Epigrafe etrusca inedita in un cippo di Castel d`Asso

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Epigrafe etrusca inedita in un cippo di Castel d`Asso
Epigrafe etrusca inedita in un cippo
di Castel d'Asso
di Cesare Martinelli
I1 padre Pio Semeria (I), in quattro pagine diverse della sua opera inedita, divisa in dieci volumi, ci riferisce di
un cippo sepolcrale iscritto, trovato a Castel d'Asso nel
1827. La scoperta non fu mai diffusa attraverso la stampa, né dall'orioli, (grande amico del Semeria, che già prima di quell'anno gli aveva segnalato e trascritto numerose
epigrafe etrusche e latine), né da altri studiosi coevi e posteriori. Infatti l'iscrizione non si trova nel CIE (Corpus
Inscriptionum Etruscarum) del 1970 e del 1982, né nel
ThLE (Thesaurus Linguae Etruscae) 111978 e primo suplem mento del 1982.
La descrizione del cippo in quattro passi delle sue memorie trova motivazione nel fatto che l'autore lo volle illustrare sia nei volumi redatti per argomento, che in quello
come dizionario e repertorio alfabetìco. Per comodità degli
studiosi, è opportuno trascrivere alla lettera il testo del
Semeria, insieme con la riproduzione fotostatica dell'epigrafe, dei disegni e della traslitterazione.
1) - volume terzo, capo XIV, p. CC11 - «Raccolta di
iscrizioni etrusche»
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ni etrusche su basi quadrate (3) si possono vedere nel Gabinetto Accademico (4). 1 ? 144 2
f
Nel 1827 n'è stata trovata una in u n a m
grotta di Castel d'Asso, scritta sulla base. Le colonnette di Castel d'Asso hanno base quadrata
con colonnetta che termina in sezione di sfera».
73
3) - volume quarto, lettera S, p. 331 - «Dizionario e repertorio alfabetico» «S». Questa lettera presso gli Etruschi ha diverse forme ...
La
etrusca rivoltata ed incurvata divenne la
S latina. V. alfabeto etrusco. A Castel d'Asso sulle
iscrizioni delle facciate si
; ma in cippo
vede la
sepolcrale trovato dentro una grotta si trova
la 2 . ~ c c o n la
e iscrizione etrusca, composta di
sole due righe».
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4) - Volume quarto, voce «scoperte», p. 354 - «Dizionario e repertorio alfabetico».
«A Castel d'Asso è stata scavata una grotta, accanto e
«Trovata a Castel d'Asso nel 1827 in colonnetta o ci^alla
dritta della grotta nella cui facciata si vede l'iscriziopo di tufo, che stava dentro una grotta sepolcrale stivata
di terra; vicino cioè alla grotta, a cui corrisponde la fac- ne 5 a del n. 6 (V.p.CC) (5), e sotto il tufo per cui si sale
ciata scritta, da cui si è distaccato un pezzo scritto ( 2 ) ~ . al poggio. Essa è a non piccola profondità, e così stivata
Segue la traslitterazione e traduzione, che secondo l'au- di terra, che tocca la volta, e pare che faccia con essa
t o r e è « C A L 1 5 1 7 E S . m = CalisiusoCa- continuazione.
Gli scavatori di
lisia annorum III».
Dopo aver espunto alcune righe contenenti notizie ri- poco coraggio sono
tenute non pertinenti od inesatte, prosegue: «In tale grotta entrati dentro poè stato trovato un altro cippo consimile, con base quadra- chissimo, e vi hanno
ta e colonnetta che termina in tondo. La grotta è stivata trovato due cimi O
di terra che tocca la volta. Chi l'ha scavatafino alla porta colonnette; e sulla
di un
o poco più, ha abbandonato l'impresa per le sue difficol- base quadrata
.
tà. I cippi a colonetta nelle grotte di Castel d'Asso sono cippo si legge:
frequenti».
Questi cippi sono di tufo del luogo».
2) - volume quarto, p. 90 - «Dizionario e repertorio alf abetico, voce cippo».
Cippo , V. etc.-I cippi sepolcrali sono colonnette iscrit(3) Due erano senz'altro quelli di cui ai CIE 5888 e 5896, trovati
te, innalzate sui sepolcri. Sono anche una pietra ritonda- nel 1694 alla «Cipollara» e relativi alla gens PEPNA. I1 terzo è o il preta in cima per chiudere l'ingresso di certe cavee in maniera sente, andato poi distrutto o disperso, oppure è da comprendersi in
di forni. V. Colonnette e Cipollara. Tre cippi con iscrizio- quello del CIE 5896 in quanto gemino (conformato a parallelepipedo
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(1) Sulla sua vita e bibliografia, v. A. Carosi, I1 domenicano padre
Pio Semeria e le sue memorie, in Biblioteca e Società, 111, 1981, 1, pp.
27-30.
(2) - I1 pezzo staccato e scritto, a cui si riferisce, riguarda la stessa
epigrafe di cui si parla nella descrizione n. 4) ed erroneamente egli dice: «... nella cui facciata si uede l'iscrizione...».
con sopra impostato due piramidi tronche e contenente due distinte
iscrizioni: di un VEL PEPNA e di sua moglie RAMTHA RITNEI).
(4) I1 Gabinetto Accademico (cioè dell'accademia degli Ardenti) fu
praticamente inaugurato il 17 gennaio 1821 quando, come ci riferisce
il Semeria a p. CLXXIX del suo terzo volume, «vi furono trasportate
dall'Archivio pubblico le Anticaglie, ossa fossili, libri, etc.».
(5) Vol. 3O, dove riporta l'epigrafe di cui al CIE 5850, già scolpita
sulla fronte della tomba n. 22 (numerazione Di Paolo-Colonna).
Circa il luogo preciso del ritrovamento, il Semeria ci
dice essere «pochissimo dentro ad una grotta nella cui facciata si vede l'iscrizione 5a del n. 6», che è quella della
tomba n. 22, «e sotto il tufo per cui si sale al poggio». Infatti, come da autopsia effettuata di recente, il punto piii
comodo per salire al poggio è quello attraverso la scalinata
«alla dritta» (e meglio conservata, anche se mancante della parte iniziale) della suddetta tomba 22, sotto cui si apre
la «grotta» del ritrovamento, cioè la tomba 23.
Per un miglior chiarimento di quanto riferito, riproduco la planimetria parziale della zona, tratta dall'opera di
Elena Di Paolo e Giovanni Colonna (6).
I1 Semeria ci fornisce del cippo ben tre disegni sia pure
modesti), cinque apografi ed una traslitterazione e traduzione, che per lui sono CALISITES.
= Calisius
o Calisia annorum 111, cioè di Caliso o Calisa di anni tre.
Per quanto riguarda il secondo lemma, esaminando gli
apografi, sarei piii propenso a leggere M = S («san»dorico), lettera che starebbe a connotare l'abbreviazione del
prenome SeSre = SETHRE (8).
I1 gentilizio, che il Semeria vuole che sia Calisites, potrebbe invece essere Calisines, forma anaptittica del più
comune Calisn-, forma sincopata e perciò più peculiare del
periodo ellenistico. Un gentilizio Calisini, di epoca recen-
E. Di Paolo - G . Colonna, op. cit., Planimetria parziale della necropoli.
Poiché non è nelle mie intenzioni effettuare uno studio sui cippi a colonnetta, o d'altro tipo, ma di esaminare
solo l'iscrizione contenuta nel nostro, dirò soltanto che
ben altri ventidue sono i cippi con epigrafi etrusche ritrovati nel territorio del Comune di Viterbo (7), e tutti di
epoca ellenistica.
Il Semeria ci fornisce del cippo ben tre disegni sia
pure modesti), cinque apografi ed una traslitterazione e
traduzione, che per lui sono CALISITES. = Calisius
(6) E. Colonna Di Paolo - G. Colonna, Caste1 d'Asso (Le necropoli
rupestri dell'Etruria meridionale, I), Roma, 1970, Tav. f.s. A.
(7) Per essi rimando al mio libro dattiloscritto presso la BibIioteca
Provinciale A. Anselmi di Viterbo: C. Martinelli, Le iscrizioni etrusche di Viterbo e del suo territorio comunale, Viterbo, febbraio 1987,
schede 7, 18-20,31,54, 70, 71, 78,97, 101, 102, 126, 127, 197,200,
204-206, più le schede 232, 233 e 235 relative a cippi trovati nel «Viterbese» (molto probabilmente nel Comune di Viterbo).
te, è stato trovato in una località incerta di Chiusi (CIE
1939). La lezione Calisines sarebbe soprattuto giustificata se, come possibile, ci fossa stata una leggera sbrecciatura nell'angolo destro del cippo, della quale il Semeria
che lui ha visto
non ci ha fatto cenno (9). I1 segno
i , cioè n. Se ciò
otrebbe essere in questo caso un
fosse vero non ci troveremmo, come gih notato, di fronte
ad un «hapax», mentre lo sarebbe se il gentilizio fosse Ca-
+
+
(8) Questo prenome compare una sola volta a Ferento nella funzione genitivale semplice sébres; due volte a Musarna, sia nella funzione
soggettiva sébre che in quella possessiva aggettivale SebreSa; infine due
volte alla «Cipollara» in una medesima iscrizione (CIE, 5740), sia in
funzione soggettiva (femminile) sébra, che in quella genitivale semplice sébres, seguita dall'apposizione sec = figlia. Vedi C. Martinelli, o.c.,
schede 17 33, 45 e 91.
(9) ~ u d c o s del
a genere è avvenuto nel cippo di San Cataldo (v. mia
scheda 17), dove della e iniziale dell'iscrizione eca subi.. . si intravedono appena, e parzialmente, i tre trattini obliqui.
lisites, Inoltre lo stesso gentilizio, nella forma sincopata
Calisn - è attestato di un'iscrizione (CIE 5740) trovata i n
località Cipollara, cioè a 8 K m di distanza in linea d'aria,
la quale è anche la medesima iscrizione in cui compare due
volte anche il nostro prenome ipotizzato (IO). Parlando
sempre di questa iscrizione della Cipollara c'è d a asservare che l'apografo tratto dalla «Borgiana lucubratio» di Ann i ~ d, a cui gli studiosi hanno effettuato la traslitterazione,
non è una perfezione di riproduzione d'epigrafe, per cui
le differenze fra quel gentilizio e quello del nostro cippo
potrebbero essere ancora ridotte.
Pertanto l'iscrizione dovrebbe essere:
calisiltes (o calisi/nes) . S(ebre)
(10) v. nota n. 8
Nelle varianti Calisn(, Calisna, Calima(, Calisnal, Calisnai, Calisnei, Calisnés, Calisni, Calisunis (altra forma anaptittica?) e Kalisnii il nostro gentilizio è presente solo in
area settentrionale, specialmente a Chiusi e a Perugia (cfr.
ThLE I, p. 92, e 1 Suppl., T h L E I, p. 23). U n gentilizio
arcaico Kalisenas compare ad Orvieto nel V sec. a.C. (St.
E t r . XL, 1972, p. 405, n . 9).
Nelle nostre zone è presente in due casi a Tuscania e d
uno, come già detto, a Viterbo, i n località Cipollara:
Calisnei Tuscania. Moretti, I Curunas di Tuscania, 1983,
p. 87, n . 1
Calisnial Tuscania C I E 5728 (TLE 191)
Calisnial Viterbo (Cipollara) CIE 5740
Concludendo l'esegesi di questa iscrizione, confido di
aver portato alla luce e d all'esame degli studiosi un'altra
interessante testimonianza della lingua dei nostri padri.
Tratto da un vecchio giornak del 1948, ripubblichiamo questo poetico ricordo della Cattedrale di S.
Lorenzo com'era prima delle distruzioni del 1944 e come si mostrava ai Viterbesi prima dei restauri
degli anni Cinquanta. Lo scrisse il nostro collaboratore Vincenzo Frittelli, che con lo pseudonimo Ilario
Valentini volk ancora più fortemente dimostrare la sua viterbesità.
UN ROSONE SUL TETTO
di Ilario Valentini
Delle funzioni solenni che un tempo venivano celebrate nel Duomo non mi è rimasto che un ricordo vago e più
che vago triste perché tristi erano le parole dei salmi, le note del canto ed il colore dei paramenti in quelle funzioni della
Settimana Santa.
Losanghe e rettangoli viola coprivano le Croci e i quadri.
I canonici ed i beneficiati si rimandavano in una nenia
strascinata teorie di versetti e poi qualcuno con voce sommessa piangeva: popolo mio che cosa t'ho fatto, in che cosa
ti ho amareggiato? E gli altri battevano i libri sui banchi e
sugli stalli del coro imitando la folla rumoreggiante.
Un diacono andava a nascondere dietro l'altare una candela accesa e canonici e beneficiati e seminaristi uscivano
in punta di piedi.
Sull'arco dell'abside si striava un filamento di luce e le
Croci ed i Santi si preparavano a passare la notte sotto una
coperta viola.
Perché quel bussare sugli stalli e quel pianto mi son rimasti nelle orecchie e l'impressione triste è perdurata fino
ad oggi? E di primavere ne son passate affiancate a settimane di passione.
Oggi mi son voluto scrollare di dosso questo carico di
tristezza e sono andato là dove esso mi aveva piegato nella
prima gioventù.
Se non fosse stato per quei moncherini di travi sporgenti dal tetto della casa di Valentino della Pagnotta, avrei
senz'altro ammesso che i danni subiti dalla Cattedrale erano irrilevanti.
Le esili colonnine abbinate della loggetta del Palazzo
dei Papi sorreggono ancora la pesante trabeazione; il leone
di Viterbo monta ancora la guardia al portone ed il campanile mostra superbo l'armonicità del suo stile gotico toscano.
Ma, il male è interno, tra le navate, nelle absidi, nelle
cappelle ed ancor più nelle volte, nel soffitto e sulle pareti
della Chiesa.
La bomba aerea sul soffitto a scheletro aprì un rosone
ed d'altezza della volta esplose come fosse un proietto a tempo. Sul pavimento scheggiato si ammassano stucchi, pezzi
di tela e polvere di colori mescolati tre secoli fa da Urbano
Romanelli. S. Lorenzo continua ancora a bruciarsi, dalla cintola in su, sulla graticola rimasta appesa alla volta.
Crepe profonde hanno le pareti e mostrano lo scheletro contorto, vuote le occhiaie delle finestre, squarciato il
ventre la bussola, l'organo, gli stalli del coro e macerie e calcinacci ovunque.
Il vescovo Bedini in tutto quello scempio s'è lasciato
staccare dal busto la testa di marmo.
E su tutto Canova e Dupré piangono con gli occhi del
Cardinale Gallo e di Lady Wise - Letizia Bonaparte di Canino «martire d'ogni umano dolore».
Nella piccola abside di sinistra Paolo di Tarso stringe
ancora in mano una inutile spada mentre il Bambino non
trova il volto della Madre.
Sull'altare trecentesco un breviario apre le sue pagine
sulle terribili parole: l'uomo nato da donna vive breve tempo e sarà pieno di molte miserie.. . e mai rimarrà nello stesso
stato. Come lui, le cose sue.
Fuori c'è il sole delle migliori giornate di maggio.
Ma tra gli squarci della casa di Valentino della Pagnotta c'è qualcosa che somiglia a pianto ma non lo è; qualcosa
d'indefinibile ma che è pena umana.
Una donna sta seduta su un sasso. Sulle ginocchia ha
uno straccio da rattoppare. Con il petto tenta tenere fermo
lo straccio e con un movimento impacciato della mano sinistra mette il punto e mentre cuce, guaisce.
Al posto del braccio destro le penzola una mezza manica sfilacciata.
Da basso le giunge il gorgoglio della fontana e tre margherite gialle occhieggiano dall'architrave della porta di sinistra del Duomo.