Profondo oriente cubano

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Profondo oriente cubano
Cuba
Profondo oriente cubano
Hemingway ne sarebbe andato pazzo: altro che pesca d’altura, invece che arpionare marlin avrebbe
potuto cacciare zebre e antilopi e bufali. E non in Africa ma nel verdeggiante, luminoso, rutilante
Oriente di Cuba reso celebre da “Chan-chan” la canzone di Compay Secundo.
L’Oriente Cubano è una terra ostinata, poco battuta, separata dal resto dell’Isla Grande dal
massiccio del Turquino, da strade difficili e da una popolazione orgogliosamente diversa da quella
che vortica attorno alla capitale. E’ la parte più ‘nera’ di Cuba, la più selvaggia, la più tropicale.
Come per incanto questa porzione dell’isola è sfuggita alla sorte del divertimentificio che ha
trasformato le coste e le città del centro e del nord in ‘colonie’ del turismo di massa. Quaggiù ci
arrivano i più motivati, quelli allergici all’All Inclusive, magari alla ricerca degli echi dei primi
vagiti della Revolución che si combattè tra queste selve, o alla scoperta del quid culturale di città
come Santiago e Holguin.
Certo, qualcosa da qualche anno è cambiato, tanto che la storia locale quasi si potrebbe dividere in
un prima e in un dopo. A fare da spartiacque il fenomeno musicale del secolo, il Buena Vista Social
Club. Già, perché una delle canzoni più ascoltate e orecchiabili parla proprio di queste campagne,
di queste terre sconosciute, di questo Oriente lontano. E’ Chan Chan il pezzo imputato. Ricordate
quei nomi? Alto Cedro, Mayarì, Cueto e Marcanè. La voce calda del grande Compay Segundo cita
ad uno ad uno questi villaggi persi in una campagna rossa, piccoli centri dal volto coloniale e dalla
realtà molto agricola. Palme perdute nel verde, strade scombinate, vecchie auto americane anni ’50,
maiali neri che pascolano liberi attorno alle case coloniali, canna da zucchero ovunque: un mondo
sonnolento e provinciale che conferma il detto che circola nella capitale. Su al nord si dice con una
certa sufficienza che Cuba è l’Avana. Tutto il resto è campagna. Ma sull’onda di Chan Chan è bello
vagare alla ricerca di questi luoghi sperduti. Mayarì è il centro più grande, Marcanè il più
minuscolo. Ma il senso cambia poco, qualche viale porticato dai colori pastellati, tanta gente di
colore, ritmi lenti e musica ovunque.
La gente è diversa, una pasta di cubani ormai dispersa nella capitale, allegri, tranquilli e ospitali, ti
portano in casa e cercano di farti bere e mangiare in continuazione. Per il resto domina una certa
rassegnazione alla difficoltà dei tempi cui corrisponde la celebre capacità di arrangiarsi e vivere
(comunque) felici. Anche il capoluogo di quest’area, Holguin non tradisce la sensazione di essere in
una Cuba diversa, meno sfavillante, meno artificiale e tanto, tanto vera. Holguin è una città tutta
squadrata come un lego gigante; il punto giusto per apprezzarne il carattere ordinato è sulla Loma
de la Cruz, il belvedere che si guadagna dopo 462 sudati gradini. Da qui la città appare come un
gigantesco plastico e la vista è tale che quasi si afferra il mare di Santa Lucia, la spiaggia più vicina.
E’ famosa anche per i suoi parchi, moltissimi, e piena di vecchi palazzi un po’ fanèe che andrebbero
visti uno per uno. In questi cortili si nascondono infinite sorprese. Il mese più vivace in punta di son
è maggio quando la città è scossa fino alle fondamenta dalle Romerías de Mayo, festival sanguigno
di salsa, rumba e musica popolare altamente melodica. Fin qui niente di strano: questa è Cuba, più
selvaggia, meno battuta, ma sempre Cuba.
Ma che dire della prossima tappa, Cayo Saetia, l’isola più strana di tutto l’Oriente Cubano?
Arrivarci via terra è una piccola impresa, ma questo viaggio accidentato rende ancora più gustosa la
sorpresa. Credeteci: vi sembrerà di essere nel mondo di Jurassic Park. Bufali, zebre, gazzelle,
dromedari, passeggiano sereni tra le boscaglie di quello che è un vero atollo tropicale. Il mistero è
presto svelato: qui Fidel ha raccolto i ‘regali’esotici di tanti capi di stato. Le strane bestie hanno
popolato felicemente Cayo Saetia crescendo e riproducendosi. E qui entra in gioco l’altro Castro,
Raul che vi fece la sua riserva di caccia personale. E tale è restata per decenni. Ma ora è in corso un
progetto che farà dell’isola un parco naturale mentre è accettata una modesta apertura ad un turismo
responsabile. Tutto però è molto controllato e gestito dalla Gaviota, Agenzia Turistica Statale. Con
un po’ di fortuna , i patiti del safari possono chiedere il permesso per partecipare a vere battute di
caccia, solo per i capi in sovrannumero, ovvio. Ma anche i più pacifici godranno intensamente di
questa battuta africana su Jeep scortate da rangers alla ricerca degli animali selvaggi. Un po’ di
smarrimento spazio-temporale è da mettere in conto, ma è il bello della gita. L’isola, a parte la sua
strana fauna, è una delle più belle di Cuba, un Caribe da cartolina con calette da sogno e acque
trasparenti e calde. . C’è un solo resort, Villa Saetia, piuttosto elegante nascosto tra la vegetazione
dove i turisti possono alloggiare per una vacanza cubano- africana. Persino Hemigway non avrebbe
saputo aspirare a tanto.
Testo Lucia Giglio
Foto Eugenio Bersani