazione molto approfondita del rapporto esistente tra Ph del rumine e inversione dei titoli di grasso e proteina in due grandi allevamenti della loro zona, in cui gli animali erano alimentati con razioni simili.
Al momento dell’analisi (da 3 a 5 ore dopo la somministrazione della razione), in entrambi gli allevamenti circa il 18% delle vacche presentava una inversione in termini di percentuale di grasso e proteine. La media del valore del Ph ruminale (di animali con o senza inversione)
era 6,1 nell’ allevamento n. 1 e 5,8 nell’allevamento n.2.
Non è stato possibile stabilire nessuna relazione tra il Ph
ruminale ed il rapporto grasso/proteina, grasso percentuale o ulcere della suola.
È possibile che nell’allevamento n.2, quello con animali con la più bassa media di Ph, la somministrazione a
volontà di bicarbonato abbia contribuito a minimizzare i
problemi del basso Ph ruminale. E questo significa che
misurare i livelli del Ph ruminale in allevamento non
sempre aiuta ad identificare le cause del basso titolo di
grasso o della presenza di ulcere. Nel fare la diagnosi, bisognerà quindi considerare altre variabili alimentari, quale per esempio il quantitativo e la frequenza con cui viene somministrato il cibo.
I ricercatori del Wisconsin hanno riscontrato che vacche alimentate a volontà otto volte al giorno avevano
sempre un Ph più basso (5,9) rispetto a vacche con somministrazioni controllate (6,4) o alimentate a volontà
due sole volte al giorno (6,2).
La spiegazione di questi risultati potrebbe essere che
se gli animali ricevono una dieta che favorisce una rapida fermentazione nel rumine e in più vengono incoraggiati a mangiare spesso, gli alimenti sono sempre in fase
di fermentazione e l’azione tamponante della saliva potrebbe non essere sufficiente a neutralizzare gli acidi.
In altre ricerche condotte sul rumine, alcuni scienziati
della Università del Michigan hanno dimostrato che il lattosio favorisce una maggiore crescita delle papille ruminali rispetto al mais macinato finemente. La velocità del
tasso di accrescimento delle papille sulla superficie totale, è risultata raddoppiata con il lattosio. Per cui, sembra
che, nelle diete di transizione, lo zucchero sia più indicato dell’amido, anche se minime quantità di quest’ultimo
andrebbero comunque somministrate, visto che le vacche hanno bisogno di precursori del glucosio, non disponibili dallo zucchero.
Fosforo Dave Beede, della Università del Michigan, ha
presentato un’ottima relazione sulla ricerca sui fabbisogni di fosforo. La principale via di eliminazione del fosforo che rimane dopo essere stato utilizzato per il metabolismo, l’accrescimento e la produzione di latte, sono le
feci. Circa il 18% del fosforo somministrato lascia l’azienda sotto forma di latte o carne, per cui il riciclaggio e l’uso efficiente del fosforo diventa un importante aspetto
della gestione aziendale.
Ricerche svolte dal centro Ricerca Foraggi del Dipartimento Agricoltura Usa indicano che non ci sono problemi riproduttivi o produttivi derivanti dalla somministrazione di una dieta bilanciata per lo 0,35% di fosforo per
una intera lattazione, rispetto ad una dieta con lo 0,45%
di fosforo. È stato rilevato che le vacche alimentate con
meno fosforo erano più lente nel mostrare segni di calore dopo il parto, con un ritardo di circa 8 giorni, ma anche che il tasso di gravidanze per lattazione non era diverso, ed anzi sembrava leggermente in favore degli animali alimentati con meno fosforo (88% contro 79%).
In uno studio comparativo, il giusto apporto di fosforo
nella razione di vacche ad inizio lattazione è stato fissato
sullo 0,42%.Vacche alimentate con razioni contenenti lo
0,52% di fosforo eliminavano 12,6 gr di fosforo in più al
giorno.
Molte sono state le relazioni di studi
condotti sul confronto tra mais secco e mais ad alta umidità e sui vari stadi di macinatura della granella.
In generale, la conclusione della maggior parte delle
ricerche è stata che il mais finemente macinato aumenta
il tasso e la quantità di amido digerito dal rumine, e lo
stesso effetto ha la somministrazione di mais ad alta umidità rispetto al mais secco. Però, sia il mais secco macinato fine che il mais ad alta umidità, se utilizzati in razioni
tipo unifeed, hanno favorito una maggiore produzione di
latte. Uno studio condotto a Beltsville dal Dipartimento
Agricoltura Usa (Usda) indica che i risultati migliori si
hanno somministrando il 40% di mais secco ed il 60% di
mais umido.
Dalla analisi di oltre 13.000 campioni di mais è stata
rilevata una grande variabilità dei valori di proteina grezza (da meno 7% a quasi 11%), amido (dal 68% al 74%) ed
olio (dal 3% al 5%), il che significa che, al momento della
formulazione della razione, nessun valore può essere dato per scontato, ed è quindi sempre meglio fare analizzare il contenuto nutrizionale del mais che si ha intenzione
di utilizzare.
Granella di mais
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