Alias, 22 aprile 2012

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Alias, 22 aprile 2012
ALIAS DOMENICA
22 APRILE 2012
(3)
«LONDON CALLING», UN GRANDE AFFRESCO TRANSGENERAZIONALE DAL 1945 A OGGI
BARRY MILES
GERENZA
Richard Hamilton, dalla serie «Swingeing London», 1968
Alias Domenica
a cura di
Federico De Melis
Roberto Andreotti
Protagonista
dagli anni sessanta
delle tendenze off,
Miles legge la scena
culturale londinese
come un continuo
trascolare
dell’underground
nei suoi contrari
nomeno del West End: era lì che si
trovavano l’UFO Club, il Middle Earth, l’Indica Books, la redazione di
“International Times” (le ultime
due ’creazioni’ di Miles, ndr), l’Arts
Lab e altri centri di attività».
Ecco, in queste poche righe sono
definiti i luoghi, evidenziati i momenti storici salienti, individuati i
gruppi e le definizioni che li accompagnano: nel dopoguerra e per la
prima parte degli anni cinquanta il
clima è ancora quello della Bohéme, protagonisti sono poeti e pittori che vivono tra sogni di gloria e povertà quotidiana, figure tra le quali
spiccano scrittori come Tambimuttu e Julian Maclaren-Ross. Nomi
che oggi dicono poco, ma che hanno segnato quell’epoca e, soprattutto, sono i primi di una serie di figure oggi dimenticate, per molti aspetti straordinarie, che abitano il libro
e ne rappresentano la ricchezza
maggiore, sia per il carattere davvero spassoso di molti degli episodi
narrati, sia perché permettono di
evitare la consueta lista di celebrità
– che pure sono giustamente presenti in gran quantità – con relative
retoriche (a questo proposito, l’unica caduta riguarda le figure di Francis Bacon e Lucian Freud, i due
grandi pittori che appaiono a inizio
libro e si ripresentano con regolarità sino alla fine del volume, sempre
circondati da un’aura di maledettismo che francamente stona con il
successo ufficiale che è stato loro
tributato sin dagli anni sessanta; come se il fatto di avere vite sessuali
sregolate e frequentare bar malfamati garantisse una patente di alternativi a vita).
Gli anni cinquanta sono però anche quelli degli «Angry Young Men»,
gruppo di scrittori e commediografi
arrabbiati, da John Osborne a Colin
Wilson, baciati da improvviso e inatteso successo, dei primi vagiti della
nascente Pop Art rappresentata da
mostre epocali come This is Tomorrow, dalle note dello skiffle, la musica da ballo giovane che sostituiva il
tradizionale jazz, così come il «Bazaar» di Mary Quant invitava le giovani londinesi a gettare «via i guanti
bianchi e il cappello, via le borse abbinate alle scarpe».
Inizia così la seconda parte del volume, quella più ricca di nomi noti,
di episodi celebri, raccontata con il
gusto – e la naturale parzialità – di
chi c’era, e in un ruolo certo non secondario. È la stagione dell’amore
(libero e universale) che si sostituisce alla rabbia, degli allucinogeni
che si affiancano all’alcol e alla ma-
rijuana, del rock prima e della musica psichedelica poi, dell’affermazione della Pop Art – in realtà poco
amata da Miles – e delle performances, delle riviste underground o comunque in grado di intercettare
quel clima e quelle energie. Ed è, anche, la stagione in cui si assiste a
quel fenomeno che condurrà poi ai
nostri giorni, vale a dire l’irruzione
sulla scena dei mezzi di comunicazione di massa, autentica grancassa
di eventi che, altrimenti, non avrebbero avuto tale riscontro. Forse esagera un po’ Diana Athill quando scrive: «la maggior parte delle persone
che conoscevo sono andate a letto
tra di loro per anni senza chiamarla
rivoluzione sessuale. Jean Rhys era
d’accordo e sosteneva che quando
venne a Londra per la prima volta,
prima della Grande Guerra, tutti usavano sconsideratamente le droghe,
con l’unica differenza che i giornali
non ci marciavano», ma coglie uno
dei punti cruciali di queste vicende,
la trasformazione della trasgressione da fenomeno d’élite a fenomeno
di massa, come peraltro è naturale
che accada in una società che ha, a
sua volta, modificato profondamente la propria composizione.
In ogni caso, la pagine centrali del
libro, dove si raccontano il reading
di poesia dell’Albert Hall con effetti
esilaranti, il Destruction in Art Symposium del 1966 con Gustav Metzger come protagonista, la nascita e
la crescita di una rivista come «International Times», le serate all’UFO
Club dove nacquero i miti dei Pink
Floyd e dei Soft Machine, il «14
Hour Technicolor Dream», sono da
un lato effettivamente ricche di ogni
genere di droga e di vorticosi scambi di coppie, dall’altro evidenziano
l’instaurarsi di quel meccanismo
perverso per cui lo spettacolo (o l’articolo, la mostra, il brano musicale)
suscita scandalo nei benpensanti, la
polizia interviene, i giornali e la politica si dividono, in genere scatta la
censura ma al tempo stesso è garantita la celebrità ai protagonisti dell’evento.
L’evento più noto in questo ambito fu certamente l’arresto di Mick
Jagger, Keith Richards e del gallerista Robert Fraser, incastrati nel 1967
per possesso di droga e vittime di
una martellante campagna di stampa : fu in questa occasione che Richard Hamilton trasformò la Swinging London in Swingeing London,
segnando così uno spartiacque tra il
prima e il dopo di una rivoluzione
dei costumi comunque avvenuta. Al
di là dell’evidenziare i nemici di questa rivoluzione, che per Miles sono
in primo luogo la BBC e i giornali popolari, in secondo luogo la polizia,
in terzo luogo l’amministrazione
della giustizia, entità tutte rappresentate come un gruppo di vecchi,
ignoranti e in malafede, l’autore è
abile nell’evitare di manifestare troppo chiaramente le proprie predilezioni e avversioni (solo nei confronti degli omosessuali e delle donne vi
è un palese pregiudizio favorevole,
per cui queste categorie sono pressoché sempre vittime dell’arroganza maschile ed eterosessuale, posizione che naturalmente porta talvolta a giudizi quanto meno azzardati).
Ed è altrettanto abile quando affronta il fenomeno del punk e le più recenti manifestazioni artistiche londinesi, sulle quali il volume si chiude,
che sicuramente non sono nelle sue
corde, ma rispetto alle quali mantiene un’equilibrata posizione di osservatore, con la coscienza che già alla
fine degli anni «sessanta «l’underground era emerso ufficialmente, e
di conseguenza non esisteva più».
JANNE TELLER
di LUCA SCARLINI
discussione radicalmente le idee
ricevute. Un meccanismo
evidenziato in opere notissime
come Il signore delle mosche di
William Golding, Il sapore della
gloria di Mishima Yukio o Un gioco
da bambini di J.G. Ballard. Qui, in
una tediosa e quieta provincia,
accade che Pierre Anthon, studente
esistenzialista, decida di
annunciare, all’inizio dell’anno
scolastico, che se ne va dalla scuola,
perché ormai per lui niente ha più
senso. Devoto a un nichilismo
maniacale, si appollaia su un albero
e come un corvo sentenzia di fronte
ai suoi compagni, allo stesso tempo
irritati e sedotti. Questi, per
convincerlo che ha torto, decidono
di creare un simbolo: la «catasta del
significato», allestendolo nella
segheria abbandonata che è il loro
buen retiro, lontani dagli occhi
indiscreti degli adulti. Un mucchio
di oggetti particolarmente cari a
ognuno di loro, in cui dovrebbe
rifulgere il senso del mondo. Se
all’inizio la partita somiglia a un
gioco di società, rapidamente il tono
diviene lugubre e minaccioso. In
palio ci saranno la verginità di una
ragazza, un crocifisso (pesante e
difficilissimo da trasportare), il dito
pollice del capoclasse, con cui il
nostro si faceva bello suonando alla
chitarra le canzoni dei Beatles, la
testa del cane randagio Cenerentola,
la bara del fratellino di una delle
ragazze. Il risultato di questa azione,
progressivamente sempre più
violenta, sarà oggetto di attenzione
e discussione. I media sceglieranno,
per esorcizzare quell’immagine
disturbante, di vederla come un
gesto estetico, e un importante
museo americano giungerà nella
Londra, la dialettica
delle controculture
di WALTER GUADAGNINI
●●●«A differenza degli Stati Uniti
e di molti altri paesi, in Gran Bretagna la capitale culturale, quella politica e quella finanziaria coincidono.
Per diventare leader di uno qualsiasi di questi settori, bisogna trasferirsi a Londra»: è questo presupposto
a rendere possibile il grande affresco transgenerazionale London Calling di Barry Miles, la cui traduzione
italiana è stata recentemente pubblicata da EDT con il sottotitolo La controcultura a Londra dal ’45 a oggi
(pp. 518, € 23,00, 44 illustrazioni).
In effetti, Parigi e Londra sono le
due metropoli che hanno segnato la
cultura del ventesimo secolo in Europa, sono state le uniche due capaci, in tempo e modi diversi, di imporre modelli di vita e di pensiero differenti da quelli americani. Ma, come
dice Vivienne Westwood, «non esiste nessun posto come Londra. Nessun posto in assoluto. Parigi è molto
più bella da visitare. I francesi hanno gusto. Se c’è un monumento è disposto in maniera adeguata e apprezzato sul serio. Lo sviluppo di
Londra è davvero incontrollato e se
hanno un monumento lo mettono
dietro un angolo dove non si riesce
a trovarlo. È tutto alla rinfusa».
Ed è proprio in una Londra caotica, fatiscente, devastata dalle bombe naziste, stremata dal conflitto
che iniziano le vicende raccontate
da Barry Miles, a sua volta protagonista della scena londinese a partire
dagli anni sessanta, proprietario di
gallerie off, coeditore di riviste underground, frequentatore di pub e
club con artisti annessi, insomma il
Virgilio giusto per questo genere di
viaggio. Un viaggio che in realtà
non abbisogna di grandi mezzi di
trasporto; come sottolinea l’autore
in avvio di volume, «questo libro è
ambientato in gran parte nel West
End: è la calamita che attira la gente
a Londra. L’atmosfera bohémien di
Fitzrovia e Soho durante la guerra
coinvolse la generazione successiva
(...). I beatnik dei primi anni Sessanta si raggrupparono a Fitzrovia, intorno a Goodge Street (...). La scena
underground di Londra negli anni
Sessanta era percepita come un fe-
Bambini terribili
alla danese:
nichilismo
incalzante,
favola nera
del Significato
●●●Janne Teller è una voce
precisa nel panorama danese degli
anni recenti: puntuale è la sua
visione critica del mondo
scandinavo, apparentemente così
certo nei propri valori e rivelato nei
suoi doppi fondi. Iperborea aveva
pubblicato nel 2001 L’isola di Odino
e ora Feltrinelli manda in libreria il
suo romanzo più noto, Niente (2000,
nella vivace traduzione di Maria
Valeria D’Avino, pp. 199, € 12,00),
già uscito, alla chetichella, da
Fanucci con il titolo improbabile
L’innocenza di Sophie.
In questo libro, altrettanto
censurato e premiato in Europa,
siamo nel solco di una tradizione
distopica di lunga data e
nobilmente frequentata: quella dei
«bambini terribili» che mettono in
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In copertina di «Alias-D»:
Edouard Manet, «Le Chemin de fer»,
1872-’73, Washington, National Gallery
In piccolo: Barry Miles, con occhiali,
insieme ad Allen Ginsberg e Gordon Ball
(che fa la lingua) ad Albany, NY, nel 1971,
Miles Collection
remota contrada per acquistare il
manufatto, nato dalla disperazione.
Eppure, malgrado le interviste e i
passaggi tv, Pierre Anthon non
demorde dal lanciare le sue critiche
rabbiose. Infine la performance
messa in atto dai suoi compagni di
classe si conclude con la sua
eliminazione, per linciaggio, e con il
rogo del loro luogo-simbolo. Tutti
poi si affrettano a lasciare quei lidi e
si trasferiscono altrove: ognuno
porta con sé un recipiente con
dentro la cenere della segheria,
interrogandosi sul perché di una
azione così risolutiva, certi
comunque che «con il significato
non si scherza».
La scrittura di questa notevole
favola nera è incalzante, precisa,
millimetrica nel narrare la spirale di
terrore che si cela dietro la
quotidianità più trita e prevedibile.