Approfondisci la storia delle perline di vetro.
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Approfondisci la storia delle perline di vetro.
Coloratissime perline di vetro STORIA E UTILIZZO DELLE PERLE VITREE Le perle vitree sono state adottate dalle donne per il decoro e per l’abbellimento sia della persona che dell’abbigliamento. Le perline di vetro sono conosciute soprattutto a Venezia con il nome di “conterie” o “margherite” e il nome evoca scene di donne veneziane sedute all’esterno delle case, nelle calli o nei campielli soprattutto nel sestiere di Cannaregio intente a infilare perline colorate: sono le “ “impiraperle” o “impiraresse”. La materia prima per la loro produzione è la canna: e a seconda di come questa viene utilizzata, le perle si dividono in perle da canna e perle da avvolgimento. Le prime sono ottenute da canna forata che viene tagliata e rifinita mediante molatura o a caldo. Le seconde vengono formate una ad una fondendo, con il calore della fiamma, una bacchetta di vetro attorno ad un tondino di ferro ricoperto da una pasta argillosa, rifinendole quindi secondo una infinita varietà di modelli: sono le perle a lume. Le prime notizie sulla presenza di perle di vetro a Venezia risalgono al XIII secolo. Venivano allora prodotti i cosiddetti paternostri, grani per corone di rosari. Le perle a lume si sono cominciate a produrre dal 1600 in poi. Le perle da canna più diffuse sono state la Conteria e la Rosetta. Sono chiamate Conterie quelle perline piccole, a volte incredibilmente piccole, usate per fare ricami, fiori di vetro, torchons. Oltre alle conterie, le perle più apprezzate presso le colonie erano la Rosetta e le perle di Mosaico, dette anche Millefiori. Le “impiraperle” tenevano sulle ginocchia un grande vassoio di legno detto “sessola” colmo di perline e vi affondavano velocemente da quaranta a sessanta aghi sottilissimi, tenuti aperti a palmetta entro le prime tre dita della mano destra, e da cui si dipartivano lunghi fili di lino detti assete. Le filze così ottenute possono essere utilizzate per intrecciare collane, per realizzare ricami o altri decori. Il prof C.A. Hoffman ha ritrovato a San Salvador, nel luogo dove sembra sicuro sia sbarcato Cristoforo Colombo nel 1492, oltre ad altre più attestanti tracce, anche un mucchietto di perline veneziane. E’risaputo comunque che piccoli oggetti vitrei colorati erano adoperati da viaggiatori ed esploratori per instaurare un primo positivo rapporto con gli indigeni più selvaggi ed essere poi usati come merce di scambi Le perline di vetro che decorano l’indumento o l’oggetto più stravagante e remoto, come le calzature e le borse di pellerossa ed eschimesi, oppure le acconciature arabe, malesi, africane, fino a tutto l’Ottocento, provenivano da Murano. Oltre all'uso primario di tipo estetico, nei paesi africani fino ad una trentina di anni fa venivano adoperate come moneta ufficiale e facevano parte della dote nuziale; le perle veneziane erano apprezzate per la varietà di modelli e per i loro vivaci colori, caratteristiche che non avevano i prodotti locali, fatti di conchiglie, di ossa di animali o di legno. Veniva dato molto rilievo al valore scaramantico delle perle: ciò che andava bene portare in occasione di un funerale non andava altrettanto bene per un matrimonio o per una festa annuale. Era comunque la "rosetta" la più ricercata fra tutte, che poteva essere portata solo dalle massime autorità locali, come re o alti dignitari: era considerata l'aristocratica delle perle. Con la "rosetta" si potevano comperare schiavi attraversare territori proibiti e godere di altri privilegi. L’IMPIEGO DI PERLINE NEI TESSUTI E NELLA MODA Nell’ultimo quarto dell’Ottocento si assiste a uno straordinario impiego di perline nella moda occidentale. Si confezionano passamanerie, frange, mostrine, fibbie, bottoni e tessuti con cui realizzare abiti e borsettine. E’ a questo felice periodo infatti che risalgono le numerose borsettine della collezione Ciceri ora conservate in questo Museo.. E’ negli anni ’20 che si assiste a una ripresa dell’utilizzo delle conterie con cui si confezionano frange per acconciature (è il periodo del charleston: frange ovunque!) e per l’arredamento anche ecclesiastico (vedi la palla di Sauris o il paliotto di S. Maria oltre But di Tolmezzo), collane, cinture, spille e bracciali ma soprattutto la cosiddetta linea charleston (gonne corte dai bordi assimetrici, cintura sui fianchi) ne decreta il successo. La produzione di conterie sciolte o infilate, oppure confezionate in fiori o frange, in colliers e in altre applicazioni raggiunge la sua massima espansione nel 1926, in un periodo di euforia commerciale, di inflazione monetaria, di speciale favore per le conterie, per la moda sviluppatasi per l’abbigliamento femminile. Se ne esportavano infatti nel 1932 fino a novecento chili. Di un interessante lavoro si parla nel 1887: si tratta di una specie di mosaico realizzato con perline non bucate, dette ballottini, di vetro trasparente, “a ricoprire disegni dipinti su cartoncino”. Dell’utilizzo di queste sferette di vetro come decorazione su tessuto, abbiamo un unico esempio fin’ora reperito, ce lo offre una pianeta conservata di un Convento di Udine: porta decorazioni sulla colonna posteriore e croce anteriore, completamente ricoperte di ballottino leggermente pressati in una sorta di stucco che li ancorava alla base in assenza di filo. A loro volt queste sferette cono ricoperte da un leggero strato di colore giallo oro che lascia trasparire qua e là il gradevole, discreto brillio del vetro (fotografie della pianeta e di un particolare in sui si vedono le sferette di vetro). Dopo il 1932 inizia il lento declino: diminuiscono le spedizioni dovute alla naturale evoluzione dei costumi. Per diminuire i costi si creano moderni impianti per la tiratura delle canne di vetro che al posto delle perline, vengono utilizzate per la fabbricazione di lampadine elettriche. Il loro utilizzo nella moda è andato a poco a poco diradandosi, abbinate ad esempio cristalli, a paillettes e lustrini di plastica coloratissima nella seconda metà degli anni ’60, per scomparire poi del tutto nel decennio successivo. Oggi nel mondo esistono sedici industrie specializzate nel settore e quella veneziana ne produce solo il 6% del totale. La concorrenza è agguerrita: si producono perline in Boemia e, a bassissimo costo, a Taiwan. Sono ovviamente dozzinali ma al giorno d’oggi nessuno ha più la sensibilità estetica per notare la differenza. Ma per le mitiche conterie non è ancora giunta la fine. I manufatti in vetro cambiano specialmente impiego diventando protagonisti del nostro futuro: le minuscole sfere di vetro vengono recentemente impiegate per annullare l’azione contaminante delle scorie radioattive dimostrando così vitalità, capacità di adattamento e multiforme disponibilità per una futura nuova vita. LE BORSETTE DELLA COLLEZIONE CICERI Se è la moda a decretare il successo di questo accessorio, c’è una ragione funzionale che giustifica la presenza di borse il cui uso assai comune per uomini e donne, fin dal Medioevo è legato alla presenza o all’assenza di tasche negli abiti. Borsette di pelle e cuoio o ricamate erano attaccate a cinture, o appese al collo con catenelle e cordoni (anche per portare reliquie); diventano quindi un accessorio elegante, secondo varietà di forme e bene in vista. Il successo nella moda femminile è decretato a partire dallo stile dell’età neoclassica, quando piccole borsette realizzate per lo più in casa, ancora lontane dall’attuale concezione, sono portate in mano o appese a un braccio. La moda vuole adottare la borsa perché, come accessorio che solo apparentemente è superfluo, frivolo, in realtà fa un tutt’uno con l’abito. Per questo motivo diventa oggetto di grande cura nel decoro: usa rivestimenti preziosi soprattutto per la sera, o per il pomeriggio, tessuti raffinati, sete, velluti o semplici lavori all’uncinetto, che decora poi con ricami, con frange, con paillettes, pietre dure o sintetiche, perle o perline di vetro. Con quelle perline fino alla fine del sec. XIX e i primi decenni del XX secolo si sono decorate gran parte delle borsette. Le prime sono piatte, con nappe e a tiri laterali e anche con ricamo a mezzo punto. Più tardi, con l’abbigliamento rococò, si è visto che la struttura a strati era la più adatta a nascondere nelle pieghe una piccola borsa detta “tasca”. Ma nascondere una “tasca”non era più possibile nel periodo neoclassico che voleva la figura femminile simile a una colonna greca rivestita di leggera mussola e priva quindi di pieghe entro cui nascondere qualsiasi cosa. Il termine tasca ritornerà soltanto alla fine del XIX secolo. Si rende allora necessaria l’aumôniere l’aumôniere, in Italia detta “elemosiniera”, perché usata (fin dal medioevo) principalmente per recarsi alle funzioni religiose e contenere quindi le monete per le elemosine. Una bassa bordura di velluto rosso è presente nella parte alta, dove una doppia catena sostituisce i manici. L’ aumômiere è considerata antenata della “ridicole”e della successiva borsetta. Nel tardo XVIII secolo la ridicule (in inglese reticule cioè reticolo) era lavorato a sacchetto e di forma variabile nel corso del secolo. Si portavano appese al gomito tramite un cordone di moda per tutto l’ottocento. Una tipologia particolare, nata in Inghilterra, o in terre anglofobe, è quella definita Vallet purses praticamente sono borse lavorate a calza (in inglese “stocking purse”). Sono dette anche: “miseris purse” cioè borsa dell’avaro, così detta per la difficoltà di estrarre le monete: sono tubolari, lunghe e strette con una fessura al centro per introdurre o togliere monete o altri piccoli oggetti. In particolare hanno al centro una o due fascette di ferro scorrevoli (o altro metallo più o meno prezioso) che bloccano l’apertura strozzandola, dividendo così in due parti la borsa, e si portavano in cintura. I modelli della collezione Ciceri sono bellissimi, tutti a rete più o meno fitta dal colore di fondo blu o rosso con decori a scacchi o a motivi cachemire di colore contrastante ottenuti con perline o di cotone. Un lato a frange elaborate di perle e barrette, il lato opposto chiuso in modo molto più semplice. Durante il periodo Impero e, poi la Restaurazione, un altro tipo di borsetta si affaccia alla “ridicule”: si tratta di piccole borse a sacco o sac a main (a volte chiamate anche reticule) che potevano esse fatte a maglia usate per tutto l’Ottocento e fino ai primi anni del Novecento. Tra il 1815 e il 1830 compaiono borse dalla forma geometrica, o a scudo, che vengono portate in un modo particolare, non solo al gomito o al polso ma sospese alla cintura per mezzo di un gancio sopra la crinolina. Dalla fine dell’Ottocento il nome dell’antica borsetta tenuta nascosta tra le pieghe della gonna, detta tasca, viene ripreso ma per definire quelle rientranze portaoggetti cucite direttamente nell’abito o sulle giacche che abbiamo tutt’oggi e che si chiamano, appunto, tasche. Le borsette della collezione Ciceri appartenevano non al ceto popolare ma alle signore della borghesia le quali, in assenza di negozi specifici (che ancora non esistevano) acquistavano gli accessori presso le sarte.