il trasferimento di tecnologia

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il trasferimento di tecnologia
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DALL’UNIONE
EUROPEA
DIRITTO & PRATICA
N. 1/2002
In questo numero:
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA
à UNA DEFINIZIONE DI TECNOLOGIA
à LE MODALITA’ DI TRASFERIMENTO
à LA PROTEZIONE DELLA TECNOLOGIA
à LA TUTELA GIURIDICA DEL KNOW-HOW
à IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA IN EUROPA: LA RETE DEGLI INNOVATION
RELAY CENTRE
Supplemento al n. 4 del 26 marzo 2002 del quindicinale “Richieste & Offerte dal Mondo”
Direttore responsabile Giuliano Lengo - a cura di Diego Comba
CAMERA DI COMMERCIO
INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA
DI TORINO
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA
UNA DEFINIZIONE DI TECNOLOGIA
■ LA NOZIONE DI TECNOLOGIA
Gli economisti definiscono la tecnologia come
l’insieme delle conoscenze possedute da
un’impresa su di un certo prodotto o processo
industriale; si tratta di un coefficiente capace di
modificare i due fattori produttivi del capitale e
del lavoro. Quando nell’economia internazionale
si parla di trasferimento di tecnologia tra imprese
ci si riferisce normalmente al trasferimento di
innovazioni: un’impresa trasferisce ad un’altra
delle informazioni e delle metodologie di lavoro
che sono «nuove» per l’impresa che le riceve e
che, pertanto, sono in grado di arricchire la massa
di conoscenze da quest’ultima possedute su di un
certo prodotto o processo, secondo la definizione
data dall’Organizzazione mondiale della proprietà
intellettuale (in inglese WIPO, in francese OMPI)
in OMPI, Guide sur les licences pour les pays en
développement, Genève 1977.
Il trasferimento di tecnologia ha subito negli ultimi cinquant’anni una trasformazione, sia sotto il
profilo dei soggetti sia sotto il profilo delle forme
contrattuali, caratterizzandosi comunque sempre
quale risposta al bisogno di colmare un “dislivello” nelle tecniche di produzione.
Nel secondo dopoguerra, le imprese italiane si
trovavano frequentemente nella posizione di
acquirenti di tecnologia, in semplici licenze di
brevetto stipulate con imprese americane o tedesche, le quali prevedevano anche il trasferimento
di alcune conoscenze o metodi non brevettati
(know-how); con il passare degli anni, le imprese
italiane si sono progressivamente imposte sul
mercato mondiale come soggetti in grado di trasferire tecnologia.
■ I “PACCHETTI TECNOLOGICI”
Quando poi, a partire dai primi anni Sessanta, si è
verificato (anche ad opera di imprese italiane) un
massiccio trasferimento di tecnologia verso
imprese di paesi in via di sviluppo, la forma contrattuale più utilizzata consiste nella cessione di
“pacchetti tecnologici”, i quali comprendono,
oltre ai brevetti e al know-how, il trasferimento di
marchi, disegni, assistenza tecnica, formazione
professionale, nonché, spesso, la cessione di macchine (anche usate). In questo contesto il knowhow é quasi sempre più importante del brevetto,
in quanto formato da quelle conoscenze tecniche
e manageriali che costituiscono la “ricetta” per
l’operatività ottimale dell’impianto.
I fattori che hanno determinato la sempre maggior
diffusione del trasferimento di “pacchetti tecnologici” nei paesi in via di sviluppo sono stati la crescita, in tali paesi (ad esempio la Cina, il Brasile,
l’India) della domanda interna, unitamente, però,
al permanere di ingenti dazi sulle importazioni e
costi logistici, che rendevano le importazioni non
convenienti, in particolare in rapporto ai costi delle produzioni realizzate nei paesi industrializzati.
In tale contesto, la produzione in loco si é rivelata
l’unica scelta possibile per evitare i dazi doganali,
abbattendo i costi logistici e di costi di produzione.
Le produzioni realizzate nei paesi in via di sviluppo soddisfano, infatti, il duplice scopo di “occupare” i mercati locali in crescita, nonché, grazie a
costi di produzione inferiori a quelli dei paesi
industrializzati, di realizzare prodotti vendibili sui
mercati di questi ultimi, quando la qualità lo consenta. Inoltre, uno sbocco non trascurabile, per le
imprese dei paesi industrializzati, è stato, ed è tuttora, quello della cessione definitiva, a imprese di
paesi in via di sviluppo, di produzioni che non si
intendono più svolgere, per svariati motivi, nel
proprio paese.
■ LE CONOSCENZE TECNICHE
Oggetto del contratto internazionale di trasferimento di tecnologia sono, anzitutto, conoscenze
tecniche:
• brevettate;
• non brevettate, benché brevettabili;
• non brevettate poiché prive dei requisiti richiesti dalle leggi in materia.
Le diverse tipologie sopra indicate vengono identificate in maniera diversa nel contratto:
• nel primo caso si fa semplicemente riferimento
ai documenti depositati presso l’ufficio brevetti,
• nel secondo e nel terzo caso la descrizione deve
essere più dettagliata e formulata in funzione
del risultato che si vuole ottenere con il trasferimento; sarà in questo caso più facile che futuri
miglioramenti del processo o del prodotto vengano fatti rientrare nell’oggetto dell’accordo
già stipulato, senza che ciò comporti ulteriori
corrispettivi.
Le limitazioni dell’oggetto del contratto possono
riferirsi:
• all’utilizzo della tecnologia trasferita che sarà
consentito al licenziatario, sia nel senso di utilizzo del procedimento soltanto per alcuni tipi
di produzione (prodotti intermedi o finali), sia
nel senso di utilizzo finale del prodotto (limiti
alle vendite);
• alla quantità di prodotto che è a quest’ultimo
consentito fabbricare e vendere;
• al territorio (regione o Stato) nel quale egli ha il
diritto di fabbricare e vendere (divieto di esportazione). A tale proposito osserviamo che,
mentre è interesse del licenziante delimitare il
territorio di produzione o di vendita del prodot-
to, è invece spesso richiesta dal licenziatario la
garanzia che nessun altro (si tratti di un terzo o
del licenziante stesso) potrà vendere o produrre
nel territorio contrattuale, usando conoscenze
oggetto del contratto (esclusiva). E’ possibile
tuttavia che l’esclusiva non si estenda a tutto il
territorio e venga invece prevista una clausola
che la limita ad alcune parti di esso;
• viene, inoltre, frequentemente previsto l’obbligo del licenziatario di non utilizzare/acquistare
tecniche simili e concorrenti per fabbricare lo
stesso prodotto. È il caso, per esempio, del
licenziatario che, al consumarsi, dopo un certo
periodo di utilizzo, di uno stampo, ne acquisti
uno di qualità inferiore presso un’impresa locale anziché dal licenziante. Tale delimitazione
dell’oggetto del contratto ha il duplice fine
- qualitativo, di impedire che l’uso di attrezzature/materie prime/semilavorati non adeguati
influisca negativamente sulla qualità del prodotto finale e
- quantitativo, di evitare che il licenziante perda
il controllo della produzione del licenziatario
che, al fine del calcolo delle royalties, si basa
sulla quantità di attrezzature/materie
prime/semilavorati forniti dal licenziante.
■ L’ASSISTENZA TECNICA
L’oggetto del contratto internazionale di trasferimento di tecnologia può essere, poi, costituito da
competenze e abilità tecniche che non possono
essere considerate know-how perché non appartengono in modo esclusivo all’impresa che le
cede e non sono trasmissibili che a determinate
condizioni che presuppongono, tra l’altro, l’invio
di personale. La nozione di assistenza tecnica
deve, quindi, essere intesa, nell’ambito di un
accordo di trasferimento di tecnologia, come un
trasferimento di competenze che costituisce
l’“iniziazione” all’uso delle conoscenze oggetto
del contratto.
■ L’USO DEL MARCHIO
Il contratto può, inoltre, prevedere un’estensione
dell’assistenza dalla fase della produzione a quella
■ LA DEFINIZIONE DI LICENZA
La forma più comune di contratto di trasferimento di tecnologia é la licenza; secondo il regolamento CE
240/96 del 31 gennaio 1996: «(g)li accordi di licenza di brevetto e di know-how sono accordi in base ai quali un’impresa titolare di un brevetto o di un know-how (licenziante) autorizza un’altra impresa (licenziatario) a sfruttare il brevetto concesso in licenza o le comunica il suo know-how in vista, in particolare, della
fabbricazione, dell’utilizzazione e dell’immissione in commercio».
■ LE LICENZE PURE E LICENZE MISTE
Vi possono essere licenze di brevetto “pure”, quando il livello tecnologico delle parti sia il medesimo e tutto il vantaggio economico consista nella sfruttamento di un’invenzione brevettata, licenze di know-how
“pure”, quando la conoscenza “segreta” non è stata brevettata, ma possiede comunque un valore significativo, e, da ultimo, caso assai frequente, licenze miste di brevetto e know-how dove quest’ultimo costituisce
in genere la modalità operativa di applicazione del brevetto.
■ IL LICENSING
Si tratta di accordi più complessi, nei quali, all’impegno di dare in licenza un brevetto e un know-how, si
aggiungono precisi obblighi di assistenza tecnica, di formazione del personale e, spesso, il diritto all’uso
del marchio, in territori delimitati e a fronte di precisi controlli di qualità da parte del licenziante.
La differenza di livello tecnologico delle due parti é l’elemento che incide maggiormente sulla scelta di
questa forma contrattuale.
II
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA
della commercializzazione del prodotto. E’ in quest’ultimo quadro che assume una rilevanza notevole la concessione dell’uso del marchio, che può
essere delimitato in vario modo dalle parti, sia per
quanto concerne l’ambito territoriale, sia per quanto concerne l’ambito d’uso (pubblicità, attività
promozionale, apposizione sul prodotto ecc.).
■ LE FORME CONTRATTUALI
Una volta descritto l’oggetto del contratto di trasferimento di tecnologia, si può tentare una sintesi, che costituisca nel contempo una definizione
giuridica, delle differenti forme che tale contratto
può assumere (ved. riquadro giallo pag. II).
LE MODALITÀ DI TRASFERIMENTO DELLA TECNOLOGIA
■ GLI OBIETTIVI DEL LICENZIANTE
I principali obiettivi del licenziante sono:
• realizzare il trasferimento di tecnologia in tempi più brevi possibile. Il trasferimento di tecnologia richiede, infatti, il compimento di un
laborioso (e talvolta lungo) processo di “traduzione” in forme esplicite e concrete (scritte in
una lingua diversa dall’italiano) di conoscenze
che, pur appartenendo al patrimonio dell’azienda, non sono contenute in manuali, documenti,
prototipi e disegni, la cui elaborazione non è
cosa semplice né breve. Tali supporti materiali,
inoltre, non sono mai sufficienti, da soli, ad un
efficace trasferimento, ma dovranno essere
accompagnati da un’attività di assistenza e formazione ad opera di personale dirigenziale e
tecnico del licenziante, che, dedicandosi a tale
attività o, addirittura recandosi presso il licenziatario, sottrae tempo ed energie a essenziali
funzioni aziendali;
• evitare di crearsi un concorrente, garantendosi,
al contrario, un acquirente di lunga durata dei
miglioramenti della tecnologia trasferita, nonché dei componenti e/o delle materie prime
relativi al processo produttivo. È quindi di
regola importante per il licenziante stabilire,
nell’ambito di una durata contrattuale ragionevolmente lunga, alcuni obblighi del licenziatario per quanto riguarda l’approvvigionamento
di materie prime e/o componenti, nonché mantenere un controllo sui mercati di vendita del
prodotto finale;
• garantire la qualità della tecnologia trasferita,
senza peraltro garantire che, con essa, il licenziatario otterrà gli stessi standard qualitativi del
prodotto fabbricato dal licenziante. Nel caso in
cui il licenziante si sia impegnato ad acquistare
una parte dei prodotti fabbricati dal licenziatario
(buy back), egli sarà interessato a che questi
ultimi soddisfino un certo standard qualitativo;
in tutti i casi sarà interesse del licenziante evitare di obbligarsi con garanzie di risultato, salvo
che nel caso (non frequente) in cui, per contratto, egli controlli il personale del licenziatario ed
altri fattori produttivi locali. Pertanto al licenziante conviene che nel contratto venga specificato, non cosa il licenziatario otterrà con la tecnologia trasferita (garanzia di qualità), bensì che
venga definito, con precisione, che cosa al
licenziatario viene trasferito (disegni, informazioni, brevetti, assistenza tecnica), nonché le
modalità e i tempi del trasferimento.
■ GLI OBIETTIVI DEL LICENZIATARIO
I principali obiettivi del licenziatario sono:
• la rapidità di acquisizione di una padronanza
della tecnologia che consenta di rendersi autonomi al più presto possibile emanciparsi dalla
condizioni contrattuali del licenziante, e più in
generale dalla dipendenza economica e commerciale nei confronti di quest’ultimo;
• la qualità del prodotto fabbricato con la tecnologia trasferita; è interesse del licenziatario,
infatti, che il licenziante gli fornisca tutto ciò
che serve per realizzare lo stesso prodotto che
quest’ultimo fabbrica. A tal fine il licenziatario
generalmente richiede al licenziante l’inserimento nel contratto di una garanzia di risultato.
Frequentemente accade che, in tale contesto, il
licenziante dichiari una certa performance del
procedimento tecnologico e garantisca l’ottenimento di certi risultati (expected figures), risultati che costituiscono l’obiettivo che il licenziatario deve potersi realisticamente porre, in conseguenza dell’acquisizione delle conoscenze
del licenziante. In caso di performance insoddisfacente, il licenziante può essere chiamato a
rispondere per i danni subiti dal licenziatario a
causa del mancato raggiungimento dei valori
prospettati, se egli ha determinato aspettative
non ragionevoli del licenziatario;
• la formazione del personale, che costituisce,
ALCUNI ESEMPI DI OBBLIGHI CONTRATTUALI A CARICO DEL LICENZIATARIO VIETATI DALLE NORME IMPERATIVE
■ LE NORME IMPERATIVE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
In un certo numero di paesi in via di sviluppo, lo stato (normalmente attraverso enti di registrazione di proprietà industriale) esercita un controllo preventivo sui contratti di trasferimento di
tecnologia in cui il licenziante sia un’impresa locale.
La sanzione prevista in caso di esito negativo può consistere nella nullità del contratto e nella
conseguente liberazione del licenziatario dall’obbligo di pagamento o anche soltanto nella mancata autorizzazione, da parte della banca centrale, a procedere al pagamento del corrispettivo
dovuto al licenziante straniero. Qui di seguito verranno elencati e descritti gli obblighi contrattuali del licenziatario che sono normalmente vietati dalle legislazioni di questi paesi o visti “con
sospetto” dalle autorità pubbliche degli stessi paesi addetti al controllo.
■ LA FORNITURA ACCESSORIA DI COMPONENTI E/O MATERIE
PRIME
L’obbligo, per il licenziatario, di acquistare determinati beni dal licenziante o da un fornitore da
esso indicato (clausola di «tie-in»). Per utilizzare le conoscenze relative al processo o al prodotto, infatti, il licenziatario necessita talvolta di determinati utensili, di semilavorati, di specifiche
materie prime o addirittura di macchine o di interi impianti. In questi casi sarà frequente la previsione della clausola di tie-in, la quale viene, peraltro, imposta dal licenziante con l’intento di
controllare la produzione del licenziatario al fine del computo delle royalties e anche al fine di
garantirsi un corrispettivo supplementare.
La clausola di tie-in sarà vista dalle autorità del paese del licenziatario con minor sfavore quando, in alternativa all’obbligo di acquisto puro e semplice, essa preveda:
• la fissazione di un limite alla durata dell’obbligo, oppure
• l’impegno, da parte del licenziante, di praticare prezzi competitivi, oppure
• la semplice possibilità (e non l’obbligo) di rifornirsi del licenziante.
■ LE RESTRIZIONI CONCERNENTI L’USO DI TECNOLOGIE
CONCORRENTI
Il livenziante può richiedere che venga inclusa nel contratto il divieto, per il licenziatario, di
acquistare/utilizzare tecnologie concorrenti. Tale disposizione può essere prevista in modo
implicito attraverso clausole aventi ad oggetto l’obbligo di acquistare componenti dal licenziatario (clausole di tie-in, per cui si veda sopra).
■ LE RESTRIZIONI ALL’ESPORTAZIONE
Le limitazioni all’esportazione possono essere previste con differenti modalità, concretandosi in
diverse clausole contrattuali, fra le quali, principalmente:
• il divieto assoluto, per il licenziatario, di esportare il prodotto finale o la necessità, a tale fine,
di un’approvazione preventiva del licenziante;
• il divieto per il licenziatario di esportare in determinati paesi (ad esempio il paese del licenziante) o la previsione espressa dei paesi nei quali il licenziatario può esportare;
• la determinazione delle quote (quantità di prodotto) o del prezzo di esportazione;
• la previsione esplicita degli stabilimenti del licenziante che possono produrre per l’esportazione;
• l’imposizione di un corrispettivo maggiore per la tecnologia relativa ai prodotti che verranno
esportati.
III
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA
insieme all’assistenza tecnica, la condizione
senza la quale il licenziatario, in particolare
quando si tratti di paesi in via sviluppo oppure
di conoscenze sofisticate, non riesce ad acquisire la padronanza della tecnologia trasferita. È
dunque fondamentale per il licenziatario che
nel corrispettivo pattuito nel contratto sia compreso un numero sufficiente di ore di formazione personale/assistenza tecnica; diversamente,
infatti, tali servizi, che si renderanno comunque
necessari, dovranno essere pagati “in più” dal
licenziatario;
• la consulenza del licenziante nell’acquisto delle
macchine che non rientrano nel “pacchetto tecnologico”. A differenza del licenziante. Infatti,
che, normalmente, è un acquirente abituale di
tali macchine, il licenziatario non ne conosce a
fondo né i produttori né le tecniche di negoziazione e, dunque, rischia di acquistare a condizioni svantaggiose per prezzo e qualità.
LA PROTEZIONE DELLA
TECNOLOGIA
■ GLI OBIETTIVI DEL LICENZIANTE
Il licenziante ha interesse a:
• mantenere in vita i diritti di proprietà industriale (ad esempio brevetto e marchio) concessi in
licenza sul territorio dello stato in cui la licenza
viene concessa (ricordiamo che la tutela dei
diritti di proprietà industriale si limita al territorio dello stato nel quale essi vengono registrati);
• fare in modo che il licenziatario partecipi (o si
accolli totalmente) alle spese di mantenimento
in vita del brevetto e/o del marchio e/o di altri
diritti di proprietà industriale nel territorio
oggetto della licenza;
• obbligare il licenziatario a controllare che, nel
territorio contrattuale, non vengano compiute
violazioni dei diritti di proprietà industriale
oggetto della licenza e, in caso tali violazioni
vengano compiute, a segnalarle al licenziante e
ad iniziare, a sue spese, le opportune azioni
legali nel territorio (ad esempio la richiesta
all’autorità giudiziaria locale del sequestro delle merci contraffatte);
• obbligare il licenziatario a brevettare, a nome
del licenziante, e a trasmettere a quest’ultimo
gli sviluppi della tecnologia trasferita dal licenziatario elaborati.
■ GLI OBIETTIVI DEL LICENZIATARIO
• ottenere una durata del contratto che sia uguale
a quella per la quale il/i diritto/i di proprietà
industriale sono stati registrati sul territorio;
• ottenere dal licenziante una protezione sul territorio contrattuale, a spese di quest’ultimo, nei
confronti degli imitatori del prodotto;
• poter brevettare a proprio nome i miglioramenti della tecnologia trasferita da lui sviluppati,
obbligando il licenziante a pagare un corrispettivo per ottenerli, nel caso in cui siano di suo
interesse.
■ LA TUTELA DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE
Il primo problema che è necessario che il licenziante si ponga affrontando la redazione di un
contratto internazionale di trasferimento di tecnologia consiste nella verifica del grado di protezione che il suo brevetto, marchio o know-how riceve
nel paese del licenziatario.
■ IL BREVETTO EUROPEO
La tutela europea dei diritti di proprietà industriale si è posta (a fianco di quelle nazionali) come
una delle condizioni indispensabili per la creazione di un mercato unico, all’interno del quale, a
parità di requisiti e con un’unica procedura, vengono protetti i marchi e i brevetti delle imprese di
ciascuno stato membro. Le differenze nella tutela
riconosciuta a tali diritti dalle varie legislazioni
nazionali, anche in termini di adempimenti procedurali e di costi, comportano effetti protezionistici, ostacolando la concorrenza e il libero flusso
delle merci tra i paesi membri.
La convenzione di Monaco del 1973 prevede che
ogni persona fisica o società possa richiedere la
registrazione di un brevetto europeo presso l’Ufficio europeo dei brevetti che ha sede a Monaco di
Baviera. La domanda presentata a tale ufficio viene esaminata per accertare la novità del prodotto di
cui si richiede il brevetto e del procedimento per
ottenerlo. In caso di accoglimento della domanda,
si procede alla registrazione del brevetto europeo
(con efficacia equivalente ai brevetti nazionali) nei
diciannove paesi europei che hanno ratificato la
Convenzione di Monaco (tra cui i quindici paesi
membri della Comunità), nonché in altri sei paesi
dell’Europa centro-orientale (Albania, Macedonia,
Romania, Slovenia, Lituania, Lettonia); il brevetto
ha di norma una durata di vent’anni.
Il costo e i tempi per l’espletamento delle pratiche
di registrazione sono inferiori ai costi e ai tempi
richiesti da ogni singola amministrazione statale
per la registrazione dei brevetti nazionali.
Il passo successivo nel processo di uniformazione
della tutela brevettuale in Europa sarà costituito
dal brevetto comunitario, previsto sin dalla Convenzione di Lussemburgo del 1975, firmata dagli
allora dodici stati membri dalla Comunità europea
ma, ad oggi, non ancora entrata in vigore. La Convenzione prevede, per tutti i paesi della Comunità,
un’identica disciplina normativa della tutela brevettuale e un unico meccanismo per la composizione delle controversie in materia di validità e
contraffazione dei brevetti.
■ IL MARCHIO COMUNITARIO
Le leggi nazionali dei paesi membri della Comunità europea non prevedono la stessa definizione e
la stessa disciplina del diritto di marchio; esse si
riferiscono, infatti, a marchi di servizio, marchi
facoltativi, marchi obbligatori, marchi collettivi,
marchi di uso obbligatorio; diversa è la disciplina
della decadenza del marchio non utilizzato e la
tutela del marchio non depositato.
Per ovviare a tale disparità di disciplina, il Consiglio CE ha adottato, il 20 dicembre 1993, il regolamento n. 40/94 che istituisce il marchio comunitario, ottenibile con la presentazione di una sola
domanda e valido su tutto il territorio comunitario.
IV
Tale regolamento è stato modificato dal regolamento n. 3288/94 del 22 dicembre 1994 emanato
in attuazione degli accordo TRIPS (Accordo sugli
aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti
al commercio), firmato a Marrakech del 1994
(contestualmente alla firma dell’accordo istitutivo
dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio,
WTO). Sono state così apportate alcune modifiche al testo del precedente regolamento, fra cui la
principale è rappresentata dall’estensione della
titolarità del marchio comunitario a tutti i paesi
membri del WTO (134 paesi, tra i quali tutti i
principali paesi industrializzati).
Il regolamento stabilisce che, ai fini della registrazione del marchio comunitario, il marchio deve
presentare le seguenti caratteristiche:
• i segni grafici devono essere conformi ai criteri
di descrizione forniti dallo stesso regolamento;
• il marchio deve avere carattere distintivo, ovvero la capacità di imprimersi in modo originale
nella mente del pubblico;
• il marchio non deve essere composto esclusivamente da segni o indicazioni che designano la
specie (ad esempio «Saponina»), la qualità (ad
esempio «Troppo Buono»), la quantità (ad
esempio «Grandi Uova»), la destinazione (ad
esempio «Fuori Strada»), il valore (per esempio
«Superpasta»), la provenienza geografica (ad
■ LA DEFINIZIONE
DI BREVETTO
Tramite il brevetto per invenzione, gli stati
assicurano agli inventori il diritto di utilizzare in modo esclusivo l’invenzione da essi
registrata secondo la procedura prevista dalle
singole leggi nazionali. Il rilascio del brevetto, infatti, è subordinato ad una corretta e
completa descrizione dell’invenzione da parte del richiedente. In Italia, per esempio,
vengono valutati, ai fini della registrazione, i
requisiti della novità, dell’industrialità e
dell’originalità, qualora l’Ufficio brevetti e
marchi ritenga l’invenzione venga brevettabile e, dunque, la registri a nome del titolare,
quest’ultimo potrà opporre il segreto e l’uso
esclusivo di tale invenzione a tutti, sul territorio nazionale, per 20 anni.
■ LA DEFINIZIONE
DI MARCHIO
Il marchio può essere definito come un
segno distintivo idoneo a consentire di
distinguere sul mercato i prodotti o i servizi
di un’impresa dai prodotti e dai servizi delle
imprese concorrenti. Come il brevetto, il
marchio è tutelato con legge da parte dei singoli stati, a condizione che esso venga registrato presso l’Ufficio brevetti e marchi. La
registrazione, che si basa sui requisiti stabiliti dalla legge, garantisce al titolare il diritto
esclusivo dell’uso del marchio per un periodo che in Italia, per esempio, è di 10 anni.
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA
•
•
•
•
esempio «Caffè Turco») ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio (ad esempio «Primavera 1999»);
il marchio non deve essere composto esclusivamente da figure inscindibilmente connesse con
la forma propria del prodotto (ad esempio la
forma del fusillo);
il marchio non deve essere contrario all’ordine
pubblico (ad esempio il fascio littorio) o al
buon costume (ad esempio raffigurazioni oscene);
il marchio non deve trarre in inganno il pubblico circa la natura, la qualità o la provenienza
del prodotto/servizio;
i marchi dei vini e degli alcolici non devono
contenere indicazioni geografiche qualora i
suddetti prodotti non abbiano tale origine.
Il marchio comunitario conferisce al suo titolare il
diritto esclusivo di utilizzo e il diritto di vietare ai
terzi di usare in commercio:
• un segno identico al marchio per identificare
prodotti/servizi identici,
• un segno che possa ingenerare confusione nel
pubblico a causa della sua somiglianza al marchio comunitario o ai prodotti/servizi da esso
contraddistinti,
• un segno identico o simile al marchio comunitario per contraddistinguere prodotti/servizi
diversi, se l’uso di tale segno consente, senza
giusto motivo, di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del
marchio comunitario.
LA TUTELA GIURIDICA DEL KNOW HOW
Il know-how costituisce l’elemento essenziale del “pacchetto tecnologico” oggetto dei contratti di licenza stipulati negli ultimi anni; è dunque importante conoscere quali sono gli strumenti legali e contrattuali per tutelarlo.
■ LA DEFINIZIONE DI KNOW-HOW
La Commissione europea stabilisce (rispecchiando la pratica commerciale e le normative di
diversi paesi), nel regolamento 240/96 del 31 gennaio 1996 (art.10), che:
• il know-how deve consistere in una serie di informazioni che devono avere due requisiti: essere «sostanziali» e «tecniche».
• Il know-how deve consistere in informazioni riguardanti almeno una parte rilevante di:
- un procedimento produttivo;
- un prodotto o un servizio;
- uno sviluppo di un prodotto o di un servizio.
• Le informazioni devono essere utili e non banali: esse devono conferire a chi ne è in possesso
o a chi le acquista «ragionevoli prospettive di miglioramento» sul mercato.
• Il know-how deve poi essere segreto, nel senso di non essere generalmente noto e comunque
non facilmente accessibile; in particolare ogni singola componente dell’insieme di informazioni considerato deve essere assolutamente sconosciuta o non ottenibile presso terzi.
• Infine il know-how deve essere identificato: descritto o fissato su un supporto fisico, in modo
da poterne, in qualunque momento, verificare i requisiti sopra illustrati della segretezza e della sostanzialità.
La Corte di Cassazione italiana, in una sentenza del 1992 (Cass. civ. 20 gennaio 1992, n. 659),
aggiunge altri due elementi alla definizione sopra riportata:
• per la Corte il know-how costituisce un bene economico meritevole di tutela, anche quando
consiste di conoscenze (o invenzioni) brevettabili, ma che il titolare non intende brevettare;
• inoltre, la Corte stabilisce che costituiscono know-how non soltanto conoscenze che trovano
posto nell’ambito della tecnica industriale e che possono essere utilizzate per produrre un
bene, per attuare un processo produttivo o per impiegare correttamente una tecnologia; può
trattarsi anche di regole di condotta che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte
da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale, attinenti al settore organizzativo o a quello
commerciale in senso stretto.
Deve però trattarsi di conoscenze che possiedono i requisiti della «novità» e della «segretezza».
Tali conoscenze non devono quindi essere di dominio comune e non devono essere state divulgate, se non a specifici soggetti, attraverso un apposito contratto. D’altra parte esse devono comportare concreti vantaggi di ordine tecnologico o competitivo sul piano della produzione o del
marketing.
Hanno collaborato alla redazione di questo numero: Diego Comba, Ludmila Karaghiosoff,
Sonia Piani
V
■ LA TUTELA GIURIDICA ERGA
OMNES
L’impresa in possesso di uno specifico know-how
è interessata a proteggersi legalmente contro la
sua diffusione o utilizzo da parte di «qualunque
terzo» che ne sia venuto in «qualunque modo» in
possesso. Tale esigenza trova diverse risposte,
nessuna delle quali, tuttavia, pienamente soddisfacente.
Anzitutto il know-how non gode oggi in Italia (né
all’estero) di una tutela erga omnes (nei confronti
di tutti i terzi) assimilabile a quella di cui gode il
brevetto.
■ IL DIVIETO DI ATTI DI CONCORRENZA SLEALE
Alla specifica categoria degli imprenditori e non a
tutti i cittadini, si rivolge pure la disposizione
dell’art. 2598 del codice civile, secondo la quale
compie atti di concorrenza sleale chiunque
(imprenditore) «si vale direttamente o indirettamente di ogni mezzo non conforme ai principi
della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda». In presenza di tali atti si
può richiedere al giudice di far cessare il comportamento illecito, prendendo gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti e,
infine, in presenza di colpa o dolo, condannare
l’autore al risarcimento dei danni (artt. 2599 e
2600 del codice civile).
Anche qui però ci troviamo in presenza di numerose limitazioni. Anzitutto, come abbiamo ricordato, l’azione può essere esercitata solo nei confronti di un altro imprenditore. Inoltre, secondo la
dottrina e la giurisprudenza dominanti in Italia, il
segreto deve essere stato acquisito in modo «professionalmente scorretto»: ad esempio assumendo
il dipendente del concorrente che si sapeva essere
in possesso del know-how, poi utilizzato nel proprio processo produttivo con sostanziali vantaggi.
■ IL DIVIETO DI DIVULGAZIONE
DA PARTE DEL DIPENDENTE
Ancor più ristretta è la portata della tutela concessa al “proprietario” del know-how dall’art. 2105
del codice civile, secondo il quale il dipendente
non deve «divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa o
farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio». Tale divieto, la cui violazione consente
sanzioni disciplinari commisurate alla gravità
dell’infrazione (art. 2106 del codice civile), si
applica solo ai dipendenti e solo finché dura il
rapporto di lavoro; la divulgazione del know-how
da parte dell’ex-dipendente ricadrebbe infatti, in
assenza di un apposito accordo, nell’ipotesi già
esaminata della concorrenza sleale.
■ LA TUTELA CONTRATTUALE
La pratica commerciale è stata tenuta in considerazione anche dalla Corte di Cassazione che, nella
sentenza sopra citata (vedi riquadro giallo), così
riassume lo stato del problema: «anche se il knowhow in senso stretto non può essere qualificato
come bene immateriale disciplinato dall’ordina-
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA
mento e nei suoi confronti non si può configurare
un diritto soggettivo munito di tutela assoluta valevole erga omnes, il suo trasferimento contro corrispettivo non è sfornito di tutela giuridica ma, al
contrario, realizza interessi intrinsecamente meritevoli di tutela perché attribuisce a colui che è privo
del know-how stesso le conoscenze delle quali egli
necessita e gli consente, così, di superare una situazione di svantaggio economico, mentre priva il
titolare della precedente situazione di superiorità
produttiva e commerciale che costituiva per lui una
fonte di ricchezza».
Secondo la Cassazione, quindi, pur non esistendo
nel codice civile una regolamentazione del contratto di know-how, è possibile considerarlo un
contratto atipico, tutelato dall’art. 1322, comma 2,
del codice civile, il quale consente ai privati di
stabilire di comune accordo, nell’ambito della
loro autonomia, obblighi contrattuali non previsti
dalla legge, nonché di stipulare contratti che la
legge non disciplina, purché nei limiti dell’ordine
pubblico e purché diretti a realizzare interessi che
lo stato considera degni di essere tutelati.
La Cassazione individua in questo caso un interesse degno di tutela e ciò per una precisa ragione:
le conoscenze oggetto del know-how, anche se
non brevettate, sono segrete e dunque non “raggiungibili”; la loro acquisizione per vie diverse da
quelle contrattuali comporterebbe un costo di
ricerca e di sperimentazione, nonché un dispendio
di tempo, i quali giustificano, appunto, il pagamento di un corrispettivo.
L’ALPS Innovation Relay Centre, coordinato
dalla Camera di commercio di Torino, è un consorzio frutto della collaborazione con Unioncamere Liguria, il Centro Sviluppo di Aosta, il Centro Estero Camere Commercio Piemontesi; il consorzio può, inoltre, contare su alcuni technology
provider quali il Centro Ricerche Fiat di Orbassano, il Corep (Consorzio per la Ricerca e l’Educazione Permanente) di Torino, e il CNR. Inoltre, è
stata attivata una particolare collaborazione con
Federpiemonte al fine di raggiungere il maggior
numero di imprese sul territorio. Il consorzio è
competente per l’area geografica comprendente il
Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta.
L’ALPS IRC si rivolge in particolare modo alle
Piccole e Medie Imprese, Università e Centri di
Ricerca. In coordinamento con altri servizi (sportello APRE Piemonte, Euro Info Centre presenti
nelle tre regioni), a completamento dell’attività
volta al trasferimento di tecnologia sono fornite
informazioni sulle fonti di finanziamento comunitarie, nazionali e regionali per la ricerca e sviluppo tecnologico.
Oltre all’ALPS IRC, in Italia sono attivi altri sei
Innovation Relay Centre: LARICE IRC (Lombardia), IRENE IRC (Triveneto, Emilia Romagna,
Marche), RECITAL IRC (Toscana e Umbria),
CIRCE IRC (Lazio, Abruzzo e Sardegna), IRIDE
IRC (Puglia, Campania, Basilicata e Molise),
MEDIA IRC (Calabria e Sicilia). Gli IRC italiani
sono coordinati a livello nazionale dal Ministero
dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Per informazioni sui servizi dell’ALPS Innovation Relay Centre: Camera di commercio di Torino, Ufficio IRC-APRE, tel 011 5716320-1-2, fax
011 5716324, email [email protected]
IL TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA IN EUROPA: LA
RETE DEGLI INNOVATION
RELAY CENTRE
La rete degli Innovation Relay Centre (IRC) è
nata nel 1995 per volontà della Commissione
Europea allo scopo di favorire la cooperazione e
il trasferimento tecnologico transnazionale. Oggi
la rete consiste di 68 centri di consulenza cofinanziati dalla DG Enterprise, Innovation, Networks
and Services della Commissione Europea dislocati presso i paesi dell’Unione Europea, l’Europa
centro orientale, Svizzera, Norvegia, Islanda,
Israele e Cipro. Gli Innovation Relay Centre sono
strutture di supporto ospitate presso organizzazioni pubbliche come Università, Centri di ricerca,
Camere di commercio, Agenzie per lo Sviluppo
Regionale o Agenzie Nazionali per l’Innovazione. Molti IRC sono formati da consorzi con competenze sul territorio.
L’attività svolta dagli IRC ha per scopo quello di
promuovere relazioni di collaborazione transnazionale per lo sviluppo o l’utilizzo di applicazioni
tecnologiche innovative o di risultati di ricerca.
Le attività comprendono l’individuazione delle
potenzialità o dei bisogni tecnologici di imprese e
centri di ricerca sul territorio, l’utilizzo della rete
IRC per la diffusione di richieste e offerte di tecnologia alla ricerca di appropriati partner, l’organizzazione di eventi di brokeraggio tecnologico
per favorire l’incontro fra potenziali partner,
l’assistenza nella fase di negoziazione che prelude
ad un accordo di trasferimento tecnologico (vedi
prospetto riepilogativo nel riquadro giallo).
■ IL TECHNOLOGICAL IMPLEMENTATION PLAN: COS’È E
COME REDIGERLO – seminario a Torino il 15 aprile 2002
Il “ciclo di vita” di un progetto europeo di ricerca o di dimostrazione finanziato all’interno del V Programma Quadro si conclude con lo sfruttamento e/o la disseminazione dei risultati. Il contratto con la
Commissione europea relativo al progetto prevede la redazione di un piano per la realizzazione tecnologica (Technological Implementation Plan – TIP): la presentazione alla Commissione europea di
questo piano, oltre ad essere un obbligo contrattuale, è utile ai partner del consorzio per individuare le
azioni da intraprendere per l’utilizzo concreto dei risultati di ricerca. L’applicazione dei risultati al
fine di risolvere problemi concreti dell’industria o della società europea costituisce, nella logica del V
Programma Quadro, l’obiettivo finale dei finanziamenti comunitari.
A seconda del progetto, i possibili sviluppi a partire dai risultati ottenuti possono essere diversi: ulteriore ricerca, sviluppo industriale, sviluppo per la fase di commercializzazione, disseminazione, adattamento per lo sfruttamento in nuovi settori, ecc. In questa fase potrebbe inoltre essere utile coinvolgere nuovi partner, anche finanziari.
Su questi argomenti verterà il seminario organizzato dallo Sportello APRE Piemonte il 15 aprile p.v.,
che vedrà, fra gli altri, la partecipazione di un funzionario comunitario per gli aspetti relativi a T.I.P.
e di un esperto legale per parlare dei rapporti fra partner e delle necessarie cautele negli sviluppi successivi alla conclusione tecnica del progetto. Per ulteriori informazioni: CCIAA Torino - Ufficio
APRE - tel. 011.5716320 - e-mail: [email protected].
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