Giullare Il termine giullare

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Giullare Il termine giullare
Giullare
Il termine giullare (dal provenzale (occitano) joglar a sua volta derivante dal
lemma latino iocularis) designa tutti quegli artisti che, tra la fine della tarda antichità e
l'avvento dell'età moderna, si guadagnavano da vivere esibendosi davanti ad un
pubblico: attori, mimi, musicisti, ciarlatani, addestratori di animali, ballerini, acrobati.
Nel Duecento e
nel Trecento i
giullari,
uomini
di
media
cultura
(molto
spesso chierici vaganti per le corti o per le piazze) che vivevano alla giornata facendo
i cantastorie, i buffoni e i giocolieri, divennero il maggior elemento di unione tra
la lletteratura colta e quella popolare.
Costoro erano guardati con sospetto dalla Chiesa cattolica che ne condannava il modello
di vita e i canti.
I giullari, considerati i primi veri professionisti delle lettere perché vivevano della loro arte,
ebbero una funzione molto importante nella diffusione di notizie, idee, forme di spettacolo
e di intrattenimento vario.
Essi svolgevano la loro attività in diversi modi e utilizzavano le
dalla parola alla musica, alla mimica. Utilizzavano diverse forme
lo strambotto e le ballate, e si applicavano in generi letterari e
ricorrenti vi era il contrasto, l'alba (cioè l'addio degli amanti
la serenata alla donna amata, il lamento della malmaritata.
tecniche più disparate,
metriche come l'ottava,
temi diversi. Tra i più
al sorgere del sole),
« Un giullare è un essere multiplo; è un musico, un poeta, un attore, un saltimbanco; è una sorta di
addetto ai piaceri alla corte del re e principi; è un vagabondo che vaga per le strade e dà spettacolo
nei villaggi; è il suonatore di ghironda che, a ogni tappa, canta le canzoni di gesta alle persone; è
il ciarlatano che diverte la folla agli incroci delle strade; è l'autore e l'attore degli spettacoli che si
danno i giorni di festa all'uscita dalla chiesa; è il conduttore delle danze che fa ballare la gioventù; è
il cantimpanca [cantastorie]; è il suonatore di tromba che scandisce la marcia delle processioni; è
l'affabulatore, il cantore che rallegra festini, nozze, veglie; è il cavallerizzo che volteggia sui
cavalli; l'acrobata che danza sulle mani, che fa giochi coi coltelli, che attraversa i cerchi di corsa,
che mangia il fuoco, che fa il contorsionista; il saltimbanco sbruffone e imitatore; il buffone che fa
lo scemo e che dice scempiaggini; il giullare è tutto ciò e altro ancora. »
(E.Faral, Les jongleurs en France au Moyen age [I giullari in Francia nel Medio Evo])
la letteratura giullaresca
È quella dei giullari, una letteratura quasi sempre anonima sia sul piano anagrafico (non si
conoscono gli autori di molti componimenti), sia sul piano culturale. Manca infatti un rilievo
stilistico distintivo, le forme utilizzate sono convenzionali e ripetitive perché l'autore si
basava soprattutto sull'invenzione, sulla battuta ad effetto, sulla brillante e improvvisa
trovata.
I documenti più antichi dell'arte dei giullari sono abbastanza rari: il più antico è
la cantilena toscana Salv'a lo vescovo senato, che fu composta poco dopo la metà del XII
secolo in lasse monorime
composte
da ottonari,
nella
quale
un
giullare,
con enfatiche parole, esalta Villano, arcivescovo di Pisa, per ottenere in cambio il dono di
un cavallo.
Il Lamento della sposa padovana è un frammento del secolo XII proveniente da
un poemetto di genere cortigiano, probabilmente imitato dal francese, che canta l'amore di
una donna per il marito che combatte lontano, in Terrasanta.
Spicca la personalità di Ruggieri Apugliese (o "Apulliese"), giullare di Siena vissuto nella
prima metà del Duecento, che scrive una tenzone di argomento politico costruita sullo
schema di quelle dei trovatori, una canzone che imita i virtuosismi stilistici dei provenzali,
un Vanto che è una specie di frottola (particolare forma metrica) nella quale viene esaltata
la sua poliedrica bravura in tutti i mestieri e una strana parodia della Passione.
Ma il più interessante documento di questa letteratura è il contrasto, metro di origine
popolare, intitolato Rosa fresca aulentissima scritto in lingua siciliana nella prima metà
del XIII secolo da Cielo d'Alcamo, della Scuola poetica siciliana, il quale è un vero
esempio di mimo giullaresco.
Giullari, trovatori e banchetti
Il rapporto dei giullari con i trovatori consiste spesso in rapporto di collaborazione nella
realizzazione di spettacoli di intrattenimento presso corti e banchetti. Il trovatore, che è
spesso un nobile fuggiasco delle terre francesi del sud, si guadagna l'appoggio delle corti
e di nobili fornendo la sua prestazione artistica di poeta. Il giullare spesso accompagna
questa attività e la completa eseguendo canzoni di cui i testi sono proprio i componimenti
del trovatore.
A tal proposito bisogna distinguere almeno due categorie di giullari, in base alla loro
funzione e alla location della loro performance. I giullari che agiscono presso le corti sono
infatti artisti fissi, non più girovaghi come lo sono i loro colleghi che si esibiscono nelle
piazze e nelle taverne. Questa differenza influenza anche il tipo di spettacolo che il giullare
era solito eseguire, adattandolo ai contesti e al pubblico. Inoltre si era soliti già
nel medioevo fare una distinzione tra i giullari in base ai tipi di spettacoli che essi
eseguivano, condannando quelli adusi alla nudità, al contorsionismo (considerato una
forma di violazione delle leggi di Dio), alla volgarità e lodando invece quelli che, in funzioni
di cantastorie, diffondevano le storie di santi e di virtù cristiana.
I costumi dei giullari e delle rappresentazioni medievali
L'abito nel medioevo
Prima di descrivere nel dettaglio l'abito del giullare è importante tenere in conto quale sia il
contesto culturale in cui ci si muove, in particolare verso l’abbigliamento e il modo di
presentare se stessi in pubblico.
La possibilità di vestirsi come più fosse gradito non era contemplata nel Medioevo, dove
spesso si trovano disposizioni ufficiali, non semplicemente emendate al controllo sociale
della comunità, su come sia ammesso e accettabile vestirsi in pubblico.
In particolare sono interessanti le disposizioni relative alle prostitute, dalle quali tenevano a
distinguersi le donne di buona famiglia, in quanto a loro era spesso proibito di indossare
veli sul capo e talvolta erano obbligate ad indossare colori specifici, come il giallo.
La distinzione sociale avveniva per grande parte proprio attraverso la differenza
nell’abbigliamento. In questo contesto di così alta disciplina del vestiario era automatico
che nei momenti più importanti della spettacolarità secolare, pagana, popolare, la prima
nota di cambiamento fosse proprio nei costumi che rappresentavano in primis il
sovvertimento delle usanze accettate e imposte dalle autorità.
Il costume medioevale
Il bestiario, come catalogo dell’immaginario mostruoso, interviene nel suggerire spunti e
forme per rappresentare mostri e diavoli. Ma i diavoli intervengono anche
nelle rappresentazioni
sacre,
le
cosiddette
Laudi
drammatiche,
in
cui
la chiesa organizzava spettacoli riguardanti motivi religiosi che spesso si confondevano
con la mitologia e le suggestioni pagane (si ricorda che è di questo periodo la stessa
invenzione del Purgatorio, poi accettata dalla Chiesa, a testimonianza del fatto che la
creatività potesse interferire nella dottrina (religione) stessa).
Accanto ai costumi usati dai chierici che spesso consistevano in una dalmatica per i
personaggi più importanti, queste lunghe tuniche avevavo ampie maniche di lino o seta.
Così Dio poteva vestire da papa, gli angeli con una dalmatica e il popolo con tuniche
semplici. La laude drammatica e le sacre rappresentazioni non avevano grande interesse
al realismo né alla veridicità storica dei costumi: nelle Laudi era quindi comune l’utilizzo di
abiti contemporanei ma anche di costumi da diavoli e mostri, per aumentare l'effetto
spettacolare; gli attori che impersonavano queste figure negative godevano di più ampia
licenza nel linguaggio come nelle movenze, rispetto al comune senso del pudore, perché
più appropriato alla parte incarnata.
L'abito del giullare
Questa licenziosità in particolare rappresenta un'evidente contaminazione dei modi pagani
di fare spettacolo con le ritualità della chiesa e evidenziano quanto la funzione del giullare,
nonostante spesso vista come l’espressività di un reietto, fosse però comune e diffusa. Il
giullare infatti faceva la parte del soggetto controcorrente, la sua parola era quella
del pazzo,
dell’anormale:
un
rovesciamento
del
senso
comune.
L’abito del giullare doveva perciò essere multiforme e colorato, tale da essere ben
riconosciuto dalla folla: diveniva una sorta di veste ghettizzante, al pari di quella indossata
dalle prostitute, oppure dai lebbrosi. Proprio come queste altre figure marginali, il giullare
deve essere preannunciato anche acusticamente: ecco quindi la comparsa di campanacci
e strumenti a fiato, che da una parte egli usa per attirare il pubblico delle piazze alle sue
manifestazioni, ma d’altra parte lo connotano già da lontano come estraneo, riconoscibile
ed anche evitabile dai buoni cristiani.
Il vestito tipico del giullare, con le sue strisce verticali viene interpretato come un simbolo
diabolico, manifestazione di disordine, in opposizione alla monocromia degli abiti dei
cittadini per bene. La policromia dell'abito e l'utilizzo delle bande verticali alternate, tipiche
del vestito del giullare, sono spesso considerate un simbolo diabolico, una esternazione
della follia e della anormalità di questo strano personaggio che impersona quindi una delle
tante forme del "folle" nella cultura europea.
Il costume quindi rappresenta il primo carattere distintivo di questo artista, intrattenitore,
folle e divertente. L’abito colorato di due soli colori, diviso nel senso dell’altezza,
campanelli appesi al cappello e oggetti strani alla cinta, l’utilizzo di strumenti musicali ne
fanno un personaggio stravagante al punto da poter essere giustificato solo in periodi
speciali come le feste e comunque tollerato solo a patto di considerarlo un folle e buffone,
che fa qualcosa per mangiare. Lo stesso abito a strisce e multicolore è indizio della sua
diabolicità, sintomo della volontà di provocare, troppo appariscente e inusuale per non
destare scalpore, ma addirittura spesso accompagnato da manifestazioni della nudità,
sintomo di follia ad oggi ancora riconosciuto come tale. Il costume del giullare, nella sua
stravagante semplicità, è il sintomo di una necessità intrinseca in ogni società civile di
possedere e tenersi strette delle alternative, delle diversità rispetto alle quali posizionarsi a
livello sociale e personale, dalle quali distinguersi e tuttavia delle quali bearsi. La cultura
della chiesa in questo trovava quindi un grande nemico, che diffuso, disorganizzato,
puntuale e senza progetto, si limita a girovagare di piazza in piazza, di luogo in luogo,
palazzo e signoria per tirare avanti, la maggior parte delle volte, e in alcuni casi per portare
avanti un percorso personale artistico, da soli o al seguito di un Trovatore, di cui spesso
musicavano i componimenti poetici.
La condanna dei giullari
Si spiega in sostanza la condanna della Chiesa di Roma verso il teatro e le forme di
rappresentazioni non sacre, con la nascita delle prime forme discriminatorie che
colpiscono i giullari, impedendone, di fatto, l’integrazione in un ambiente urbano e
relegandoli perciò ai margini della vita sociale.
La diversità del giullare/attore si manifesta anche nella connotazione pubblica, quale
elemento multiforme, poco affidabile, capace di creare spettacoli in cui le leggi sacre
vengono sovvertite, e quindi pericoloso per la morale cristiana. Il giullare infatti incarna
quella verità del folle che Michel Foucault rileva nella concezione dell’ordine del discorso
tipica del periodo medievale e rinascimentale, in cui il folle ha il diritto di parlare e il potere
di diffondere verità occulte, da divinare e interpretare. Ecco che diventa chiaro il motivo
per cui tale tipo di spettacolo fosse inviso alla Chiesa, che poteva certo vedere in esso un
canale di sfogo del pensiero, non controllato dalle finalità e regole della gerarchia e potere
ecclesiastiche. Le dame, a volte attratte da questo affabile incantatore, concedevano le
loro grazie come compenso per la performance, in modo da prolungare l'atto della
creativita sotto le lenzuola di velluto.
Il moderno giullare
Dario Fo
Nell'età moderna la figura del giullare - nell'accezione particolare di attoreaffabulatore - è
stata resa celebre da Dario Fo che proprio nella "maschera" del giullare si è identificato
quando nel 1968 ha rotto con il circuito istituzionale dell'Ente Teatrale Italiano ed ha
iniziato ad esibirsi nelle Case del Popolo gestite dall'ARCI. È altresì evidente che quella di
Fo è un'operazione di recupero storico non condotta secondo canoni filologici: come
osserva Tito Saffioti, Fo attribuisce ai giullari una coscienza politica consapevolmente
oppositiva al potere che forse i giullari medievali non ebbero mai. Oltre ai giullari di strada
che si esibivano davanti ad un pubblico popolare (si ricordino Ruggieri Apugliese, che
forse proveniva però da un ambiente colto e Matazzone da Caligano), esistevano infatti
anche "buffoni di corte" e "canterini comunali" i cui spettacoli erano destinati ad un
pubblico ricco e colto (si ricordi Andrea da Barberino). Negli ultimi anni è nata una nuova
forma di giullarata applicata al teatro civile portata avanti da Giulio Cavalli, utilizzando
tecniche
antiche
per
affrontare
temi
estremamente
moderni
come
il
G8 di Genova del 2001 o il disastro aereo di Linate. Un esempio di "giullare moderno" è la
figura contemporanea del comico satirico, molto diffusa anche in Italia.
Note
1.^ Tito Saffioti, I giullari in Italia, Xenia ed., Milano 1990
2.Bibliografia ragionata
•Sulla figura del giullare e la sua fortuna: A. Hauser, Storia sociale dell'arte, Einaudi, Torino
1973, 2 voll., I, V e VII
•Per una libera interpretazione del giullare medievale, inteso come portavoce di esigenze
sociali delle classi subalterne, escluse dalla cultura scritta (concezione che è alla base del
teatro di Dario Fo), cfr. Dario Fo, Mistero buffo, Torino, Einaudi 2003
•Per un commento sull'immagine non ufficiale del giullare nel Medioevo e delle "giullarate"
rielaborate su testi italiani e francesi da Dario Fo, cfr. G. Musca, Il medioevo di Dario Fo, in
"Quaderni medievali", n° 4, dicembre 1977, pp. 164-77.
•Sul rapporto tra il teatro di Dario Fo ed il teatro dei giullari, cfr. Simone Soriani, Dario Fo e
la performance giullaresca, in "Il Laboratorio del Segnalibro", n. 20, marzo 2005, pp. 7-8;
cfr. anche Anna Barsotti, Dario Fo giullarista e istriomane, in AA. VV., Comicità negli anni
Settanta, ETS 2005.
•Sui rapporti tra chierici e giullari, A. Viscardi, Letterature d'oc e d'oil, Sansoni, Academia,
Firenze 1967.
•Sui modi giullareschi nella predicazione, G. Miccoli, La storia religiosa, in St. d'I. E., II, 1,
p. 831 e C. Ginzburg, Folklore, magia, religione, in St. d'I. E., I, p. 614 e sgg.
•Sulle diverse tipologie di intrattenitori: S. Pietrini, Il disordine del lessico e la varietà delle
cose: le denominazioni latine e romanze degli intrattenitori“, in “Quaderni Medievali”, n. 47,
giugno 1999, pp. 77-113.
•Sull'iconografia dei giullari: S. Pietrini, I giullari nella vita e nell'immaginario medievali, CDrom,
Firenze,
Centro
Didattico-Televisivo,
1999;
S.
Pietrini, Giullari
e
scimmie
nell'iconografia medievale, in “Biblioteca Teatrale", n.s., 37-38, gennaio-giugno 1996, pp.
101-125; S. Pietrini, Spettacoli e immaginario teatrale nel Medioevo, Roma, Bulzoni, 2001;
S. Pietrini, I giullari nell'immaginario medievale, Roma, Bulzoni, 2011.
•Edmond Faral, Les jongleurs en France au Moyen age [I giullari in Francia nel Medio
Evo], H. Campion, Paris 1910 pp. 1-2, traduzione in L. Allegri, Teatro e spettacolo nel
Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. 61-62
•Salvatore Battaglia, «GIULLARI», Enciclopedia Italiana (1933), Istituto dell'Enciclopedia
italiana Treccani.