1 Indice: Introduzione - Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo
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1 Indice: Introduzione - Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo
Indice: Introduzione ............................................................................................................................. 3 I. Il fumetto giapponese e la donna nipponica: due universi segnati dall’alterità ................... 6 1.1 Analisi del fenomeno manga ......................................................................................... 8 1.1.1 Oriente e Occidente ................................................................................................ 8 1.1.2 Etimologia e storia del fumetto giapponese ......................................................... 10 1.1.3 Manga-poket: modalità di fruizione dal cartaceo al web ..................................... 13 1.1.4 Temi e stili ........................................................................................................... 16 1.1.5 Mangaka e Fan ..................................................................................................... 22 1.1.6 Fatto sociale: il manga come riflesso del reale .................................................... 27 1.2 Analisi della figura della donna giapponese: excursus storico e dinamiche sociali .... 31 1.2.1 In the beginning was the Sun ............................................................................... 31 1.2.2 L’inizio del regente .............................................................................................. 33 1.2.3 Il mondo galleggiante .......................................................................................... 36 1.2.4 L’enigma geisha ................................................................................................... 37 1.2.5 Lo sbarco dei vascelli neri ................................................................................... 40 1.2.6 Tempi moderni ..................................................................................................... 43 1.2.7 Da Amaterasu ad Aiko ......................................................................................... 47 II. Shôjo manga: il fumetto per ragazze ................................................................................ 50 2.1 L’innovazione stilistica come rottura di schemi sociali .............................................. 51 2.2 Sfumature culturali del concetto di ‘Amore’ in Giappone ......................................... 55 2.3 I topoi del genere shôjo ed il precario equilibrio tra tradizione e modernità .............. 59 2.4 La natura psicologica del piacere della lettura: il manga come favola moderna ......... 63 2.5 Evoluzione storica del genere: Mama- san e Papa - zuma .......................................... 66 2.6 Ribon no kishi come specchio dell’umano: stereotipi femminili ................................ 70 2.7 L’istituzione dell’omiai tra volontà personale e scadenze sociali ............................... 71 1 2.8 Lo shôjo manga diventa appannaggio femminile ........................................................ 75 2.9 Genesi dei Boys’ love : le donne giapponese raccontano l’amore tra giovani androgini ............................................................................................................................................ 81 2.10 Dagli amori tra samurai al trasgender del teatro Kabuki: l’omosessualità in Giappone ............................................................................................................................................ 87 2.11 La confusione tra i sessi ed il tema del travestitismo: da Versaille no bara a Ranma 1\2 ..................................................................................................................................... 91 2.12 Lo Yuri manga e l’amore saffico ............................................................................. 102 2.13 Igarashi e Saito, maestre del sentimentalismo: lo shôjo caro al melò ..................... 111 2.14 Le studentesse shôjo e l’infernale sistema scolastico giapponese ........................... 115 2.15 Lo shôjo sportivo e l’odierna rielaborazione dell’etica del bushido ....................... 125 2.16 Il Mahō shôjo e il misticismo del pensiero giapponese ........................................... 129 2.17 Il genere horror e la nevrosi femminile ................................................................... 138 2.18 Lo Josey manga e la donna giapponese: libertà sessuale e lotte sul lavoro ............. 141 III. L’altro volto dello shôjo manga: il corpo grafico della donna nei target maschili ...... 150 3.1 Il genere mecha ed il ritorno simbolico all’utero materno. ...................................... 159 3.2 La pornografia, la crisi di valori dell’ultima generazione e il corpo femminile come oggetto sessuale ............................................................................................................... 167 Conclusioni .......................................................................................................................... 173 Bibliografia .......................................................................................................................... 175 Sitografia .............................................................................................................................. 177 2 INTRODUZIONE Il teorico e regista russo Sergej Ejzenstejn esalta la scrittura giapponese per il suo essere, in primo luogo, figuratività. L’ideogramma, detto kanji, traduce in esposizione letteraria un concetto astratto: la combinazione di due segni riesce a delineare ciò che graficamente figurabile non è e dà origine ad una nettezza d’immagini. Dunque, il Giappone è un Paese in cui la comunicazione visiva è la base di ogni cosa, dove l’immagine spiega e pervade tutto. Il Giappone è un Paese in cui i fumetti, come conseguenza di questa impostazione verso il segno e l’immagine, si sono sviluppati in maniera più peculiare ed approfondita che altrove, diventando un mezzo universale per raccontare ogni tipo di storia, rivolta ad ogni tipo di pubblico: non solo per veicolare avventure per bambini o adolescenti, come sono stati per troppo tempo concepiti in Occidente. Gli shôjo manga, i fumetti per ragazze, sono uno degli esempi più fulgidi ed interessanti di questa società delle immagini: inquietanti ed affascinanti, gli shôjo manga presentano storie di formazione e di pratica sportiva, d’amore e di storia, horror e commedie sofisticate, su scuola e lavoro. Tra le loro pagine si parla di vita, morte, sesso, amore, omosessualità, lotte contro il male. Ma soprattutto, gli shôjo manga rappresentano un fenomeno, pressoché unico, di costruzione di una cultura al femminile popolare in epoca contemporanea: una cultura scritta da donne per altre donne che, attraverso il protagonismo femminile, crea un immaginario culturale potente e permanente. Al centro dell’analisi vi è Il manga delle donne, appunto, nella sua triplice forma di mano che crea, sguardo che sogna e linea grafica che prende vita; ma anche nel suo processo osmotico con la realtà che trae linfa vitale dalle intenzioni delle autrici e dai bisogni delle lettrici, attraverso la loro sublimazione estetica nelle eroine di carta e inchiostro. Perfino rispetto ai fumetti per ragazzi, lo shôjo manga è lo specchio di più epoche e riesce a imprimere sulla carta la cronologia di un Giappone che pare crogiolarsi in un quieto benessere e in organizzazioni ben definite, dove di solito la donna è costretta a restare al suo posto, in casa, come moglie e madre. Ma dove al contrario esistono tanti dubbi e perplessità e dove non sempre tutte le personali aspirazioni sono accontentate da questa società. 1 Accanto ad una diserzione tecnica sul mezzo espressivo, c’è l’interesse a rilevare le peculiarità del contesto storico-sociale nel quale si è sviluppata questa forma d’arte. I parametri adottati sono, principalmente, il valore artistico che le opere hanno assunto nel 1 Mario A. Rumors Come bambole. Storia e analisi del fumetto per ragazze giapponese. Tunuè, 2005, cit., pag. 8. 3 corso degli anni e la loro rappresentatività della società giapponese, in relazione alla figura femminile. Il primo capitolo introduce il fumetto nipponico e la donna giapponese, frutti di un mondo che, agli occhi di un occidentale, suscita fascinazione e sospetto, al tempo stesso. Il senso di estraneità è aggravato dallo status di marginalità del mezzo espressivo nel panorama culturale e dell’agente sociale nella realtà circostante. Il manga viene presentato nella sua evoluzione grafica e tematica, come polo centrale di una comunicazione tra autore e destinatario. È nella veste di riflesso deformante della società, che racconta un’altra storia di alterità: la donna giapponese. L’excursus storico è necessario per rintracciare le dinamiche che hanno modellato tale figura, imprigionata nel binomio di sposa e geisha - nella mente occidentale - e in quello riproduttivo - nella mente giapponese. Ma dietro a tali stereotipi, si nasconde una donna animata dello stesso spirito dei samurai e della miracolosa ripresa nel dopoguerra; una donna animata da un amore viscerale per il proprio Paese, per rispetto del quale non porta avanti una rivoluzione femminista. Parallelamente, il secondo capitolo segue i cambiamenti sociali dell’ultimo secolo, attraverso il fumetto per ragazze. Si analizzano le peculiarità stilistiche e tematiche di un mezzo, in un certo senso letterario, che viene sottratto alla predominanza maschile affinché possa emergere un punto di vista esclusivamente femminile: l’essenza dello shôjo manga risiede nelle opere di signore che si chiamano, di volta in volta, Machiko Satonaka, Moto Hagio, RiyokoIkeda, Waki Yamato, Ai Yazawa, Fuyumi Soryo. Ciascuna con la propria firma rivendica il primato letterario che il cuore e la mano di una donna, Murasaki Shikibu, ha siglano nel VII secolo con il classico Genji monogatari. Alcuni paragrafi esulano dal contesto propriamente shôjo e sono dedicati a generi che, comunque, presentano una prospettiva femminile,nonché autrici e lettrici in prevalenza donne: il genere shônen ai narra storie d’amore tra giovani efebi e pone l’interrogativo sul perché lo leggano e lo scrivano donne; il genere yuri sceglie eroine segnate da un doppio livello di diversità: il diverso di essere donna in una società maschilista e il diverso di amare una persona dello stesso sesso in una società che vuole la donna, in primis, come madre; il genere josey segue le giovani lettrici di shôjo, ormai divenute adulte, nella scoperta di un contesto lavorativo senza pari opportunità e di una sessualità che solleva i veli della pudicizia adolescenziale. Infine, il terzo capitolo si sofferma sulle figure femminili che, finora osservate dall’alto del loro ruolo di protagoniste, scendono il podio per fare spazio - come nella vita reale- all’uomo: i generi maschili offrono un’immagine della donna che va da coprotagonista che sostiene l’eroe ad oggetto del desiderio. Non c’è discriminazione qui, ma solo l’esigenza di avere un alter ego maschile in generi destinati a ragazzi e uomini. L’eccezione è quella del cyborg che nonostante risieda in ambito maschile è spesso un’eroina forte ed indipendente, 4 ma in realtà non è veramente donna: gli interrogativi identitari si spostano dal binomio uomo\donna alla dualità uomo\macchina in cui le differenze di genere si dissolvono. L’analisi si prefigge di illustrare l’evoluzione di una figura che, dalla dea del sole Amaterasu alla giovane erede al trono Aiko, sta per chiudere un ciclo: un fenomeno in costante mutamento e che sta cambiando anche in questo stesso momento. 5 I. IL FUMETTO GIAPPONESE E LA DONNA NIPPONICA: DUE UNIVERSI SEGNATI DALL’ALTERITÀ Il centro focale dell’analisi è la figura femminile all’interno dell’universo mediatico manga, sotto il triplice segno della mano che disegna, dell’occhio che sogna e del tratto grafico che prende vita. Il taglio sociologico dato allo studio, rende necessario una premessa sul ruolo e la visione della donna in società. All’interno delle gerarchie patriarcali, in modo analogo sia in Oriente sia in Occidente, il potere dell’uomo subordina l’elemento femminile singolare assoluto - alla definizione unidirezionale di Altro: tornando alle origini del patriarcato occidentale, per un cittadino della Grecia antica "la prima vera presentificazione dello stato selvaggio nell’ordine della polis è data dalla donna greca"1, non considerata cittadina lei stessa, semmai madre di cittadini, il cui diritto di cittadinanza è comunque trasmesso in linea paterna; in modo analogo, Confucio - la cui morale è alla base della società nipponica fortemente maschilista - ammonisce: "Ci sono due categorie di persone con le quali non è mai facile intendersi, gli uomini dappoco e le donne"2. La donna è alla base di ogni riflessione dell'uomo sulla sua esistenza e di ogni espressione che egli possa darne […] Schiava e compagna dell'uomo, egli vorrebbe che fosse anche pubblico e giudice, vorrebbe ottenere da lei una conferma della propria esistenza […] è così difficile non parlarne perché l'uomo si cerca tutto intero in lei ed essa è tutto. Soltanto, è Tutto al modo dell'inessenziale: è tutto l’Altro.3 Certamente, l’‘inferiorità sociale’ non è affatto un dato biologicamente fondato. Tale alterità deriva da categorie assolute che il maschile stabilisce partendo dal proprio punto di vista, sessuato ma elevato a neutrale.4 Si tratta di un processo necessario affinché l’uomo ottenga un guadagno economico e in termini di potere e possa rispondere ad una necessità ontologica e morale: il soggetto maschile sente l’esigenza di delimitare il ‘diverso da sé’ per costruirsi una forte identità, sulla quale legittima la propria supremazia e l’oppressione del sesso opposto, sia sul piano dell’immaginario che nelle pratiche quotidiane. Il Mito stesso ha il compito fondamentale di mantenere quest’ordine sociale, tanto che al suo interno la donna non è mai posta come soggetto e sempre definita in rapporto all’uomo. Il mito greco sulla creazione del genere umano è uno degli esempi limite di 1 Laura Faranda, Viaggi di ritorno: itinerari antropologici nella Grecia Antica, Armando Editore, 2009, cit., pag.78. 2 G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni,Laterza Editori, 1998, cit., pag.379. 3 Federica Castelli, L’invenzione della Donna: miti sull’alterità femminile,«IAPH Italia», http://www.iaphitalia.org/ 4 L’alterità è un concetto sviluppato per fare riferimento al processo attraverso il quale le società o i gruppi escludono coloro che considerano non identici a coloro che detengono il potere, delimitandone quindi l’identità. 6 misantropia, poiché nega all’uomo e alla donna un génos - nascita, genere, stirpe - univoco, quasi fossero due specie differenti. Nella maggior parte delle cosmogonie, la nascita della donna non è avulsa da quella dell’uomo, bensì assolutamente indissociabile - ad esempio, nella Genesi la creazione di Eva è intimamente legata alla figura del primo Uomo che fa dono della propria costola: tuttavia, la supremazia maschile è comunque garantita dal primato temporale di abitabilità. Nel panorama mitologico, lo scintoismo costituisce un’eccezione elevando a ruolo di divinità principale un’entità di segno femminile, Amaterasu: eppure, la discendenza del potere regale di emanazione divina non rompe gli schemi, facendo del primo sovrano mitico un Uomo.5 L’affermazione dell’ordine virile esige la destituzione del potere della donna. L’archetipo della Grande Dea "è tipicamente vergine nel senso di essere una in se stessa":6 rimane vergine anche nel momento in cui è dea dell’amore, poiché non si presenta come la controparte femminile di un dio maschile, bensì riveste il ruolo di Vergine, Madre e Amante, mantenendo un’identità indipendente e subordinando a sé le divinità maschili. Dunque, il perturbante - termine freudiano del sentimento che nasce per qualcosa che è familiare ed estranea allo stesso tempo - per l’uomo nasce dal suo essere selvaggia e libera, seducente ma incapace di essere posseduta. La tendenza patriarcale s’impone a caro prezzo per il femminile che si divide nelle sue forme accettabili: l’ordine sociale accetta al suo interno la virgo, attributo che prende a significare donna casta che limita l’uso del corpo al suo padrone, ed esilia il lato promiscuo che condanna la donna all’etichetta di prostituta. Pertanto, questa sede preferisce alla cultura ufficiale, fin troppo integrata nel sistema patriarcale, a favore di un mezzo libero dal pensiero dominate e maggiormente svincolato dal pugno di ferro della censura: il manga è fautore di un immaginario femmineo, che rompe le catene secolari dello stereotipo e si reinventa con grande freschezza. Ciò grazie alla condivisione della condizione di minoranza della donna: il fumetto giapponese impone la propria presenza di figura borderline nel panorama artistico-culturale. Molti elementi pop hanno ottenuto una dignità artistica attraverso il manga, che ha così infranto la barriera tra cultura alta e cultura bassa. Non è semplice accettare la cultura popolare come parte di quella seria, poiché il conflitto che si innesca con la tradizione, nella quale la cultura alta si identifica, incrina le basi teoriche della stessa: dunque, in tale processo di identificazione, tale subcultura, con il suo bagaglio pop, è vista come alterità. Il dualismo tra arte e non arte è sempre stato fonte di pregiudizi, che proliferano nell’ignoranza e creano mostri: da qui, lo snobismo di alcuni intellettuali. Gli innamorati del Giappone ‘tradizionale’vedono in questi disegni una macchia che sfigura quella che, ai loro occhi, è una cultura antica, sofisticata e 5 Il tema della mitologia giapponese viene trattato nel paragrafo 1.2.1 In the beginning woman was the Sun Giulia Fanara, Frontiere: il cinema e lo spazio mitico del genere: esploratory, cowboy, soldati, alieni, alla conquista della nazione americana, Roma, Bulzoni, 2004, cit., pag. 48. 6 7 mistica. Ma questo Giappone di indubbia eleganza ha sempre vissuto con un Altro: popolare e ribelle, senza problemi di morale o di buon gusto, con falli giganti che vagano durante feste religiose, che ama disperarsi davanti alle messe in scena dello shinjû, doppio suicidio d’amore, e delle altre storie melense del dramma popolare. Ci si trova di fronte al problema di dover ufficializzare un tipo di arte che, seppure abbia radici fortemente popolari e non del tutto indigene, rappresenta un chiaro specchio della società giapponese. Per noi occidentali, il senso di alterità è maggiorato dal contesto socio-culturale di cui entrambi gli elementi di studio sono frutto: l’uno in qualità di mezzo narrativo e l’altro in qualità di agente sociale. Parlare di Giappone significa incomodare il concetto di differenza culturale: alcuni etnologi francesi affermano che "nella nostra geografia mentale, il Giappone è il paese della massima differenza".7 1.1 ANALISI DEL FENOMENO MANGA 1.1.1 ORIENTE E OCCIDENTE La terminologia stessa di Estremo Oriente sottolinea una distanza: rimanda geograficamente all’altra parte del globo terrestre, ma sottende anche uno scontro tra mentalità. Inoltre, è una definizione che gli abitanti dell’Arcipelago non sentono propria, in quanto presumerebbe far parte di un insieme più grande, ma non si sentono componenti di un gruppo se non del loro: si tratta di una nazione che esalta e custodisce gelosamente la propria unicità, che utilizza il termine gaijin8 per i non- giapponesi e, dunque, loro non sono la parte più ad Est del continente Asia, loro sono il paese del Sol Levante. In appendice del testo Giappone: fattori e limiti di un mito di Lorenzo Isgrò, si trova una lista dei ‘contrari’ certamente secondo un’ottica eurocentrica - dell’Arcipelago, come: la mano sinistra si identifica col giusto, la destra con il contrario; o il bianco simboleggia il dolore ed il nero il suo contrario; o cominciano a lavarsi dai piedi e non dal viso. Certamente, sono un modo per vedere la differenza tra noi e loro che, però, soddisfa più il gusto per l’aneddoto che la ricerca vera e propria. Germogliano idee di spazio, tempo e individuo dal gusto tutto nipponico e ciò si deve al secolare isolamento che ha avvolto il paese, fino all’arrivo delle navi inglesi, che rappresenta il trauma fondativo del Giappone moderno. Da un lato, spesso gli occidentali rigettano la rigidità delle persone, la cortesia di facciata, le inutili cerimonie che incontrano nel Sol Levante; dall’altra, i giapponesi pensano che la propria cultura appartenga solo a loro e gli stranieri non siano in grado di 7Thierry Groensteen, Il mondo dei manga. Introduzione al fumetto giappoense, Granada Press, 1998, cit., pag. 10. Letteralmente ‘persona di una terra esterna - al Giappone’, nelle traduzioni addolcito in ‘straniero’, ma in realtà‘barbaro’. Come gli antichi greci, chiusi nelle loro poleis, identificavano i non greci con barbaroi, appunto. 8 8 comprenderla. Il tempo storico s’infrange contro il tempo ciclico, la categorica proprietà privata si dissolve in una concezione spaziale labile e carica di molteplici simboli; l’individualismo si disperde in un sistema comunitario, in cui l’isolamento è tanto tenue quanto lo è la distinzione tra singolo e gruppo. Il generale MacArthur, che nel 1951 occupò con le sue truppe il territorio nipponico, descrisse i giapponesi come ‘simili ad un ragazzo di 12 anni’ per la loro predisposizione e freschezza nel seguire nuovi modelli e nuove idee: ma non fu questo il senso recepito né dagli americani né dai giapponesi stessi. Al di là dell’incomprensione, era così che l’Ovest del mondo li vedeva: infantili, immaturi, il giovane subordinato ad una America paternalista. Una rassicurazione sulla propria - dell’Occidente superiorità, vacillante di fronte all’incredibile celerità della loro ripresa e del loro sviluppo economico e tecnologico. Anche i manga sono fonte di equivoco tra i due emisferi: dal momento che non sono stati concepiti per essere venduti all’estero - rappresenta un introito infinitesimale rispetto all’enorme mercato nazionale -, da un lato, gli editori non si sono mai posti problemi riguardo argomenti sensibili, quali il sesso, la cristianità ed altri; dall’altro, la ricezione fuori il Giappone è stata semplificata e distorta. Le diverse consuetudini di lettura, le differenti concezioni circa le forme narrative, nonché quelle linguistiche ed i grandi pregiudizi culturali possono essere, in sintesi, le ragioni che rendono famigerato il fumetto giapponese, in alcuni ambienti. Paul Gravett, nel suo Manga: 60 anni di fumetto giapponese, riporta la definizione della parola ‘manga’ nell’Oxford English Dictionary: “Comic book e cartoni animati giapponesi che hanno tema fantascientifico o fantastico.”9 Tralasciando l’indicativo errore di termini - le animazioni giapponesi sono prodotto diverso con un nome specifico, anime, il dato risulta interessante nella misura in cui ne denota l’ignoranza: i manga trattano qualsiasi genere per qualsiasi tipo di lettore e, come ricorda il critico tedesco Schodt, il parere generale dei lettori giapponesi è che oggi i fumetti hanno tanto da dire sulla vita quanto i romanzi e i film. L’immagine dell’impiegato pendolare giapponese che legge manga sexy e violenti è l’emblema del pregiudizio e del disprezzo occidentale. Ciò deriva da un assunto di fondo, e cioè che il fumetto occidentale sia migliore perché ci appartiene culturalmente. Ad occhi esterni - di neofiti europei ed americani - la standardizzazione dei manga viene superficialmente considerata come indice di bassa qualità ed i personaggi che popolano questo mondo considerati tutti uguali. Dunque, i manga sono doppiamente condannati in quanto giapponesi ed in quanto fumetti: diversamente da come avviene nella letteratura, nel cinema, nella musica, quando si parla di manga pare che nessuno prenda sul serio l’argomento. "Eppure, chi viaggia con i paraocchi della cultura alta, non si rende conto di 9 Paul Gravett, nel suo Manga: 60 anni di fumetto giapponese, Logos, 2006, cit., pag. 26. 9 perdersi l’emozione dell’ordinario, lo stupefacente del contemporaneo":10 questa frase è un mea culpa di Peter Carey, newyorchese di adozione, considerato uno tra i più grandi romanzieri contemporanei. 1.1.2 ETIMOLOGIA E STORIA DEL FUMETTO GIAPPONESE La traduzione con il termine ‘fumetti’ non rende giustizia a questo fenomeno letterario. La parola manga, scritta comunemente in caratteri sillabici hirigana è formata da due caratteri kanji: man che significa ‘svago, divagazione’e ga ‘immagine, disegno’.11 Dunque, etimologicamente, significa ‘immagine irriverente’o, più comunemente, ‘vignetta’. Nel 1814, Katsushika Hokusai, un famoso incisore su legno, 1760-1849, realizza quindici rotoli che constano in una serie di caricature in stile grottesco, battezzando l’opera con il nome di Hokusai Manga. Conia, così, il termine che designa il fumetto giapponese, sebbene con tutt’altra accezione. Infatti, il legame non si spinge oltre: il fumetto giapponese, in primis, è un mezzo atto a raccontare delle storie; al contrario, questa sorta di enciclopedia per immagini non prevede alcun elemento narrativo e lo stile grottesco che condividono è dovuto all'origine nipponica di entrambi. Tra il IX ed il XIV secolo, si sviluppa l’emakimono, una tecnica di disegno su lunghi rotoli di carta o seta, proveniente dalla Cina. Questi dipinti del periodo Kamakura12 contengono racconti di gesta guerriere o di vita quotidiana, disposti in sequenza e si leggono srotolandoli da destra a sinistra, come richiede la scrittura giapponese. Lo sviluppo narrativo, scena dopo scena, degli e-maki fa pensare ad una vignetta antelitteram, le linee orizzontali utilizzate per rendere visivamente l'idea di movimento si ritrovano anche negli odierni manga ed i filatterii sembrerebbero essere i progenitori delle nuvolette sia per intenti che per conformazione. Dunque, non è difficile capire perché tali rotoli vengano considerati gli antenati dei manga, insieme all’insigne Chôjûgiga o Rotolo degli animali, opera satirica del monaco Toba Sôjô, conservata nel tempio Kôzanjii, nei pressi di Kyoto. L'ironia nasce dall'irriverenza con la quale nobili, preti e guerrieri vengono caricaturati in animali parlanti: da qui, il nome. Certamente, le opere citate sono tra le più rappresentative, ma non le uniche del panorama narrativo nipponico. Per la realizzazione di un proto-manga bisogna attendere l’era Meiji, periodo in cui il paese inizia la sua fase di sviluppo industrializzato a tappe forzate e che va dal 1868 al 1912. 10 Peter Carey Manga, fast food & samurai. Un Giappone tutto sbagliato, Feltrinelli Editore, 2006, cit., pag. 4. Il sistema di scrittura della lingua giapponese prevede tre principali tipi di caratteri: i logogrammi o kanji l'alfabeto principale - e due sillabari, l'hirigana ed il katakana. Il primo sillabario è usato in molti casi per la formazione di nuove parole ed il è usato in genere per scrivere i forestierismi. 11 12 Il Kamakura è un periodo storico giapponese che va dal 1192 al 1333 e prende il nome dall'omonima dinastia regnante 10 Tutto si lega all’inizio di un giornalismo nuovo: in Giappone, arriva la stampa offset, la litotipografia e, nel 1862, l’inglese Charles Wirgman pubblica, a Yokohama, la rivista satirica illustrata The Japan Punch, sul modello londinese. Il pubblico di riferimento sono tutti gli stranieri del Sol Levante - principalmente inglesi ed americani-; tuttavia, comincia ad interessare anche molti giapponesi, tanto che un anno dopo appare il primo giornale autoctono che utilizza illustrazioni all'occidentale: il Nihon Boeki Shinbun ed il termine punch entra nel linguaggio comune per indicare vignette satiriche. Dunque, si riprende l'idea che anche l'immagine possa essere un mezzo di comunicazione di massa e trova terreno fertile in un periodo politicamente controverso, come l'era Meiji: satireggiare verso le autorità è pane quotidiano e le caricature riescono bene nell'intento. Il processo s'intensifica con l'arrivo, sempre dagli Stati Uniti, delle strisce a fumetti sui grandi quotidiani, con tanto di vignette in sequenza e nuvolette: un nuovo modello di comunicazione illustrato nasce e Yukichi Fukuzawa non se ne lascia scappare la portata sociale. Il suo giornale, Jiji Shinpô, ’giornale autonomo', porta avanti una satira spietata attraverso le nuove forme delle comic strips ed i cartoons. Ma la portata culturale di questo grande riformista si spinge oltre, decidendo di rimpiazzare il neologismo punch - perché troppo occidentale - con la parola manga: nel 1900, il termine appare per la prima volta, nell’odierna accezione, quando il suddetto settimanale si corolla di un supplemento dal titolo Jiji Manga. La risposta editoriale che riesce a rivaleggiare e soppiantare il Japan Punch arriva nel 1905, con la fondazione di Tokyo Puck, la prima rivista satirica supportata da disegnatori giapponesi, contenente serie disegnate a colori. L'autore è Rakuten Kitazawa, caricaturista politico e primo disegnatore nipponico ad aver abbandonato il pennello, che si è fatto le ossa nella rivista del suo predecessore sopracitato. Il suddetto prende spunto anche dalla satira della rivista Tobâe, risalente ad una trentina di anni prima: la pubblicazione si deve all'artista francese George Bigot, che vi si dedica durante il suo ventennale soggiorno in Giappone e, non casualmente, omaggia l'abate Tobâ con il titolo scelto. Tuttavia, la nascita e lo sviluppo degli odierni manga non è solo una questione di date e nomi, in un processo evolutivo lineare, bensì al loro interno confluiscono arti tradizionali e linguaggi del passato nipponico, rielaborati e rivivificati con forme estetiche pop: come non rivedere, nella sublime monocromia del manga, la calligrafia sinogiapponese, considerata l’arte suprema della linea in bianco e nero; il nansensu, non senso, dell’arte pittorica zenga;13 gli intrighi drammatici e violenti del Kabuki;14 o ancora le 13 Lo zenga è un'arte pittorica del XVII\XVIII, che miscela disegno e calligrafia. Le deliberate assurdità in essa contenute sono l'eco degli enigmi che i maestri zen utilizzano nell'insegnamento. 14 Il Kabuki è una forma di teatro giapponese sorta agli inizi del Seicento. Per un maggiore approfondimento sul tema vedere il paragrafo 2.10 Dagli amori tra samurai al trasgender del teatro Kabuki: l’omosessualità in Giappone. 11 xilografie ukiyo-e del ‘mondo galleggiante’, basate sulla cultura popolare e sull’umorismo del periodo Edo. Ciò sintetizza che cultura classica e moderna sono fatte della stessa pasta: non si può tralasciare la tradizione ‘seria', che ha visto saccheggiare il proprio repertorio iconografico di samurai, arti marziali, donne in kimono e ciliegi in fiore. Con i manga, Yuka Minakawa, collaboratrice della casa editrice Kôdansha, vede tornare in auge il kamishibai, teatro delle ombre, forma espressiva tipicamente giapponese, nata nel XX secolo. Questi cantastorie itineranti lo utilizzavano come specchio per le allodole per attirare gente e vendere i loro dolcetti. Al loro arrivo, i bambini accorrevano numerosi ed il mercante iniziava a raccontare storie illustrate, tramite cartoncini dipinti ed inseriti in una scatola di legno. Come farebbe un buon narratore, ogni episodio terminava con un furbesco momento di suspance: non è difficile scovare le influenze che hanno avuto sui manga queste illustrazioni simili a storyboard di film. Intorno agli anni Venti, molti illustratori kamishibai diventano fumettisti, poiché si assiste ad una nuova evoluzione editoriale: la Kôdansha prevede un allargamento di target, richiamando l’interesse dei giovani. A distanza di qualche anno, infatti, vedono la luce la rivista per ragazzi Shônen Club, 1914, quella per ragazze Shôjo Club, 1923, e quella per bambini Yônen Club, 1926. Tra le fila di Tokio Punk esce il progressista Ikkei Okamoto, in qualità di promotore delle strisce a fumetti statunitensi, quali Mutt and Jeff, Felix the Cat e Bringing Up Father. Lo si ricorda per l’opera Hito no isshô , La vita di un uomo, e per il suo rivoluzionario rifiuto della struttura della striscia. Per la prima volta, il fumetto giapponese si dispiega in un continuum seriale, che supera la visione della singola scenetta per approdare alla concatenazione di più episodi. Si dà il via ad un supporto autonomo di grande tiratura, che sarà poi messa a punto dall’avvento dei comic book americani, a partire dal 1945, dopo la battuta d’arresto registratasi durante il secondo conflitto mondiale: anche il manga viene arruolato al servizio della patria. La sopracitata Yuka sintetizza così questi cambiamenti: I manga che trovate oggi in edicola sono un’evoluzione di una generazione di periodici apparsa per la prima volta negli anni cinquanta. All’inizio erano mensili, poi settimanali. Contenevano illustrazioni e racconti. Poi le illustrazioni e i racconti iniziarono a fondersi e di lì a poco le storie illustrate arrivarono ad occupare da sole l’intera rivista. Erano nati i primi manga.15 15 P. Carey, Manga, fast food, ..., cit., pag. 43 12 1.1.3 MANGA-POKET: MODALITÀDI FRUIZIONE DAL CARTACEO AL WEB I manga sono una forma di scrittura moderna, amati e letti da persone di tutte le età. Il Giappone ne rappresenta il primo mercato al mondo, sia per la quantità che per la varietà di generi e tirature, tanto che le librerie dedicano più della metà del loro spazio espositivo alle pubblicazioni a fumetti. Questo non deve portare a delle generalizzazioni, non tutta la popolazione legge fumetti: la cosiddetta ‘generazione manga’è costituita da chi è cresciuto nel secondo dopoguerra, in parallelo all’editoria giapponese. Sono i nati del baby boom periodo storico in cui il Giappone registra una crescita demografica senza pari -, che il mercato segue in modo lungimirante, scoprendone passioni ed esigenze. La scommessa è riuscire a seguirli nelle varie fasi della crescita e la prova del nove arriva nella primavera del 1956, quando questa generazione fa il suo ingresso nella scuola media. Due sono i fattori salvifici: innanzitutto, a questa età i giovani vengono considerati abbastanza grandi e responsabili da gestire piccole somme di denaro e, con il miglioramento delle condizioni di vita, la quantità delle ‘paghette’risulta essere più consistente.16 Ma l’acquisizione di un potere d’acquisto, da parete dei giovani, non sarebbe stata sufficiente senza la rivoluzione commerciale attuata dalla Shôgakukan: una rivista settimanale. Con le riviste mensili, erano i genitori a dover sottoscrivere un abbonamento e, per questo, il manga si investiva di alibi pedagogici; al contrario, il settimanale svincola fumetti e ragazzi da questa sorveglianza ingombrante: i manga per adolescenti danno libero corso ad una creatività che avrebbe permesso di saltare altre barriere dell’età, come l’ingresso al liceo e all’università, nonché l’entrata nel mondo del lavoro. Acquistando in prima persona il fumetto, cambia la relazione tra questo ed il giovane poiché interviene un maggiore coinvolgimento personale ed un legame di fedeltà con la rivista preferita. Viene introdotto il yamaba, ‘colpo di scena’, al termine di ogni episodio, poiché il minor intervallo di tempo, che intercorre tra un numero e l’altro, lo permette ed aumenta l’appeal per il giovane. Risvolti positivi si riscontrano anche sul piano della qualità: aumentando il numero delle pagine a disposizione, le storie si fanno più ricche e complesse. La Kôdansha interrompe la pubblicazione dei mensili Shônen Club e Shôjo Club, a favore di settimanali e quindicinali. Tuttavia, l’offerta per ragazze è più lenta a formarsi, in quanto queste si trovano a disporre di paghette meno consistenti della controparte maschile e, quindi, dovranno aspettare gli anni Settanta con la rivista Shôjo Cominc. I ragazzi sono sempre più esposti ai manga e questa accelerazione genera un fenomeno di accostumazione. Ultimo fattore, ma non meno importante: il manga diventa un elemento fondamentale nel processo di socializzazione tra i ragazzi, che si ritrovavano a 16 Intorno al ’65 gli studenti delle medie avevano circa 500 yen in monetine al mese ed una rivista ne veniva solo 30. 13 parlarne dentro e fuori le mura scolastiche, a differenza dei luoghi comuni che lo tacciano come mezzo alienante. Così il manga conquista anche le generazioni a venire. In questo clima di fermento, nuove modalità di ricezione si vengono a creare: nel 1955, il boom è così imponente da portare alla nascita di un sistema di prestito-manga, sotto il nome di kashibon manga, che ricorda il funzionamento delle nostre biblioteche. In quegli anni, ve ne erano più di 30000 nel territorio edochiano, mentre oggi sono diminuite - ma non scomparse- per la nascita di altri fenomeni, che si vedranno più avanti. Ogni fumetto nasce su riviste specializzate, mangashi, di 350 pagine in media ed un minimo di sei fino a venti o più storie diverse, ormai tutte o quasi pubblicate in capitoli. La concorrenza è talmente spietata che moltissime storie durano solo poche settimane, non trovando l’interesse dei lettori. Infatti, il pubblico è il giudice supremo del mercato fumettistico e decide della vita di ciascuna storia, esprimendo gusti e preferenze su degli opuscoli di valutazione, presenti in ciascun numero. Il consumo fagocitante è alimentato da un prezzo relativamente basso, che permette anche di gettare il prodotto appena finito: si possono provare storie senza impegno o cambiare rivista ogni giorno. Infatti, bisogna venire incontro alle necessità di tutti: chi lo fruisce per amore incondizionato e chi per momentanea sopravvivenza, durante il tragitto casa-lavoro.17 In un paese in cui nulla viene lasciato al caso - o il meno possibile -, la lettura è stata pensata per coprire esattamente due fermate di metro. L’accessibilità economica e la richiesta esorbitante sono finanziariamente possibili, poiché le case editrici contengono i costi di produzione, usando una carta scadente e porosa e limitando il colore alla copertina ed agli inserti pubblicitari. Si sviluppano nuove pratiche di fruizione, quali la lettura veloce, in piedi, in una libreria, senza poi acquistare nulla, noto sotto il nome di tachiyomi; o il mawashiyomi, che consiste nel passaggio di mano in mano di un unico manga acquistato; o ancora la presenza di distributori automatici di fumetti, per esaudire qualsiasi esigenza diurna e notturna. Negli anni Settanta, sorgono i cosiddetti manga kissa, ’manga caffè’, locali dove si possono leggere manga, accompagnati da una bevanda, per una tariffa oraria predeterminata. Dunque,molti elementi fanno pensare ad una letteratura ‘usa e getta’: una personale conferma l’ho avuta leggendo il racconto Inside della scrittrice emergente Daido Tamaki. La protagonista porta un manga alla madre malata, per farle passare del tempo in ospedale, così come faremmo noi con la settimana enigmistica.18 Tuttavia, quando una storia piace, allora se ne raccolgono 10\12 episodi per volta, in volumetti di circa 200 pagine con carta di qualità migliore, detti tankôbon. Questi salvano il manga in questione dall’oblio della carta stampata 17 "Nell’inferno dei mezzi di trasporto, che milioni di pendolari devono affrontare, diventa meno disumanizzante se ci si lascia trasportare dal flusso di immagini ed emozioni delle storie manga." Paul Gravett, Manga... cit., pag. 17. 18 Altro elemento di riflessione da non sottovalutare: in un testo di letteratura moderna giapponese, si fa cenno al manga, alla stregua dei tatami, quindi come parte integrante della cultura nipponica. 14 e l’eventuale lungometraggio animato ne suggella il successo, accompagnato dai relativi gadget che rimpinguano l’industria dei giocattoli. I primi prodotti derivati risalgono persino al 1902, quando vengono realizzate delle carte da gioco dei due monelli di Kitazawa; negli anni Venti, Nonki na tôsan di Yutaka Asô è protagonista di una strategia di marketing a più largo raggio di prodotti, che partono dagli asciugamani per arrivare ad uno sceneggiato radiofonico; negli anni Trenta Norakuro raggiunge le canzonette ed i dolciumi. La vera industria si espande soltanto dopo il sodalizio stretto con la televisione negli anni Sessanta, periodo in cui il ‘quinto potere’entra prepotentemente nelle case dei giapponesi19: gli eroi dei manga s’insinuano nell’intimità delle famiglie e la Kôdansha comprende che i tempi sono maturi per inaugurare l’epoca dei tankôbon, fino ad allora, realizzati solo in via eccezionale. La combinazione fra riviste, serie animate, riedizioni in volumi e prodotti derivati assicurava ormai al fumetto giapponese una base economica che la elevava al rango di grande industria. Negli ultimi anni, la suddetta industria è stata investita da un cambiamento radicale dovuto all’ingresso nell’era del Web: il manga vive di una connessione viscerale con la realtà in cui nasce e viene fruito e, di conseguenza, muta in modo simbiotico con la stessa. Il fumetto giapponese abbandona il supporto fisico in carta per approdare al sistema binario ed acquisire una forma intangibile ed aleatoria: allo stesso modo, le nuove generazioni si sentono parte di un mondo sempre più effimero, immersi in una realtà che acquista valore semantico solo se digitalizzata, tanto da considerare ‘reali’solo le esperienze testimoniate sui social network. Non è solo il prodotto manga a subire un’evoluzione: le strutture di produzione e distribuzione tentano di mantenersi al passo con i tempi adottando nuove strategie aziendali. Il nuovo assetto sociale impone uno spostamento delle attività online: le redazioni acquistano il dominio di un sito internet, che diventa una piattaforma per le nuove uscite ed un archivio per le vecchie produzioni, e stringono accordi economici con gli sponsor per ottenere degli introiti di base. A ciò si aggiungano modalità d’introito innovative che sfruttano fonti indirette: il broadcasting permette di ricavare guadagno dal numero di click degli utenti, conteggiato da un apposito strumento che invia i dati al server di riferimento. Inoltre, le case editrici mantengono la vendita del prodotto tradizionale per gli appassionati che prediligono ancora l’esperienza tattile del cartaceo, tuttavia sul web offrono fumetti elettronici in formato pdf acquistabile per una cifra inferiore. Prima dell’avvento di Internet, le case editrici avevano la possibilità di ‘toccare con mano’ i dati necessari per controllare il mercato, grazie agli opuscoli informativi presenti nelle riviste: il forum piattaforma internet dove gli utenti si raggruppano per dialogare, discutere e porre domande diventa il sostituto digitale di tale pratica, usato come analisi di mercato e per monitorare le esigenze del pubblico. I lettori hanno ottenuto benefici interessanti dalla consultazione 19 Il 1 gennaio 63 il primo episodio di Astroboy di Tetzuka ed il 193°nonchéultimo nel 1962. 15 online: poiché ogni fumetto viene edito in contemporanea mondiale, è possibile seguire con estrema facilità qualsiasi fumetto, allargando il bacino d’utenza in modo esponenziale; inoltre, sul web è possibile recuperare vecchi cimeli usciti fuori produzione, nonché versioni integrali di opere mutilate dalla censura prima dell’espatrio. L’inserto dei contenuti d’altra natura, come le interviste agli autori o le notizie sulle uscite dei volumi, esaudisce completamente la sete d’informazione dei fan. Riprendendo la teoria dei corsi e ricorsi storici, la nuova era si potrebbe assimilare alla rivoluzione dei settimanali succeduti ai mensili: la divulgazione di tale cultura visiva aumenta in maniera inversamente proporzionale al tempo che intercorre tra un numero e l’altro e, poiché Internet abbatte completamente i tempi d’attesa, il consumo vorace da fast food ha assunto i caratteri di una vera e propria bulimia. Infatti, la globalizzazione, abbattendo la barriera della distanza geografica, ha tolto il primato temporale al paese d’origine del prodotto: accade, infatti, che la versione online esca prima di quella cartacea. Frequentemente, i fan giapponesi si impossessano della bozza del fumetto, ne estrapolano poche pagine e lo pubblicano sul web: in poche ore si provvede anche alla traduzione nelle relative lingue del mondo. Infine, considerando l’attuale crisi economica su scala mondiale, Internet può essere un’àncora di salvezza anche per l’editoria fumettista, grazie all’abbattimento dei costi di produzione: bisogna vedere come l’industria manga continuerà a reinventarsi. 1.1.4 TEMI E STILI Nel momento in cui viene sfogliato, il manga sprigiona tutta la sua ‘differenza culturale’. Come già accennato, in Giappone si legge e si scrive da destra verso sinistra, su pagine solcate da linee verticali e non orizzontali: doppiamente ‘contraria’, questa scrittura inizia dove finiscono gli occidentali. A ciò si aggiunge una modalità di lettura rovesciata, che parte da quella che per noi è considerata l’ultima pagina e si sfoglia in senso retroattivo. Dunque, in una tavola manga, lo sguardo parte dall’angolo in alto a destra per giungere a quello inferiore sinistro. Ciò che colpisce è l’impatto visivo di questo mezzo che privilegia la comunicazione universale per immagini. Thierry Groensteen attribuisce ciò, innanzitutto, ad una necessità tecnica, creatasi con l’avvento della rivoluzione del settimanale: le storie acquisiscono una struttura ad episodi e, dunque, per tenere il lettore in trepida attesa del prossimo numero, si ricorre al colpo di scena: il climax sarà tanto più efficace quanto incentrato su situazioni limite - quali combattimenti, cataclismi, apparizioni demoniache, schermaglie amorose -, che non necessitano di parole, ma si basano sullo shock visivo. Altre motivazioni, che portano a preferire il continuum visivo a vignette più ‘letterarie’, si rintracciano in fattori di ordine socio-culturale, come l’uso degli ideogrammi, nonché l’inclinazione nipponica al silenzio. Secondo lo studioso Schodt, il sistema di scrittura 16 nipponico spiegherebbe una maggiore predisposizione alle forme di comunicazione visive e, da qui, si potrebbe ipotizzare perché un fenomeno editoriale di tale portata si sia verificato solo in Giappone: "l’ideogramma kanji è il manga più piccolo creato dall’uomo"20 Jun, ex creativa dell’agenzia Saatchi & Saatchi, spiega che, probabilmente, il trionfo delle immagini dipenda dall’avere un alfabeto complesso. Numerosissimi sono i kanji da memorizzare ed i bambini li apprendono poco per volta nel loro iter scolastico. Entro la fine della scuola primaria, la shogakko, si arriva ad apprendere circa 1000 caratteri, ma ne servono almeno 5000 per poter leggere un giornale. Quindi, ricorrere al disegno non è un capriccio infantile, ma il modo più semplice per parlare con tutti: sicuramente più diretto ed efficace di tanti discorsi magniloquenti.21 Tornando al fulcro del discorso, il manga, in veste di linguaggio, è il mezzo migliore per arrivare al vasto pubblico. Il potere magnetico del raffigurato è tale che la lettura può diventare un’esperienza ai limiti del sensoriale, soprattutto nel caos brutale di un combattimento o in una scena d’azione. Il movimento nasce dalle tipiche linee cinetiche, ma anche da un continuo cambio di prospettiva e punti di vista. Una stessa azione viene frammentata in segmenti simultanei, che rendono dinamica la scena, pur dilatando il flusso temporale. Ciò non affatica il lettore, il cui sguardo è deliziato da vignette, sì numerose, ma perlopiù ridondanti e non informative. Un’altra modalità innovativa è il ‘movimento soggettivo’: non si privilegia uno sguardo esterno, bensì una visuale direttamente immersa nel fulcro dell’azione. E’facile imbattersi in figure retoriche, in particolare la metonimia e l’elisione: da un lato, abbiamo personaggi annunciati da una sola parte del corpo o combattimenti sintetizzati nel cozzo delle armi; dall’altro, piccole omissioni di gesti o tempi morti - entrate o uscite dei personaggi-, che s’intendono dal proseguo dell’azione. La tavola, composta da sei o sette vignette in media, non ha un’impaginazione standard. A seconda delle necessità narrative, si va da una classica disposizione ortogonale, ad altre più elaborate: che sia l’aspetto di un puzzle, un’esplosione dell’immagine fin oltre i bordi o un’estensione di essa sull’intera pagina, persino su due. Tuttavia, soluzioni estreme d’impaginazione si limitano allo shônen ed allo shôjo manga. Anche per l’impaginazione, il collegamento con l’alfabeto è doveroso: i primi quaderni di scuola vengono squadrati da linee, al cui interno va inserito il kanji, fino a quando le proporzioni non diventeranno automatiche ed i bordi invisibili, ma teoricamente presenti. Il disegno kanji diventa vignetta esso stesso. Il riferimento alla scrittura aiuta a comprendere come i giapponesi vedano e seguano i fumetti. A volte, il principio che si nasconde dietro un’impaginazione è la cosiddetta ‘sensibilità kanji’, che segue, cioè, la struttura di quest’ultimo. Ogni ideogramma è costituito da due 20 Atsushi Ueda, Elektric Geisha. Tra culture pop e tradizione in Giappone,Feltrinelli, 1996, cit., pag. 170. 21 L'esperienza riportata fa parte delle testimonianze presenti nel testo di Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokyo Sister. Reportage dall'universo femminile giapponese. O Barra O Edizioni, 2011. 17 elementi, di cui il primo sulla sinistra, detto radicale, circoscrive il campo semantico di competenza e l’altro definisce il significato specifico: il senso è la risultante di un colpo d’occhio complessivo.22 Ecco spiegato come trenta pagine vengano lette in soli tre minuti: non ci si sofferma su ogni singola vignetta, se non ad una eventuale seconda lettura, poiché l’intrigo nasce dall’insieme. E’su questo aspetto che si distanziano maggiormente il fumetto occidentale e quello orientale: il primo vuole una concatenazione cronologica, il secondo eleva il senso a meta della vignetta. Dalla tavola al disegno in essa contenuta, tutto serve ad esprimere emozioni ed umori, senza l’ausilio della parola. Ecco, un’altra motivazione che rende ostico l’approccio dell’occidentale neofita e logorroico: ogni società ha un rapporto personale con il silenzio, determinato da valori culturali e sviluppi storici. L’Ovest lo addita come grande nemico della comunicazione, portatore di imbarazzo. Inoltre, non ci si fida mai di chi parla poco. Al contrario, il Giappone vi intrattiene un rapporto molto più pacifico, arricchendo il discorso con numerose pause più lunghe di quanto il nostro disagio potrebbe sopportare. Potrebbe sembrare ossimorico usare il verbo ‘arricchire’per chi lo concepisce come un vuoto tra le parole, ma non per chi lo esalta a virtù. Facilmente intuibile l’influenza del buddismo zen, i giapponesi preferiscono un’interazione basata sull’haragei, sulla mutua e tacita comprensione. Il manga è costellato di scene mute, bastevoli della loro bellezza, poiché il non detto è portatore di significati, spesso sfuggevoli agli occhi di un ‘barbaro’, gaijin: l’antropologo Tannen spiega che lo chinmoku, il silenzio, consistere nel non dire nulla e, allo stesso tempo, nell'intendere qualcosa. Alla sovranità occidentale delle parole, maestre della dissimulazione, si preferisce l’empatia, il hara de waraku , il 'comprendere con il punto vitale'. Non è l’orecchio che sente, ma l’essere nella sua interezza: simile al nostro ‘sentire di pancia’, qualcosa che richiama l’istinto e non la ragione. Il mangaka si serve di icone simboliche per risolvere il rompicapo per eccellenza della narrazione grafica: rendere visibile l’invisibile. Dunque, i diversi stati d’animo che stravolgono il protagonista, uomo o donna che sia, diventeranno ghirlande di fiori, stalattiti di ghiaccio, torte alla crema e polpi sullo sfondo. Un personaggio stordito sarà circondato da scintille o stelline e da una lampadina se avrà avuto un’idea alla Archimede. Tipicamente giapponese è il sanguinolento dal naso che indica eccitamento sessuale e la cosiddetta ‘croce della collera’- due vene rigonfie sulla tempia - per esprimere l’unico sentimento vietato in pubblico dal buon senso nipponico. Non secondaria è l’analisi sullo stile grafico utilizzato per i personaggi. In base a quanto detto finora, dietro a occhi fuori dalle orbite, narici che fumano, bocche schiumose di rabbia e teste che si svitano, si cela ancora l’esigenza di comunicare visivamente uno stato d’animo, anche a scapito del realismo. Bouissou rintraccia le fonti delle fisionomie esagerate 22 Ad esempio, per formare la parola madre si usa il radicale donna seguito dall'elemento che identifica il figlio. 18 dei manga nella cultura popolare dell’epoca Edo,1603-1868: la dinastia Tokugawa apre un periodo di pace, in cui prosperano le grandi città e le vivaci classi urbane danno vita al Kabuki, nonché al libro stampato. Su queste illustrazioni, l’anatomia dei personaggi è poco realistica ed i volti, nei quali si muovono solo gli occhi e la bocca, sono privi di caratterizzazione. Il manga riprende il tipico minimalismo da queste stampe classiche; tuttavia, i personaggi spesso risultano stereotipati e , soprattutto agli occhi di un occidentale, tutti uguali: all’interno di uno stesso manga i personaggi vengono differenziati da dettagli insignificanti, come un nastro di colore diverso per le dame in Versaille no bara, Lady Oscar di Riyoko Ikeda o dal numero delle trecce per le tre sorelle in Ranma 1\2 di Rumiko Takahashi. Non si tratta certo di pigrizia - anche se, ovviamente, il ritmo accelerato della produzione non facilità l’accuratezza del disegno -, ma le abitudini di lettura di un giapponese lo portano a notare anche piccoli segni, in quanto costantemente alle prese con ideogrammi che si differenziano tra loro per minimi tratti. Inoltre, su di un volto poco dettagliato l’espressione grafica del sentimento risalta con maggiore forza, catturando l’empatia del lettore più di quanto si creda. Quasi fossero degli schermi cinematografici, questi volti diventano ‘la cosa da scrivere’: frase riportata da Roland Barthes, nel suo L’Empire des signes, a proposito delle facce coperte di cerone bianco dei teatranti giapponesi. Inserendo tale frase in questo discorso, non è stata del tutto decontestualizzata: il manga riprende le grottesche espressioni del teatro Kabuki. Tali attori non riproducono verosimilmente i sentimenti umani, piuttosto li reinterpretano con delle esagerazioni codificate. Dunque, anche il volto diventa icona simbolica, insieme al corpo, spesso vittima della formula chiamata super deformed: l’estrema ostentazione di un individuo travolto dall’emozione, attraverso la metamorfosi grottesca del fisico. Certamente, va sottolineato che parlare di ‘stile manga’è un’inesattezza filologica, che appiattisce la diversità di questo mezzo. Anche se tecnicamente non si può definire un mezzo audio-visivo, la ‘colonna sonora’dei fumetti giapponesi è ricchissima: la tavola è completamente invasa da onomatopee che saturano la scena. In un paese dove tutto è segno, anche i rumori che accompagnano una scena hanno una valenza semantica. Quello che, per noi occidentali, potrebbe essere confuso brusio, nei manga prende la forma di mille e uno suoni, rappresentati da altrettante onomatopee. Queste attraversano le vignette alla stregua di segni d’interpunzione - sia perché ne costituiscono effettivamente la grammatica, si perché vanno a sostituire vere e proprie parole -, dando colore ed atmosfera alla scena: perfino le sensazioni - quali, ad esempio, l’imbarazzo o la commozione - sono sonoramente sottolineati, oltre che attraverso le icone simboliche viste sopra. Per esempio, quando un personaggio viene colto di sorpresa, c’è un’apposita parola che sostituisce i punti interrogativi, tipici del dubbio, che dà maggiore spessore musicale. Se, da un lato, perfino il silenzio ha una propria onomatopea 19 - shhhhhhhhhhh-, dall’altro, il manga non prevede parti integranti di una ‘colonna sonora’occidentale, quali la voice over - troppo prosaica per un universo. I salti spaziotemporali non vengono segnalati, quasi, in nessun modo, né grafico né onomatopeico. In conclusione, la forza di questo mondo di carta e inchiostro sta ne: L’esagerazione delle azioni e delle emozioni fino al punto del melodramma e ponendo sentita attenzione ai particolari piùminuti della vita quotidiana. I giapponesi dicono che i loro fumetti sono molto ‘umidi’: vale a dire, sfacciatamente umani e sentimentali. 23 Il manga è onnicomprensivo, non tratta solo fantascienza come vorrebbe il sopracitato Oxford English Dictionary. Le tematiche affrontate sono talmente numerose che non sarebbe possibile spiegare cosa raccontano i fumetti giapponesi, in modo esaustivo. L’entità della portata degli argomenti può essere esemplificata citando il manga informativo: nato nel 1986, sul quotidiano Nihon Keizai, passa dall’analisi del modello economico giapponese a diverse agiografie di colossi nipponici. Addirittura, una Storia del Giappone in 48 volumi viene introdotto nelle scuole, come un classico dell’insegnamento. Senza contare quelli che aiutano ad apprendere una lingua o la teoria della relatività di Albert Einstein. Tuttavia, le pubblicazioni non si dividono in tematiche o in generi, come accade in Occidente: nel cinema o in letteratura, le opere si dividono in commedia, western, drammatico, noir e così via. Invece, il principio di classificazione dei manga è il target: ogni rivista èdedicata ad una fetta di pubblico, in base al sesso e all’età. Principalmente, si possono elencare lo shônen manga, manga per ragazzi, lo shôjo manga, manga per ragazze, il seinen manga, manga per uomini adulti, rediizu komikku, manga per signore. In questo modo, lo stesso genere potrà privilegiare determinati aspetti ed escluderne altri, in base al pubblico di riferimento. Le donne adulte sono state l’ultima categoria ad essere accontentata. Inoltre, come nella maggior parte dei paesi industrializzati, anche in Giappone si sta verificando un calo demografico ed un aumento dell’aspettativa di vita: il manga, che si evolve con la società, ha integrato alla sua produzione il silver manga per una popolazione ormai vecchia. Anche quegli aspetti ritenuti volgari affondano le radici nel passato: alla continuità grafica, analizzata nei paragrafi precedenti, si affianca una continuità tematica della tradizione narrativa nipponica. Durante la lettura di un manga, non è difficile imbattersi in uno o più personaggi raffigurati in compagnia di una nuvoletta di gas, proveniente dal proprio posteriore: nell’antico rotolo La disfatta di Fukutomi, l’arte del peto è un dono degli dei. Il rispettabile monaco Tobâ ,in un rotolo del XI sec, racconta di una lotta tra petomani, ritratti a sospingere le proprie emanazioni tossiche verso l’avversario, avvalendosi di grandi 23 S. Lucianetti, A. Antonini, Manga, ..., cit., pag. 43. 20 ventagli. Questi esempi sono la testimonianza di un topos della cultura popolare nipponica. Dunque, se nel moderno manga Dragon Ball di Akira Toriyama, durante un torneo di arti marziali un concorrente lancia un pestilenziale ‘contrattacco’, non è altro che una citazione delle raffigurazioni classiche. I pittori di rotoli non si esimevano neanche dal rappresentare escrementi, influenzando le generazioni future, fino ad arrivare alla graziosa bambina-robot Arale, del manga Dr Slump del sopracitato Toriyama, che conversa con forme rosa di cacca parlanti. L’Occidente ha sempre considerato le feci un prodotto inutile; al contrario, nel paese dello shintô, religione della fertilità, il prodotto di scarto intestinale è visto come una manna sacra. La professoressa di storia del Giappone, Susan B. Hanley spiega le motivazioni di questo approccio: i giapponesi hanno da sempre dovuto affrontare la problematica di risorse limitate al 15% del territorio non montagnoso, nonché densamente popolato. Per questo, già nel periodo Kamakura, gli escrementi umani prodotti in città venivano mandati nelle campagne circostanti per fertilizzare i terreni: bisognava coadiuvare lo sviluppo dell’agricoltura, per far fronte all’offerta sempre maggiore di una popolazione in crescita - la raccolta di feci umane diventa un vero e proprio business. La concezione di base cambia radicalmente, rispetto ad un’Europa premoderna: i liquami sono un prodotto riutilizzabile e le città si mantengono molto più igieniche. Oggi, rimane l’idea di un prodotto utile ed, infatti, si producono fertilizzanti dalla melma finale del trattamento delle feci. Antonietta Pastore, durante il suo ventennale soggiorno a Tokyo, rimane piacevolmente sorpresa dall’indulgenza dei giapponesi verso le debolezze del corpo umano, non si mostra alcun disgusto neanche di fronte alle più repulsive.24 Anche il sesso è un altro tasto dolente per genitori, educatori ed avversari del manga: i manga non sono tutti materiale pornografico. Sicuramente, vengono violati diversi tabù sul tema, molto più di quanto sarebbe ammissibile da un pudore vittoriano. La cultura popolare è sempre stata più libera di quella ufficiale ed è, per questo, che già nel Rotolo degli animali troviamo una scena di strip poker all’antica. Un altro tema caro alla tradizione giapponese è il soprannaturale: il rotolo dipinto del XV secolo, intitolato La passeggiata notturna dei mille demoni, è l’antecedente delle creature demoniache che popolano i manga di oggi. Incursioni di Shinigami, divinità della morte, o di Oni,orchi del folklore nipponico, persino in storie che hanno un impianto realista, attentano alla razionalità del pubblico occidentale. Non è così in Giappone, dove la cultura ha preservato un po' della precedente familiarità fra esseri umani e creature soprannaturali. In un paese dove le statistiche risultano inverosimili - i dati riportano percentuali come l’84% di scintoisti ed il 71% di buddisti -, la religione si avvicina più ad una filosofia di vita, che può abbracciare aspetti diversi di più credenze: "Lo scintoismo per il capodanno, la religione cattolica per il matrimonio, il buddismo per il funerale ed un po' di confucianesimo per la 24 Antonietta Pastore, Il Giappone delle donne, Einaudi, 2012. 21 vita di tutti i giorni".25 Il sacro è da per tutto e al tempo stesso da nessuna parte, ne sono impregnati a più livelli, tanto da considerare divini la natura, il mondo e persino l’uomo. Harenchi gakuen, La scuola senza pudore, di Gô Nagai del 1968 può essere esemplificativo di quanto detto finora: un demenziale gruppo di insegnanti, tra cui una donna ninfomane, si dedica esclusivamente a spogliarsi, defecare, ubriacarsi e giocare d’azzardo, attività illegale in Giappone. Ne consegue che, in questa shogakko, gli alunni più piccoli girino con il fondoschiena scoperta, mentre i sensei sollevano le gonne delle proprie compagne, per nulla infastidite. Tali scelte tematiche nascono, certamente, per il gusto di infrangere un tabù dopo l’altro ed essere degni di un’arte nata con intento satirico. Anche la fine lancia un’ultima provocazione: i genitori e l’esercito, attorniati da simboli ritenuti fascisti, prendono la scuola d’assalto, massacrando alunni e insegnanti. E’la mistura tra cultura popolare con quella delle classe egemoni a dare al manga il suo carattere ‘scorretto’: "agli occhi dei giapponesi il peto elevato ad arte marziale, il dottore specializzato in escrementi e le giovincelle in microgonna non sono delle assurdità o delle volgarità no sense".26 1.1.5 MANGAKA E FAN A dispetto della grande fruizione del prodotto, per il mangaka non è tutto oro quel che luccica. A causa dello spropositato numero di pubblicazioni, non tutti i manga raggiungono il successo, unica chiave possibile per ritenersi economicamente fortunati. La professione è dura e poco redditizia: sui fumettisti gravano scadenze a breve termine e rigide strategie di mercato e le molte ore di frenetico lavoro vengono pagate pochi yen. È uno stakanovista, che deve sottomettere la propria creatività ad una catena di montaggio e la qualità del tratto soccombe al susseguirsi di cadenze. Nel 1970, perfino Tezuka, il ‘dio dei manga’, doveva rispondere a 17 riviste, 9 editori diversi e 4 quotidiani per i quali realizzò300 e più storie complete. Con l’arrivo dei settimanali, per sostenere il ritmo degli stessi, i mangaka cominciano a circondarsi di collaboratori, che si occupano di aspetti secondari, come i fondali, gli oggetti ed i personaggi minori. Così, gli studi assumono l’aspetto di piccole o medie imprese: i compiti vengono millimetricamente spartiti tra i maestri, gli assistenti specializzati e gli ultimi arrivati, come vuole la rigida divisione gerarchica della società nipponica. Il risultato di questo lavoro a più mani è uno stile eclettico, che vede confrontarsi tratti grafici differenti nella medesima pagina. Altre soluzioni estetiche, tipiche del manga, nascono come escamotage per stare al passo con le scadenze: spesso le linee 25 Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokio Sister..., cit., pag. 26. 26 Jean- Marie Bouissou, Il Manga. Storie e universi del fumetto giapponese, Tunué, 2011, cit., pag.60 22 cinetiche non indicano movimento, ma vengono utilizzate come fondali, quando si raggiunge un climax emotivo. In questo modo, si eliminano le ambientazioni vere e proprie, economizzando sul lavoro. Inoltre, quando la tabella di marcia impone la consegna di venti o più tavole alla settimana, può essere vantaggioso dilatare il tempo di un’azione: si moltiplicano le tavole su di una stessa scena, risparmiando sul tempo e sulla sceneggiatura. Una caratteristica senza eguali, fuori dal Sol Levante, è l’indissolubile legame tra personaggi ed autore. Per questo, non c’è serie che continui dopo la morte del suo creatore, né è previsto un passaggio del testimone, neanche per opere decennali, insidiate dalla stanchezza e dal prosciugamento creativo di anni e anni di episodi. I mangaka hanno anche un’altro vincolo imprescindibile: quello con il pubblico, protagonista e sovrano. Come già detto, ogni rivista contiene delle cartoline di valutazione da compilare, in cui il lettore inserisce le sue tre serie preferite ed esprime giudizi in merito alla qualità grafica ed ai personaggi delle serie in corso. I premi in palio incentivano l’invio di tali opuscoli. Poiché la parola d’ordine è soddisfare i desideri del pubblico, spesso viene dato più spazio ai personaggi che hanno riscontrato maggiore successo, anche a discapito dei progetti originari. Nel caso di Versaille no bara, Oscar ruba la scena a quella che doveva essere la vera protagonista, secondo i piani dell’autore: Maria Antonietta. Tale ingerenza può creare tensioni con i mangaka, privati del loro diritto decisionale ed autoriale. Per gestire queste contraddizioni nasce la figura del henshûsha, un supervisore editoriale: inizialmente, la sua funzione è quella di far rispettare le consegne; a partire dagli anni ’80, con l’aumento della concorrenza e della domanda di mercato, assume una maggiore importanza: cominciano a condividere la quotidianità e l’editore si preoccupa di liberare l’autore da contrattempi materiali, di aiutarlo nel lavoro e di dialogare con le redazioni. Tuttavia, c’è il risvolto della medaglia e da confidenti possono tramutarsi in carcerieri: i mass media nipponici ricercano voracemente il gossip ad ogni costo, travolgendo anche celebrità di poco spessore, come qualsiasi mangaka. In un paese dove l’onore è al primo posto, anche la minima diceria può rovinare la carriera di un autore e screditare una rivista: la soluzione sembra essere quella di tenere il mangaka sotto una soffocante campana di vetro. Non tutti subiscono le stesse pressioni: i mangaka del dopoguerra, cresciuti con l’editoria fumettistica e divenuti rispettabili prima di questo sistema, hanno un rapporto alla pari con gli editori; le autrici di shôjo sono una categoria privilegiata, poiché un pubblico fedele le segue al di là della rivista e, quindi, il loro potere decisionale è meno vincolato alle esigenze di mercato; ma per i più giovani, questo mondo può diventare un inferno. Alla stregua di un cliché, molti sono gli autori che evadono dalla finestra del bagno; altre storie, invece, hanno un finale tragico: nel 1978, si assiste al suicidio di un giovane disegnatore ed al decesso di un altro 23 collega per karôshi, ‘morte per eccesso di lavoro’. Alla fine degli anni Sessanta, Tezuka già denunciava "il mercantilismo che riduce i mangaka schiavi".27 L'editoria ufficiale deve fare i conti con il variegato universo della riviste amatoriali, dôjinshi, letteralmente ‘rivista di persone uguali’. Si tratta di un fenomeno nato durante il boom manga del dopoguerra, in maniera indipendente e parallela. Con il passare del tempo, ha acquistato una posizione di rilievo nel mercato, in quanto fucina di nuovi talenti e nuovi generi, di cui l’industria si è prontamente impadronita. Negli anni Settanta, molte autrici del gruppo dei Fiori dell’anno 24 - autrici che rivoluzioneranno lo shôjo manga ed analizzeremo più avanti - avevano mosso i primi passi proprio nel mondo delle fanzine - dalla crasi dei termini inglesi fan e magazine. I primi manga dilettanteschi contengono storie inventate dai fan, riprendendo i personaggi delle serie di successo. Da ciò, prese vita un genere chiamato uniparo - dall’unione di anime e parodii - ed altri da questo derivati, come lo yaoi, yuri ed il lolicom, che trattano tematiche etero ed omoerotiche maggiormente esplicite.28 Dal passaparola tra appassionati si giunge, negli anni Settanta, alle prime Convention di manga amatoriali, ma bisogna aspettare gli anni Ottanta per l’esposizione che consacrerà la fanzine: il Comiket - dalla crasi delle parole inglesi comic e market. Questa gigantesca fiera di dôjinshi, a Tokyo, è una vetrina per le pubblicazioni esposte: molte hanno acquisito solidità e visibilità, come la rivista June, l’antecedente dei ladies comics ufficiali. Negli anni Novanta, lo sviluppo delle tecniche di riproduzione a poco prezzo - fotocopie, stampanti domestiche, ecc - ha dato maggiore impulso a tale pratica e con Internet, oggi, la possibilità di diffondere il proprio fumetto è diventata alla portata di tutti. L’estrema facilità con la quale si riesce a caricare le proprie creazioni autonomamente ed i costi nulli richiesti dall’operazione hanno spianato definitivamente la strada al prodotto amatoriale. Il livello primario del fenomeno consta di forme narrative quali il disegno base o al massimo una tavola divisa in cinque o sei vignette che narrano storie prosaiche. Bouissou lamenta il fenomeno del ‘copia&incolla’che si allarga a macchia d’olio: a partire dagli anni Novanta, registra un calo dei prodotti qualitativamente degni di nota, dispersi in un mare di banali e ripetitivi plot dal segno grafico monotono e stereotipato. Internet ha dato man forte al manga dilettantesco, considerato la prima vittima della sopracitata sindrome. Il web deve essere analizzato anche in qualità di 27 Ivi, cit., pag. 101. Per un maggior approfondimento su tali genere vedere, rispettivamente, il paragrafo 2.9 Genesi dei Boys’ love : le donne giapponesi raccontano l’amore tra giovani androgini; 2.12 Lo Yuri manga e l’amore saffico; 3.2 La pornografia, la crisi di valori dell’ultima generazione e il corpo femminile come oggetto sessuale. 28 24 strumento di socializzazione, che ha avvicinato persone geograficamente lontane ma unite dalla stessa passione: i fan hanno creato per loro stessi delle pagine, i forum, dove incontrare i ‘propri simili’ e condividere informazioni ed opinioni sull’argomento. Dalle dôjinshi delle prime convention a quelle sul web, il dato critico da sottolineare è che tali produzioni apocrife furono e sono ancora un forte indice per analizzare l’evoluzione dell’editoria. Un’ulteriore forma di incontri tra fan è la pratica del konsupure, che consiste nell’interpretare un eroe dei manga, dei videogiochi, degli anime. Per i giovani è una fonte di divertimento liberatorio assumere le vesti del proprio personaggio preferito e, poiché siamo in Giappone, viene fatto con una precisione puntigliosa: la cura del dettaglio è maniacale, l’investitura richiede ore ed ore di preparazione e la trasformazione ingloba persino l’atteggiamento della figura incarnata. Detto anche coldplays - contrazione dei termini costume e playing - è diventato un appuntamento fisso: a Tokyo, nel quartiere di Harajuku, ogni domenica ci si ritrova in costume. In particolare, l’universo femminile offre una sconfinata gamma di misê, tra cui oscure gothics lolita, impreziosite di veli e croci; bamboline sweet lolitas, con gonne rigonfie e pizzi; scolarette kawai, adoranti del rosa e della deliziosa Hello Kitti. Il giovane giapponese ha voglia di sorridere e di lasciare a casa, insieme ai capi di tutti giorni, le responsabilità che gravano loro fin dalla tenera età: le dark nipponiche non lanceranno sguardi torvi come le coetanee d’oltremare, arrabbiate con il mondo. Le ragazze, pur mettendo da parte i dettami confuciani di sobrietà, non sottendono alcuna rivendicazione sessuale con tale pratica; al contrario, visto come un fenomeno infantile, accentua la visione di una donna pudica ed innocente. Tuttavia, sul piano sociale può avere una qualche rilevanza: Jin è una giovane donna dalla quotidianità monotona che si divide tra la solitudine delle mura domestiche ed il lavoro di cassiera in un supermercato. Tuttavia, partecipa costantemente al sopracitato evento con grande entusiasmo: lungi dal tentare un atto di ribellione, evade da una quotidianità lugubre e ripetitiva, vivendo come un ‘Altro’ per qualche ora alla settimana.29 Caso non unico nel suo genere in una società fortemente codificata. Eppure, vi sono persone che mantengono il travestimento anche al di fuori degli incontri organizzati: parliamo dei cosiddetti visualisti. Durante il suo viaggio, Peter Carey si relaziona, più di una volta, con seguaci di questa subcultura: perfette riproduzioni di Elvis o Micheal Jackson si aggirano per la metropoli e l’amico autoctono di suo figlio sembra essere uscito direttamente dalle pagine di Gundam di Tomino. I travestimenti non si rivolgono solo a personaggi famosi, siano essi di carta e inchiostro o di carne ed ossa, ma anche a categorie della vita di tutti i giorni, quali tassisti o carpentieri. Ciò è spiegabile in relazione all’importanza delle divise nel Sol Levante: in una società gerarchicamente suddivisa, far riconoscere il proprio grado a colpo d’occhio permette di 29 Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokio Sister.... 25 evitare gaffe ed attuare il comportamento convenuto. Con l’ascesa del confucianesimo, le classi sociali vennero nettamente distinte l’una dall’altra e qualsiasi tipologia di commistione tra esse era severamente punito. C’erano leggi molto severe su come le persone dovevano comportarsi, su come dovevano vestirsi e persino su come dovevano arredare la casa: in epoca Edo, il maggiore potere d’acquisto era nelle mani dei marcanti, classe sociale in ascesa sul piano economico, che dovevano nascondere il proprio lusso, per non provocare le classi più alte. "Se uno si comportava come un samurai ma in realtà non lo era, erano guai seri. Prova ad immaginare cosa significhi per loro, oggi, potersi vestire come gli pare".30 I visualisti non sono un fenomeno recente: nonostante il pericolo, nel XVII secolo, si vedevano già dei giovani vestire abiti stravaganti, secondo uno stile chiamato kabuki mono, dove kabuki aveva il significato di ‘bacato, deviante, libertino’. Un argomento scomodo, gravitante intorno all’universo manga, è quello su gli Otaku. Già a partire dalla definizione - le varianti sono numerose e vaghe - del fenomeno, c’è grande confusione e da qui parte l’ambiguità che aleggia su questa figura. Letteralmente, il termine significa ‘casa tua’o, più genericamente,‘tu’ in un linguaggio formale ed aulico, che sottolinea una distanza dal proprio interlocutore. A partire dagli anni Settanta, i collezionisti cels - fogli di acetato trasparenti su cui disegnano gli animatori - hanno cominciato ad usarlo per definire loro stessi. Dunque, oggi, con questa parola s’intende una persona animata da passioni infantili ossessive, che vive rinchiusa nella propria stanza, con un computer come unica compagnia, che lo connette al resto del mondo. Secondo lo studio di Griner - Fùrnari su I ragazzi perduti del Sol Levante, la Otakuzoku, tribù degli otaku, è connotata da un voluto isolamento, un’inettitudine sociale ed un’accentuata sessuofobia: le loro relazioni interpersonali si fermano all’universo delle immagini bidimensionali. Altri elementi imprescindibili sono la multimedialità, nella quale sono immersi, e il collezionismo maniacale, che li ossessiona. I loro feticci possono andare dalle proprietà delle star ai computer, passando per i manga ed i loro gadget. Questi esteti della serialità si circondano di simulacri fatti di mondi manga, personaggi dei videogiochi e sesso mediatico, consacrandoli a realtà. La navigazione online ha inasprito tale aspetto, poiché costringe l’individuo ad iscriversi ai siti per poter consultare informazioni, scrivere commenti personali o acquistare prodotti: così come nelle tribù primitive e non solo, il cambiamento di status di una persona veniva suggellato dall’acquisizione di un nome nuovo - è lo stesso processo che sta alla base del ‘nome d’arte’-, il nickname crea un’identità digitale che sostituisce temporaneamente quella reale per la durata della connessione in rete. Considerando che l’otaku mantiene ben poche relazioni con l’ambiente circostante e con la propria identità ‘concreta’, tale entità 30 P. Carey, Manga, Fast Food...,cit., pag. 37. 26 simulacrale soppianta completamente la sua individualità. Ogni otaku intrattiene un’ampia rete di contatti con altri collezionisti, per placare la propria sete di pezzi rari e paradossalmente, sono tra loro persone intime e perfetti sconosciuti. Peter Carey s’imbatte, per la prima volta, nel termine ad una mostra a Brooklyn: nel glossario del catalogo, Otaku viene affiancato alla parola inglese nerd, dai contorni molto simili e la connotazione ugualmente negativa. In America, viene usata per i fan più sfegatati degli anime, senza sfumature critiche. Tuttavia, questo tipo umano mantiene ancora dei contorni sfuggenti. Arrivato in Giappone, chiede ad una ventina di persone e si ritrova con altrettante risposte diverse, alcune più inquietanti di altre. Più si cerca di incasellarne il senso, più questo diventa inafferrabile: anche gli appassionati che partecipano al Comiketto vengono detti otaku, eppure mancano del concetto base di asocialità autoimposta. O ancora, la devozione di alcuni non è rivolta ad immagini fantastiche, ma a personaggi famosi in carne ed ossa del mondo dello spettacolo, chiamati idol o aidoru. Azuma descrive la ‘generazione otaku’come una cultura che si identifica con l’accumulo di dati ed è su questo punto che si sofferma lo scultore Jon Kessler, in un suo articolo: abituati a memorizzare informazioni prive di contesto per passare gli esami di ammissione universitari, a volte rimangono bloccati - per qualche indefinito intoppo - sulla modalità di raccolta informazioni e continuano ad immagazzinarle, quasi fossero delle banche dati. Pur essendo un evento culturalmente definito, l’elemento della multimedialità non può non rimandare ad un America, in cui molti giovani intrattengono relazioni sui social network più che nella vita reale, tanto da creare nuovi fenomeni. Il lato inquietante della questione proviene da un episodio di cronaca nera: verso la fine degli anni Ottanta, i giornali nipponici riportavano la notizia straziante di un certo Tsutomu Miyakazi, che aveva rapito ed ucciso quattro ragazzine. Nel suo appartamento, la polizia aveva trovato centinaia di riviste manga ed anime, principalmente materiale pornografico. Da allora, la parola otaku viene associata all’immagine di psicopatici e serial killer ed il fumetto giapponese è condannato come mezzo pericoloso e deviante. 1.1.6 FATTO SOCIALE: IL MANGA COME SPECCHIO DEL REALE L’obiettivo principale è analizzare il manga in termini di influenza sulla mentalità. In patria, il fumetto giapponese è così potente da tenere testa al dominio della tv e del cinema, tanto che buona parte delle opere più riuscite di entrambi deriva dall’adattamento dei manga. L’arte del fumetto è diventato un mezzo di comunicazione di massa, uno strumento di critica sociale e lotta politica per adulti, nonché un divertimento per bambini. Il ‘manghese’è il linguaggio della nuova era dell’informazione, che domina la pubblicità, le telecomunicazioni, l’architettura. Avversatori o meno, non ci si può esimere dal considerarlo l’espressione più rivelatrice della cultura nipponica del XXI secolo. Pur arrivando 27 dall’Occidente, è merito del Giappone aver colto le potenzialità del mezzo, che ha raggiunto la massima capacità espressiva in un gusto tutto nipponico. In epoca Taishô, 1912-1926, il manga trova il suo posto nel panorama culturale nazionale, tanto che sarà oggetto di analisi erudita nel testo Niton manga-shi, Storia del fumetto giapponese, di Seiki Hosokibara, nel 1923. Tuttavia, bisogna attendere gli anni Ottanta per un vero cambiamento della critica: numerosi semiologi iniziano a studiarne la grammatica, il disegno, il tratto per rinvenire nuove tautologie ontologiche. L’inversione di rotta degli studiosi fu una conseguenza diretta della propensione della cultura alta verso la nuova frontiera. Fu il teatro a dare l’esempio: nel 1974, la storia di Versailles no bara diventa un adattamento per le scene del Takarazuka, l’amata compagnia teatrale di sole donne.31 Il successo fu tale che divenne un cavallo di battaglia del loro repertorio. Nel 1986, la rivista letteraria Yasei Jidai riprende la celebre opera Hi no tori, La Fenice, di Tezuka: la letteratura compie il proprio passo in avanti, quando decide di avvicinarsi alla massa e trattare il quotidiano. Da allora, lo scambio è stato continuo e prolifico, portando autori e racconti da una forma narrativa all’altra. Frutto di quest’unione è, tra tanti, l’autrice contemporanea Banana Yoshimoto, che ha conquistato pubblico e critica con il suo linguaggio fresco ed erede del manga. L’interesse generato dal manga, nel corso della sua espansione, non è solo di ordine intellettuale. A cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta, le tre major Kôdansha-ShûeishaShôgakukan, che detengono il 70% delle produzioni fumettistiche, assurgono al ruolo di colossi nell’economia giapponese: l’importanza del fumetto è correlata alla quantità di denaro che riesce a smuovere. Il profitto generato da questo business comincia a far gola a molti, tanto che i critici parlano di una ‘bolla speculativa sul manga’, analoga alla corsa all’oro che investe la Borsa ed il mercato immobiliare giapponese, negli stessi anni. L’apice della sua rispettabilità giunge tra il 2007 ed il 2008, quando il governo indìce il Premio Nobel del fumetto: tuttavia, il prezzo da pagare per tale riconoscimento è la strumentalizzazione della forma espressiva. Passando dai margini dell’establishment al suo interno, si stringe un patto con il diavolo: il carattere ribelle sfuma davanti agli onori ottenuti e la normalizzazione impone immagini edulcorate. Certamente, sotto il controllo delle autorità hanno vita breve padri falliti e figli inetti - Tensai Bakabon\ Dame oyaji -, insegnanti libertini e volgari - Harenchi gakuen - o qualsiasi altra provocazione ai danni dei pilastri tradizionali delle società confuciana. Ultimamente, il manga è stato inserito nei programmi scolastici ed i ragazzi non vi si rivolgono più volentieri, alla stregua dei baby boomer con la letteratura. Che i manga siano i nuovi kamishibai? E chi prenderà il posto del fumetto 31 Per un maggior approfondimento su tale forma teatrale vedere il paragrafo 2.10 Dagli amori tra samurai al trasgender del teatro Kabuki: l’omosessualità in Giappone. 28 giapponese? Un'alternativa è stata trovata nel il web, molto più libero e meno veicolato, sebbene i controlli della polizia postale siano diventati più ingenti. I manga hanno reagito alla digitalizzazione, creando un nuovo formar più spregiudicato di quelli presenti per la televisione e per l’home video. Se le case editrici e di produzione ufficiali devono sottostare alle leggi per i copyright per la diffusione di contenuti, le redazioni online traggono la loro forza da se stessi e dai fan che usufruiscono da tali piattaforme. Mettendo da parte le possibili future evoluzioni, il dato oggettivo resta che il fumetto risulta essere un fatto sociologico forte: l’osmosi tra fenomeno manga e realtà giapponese viene espresso da Gunter Nitschke: "Il modello speculare degli eventi urbani nel Giappone odierno si può trovare nelle riviste manga".32 La metropoli nipponica è un caleidoscopio di luci sfavillanti al neon, una cacofonia di suoni e rumori tenuti ad alto volume, un ventre brulicante di ‘esseri mutanti’: uno scenario altamente competitivo, efficiente e di breve durata, costruito rapidamente e rapidamente abbattuto quando necessario. "Tokyo è una città sequenziale, dove le cose prendono forma man mano che il tempo passa" conferma Toyo Ito, che lavora nel mondo dell’architettura.33 Manga e centri urbani condividono la stessa energia creativa, nonché lo stesso linguaggio: l’ideogramma è il candidato ideale per la sua versatilità. Le suddivisioni di una pagina manga ricordano il reticolo di strade e grattacieli che delimitano la città e lo spazio urbano discontinuo, derivante dal lavoro di diverse volontà, ricorda il lavoro a più mani dell’industria fumettistica. Sono, dunque, il simbolo di una società che si basa sulla rapidità d’evoluzione e sull’estetica del micro: tanto più è piccolo l’appezzamento di terra, tanto maggiore è lo stimolo verso di esso. Nulla di strano per il popolo che ha limitato la crescita di una quercia a 50 centimetri. La narrazione grafica può assolvere anche funzioni pedagogiche, alla pari con la scrittura: la potenza espressiva nei racconti si deve agli archetipi che racchiudono, dalle grandi domande dell’epoca ai grandi drammi umani. La tematica ricorrente è l’elogio del self-made man che riesce nella vita dopo numerose traversie grazie al duro lavoro, all’autodisciplina e alla forza di volontà. I giovani, all’ardua ricerca della propria identità, vi si riconoscono con le loro domande sulla vita e sul mondo: nell’intimità di una lettura solitaria, il manga condivide con loro i problemi e le paure legati al superamento del limes tra l’infanzia ed il mondo adulto. Può essere considerato un prodotto tipico poiché si pone come riflesso del popolo che lo produce e lo consuma: tuttavia, non bisogna leggere i manga come riproduzione fedele della realtà, piuttosto, come specchio deformante che materializza proiezioni fantasmatiche del Giappone. In una società così standardizzata in rigide restrizioni e cerimoniali, la lettura di manga offre la possibilità di dare sfogo, seppur con la fantasia, ai regni della mente e dei sensi. Gli shôjo manga offrono la possibilità di fuggire da un 32 33 A. Ueda, Electrick Geisha..., cit., pag. 29. Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokio Sister..., cit., pag.33. 29 quotidiano che ha sacrificato la funzione del sogno. I manga sono dominati dalle donne, così come gli spazi urbani: le vetrine sono allestite non per gli uomini, ma per la giovane donna a passeggio con il suo look e trucco perfetti; non sono i salarymen che devono attirare l’attenzione, ma le donne d’ufficio. Questa simbiosi tra spazio ed essere sociale continua la similitudine sopra iniziata, grazie alle parole della scrittrice Yuriko Matsumoto: "Le donne nipponiche assomigliano al paesaggio di Tokyo, che punta verso il cielo e muta in tutte le direzioni, pur conservando il suo aspetto tradizionale".34 Non incarna il lato pop dell’urbanesimo moderno - come è chiamato a fare il manga -, ma il dubbio amletico di una cultura che forzatamente ha abbandonato le vestigia mistiche di un passato rurale, per gettarsi in pasto ad una modernità sconosciuta: questo divide il cuore di una donna, la fedeltà ad un fiero passato e la seduzione di un libero domani. Il manga, che si nutre della realtà circostante, non può non interessarsi ad un attore sociale così presente ed è su questo legame che tale sede si sofferma. Il fumetto giapponese è il primo a pensare all’esistenza di un pubblico di lettrici, totalmente ignorato dalla controparte occidentale. Certamente l’offerta formativa per l’universo femminile è sempre andata a rilento: negli anni Ottanta, il 55% delle tirature per adolescenti - il 70% del totale - era destinato a lettori maschi; negli anni Novanta, il mercato dei manga ‘rosa’non arriverà ad avere che un quarto delle dimensioni di quello di segno opposto; inoltre, a lungo le donne adulte hanno dovuto attendere pubblicazioni rivolte al proprio target, accontentandosi degli adolescenziali shôjo o dei virili seinen - il 20% del bacino era costituito da donne. Pur economicamente minore, questo settore manga ha avuto un’importanza fondamentale per le innovazioni apportate, tanto sul piano grafico che su quello tematico. A partire dagli anni Settanta, le prime autrici donne hanno rivoluzionato il genere e l’eco di queste novità oltrepassa i confini della narrazione grafica: la sopracitata Banana Yoshimoto, fan degli shôjo, è a questi che si riferisce quando parla dell’inspirazione dai manga. Le donne sono sempre state un elemento importante per l’evoluzione della parola scritta nipponica, nonché pioniere della nuova forma letteraria del romanzo, circa mille anni fa. Intorno al 1004, Murasaki Shikibu, dama di compagnia dell’imperatrice, impiegava il proprio tempo libero scrivendo la Genji Monogatari, Storia di Genji, il principe splendente, la più grande opera narrativa dell’epoca, nonché il primo romanzo psicologico al mondo. Altre donne iniziarono a scrivere e la sensibilità femminile trovò espressione in una propria letteratura. Come queste autrici a suo tempo avevano perfezionato la parola scritta, così la loro controparte moderna avrebbe arricchito il manga, con una sensibilità altrettanto elevata: ad oggi, nella produzione shôjo, lavorano circa 400 mangaka donne ed il loro pubblico non è più costituito da sole ragazze, bensì le loro storie si estendono attraverso le differenze di età e 34 Ivi, cit., pag. 10. 30 sesso. Inoltre, tale mercato è diventato il più potente forum del paese per la comunicazione femminile e questo dato rende l’idea della valenza culturale del fenomeno. Dunque, èimportante contestualizzare tale figura, nella sua realtà e nella sua evoluzione, per non cadere nell’immaginario occidentale del XXI, che ghettizza la donna nipponica in due categorie fisse: la moglie sottomessa e la geisha libertina. Giudizi affrettati e superficiali portano a meri stereotipi, lontani dalle innumerevoli sfumature che popolano il panorama giapponese. Essere uomo o donna non è solo frutto della biologia, ma anche della cultura e delle pressioni sociali. 1.2 ANALISI DELLA FIGURA DELLA DONNA GIAPPONESE: EXCURSUS STORICO E DINAMICHE SOCIALI 1.2.1 IN THE BEGINNING WOMAN WAS THE SUN35 Al pari delle cosmogonie di altre grandi religioni, anche lo Shintō, o via degli Dei, vede protagonista la coppia primordiale, nel mito della creazione. L’essenza maschile, Izanagi e Izanami, l’essenza femminile, danno vita alle singole isole giapponesi, ai tratti dominanti della natura ed agli elementi. Dalla loro sacra e cerimoniale unione, nascono numerose divinità, dette kami, di cui l’ultima fu il dio-fuoco, che nascendo brucia le parti intime della madre e ne causa la morte. Izanagi scende negli Inferi per riaverla con sé, ma il tentativo risulta vano, poiché l’amata si è già nutrita del cibo inferico, suggellando l’appartenenza al mondo dei morti.36 Al compagno non resta che tornare in superficie e rinvigorire le proprie membra con abluzioni; da questo rito purificatorio, il misaghi, prendono forma le divinità più importanti: Amaterasu - incarnazione del Sole -, dal suo occhio destro, Tsukiyomi - incarnazione della Luna -, da quello sinistro e Susanoo incarnazione del Vento e della Tempesta -, dal naso. Il padre divide il mondo fra loro tre, rispettivamente il Cielo, la Notte e le Acque. Dunque, è il segno maschile a generare una prole, senza l’ausilio dell’utero materno: facendo sempre riferimento al politeismo greco, culturalmente vicino a noi, anche Atena e Dioniso sono nati da una gestazione paterna. In un quadro freudiano, che useremo con grande parsimonia e scrupolosità, questa condizione allontana il pericolo di castrazione poiché viene eliminata la superiorità della donna, nel campo procreativo e di sopravvivenza della specie. Il dominio del Cielo è generalmente 35 Il titolo è ripreso dall'omonimo testo di Raicho Hiratsuka, In the beginning woman was the Sun, Columbia University Press, 2010 36 Nella mitologia greca, Ade riesce a tenere con sé Persefone nutrendola, con l'inganno, del cibo degli Inferi, il melograno 31 appannaggio delle figure maschili, poiché al ruolo astrologico è legato quello politico e, dunque, la linea di discendenza deve proseguire da padre in figlio.37 Per quanto avulso da un contesto patrilineare, alla divinità femminile Amaterasu spetta la sovranità sacra sugli dei e sugli uomini in quanto nume solare. Il modello leggendario della sovranità pone in primo piano l’ereditarietà sacra della stirpe regnante: la mitologia giapponese postula una continuità biologica fra Amaterasu e le generazioni di Tennō, sovrano celeste, destinate a governare il Giappone. Il primo sovrano mitico dell’Arcipelago fu Niniji, nipote diretto della Dea Sole, e da questo discende il primo vero imperatore, Jimnu Tennō: la calata dal cielo diventa l’evento mitico da cui nasce il tempo storico. Secondo il mito, l’infante viene accompagnato dai tre shintai, i tre tesori donatigli dalla dea, oggetti tuttora presenti nell’investitura imperiale: lo specchio, la spada ed il gioiello, rispettivamente simboleggianti le virtù della saggezza, del coraggio e della benevolenza. Lo specchio è considerato la manifestazione della Dea e, per il sovrano, fondamento del dogma dello stato di divinità; la spada è l’arma che ogni capo degli dei possiede, mentre un’altra divinità incarna le necessità guerriere, ed il monile appartenuto al fratello, esiliato dopo un affronto ai danni di lei. Durante una sfida con il fratello ribelle, la Dea genera tre donne dalla spada, tuttavia non sono rari i casi di figure femminili guerriere: nonostante il pantheon olimpico avesse una gerarchia patriarcale, la dea Atena era temuta per le sue abilità marziali. Tuttavia, il fratello, in quello stesso episodio mitico, fa nascere cinque uomini dal gioiello: risulta interessante quest’inversione del simbolico tra il maschile ed il femminile. La potenza di Amaterasu cresce in modo esponenziale, rispetto ad altri dei celesti, se si considera che ella è raffigurata anche come devota officiante delle celebrazioni agricultorie del nuovo raccolto: detiene la mansione nutritiva che in altre religioni è affidata alle Dee Madri e separata dalla regalità. La componente femminile esprime l’origine divina della dinastia imperiale, ancor oggi regnante, e trova conferma nella mitica figura della regina vergine Pimiko o Himiko, scelta dal popolo come regnante nel periodo Yayoi, 300 a.C.-300 d.C, e più tardi la semileggendaria imperatrice Jingō Kōgō, famosa per la vittoriosa spedizione in Corea, suggeritale dagli dei. Tra il VI ed il VII secolo d.C. sarebbero salite al trono altre imperatrici, tra cui: Suiko, VI sec, diffuse il buddismo; Jítō,VII sec, fece compilare il primo codice di leggi; Gemmyō, VIII sec, stabilì la capitale a Nara - che insieme a Kyoto ed Edo, l’attuale Tokyo, furono le tre capitali mitiche- e Shōtoku, 7634-770 d.C., padrona delle arti. Nel passato remoto, il Giappone era una società matrilineare, divisa in clan o comunità dette uji, nella quale le donne godevano del diritto di successione alla proprietà familiare, tanto che era l’uomo ad entrare nel clan della donna e non viceversa. La culla di 37 G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale ..., pag.423\427. 32 Niniji era cosparsa di spighe del sacro raccolto di cui Amaterasu sovrintende nella pianura celeste: lo shintō pone in grande risalto la fertilità e la donna assume importanza per il suo essere genitrice. Raramente gli storici ufficiali fanno riferimento a questo matriarcato originario, al contrario, la cultura popolare ne ha conservato un vivo ricordo, tanto che nel manga Jeeg robot d’acciaio è chiaro il riferimento alla regina sciamana Himiko, vista sopra: il noto scienziato Shiba, durante una ricerca archeologica, scopre un’antica campana di bronzo appartenuta all’antico popolo Yamatai, soggetto alla malvagia regina Himika. Inoltre, la sua storia ed il suo mito sono tra le molti fonti storiche e leggendarie che Miyazaki ha fuso in Princess Mononoke. Nella vita quotidiana donne e uomini intrattenevano relazioni socialmente, politicamente ed economicamente paritarie. Una figlia o una moglie giapponese lavorava nelle risaie o gestiva gli affari al fianco degli uomini della famiglia e poteva esercitare autorità nelle faccende del villaggio. Sarebbe pretenzioso - ed anche infruttuoso voler ricercare dietro ciò una sorta di femminismo ante-litteram: questa società era frutto di una religione essenzialmente pacifica ed egualitaria, nonché del loro sistema di sostentamento. Il clima caldo d’estate e la stagione delle piogge favoriscono forme di agricoltura intensiva come la coltura del riso, in cui il lavoro d’irrigazione, semina e raccolto veniva condiviso dalla comunità, allo scopo di ottenere una produzione cospicua in uno spazio limitato - solo il 15% del territorio è coltivabile. La terra premia il lavoro del gruppo e non del singolo: ecco spiegato, in parte, il forte sentimento d’appartenenza della popolazione dell’Arcipelago, che quasi non conosce individualismo. 1.2.2 L’INIZIO DEL REGENTE La società che si viene formando in seguito sembrerebbe diametralmente opposta, soprattutto per quel che riguarda la condizione femminile, poiché, storicamente, la posizione della donna cambia in accordo con il sistema sociale dominante. Nelle epoche Nara,710-794, ed Heian,794-1185, le donne imperatrici cominciano ad essere affiancate da un reggente, che di fatto detiene le redini del governo. Il punto di rottura si determina in seguito ad uno scandalo che investìe Shōtoku e la sua relazione con un monaco troppo ambizioso: in risposta a ciò arriva il codice Thaito del ‘702 che abolisce la discendenza matrilineare, escludendo le principesse dal trono. L’indebolimento del diritto di successione delle donne, acceler la loro subordinazione economica agli uomini. Nel periodo medievale - le epoche Kamakura e Muromachi- si sviluppa il sistema ie, che attribuisce agli uomini la priorità sociale e politica: l’uomo più anziano è a capo del gruppo familiare e dispone di un potere assoluto: è sua prerogativa quella di essere servito dagli altri membri della casa, nutrito da pasti più ricchi, ricevere il benvenuto appena rientrava ed avere il posto a tavola più in alto di quello degli altri. In tale sistema, il primogenito ha diritto sia all’eredità che alla discendenza 33 e ciascuno veniva condizionato ad accettare il sistema e istruito sulla propria posizione nella gerarchia dell’ie, a cominciare dall’infanzia. La posizione delle donne diventa radicalmente bassa, poiché si ritiene che siano inferiori agli uomini, e tale discriminazione si deve all’introduzione del confucianesimo, dottrina di origine cinese fortemente maschilista. Kaibara Ekiken si è occupoata della diffusione di tale morale in Giappone, proponendo alcuni modelli a cui la donna doveva ispirarsi per essere conforme: "Deve essere prudente e severa nel modo di comportarsi"; "Non deve mai apparire in pubblico prima dei quarant’anni d’età"; "il suo comportamento deve essere degno e saggio".38 Inoltre, secondo le massime di Confucio, la donna risultava afflitta da cinque malattie- la maldicenza, l’insoddisfazione, la gelosia, l’indocilità, la malferma salute - ed obbedienza e sottomissione erano riconosciute come le sole virtù femminili. La nuova religione impone il martirio della pettinatura con il pesante tutulus e il suggello della verginità, Maidenhood, l’acuìcrinalis;39 l’annerirsi i denti per non apparire bella ad altri che allo sposo; adattarsi alle usanze di lui e lavorare duramente per soddisfare i genitori di quest’ultimo; subire il divorzio imposto dal marito, che poteva avere altre concubine. Fortunatamente, lo spirito shintōista ha evitato che attecchissero forme più violente di repressione, praticate in Cina, come la costrizione del piede e la pratica dell’infibulazione. Con un volo pindarico, il collegamento - azzardato - con il pensiero misogino del filosofo Shopenhauer può affiorare in mente: "La donna sconta la colpa della vita con i dolori del parto, la cura del bambino, la sottomissione all’uomo per la quale deve essere una compagna paziente e rasserenante".40 Il legame viene avvalorato da lui stesso, qualche pagina più avanti: Anche gli antichi e i popoli orientali le hanno considerate così, riconoscendo loro una posizione molto piùadeguata rispetto a noi, con la nostra galanteria da antico costume francese e la nostra insulsa venerazione nei loro confronti: una estrema fioritura della stupiditàcristiano- germanica, che èsoltanto servita a renderle arroganti.41 La condizione della donna s’inasprisce durante il periodo feudale, nell’epoca Shogun, 1600-1858, quando la centralizzazione del potere all’interno della famiglia si traspone a livello governativo con un sistema stratificato in classi: tra i samurai le donne giocano un ruolo importante, legando assieme le famiglie con matrimoni conclusi per ragioni politiche. A loro viene chiesto non solo di obbedire, ma anche di essere forti, in quanto mogli di guerrieri: dunque, i matrimoni prestigiosi non garantiscono migliori condizioni di vita, 38 Ivi, cit., pag. 439. Tutte le vergini portano il segno della loro verginità sotto forma di una piccola sfera, di circa un pollice di diametro, ritagliata accuratamente sulla sommità del capo ed è solo parzialmente celata da una striscia di capelli riportata dalla fronte sopra di essa. 40 Arthur Shopenhauer L’arte di capire le donne, Newton Compton Editori, Roma 2014, cit. pag.29 41 Ibidem. 39 34 anzi le donne si trovano in una posizione anche più precaria. Un elemento fondamentale del sistema è il culto degli antenati, trovando terreno fertile sia nello shintō sia nel buddismo: ancora oggi, nelle case giapponesi si trovano i butsudan, altari familiari, per quel tipo di culto e i membri della famiglia rispettano i propri obblighi. All'epoca, eccettuato l’imperatore e gli aristocratici, la maggior parte dei giapponesi ignorava le origini e i nomi dei propri antenati: questi venivano percepiti come l’unione delle anime di tutti gli avi che avevano fatto parte del lignaggio familiare, da quando l’ie era stato fondato. Pertanto, la coscienza che tutti i membri della famiglia appartengano allo stesso lignaggio li induce ad essere uniti e a cooperare per sostenere l’ie che, non a caso, letteralmente significa ‘casa’. Accanto all’importanza degli avi, quindi, troviamo quella degli eredi, che permettono la fondamentale continuazione del nome della famiglia. Partorire bambini - l’uso del maschile plurale non è del tutto un caso - è considerato un dovere per la donna e se una moglie non è in grado di compiere quest’obbligo vien spesso costretta al divorzio, in quanto mera macchina procreatrice. Tuttavia, esiste anche un altro modo per ottenere la discendenza, l’adozione: in assenza di figli maschi, il futuro sposo della figlia femmina avrebbe preso il nome dell’ie. In ciò nessuna illusione o atto rivoluzionario, l’istituzione di tale pratica non si deve ad un atto amorevole verso la donna, ma a motivazioni cinicamente pratiche: limitare il numero dei figli - anche una discendenza troppo numerosa poteva danneggiare l’ie, consumandone le risorse senza contribuire alla sua esistenza presente e futura - e proteggersi dal destino avverso, nel caso in cui nessuno dei figli maschi raggiungeva l’età adulta. Tale sistema è molto più forte nelle famiglie dei samurai che in quelle dei contadini o degli artigiani: bench éil potere del capofamiglia fosse il più forte, non è generalmente dispotico, come dimostra l’atmosfera rilassata, familiare e amichevole che si respira. Queste classi sociali formava un’unità di produzione di modo che tutti i membri della famiglia possano avere un ruolo specifico, determinato in base all’abilità: era economicamente difficile vivere con una persona che non lavorasse. Nonostante le costrizioni sociali, le donne detengono un ruolo culturale importantissimo e, infatti, molte opere della letteratura classica nipponica si devono a nobildonne che scrissero in un alfabeto sillabico inventato, l’hirigana, poiché non potevano imparare gli ideogrammi: la più antica antologia poetica del Giappone, Man Yōshu, con 4500 opere, è stata realizzata per la maggior parte da scrittrici, grazie al vaticinio dell’imperatrice Shōtoku. Poetesse illustri furono Ono-no-Komachi del IX sec. e Sei Shonagon, del X sec, con i suoi Makura no sōshi, I racconti del cuscino, e Murasaki Shkibu con il celebre Genji Monogatari: la figura del principe splendente sembra essere solo un pretesto per sviluppare tante diverse personalità femminili della corte Heian, poiché sono sicuramente le donne il centro dell’attenzione e dell’interesse dell’autrice. 35 1.2.3 IL MONDO GALLEGGIANTE Le imposizioni rigide dello Shogunato non riguardano solo la donna, ma investono la società in toto, che risulta divisa in cinque classi: al primo posto vi sono i samurai, bushi, seguiti dai contadini, gli artigiani, i mercanti e gli eta, coloro che eseguivano mestieri impuri come la sepoltura o la concia delle pelli. Secondo le norme confuciane, l’individuo viene considerato in funzione della sua utilità sociale e su ogni classe incombono eccessive limitazioni: il divieto per i contadini di trasferirsi in altre zone, il divieto di cambiare mestiere o di passare da una casta all’altra, limitazioni sul tipo di alimentazione, sull’abbigliamento, sul linguaggio e, non ultime, limitazioni nella sfera affettiva. La dominazione della famiglia feudale Tokugawa produce un’era di pace e di unità nazionale, dopo secoli di lotte tra clan feudali per la contesa del potere. La classe guerriera si dimostra incapace di mantenersi al passo dei mutamenti sociali: da un lato, il lungo periodo di pace li priva della loro identità di combattenti e, dall’altro, la morale vieta loro di intraprendere attività commerciali e produttive, riducendo questo ceto a parassita sociale. Il vero protagonista di quest’epoca è la classe mercantile, pur se osteggiata dalle forti discriminazioni che il confucianesimo imponeva a coloro che maneggiavano i soldi: la fine delle guerre intestine permette l'infittirsi degli scambi commerciali e i mercanti, o chonin, divengono portatori di un nuovo pensiero ed una nuova visione di vita e di gusto estetico. Sorgono, così, i quartieri di piacere, detti Uyiko, vale a dire ‘mondo fluttuante o galleggiante’ nel senso di leggero, precario, mondano: un mondo incantato per una società dove il singolo veniva sacrificato all’interesse collettivo e gravato da limiti e imposizioni. L’origine etimologica è da ricercare nel termine ukiyo, il ‘triste mondo’decantato in molte poesie del IX sec., ispirate al pensiero buddista di un mondo esteriore segnato dal dolore. A seicento anni di distanza, il senso della parola viene stravolto, poiché uki comincia ad essere scritto con un carattere diverso che sostituisce ‘galleggiante’ a ‘triste’: la vita reale è sgradevole ed illusoria, tuttavia ogni uomo ne ha soltanto una, dunque è un dono raro da consumare al meglio, godendo dei piaceri materiali. Il mondo galleggiante del periodo Edo è il mondo del teatro Kabuki e dei quartiere di piacere, popolato da attori, cortigiane, geishe e prostitute. In molti testi, questi quartieri vengono definiti delle 'valvole di sicurezza' per ciascun membro - certamente di sesso maschile - della società: la necessità di sfogo non è per il sesso represso, bensì per il ceto, per appianare le contraddizioni quotidiane tra status e ricchezza - ricordiamo che i mercanti erano ufficialmente collocati al gradino più basso, ma in pratica detenevano l’intera economia. Delle numerose ore che vi passavano, solo poche erano destinate al sesso e la maggior parte era usata per socializzare: in questo mondo, perdevano valore le distinzioni e al cliente si richiedeva solo raffinatezza, savoir faire e cultura, per il raggiungimento della 36 condizione dello Tsuji,‘raffinato cittadino’, a cui si opponeva lo Yabo, ‘cafone provinciale’. La società Ukiyo ha il merito di aver sviluppato l’estetica del sui wake, del godere appieno gioie e piaceri della vita e dell’amore: è questo il leitmotiv delle xilografie e del Kabuki. La prostituzione è legale - ovviamente se autorizzata e controllata - e rimane tale fino al 1957 in base a vari regolamenti del governo. A parte le prostitute registrate, anche altre categorie di intrattenitrici e cameriere femminili hanno il permesso di lavorare in zone appositamente designate. Le geishe rientrano in queste categorie ma a loro, famose per il cuore e la lealtà, è ufficialmente proibito avere rapporti sessuali con i clienti. Le professioniste del sesso sono le yūjo, o donne di piacere, istruite su come appagare un uomo ed interessate solo al denaro: per il giapponese del XVII e XVIII sec. il sesso con le mogli è solo un modo per procreare, dunque, si rivolgevano alle yūjo per divertirsi. La provenienza delle ragazze è spesso di bassa estrazione sociale: a causa dei pesanti oneri fiscali, i contadini versano in condizioni così difficili, da dover diminuire le bocche da sfamare o attraverso la disumana pratica dell’infanticidio, mabiki, o con la vendita delle figlie alle case di piacere. Le acquirenti che ricorrono a questo mercato schiavista erano spesso proprietarie senza scrupoli, che tengono le donne intenzionalmente in uno stato di dipendenza attraverso cifre esorbitanti per vitto e alloggio. Le bambine reclutate sono costrette a vivere, prima, come serve e poi, se promettenti, diventano apprendiste. Se riescono ad estinguere il debito, raggiungono la condizione di donne libere. Sebbene si tratti di una dura esistenza, possono ritenersi fortunate rispetto alle ragazze cedute ai bordelli, sorte destinata alle bambine meno avvenenti o prive delle attitudini necessarie. Sottomesse docilmente al proprio destino, l’unica consolazione resta che grazie al proprio nobile sacrificio, i membri della famiglia non sarebbero morti di fame, rispecchiando così l’ideale di pietà filiale. 1.2.4 L’ENIGMA GEISHA Figura mitica dell’antico Giappone, le geishe non sono né fanciulle che vendono il proprio corpo né rappresentano immagini di estrema purezza: questo spirito di contraddizione rende difficile una loro definizione. L’idea di un’esotica seduttrice esperta è un cliché euro-americano dell’Oriente: la madame Chrysanthème di Pierre Loti e la Okichi di Townsend Harris - nessuna delle quali era geisha - sono il prototipo delle donne di facili costumi, che incarnano la geisha agli occhi degli stranieri. Considerate, in primis, maestre in ogni campo dell’arte e di ogni raffinatezza, la loro sensualità nasce dall’essere iki, un tipo di bellezza sofisticata che fonde ideali estetici all’emozione umana. La loro educazione appare densa di sfumature nascoste e si basa sull’apprendimento di tre arti fondamentali: la danza classica giapponese, niton buio, i canti tradizionali, kouta, ed il suono della shamisen, antico strumento musicale del Sole Levante a tre corde; a cui si aggiungono la cerimonia del tè, 37 l’arte di disporre i fiori, la calligrafia, la pittura ed altre espressioni tradizionali. Il ruolo ludico che ricoprono non è legato al sesso, ma neanche del tutto avulso: la figura del protettore è emblematica di questa falsa contraddizione e, infatti, quando una geisha vi si lega, di certo, vi intrattiene anche rapporti fisici. Tale legame è molto più articolato e, di solito, dura per la vita: l’uomo non sceglie una giovane maiko, ancora apprendista delle arti, ma l’abile ed esperta geisha - dato indicativo della poca rilevanza attribuita al lato estetico - e quest’ultima è spinta da un forte senso di lealtà nei confronti del protettore, che la mantiene con regali preziosi. Ci sono stati anche casi in cui il protettore e la sua geisha sono convolati a nozze. Per un forte desiderio di chiarezza, Lisa Crihfield Dalby scrive: "Una prostituta è una prostituta, una cameriera è una cameriera e una geisha è un’artista".42 L’etimologia stessa della parola vuol dire 'arte in movimento' ed il loro fascino magnetico nasce da una ciocca ribelle in un’acconciatura perfetta, dall’occhiata di rosso che appare furtiva sulla scollatura di un kimono nero o da uno shamisen preso in un momento di ozio e suonato con la punta delle dita. Ciò che idealmente porta in un banchetto è un’eleganza coltivata come un’orchidea rara e la misteriosa dote si rivela nella capacità di conversare con il sesso opposto - non si cercano donne civettuole, ma cultura e battute di spirito. Grazie a Confucio, le giovani giapponesi non possiedono questa dote, poiché non vengono incoraggiate a parlare liberamente con il gli uomini, soprattutto se più anziani di loro - l’età esige il rispetto: dunque, si cerca di abbattere una reticenza socialmente radicata. Tuttavia, il prezzo da pagare è la perdita dell’innocenza ed il pudore giudicati qualità desiderabili nelle donne da marito. Le dame dolci e di buone maniere dette Yamato nadeshiko, garofani selvaggi, sono dei fragili fiori che non trovano posto nel ‘mondo del fiore e del salice’, kariyūkai, che richiede piuttosto l’elasticità del salice per piegarsi con grazia in molte direzioni. Il modesto garofano è l’opposto di una vivace Sakura, il fiore di ciliegio che è puro e nobile ma anche sontuoso e stravagante: il samurai lo coglieva come metafora della morte ideale del guerriero poiché si spargono nella brezza ancora rigogliosi, senza aspettare di appassire sul ramo, secondo l’estetica del mono no aware- malinconia prodotta dalle cose belle o piacevoli destinate a durare poco. Dunque, l’immagine di femminilità incarnata dalle geishe sostiene il peso di un’insolubile contraddizione: custodi di uno stile squisitamente femminile, mancano delle qualità di mitezza e sottomissione che, nel mondo nipponico, rendono una donna tale. L’idea che una geisha sia una schiava accondiscendente ai capricci maschili è un assurdo stereotipo forgiato dall’esterno: il ‘servizio’fisico che ci si aspetta da loro non va oltre il versare del sakè al conviviale, aggiungendo anche che si tratta di un gesto più cerimoniale che funzionale e che i clienti sono tenuti rigorosamente a restituire il favore. Riprende maggiormente il rapporto tra il padrone di casa ed il suo ospite: secondo l’etichetta, il primo 42 Lisa Crihfield Dalby, La mia vita da geisha, Sperling & Kupfer, 2005, cit., pag. 83 38 deve situare l’invitato prima di sé, sotto ogni punto di vista: insisterà per farlo sedere al posto d’onore, cederà a lui il privilegio di essere servito per primo, userà particolari formule linguistiche per rendergli omaggio. Esattamente come accade in un banchetto con le geishe che, in quanto padroni di casa, sono chiamate a mostrare iniziativa, individualità e schiettezza nei confronti dei clienti. L’obbligo principale è quello di mettere a proprio agio l’ospite dandogli la possibilità di divertirsi: "la nostra funzione è di agire da ‘olio’in modo che i banchetti e le cene scorrano fluidi".43 Tale contesto si erge su di un reciproco rispetto ed è molto meno a senso unico di altre interazioni maschio-femmina. La comunità delle geishe sembrerebbe costruita per l’esclusivo diletto degli uomini, ma in realtà è il regno delle donne: la posizione del sesso maschile è fondamentalmente precaria nella vita dei suddetti quartieri e forse è l’unico ambito della società giapponese in cui la nascita di una femmina è più benvenuta di quella di un maschio - solo le direttrici delle case da tè possono avere figli, mentre le altre geishe smettono di esserlo con la maternità. Tuttavia, neanche qui si sfugge dalle tradizioni e dalle gerarchie, in un mondo diviso tra Okāsan, madre, e Onēsan, sorella maggiore: le Madri delle case da tè sono vere e proprie imprenditrici e le geishe che vi lavorano, considerate figlie, intrattengono tra loro, in privato e sul lavoro, rapporti di sorellanza; non si è mai sorelle, ma sempre maggiori o minori per presupporre una precisa gerarchia. Anche il modo in cui le arti vengono insegnate è tradizionale, poiché si basa sulla subordinazione assoluta dell’allievo al maestro e l’inflessibile disciplina richiesta è tanto disciplina di sé quanto padronanza tecnica della forma artistica: due aspetti non separabili. Ultimo fondamentale elemento per illuminare i contorni di quest’affascinante figura è la sua dicotomia con il ruolo della moglie: geishe e spose si escludono a vicenda, poiché la prima cessa di essere tale con il matrimonio. Per l’uomo giapponese i due ruoli sono complementari, poiché i loro ambiti di competenza sono opposti, rispettivamente l’interazione sociale e la famiglia; come se fossero i due aspetti di una donna ideale e perfetta, la geisha detiene il primato del lato sexy ed estroso, così come dalla moglie si esige discrezione e serietà: "la gloria più grande di una donna è che non si parli di lei" affermava Pericle nell’Atene del V secolo. Tale statista intratteneva una relazione amorosa con la celebre etera Aspasia Milesia, appassionata intellettuale e brillante insegnante di retorica: lungi dal cadere nei luoghi comuni occidentali che affiancano erroneamente la figura della geisha a quella dell’etera, tale esempio serve a testimoniare come, in ogni parte del mondo, il patriarcato porta alla divisione del femminile, ciascuna società con le proprie peculiarità culturali. La cortigiana greca si distingue dalla comune pornè, la prostituta che dà piacere per denaro, per la sua colto spirito e la sua eleganza raffinata; allo stesso tempo, poiché esperta 43 Queste sono le parole di una geisha di Osaka. Ivi, cit., pag. 94. 39 nei piaceri dell’amore e buona consigliera per i propri amanti, non accede alla rispettabilità della moglie, relegata nel silenzio domestico, madre di figli legittimi, priva di personalità giuridica e di qualsiasi autonomia personale. Il silenzio è il debito per la fortuna di essere nate ateniesi, la fallace libertà d’espressione è il prezzo da pagare per il proprio status di straniera. Al giorno d’oggi, numerose sono le donne occidentali che si sentono offese dal concetto stesso di geisha, additandole come 'giocattoli per uomini'; eppure, per ironia della sorte, sono tra le poche giapponesi ad aver raggiunto l’indipendenza economica e posizioni influenti e di comando, grazie ad un lavoro autogestito - pur dovendo rinunciare alla costituzione di una famiglia propria. In una società eminentemente maschilista, questa duplice natura della donna sembra un’ingiustizia: l’autrice di La mia vita da geisha - da occidentale che s’immerge in una delle esperienze più giapponesi che possano esserci - non condivide il categorico disprezzo femminile occidentale intorno a tale argomento e non accetta la tesi che sia un lavoro umiliante che vada sradicato per ottenere una reale parità. Tuttavia, sembra opportuno riprendere alla lettera la sua conclusione: "Sta al lettore giudicare".44 1.2.5 LO SBARCO DEI VASCELLI NERI Oltre le mura dei quartieri di piacere, si radica l’idea degli 'uomini dentro e le donne fuori' - ancora oggi prevalente nella società giapponese-, arrivando fino agli strati più bassi della società, dove non aveva ancora attecchito la dottrina del confucianesimo. Per avere una visione più chiara della situazione sociale, è necessario introdurre il concetto nipponico di Giri, dove gi è‘giusto’e ri ‘comportamento’: il suo spettro semantico ruota attorno al dovere morale e all’obbligo sociale; purtroppo, non ha un corrispettivo nella nostra lingua ma vi si può includere tutta la vasta gamma di doveri, obbligazioni e cortesie del comportamento individuale e collettivo, tanto nello spazio della comunità quanto nell’ambito familiare. Ancora oggi, il rapporto tra marito e moglie è regolato da questo vademecum e se ne può comprendere la vera natura risalendo alle origini del termine: coniato in epoca Kamakura, definiva il senso di riconoscenza dei samurai verso il proprio signore feudale, al quale garantivano fedeltà e rispetto per le terre donate loro. Il linguaggio giapponese riflette lo stato di questi rapporti tra uomini e donne: molte si rivolgono al proprio marito con il termine shujin, costituito da due kanji che significano ‘persona principale’; mentre gli uomini prediligono l’espressione kanai, alla lettera ‘dentro la casa’, per chiamare le proprie mogli. Ma le espressioni che sottolineano la subordinazione della sposa allo sposo non si esaurisce alle suddette parole: la prima difficilmente lo chiama per nome, preferendo la 44 Ivi, cit., Introduzione. 40 parola anata - pronome personale assimilabile al vous francese -, che eufemisticamente si potrebbe tradurre con ‘caro’, in realtà è un appellativo usato anche per rivolgersi al rettore, al medico, al capo sul posto di lavoro; al contrario, lui ricambia con un diretto e crudo ‘tu’, kimi. Anche l’ordine dei kanji è un significativo riflesso del pensiero sociale: le parole che descrivono i gruppi costituiti da ambo i sessi iniziano sempre con il kanji che indica il gruppo maschile, ad esempio danjo, ‘uomini e donne’o fūfu, ‘mariti e mogli’. A ciò si aggiungano le numerose espressioni che il sistema patriarcale ha destinato al solo genere femminile per prendersene gioco o dettarne il comportamento. Ad esempio, Otoko mastri,‘donna che supera gli uomini’,indica una donna superiore fisicamente, spiritualmente e intellettualmente agli uomini, ma l’accezione è completamente negativa poiché per la mente giapponese sottolinea una mancanza di femminilità; invece, una donna attiva e vigorosa viene etichettata dalla parola otenba, ‘maschiaccio’, spesso usata dai quei genitori che hanno una figlia tanto vitale da non poter essere controllata: tale ragazza dovrà imparare a comportarsi con modestia ed umiltà. Infine, la superiorità del maschile sul femminile si conferma ogni volta rafforzando il pensiero secondo cui la funzione sociale della donna si riduce a quella di moglie e madre: chi rimane nubile e oltrepassa la tekireiki,‘l’età giusta per prendere marito’, assume l’imbarazzante titolo di urenokori, che letteralmente indica lo stato di beni di consumi o verdure rimasti invenduti. Nel 1853, i vascelli del commodoro Matthew Calbraith Perry sbarcarono presso le coste dell’Arcipelago, rompendo la secolare campana di vetro in cui era stato finora: tale apertura ha un impatto molto forte. Per far fronte alla minaccia dell’imperialismo occidentale, c’è bisogno di un popolo disciplinato, pronto al sacrificio e, soprattutto, baluardo convinto dell’essenza giapponese: tutti gli uomini dovevano essere dotati dello ‘spirito samurai’ ed ogni giovane donna doveva aspirare ad essere iniziata ai segreti dell’ikebana. Con gli occhi delle altre nazioni puntati addosso, i nuovi governanti comprendono di dover sostituire la supremazia del clan familiare con quella dello Stato, la cui struttura viene identificata con quella della famiglia: per ottenere consenso popolare, viene rivalutata la figura dell’imperatore, verso il quale avere devozione filiale. Un altro passo importante è dotare il paese di un Codice Civile capace di dare al Giappone credibilità: tale riforma incontra una resistenza quasi nulla, se non fosse per i punti riguardanti le questioni familiari, perché i conservatori non accettano di buon grado che a nuora e figli, seppure considerati ancora di posizione inferiore, venisse concessa una seppur minima considerazione.45 L’avvento di un sistema ufficiale di istruzione valido per tutti i bambini contribuisce ad affidare un ruolo diverso alla donna: l’educazione scolastica delle ragazze diventa degna di attenzione nella misura in cui quest’ultime in futuro sarebbero diventate 45 Viene concessa alla donna la facoltà di chiedere il divorzio, anche se di fatto tutti i beni proprietà rimanevano nelle mani del marito. 41 madri e, quindi, avrebbero avuto un’influenza formativa sui loro figli. Ora la donna è chiamata a sostenere il marito e non solo obbedirgli, come in epoca Edo; nonché ad occuparsi dell’istruzione dei propri figli, giocando un ruolo fondamentale nel forgiare un popolo colto e beneducato: nasce, così, il concetto di ryōsaikenbo, ‘buona moglie e madre saggia’. Interessante l’opinione dell’antropologa Héritier secondo cui il ruolo riproduttivo femminile continua ad essere monopolizzato dagli uomini per aggravare il confinamento della donna nel ruolo riproduttivo e di accudimento: "la maternità è diventata un catenaccio, la cui manipolazione esperta, sia intellettuale che ordinaria nel contesto della dominazione maschile, conduce le donne alla dissoluzione e alla scomparsa delle loro restanti potenzialità".46 Il governo Meiji si trova ad affrontare una nazione appena unificata ed i vari problemi interni che tale gesto comporta, nonché gestire la nuova posizione del Giappone come stato indipendente in una comunità mondiale. A pagare per primo il prezzo di questa modernizzazione è la cultura popolare, messa a tacere da autorità ansiose di apparire moderne, efficienti e sopratutto civili e, di certo, la presenza di un sistema di prostituzione legalizzata fa inarcare le sopracciglia vittoriane. Uno sguardo contemporaneo ha decantato quei quartieri giapponesi per una forma di sofisticazione culturale raramente eguagliata nella storia mondiale: purtroppo ciascun epoca ha il proprio significato di civiltà. Il governo promulga un editto per l’emancipazione di geishe e prostitute, con il quale le donne venivano caldamente incoraggiate ad intraprendere strade più dignitose: il succo è quello di abolire il sistema, ma il risultato pratico diviene quello di lasciare senza occupazione molte donne forzatamente emancipate - che fino ad allora avevano svolto una professione. Tuttavia, viene aperto per la prima volta un canale tutto al femminile dove indirizzare lamentele e denunce. Un ruolo particolare viene ricoperto dalle geishe: il processo di modernizzazione interessa molti ambiti della società ed il ‘mondo del fiore e del salice’non ne è esente. Al di là delle imposizioni governative - come la standardizzazione delle tariffe nel 1886 -, il loro approccio con l’Occidente diventa un vero scontro ideologico: da sempre espressione della spontaneità popolare e portatrici di novità al passo con i tempi, si rendono conto di non poter affrontare quel cambiamento. Inoltrarsi nel mondo occidentale avrebbe segnato la loro fine: non si può essere geishe con un caschetto alla francese o un bustino vittoriano. Così, tale figura passa da guru dei canoni estetici a custodi della tradizione, da voce di un mondo sempre ‘al presente’ a relitti di un arcaico universo ed in questo conservatorismo trovano la salvezza. Il mondo delle geishe simboleggia e riassume i problemi della modernizzazione e 46Franҫoise Héritier, Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, Laterza, 2006, cit., pag. 309. 42 dell’occidentalizzazione che hanno colpito l’intera società giapponese, a cavallo tra anni Venti e Trenta. Gli intellettuali, sia che le critichino come residui feudali sia che cerchino di preservarle, usano le geishe come paradigma nelle loro discussioni, preoccupati della direzione del cambiamento della società. Una voce tra il coro declama, nel 1935: "Dall’ombelico passava il nutrimento nel grembo di nostra madre. Secondo i medici, l’ombelico è il centro dell’addome, il centro della nostra forza. Le geishe sono l’ombelico della società. Chi afferma che la loro utilità è scomparsa, dovrebbe provare a rinunciare al proprio ombelico." 47 1.2.6 TEMPI MODERI Nella società produttiva la donna ha sempre avuto un ruolo molto importante, ma vissuto nell’ombra. Le operaie furono i pilastri della celere industrializzazione e, tra il 1894 ed il 1912, le donne costituivano il 60% della manodopera; tale contesto vide l’insorgere di movimenti in favore dell’emancipazione femminile, però le operaie abituare ad obbedire in silenzio, non aderirono mai a quel movimento: il lavoro femminile veniva di per sé svalutato, perché contrario alla morale che voleva la donna a casa. Durante la lunga esperienza nazionalista e bellicosa, i soldati furono chiamati al fronte e le donne, reclutate per ogni sorta di attività produttiva o di assistenza, vi si dedicarono con slancio ed abnegazione rinunciando a rivendicazioni che, più che mai in quel momento, sarebbero parse egoistiche: vittime di uno sfruttamento estremo, sopportarono pazientemente le 12/14 ore di lavoro pagate miserabilmente, dormitori affollati e stabilimenti umidi e bui, tanto che numerose lavoratrici si ammalarono di tubercolosi. La sconfitta aveva costretto il Giappone ai piedi di un’altra civiltà e di un altro modo di pensare. Le forze di occupazione statunitensi, innanzitutto, danno inizio all’opera di democratizzazione: nel 1947 viene promulgato un nuovo Codice Civile, in sostituzione del precedente, ormai obsoleto, dell’era Meiji: le donne ottengono il riconoscimento al diritto di voto e la legge assegna loro trentanove posti alla Camera dei Deputati. Il Giappone viene dotato anche di una nuova costituzione, portatrice dell’uguaglianza tra tutti i cittadini, nonché il rispetto della dignità dell’individuo e la parità tra i sessi nella vita della famiglia. Le riforme continuano, stabilendo condizioni di divorzio identiche per entrambi i coniugi - tanto che la donna diventa proprietaria dei suoi beni - e di divisioni dell’eredità in parti uguali tra tutti i figli, maschi o femmine che siano. Tuttavia la vecchia struttura familiare è un ostacolo alla democratizzazione del paese, dunque, viene inserita una clausola secondo cui i discendenti in linea diretta del capofamiglia e i parenti che 47 Le parole sono del giornalista Tanaka Iwao. Ivi, cit., pag. 74. 43 vivono con loro sono tenuti all’assistenza reciproca. Si ribadisce la priorità del legame genitori e figli, su quello tra marito e moglie, e per la nuora l’obbligo di accudire i suoceri. Le donne possono finalmente uscire dalla condizione d’inferiorità in cui erano state tenute per secoli, mentre gli uomini accettano male la revisione del regolamento riguardante lo stato civile: nel vecchio sistema, tutti i membri di un clan risultavano iscritti nello stesso registro di famiglia, in ordine gerarchico, sotto il nome del patriarca; nel nuovo sistema ogni coppia, all’atto del matrimonio, apre un proprio registro. Nel dopoguerra, riprendono movimenti proto-femministi, divisibili in due gruppi: conservatori, provenienti dalle organizzazioni nazionalistiche di sostegno allo sforzo bellico, e quelli progressisti, facenti riferimento ai partiti comunista e socialista. Nel 1955, le attiviste Ichikawa Fusae e Hiratsuka Raicho fondano l’Associazione delle Elettrici, il Movimento delle donne contro il riarmo e l’Unione delle giapponesi per la pace: sorgono trenta gruppi diversi dell’Unione delle organizzazioni femminili giapponesi, ma nel complesso queste associazioni restano isolate e non ottengono l’adesione della popolazione femminile, ancora troppo condizionata dalla tradizione. Dal 1960 al 1972, il Giappone conosce una crescita che gli osservatori occidentali qualificheranno come 'miracolosa', diventando la seconda potenza economica al mondo. Negli anni Settanta diventa la prima potenza commerciale del pianeta. Negli anni Ottanta accede al primato finanziario e diventa maggior creditore del mondo. Si assiste ad un graduale miglioramento dovuto più all’urbanizzazione che alla legislazione democratica: si registra un esodo verso le città di milioni di giapponesi, sradicati dalle campagne, e così le giovani coppie si staccano dall’ingombrante presenza ed ingerenza della famiglia estesa tradizionale. Al posto di quest’ultima, prende piede la famiglia mononucleare, nuova cellula della società capitalistica ed industrializzata, alloggiata nei quartieri residenziali popolari, chiamati Danchi - il primo risalente al 1956. A queste abitazioni, emblema del miracolo economico, si lega lo stereotipo femminile sponsorizzato dai media, proveniente dall’America. Tale miraggio, posto sulla linea di confine tra status symbol e nuovo romanticismo, comincia a declinare, dalla seconda metà degli anni Settanta, sia perché le mogli sono sopraffatte da segni di stanchezza, di solitudine e di frustrazioni, sia perché la TV giapponese, adeguandosi a standard euroamericani, veicola l’immagine di una donna non più legata solo all’ambiente della famiglia: matura un cambio del costume, che di solito viene riflesso dai mezzi di comunicazione della cultura di massa e non il contrario. Di certo, non è dovuto ai moti del Sessantotto: l’ondata di manifestazioni è imponente tra scioperi contro il trattato sulla sicurezza che lega il Giappone agli Stati Uniti, le proteste contro l’inquinamento industriale e la guerra in Vietnam - il paese aveva concesso una base aerea per l’aviazione americana -, la rivolta studentesca assume forme violente ed i movimenti femministi fioriscono numerosi, come la Lega per la libertà dell’aborto e della pillola. 44 Tuttavia, "è una rivoluzione che si compie senza marce e senza manifesti, dettata dalla necessità economica, non dall’ideologia" scrive su Fortune, la giornalista Sally Solo - con particolare riferimento all’emancipazione delle donne.48 Dunque, il movimento non cambia la società giapponese come ha fatto con quelle occidentali e la massa dei baby boomer si integra docilmente in un esercito di salaryman in abito grigio, mentre la volontà di cambiare il mondo viene rimpiazzata da un consumismo edonistico. Mentre la famiglia mononucleare si sgretola, giornali e TV s’inventano, attraverso la voce degli immancabili esperti, la ‘nevrosi materna’, nonché i primi casi di ijime, bambini violenti: il disagio femminile aveva fatto capolino e le si addebitava anche il malessere dei bambini, ritenuti strani perché lo erano le madri. Nonostante ci si trovi di fronte ad un contesto repressivo, diverse sono le zone di autonomia delle donne giapponesi, negate invece alle occidentali: quando l’autrice Antonietta Pastori arriva a Tokyo nel 1974, si stupisce nel vedere gruppi di sole donne muoversi autonomamente per la città, una libertà che in Europa iniziavano appena ad assaporare, in quegli stessi anni. Inoltre, la gestione delle finanze era - ed è tuttora - di completa competenza femminile: alla fine di un pasto al ristorante, sarà la donna a mettere le mani nella borsetta per pagare il conto. Nonostante sia il marito a portare lo stipendio a casa, a lui viene ceduta solo una piccola parte poiché è la moglie che decide come dividere le finanze familiari e che spese affrontare. La divisione dei ruoli, anche in famiglia, è fondamentalmente rispettata, tanto che la deferenza della moglie nei confronti del marit oè, ormai, un atteggiamento esteriore e non in quanto di facciata, bensì perché nasce da un condizionamento profondo. La donna non ha solo il potere d’acquisto, ma anche una fitta rete di relazioni e comunicazioni con glia altri legati alla famiglia, in qualità di perno della casa: organizza e cura gli aspetti di ogni membro ed il padre è consultato per pro forma. Dunque, nonostante venga relegata nell’ambito domestico, è la moglie che comanda in famiglia. Al di là dell’atteggiamento ossequioso nei suoi confronti, il marito viene trattato come un ospite un po' maldestro, anche dai figli. Diverse svolte si registrano tra gli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta, in concomitanza con la convenzione ONU del 1980 sull’eliminazione di ogni discriminazione contro le donne, viene approvata la legge sulla pari opportunità d’impiego, nel 1985, e ne segue un incremento delle offerte di lavoro per le donne, un piccolo miglioramento delle loro possibilità di carriera, la creazione da parte delle istituzioni pubbliche di asili nidi e di centri assistenza per anziani e parte delle studentesse che si laureavano nelle migliori universitàriuscirono a farsi assumere con contratti che prevedevano possibilità di carriera. L’incanto di una possibile ‘epoca delle donne’ viene spezzato con l’inizio della recessione economica: il brusco sgonfiarsi della Big Bubble, il 48 R. I. Fùrnari, Le ragazze perdute del Sol Levante, Armando Editori, 2005, cit. pag. 86. 45 crollo della Borsa, i problemi emersi in seguito al terremoto del ’95, il fallimento di alcune grandi banche, il fatto che ditte prestigiose cessino l’attività o ridotto il loro personale, gli avvelenamenti nei supermercati, l’attentato nella metropolitana messo in atto dalla setta Aum Shinrikyo, l’incidente nucleare dell’ottobre del ’99. Dunque, le offerte di lavoro per le laureate diminuiscono, i contratti con possibilità di carriera tornano ad essere privilegio degli uomini, numerose ditte allungano i tempi di lavoro e moltiplicano le trasferte fuori sede, obbligando molte madri - arrivate al grado di dirigenti - a rassegnare le dimissioni: il brusco arresto del processo di emancipazione rivela il suo carattere superficiale e contingente. Comunque, la condizione è molto migliorata da cinquant’anni a questa parte: in primis, in nessun altra parte i consumi sono determinati dalle donne, lei è la consumatrice più forte e la produzione interna si piega ai loro bisogni e desideri, oltre all’amministrazione delle finanze domestiche. Inoltre, la sua vita quotidiana è diventata meno faticosa: un tempo, la donna lavorava senza sosta dalla mattina a tarda sera, sette giorni su sette, nei campi e in casa, per la sua famiglia e per quella del marito; oggi, l’urbanizzazione ed il progresso della tecnologia hanno alleviato il suo compito, tanto da avere del tempo libero da dedicare a sport ed hobby, che danno un illusione di libertà se paragona la sua giornata a quella del marito, costretto ad un ritmo spossante.49 La sociologa Kanai Yoshiko sostiene che attualmente nella società giapponese ci sono tre tipi di donna: il primo include tutte coloro che hanno accettato passivamente il loro destino, senza domandare nulla di più - la stragrande maggioranza delle donne; il secondo comprende la cosiddetta 'generazione femminista', quelle che negli anni del dopoguerra hanno lottato per la propria emancipazione e sono state spesso obbligate a scegliere tra la famiglia ed il lavoro. Infine, le giovanissime, che non sembrano dotate dello spirito di sacrificio delle madri e delle nonne e forse proprio questo è il mutamento più importante degli ultimi anni, però dovuto non ad un’acquisizione dei propri diritti, ma all’abitudine dell’agiatezza ed al potere livellante dei media. Sorgono vane subculture giovanili in bilico tra legale ed illegale, lecito ed illecito, costume e nevrosi, erotismo e prostituzione, bullismo e mafia. Un’economia postmoderna, basata sull’innovazione tecnologica - di portata sconosciuta ad altre parti del pianeta- e sull’uso degli strumenti informatici - possesso di informazioni come merce di scambio -, non è stata seguita da una ridefinizione del lavoro, delle istituzioni e del ruolo dei sessi. Il nuovo capitalismo post industriale non ha bisogno di attenti produttori, ma di ricettivi consumatori e, a questo fine, ha partorito le sue creature: gli otaku accaparratori e le ko-gyaru, forma di devianza femminile, ipnotizzati da un’estetica di prodotti di consumo veicolati dai media, caricati da un valore simbolico estrinseco, ed in fuga dal sistema scolastico. Il ventennio Sessanta e Settanta vide perfezionarsi un sistema scolastico che, 49 Un sondaggio al maschile ha rilevato che alla domanda: ' Vorresti essere una donna? ' la maggior parte dei soggetti ha risposto in modo affermativo. Ivi, pag.185. 46 combinando i suoi meccanismi selettivi, i valori tradizionali di sottomissione al maestro, la staticità del costume e delle regole consuetudinarie con la moderna competitività e capacità di rendimento produttivo, danneggiò la trasmissione dei valori tradizionali autoctoni e formò una classe impiegatizia depositaria di un’etica del lavoro, basata su una produzione di tipo quantitativo. Il giovane sesso femminile, il gruppo sociale più danneggiato dal mancato rinnovamento delle istituzioni,è anche il maggiore depositario di elementi e valori di una trasformazione autonoma: una generazione consumistica con un suo personale buon senso, che, di fronte alle contraddizioni evidenti, rifiuta una logica che vorrebbe produrre delle masse di lavoratori impegnati nella produzione a tempo indeterminato, coadiuvati da casalinghe sottomesse ai bisogni della famiglia. Al suo posto, nasce una nuova etica in cui si privilegia il singolo, la sua creatività ed il suo tempo ludico. Se le donne non hanno ancora raggiunto la parità, se vengono discriminate sul lavoro e se pochissime sono quelle che hanno raggiunto un certo potere e prestigio, è comprensibile che le aspirazioni delle giovani, consapevoli di un’esistenza ridotta ad ambiti ristretti, non vadano più in là dell’acquisto dell’ultima borsa di marca. I costi elevati di tale shopping compulsivo e patologico vengono sostenuti attraverso una pseudo-prostituzione femminile, le cui forme vanno da semplici appuntamenti con uomini adulti - in cui non si consuma l’atto - alla vendita del proprio intimo usato, passando per call center erotici. D’altra parte, le giovani ricercano la propria autonomia sessuale e si corazzano di un’indifferenza verso le convenzionali norme di condizionamento: perde rilevanza il detto nipponico che da sempre regola il comportamento sociale, 'il chiodo che spunta dall’altra parte, chiama il martello'. 1.2.7 DA AMATERASU AD AIKO "Come l’aria che si respira, bisogna essere presenti sapendo di farsi dimenticare" afferma Yuko parlando della donna.50 In conclusione, le giapponesi sono afflitte dalle aspettative di una società che le vorrebbe sia modellate sul concetto di ryōsaikenbo sia concentrate sulle proprie carriere: un gran numero di donne che lavorano subiscono la pressione addizionale dello svolgere i lavori in casa. Senza alcuna distinzione sociale o d’età, tutte le donne sono accomunate dalla paziente accettazione di una sorte che dipende in minima parte dalla loro volontà. Tuttavia, remissività e disposizione alla rinuncia non sono caratteristiche solo femminili, ma la forma mentis di tutta la popolazione: lo scopo della vita è l’adempimento del proprio dovere per il bene comune. In un paese dove non c’è mai stata 50 Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokio Sister..., cit., pag. 10. 47 una rivoluzione popolare, dove persino la democrazia è stata imposta dall’alto e passivamente accettata, la gente continua ad essere conscia più dei propri doveri: in quest’ottica, una madre, che rinuncia a tutto per il bene della famiglia, non pensa di fare nulla di speciale ed è felice di risultare utile agli altri ed alla società. La nazione è cresciuta sull’abnegazione dell’intera popolazione: anche l’uomo ha sacrificato alla propria ditta gran parte della vita privata e degli interessi personali, portando nel sistema produttivo attuale la stessa fedeltà che legava, in altri tempi, il mezzadro al proprietario terriero. Nel capitolo precedente, si fa accenno all’attuale disagio femminile ed anche nella popolazione maschile, al di sotto dei venticinque anni, si riscontra lo stesso calo di tolleranza e sono sempre meno pronti a rinunciare ad avere una vita privata per il beneficio della ditta, meno disposti a chiedere il beneplacito del capoufficio per sposare la donna che amano e a passare la maggiore parte del loro tempo lontano dalla famiglia. Anche loro sono cresciuti fra musica, sport, manga e anime, moda e spot televisivi, sanno come si vive altrove ed aspirano ad una vita più umana. La crisi ha fatto diminuire la considerazione per ciò che loro chiamano la ‘società controllata’- nella quale il destino e la condotta del singolo erano strettamente dipendenti dai suoi titoli di studio e dal suo posto nelle diverse gerarchie - preferendo un profilo di vita in cui il singolo cerca di esprimere tutto il suo potenziale e si concede una dose di edonismo. Maggiore attenzione agli spazi personali non è necessariamente l’equivalente di una generazione che ha perduto le antiche virtù, però sono messe a dura prova: i giovani sono probabilmente scrupolosi, responsabili e ligi al proprio dovere quanto i loro padri e le loro madri, ma non sanno più quale sia, questo dovere. Oggi meno remissive, più disinvolte e decise a farsi rispettare, le giovanissime hanno rubato il palcoscenico ai coetanei maschi e trasformato i propri secolari condizionamenti in atteggiamenti esibiti in moda, quali goffaggine e tendenza a bamboleggiare: per esempio, lo stile kawaii si rivolge al mondo dell’infanzia, considerando fashion tutto ciò che è carino tanto che il marchio Hello Kitty non ha solo un target di bambine. La donna modesta e riservata, che agisce nell’ombra - tipica del cinema di Ozu - ha fatto il suo tempo, tanto che, nel 2007, il libro conformista di Mariko Bando, Josei no hinaku, lancia un campanello d’allarme sulla dignità della donna: la figura presa a modello è una signora raffinata, che conosce tutti i nomi dei fiori e che non ostenta le proprie grazie, quasi un salto indietro nel tempo. Le giapponesi oggi hanno una libertà economica e sessuale come mai prima e nella raccolta di racconti No geisha: otto modi per essere donna in Giappone, diverse scrittrici emergenti testimoniano il cambiamento in atto: per esempio, nel racconto Milk uomini adulti escono con delle ragazzine; in Inside, la protagonista affronta l’indecisione di raggiungere maggiore intimità con il proprio ragazzo, mentre vede sgretolassi il matrimonio dei suoi genitori; in Fiesta si assiste, perfino, ad uno stupro maschile. Eppure, nonostante le leggi democratiche, il benessere economico ed un diverso 48 modello di coppia sponsorizzato dai mass media, la mentalità è rimasta la stessa: "Istruite, eleganti, forti consumatrici devono essere prima di tutto mogli devote, brave Madri e Nuore obbedienti".51 Affinché le donne giapponesi possano parlare seriamente di emancipazione, è necessario che superino un ostacolo che è all’origine di tutti gli altri: il loro atteggiamento mentale nei confronti degli uomini e sarebbe necessario porre in luce - dall’interno - il loro senso di soggezione nei confronti del maschio. Finché le donne non avranno superato questo complesso, finché continueranno a farsi da parte per dare spazio agli uomini, a lasciar loro la precedenza, a farsi serve dei loro mariti, parlare di parità in società non avrà molto senso. Soltanto quando un’impiegata non sentirà più il bisogno di cedere il passo al collega maschio davanti ad una porta, per lei avrà senso rivendicare salario uguale e stesse possibilità di carriera. Anche sul piano antropologico, la questione del femminile è piuttosto complessa considerando che, nella cerimonia che precede l’incoronazione, l’imperatore si identifica con Amaterasu e riconosce implicitamente che il potere maschile di cui è rappresentante gli deriva da un’entità femminile. Al giorno d’oggi, tale identificazione potrebbe essere idealmente totale dal momento che, nel 2005, è stata modifica la legge che regola la successione della casa imperiale nipponica ed Aiko, una bambina, è potuta diventare l’erede al trono: il principe della corona Narhuito aveva sposato per amore una borghese - contro le convenzioni - e, se la mozione non fosse passata, avrebbe dovuto ripudiare la moglie, incapace di dargli un erede maschio. Fortunatamente, questa storia ha avuto un lieto fine. Non potendo stabilire dove sia la verità, come fanno le autrici di Tokyio Sisters: reportage dall’universo femminile, è meglio rimettersi ai lettori: "Sottomissione, rassegnazione, sesso libero, a voi il giudizio".52 51 52 Ivi, cit., pag. 40. Ivi, cit., pag. 10 49 2. SHÔJO MANGA: IL FUMETTO PER RAGAZZE Come già accennato, la presenza di un fumetto per ragazze nel contesto giapponese non trova un corrispettivo oltreoceano: nel Sol levante, i generi scritti da donne per un pubblico femminile - declinandosi in diversi stili narrativi e per tutte le fasce d’età - sono pienamente riconosciuti, tanto da occupare il podio dei target più pubblicati. Il numero di lettrici è costantemente cresciuto rispetto al concorrente maschile con uno scarto di circa il 10% e, pur non vendendo tanto quanto gli shônen, le pubblicazioni per ragazze sono quasi il doppio. Il manga si rivolge agli adolescenti, distinguendo nettamente tra maschi e femmine: l’idea che uno stesso manga possa indirizzarsi indifferentemente ai due sessi - nonostante si registri spesso un pubblico misto - sarebbe sui generis, poiché è la società giapponese stessa che prevede universi differenti per uomini e donne. Nelle scuole, l’appello si effettua ancora separatamente partendo dagli studenti maschili e persino le assunzioni prevedono mesi diversi per gli universitari uomini e donne, solo per fare degli esempi di vita quotidiana. Nel corso degli anni, il rapporto tra di essi si è molto modificato, nel tentativo di abbattere il muro eretto dal confucianesimo: soprattutto a partire dal dopoguerra, grazie alla nuova libertà concessa agli adolescenti dalla modernizzazione, i giovani di sesso opposto si cercano con tanto desiderio quanta goffaggine. Eppure, ancora oggi, come racconta Antonietta Pastore, c’è la tendenza a dividersi, preferendo la compagnia dello stesso sesso, che sia in un’aula universitaria o presso i tavolini di un bar: in Giappone un enkai, una festa, è quasi sempre una riunione dello stesso sesso, poiché è all’interno di gruppi così costituiti che il giapponese è in grado di rilassarsi al meglio. La prospettiva di una possibile mescolanza è data dalle odierne under 20 che sembrerebbero aver acquisito una disinvoltura ed una spigliatezza,lontane dalla rigida serietà dell’epoca Edo, grazie all’ostentazione di mode liberamente ispirate all’esotico Occidente. Tuttavia, tali subculture, limitate nel tempo, costituiscono solo delle parentesi di permissività, per poi essere abbandonate allo scoccare dell’età adulta. Dunque, la realtà è un’altra: la buona educazione esige dalla donna un riserbo che, di certo, non facilità le relazioni interpersonali e che, unito alla timidezza dell’uomo - in Giappone non è una prerogativa femminile - forma un cocktail micidiale. In quanto specchio della realtà sociale, la netta separazione tra ragazzi e ragazze si ritrova anche tra le pagine degli shôjo manga. Dire shôjo vuol dire donna e, secondo l’antropologo Eiji Ôtsuka, nel termine è contenuto un’intero universo di problematiche sociali ed esistenziali: in particolare, un universo femmineo che indossa una veste romance per narrare la realtà. Il genere prende per mano la bambina delle scuole elementari, accompagnandola spesso ben oltre gli anni dell’università, grazie al passaggio del testimone dallo shôjo ai ladies comics dove il romanticismo soffre sempre meno di indecisioni di colore. Una carriera così longeva, che ha 50 saputo rinnovarsi e resistere alle intemperie di circa sessant’anni, si deve al punto forza del genere: così radicato nella cultura giapponese, allo stesso tempo la rifiuta,un paradosso che ricalca quello della donna giapponese. Lo shôjo deve la sua vera identità ed il suo spessore al momento in cui conquista la propria autonomia dalla mano dell’uomo: espressione del Japop, porta alla luce la miriade di ‘Se…’ che confondono una ragazza adolescente ed affronta i temi della sessualità, dell’androgina, delle problematiche di gender, abbattendo i confini dell'eterosessualità e del comune senso del pudore. Le nuove autrici avrebbero tracciato donne autentiche, non più oggetti ma soggetti di racconti che esplorano la loro individualità con parole ed evocazioni poetiche. Non si ha la pretesa di considerare il genere, nel suo insieme, madre di capolavori assoluti, tuttavia rimane innegabile la sua grandezza poiché, anche quando un’opera non è artisticamente elevata, la sua importanza si sposta sul piano socioculturale. 2.1 L’INNOVAZIONE STILISTICA COME ROTTURA DI SCHEMI SOCIALI I manga adolescenziali si caratterizzano per soluzioni grafiche estreme e lo shôjo manga, in particolare, è portatore di uno stile ancora più ‘anomalo’, che deforma la geometria delle vignette ed elimina le divisioni tra i disegni, tanto che la tavola assume un aspetto unitario. La sensibilità femminile destituisce l’uomo dal genere e ne rivoluziona la forma, ripudiando la rigidità dei quadri che costringono i disegni l’uno accanto all’altro: svanisce la linearità del maschio razionale, non conforme all’introspezione che una ragazza in crescita ricerca nelle sue letture. Le nuove autrici ammorbidiscono elegantemente i margini - tanto amati dagli uomini -, al punto di dissolverli quando necessario; le immagini si giustappongono senza linee divisorie, il tempo si libera e lo spazio diviene fluido. Le tavole di uno shôjo sono punteggiate di icone simboliche, vitali in un genere, a basso contenuto d’azione, che erge l’animo umano a vero protagonista del testo drammaturgico. Non è il gesto vincente di un giovane a dover risaltare, bensì la rappresentazione dei sentimenti, da sempre considerato il tallone d’Achille del disegno grafico: il fumetto per ragazze accetta sfacciatamente la sfida e intenta accurate descrizioni della misteriosa intimità femminile, tramite cornici naturali che circondano figure fluttuanti l’una verso l’altra. Lo stile grafico ricorre a fiori, cuori, foglie al vento, raggi di luce per poter esprimere, in un certo qual modo,sensazioni di gioia, di tristezza o anche di terrore con sfondi sanguinolenti e vento gelido. Infatti, il ricordo comune compendia il fumetto Candy Candy di Igarashi nel volto di lei incorniciato da rose delicate. Un’icona simbolica rappresentativa sono i petali di ciliegio che cadono malinconicamente: accompagnano la fioritura di nuovi amori - il primo incontro tra Benio e Shinobu in Haikarasan ga tōruè - oppure possono fare da sfondo a situazioni drammatiche in cui aleggia la morte. 51 Colpisce la freschezza del linguaggio, che si piega alla necessità di essere coincisi, lasciando che siano gli oggetti ed il paesaggio a comunicare. Il segno si carica di valore semantico contraddicendo quella che, per Roland Barthes, è la quintessenza della cultura giapponese: una riduzione del segno, che s’abolisce prima ancora di accogliere un significato. A supporto di tale dichiarazione, Bouissou analizza una tavola di Versaille no bara, precisamente il momento in cui Rosalie scopre dalla madre morente di non essere la sua figlia naturale: gli occhi della ragazza, che si staglia tra le vignette, racchiudono il senso della scena e l’autore ne scompone gli elementi segnici che comunicano lo sconvolgimento il cerchio bianco intorno all’iride -, il dolore - le lacrime -, il turbamento - la sfumatura nella parte inferiore dell’iride - e la determinazione - il riflesso a croce - della ragazza.53Sempre di Riyoko Ikeda, si ricordano i volti in primissimo piano che costellano la sua produzione, alla stregua di una firma artistica: numerosi sono gli stilemi che identificano le diverse autrici. Ciò evidenzia che, certamente, gli shôjo non presentano tutti le medesime caratteristiche, in un riproporsi sempre uguale; il genere si è rinnovato continuamente,sotto la spinta dei cambiamenti ‘ambientali’ e delle nuove sensibilità artistiche: il panorama contemporaneo abbandona, in maggior parte, la tavola sovraccarica preferendo stili sintetici e chiarezza del tratto calligrafico. Lo shôjo si allontana da una saturazione del cartaceo, minimizzando la rappresentazione ai soli personaggi e lasciando al bianco e nero la prerogativa di colmare l’immagine: il buio profondo diventa significante esso stesso e blocca l’azione nel momento in cui lo stravolgimento emotivo raggiunge il proprio climax. Tale sospensione contemplativa s’inchina di fronte ad un passato nipponico fatto di forme ‘non verbali’, quali l’armonia dei giardini Zen, l’arte di piegare la carta come fascino di magia e di serenità interiore - Origàmi -, i misteri universali della pittura naturale - Sumi-e -, la cerimonia del tè come filosofia di vita - Chanoyu.54 Tutte queste arti fanno tesoro degli ‘spazi vuoti’, così come nei drammi Kabuki e nelle rappresentazioni del teatro Nō è il silenzio tra le battute che genera tensione. Questa inclinazione si deve ad una tradizione magica, fantastica ed invisibile che attraversa la cultura giapponese: il ma, parola di difficile traduzione che, coerentemente al proprio essere, non viene mai pronunciata ed esprime simbolicamente una pausa nel rapporto spazio-tempo. Lo spazio significante, il vuoto espressivo, il leggere tra le righe rappresenta una gioia profonda per un popolo che comunica tramite l’haragei: lo haiku - poesia con uno schema di 5-7-5 sillabe - deve essere composto di pochissime parole ed è nei ma tra di esse che va cercato il significato più profondo. Il ma sarebbe indissolubilmente spazio e tempo - impensabile nella cultura occidentale - e quale locazione migliore se non una pagina shôjo, la cui poesia ha dissolto qualsiasi confine. Tutto questo fa dello shôjo 53 J.M. Bouissou, Il Manga...,cit., pag. 130 Non a caso sono state elencate arti tradizionali praticate in prevalenza da donne: riscopriamo un mondo femmineo tutto nipponico che attraversa il tempo e lo spazio. 54 52 manga il genere forse più spiazzante per il lettore occidentale. Spesso le figure vengono raffigurate di 3\4 in piano americano, lungo tutta la metà estrema della tavola e, fermando l’azione, si ammicca ai dettagli sulle vesti dell’eroine. Le mangaka rivestono queste silhouette con abiti dal design molto accurato, seguendo puntigliosamente la moda e, viceversa, la società spesso si adegua ai nuovi canoni estetici proposti dalle autrici. Il manga è diventato un guru della moda, sostituendo quello che, in epoca Edo, era prerogativa degli attori Kabuki e delle geishe, innovatori e sempre all’avanguardia nella moda, nelle arti e nelle convenzioni sociali.55 Bastava che una geisha venisse vista indossare una trama particolare sul suo kimono da spingere le altre donne del villaggio a comprarne uno uguale. Tuttavia, la nuova cultura edonista e consumistica, che come si è visto interessa maggiorante la gioventù femminile, spinge il manga ad inserire prodotti di consumo al suo interno: le pubblicazioni shôjo sfruttano lo sponsor per mantenere il proprio pubblico, ma lo specchio per le allodole suscita l’effetto contrario: le ragazze non si interessano più alla narrazione e preferiscono investire le proprie economie per prodotti alla moda piuttosto che in riviste. Nel 1980, il manga Nantonaku Crystal, Qualcosa come il cristallo, di Yasuo Tanada sancisce la nascita della cultura shinjinrui, ‘nuovi esseri umani’: quest’opera, la cui storia d’amore non contiene alcuna particolare innovazione drammaturgia, contiene circa quattrocento note a piè pagina che forniscono il nome di prodotti di marca glamour del momento. Le lettici finiscono per parlare del prossimo acquisto e non della trama. Anche l’autrice Oni Ozaki Minamile sfiora il parossismo ideando un look corrispondente a ogni tipologia precisa - dal bad boy, allo studente ingenuo - con tanto di etichette con il nome dello stilista. Al di là di esempi così estremo, la moda entra in punta di piedi nel mondo shôjo: la protagonista del manga scolastico Gokinjo Monogatari sogna di diventare una stilista famosa e l’emblematico vestito rosso di Nana, nell’omonimo ladies comics, è firmato Vivienne Westwood. T. Groensteen descrive le protagoniste dello shôjo come delle fanciulle kawaii "dai capelli biondi, immensi occhi stellati, nasini affilati addirittura senza narici, corpicini paffuti: tutte incarnano il modello standard della leggiadria nipponica".56 Tale fisionomia non rispecchia l’ideale femminino che si fruisce nell’Ukiyoe ed è questo, a suo avviso, che allontanerebbe l’ipotesi di un’origine manga da quest’arte nobile. In realtà, i primi mangaka modellarono i canoni tradizionali sotto l’influenza della caricatura occidentale, nonché quella dei cartoni animati su Osama Tezuka, il cui stile sarà copiato da generazioni di disegnatori. Si ravvisa la mescolanza di un’estetica europea con un’impostazione tutta giapponese del segno che, nel ripetitivo accumularsi delle tavole, richiama le pitture a rotolo illustrate. Tra le 55 Si pensi al titolo del libro Electric geisha: una provocazione per la contemporaneità che ha investito il karaoke - una geisha elettronica - della funzione d’intrattenimento propria delle maiko, solite cantare. 56 T. Groensteen, Il mondo dei Manga..., cit., pag. 36 53 altre innovazioni, l’estetica nuova promuove enormi occhi sul volto dei personaggi, considerati da sempre il tratto manga per antonomasia. Elemento ancora più distintivo in un genere le cui eroine hanno occhi di poco più grandi di quelli degli eroi maschili, da disegnare con una linea leggera e sottile,come finestre sulla loro anima. Esattamente come avviene con i fiori, o altri motivi, che si frappongono tra la scena ritratta e la protagonista che la vive, lo sguardo cerca di comunicare un intero universo di passione e femminilità: stigmatizzato come un ampio buco nero, al suo centro le disegnatrici vi inseriscono una pupilla a forma di stella, circondata da luccichii o sbarrata da una croce luminosa per esprimere rispettivamente il sogno, la gioia e la paura. Pertanto, sono eletti a nucleo estetico dello shôjo manga. Erroneamente, una linea di pensiero adduce la forma arrotondata degli occhi ad una strategia del mercato giapponese per poter facilmente vendere all’estero: teoria poco fondata dato che il commercio interno si autoalimenta benissimo e non pone necessità all’esportazione. Inoltre, le ambientazioni europee di numerosi testi giustificano il ricorso ai capelli biondi e agli occhi azzurri. Si è parlato anche di un complesso d’inferiorità nei confronti degli occidentali, che avrebbe portato a scegliere la suddetta forma degli occhi: questa teoria sarebbe sostanziata dai numerosi interventi di chirurgica plastica agli occhi registrati ogni anno in Giappone, nonché l’uso di lenti a contatto colorate. A smentire l’ipotesi c’è il pensiero di Groensteen, che ci parla di individui in apparenza senza caratteristiche etniche: se da un lato,gli occhi a sottotazza ed i capelli chiari potrebbero farli passare per occidentali, dall’altro, i volti piatti e i nasi minuscoli testimoniano che gli autori hanno in mente i lineamenti giapponesi e si preoccupano soltanto di dar vita a individui medi, per estendere al massimo il processo di identificazione.57 Infine, l'idea aprioristica di unicità del popolo nipponico boicotterebbe l’ipotesi di un complesso tout court: durante i suoi esordi, il manga assiste ad un confinamento dei canoni estetici giapponesi nelle arti tradizionali e lui, in qualità di nuova forma d’intrattenimento, ne ha cercati di nuovi. Certamente l’influenza disneyana, nella persona di Tezuka, ha avuto un ruolo fondamentale nel processo, grazie alla secolare abilità giapponese di assimilare forme culturali altre per rimodellarle secondo il proprio spirito e creare qualcosa di nuovo che apparta loro. Le grandi dimensioni degli occhi sono richieste dalla loro funzione drammaturgica - in qualità di tramite con una dimensione più intima -, che cela profonde ragioni psicologiche: in una società che incoraggia un approccio schivo ai rapporti interpersonali, i disegnatori giapponesi vogliono comunicare il loro desiderio di guardarsi dentro, di scoprire le proprie segrete verità, visto anche il livello di introspezione delle opere femminili.58 Dunque, non complesso tout court, ma influenza estetica somatizzata che ha 57 Ibidem. Luca Raffaelli Le Anime Disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre, Minimum Fax, 2005, pag. 44. 58 54 portato allo sviluppo di nuovi linguaggi figurativi, in grado di rendere istantaneamente distinguibile un tipo di opera proiettata verso il futuro. Tuttavia, la contemporaneità si è disamorata di questi limpidi sguardi, preferendo una fisionomia più umana, che non ripudia una dimensione comunque spaziosa, necessaria alla loro invariata funzione-specchio delle intime pulsioni: gli occhi velati di malinconia e mistero in Mars di Fuyumi Soryo o scuri e affusolati come quelli di Ai Yazawa in Nana appartengono a ragazzine che si lasciano alle spalle gli stereotipi melò di Georgie di Mann Izawa, la cui eroina è completamente presa dalla ricerca del suo principe azzurro. Un percorso incidentato da numerose traversie accomuna tutte le eroine shôjo, ma quelle odierne faticano a rinunciare al romanticismo, tantomeno alla proposta di emancipazione. Una simile esaltazione dell'individualità emotiva reclama splendidi corpi, in un contesto che traduce la bellezza autentica nell'esaltazione della bellezza fisica. Il genere si combina con filoni di diverso tipo - sportivo, magico, storico, scolastico -, ma il fulcro rimane sempre l’amore in tutte le sue forme. 2.2 SFUMATURE CULTURALI DEL CONCETTO DI ‘AMORE’ IN GIAPPONE Per quanto poco poetico, bisogna considerare l’amore - certamente le modalità di relazione con il sentimento - come un fattore culturale o, almeno, culturalmente condizionato. Il discreto Giappone si sofferma ad osservare malinconicamente l’ultimo volo di un sakura, ma non si scompone all’idea che due anime gemelle non si incontrino mai, per accondiscendere la famiglia con matrimoni combinati. Il paese che ha dato i natali al tema del doppio suicidio, quando Romeo e Giulietta doveva ancora aspettare la costituzione della propria Inghilterra, prevede nel suo vocabolario parole diverse per ogni tipo di pioggia, ma non per dire ‘Ti amo’ - o per dire le parolacce: insomma, un popolo che non prevede gli eccessi di alcuna passione.59 Certamente, sono previste formule che esprimono l’amore e, in un linguaggio che prevede più livelli di formalità, si distinguono in base all’importanza del sentimento: da un semplice daisuki, ‘mi piaci’, si passa al passionale aishiteru, ‘Ti amo!’ che, dopo il matrimonio, viene sostituito dal termine koishiteru, riservato solo alla persona con cui si desidera trascorrere il resto della vita insieme.60 Eppure, la parola usata per l’amore-eros, aishiteru, "è un'espressione non presente originariamente in giapponese, ma creata nel momento in cui è emersa la necessità di tradurre il 'ti amo' presente nelle opere 59 "In Giappone non si dicono parolacce perché non esistono [...] Il guaio è che la lingua giapponese non conosce nemmeno le parole dolci, le parole d’amore" "In nessun altra lingua al mondo ogni tipo di pioggia, il cui rumore ci si diletta ad ascoltare, ha un proprio preciso inequivocabile nome". Renata Pisu, Alle radici del Sole. I mille volti del Giappone: incontri, luoghi, riti e follie, Sperling & Kupfer ,2000, pag IX. Daisuki raccoglie un'amplissima gamma di significati: da‘mi piace il gelato’ a ‘ti voglio tanto bene’: dunque, assume la forma di un amore-agape. 60 55 letterarie occidentali".61 Tale espressione la si sente soprattutto nei melodrammi o nei film occidentali, nella vita quotidiana praticamente non esiste: "La sostituisce lo sguardo. Forse, siamo troppo timidi per pronunciarla. Infatti nella frase 'ti amo' io sento certa passione occidentale".62 Ciò non vuol dire che non si ama nel Sol Levante, che professa amore e rispetto per ogni forma di vita grazie al buddismo, tuttavia è diverso il modo di viverlo: caratteristica nipponica è omettere tutto ciò che si può sottintendere, non esprimere in modo diretto i propri sentimenti e intenzioni è considerato una virtù e, per questo, non si mostrano in pubblico gli affetti privati, tanto meno negli ambienti che si frequentano per studio o lavoro. Tanto più appassionate sono le relazioni, meno vengono esibite ed il massimo dell’intimità davanti a terzi è tenersi per mano. Per un casto bacio tra innamorati si aspetta di essere soli, perché il tocco delle labbra ‘palmo a palmo’ sarebbe visto alla stregua di atti osceni in luogo pubblico - certamente, negli ultimi dieci anni le cose stanno cambiando e resta solo lo zoccolo duro delle persone più anziane. Il silenzio ricorre anche nel privato, in particolar modo nelle relazioni coniugali: nonostante ci sia amore, i giapponesi sono imbarazzati dall’esprimere i propri sentimenti a parole, così i giovani sposi mostrano raramente il reciproco affetto né parlano spesso del coniuge in pubblico e tentano di comprendersi attraverso una comunicazione non verbale. Mentre gli occidentali ostentano i sentimenti reciproci in modo da rendere evidente che non si danno l’un l’altro per scontato, la coppia giapponese non se ne preoccupa, poiché l’unione non ne verrebbe messa in crisi. Non c’è la spasmodica ricerca del Vero Amore, come in Occidente: è auspicabile che moglie e marito siano attratti reciprocamente, ma l’amore non è necessariamente il pilastro principale del matrimonio, come lo sono invece il rispetto e l’obbedienza - certamente i cambiamenti che hanno riguardato la figura della donna in società stanno modificando alcune tematiche. L’occhio estraneo vede tutto ciò come ossimorico e paradossale e, per i più romantici di noi, addirittura inaccettabile; eppure è così lineare se inserito nel loro contesto culturale. Non si è vittime infelici del sistema poiché la serenità deriva dal compimento del proprio dovere e perché il vero rapporto familiare non è quello tra coniugi, bensì quello con i figli. Al matrimonio si guarda, in primis, come ad un dovere sociale attraverso il quale guadagnarsi la fiducia degli altri, assumersi delle responsabilità sociali ed esaudire le aspettative dei propri genitori: una remissività che per noi occidentali individualisti può essere sconcertante ma, a loro volta, sconcertante è il concetto egoista di rivolta ed il sacrificio di sé, il gaman, viene portato avanti nel bene del gruppo. Come visto nel primo capitolo, il sistema dell’ie considerava lo sposalizio come mero strumento di perpetrazione e pretesto per stringere legami politici; dunque, non sorprende se ancora oggi i matrimoni combinati costituiscono il 61 62 Queste sono le parole della doppiatrice Laura Latini; www.antoniogenna.net/doppiaggio/voci/vocillat.htm. È stato riportato l' interventi della giapponese Mima, postati sul forum del sito www.larosadiversailles.it. 56 cinquanta per cento del totale e se il matrimonio ‘per amore’ si sia diffuso solo recentemente: tale espressione è necessaria, in Giappone, perché è una pratica che si distacca dalla norma; mentre per noi risulta ridondante in quanto consideriamo il matrimonio un’unione basata sull’amore, per definizione. Secondo le statistiche stipulate dalle agenzie per cuori solitari, le donne tendono ad enfatizzare negli uomini la qualità di ‘buon compagno’; mentre gli uomini, che mantengono prevalentemente una visione tradizionale della donna, ricercano un sostituto delle proprie madri. Tale discorso tenta di mettere in luce la diversa scala di valori riguardante il matrimonio, senza intendere che le coppie nipponiche mancano di amore reciproco, anzi, numerosi sono gli episodi romantici trovati nelle mie letture: al termine di un matrimonio, una giovane coppia aspetta furtivamente che si svuoti la sala da ballo per immortalarsi con una fotografia felicemente abbracciati, trasgredendo così il rigore imposto dal buon senso; oppure, all’aeroporto uno studente aspetta con ansia mal celata la sua compagna e, al momento dell’incontro, i due innamorati si salutano a debita distanza - la porzione di spazio occupata dall’ombra dell’altro - fremendo con dignitoso contegno, per abbracciarsi in privato, dopo il lungo periodo di lontananza.63 Nonostante abbia vissuto con la libertà di un uomo, perfino la guerriera di Versaille no bara, si rivolge all’amato André con tali parole, prima della fine: "Ascolta Andrè, io vorrei…Vorrei diventare tua moglie, vorrei che mi portassi in un piccolo villaggio, in una piccola chiesa dove ci sarà una semplice cerimonia…Ecco Andrè, vorrei solo che mi dicessi che io diventerò tua moglie". Una problematica golosa per qualsiasi terapista di coppia è la mancata collaborazione tra i coniugi, che non lavorano come una squadra: se da un lato la donna è relegata all’interno delle mura domestiche alla stregua di un elettrodomestico multifunzione, dall’altro il suo potere in casa risulta incontrastato e topica è l’immagine del marito tiranneggiato dalla moglie, che lo considera un sodai gommi,‘rifiuto ingombrante’. Non ci si confida in famiglia ma nei mizu shobai, letteralmente ‘commercio dell’acqua’, in tutti quei locali aperti dal tramonto all’alba dove vengono consumati fiumi di alcool: è qui che vengono sfogate frustrazioni, desideri, apprensioni e speranze. La padrona di un bar - di solito non più giovanissima, proprio come la padrona delle sale da tè nei quartieri di piacere viene detta Mama san, perché viene affiancata alla figura materna dagli avventori, ai quali dispensa consigli e conforto. Anche alle cameriere si chiede un orecchio paziente pronto ad ascoltarli, niente di più che gentilezza e comprensione. Questo introduce il tasto dolente della prostituzione - proibita dal 1956 che oggi interessa soprattutto le giovani del sud est asiatico: l’uomo trova rifugio non solo nei semplici bar, ma anche nei numerosi night club, dove le ragazze elargiscono più che innocui sorrisi. Eppure, le giapponesi fanno finta di non vedere: hostess e prostitute sono un male necessario, sopportato ed accettato perché il rapporto 63 Tali episodi sono ripresi da A. Pastore Il Giappone delle... 57 occasionale non costituisce un tradimento né tantomeno una minaccia per l’unione coniugale. È sempre fondamentale ricercare le cause storiche: la morale confuciana ammetteva ad un uomo spostato di avere delle amanti per procreare,sostentando il sistema dell’ie e, fino al XX sec, accadeva ancora che concubine e mogli vivessero sotto lo stesso tetto. Su questo argomento come su altri, quali omosessualità e minoranze, c’è tabù e tacito consenso, mentre il manga fa esplodere come lava bollente tutti i temi più caldi. Più romanzesco è il rapporto tra il sentimento e la geisha. Rassegnata al fatto che il ruolo di moglie è relegato in casa con i figli, ha un’opinione scialba del matrimonio, non edulcorata e ammantata dall’alone di rispettabilità proiettato dai media sulle gioie della maternità: "Si vive una volta sola e se non c’è almeno un po' di vivacità, allora è davvero un grande spreco. Preferisco stare qui, piuttosto che essere una vecchia signora con i figli sposati relegata in una casa con un vecchio marito decrepito".64 D’altro canto, dietro al cerone bianco si cela una donna e quasi tutte le geishe affermano che il loro maggior rischio professionale è quello di ritrovarsi con il cuore spezzato: il problema psicologico quotidiano è vivere come la seconda donna nella vita di un uomo e, se si innamora davvero, il fatto che lui sia sposato con un’altra la consuma. Inoltre,ha il dovere assoluto di esaudire i desideri della proprietaria nella scelta del protettore, anche se non nutre un grande affetto per lui: nella vita di una geisha sono perenni i conflitti tra giri e ninjō, tra i doveri ed i sentimenti. La geisha rende omaggio alla moglie e la moglie ha il dovere di rispondere con cortesia, come farebbe qualsiasi altro professionista che contribuisce agli affari o al successo del marito. Nessuna delle due parti è gelosa poiché l’identitàà dell’una non si sovrappone a quella dell’altra: certamente, le calde lacrime che sgorgano dagli occhioni di carta e inchiostro ammiccano più alla figura pateticamente passionale della geisha.65 Nei manga è portato in luce ‘il fumo creato dai sospiri degli amanti’, il brivido del primo amore, di un sussurro, di una carezza, di un bacio rubato. Nelle pagine finali di Versaille no bara, dopo essere stata accusata di alto tradimento dal padre stesso, Oscar finalmente dice ad André un passionale e travolgente Aishite imasu - tradotto in Italia, con un fin troppo debole ‘Ti voglio bene’.66 Mentre la televisione non perde occasione di sottolineare l’importanza del matrimonio, letteratura e manga, più liberi da occulti condizionamenti politici conservatori, danno libero sfogo agli ideali di emancipazione e autoaffermazione femminile e sembrano, in qualche modo, perorare una nuova immagine della donna. E allora perché la maggior parte degli shôjo si conclude con il tanto atteso matrimonio? 64 L. C. Dalby Vita da geisha..., cit.,pag. 193. Esistono manga sulla figura della geisha, come Madame Butterfly di Ogura Akane: Butterfly è una giovane ragazza che lavora come geisha, continua ad esercitare la professione, quando un giorno incontra un giovane ragazzo bello, ricco e affascinante che offre molto denaro per riuscire a comprarla. 66 Oscar: "ah, André... Aishite imasu watashimo... Kokoro kara" - Ah, André... Ti amo anch'io... con tutto il mio cuore - . 65 58 2.3. I TOPOI DEL GENERE SHÔJO ED IL PRECARIO EQUILIBRIO TRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Tutte le donne sanno che il matrimonio è un passo fondamentale per il riconoscimento del proprio status sociale ed il manga non si esime dal seguire la scia, in quanto forma espressiva pedagogica volta a dare ai ragazzi i mezzi necessari per integrarsi nella società: questo è il messaggio profondamente conservatore. Secondo Bouissou, il mezzo sostiene che il destino delle ragazze, nonostante siano anch’esse individui dal carattere forte, è comunque sotto la protezione del giovane che il destino ha scelto per loro. Dunque, anche il fumetto giapponese rifulge dall’essere ‘un chiodo che sporge’ e la sua morale resta in linea con il quadro generale: la prassi vuole che il protagonista conquisti il partner di sesso opposto, donando agli adolescenti di ambo i generi come ultimo traguardo il nave, il focolare domestico. Lo studioso porta a sostegno della propria tesi l’esempio di Hanayori dango, Meglio i ragazzi che i fiori, tipico manga scolastico, che riflette lo statuto della donna giapponese negli anni Novanta: l’eroina Tsukushi fronteggia, a casa, una madre arrivista che cerca di elevarsi socialmente tramite la figlia, e, a scuola, una banda di quattro rampolli che l’ha scelta come bersaglio privilegiato del loro bullismo. Impugnando la spada della sincerità, del coraggio e dell’ottimismo riesce a conquistare l’amicizia delle sue rivali in amore, nonché il cuore di uno dei suoi aguzzini, che ravvedutosi sarà a capo dell’impero finanziario paterno: il ragazzo rientra nei ranghi, soddisfacendo quello che la società si aspetta da lui, e la ragazza convola a ricche nozze come ricompensa per aver rispettato lo status quo sociale. La figura della migliore amica di lei incarna il monito contro le pulsioni sessuali: la sua deflorazione diventa una punizione per aver scambiato l’attrazione fisica per il vero amore. L’atteso lieto fine mette in vetrina tutti i personaggi convenzionalmente sposati e pronti a figliare.67 Tale tendenza non è di recente costituzione, ma si trova alle origini dei manga adolescenziali e, dunque, degli shôjo: seppur datato, un grande esempio è Haikarasan ga Tōru, Madmoiselle Anne di Waki Yamato, stimato per la qualità della trama e dei disegni, per l'ambientazione storica e per la quantità di informazioni che le tavole contengono riguardo le tradizioni giapponesi.68 L’eroina, Benio, porta avanti una rivoluzione tutta al femminile: fatto straordinario per l'epoca in cui è ambientata la storia,decide di lavorare dimostrando di saper essere indipendente. Certamente, non si presenta come un carattere atto ad accettare di buon grado un matrimonio programmato, nonché l’impegno nel vestire i panni della docile e capace ‘regina della casa’. Eppure, accade l’imprevisto - di certo Per un maggior approfondimento su questo manga vedere 2.1.5 Le studentesse shôjo e l’infernale sistema scolastico. 68 In questo shôjo troviamo il personaggio diYushiju, una geisha. E' certamente questo uno dei tratti migliori dell’opera nel suo raccontare il periodo Taisho. 67 59 presunto: la nostra femminista ante litteram s'innamora del suo promesso sposo e conquista le simpatie della famiglia di lui. Non bisogna mai perdere le speranze nella famiglia, unità fondamentale della società: se una simile lezione fosse condotta in tono moralizzante non sortirebbe alcun effetto. L’assurdo, il romance, la suspance sono tutte strategie per far passare, sotto mentite spoglie, il messaggio tradizionale. Ciò non riduce il manga a propaganda mascherata da ribelle: sicuramente il principio della famiglia resta ben saldo, ma l’eroina vi giunge dopo essere stata protagonista dell’intrigo, senza le catene dell’obbedienza. Inoltre, sia la donna che l'uomo desidera un proprio nido accogliente; nascostamente, ciascuno agogna alla promessa platoniana dell’altra perfetta metà della mela: d’altronde, nessun uomo è un isola.69 Il manga diventa ambasciatore di un romanticismo traslucido e sognante che, nella vita reale, s’infrange contro un muro di doveri e rigide impostazioni socio-culturali. La struttura narrativa standard prevede un’iniziale rottura dell’equilibrio, a causa di eventi che cambiano l’ambiente circostante e comportano innumerevoli traversie, che la protagonista deve affrontare con tenacia fino all’arrivo dell’atteso lieto fine - che non sempre arriva -, ristabilendo un nuovo equilibrio. Nel mezzo, vengono sciorinati una schiera di topoi imprescindibili: una squadra di archetipi, la competizione più o meno brutale compresa quella con gli amici, la scoperta della terna gelosia- brutalità- perfidia e dell’antidoto amicizia-coraggio-sincerità, la conversione di tutti o parte dei cattivi e l’integrazione in una società che l’eroe salva nel corso dell’azione.70 Nella maggioranza dei casi, l’eroina - questo vale anche per i protagonisti dello shônen - presenta una situazione di rimozione genitoriale in senso negativo, che può andare dalla condizione di orfananza, reale o presunta, a quella di conflittualità con la figura adulta: che i genitori siano assenti o indegni, la rappresentazione del mondo adulto non è mai molto lusinghiera. Tale caricatura in negativo attiva un umorismo escatologico che risponde al principio pedagogico del molieriano Castigat ridendo mores. Ma affonda anche le radici nel contesto socio-culturale nipponico, in quanto specchio delle trasformazioni della mascolinità e della femminilità: la sconfitta del 1945 e l’olocausto nucleare hanno lasciato una ferita molto profonda nel Paese, che diviene miracolosamente la seconda potenza economica al mondo, grazie al sacrificio dell’esercito dei salaryman, incatenati sul posto di lavoro: inizia l’era delle ‘famiglie senza padre’ e delle donne, ryōsaikenbo, che conquistano il controllo assoluto della casa, delle finanze e dell’educazione dei bambini. Mentre i classici degli anni Sessanta e Settanta sublimano tale trauma nella figura dell’orfano, gli anni Ottanta rielaborano il tema aprendo le porte a padri incompetenti e madri tiranniche: un esempio tra tutti è il burbero e tradizionalista Shige-san, 69 Il titolo di una poesia di John Donne. Il tema della salvezza può assumere diverse forme, da quella letterale del mondo come in Bishōjo Senshi Sērā Mūn, Sailor Moon di Naoko Takeuchi a quella della libertà come in Versaille no bara o del proprio riscatto sociale come in CandyCandy. 70 60 padre della dolce ragazza della porta accanto Yaeko ‘Yakko’ Mitamura, protagonista di Ai shite knight.71 Usualmente, la solitudine di questi giovani si lega al tema della ricerca rientrando, così, nella tradizione della wandering story, storia di vagabondaggio: l’eroina affronta un viaggio iniziatico in cui il passaggio dialettico ad una situazione di status quo ante ne permette la crescita spirituale. Le insidie, funzionali ai compiti che ogni fabula è chiamata ad assolvere, rispondono al concetto di need for achievement, necessità del raggiungimento del successo: in Ace o nerae! di Sumika Yamamoto, non mancano episodi drammatici, sconfitte e umiliazioni in qualità di eventi altamente formativi ed il circolo del tennis si fa impegnativo salotto filosofico per la riflessione approfondita sul senso del proprio essere nel mondo.72 Ogni shôjo mostra una protagonista che mantiene salda la propria moralità, costituendo un modello comportamentale per il giovane spettatore: cliché ricorrenti del Bildunsroman occidentale al femminile, come Piccole donne: seppur prodotti emuli delle telenovelas sud americane per il loro lato struggente - che si affievolisce man mano con il passare degli decenni -, diventano riletture sincretiche del romanzo di formazione e Candy Candy può essere elevato ad esempio paradigmatico.73 Scenari più originali nascono dalla fortunata combinazione delle tematiche shojo con ambientazioni sportive o metropolitane o fantasy: i topoi del genere si mantengono anche nella produzione più recente come Gokinjo Monogatari, Curiosando fra i cortili del cuore di Ai Yazawa o nel fantascientifico Shin seiki Evangerion, Neon Genesis Evangelion, di Hideaki Anno trattati in modi rinnovati rispetto al gruppo di manga giapponesi classiche.74 Ad esempio, la commedia amorosa degli anni Ottanta, che deve il suo boom al disgelo delle relazioni tra i due sessi, è pronta a guidare i giovani nell’educazione sentimentale, assumendo comunque le forme di un percorso iniziatico: per gli studenti delle scuole medie è l’attrazione confusa ed irritante per il sesso opposto; per i ginnasiali il duro cammino verso la prima dichiarazione; per i liceali l’angoscia della prima volta - limitata al primo bacio. Ai shite knight è paradigmatico dell’innovazione di questi anni, scegliendo un’ambientazione giapponese - non nell’Europa ottocentesca come da prassi - e sviluppando le influenze occidentali in maniera più moderna e proiettata verso il realismo. Questa svolta tematica permette ai lettori dell’epoca una quasi totale identificazione, nonché la trattazione di 71 Kiss me Licia non è stato nominato tanto per la figura di Marrabbio, nome italiano, che tra i numerosissimi esempi di certo non è il padre più degenere; piuttosto per il ruolo di spartiacque che tale manga ricopre nel passaggio ad ambientazioni più realistiche. 72 Per un maggior approfondimento su questo manga vedere il paragrafo 2.15 Lo shôjo sportivo e l’odierna rielaborazione dell’etica del bushido. 73 Per un maggior approfondimento su questo manga vedere il nel paragrafo 2.14 Igarashi e Saito, maestre del sentimentalismo: lo shôjo caro al melò. 74 Per un maggior approfondimento sul primo esempio vedere nel paragrafo 2.1.5 Le studentesse shôjo e l’infernale sistema scolastico; per il secondo vedere il paragrafo 3.1 Il genere mecha ed il ritorno simbolico all’utero materno. 61 problematiche che li riguardano in prima persona. Come si evidenzia nei manga, in Giappone l’infanzia e la pubertà sono età di scioltezza creativa molto più che in altre civiltà e, seppur di breve durata, è un periodo in cui viene concessa la possibilità di esprimere se stessi. La protagonista è di solito uno spirito libero che non si piega ad imposizioni sociali ingiuste e che agisce fuori dagli schemi prestabiliti, pienamente consapevole del proprio spessore individuale: finalmente può diventare una campionessa della palla a volo, un aidoru, la paladina della Terra o l’amata del ragazzo della porta accanto.75 La già citata Benio, per nulla interessata ai suoi studi scolastici volti a rendere le alunne delle buone mogli, è un autentico otenba, ‘maschiaccio', che preferisce battersi con la canna di bambù e bere sakè: infatti, al centro dell’opera, spicca l'emancipazione femminile accanto a temi come l'amore, l'amicizia e l’invidia. Candy, Benio e Miky, pur insediate nel loro diritto e desiderio di liberà dal mondo adulto, restano ‘cani sciolti’ come i loro corrispettivi nipponici in carne ed ossa: Renata Pisu assiste alla scena di un bambino che mette a soqquadro il tavolo di un ristorante, accolto dalle risate benevole ed accondiscendenti della madre e della nonna. Tale atteggiamento, riprovevole per un occidentale, nel Sol levante è un costume diffuso: si preferisce far esplodere liberamente la spontaneità del bambino che, fin troppo presto, conoscerà le rigide regole del mondo adulto. L’eroiche donne dei manga sprigionano il loro essere figure nipponiche in ogni tratto ed in ogni gesto, con la loro esile fisicità - da contrapporre ai corpi grafici dalle forme sensualmente prorompenti delle ragazze degli shônen -, la loro naturale compostezza e pazienza, virtù femminea tra tutte: "la donna nipponica non accavalla le gambe e, se non legge, tiene le mani compostamente unite in grembo o sulle ginocchia", così Antonietta Pastore descrive la tipica figura femminile giapponese ed è così che la controparte fumettistica si presenta ai nostri occhi.76 Tra le sue pagine, lo shôjo vivifica un’essenza di donna che proviene da lontano, custodita da un sapere millenario: il Giappone è ricco di racconti popolari nei quali le eroine sono figure tragiche, che portano il peso di un grande dolore. Il folklore nipponico è affascinato da belle donne circondate da un’aurea di malinconia, elemento sostanziale del concetto estetico dell’aware. D’altra parte, l’idea giapponese dell’essere umano perfetto è quello di una persona che possiede una grande determinazione: nel racconto esemplificativo Sumiyaki chōja, la protagonista è una donna molto attiva, che ha l’audacia di sposare un uomo povero, mettendo in discussione le usanze feudali contrarie all’anione di classe perché nella società tradizionale la condizione sociale incideva fortemente sui matrimoni. Eppure, non c’è punizione per questa coppia ed il lieto 75 Rispettivamente, come esempi, Attack No.1, Mimì e la nazionale di pallavolo, di Chikako Urano; Mahō no tenshi Creamy Mami, L’incantevole Creamy dello Studio Pierrot; Bishōjo Senshi Sērā Mūn; Marmelade Boy di Wataru Yoshizumi. Ciascun'opera è approfondita nel paragrafo dedicato all'argomento centrale delle rispettive trame. 76 A. Pastore, Il Giappone..., cit., pag.16. 62 fine non viene minacciato: il panorama favolistico sembra molto meno convenzionale del manga.77 2.4 LA NATURA PSICOLOGICA DEL PIACERE DELLA LETTURA: IL MANGA COME FAVOLA MODERNA Bouissou teorizza un’equivalenza tra la fiaba ed il manga con denominatore comune l’espediente pedagogico. Lo psicanalista Bruno Bettelheim conferisce il successo delle fiabe, sempre le stesse da generazione in generazione, non tanto alle storie avvincenti, quanto alla capacità di riconoscere ‘la gravità della situazione del bambino’: la fiaba squarcia il velo di Maya che gli adulti interpongono tra il bambino e la realtà. A differenza di quanto si possa credere, l’infante non ricerca una visione idilliaca del mondo, ma risposte a desideri e paure dai contorni sfocati e la fiaba esaudisce questo bisogno: il bambino vi si riconosce con ombre comprese, affrontando tematiche forti quali l’abbandono o la morte. Infatti, nei racconti popolari giapponesi la Natura punisce l’essere umano che ne scopre, suo malgrado, i segreti più intimi, così come nelle storie dei fratelli Grimm, circolano liberamente matrigne senza scrupoli, regine omicide e streghe cannibali.78 I loro racconti sono stati depurati dagli elementi più cruenti della versione originale: Io non credo affatto che si debba creare qualcosa di specifico appositamente per i bambini. Ciò che fa parte delle cognizioni e dei precetti tradizionali da tutti condivisi viene accettato da grandi e piccoli, e quello che i bambini non afferrano, lo capiranno in seguito quando saranno pronti ad apprenderlo.79 Allo stesso modo, il mondo adulto non prende in considerazione la condizione liminale degli adolescenti, ritenuti ormai in grado di affrontare la vita in maniera razionale, perché giunti alla cosiddetta età della ragione. Lungi da quella che è la reale situazione, i giovani si trovano in una condizione altrettanto grave a quella del bambino, dovendosi confrontare con cambiamenti profondi che toccano la loro identità ed il loro futuro. Dunque, sono ancora sensibili alla pedagogia delle fiabe ed il manga risponde a tale necessità, riportando in auge il messaggio delle stesse con un linguaggio tutto nuovo. I fumetti adolescenziali traspongono in immagini insegnamenti importanti per un uomo ed una donna in erba, quali la difficoltà di affrontare un mondo duro, contando solo su se stessi o il territorio misterioso dell’attrazione fisica tra ragazze e ragazzi: in un paese che eleva la reticenza a virtù, tra genitori e figli si 77 R.J. Davies, O. Ikeno, La mente giapponese, Booklet Milano, 2007, pag. 161\167. 78 Il riferimento è rispettivamente alle fiabe di Cenerentola, Biancaneve ed Hänsel e Gretel. Lettera di Jacob Grimm nel volume La principessa Topo. 79 63 erge un muro di incomunicabilità intorno ad argomenti delicati, come la sessualità, mentre il manga riesce a prendere le redini del discorso, in quanto erede di quella cultura popolare che sfoggiava falli finti, senza tabù. Tuttavia, non si riconosce la natura pedagogica delle fiabe agli shônen ed agli shôjo. Sempre secondo l’analisi dello scrittore francese, il piacere di leggere manga deriva dalla soddisfazione di bisogni psicologici, derivanti dalle due componenti della psicanalisi freudiana: l’Es, la struttura più antica della psiche, comprendente stimoli ed affetti inconsci comuni a tutta la specie umana; l’Io, portatore del principio di realtà, è il "cavaliere che deve imbrigliare la forza traboccante del cavallo - l’Es -, anche se esso non possiede una forza propria, ma deve chiederla in prestito".80 L’Io mette in ordine le pulsioni dell’Es sotto forma di sei bisogni psicologici fondamentali, presenti in misure differenti in base alle proprie esperienze di vita e all’ambiente culturale del singolo. Gli stessi che il manga per ragazzi, secondo lo studio ripreso, riuscirebbe a soddisfare gratificando i propri lettori: 1. il bisogno di potenza: gli eroi vincono e conquistano l’amore; 2. il bisogno di sicurezza, che nasce da situazioni familiari e piacevoli della vita: i lettori si riconoscono all’interno di quel mondo che il manga dipinge per loro; 3. il bisogno di realizzazione, tramite il successo: e nel quale promette troveranno il proprio posto; 4. il bisogno di distinzione, per la propria unicità e superiorità: il protagonista, in virtù di ciò, è unico nel suo genere ed dall'identificazione nasce un senso di gratificazione; 5. il bisogno dell’eccitazione: attraverso suspense, azione, dramma, romanticismo e comicità; 6. il bisogno di evasione, dal quotidiano: quasi sempre dose di fantastico e carichi di fascino esotico. Durante il processo evolutivo, il bambino raggiunge una fase in cui ridimensiona il proprio Es, affidandone le redini all’istanza Io e, nel momento in cui si relaziona in modo consapevole alla realtà, l’apprendimento e l’esperienza modificano ed adattano i processi psichici: la libido non può più fluire liberamente da una rappresentazione all’altra, cercando di soddisfare ogni pretesa.81 Si passa dalla cure della madre all’obbedienza dovuta al maestro, dal confronto con la famiglia allo scontro con la società, da un contesto confortevole e comprensivo ad uno brutale e competitivo. Il cambiamento è maggiormente sentito in un paese come il Giappone, che prevede una netta distinzione tra dentro e fuori, informale e formale, uchi e soto, honne e tatemae.82 Di fronte a questo problema gli adolescenti si rifugiano nel manga e dispiegano tre diverse strategie di identificazione, in relazione alla propria personalità: il conflitto, la fuga ed il capovolgimento umoristico dell’ordine delle cose. Queste modalità riflettono il tipo di 80 Sigmund Freud Introduzione allo studio della psicanalisi, Newton Compton Editori, 2010, cit., pag. 98 Si fa un uso molto cauto dei sistemi psicologici occidentali, ricordando le parole di Renata Pisu della poca familiarità tra il Sol Levante e lo psicanalista austriaco. 82 Uchi: un gruppo in cui i rapporti sono molto stretti e possiede un carattere esclusivo; soto: coloro con che sono occasionali; honne: il proposito interiore;tatemae: intenti in sintonia con la società modellati da norme. 81 64 drammaturgia scelta dal mezzo narrativo, nel nostro caso il manga, per variegare l’offerta formativa del lettore e facilitarne l’identificazione, tornando così a monte del nostro discorso: il luogo comune di un bambino che ricerca solo letture basate su fantasie machistiche - la via del combattimento - esclude quella fetta di piccoli lettori introversi più vicini alla figura del perdente che evade dalla realtà per non affrontarla - la via della fuga. Il mio uso delle desinenze maschili non è un caso: se Elettra sostituisce Edipo, le strategie si modellano ed adattano alla figura femminile, fatta eccezione per il carnevale che trascende la barriera dei sessi.83 La via del combattimento si riduce a via della perseveranza, la guerra non si combatte in un corpo a corpo degno degli Spartani alle Termopili, ma si porta avanti una guerriglia, forma di conflitto tipica dell’avversario più debole, che evita di affrontare un combattimento diretto: sulle spalle della ‘buona moglie e madre saggia’ grava il peso di una famiglia allargata, che esige la sua forza silenziosa, e di una società, che la vuole fragile come un garofano e invisibile come l’aria. La via della fuga assume forme affascinanti, modellate ad hoc su un soggetto che, essendo l’ultimo nella scala sociale, deve scappare innanzitutto da se stesso: le modalità d’evasione sono ambigue e complesse, ma tutte - dal travestimento alla scelta di protagonisti efebi nelle storie d’amore più spinte - sono declinazioni del topico agnello che indossa la pelle del lupo. La struttura sociale ed il retaggio culturale fanno sì che l’offerta di identificazione a uso delle ragazze sia meno variegata di quella dei coetanei Y: il genere femminile intraprende la via quasi obbligata del gaman, dunque, non si arroga il diritto di una personale realizzazione poiché la massima aspirazione deve essere la creazione di un nucleo familiare e la sopravvivenza dello stesso. Ecco spiegato perché lo shôjo non invita le lettrici a scegliere tra ragazze propositive, bensì fra ragazzi desiderabili. Se la metà socialmente riconosciuta ad una donna è il matrimonio, ed il conseguente concepimento, la giovane deve solo decidere tra le braccia di quale archetipo maschile si vuole finire per la propria integrazione. Nel sempreverde Candy Candy, la dolce protagonista è attorniata da numerosi pretendenti che offrono una fornita galleria di prototipi maschili per tutti i gusti: in realtà, la scelta è unilateralmente stabilita, riducendo l’offerta dei vari personaggi a delle semplici esche. Alla base di tale strategia, vi è la convinzione che il fruitore non debba avere un’autonomia della lettura e dell’interpretazione dei fatti, poiché, se lasciato a se stesso, rischia di non riuscire a portare a compimento il percorso nel modo giusto. Allo stesso modo - ma per il cinema -, Schrader rifletteva sulla necessità del regista di chiudere tutte le vie di fuga interpretative, evitando 83 La regina è Rumiko Takahashi: Urusei Yatsura - Lamù -, Maison Ikkoku - Cara dolce Kyoko -, Ranma ½, Inuyasha. Per un maggiore approfondimento vedere il paragrafo 2.11 La confusione dei sessi ed il tema del travestitismo: da Versaille no bara a Ranma 1\2. 65 che il pubblico giunga ad errate conclusioni.84 In tal modo, l’ordine sociale delle idee tradizionali nipponiche è salvo. 2.5 EVOLUZIONE STORICA DEL GENERE: MAMA- SAN E PAPA-ZUKA L’albero genealogico dello shôjo eleva a madrina del genere l’artista Machiko Hasegawa, che Therry Groensteen inserisce nel suo personale elenco dei venticinque migliori mangaka, contenente solo un’altra figura femminile, l’autrice Ryoichi Ikegami- le donne sono poco rappresentate perché, a suo parere, realizzano prodotti che si somigliano nella loro estetica romantica poco differenziata.85 Con il suo Saeza san, è la prima a firmarsi come autrice negli anni della tenera età del fumetto e l’innovazione che la rende precorritrice dello shôjo sta nel personaggio da lei creato e non nel tipo di narrazione affrontata: infatti, Sazae san non è il primo shôjo della storia, bensì una striscia fumettistica. Tale genere, chiamato yonkoma manga, viene pubblicato sulla stampa quotidiana e si costituisce di quattro vignette, che racchiudono storie concluse in se stesse, dal registro umoristico. Concepito per un target di famiglie che la mattina legge il giornale, la striscia ha ancora oggi un grande seguito e, dopo il 1945, seppe interpretare l’umore di un Paese sconfitto, in modo lungimirante: gli eroi avevano fatto ormai il loro tempo tra morte e distruzione ed ora si sentiva il bisogno di confortarsi e confrontarsi con persone ordinarie che fanno del loro meglio con buon umore e buon senso. In questo clima, s’inserisce il messaggio ottimista e la satira lieve del manga Saeze san,nato su di un quotidiano locale, che passa alle pagine di Asahi, oggi il più autorevole quotidiano giapponese, restandovi per più di un quarto di secolo dal 1949. Sazae san è una giovane di appena ventitré anni, vivace e civettuola, che vive in casa con i genitori ed i suoi fratelli e sorelle; nel corso degli anni lei cresce, giungendo al matrimonio con il simpatico Masuo Fuguta e diventando una casalinga ottimista e volitiva, affiancata da un pargolo: i dialoghi spiritosi ed il grafismo piacevole conquistano il cuore dei lettori. Autentico monumento del patrimonio culturale nazionale, la serie sarà adattata per la radio e la televisione e conoscerà gli onori del tankôbon, fatto molto raro per una striscia. L’opera racconta azioni quotidiane che terminano con lo stupore e l’imbarazzo di un’eroina dal corpo grazioso ed il visino carino, dedicando ogni parte di sé alla conservazione del nucleo familiare classico, secondo i comandamenti richiesti ad una donna dell’epoca. Nella sua estroversa semplicità, c’è un tumultuoso impulso romantico e minimalista che si lascia appena sfiorare dal progresso e dalla ripresa economica, accogliendo malvolentieri la responsabilità di rappresentare un ideale femminile. 84 Paul Schrader, Il trascendentale nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer. Donzelli Editore, 2010. Ryoichi Ikegami è una celebre mangaka, premiata nel 2001 per il suo manga Heat con il Shigeru Manga Award. Le opere principali sono Mai, Crying Freeman, Lord, nessuna delle quali rientra nel genere shôjo. 85 66 Ad una lettura superficiale, tutto ciò potrebbe sembrare veicolo di un messaggio tradizionalista e conservatore, in realtà, la chiave del successo risiede in una visione ‘normale’ della vita: la forza, il coraggio e la magia volevano essere trovate in figure come la Penelope omerica, nella calma della sua dimora, e non in nuove Wonder Woman, impegnate da mille battaglie. Il Giappone, occupato dalle truppe americane, è stanco dei sogni di gloria che avevano animato numerosi giovani immortalatisi per il loro imperatore, alla stregua di bombe umane.86 La donna, figura marginale del panorama sociale nipponico, mai come nella seconda Guerra Mondiale, aveva sostenuto il peso di un paese in grave pericolo, sopperendo all’assenza dei propri compagni chiamati alle armi. Machiko racchiude nella sua esile e grottesca creazione la determinazione della moglie e madre del Sol Levante, sempre sorridente: se, finora, abbiamo affrontato il suo romanticismo negato, che colma le mura domestiche con le sue lacrime segrete, è il momento di fare i conti con la forza che anima e sorregge la famiglia, il primo gruppo fondamentale della società. Dalle marachelle del figlio che disobbedisce ingenuamente alla madre alla divertente incapacità maschile di stare in una cucina, l’opera ha finito per registrare eventi, mode e mutazioni generali dal dopoguerra in poi, come una sorta di istantanea sociale. Considerata la prima bad girl del fumetto giapponese, le eroine che seguiranno, sebbene più affascinanti esteticamente, ne emuleranno la tenacia. La serie animata è la più seguita in patria, costantemente al primo posto da oltre dieci anni battendo non solo i titoli mainstream come Doragon Bōru, Dragon Ball di Akira Toriyama o Wan Pīsu, One Piece di Eiichirō Oda, ma anche le serie più amate da sempre come Doraemon di Fujiko F.Fujio che può essere paragonata alla figura istituzionale di Mikey Mouse in America. Accanto a lei, Osama Tezuka assolve il ruolo della figura paterna: colui che viene definito manga no kamisama, il ‘dio dei manga’; che sceglie per il fumetto la struttura narrativa tipica del cinema - come afferma lui stesso; che, in tal modo, da vita al fumetto moderno sotto la definizione di story manga, nel 1947; che apre, così, la strada alla serializzazione del medium; pone la propria firma anche sul genere shôjo, con il suo Ribon no kishi, La principessa Zaffiro. Tuttavia, l’autore di Come bambole, Mario A. Rumor, definisce tale investitura ‘accidentale’: il genio dell’artista sembra far dimenticare che la rivista Shôjo Club esisteva già nel 1923, indice che un target di giovani lettrici era dignitosamente accontentato dall’editoria dell’epoca. Inoltre, da tempo aleggiava un senso di rivalsa per concorrere degnamente nel panorama del manga adolescenziale che, giorno dopo giorno,assumeva una veste formale e competitiva: i tempi erano maturi per una rivoluzione artistica del fumetto per ragazze. Certamente, la personalità sopra le righe di Tezuka, è in 86 "Cara madre, com’è dolce la primavera per me da quando so che cadrò puro come un fiore di ciliegio. So che piangerai, ma cerca di capire che la mia morte è per il bene. Ti ringrazio per avermi messo al mondo maschio. Se fossi nato ragazza non avrei mai potuto godere del privilegio di offrire la mia giovane vita all’Imperatore." lettera di un kamikaze alla madre, R. Pisu, Alle radici del Sole, cit., pag. 28. 67 grado di compiere la svolta decisiva di un percorso già avviato, istigando lo shôjo a stupirsi di se stesso. Rumor riconosce i meriti innegabili dell’artista, ma ne ridimensiona il mito riportando i fatti con visione oggettiva, per onestà intellettuale. Il traguardo ottenuto è il punto di arrivo di una strada intrapresa da opere precedenti, manchevoli della dimensione romantica schiacciata dal burlesco. Accanto all’esperienza nipponica, Tezuka apre le porte all’Occidente con la sua passione per la cinematografia animata e non - da Walt Disney a Tex Avary, passando per i fratelli Fleischer e Fritz Lang: il rimodernamento dello shôjo trae linfa vitale dall’atipico cosmopolitismo di cui è intriso l’autore. All’opera si riconosce il merito di aver dato vita a stilemi, divenuti marchi inconfondibili del genere: stelle che brillano intorno ai personaggi, sfondi floreali, attenzione per i dettagli delle vesti, occhi grandi ed espressioni basiche della futura estetica kawaii derivante dal tratto tipico della Disney. Forse la più disneyiana delle sue opere, Zaffiro non è lontana dalla controparte occidentale Biancaneve, circondata da animaletti e uccellini - che ricordano da vicino il classico Bambi -,osteggiata da una strega cattiva ed in attesa di un principe azzurro, che le faccia battere il cuore. Anche se l'azione, l'umorismo e la fantasia dominano il testo, il lato sentimentale è molto sviluppato: memorabile è la scena in cui Zaffiro, ospite del fascinoso pirata Blood - che si scoprirà essere un principe, secondo i canoni classici della fiaba -, immagina di danzare con il suo principe Franz ed, improvvisamente, il volto di quest’ultimo viene sostituito da quello del pirata stesso. Il triangolo amoroso è assicurato e rischia di aumentare il numero dei suoi lati, quando Hekate, la figlia buona del diavolo, soccorrendo Franz, sembra innamorarsi di lui. Dunque, si trovano in nuce tutti i motivi che rendono lo shôjo tale e sono queste ragioni a riconoscere Ribon no kishi come il capostipite del genere, estendendo la propria influenza anche al filone magico ed avventuroso: ad esempio, fautore della figura della maghetta evolutasi in guerriera magica. Facendo qualche esempio, Magic Knight Rayearth, Una porta socchiusa ai confini del sole, delle Clamp, molto più drammatico e diretto ad un target adolescenziale, viene influenzato nel character design, nell'ambientazione fiabesca e, in generale, nei toni; ne Kakumei Utena, La rivoluzione di Utena di Chiho Saito e Be-Papas,l’eroina è una ragazza che sogna di diventare un principe e, dunque, il richiamo tematico è lapalissiano.87 L’influenza dell’opera scavalca i confini del fumetto per ragazzi e, di seguito, si analizza in che modo. Tezuka ha grande simpatia per i nomi derivati dall’inglese ed inizia una tradizione di anglofilia che permea la tradizione giapponese del dopoguerra e si ritrova in innumerevoli manga: l’amato Franz Charming presenta un cognome che letteralmente si 87 Per un maggiore approfondimento sui manga citati vedere, rispettivamente, il paragrafo 2.16 Il Mahō shôjo e il misticismo del pensiero giapponese e 2.11 La confusione tra i sessi ed il tema del travestitismo: da Versaille no bara a Ranma 1\2. 68 traduce con ‘Principe Azzurro’ e l’eroina, nell’originale, è battezzata con il nome inglese Sapphire, pietra preziosa simbolo di purezza e forza d'animo. L'inglese viene associato dal popolo giapponese con la lingua della forza, del vincitore e del male: non è un caso che la figura più infernale della serie si chiami signora Hell e che per la figlia scelga Hekate, spelling inglese della divinità mitologica greca, Ecate, che conduce i vivi nel regno dei morti, nome certamente indovinato per la diretta discendente del diavolo; anche per il pirata viene usato un nome inglese dal significato cruento, Blood. I manga sui robbottoni - i manga provvisti di macchine da combattimento - si rifanno a tale uso dell’inglese per la declinazione dei nomi: a partire da Majingā Z, Mazinga Z, di Go Nagai - esplicita la citazione dell’omonimo malvagio, il Dottor Hell - in poi, viene adottata la lingua inglese per designare le armi.88 Ribon no kishi rielabora un galleria di motivi e stereotipi classici della fiaba e della narrativa avventurosa occidentale: travestimenti, equivoci, metamorfosi e riconoscimenti investono la madre malvagia, il cattivo spione e vigliacco, la regina buona, il principe coraggioso, lo zio avaro, la figlia ribelle ed una folta schiera di mostri. Il manga si apre con una scena del paradiso, disegnato in stile classicheggiante con tanto di colonne ioniche: molti famosi manga presentano rimandi all'antichità classica greco-romana, da quelli direttamente collegabili - come Seinto Seiya, Cavalieri dello Zodiaco di Masami Kurumada - a quelli che ne riprendono solo degli elementi - come i mostri meccanici Mikenes del Dottor Hell in Majingā Z. Tezuka spalanca le porte a tale tendenza, testimone il debito della sua opera con la mitologia greca, il cristianesimo, il teatro medievale, i romanzi di Alexandre Dumas père: seppure sotto falso nome, ritroviamo la figura della dea Venere, della maga Circe e del cavallo alato Pegaso, accanto ad angeli e demoni della credenza cristiana, secondo un sincretismo religioso che riduce la Bibbia ad una ricca fonte di elementi fantastici da cui attingere, alla stregua di una qualsiasi mitologia pagana - questo è stato spesso uno dei punti a favore dei detrattori dei manga, in Occidente.89 L’ambientazione medievale di una corte che sembra parodiare quella viennese rielabora le atmosfere del romanzo francese I tre moschettieri, le cui gesta rivivono nei combattimenti della principessa Zaffiro, abile spadaccina. Ribon no kishi non riflette solo le influenze culturali del disegnatore, bensì il mondo familiare e privato dello stesso: è la nostalgia per il Takarazuka Kageki, dove le donne interpretano ruoli maschili, ad ispirare il tema dell’ambiguità sessuale. L’ironico scombinamento del dna dell’eroina scatena eventi parabolici e rocamboleschi e sarà un tema ripreso nella produzione a venire. In conclusione, Ribon no kishi con la sua scrittura 88 Per un maggiore approfondimento sul manga citato vedere il paragrafo 3.1 Il genere mecha ed il ritorno simbolico all’utero materno. 89 Non c’è niente di sacrilego in tale meccanismo creativo, dal momento che il Cristianesimo non riveste il ruolo di religione di stato nel Sol Levante e, allo stesso modo, l’intrattenimento Occidentale riprende vicende e figure sacre dello shintō. 69 accattivante insegna che non è l’Amore l’elemento segreto della preistoria del genere o, almeno, non ‘scondito’, non servito senza musica: per ostracizzare la sindrome di clonazione, l’importante non è quello che succede, ma il ritmo con cui gli avvenimenti si susseguono. 2.6 RIBON NO KISHI COME SPECCHIO DELL’UMANO: STEREOTIPI FEMMINILI Ribon no kishi è un manga sorprendentemente femminista per gli anni, ancora lontani dalla rivoluzione sessantottina, e la società, una delle più maschiliste del mondo, in cui è stata scritta. Tezuka non si sottrae alla dicotomia classica maschio=forza e donna=dolcezza, eppure sembra affermare il contrario: Zaffiro possiede due cuori, uno maschile ed uno femminile, che,nel corso della storia, perde e riacquista più volte con relative conseguenze. In primis, privata del cuore maschile durante un combattimento con il barone Nylon, perde la propria forza e subisce una sonora sconfitta: si confermano, così, i pregiudizi dell’epoca. Tale pensiero viene smentito nel terzo volume, quando, pur avendo soltanto il cuore di donna, decide di partecipare ad un torneo e di continuare a combattere: si aggiudica la vittoria, nonché la rivincita su Nylon. L’autore sembra spronare la sua eroina a passare oltre i suoi stessi pregiudizi: la forza ed il coraggio non giacciono nel cuore maschile, è lei stessa a credere di essere diventata debole. Al contempo, perdendo il cuore femminile diventa aggressiva e, spronata da mero egoismo, giunge al castello pretendendo la corona con forza bruta non aperta al dialogo. Eppure, anche in questo caso, c’è il rovescio della medaglia: quando il cuore maschile finisce all’ingenuo Plastic, questi diventa maturo e responsabile, nonché giusto. Dunque, lo spirito maschile non è sede di arroganza, ma anche di virtù. Le storie di Tezuka sono semplici, ma mai semplicistiche: se da un lato, non mancano personaggi femminili forti e coraggiosi, pur avendo un cuore di donna; dall’altro, non è così ingenuo da considerare tutto il genere femminile buono e virtuoso. A riprova di ciò, i nemici peggiori di Zaffiro non sono uomini, ma donne quali l’inferica Hell e la vendicativa Venere. Quest’ultima è l’archetipo della donna innamorata, accecata dalla gelosia e disposta a tutto per dissetare il proprio narcisismo. La storia ad essa legata farebbe presupporre una conoscenza - fatto non improbabile - del mito latino di Amore e Psiche, contenuto in L’asino d’oro di Apuleio: così come Venere desidera punire Psiche per la sua oltraggiosa bellezza, nel manga Zaffiro, rivale in amore, fugge le ire della dea. La signora Hell è l'archetipo della madre oppressiva, una figura molto complessa che, nella realtà nipponica, assume numerose sfaccettature sociologiche: per soddisfare le proprie ambizioni di gloria, costringe la figlia Hekate ad ingerire il cuore di donna di Zaffiro, affinché diventi 70 una candidata sposa ideale per il principe Franz, del quale ambisce il regno.90 È forse l’esempio più crudele di maschilismo, poiché alimenta i pregiudizi sociali con l’educazione che impone: Hekate, lontana dal voler essere un angelo del focolare gentile ed obbediente, diventa succube - come forse generazioni intere di bambine giapponesi e non solo - di una madre infernale che vuole renderla femminile, ad ogni costo. Si inserisce, qui, il tema del conflitto generazionale, dovuto alla differenza tra le aspirazioni dei figli e quelli dei genitori. Sul versante opposto, si trova la madre dell’eroina che incarna il paradigma del genitore buono, schiacciato dal senso di colpa per aver costretto il proprio figlio a convenzioni sociali ritenute ingiuste e, dunque, aver cresciuto Zaffiro come un maschio pur essendo una femmina. La nostra eroina rifugge qualsiasi stereotipo e classificazione, per elevarsi al di sopra di qualsiasi divisione sociale, permettendo l'identificazione tanto alle bambine quanto ai bambini: le prime affascinate dalla sua mise da reginetta del ballo alla stregua di Cenerentola, i secondi emozionati dal coraggio e dalle abilità guerresche dimostrate nei duelli. L’eroina, costretta a combattere come un uomo di giorno, aspetta il manto scuro della notte per raccogliere fiori nel giardino del castello, diventando il simbolo di generazioni di ragazzini costretti a nascondere le proprie emozioni per non essere considerati deboli e effeminati;e di ragazzine desiderose di indipendenza, ma sottomesse ad una società militaresca ed oppressiva. Anche una personalità così fuori dagli schemi si concede un finale convenzionale che permette il fatidico ‘per sempre felici e contenti’: Zaffiro trova il proprio posto con un bel matrimonio regale. 2.7 L’ISTITUZIONE DELL’OMIAI TRA VOLONTÀ PERSONALE E SCADENZE SOCIALI I precedenti paragrafi hanno già svelato le motivazioni sociologiche celate dietro alla ricorrenza di questo finale tradizionale, tuttavia, il sopracitato manga presenta un elemento innovativo - da qui in avanti spesso presente nel genere shôjo - che porta ad analizzare un nuovo aspetto della mente giapponese: se da donna Zaffiro corona il suo sogno d’amore, da uomo viene promessa alla spadaccina Frisbee. Tale scelta drammaturgica è il riflesso di una società che, tutt’ora, preserva il sistema del omiai kekkon, matrimonio combinato, accanto al matrimonio ‘per amore’, il ren’ai kekkon. Le origini si perdono nel passato remoto della storia del paese: l’antropologo Minami osserva che, nei tempi antichi, la scelta del partner era centrata sul mura, comunità, mirando a garantire l’ordine ed agire a beneficio dell’intero 90 Il topos della madre-mostro, che da qui ha inizio, viene ripreso con diverse forme in vari generi: 2.15 Le studentesse shôjo e l’infernale sistema scolastico; 2.18 Il genere horror e la nevrosi femminile e III. L' altro volto dello shôjo manga: il corpo grafico della donna nei target maschili. 71 villaggio; con la diffusione del confucianesimo e l’instaurazione del sistema dell’ie, diviene principale il bene del nucleo familiare, dunque, i criteri di selezione diedero risalto alla posizione sociale della famiglia del candidato ed al capofamiglia che sceglieva per la propria prole. Anche nella cultura occidentale, dall’antichità romana al periodo feudale, il matrimonio combinato - specialmente per preservare lo status socio-economico delle famiglie gentilizie - fu una pratica diffusa, poiché, non solo nel Sol Levante, la donna è stata considerata il principale mezzo di scambio per rese dei conti tra uomini. È contro questo ordine di idee che sembra elevarsi il grido ribelle di Madmoiselle Anne, nell’omonimo manga: "Non è giusto che siano gli uomini a sceglierci…Dovremmo essere noi a scegliere loro". Ad oggi, in paesi come l’India o l’Arabia Saudita è ancora vigente ed i promessi sposi non si incontrano fino al giorno delle nozze, volute dai rispettivi genitori. In Giappone, seppure si è mantenuta, la formula non è certamente questa ed ha modificato motivazioni e modalità rispetto al passato: innanzitutto, raramente sono le famiglie a prendere l’iniziativa, magli stessi interessati decidono di rivolgersi ad un mediatore e l’obbiettivo è diventato l’individuo con i suoi desideri. Sono gli aspetti del contesto in cui si vive ad incoraggiare l’omiai - letteralmente il termine indica il primo incontro tra i diretti interessati: in primis, la completa dedizione alla comunità che si esige dal singolo prevarica il diritto ad avere propri spazi e, così, frequenti sono i casi di manager tanto impegnati nel lavoro da non avere il tempo di conoscere ragazze. In secundis, una struttura sociale basata sul gruppo ostacola le relazioni verso l’esterno ed i giovani incontrano grandi difficoltà nel conoscere persone al di fuori dal proprio contesto - scuola, università, lavoro: se da un lato, trovarsi in un gruppo estraneo può creare situazioni di disagio, dall’altro, gli elementi di novità sono ridotti al minimo. Infine, sebbene il libero arbitro sia un diritto ormai acquisito, il retroterra familiare costituisce ancora un fattore rilevante, in una società regolata dall’obbedienza quasi assoluta al padre e alla madre: non è il loro giudizio sulla scelta a pesare, quanto l’idea di scontentarli e di non corrispondere alle loro aspettative. È questa paura a fare da sfondo alla storia della giovane e promettente Atsuko che, per senso del dovere e di obbligo verso i genitori, si piega ad un matrimonio combinato con un uomo che "non le piace neanche un pò", condannandosi all’infelicità, salvo le gioie dell’essere madre.91 La procedura è condotta da un nakodo, un sensale, che cerca di relazionare individui simili per intelligenza, bellezza e patrimonio e divulga le informazioni tramite lo tsurisho, un documento con foto. Se entrambe le parti sono d’accordo, avviene il primo incontro, l’omiai, in presenza dei genitori e in modo molto formale: si esige l’abito elegante ed un ambientazione di lusso, come il ristorante di un grane albergo. Dopo un periodo di 91 La testimonianza è ripresa da A. Pastore, Il Giappone.., cit.pag. 52 . 72 frequentazione, la coppia decide o meno di sposarsi. Il vantaggio, che risolve la mancanza di tempo, è poter ricevere informazioni dettagliate su un vasto numero di eventuali partner e, al contempo, raggirare gli aspetti negativi della ricerca, come creare occasioni di incontro o affrontare un rifiuto diretto; a ciò si aggiungono i pro intorno agli aspetti pratici della vita, come evitare conflitti posteriori con i genitori, dal momento che vengono coinvolti, nonché scartare le opzioni più scomode come quella di un primogenito, costretto a prendersi cura della propria famiglia, il cui peso grava sulle spalle della nuora. Sorprendentemente, il numero di divorzi è statisticamente più basso nei matrimoni combinati sia perché i pretendenti, scelti della stessa classe sociale, presentano vissuti, abitudini ed idee molto simili sia perché, già in partenza, le aspettative non sono alte e minori diventano le probabilità di uscirne delusi dalla fine di un falso grande amore. Quindi, coppie affiatate non sono il frutto esclusivo dei matrimoni ‘per amore’: poiché non è molto il tempo passato insieme - a causa della vita frenetica giapponese -, ci si abitua alla reciproca presenza e, se non ci si innamora, almeno ci si affeziona l’uno all’altro. Oggi, un gran numero di donne è in grado di trovarsi un lavoro e farsi una vita per conto proprio e, per questo, quasi il 40% è ancora nubile all’età di ventinove anni - l’età media consigliata per sposarsi è di 26,7 per le donne e 28,5 per gli uomini -, mentre la percentuale di divorzi è quattro volte superiore a quello degli anni Cinquanta - per quanto bassa rispetto agli standard occidentali. Inoltre, numerosi sono gli shôjo in cui la crisi familiare della protagonista è data dalla separazione dei genitori.92 Le donne giapponesi sono diventate più esigenti e selettive nella scelta di un marito e, addirittura, un vasto numero di signore è deciso a non sposarsi affatto: la straordinarietà dell’evento lo porta ad essere un fenomeno sociologico, che gli studiosi Miura Shūmon e Sarada Tamako, nel 2001, hanno definito parasaito shinguru, single parassita, e che designa quella donna che, egoisticamente, rimanda troppo la scelta del matrimonio e continua a vivere con i suoi genitori.93 Grazie al sistema dell’omiai, è raro che un uomo o una donna non riesca a sposarsi, quindi, non si tratta di non potere ma di non volere e, per questo, si critica l’aspetto parassitario. Tuttavia, si è ben consapevoli che il matrimonio viene considerato fondamentale per giungere alla maturità sociale: se da un lato, la sposa è confinata nei limiti della vita domestica, dall’altro non si tiene conto che essere moglie e madre porta la donna nipponica al massimo grado possibile di approvazione sociale. Poiché la persona che non compie tale passo è considerata fuori dalla norma, per quei gruppi che non assolvono il compito la società trova rituali e cerimonie che ne replichino il senso sotto forme diverse: ad esempio, come già detto, le 92 Per un maggior approfondimento vedere il paragrafo 2.1.5 Le studentesse shôjo e l’infernale sistema scolastico. 93 La situazione dell’uomo è ben diversa e, in tal caso, fortemente discriminante: l’individuo di sesso maschile che non mette su famiglia o che subisce l’onta di un divorzio è considerato inaffidabile anche sul piano lavorativo e, dunque, non sarà investito da cariche di alta responsabilità. 73 geishe non convolano a nozze ed, anzi, l’idea di una geisha sposata sarebbe una contraddizione in termini; eppure, loro stesse utilizzano l’espressione ‘l’unione dei destini’, en musubi che indica il matrimonio, per riferirsi ai legami straordinari che si instaurano tra loro. Pur incarnando il simbolo della femminilità giapponese, non imboccano la strada giudicata imprescindibile per la figura del gentil sesso, ma trascorrono la vita in comunità con altre donne, chiamandosi madri o sorelle: il paragone con le monache non sarebbe così azzardato, considerando che entrambi i gruppi sono marginali e che riflettono un’immagine amplificata che risveglia la curiosità del resto della società; inoltre, sono molti i casi di geishe agê che si ritirano a vivere in monasteri buddisti. L’analogia tra geisha e sposa è quella più calzante, nonché filologicamente più esatta, esaminando gli espliciti riferimenti presenti nel rituale che sancisce il legame di sorellanza: la tradizionale cerimonia di nozze trova il suo culmine con lo scambio delle coppe nuziali, sansan-kudo ‘tre volte, nove volte’,quando gli sposi bevono tre sorsi di sakè da tre tazze laccate. Condividere il sakè crea un legame solenne tra due persone altrimenti estranee - concetto che, d’altronde, sta alla base del matrimonio - ed è lo stesso che unisce sorella maggiore e minore nel mondo delle geishe: esattamente come lo sposo che, in posizione dominante, beve da ogni tazza prima della sposa, qui la sorella maggiore, in qualità di superiore, beve per prima ed è seguita dalla minore che ne emula i gesti come una giovane promessa. Lasciatasi la vecchia famiglia alle spalle, ci si aspetta una totale devozione al nuovo gruppo, poiché, se i parenti di sangue capitano al di là del proprio volere, le geishe scelgono di essere sorelle e tra loro si crea un’indissolubile en, affinità: lo stesso varrebbe se si parlasse di due comuni coniugi. Tale divagazione sull’istituzione matrimoniale è fondamentale per comprendere appieno tematiche quali l’omosessualità e l’emancipazione della donna nipponica, rispettivamente trattate nei manga shonen ai\yuri e josey. Inoltre, i classici shôjo degli anni Settanta fanno del matrimonio combinato un topos del genere, ideale per aumentare il sentimentalismo dei loro melò: un esempio tra tanti è Garasu no kamen,Il grande sogno di Maya, di Suzue Miuchi che estende il dramma anche ai personaggi secondari. In realtà, sono numerosi ed eterogenei i manga che sfruttano l’omiai come spunto drammaturgico: la giovane promessa Kaoru Mori ambienta il suo seinen manga Otoyomegatari, I giorni della sposa -serie vincitrice del 2014 - nell’Asia Centrale del XIX e comincia la narrazione dal matrimonio combinato fra la ventenne Amira, abile cavallerizza ed esperta nel tiro con l’arco, e il giovanissimo Karluk, di soli 12 anni, già chiamato a diventare adulto per volere della sua tribù;94 così come il fronte shônen genera Tu love ru di Kentaro Yabuki e Saki Hasemi - ancora in corso su Jump Square -, le cui vicende prendono il via quando, al 94 Questo manga storico affronta diverse tematiche interessanti: dalla condizione femminile agli usi e costumi vigenti nelle varie tribù, dalla crescita personale e sociale all’integrazione e accettazione della diversità. 74 cospetto del giovane protagonista Rito Yuki, appare improvvisamente una bellissima aliena Lala, in fuga dal matrimonio combinato voluto dal padre, re del suo pianeta: l’effetto deja vú richiama la trama dell’originale e spumeggiante Uruseiyatsura, Lamù di Rumiko Takahashi.95 Anche quest’ultimo, sebbene non nella storia principale, inserisce l’elemento in uno dei suoi episodi, in riferimento ai personaggi minori di Shutaro e Asuka, promessi sposi per aumentare il prestigio delle rispettive famiglie ed ignori l’uno dell’altro fino al giorno delle nozze. L’autrice porta in primo piano l’omiai nel celebre Ranma 1\2: il fidanzamento tra Ranma ed Akane, voluto dai rispettivi padri, è l’evento scatenante delle avventure a seguire. Il motivo dell’omiai, nel suddetto manga, presenta la pratica dell’adozione analizzata storicamente nel primo capitolo: Soun Tendo, padre della promessa sposa ed altre due ragazze, vuole ottenere dall’omiai un un figlio maschio che possa ereditare la sua palestra di arti marziali. 2.8 LO SHÔJO MANGA DIVENTA APPANNAGGIO FEMMINILE A partire dal 1946, lo Shôjo Club è dominato dall’ego maschile che relega il fumetto per ragazze ad una condizione di stallo creativo: la brevità è eletta come la regola numero uno e costringe lo shôjo a poche pagine, farcite di direttive ideologiche vigenti dell’epoca, che enfatizzavano l’idea che una ragazza doveva aspirare alla raffinatezza, all’amore al matrimonio ed alla maternità. In altre parole, i contenuti girano intorno a ciò che i mangaka pensavano che le ragazze in età preadolescenziale volessero o, peggio ancora, dovessero leggere. Senza curarsi del cambiamento sociale in atto, gli uomini quarantenni ignoravano del tutto l’immaginario delle giovani nel pieno del loro sviluppo emotivo e intellettuale: in un Giappone prospero, in cui l’ideale di ‘buona moglie e madre saggia’ ha perso la sua aurea, alle ragazze adolescenti è permesso di godere di qualche anno di libertà prima dell’omiai, approfittandone per mettere da parte qualche risparmio grazie ai numerosi lavoretti, che un’economia in piena espansione offre loro. Il Sessantotto, prima ancora che politico e sociale, è uno scontro generazionale che fagocita anche il mondo dei manga come manifesto di libertà, per il suo statuto ai margini della cultura ufficiale. La contestazione giovanile non porta lo shôjo a traslocare dalle mani degli uomini alle quelle delle signore,eppure si viene a creare un’insolita situazione:le ragazze si sono evolute più in fretta delle serie a loro destinate e dedicate. Nel 1964, il nuovo settimanale per ragazze Ribon indìce un concorso per nuovi talenti, al quale vi partecipa la giovane Machiko Satonaka: divoratrice di shôjo, ritiene di poter apportare, in quanto donna, quello spessore che manca al tiepido sentimentalismo 95 Per un maggiore approfondimento sull’opera vedere il paragrafo 2.17 Il Mahō shôjo e il misticismo del pensiero giapponese. 75 dilagante nel genere. La vittoria ed il debutto, all’età di sedici anni, con il fumetto di vampiri Pia no shojyo, ‘Ritratto di Pia’, sono il segno di un’impaziente attesa di cambiamento: " Sapevo che avrei potuto fare qualcosa di meglio e che le donne erano in grado di capire cosa si agitasse nell’animo delle ragazze più degli uomini. Inoltre, disegnare fumetti era anche una strada per ottenere la libertà: era un lavoro che avrebbe potuto abbattere la barriera fra uomini e donne.96 Si aprono, così, le porte ad una generazione di donne che avrebbero rivendicato lo shôjo come proprio nei primi anni Settanta, quando il campo fiorisce di nuovi generi e gusti ricercati. Certamente, la predominanza maschile non scompare dall’oggi al domani: anche autori stimati hanno affrontato il genere shôjo, quali Leiji Matsumoto a più riprese, Shotarô prima di approdare al gekiga97 e Tetsuya Chiba come trampolino di lancio per Ashita no, Jō, Rocky Joe, oggi manga di culto. Dunque, la mediocrità artistica non è una questione di talento dei mangaka, quanto di reale attaccamento al genere, per anni appannaggio di uomini che lo consideravano solo come una ‘terra di mezzo’ per attraccare altrove: proliferano storie strappalacrime che rafforzano lo stereotipo del modesto e sensibile, pensando che fosse quello che le giovani donne ricercavano. Gli anni Settanta portano una boccata d’aria fresca, grazie alla creatività ed alla sensibilità di disegnatrici che hanno l’età delle loro lettrici molte debuttano prima dei ventuno anni -, che ne condividono i gusti per la musica pop, la moda ed i film d’importazione e che ne riflettono lo stato d’animo: trasformano delle normali ragazze giapponesi in eroine manga, creando personaggi femminili più convincenti e interessanti delle bambole di carta inventate dagli uomini, e un’educazione alle cose della vita in armonia con la loro sensibilità femminile, senza tabù. Machiko non è l’unica pioniera del genere, ma si affianca ad altre esordienti come Hideki Mizuno, Masako Watanabe, Maki Miyako e Satonaka. Si riprendono e trasformano i motivi presenti nello shôjo tezukiano, con conseguenze artistiche che l’autore originario non poteva neanche immaginare:Hideko Mizuno, formatasi al Tokiwasô presso il ‘dio dei manga’, trionfa con Fire!, saga rock imbevuta di controcultura americana, sesso, droga, morte, disillusioni e definito da Schodt uno dei primi shôjo manga a lanciare un messaggio specifico alle lettrici, attraverso la figura del giovane Fire Wolf, incarnazione realistica, e al tempo stesso poetica, delle disillusioni di una generazione. Poco meno di un anno prima, Machiko Satonaka aveva delegato alla vicenda interetnica del suo Watashi no jonî,Il mio Johnnydel 1968, un identico proposito raccontando la sfortunata storia d’amore tra una 96 M. A. Rumors, Come bambole..., cit., pag. 31. Coniato da Yoshihiro Tatsumi, il termine gekiga,‘immagini drammatiche’, indica un genere nato negli anni Sessanta che si distingue per l’incremento del fattore psicologico, il realismo delle descrizioni grafiche, la riduzione o abolizione dell'elemento umoristico ed un orientamento verso un pubblico adulto. 97 76 ragazza di nome Ann White e un uomo di origine africana Johnny Ray, che costringerà il padre della ragazza a commettere il peggiore dai crimini, spinto dal disprezzo per la scelta della figlia. Oltre all’anatema scagliato contro il razzismo - si è già detto che il tema delle minoranze resta tutt’oggi un tabù -, si violano in più punti i codici dello shôjo: l’autrice si arroga il diritto di cancellare dall’ultima pagina il sospirato happy ending, inaugurando una prospera tradizione. La tipologia di storie rappresentate fa intendere la ricerca di un pubblico più adulto del normale, un target che potrebbe investire lo shôjo di un nuovo senso: il primo è Attack, number 1, Mimì e la nazionale di pallavolo, di Chikako Urano, che inoltre parla di sport femminile - complice la vittoria olimpionica nel 1964 della squadra femminile giapponese di pallavolo.98 Tuttavia, riprendendo le parole della studiosa Maria Teresa Orsi, sia che si scelga un locus esterno - ambientazione scolastica dove inseguire amori e amicizie - sia che si preferisca uno interno - dramma familiare ad alta intensità emotiva - l’anelito di queste eroine consiste, comunque, nell’incontro con il principe azzurro che le conduca al matrimonio, simbolo di riscatto sociale: "un discorso, talvolta apertamente tendenzioso e irritante che, sia pure con varie sfumature, riduce tutta la dimensione femminile a un ruolo di dipendenza ben definito."99 La vera rivoluzione si compie con un gruppo di talentuose mangaka che la stampa soprannomina ‘i Fiori dell’anno 24’, Nijûyonen fumi, perché nate tutte nel 1947, vale a dire il ventiquattresimo anno dell’era Shôwa - in Giappone il calendario si basa sulla vita degli imperatori: Moto Hagio, Yumiko Ôshima, Keiko Takemiya, Ryôko Yamagishi, che all’epoca godevano di un incredibile spessore divistico. È al ‘Gruppo 24’ che si deve la rivoluzione estetica del manga per ragazze, grazie alle innovazioni stilistiche e tematiche analizzate nel precedente paragrafo sullo stile: le auree psichiche dei personaggi si materializzano in forme quasi espressionistiche - quasi fosse un fermo immagine, un vuoto semantico, si cancella ogni traccia di altro che non sia il personaggio in crisi e la testa si circonda di fulmini per la disperazione - ed affrontano i grandi interrogativi della vita, in particolare l’esplorazione dell’amore proibito e la mobilità dei confini dei generi. Tutto ciò consente alle mangaka di andare a fondo in questioni di profonda importanza per loro stesse e per le lettrici, quali l’identità. Non a caso, sta qui l’età adulta del fumetto per ragazze - e non unicamente per l’età del pubblico femminile chiamato in causa - ed è a partire da questi anni che il genere prende coscienza di sé. Lo spessore delle opere è testimoniato anche dal richiamo alla letteratura, più cha a Tezuka: uno dei principali lavori di Hagio omaggia il maestro dell’horror statunitense, Edgar Allan Poe, con la scelta del nome del protagonista e mantiene strette parentele con il romanzo Intervista col vampiro di Anne Rice; Yamigishi Per un maggiore approfondimento sul citato manga vedere il paragrafo 2.16 Lo shôjo sportivo e l’odierna rielaborazione dell’etica del bushido. 99 Maria Teresa Orsi, Storia del fumetto giapponese , Musa Edizioni, 1996 cit., pag 128. 98 77 sceglie come figura tragica del suo Hi Izuru tokoro no tenshi,Il principe della terra del Sol levante,l’eroe nazionale Shôtoku Taichi, 574-622, ricordato per l’introduzione del buddismo e per altri meriti politici e sociali; Ôshima richiama la mitologia greca in titoli, quali Daphne e Medusa. Di un anno più giovane - dunque non inserita dalla critica nel ‘Gruppo 24’, ma riconosciuta quale degna erede - è la celebre disegnatrice Waki Yamato, qui nominata per la scelta letteraria di riprendere il classico Genji Monogatari nel suo Asaki Yume Mishi, a cui lavorò per ben quindici anni. I Fiori sanno anche essere velenosi e allestiscono diabolici melodrammi in cui il miscuglio di sesso, debolezze e le turpitudini più inconfessabili non ha nulla da invidiare alle nefandezze del vecchio gekika. I sogni delle ragazze non sono più così puri come voleva la tradizione e, di pari passo, anche i generi lo saranno sempre meno, come nel caso dei menzionati ladies comics, di cui le ex piccole lettrici di Ribon no kishi e di Versaille no bara, ormai sposate, saranno le principali fruitrici. Ôshima deve il proprio successo al manga Wata no kunihoshi, mentre Yamagishi è autrice di spicco per lo shôjo manga adulto: affascinata dall’occulto, porta alla luce tematiche complesse, quali i traumi infantili, il senso di persecuzione, i drammi della sessualità. È sua la mano a cui si deve il manga Araberque del 1971- ’75, all’apparenza la semplice storia di una ballerina che rincorre la fama, in realtà diventa il resoconto edificante e spirituale di una giovane donna determinata: riforma il genere narrativo dedicato al balletto classico, intorbidendo il linguaggio romantico con la venatura della chiarificazione spirituale - leitmotiv della sua produzione, sempre più in chiave di tormenti e inquietudine con l’evolversi della sua carriera. Il già citato Hi Izuru tokoro no tenshi è, invece, il capolavoro classico buono per una conclave di studiosi del fumetto, che ha letteralmente conquistato la critica giapponesecon la struttura barocca ed ermetica: ha il merito di raffinare il tratto, snellire l’uso dello spazio nelle le tavole disegnate e fra loro. Come detto sopra, ha molto della saga romanzesca e racconta la vita di questo principe realmente esistito dell’antico Giappone, in chiave fantastica e simbolica. Personaggio dal profilo quasi divino, gli viene fatto dono di poteri paranormali per indottrinare i sudditi e si trova invischiato in intrighi di palazzo e in un matrimonio combinato - capitolo precedente - con la sorella del giovane nobile Emishi Soga: è a lui che l’eroe destina tutta la sua passione amorosa. L’autrice piega una gloria nazionale come il principe Shôtoku al gioco dell’amore omosessuale che le lettrici amano alla follia. Contro il maschilismo dominante, le nuove reclute costruiscono un universo sessuale rassicurante per le ragazze e la narrazione sceglie personaggi maschili e amori omosessuali come elogio assoluto della bellezza,nominandoli bishônen, ‘bei ragazzi’. Un espediente che dietro alle apparenze omoerotiche allude, in continuazione, a cose di donne: "una dimensione uterina e rassicurante in cui trasferire anima e sensibilità femminili su corpi maschili ed 78 efebici".100 Hagio e Takemiya fanno del racconto omoerotico il loro cavallo di battaglia: i loro melodrammi intrecciano le storie di ragazzi effeminati,dall’aspetto androgino,tra le mura di college maschili in un probabile passato europeo. Nel 1971, sulle pagine di Best Shôjo Comic viene pubblicato il primo fumetto per ragazze che affronta l’argomento, Jüichigatsu no Gymnasium,Il ginnasio di novembre, di Moto Hagio anche se il tutto appare volutamente vaporoso, impalpabile e avvolto nel crudele gioco del destino: Eric è uno studente ribelle che viene ammesso in un istituto tedesco, dove incontra la propria nemesi nella figura del popolare ed affascinante Thoma. Alla morte prematura di quest’ultimo, Eric scopre che il ragazzo era suo fratello gemello, separato al momento della nascita: il manga di gemelli è un genere specifico del fumetto giapponese, detto futago manga; quando si tratta di una coppia dello stesso sesso, i gemelli simboleggiano il dualismo del Bene e del Male, quando la coppia è mista, il ragazzo e la ragazza si attraggono talvolta anche in maniera incestuosa. Lo shôjo utilizza tale filone per veicolare il messaggio di un’identità coerente e unitaria che si purifica da impulsi negativi; negli shônen, si predilige un insegnamento basato sul concetto del Tao e della connivenza tra vizi e virtù. Tornando alla celebre autrice, i vincoli familiari regnano anche in Poe no ichizoku, La famiglia Poe del 1971 - in qualità di esempio della sua prolifica produzione -, che presenta sempre il topos dell’ambientazione europea. In una vecchia Europa, il giovane Edgar, abbandonato dai genitori insieme alla sorella, scopre l’oscuro segreto della famiglia affidataria, i Poe, un clan di vampiri: mentre la sorella in fasce viene data alle cure di una famiglia umana, lui è destinato vampirizzato, non appena raggiunta la maggiore età, per pagare il prezzo del suo troppo sapere. La situazione precipita quando nel villaggio si diffonde la notizia sulla vera identità dei Poe e l’‘esecuzione’ di Edgar viene anticipata, costringendolo a vivere in eterno nel corpo di un quattordicenne. Dopo una vita centenaria, l’incontro con una sua discendente, a lui somigliante come una goccia d’acqua, ed un misterioso incendio mortale siglano la fine della saga. Nel corso della sua esistenza, ha goduto della compagnia e della presenza di Allan, dal temperamento sanguigno ed impulsivo e da lui stesso vampirizzato per diventare il suo ‘cuginetto’: non manca la tematica omoerotica. Acclamato come capolavoro dalla critica in modo unanime, vuole far riflettere sul senso di essere vivi e non, attraverso la figura del vampiro unico ad eludere il principio eracliteo del panta rei: per la mentalità giapponese, l’incubo peggiore è venire esclusi dagli altri, per la propria incapacità di essere utile. Secondo il critico di shôjo manga Hashimoto Osamu, la suddetta opera è metafora della generazione del baby boom, costretta a diventare adulta in un Paese e in un Periodo, dove non c’era posto per i bambini. La morte di Edgar, negli anni Settanta, coincide con la fine delle illusioni per una tanto attesa Golden Age: il protagonista è, dunque, simbolo di questo 100 M. A. Rumors, Come bambole... , cit., pag 33. 79 sogno infranto. Eppure, tale interpretazione non soddisfa lo studioso - e grande ammiratore di Hagio - Matt Torhn ed il suo interrogativo sull’età topica dei giovani di queste opere, fermi ai quattordici anni: l’opera porta avanti una riflessione sul tema della liminalità dell’adolescenza. Nonostante Edgar trascorra più di centocinquanta anni sulla terra, rimane un giovane quattordicenne davanti agli ‘affari della vita’: l’età anagrafica non è garanzia di maturità, che si acquisisce percorrendo delle tappe socialmente e biologicamente definite.101 L’autrice sceglie un’età delicata nel contesto giapponese, in cui si gettano le basi per il proprio futuro, senza poter tornare indietro. La società nipponica dona rilevanza al sistema scolastico, ponendo in equazione il liceo che si frequenta con il lavoro che si potrà ottenere: il peso emotivo degli esami d’ingresso nelle migliori scuole pone bruscamente fine alla loro infanzia, nonostante la giovanissima età. Secondo una ricerca dell’Istituto Giapponese di Ricerca Giovanile, il pubblico di lettori è costituito da liceali per il 70% e, dunque, condivide tale condizione di ‘essere nel mezzo’. Banalmente, il messaggio dell’artista si può semplificare nell’incoraggiamento di prendere in mano la propria vita: su tale linea, s’inseriscono gli altri capolavori della mangaka, quali Tôma no shinzô, Il cuore di Thomas. L’altra maestra dell’ambiguità sessuale è Takemiya, la più nota e idolatrata dai cultori del fumetto omoerotico in Occidente: è suo il fumetto entrato nella leggenda Kaze to ki no, Il poema del vento e degli alberi,autorevole specchio di amor fou ed esaltazione dell’esotico, in cui due anime, una pura e una dannata, si congiungono. In un college maschile della Francia di fine Ottocento, Serge e Gilbert consumano una disdicevole relazione amorosa: è un vero choc per la sensibilità dell’epoca, affezionata ai coup de tete di Hagio e la fama del capolavoro maledetto protervia di questioni filologiche estetiche e antropologiche: Gilbert come entità simbolica, l’esotismo che batte bandiera per un decadimento morale e sociale, l’urgenza di catalogare il Bene e il Male. Alla stregua delle tragedie greche - che portavano sulle scene fratricidi, uxoricidi, cannibalismo, unioni carnali tra consanguinei -, tali manga - e quelli a venire - infrangono i tabù del sesso, dell’incesto, delle nascite illegittime e dell’omosessualità, quasi in funzione catartica.102 Si tratta di soggetti che appaiono lontani dai gusti di dolci ragazzine, apparentemente innocenti:in realtà, esse sono attratte dalle tematiche celate dietro le delusioni amorose, quali l’accettazione di se stessi, la famiglia, la perdita della giovinezza e la morte. Assurgono a resoconti di denuncia di una vita fatta di repressione, attrazione lesbica, autodistruzione, relazioni scandalose, tentati suicidi e cospirazioni. L’amore proibito, vero protagonista nella produzione dei Fiori, si erge intorno alla sofferenza degli uomini: Yagamagishi ammette che, nella sua epopea ambientata nell’antico Giappone, non 101 Esemplificativo il rapporto tra Edgar ed Elsey: sebbene appena trentenne è molto più matura di lui, tanto da assurgere quasi al ruolo di madre con cui confidarsi e chiedere consiglio. 102 I riferimenti sono, rispettivamente, alle tragedie Sette contro Tebe, Danaidi, Thyestes, Edipo re. 80 era stata capace di immaginare un lieto fine per il suo principe gay, perché non c’è felicità per il diverso e non c’è posto per il tabù. 2.9 GENESI DEI BOYS’ LOVE: LE DONNE GIAPPONESI RACCONTANO L’AMORE TRA GIOVANI ANDROGINI Tali decadenti drammi sentimentali tra efebici adolescenti europei danno inizio al genere shônen ai, letteralmente ‘amore’, ai, ‘tra ragazzi’, shônen, di età compresa tra i 10 ed i 17 anni: i protagonisti sono bishônen dotati di una fascino androgino per i corpi glabri e fragili e per il viso dai tratti quasi femminili. Nel 1978 esce il primo numero di June, la rivista che porta al successo i boys’ love, letti principalmente da ragazzine in età adolescenziale: anche se la trama non prevede personaggi femminili, il pubblico e le autrici sono in maggioranza donne e, per questo, il genere è oggetto di analisi in questa sede.103 In realtà, tali produzioni richiamano anche un target di lettori adulti - giovani donne ed, in minoranza, gay e studenti universitari - assetati di una maggiore maturità del sentimento di coppia: così, il termine june inizia a designare non solo il periodico ma anche un genere di manga, che condivide con lo shônen ai l’enfasi sul rapporto sentimentale tra due uomini, ma la componente sessuale è rappresentata in maniera esplicita.104 Il carattere eroticosentimentale dei testi risulta essere la causa dei giudizi negativi sulla qualità, dai quali il genere tenta di affrancarsi con grande difficoltà. Fermo restando che alcun genere artistico sforna esclusivamente capolavori, le opere stesse smentiscono questo pregiudizio: per ben dieci anni,la mangaka Akimi Yoshida riesce ad appassionare ragazzi e ragazze alla lettura della sua storia d’amore gay, Banana Fish, incorporandola in un thriller ambientato a New York, tra mafia e droga, in perfetto stile maschile. La satira briosa di una guardia del corpo gay alla James Bond conquista lo studioso Schodt che lo definisce come "uno dei pochi shôjo manga che un uomo può leggere senza vergognarsi"105 - l’uso del termine shôjo è usato per riferirsi ad un testo destinato ad un pubblico di ragazze: forse perché i due protagonisti non finiranno mai per dichiararsi esplicitamente l’ amore reciproco. Ulteriore elemento da considerare per completare il quadro generale del fenomeno sono le produzioni amatoriali: mentre gli shônen ai e i june vengono prodotti da professionisti esono distribuiti secondo canali ufficiali, il mondo dei fan produce i suoi testi non ufficiali detti yaoi ejune- originale -, che nascono e si sviluppano nel contesto delle 103 L’espressione boys’ love si preferisce poiché shônen ai presenta delle sfumature pederastiche nel suo alludere a storie d’amore tra ragazzi con una grande differenza d’età. Inoltre, tiene conto della moderna apertura del fenomeno che, grazie ad Internet, non ha più le caratteristiche di un prodotto unicamente giapponese. 104 Il cuneo dell’amore di Ioshihara Rieko o Kizuna di Kodaka Kazuma sono due esempi celeberrimi del genere. 105 Frederik L. Schodt, Manga! Manga!: The world of Japanese Comics Kodansha America, 2013,cit., pag.89. 81 dōjinshi - affrontate nel primo capitolo. La coppia maschile che scopre l’amore sulle pagine di uno yaoi si ispira a videogiochi, manga o anime prodotti dall’editoria ufficiale, tanto da essere considerate parodie, con una valenza diversa da quella che si attribuisce al termine in Occidente: non storie umoristiche e brevi gag, ma rivisitazioni di un testo originale. Secondo l’autrice di Shônen ai: il nuovo immaginario erotico femminile tra Oriente e Occidente, produrre testi che diano un’interpretazione diversa del prodotto originale è un atto sia creativo che politico, poiché richiede un processo di decodifica, reinterpretazione e riscrittura di un testo altrui, nonché l’abbandono del ruolo di consumatori passivi: ogni autrice, seppure in erba, interpreta secondo la propria personalità gli elementi del testo, sia sul piano segnico del tratto sia sul piano mentale e psicologico dei personaggi.106 I prodotti destinati ad un pubblico maschile sono i manga e gli anime maggiormente parodiati, i cui protagonisti vengono ripresi ed uniti a seconda dei gusti delle disegnatrici: se lo yaoi prevede esclusivamente l’unione tra uomini, vi sono anche testi che riprendono figure femminili, detti yuri - in tal caso, il nostro interesse di studio abbraccia sia il contesto di fruizione sia il testo drammaturgico. Dunque, tra produzione professionale e non, il leitmotiv resta l’amore omoerotico e la differenza si limita al piano della produzione e distribuzione: le mostremercato espongono le opere realizzate da autrici alle prime armi che apportano al genere contributi fondamentali, grazie ad un ambiente - quello privato - che permette la libera creatività e l’esplosione delle sperimentazioni. Mentre gli shônen ai possono rivolgersi ad un pubblico di teenager per il loro carattere allusivo, gli yaoi hanno un target formato da donne per il loro contenuto sessualmente esplicito- certamente non venduti alle minorenni. Un contesto fuori dalla portata del controllo editoriale - come le mura domestiche delle fan permette minori esitazioni: la parola yaoi è acronimo per la frase yama nasci, ochi nashi, imi nasci ‘nessun climax, nessun finale, nessun senso’ per segnalare testi che, in linea di massima, sono lunghi accoppiamenti tra i personaggi preferiti dell’autrice. Eppure, tale espressione non è del tutto giustificata se si considerano le pubblicazioni amatoriali dette june - originali -,che si differenziano per la scelta di personaggi originali e per una trama dispiegata lungo vari numeri con una maggiore enfasi sul sentimento più che sull’attività sessuate dei bishônen: si tenga sempre presente che tali distinzioni teoriche non sono così nette nella pratica. Al fine di fornite esempi che non siano oscuri, si cita l’opera d’esordio - a discapito dell’opera principale dell’autrice, Zetsuai 1989 - di Ozaki Minami, a metà degli anni Ottanta, ispirata a Captai Tsubasa, Holly e Benji due fuoriclasse, titolo che col tempo diventa un altro modo per dire yaoi. È doveroso nominare anche alcuni shôjo divenuti riletture omoerotiche, 106 Tuttavia, si sottolinei che in Giappone, esempio unico, anche il semplice lettore non è mai un consumatore passivo, dal momento che le sue opinioni possono anche modificare le strategie di mercato, come visto nel sopracitato paragrafo. 82 quali X o Tokyo Babylon entrambi lavori del gruppo CLAMP: rispettivamente, l’uno è noto come il primo esempio manga ad abbattere le barriere tra i filoni shôjo e shônen l’approfondimento psicologico dei personaggi di un target femminile e gli elementi d’azione tipicamente maschili - e l’altro indossa la veste dello shônen-ai per celare un segreto terrificante in un’atmosfera esoterica e misteriosa. Infatti, incrina il classico schema yaoi incentrato sulla passione travolgente: il protagonista Subaru non è interessato all’amore in generale, né alle attenzioni che gli rivolge il veterinario Seishirō, in particolare.107 Dunque, le giovani fan incontrato figure ideali e fascinose tra le pagine degli shônen e decidono, da autrici, di spiarli voyeuristicamente in spogliatoi o aule scolastiche per scoprire quanto poteva celarsi dietro amicizie o rivalità maschili tanto infuocate da essere paragonabili a passioni amorose: gli sguardi selvaggi di calciatori che combattono con l’ardore di gladiatori in un’arena sono gli elementi che hanno affascinato la sopracitata Ozaki, definita la ‘regina delle dojinshi’ per l’intensità espressiva e l’abilità grafica della prolifica produzione. La scelta dell’autrice ricalca le orme degli struggenti shôjo anni Settanta ricadendo sui due personaggi le cui storie pregresse tengono testa al pathos dei Fiori 24: l’attaccante Kojiro Hyuga - Mark Lenders - è un ragazzo violento e asociale che,rimasto orfano in giovane età, si è preso cura dei fratelli più piccoli; Ken Wakashimazu - Ed Warner - è un ex karateka che ha scelto di dedicarsi al calcio e di entrare alla Toho - Muppet - per stare con l’amico d’infanzia, al quale è unito da un legame esclusivo. Col passare del tempo, lo stile grafico della disegnatrice si libera dall’originale per tracciare un personale percorso, fino a modellare dei personaggi che con la serie d’ispirazione mantengono solo il nome. Che si tratti di shônen ai, di june originali e non o di yaoi, il genere presenta delle caratteristiche comuni: innanzitutto, non è superfluo sottolineare che l’amore omosessuale si eleva a tema centrale dell’opera, poiché numerosi manga sono popolati da personaggi androgini, gay o sessualmente ambigui.108 Tipica della produzione giapponese è la forte polarizzazione dei due partner, dei quali uno sostiene sempre la parte attiva, seme, e l’altro la parte passiva, uke, non solo sessualmente ma anche nelle interazioni quotidiane e nei loro ruoli sociali, e questa gestione del potere non cambia mai. Visivamente ciascuno possiede determinate tipologie fisiche: il seme è sempre più alto - unica regola universale -, con lunghi capelli biondi ed occhi chiari, veste abiti eleganti e ostenta un’atteggiamento sicuro di sé, freddo e superiore; l’uke ha capelli corti e scuri come gli occhi e la pelle, dal carattere aggressivamente virile che nasconde profonde insicurezze. Il manga Kizuna, citato in nota, è uno dei primi e più popolari del genere e l’autrice rompe lo schema appena descritto per i 107 Per un maggiore approfondimento sull'ultimo manga citato vedere il paragrafo 2.18 Il Mahō shôjo e il misticismo del pensiero giapponese. 108 Solo alcuni esempi: dalle dichiarate guerriere Sailor, Haruka e Michiru, in Bishôjo senshiSailor Moon alle non dichiarate Madoka e Akemi in Madoka Magika; dalla mascolina Lady Oscar all'effeminato Andromeda in Saint Seiya; dal mistico Kurapika in Hunter X Hunter alla guerriera Utena in Shôjo kakumei Utena. 83 suoi protagonisti KeixRanmaru - SemexUke -, invertendone i colori: tuttavia, ciò che non viene mai disatteso è il taglio degli occhi, allungato e sensuale per il primo e grande e dolce per il secondo. La divisione dei ruoli tra Kei e Ranmaru si delinea fin dalle prime scene, quando il seme si rivolge all’amato con la topica frase ‘Tu sei mio’, per poi essere travolti dalla passione: Kei prende l’iniziativa sessuale, ma sembra quasi non goderne per l’estrema inespressività che contrasta con il coinvolgimento di Ranmaru che arrossisce e si dimena. Femminile nella sua ritrosia e timidezza, nel suo essere protetto e difeso, o abusato, l’uke è investito di stereotipi tradizionalmente attribuiti alla donna nipponica. Tra losche vicende di yakuza - la mafia giapponese -, intrighi familiari e il sopraggiungere di altri pretendenti, per ben dieci anni questa coppia ha bruciato di passione secondo tale schema, esemplificativo del genere. "La scelta di giovani ragazzi piuttosto che di ragazze e di un ginnasio tedesco piuttosto che di una scuola giapponese, sembrerebbe essere stata fatta per il bene della libera espressione artistica, per evitare le sgradevoli restrizioni del realismo":109 altro tema ricorrente è la scarsità di realismo nelle ambientazioni, vista l’attenzione sul pathos ed il sentimento. Ozaki, ad esempio, si serve del genere maschile per avere una libertà non possibile con un soggetto femminile, a discapito della forte tensione sensuale che pervade i suoi testi: la donna non è culturalmente accettata come innocente e smaliziata, dualità permessa, invece, ad una figura maschile e per questo il nocciolo erotico è indissolubile dall’omosessualità. Nello yaoi Captai Tsubasa, il desiderio amoroso e l’attaccamento di Ken per l’amico assume i tratti di una vera e propria ossessione struggente: tale tormento interiore risulta inattuabile all’interno della coppia eterosessuale, dove l’uomo è bene che provi un sentimento più simile alla tenerezza e alla compassione verso l’amata. L’ultima peculiarità della produzione è l’atmosfera glamour, che pretende molta cura ai dettagli dell’abbigliamento ed una differenziazione grafica che sottolinei un estetismo sensuale e ‘decadente’, vicino ad una data tradizione nipponica: Schodt ravvisa nelle storie june un’estensione, nell’universo manga, di un genere dell’arte e della letteratura giapponese noto come gambi mono, opere estetiche, che esalta la bellezza al di sopra della morale e della realtà. I personaggi nati dalle mangaka godono di un aspetto androgino, simbolo di una bellezza sublimata e nobile: anche nel più maschile dei personaggi non si troveranno calvizie, baffi o peli sul corpo. Le fruitrici sono "disgustate dai ragazzi e dagli uomini in genere. Questi manga mostrano personaggi asessuati o perfetti. In termine di perfezione le ragazze, durante la pubertà, preferiscono i belli senza difetti e senza peli".110 Paradossalmente, i fumetti gay perdono tutto il lato estetizzante o romantico in favore di una 109 Veruska Sabucco, Shonen ai:il nuovo immaginario erotico femminile tra Oriente e Occidente Castelvecchi, 2000, cit., pag 33. 110 La ricercatrice Megumi Yoshinaka in P. Gravett, Manga: 60 anni ...,cit., pag. 24. 84 realtà verosimigliante: il genere raccoglie opere d’evasione che non hanno come scopo la legittimazione dell’omosessualità, né la rappresentazione del mondo gay nella sua realtà. Il direttore del periodico June, Sagawa, sostiene che più le fantasie sentimentali sono distanti dalla realtà quotidiana, più è facile dimenticarsi della stessa e, in un mondo ideale, i personaggi sono lontani nel loro essere belli e gentili, come le donne, ma senza la gelosia ed altre qualità negative che esse associano a se stesse. Dunque, l’androginia dei personaggi e l’eredità femminile di una bassa opinione del proprio sesso sono le premesse di tale estetica. Di fronte alla maggior parte del materiale erotico creato per le esigenze di un pubblico maschile - principale interesse è il corpo femminile -, è indubbio che questi prodotti, creati da donne, rispondano alle esigenze visive ed emotive di un pubblico femminile: "Può essere una forma di protesta contro la tipica fantasia maschile giapponese di un’immagine femminile occidentalizzata con grosse tette e tutto il resto" è il giudizio espresso da Kazuko Hohki, membro della rock band Frank Chickens.111 Conclude il suo pensiero, interessante sebbene non autorevole, sostenendo che il successo del genere si deve alla disillusione femminile sulle relazioni uomo-donna, pietrificate nel loro binomio forte\debole cui sono costretti i ruoli. Tramite i boys’ love, le adolescenti rielaborano concetti, quali il desiderio, il possesso, il corpo, l’amore, il sesso e la violenza e, pertanto, tali testi diventano complessi e sofisticati simboli culturali che esprimono profonde esigenze e significai non solo individuali ma sociali. Diverse sono le ipotesi che adducono motivazioni al perché le ragazze amano così tanto storie passionali tra giovani efebici e, certamente, nessuna ha la pretesa di universalità. In chiave critica psicoanalitica, Mirna Cicioni considera la produzione come Bildungstext, testo di formazione, dove il bisogno principale che spinge autrici e lettrici - individui dotati di psiche e, dunque, soggetti desideranti - è quello di giungere all’esplorazione del sé tramite la relazione utopica fra i due personaggi maschili: rivelando il proprio Io al compagno, si approfondisce la conoscenza di se stesso. Il processo cognitivo si sviluppa grazie ad un rapporto conflittuale, a volte perfino violento: il semegiunge ad abusare del proprio uke, che accetta mestamente sapendo che in realtà è amore. La Cicioni eleva a simbolo tale dinamica di dominanza\sottomissione delle scene, poiché è nella situazione limite di una scena sadomaso che l’individuo ammette desideri non convenzionali giungendo alla completa nudità del sé. La stessa resa psicologica dei personaggi, giocata su coppie antitetiche di ruoli - attivo e passivo, inseguitore e fuggitivo, cacciatore e preda -, si tinge di questa sfumatura: l’amore è un’ossessione che genera sofferenza e al di fuori del binomio eros e thanatosnon esiste senso o identità. Perciò il tema della morte è così presente in questi manga. Tuttavia, sadico è il destino che si abbatte su di 111 Ibidem. 85 un universo masochista pervaso dall’aware, dove chi perseguita è solo apparentemente forte e chi è perseguitato non è realmente innocente per aver ispirato e voluto folli desideri.112 La psicanalista Jessica Benjamin rassicura che fantasie basate sulla disparità di potere vengono accettate poiché nessuno dei due partner è una donna, seppure l’uke sia generalmente femminilizzano. Studiosi, come Lamb, Veith e Bacon Smith, attribuiscono una forte incidenza alla mancanza dei personaggi femminili che permette alle lettrici di fantasticare sul sesso opposto, senza dover competere con un’altra donna - seppur cartacea; nonché di svincolarsi da un ruolo femminile tradizionalmente passivo, identificandosi con l’uno o l’altro dei personaggi maschili. Parlando in termini cari alla psicanalisi, le figure efebiche personificano le proiezioni dell’Io: idealmente liberata del proprio corpo femminile e degli orpelli sociali e culturali che lo rendono volgare strumento pornografico, la lettrice può incarnare corpi che rimangono innocenti e puri anche nelle situazioni più torbide, perché maschili. I protagonisti sono ciò che l’autrice e la lettrice sentono di essere e vorrebbero essere, dolce e forte allo stesso tempo:persino, il seme è detentore di questa dualità nel suo essere materno quando si ostina a proteggere l’amato e virile quando impone il proprio desiderio sessuale. Finalmente, l'identificazione si sposta su personaggi attivi ed in primo piano: ciò che le lettrici amano è la possibilità di scelta di identificarsi o nell’uno o nell’altro dei partner, secondo l’empatia che si instaura. Penley considera l’identificazione non fissa, ma fluttuante fra il desiderio di essere uno dei due eroi e quello di avere l’altro. Tuttavia, tale teoria è respinta da quei fan che rivendicano la propria soggettività e si situano in posizioni voyeuristiche: il voyeurismo esprime il desiderio per il rapporto tra i due. Eppure, analizzando a fondo i prodotti nipponici sembrerebbe ben chiaro con chi si suppone che la lettrice debba identificarsi: sessualmente, anatomicamente, socialmente ed emotivamente l’uke assume caratteristiche femminili, mentre nel seme predominano quelle maschili. Dunque, se una situazione completamente androgina dovrebbe portare a chiedersi chi è l’uomo o la donna, confondendo i generi, in questo contesto si svela essere solo una facciata che ripropone e conferma modelli di comportamento tradizionali. Infine, le lettrici, segnate da un pudore culturalmente codificato - tanto in Oriente quanto in Occidente -, allontanano il senso di colpa legato al sesso se si fantastica su relazioni carnali che non mettono in gioco il corpo della donna e, sempre innocuamente, possono provare sentimenti verso persone del proprio sesso -pur essendo figure maschili, vengono viste come ragazze travestite. È bene sottolineare che la popolarità del genere non implica una benevola disposizione di autrici e lettrici verso la realtà omosessuale: 'il chiodo che sporge chiama il martello'. 112 Il pensiero è stato estrapolato dall’analisi di Elsa De Marchi sull’autrice minami Ozaki. http://www.numagazine.it 86 2.10 DAGLI AMORI TRA I SAMURAI AL TRASGENDER DEL TEATRO KABUKI: L’OMOSESSUALITÀ IN GIAPPONE A dispetto dell'abbondanza di personaggi e situazioni omoerotiche sia nei manga sia negli anime, i gay sono oggetto di discriminazioni. Gli uomini omosessuali condividono con le donne lo stato di emarginazione, in quanto egualmente vittime di costrizioni sociali e conformismo. Ogni società crea i propri ‘mostri’ in base a dei codici culturalmente specifici: le ragioni che portano il Giappone a guardare l’omosessualità come Altro sono lontane da quelle che sottende la marginalizzazione occidentale. Ciò nasce dalle difficoltà in una società di stampo patriarcale, come quella giapponese, di rappresentare un uomo sessualmente coinvolto con un altro uomo: considerare due uomini, legati sentimentalmente, come pari creerebbe il precedente di una coppia che non prevede, al suo interno, dinamiche di potere; significherebbe mettere in dubbio la verticalità della società nipponica, in generale, e la validità dei ruoli di genere, in particolare: pertanto, il gay deve essere descritto in termini di donna mancata. Gli ultimi vent’anni hanno assistito al tramonto del modello di famiglia tradizionale, che si traduce in un ripensamento dei tradizionali ruoli di genere, nonché in disagio generale verso il modello egemonico di mascolinità, rappresentato dal salaryman. Nonostante sociologi ed intellettuali del Sol Levante parlino di crisi, transazione e trasformazione e si registri il proliferare di mascolinità alternative - i cosiddetti sōshokuhei danshi, uomini erbivori, rifiutano i modelli di ruoli tradizionali -, è ancora fortemente radicato lo stereotipo che concepisce il maschio gay solo in relazione alla propria femminilizzazione e, dunque, nel suo status di ‘mezzo uomo’. Negli anni Sessanta, l’onda della rivoluzione sessuale che attraversa Europa ed America arriva a lambire il Giappone, ma è solo nel decennio successivo che l’amore omosessuale irrompe nel mainstream a partire dal manga. Eppure, i media stessi continuano a rappresentare i gay o come figure simpaticamente divertenti - amici e partner ideali per una donna -, o come una terribile minaccia per la stabilità della famiglia e della società.113 In quest’ultimo fattore risiede la ragione sociale che porta i giapponesi ad escludere l’omosessualità: ancora oggi la famiglia, il katei, è vista come un istituto sociale imprescindibile, perfino desiderabile , al cui interno l’uomo deve essere il daikokubashira, il pilastro economico della famiglia, ed incarnare l’autorità assoluta, vicina al concetto latino del pater familias. Ancora nel ventunesimo secolo, molti individui - soprattutto di sesso maschile ed in carriera - si sposano per apparire ‘normali’ e mantenere aperte le proprie possibilità di promozione: sono vittime della stessa discriminazione che colpisce i single ed i divorziati, poiché non vengono messi in discussione i gusti sessuali del singolo, quanto il 113 Nel paragrafo precedente si è visto che anche negli yaoi - nonostante la loro portata rivoluzionaria - il binomio tradizionale uomo\donna. 87 compimento dei doveri sociali. Si ripropone il tradizionale conflitto tra ninjō, l’impulso del cuore, personale ed egoistico, ed il giri, il complesso sistema di obbligazioni sociali. Dunque, questo maschilismo è scevro dal complesso di tabù sessuali presenti, invece, nella discriminazione legata alle confessioni monoteiste: semplificando al massimo, il Giappone non ha subìto l’influenza della cristianità, motivo già sufficiente a non destare il senso di peccato che addita il singolo come pervertito.114 Il Giappone punta il dito contro chi si discosta da una norma definita in termini sociali, che disonora il nome della propria famiglia, vivendo alle spalle della società: l’individuo che non perpetua l’ie tramite un unione di coppia è un parassita e una rotella che inceppa l’ingranaggio sociale. Di fatto l’omosessualità maschile non è mai stata bandita dalla società giapponese. Durante il periodo Edo, l’unione tra due uomini veniva considerata metafora dell’amore puro ed era profondamente radicata nei due ambiti, prettamente maschili, in cui era concentrato il potere: quello militare e quello religioso dei templi buddisti. Il codice dei guerrieri nipponici, il Bushido o ‘via dei samurai’, proponeva un rapporto di intima amicizia tra guerrieri, che comportava abnegazione e fedeltà assoluta, secondo gerarchie imprescindibili in cui l’anziano, nel ruolo attivo del maestro, doveva condurre verso la maturità il giovane allievo, detto wakashu, a cui veniva ascritto il ruolo passivo. La letteratura giapponese è fonte inesauribile di esempi di sacrifici estremi, compreso il suicidio, qualora uno dei due fosse perito in battaglia o vittima di una qualche ingiustizia. Tali legami, lungi dall’essere puramente platonici, facevano parte del cameratismo guerriero, della condivisione della trincea, del convivio: sostenuti dal giri, erano ritenuti, pertanto, superiori al rapporto eterosessuale, necessario solo al fine ultimo di generare la prole e, pertanto, la donna è solo un ‘ventre in prestito’. La ‘normalità’ era quella di riuscire a godere delle due vie, quella dello Shudo, ‘via dei giovinetti’, e quella delle Nyodo, ‘via delle donne’. Poiché si dava grande importanza alla potenza virile ed il maschio doveva sempre essere attivo, al compimento del diciannovesimo anno d’età, il wakashu diventava adulto, yabo: smetteva i suoi panni di amante passivo per assumere il ruolo del maestro, tanto nel rapporto omoerotico quanto in quello eterosessuale. Una realtà che ricorda, sotto più punti di vista, la pederastia della Grecia classica, serenamente accettata perché investita di una condizione pedagogica che, limitata nel tempo, doveva aprire le porte all’unione con il sesso opposto. Dunque, per la società del tempo, l’omosessualità in sé non era una deviazione dalla norma, quanto il prolungamento della stessa dopo il termine stabilito: si rimaneva sconcertati quando il legame tra i samurai continuava in età adulta - l’età in cui l’uomo deve divenire attivo -,cioè quando il wakashu continuava ad essere tale dopo il diciannovesimo anno di età 114 Dunque, va liberato da ogni concetto di omofobia, come intesa in Occidente. A ciò si aggiunga anche un modello estetico radicalmente diverso da quello occidentale: l’androginia. L’argomento viene trattato nel paragrafo successivo. 88 o quando si continuava a mostrare un’esclusiva preferenza omosessuale. Finita la contingenza militare, si dimenticano le gesta eroiche, si spoglia il rapporto omoerotico del romanticismo sublime e si commercializza lo shudo sottoforma di prostituzione: nei quartieri Ukiyo sorgono - accanto a quelle femminili - case di piacere maschili, dove gli efebici giovani, detti tobiko, ‘fanciulli volanti’, vengono istruiti alle arti amatorie, al canto, alla cerimonia del tè e dal gioco degli scacchi e barattano la propria compagnia con la mera sussistenza, poiché reclutati dalle campagne poverissime. Altro elemento fondamentale è il teatro Kabuki, prodotto originale della società della nascente classe borghese, i chônin, ‘abitanti della città’, fautori del concetto ante litteram di trasgenderismo: oggi appannaggio maschile, alle origini si colloca un gruppo di danzatrici, guidate dalla mimo - giovane donna che prestava servizio presso un tempio shintō - Izumo no Okuni, che sperimentavano un nuovo modo di combinare canto, ka, danza, bu, e tecnica, ki. Tale forma teatrale predilige l’espressività e la fisicità alla comunicazione verbale, relegata in secondo piano - contrariamente a quanto accade nel teatro occidentale - e mette in scena tematiche legate all’attualità ed alla quotidianità: l’immediato successo dell’onnakabuki, il teatro delle donne - esse interpretavano tanto i ruoli maschili quanto quelli femminili -, si deve anche alla prostituzione che le attrici praticavano a fine spettacolo. Nel 1629, viene bandita dai teatri la recitazione femminile, con il pretesto della difesa della morale e l’evento ludico prende il nome di wakashukabuki: giovani ragazzi, predisposti fisicamente, ricoprono i ruoli muliebri nelle compagnie che mettono in scena il nascente repertorio;tuttavia, i legami con il mercato del piacere - leggasi prostituzione - non subisce la minima variazione. Gli spettatori più abbienti arrivano, perfino, a contendersi i favori dei ragazzi più amati, scatenando risse e disordine pubblico: nel 1652, il divieto si estende anche ai ragazzi. A quel punto il Kabuki, come arte recitativa, passa nelle mani - definitive - di quelli che, culturalmente, erano considerati uomini adulti. Gli stessi uomini interpretavano, ed interpretano tutt’ora, anche i ruoli femminili con il nome di onnagata, conquistando gli uomini del Sol Levante: anche se nel 1879 viene revocato il divieto di recitazione per le donne, non si sente il bisogno di reinserirle in tale contesto teatrale, perché perfettamente sostituite. Il gentil sesso deve attendere qualche anno e la figura di un uomo per avere la propria rivincita: nel 1914, tal Ichizô Kobayashi,imprenditore con un debole per il teatro, decide di istituire una compagnia teatrale di sole donne per risollevare il turismo della cittadina di Takarazuka - da cui prende il nome - che, non a caso, è anche il capolinea della sua linea ferroviaria. Il nuovo gruppo si segnala per un totale disinteresse verso il classicismo nipponico, preferendo un repertorio ‘leggero’ che sigla l’incontro tra gli elementi e gli stili del teatro giapponese con quelli occidentali, in un periodo in cui acquisivano grande popolarità la musica e gli spettacoli oltreoceano, colorati da baci ed effusioni amorose, mal 89 viste dal discreto Giappone. L’ostacolo viene aggirato facilmente: se tali scene fossero state interpretate da due donne non sposate nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Le spettatrici il genere femminile costituisce il principale target di riferimento - bramano interludi romantici che non prevedano amore fisico tra i sessi e tale sublimazione è resa possibile dal fatto che le donne interpretano sia ruoli femminili, musumeyaku,che maschili,otokoyaku. In realtà, agli esordi si registra la presenza di attori uomini, anche se in percentuali minime, fino al bando del 1954 che vieta loro la recitazione tra le fila del Takarazuka. Finalmente, le teatranti avevano di nuovo preso possesso del palcoscenico: nel 1925 la compagnia ottiene un teatro stabile, dove allestire il proprio repertorio davanti ad un pubblico di famiglie e bambini. Schodt non lesina paragoni tra questo e lo shôjo manga, criticando l’eccesso narcisista ed utopico di entrambi. L’autrice di Nuvole e arcobaleni: il fumetto GLBT definisce il lavoro del Takarazuka così: "Si tratta di quanto di più kitsch si possa immaginare, uno spettacolo ben lontano dall’equilibrio e dalla sobrietà zen". 115 Infatti, i dissensi dell’opinione pubblica non tardano ad arrivare etichettando tale intrattenimento come un ‘ingorgo di sensazioni occidentali’: le critiche nascono dalla paura che il nuovo possa deviare il genere femminile distraendolo dalla principale funzione, vale a dire il benessere casalingo e quello solamente. Mogli e figlie seguivano accanitamente il Takarazuka - riesce ad appassionare perfino i soldati americani durante la Seconda Guerra Mondiale - e, tutt’ora, il pubblico è prevalentemente femminile, per il 90% di età inferiore ai venticinque anni: il divismo nei confronti delle attrici si può paragonare a quello suscitato dalle stelle del cinema americano. Il Takarazuka ha salvaguardato la propria identità storica e estetica contro i numerosi cambiamenti che hanno attraversato il Giappone. Tuttavia, sin dalle origini, tale forma teatrale è stata associata all’idea di amore saffico, a causa del rapporto inscenato da musumeyaku e otokoyaku visto come sublimazione estetica della relazione tra butch e femme: insorsero legami amorosi tra le attrici,quando non tra le attrici ed ammiratrici, tanto che, nel 1940, alle teatranti fu proibito rispondere alle lettere delle fan e di instaurare un qualsiasi tipo di contatto con loro. Se da un lato, il Giappone si è sempre mostrato tollerante nei confronti dell’omosessualità maschile, dall’altro ha sempre guardato con sospetto - e quindi ostacolato e non accettato - quella femminile, sulla quale grava tutt’oggi una pesante omertà. Il motivo che sta alla base di tale discriminazione è sempre l’importanza attribuita al matrimonio considerato, da donne come uomini, etero o omo, un dovere nei confronti della famiglia e della società: unione finalizzata a garantire la continuità della famiglia attraverso i figli che ne sarebbero nati e che, da un amorevole figura materna, sarebbero stati educati. Nonostante la crisi che l’istituzione familiare attraversa da decenni, negli anni Novanta ancora il 95% delle quarantenni 115 Susanna Scrivo, Nuvole e arcobaleni: il fumetto GLBT, Tunué, 2009, cit., pag. 120 90 giapponesi erano sposate: dato che la vita sociale adulta di una donna è modellata, decisamente, sui ruoli di moglie e madre, il fatto di restare single rappresenta un’anomalia sociale ancora più marcata che per l’uomo, il quale i ruoli di marito e di padre non hanno altrettanto peso. Dunque, se quest’ultimo, sposato o no, mantiene almeno un’utilità sociale in termini economici, per il suo ruolo di daikokubashira; una donna che volontariamente non procrea - questa è la sua principale e imprescindibile virtù - viene giudicata come socialmente inutile, nonché ingrata per l’egoismo dimostrato nell’anteporre il ninjō al giri. Il Takarazuka non è una vera fuga dalla realtà maschilista, che attende queste donne una volta finita la carriera di attrici, per perseguire la strada tradizionale del matrimonio e della maternità. Eppure, l’esperienza ha un valore politico molto importante per il movimento femminista giapponese, poiché costituisce un mezzo attraverso il quale le donne possono decidere di svincolarsi dalla famiglia e percorrere una carriera nello show business- come accade nei quartieri di piacere per le geishe - e, qualora sia presente, poter vivere più o meno apertamente un orientamento sessuale lesbico. È necessario sottolineare che, tanto l’onnagata quanto l’otokoyaku, sono figure principalmente associate all’ideale estetico androgino, più che al contesto omosessuale. 2.11 LA CONFUSIONE DEI SESSI ED IL TEMA DEL TRAVESTITISMO: DA VERSAILLE NO BARA A RANMA 1\2. "In giapponese esistono due parole per definire l’androginia, ryoei e chûsei: la prima si riferisce alla compresenza in una sola persona dei due generi, mentre la seconda significa neutrale, di mezzo".116 Il fascino che suscita l’ambiguità sessuale, in Giappone, ha origini antichissime: la stessa dea Amaterasu usava vestirsi da uomo per incontrare il fratello e, nei passati riti religiosi, le danzatrici del tempio erano solite indossare abiti maschili. Anche il kimono, per la struttura rigida che elimina qualsiasi forma, è considerato il frutto di tale estetica: in realtà, nasce pensando ai corpi esili, e per nulla voluttuosi, delle giapponesi e, a sua volta, influenza i canoni di bellezza femminile, sottolineando alcune parti del corpo nuca, caviglie e fianchi - e nascondendone altre - vita, gambe e seno.117 Agnès Giard sottolinea che "non v’è opposizione tra maschio-femmina in questo paese dove, tradizionalmente, si rappresentano i corpi quasi alla stessa maniera: con la stessa forma a fagiolo"118 Tanto nel Kabuki quanto nel Takarazuka, i fan prediligono coloro che interpretano il ruolo del sesso opposto: rispettivamente, l’uomo che assume le vesti 116 Ivi, cit., pag. 122. Ciò non sorprende se si pensa all’aspetto fisico della giapponese media con gambe e cosce lunghe, ma busto piccolo e cavilla corta. Controcorrente rispetto al prototipo occidentale della donna con le gambe lunghe ed il seno procace. 118 J. M. Bouissou, Il Manga..., cit., pag. 227 117 91 femminili e la donna che indossa i panni maschili. L’onnagata, celata da una spessa maschera di trucco, compie la propria metamorfosi grazie ad uno studio severo delle movenze ed una modulazione della voce verso timbri più similmente femminili: l’obiettivo non è quello di ricalcare la figura femminile nella sua realtà, piuttosto incarnare la quintessenza stessa della donna.119 Allo stesso modo, l’otokoyaku - dai capelli rigorosamente corti ed un linguaggio maschile - personifica l’ideale dell’uomo perfetto, bello e gentile poiché, in realtà, possiede la mente ed il cuore di una donna: i bishônen, sebbene inequivocabilmente uomini, vengono recepiti come donne travestite, alla stregua delle attrici dei Takarazuka. Entrambe queste figure si trovano ‘nel mezzo’, chûsei, ed è proprio da tale condizione che trae linfa vitale il loro fascino, simbolo di un’ideale estetico della sintesi, che valica i confini di genere di una rigida società e domina i modelli - in tal caso uomo\donna giungendo ad una forma più perfetta. Perfino l’emblema della femminilità nipponica, la geisha, è segnato dalla confusione tra i sessi: le prime geishe fanno la loro comparsa nei quartieri di piacere, accanto alle yūjo, ma sono uomini chiamatihōkan, buffoni, o taikomochi, portatori di tamburi. Dunque, in qualità di commedianti e musicisti, divengono un ottimo intrattenimento per ogni festa: nel 1751, in un bordello a Shimbara, compare un nona taiko-mochi, portatore di tamburo donna, denominata geiko o nona geisha, vale a dire geisha femmina. Nel 1780, il numero delle figure femminili in tali vesti supera di molto quello dei mestieranti uomini e la terminologia viene invertita usando otoko geishaper indicare quest’ultimi e geisha, senza alcun attributo, per la donna.120 Dunque, figure dalle sembianze ambigue creano tensioni omosessuali, tanto maschile quanto femminile: anche a quest’ultima è riservato un genere specifico, lo yuri analizzato nel paragrafo successivo; ma anche il fumetto per ragazze nel suo insieme - e non solo - è popolato da donne ambiguamente androgine in vesti da uomo o perfino dichiaratamente lesbiche. Il precursore è sempre Tezuka con la principessa vestita da uomo e dichiaratamente ispirata agli spettacoli del Takarazuka, ai quali l’autore assisteva da bambino con la madre. Sorprendentemente, troviamo anche veri accenni yuri: nel terzo volume,Zaffiro sta per sposare la spadaccina Friebe che si è innamorata di ‘lui’ e sull'altare la principessa si rivela come donna mostrando il proprio seno nudo con sfumature indubbiamente erotiche. Rimane, però, un episodio isolato, poiché il tema fondamentale è senz'altro quello dell'identità sessuale di una giovane che si esprime con il termine ore: il pronome personale ‘io’ si traduce con ‘ore’, se a parlare è un uomo, e con ‘wa’, se è una donna. L’opera riflette la difficoltà di conciliare il modello femminile occidentale, giunto negli anni del dopoguerra, con il ruolo tradizionale della donna giapponese: l’irrazionale 119 Durante il suo apprendistato da geisha, Liza Dalby apprende il corretto movimento del ventaglio proprio da un attore di Kabuki, che le mostra la gestualità del polso che una vera donna dovrebbe fare. 120 In realtà, vi sono ancora oggi ragazzi iniziati a tale arte: nel 2010, il ventiseienne Eitario termina l’apprendistato e realizza il suo sogno, indossando il tipico kimono floreale femminile. 92 fobia che il fallo possa non trovarsi nel posto che gli compete. L’ansia del declino della potenza maschile è legata alla paura che le donne possano facilmente spostarsi dal posto designato per loro e che finisca per regnare il caos: che una donna, in mezzo agli uomini, sia più maschile di loro, metterebbe in luce aspetti discutibili della mascolinità. Astutamente, Tezuka interrompe i duelli tra Franz e Zaffiro in fase di parità, poiché quest’ultima rischia di essere più abile con la spada - eventualità inammissibile. Interessante notare come Franz sia talmente accecato dal risentimento verso Zaffiro ‘uomo’ - ritenuta, equivocamente, causa della sua prigionia - da non riconoscere la ‘dama con i capelli dai colori soavi’: evidentemente, qualcosa in lui gli impedisce di vedere oltre l’abito, probabilmente una recondita paura dell’omosessualità. Pertanto, è più facile discernere la sua dama quando assume le sembianze di un cigno che quando indossa la divisa da principe.121 Dopo Tezuka, lo shôjo rimane fedele al principio che l’aveva fatto nascere: la creazione di eroine vicine all’estetica del Takarazuka, per un pubblico femminile. L’opera più importante, dichiaratamente ispirata a questo topos, è Versaille no bara di Ryoko Ikeda: questo manga torna al Takarazuka con un adattamento musical, ad oggi, il più richiesto del suo repertorio teatrale; più di recente, in Ōran Kōkō Hosuto Kurabu, Host Club-Amore in affitto di Bisco Hatori, un gruppo di ragazze forma lo Zuka Club, società del giglio bianco, fervente sostenitore del ritorno al matriarcato,dal caro richiamo al teatro di sole donne; per Naoko Takeuchi, autrice di Bishōjo senshi Sailor Moon, la coppia di Sailor lesbiche dovevano essere attrici del Takarazuka - considerato, dall'autrice, il massimo livello di emancipazione femminile. Versaille no bara si rivolge ad un pubblico più adulto, rispetto all’antesignano tezukiano, con il quale molte scene presentano forti analogie: come Zaffiro va al ballo vestita da donna, così fa Oscar in una scena memorabile; come Zaffiro scambia colpi di scherma con Franz, così Oscar si allena con André; la corte di Francia e la reggia di Versailles altro non sono se non la versione matura del regno di Silverland. L’opera reinventa il romanzo d’appendice a sfondo storico, un genere europeo per eccellenza, distaccandosi dal romanzo rosa per creare un nuovo immaginario che parla d’amore e di morte, di libertà e di Storia. Nel 1972 inizia la stesura delle vicende di Oscar François De Jarjayes, giovane spadaccina dal nome maschile e capitano delle guardie di Maria Antonietta, in una Francia settecentesca attentamente rappresentata. All’interno di un quadro storico - quello della rivoluzione francese - che riprende figure realmente esistite, Oscar è un personaggio inventato: nata femmina in una casa di militari che esigeva un erede maschio, viene cresciuta dal padre come un ragazzo. Tuttavia, la Ikeda la mette in disparte per concentrarsi sull’infanzia di Maria Antonietta, solo fino all’ascesa della giovane principessa 121 Tezuka non abbandona il tema dell’ambiguità sessuale: nel manga maturo MW narra le vicende di Yuki Michio, genio del male,che sfrutta i suoi lineamenti androgini per assumere sembianze femminili e perpetrare i suoi crimini. A proteggerlo c’è Iwao Garai, un prete che conosce l’identità di Yuki e la sua natura malvagia: la relazione amorosa che lo lega a lui non gli permette di fermarlo. 93 al trono: l’una sposa bambina del principe sovrano per il bene del paese; l’altra nobiluomo per amore del volere paterno.122 Legate da un’indissolubile amicizia, entrambe sacrificano i loro sentimenti per senso del dovere ed entrambe sono innamorate dello stesso conte svedese, Von Fersen. La tragica vicenda mescola eros e thanatos, negando a tutti il lieto fine: Maria Antonietta cade vittima dell’infernale ghigliottina, André viene colpito da una pallottola vagante delle forze monarchiche ed Oscar, debilitata dai primi sintomi della tisi, cade durante i tumulti dell'assalto alla Bastiglia. A lettrici adolescenti alle prese con le esigenze della femminilità, Ikeda mostra una ragazza cui sono stati negati gli ornamenti esteriori del suo sesso, ma che trova il coraggio di riprendersi la sua femminilità e relazionarsi con l’amato come un suo effettivo pari: "una rosa non potrà mai essere un lillà! Ascolta Oscar, non potrai mai cancellare di essere nata donna" le dice André stesso e, così, Oscar rinuncia al suo rango -lui è di ceto sociale inferiore - per seguire il suo cuore, unendosi all’amato nella lotta per liberare il popolo. La prima ed unica notte d’amore tra Oscar e André, in un letto a baldacchino, è la prima scena di sesso in uno shôjo manga, certamente rappresentata in maniera casta: in realtà, a destare interesse sono i fremiti che scorrono tra Oscar in vesti maschili e André, poiché ammiccano all’attrazione omosessuale. Questa coppia ribalta doppiamente i ruoli sociali, attribuendo quello maschile a lei ma anche un aspetto femminilizzato a lui. A ciò si aggiunga anche l’interesse che Oscar, erroneamente, suscita nelle dame di corte e nella povera Rosalie che, bisognosa di denaro, le si offre credendola un uomo: l’omosessualità femminile è accettata perché frutto di un errore ed, in realtà, attrazione eterosessuale. Infine, durante il processo, la popolana Jeanne de la Motte fa riferimento ai presunti legami saffici di Oscar e Maria Antonietta: in quanto frutto di una strategia processuale, lo spettro del lesbismo è allontanato.123 Amavo molto la storia ed ero rimasta affascinata dalla biografia di Maria Antonietta scritta da Stephen Zweig e la proposi al mio editore: a leggere shôjo erano ragazzine tra i 10 e i 14 anni. Io però ero interessata a fare una cosa nuova, anche per parlare del ruolo nascente della donna in società. Nei primi anni Settanta il fatto che le donne uscissero di casa e andassero a lavorare era discusso principalmente dagli uomini, il Giappone era un Paese profondamente maschilista. Non volevo solo scrivere una biografia di Maria Antonietta, ma far vedere come una donna come Oscar affrontava una società fatta a misura d’uomo.124 122 Per un maggior approfondimento sulla vicenda editoriale di Berubara - il nomignolo affettuoso dei fan vedere il paragrafo 1.1.5. Mangaka e Fan. 123 L’accusa di orge lesbiche pendette realmente sull’ultima regina di Francia, accusata di amare sia la principessa di Lamballe che madame de Polignac. 124 Così si esprime Ryoko Ikeda, donna del 1947, che cresce in un Giappone diviso tra modernità e occidentalizzazione. Elena Romanello Il mito di Lady Oscar, Seneca Edizioni, 2012, pag 21. 94 Fuori da ogni previsione, Oscar diventa un’icona femminista e lesbica. Figure androgine popolano la produzione di Ikeda: Oniisama e…, Caro fratello e… è considerata la sua opera più interessante e compiuta, ritratto di una giovinezza al femminile senza filtri storici e romanzeschi, anche se ambientata in un mondo senza tempo, ispirato al Giappone degli anni Settanta. Il titolo si riferisce alle lettere che la protagonista, Nanako Misonoo, scrive al suo insegnante del corso di preparazione agli esami, eleggendolo a figura di ‘fratello maggiore’: infatti, si è iscritta al prestigioso istituto femminile, Seiran Gakuen, dominato dalle studentesse più popolari - dette le Magnifiche Tre -, nonché a capo dell’ambitissimo club Sorority House - Kaoru Orihara, Rei Asaka e Fukiko Ichinomiya. L’eco della crudeltà della Sorority House risuona nelle pagine dei manga a venire: questa fiaba nera si sviluppa come un puzzle, incastrando omosessualità femminile, bullismo, morte, dipendenza da farmaci, fragilità psichica ed altre situazioni al limite del patologico. La figura più affascinante dell’opera è Kaoru, stella della squadra di basket scolastica, dai modi poco femminili ed il gusto di utilizzare abiti da uomo: in realtà, ciò si deve al male terribile e misterioso che l’affligge, un cancro al seno. L’autrice omaggia i suoi personaggi facendo di Rei un clone di Oscar, di Kaoru un André al femminile, di Fukiko un sosia di Maria Antonietta. Alla fine del manga, Nanako riceve una lettera del fratello, che annuncia la morte di Kaoru - nel frattempo, divenuta sua moglie -, mentre Rei si suicida con dei barbiturici. Dunque, Ikeda è degna erede delle turpi atmosfere dei Fiori 24, trasmesse alle generazioni successive. Come già detto, la contemporanea Waki Yamato attribuisce alla giovane Benio di Haikara-san ga Tōru vizi sui generis: beve, picchia gli uomini, rifiuta l’omiai, si impegna come giornalista sui campi di battaglia della Manciuria ed è pronta a morire con l’uomo amato fra le rovine della Tokyo devastata dal sisma del 1923. Ma tale ‘virilizzazione’ dei personaggi femminili si spinge oltre ed anche la Yamato viene tentata dal topos del travestitismo in N.Y. Komachi: nel Giappone degli inizi Novecento, la giovane Shino è stata cresciuta come un uomo, affinché la famiglia Konohana avesse il suo erede. Tuttavia, al compimento del sedicesimo anno di Shino, la seconda moglie disuo padre dà alla luce un figlio maschio: adesso, alla ragazza viene imposto di rientrare nel proprio ruolo, di abbandonare la libertà cui era stata abituata, nonché di sposarsi con l’indolente vicino di casa. Da qui, l’idea di fuggire verso New York grazie ai consigli dell’americano Daniel Irving, lo scambio di navi e la rotta verso Hakodate, l’incontro con uno scienziato inglese che tenta di trasformarla in una perfetta lady e poi intrighi, tradimenti, sentimenti nuovi e contrastanti per giungere al matrimonio con l’uomo amato. Il manga coglie Shino nel momento della vita in cui deve dimettere gli abiti da uomo - differenza sostanziale con Oscar - e, dunque, presenta alle lettrici una protagonista mascolina ed energica, poco disposta a rassegnarsi al tradizionale destino delle donne e contraria al matrimonio combinato: evidente la parentela con Benio, anche per il periodo storico di un Giappone in cambiamento. Ma i 95 parallelismi- assai superficiali - si fermano qui: il travestitismo di Shino è interiore, frutto di una diversa educazione, tanto da non saper neanche esprimere le sue emozioni come donna, ma abilmente capace nella matematica - è lei a svolgere le pratiche di contabilità dello scienziato inglese che, al contrario, è negato.125 La mangaka Yumiko Igarashi, contemporanea delle disegnatrici sopracitate, percorre tale finale con l’interessante opera anni Ottanta Paros no ken, La spada di Paros di ambientazione fantasy, che vede una principessa mascolina Erminia combattere per salvare il suo regno ed innamorata della lavandaia Fiona: il triangolo di personaggi Erminia-Fiona-Julius, amico d’infanzia della principessa, ricorda quello di Versaille no bara, formato da Oscar-Rosalie-Andrè; sebbene Erminia sia più simile a Claudine, altro personaggio della Ikeda nell’omonima opera.126 Tuttavia, l’eredità di Riyoko Ikeda viene raccolta da un gruppo di artisti chiamati Be Papas, nell’opera Shojo Kakumei Utena, La rivoluzione di Utena del 1996. I disegni sono opera della mangaka Chiho Saito, affrontata più avanti. Sebbene non venga cresciuta come un uomo, anche Utena è solita vestire abiti maschili e non ha la minima esitazione nel combattimento; le divise scolastiche dell’istituto rievocano, nella forma e nel decoro, le uniformi settecentesche delle truppe francesi e l’onnipresente simbologia legata alla rosa richiama la traduzione letterale del titolo Versaille no bara, la rosa di Versailles. Tuttavia, Utena, più palesemente rispetto al comandante delle guardie di Maria Antonietta, dimostra di voler essere lei stessa un principe e, pertanto, si cimenta in numerosi duelli - rigorosamente ad armi bianche come la sua ispiratrice -, volti alla conquista della ‘Sposa della Rosa’. L’ambientazione non recupera l’amore per la Storia della Ikeda, in favore di un Giappone contemporaneo - agli inizi Duemila - e luoghi che di scolastico non hanno che una misera parvenza: un mondo di fantasia con fontane dall’architettura rinascimentale e torri barocche in vetro, lungo quattro archi temporali. Anche Utena fa parte della schiera di orfani della produzione manga, perdendo i genitori a soli sei anni: disperata per la loro morte, cade in un fiume in piena e viene soccorsa da un misterioso principe, dal profumo di rose. Grazie ad un anello con il sigillo di una rosa - ricevuto alla fine del fatidico incontro -, Utena giunge all’istituto Otōri dove altri ragazzi possiedono il suo stesso anello: il suo ingresso si caratterizza per un look né maschile né femminile ed un comportamento poco ortodosso sistematica violazione delle regole scolastiche ed attuazione di un codice cavalleresco - e ciò perché ha deciso di vivere emulando il proprio salvatore e non di aspettarlo per divenire sua moglie.127 Il fulcro tematico del manga sono i duelli della Rosa, che mirano alla conquista di Anthy Himemiya, fantomatica sposa che detiene la spada di Dios, nonché chiave ‘vivente’ Il paradosso dell’esempio risiede nello stereotipo che vuole il genere femminile meno portato nella matematica di quello maschile - luogo comune che accomuna tanto l’Oriente quanto l’Occidente 126 Per un maggior approfondimento sul Paros no kene sull’autrice vedere il paragrafo 2.14 Igarashi e Saito, maestre del sentimentalismo: lo shôjo caro al melò. 127 Si ribalta il topos dell’eroina salvata da un uomo misterioso, che porta la firma di Igarashi, approfondito nel paragrafo dedicato all'autrice. 125 96 necessaria ad aprire la porta per il Bene e il Male e per conoscere le sorti del mondo.128 Bramata da ogni duellante alla stregua di qualsiasi oggetto del potere, Anthy è una ragazza bella e misteriosa, ma priva di sentimenti e, pertanto, capace di gesti crudeli che contaminano le sembianze principesche con i tratti di una strega malvagia: come vuole la regola, diventa la sposa di Utena, vincitrice del primo duello che la porta ad un susseguirsi di eventi tra il lieve misticismo ed il potente melodramma. Quest’opera è un’allegoria dalla simbologia potente, che rovescia gli schemi della narrativa favolistica classica, soprattutto grazie all’elemento androgino in primo piano: Utena si nega alle attenzioni dei giovani ed ottiene popolarità fra le ragazze, ma sentimenti omosessuali ed eterosessuali si intrecciano ed alternano fino alla fine. La ragazza principe, inconsapevole, viene baciata nottetempo dal timido pianista Miki Kaoru, scatenando le ire della sua gemella gelosa - un classico del futago manga; Tōga Kyrio, giovane arrogante ed assetato di potere, tenta di conquistare sensualmente Utena per ottenere il potere di rivoluzionare il mondo, arrivando a baciarla contro il suo volere;129 Akio Ōtori, nonché fratello maggiore di Anthy,è la figura maschile più controversa, verso il quale Utena prova un reale trasporto passionale. In seguito ad una scena dal sapore erotico in cui Akio le toglie gli indumenti bagnati, Utena confessa alla sua sposa di tornare bambina quando è in sua presenza: il bacio tra Utena ed Akio arriva alla luce delle stelle nel planetario, sotto gli occhi increduli di Anthy legata al fratello da un rapporto incestuoso. Eppure, nessun episodio sopracitato - o altro esempio che il manga offre presenta la forza romantica dei momenti passionali che coinvolgono le due spose, come quando Anthy decide di consegnare ad Utena la spada di Dios - che le esce dal petto -, dopo un bacio capace di scaldarle il cuore. Grazie alla volontà autoriale di stravolgere gli schemi, le due protagoniste sono considerate la prima coppia non stereotipata del mondo yuri, giudizio confermato dallo splendido finale di rinascita: non epilogo tragico, bensì inizio per la nuova vita di Utena e Anthy, maturate al punto di comprendere che la vera forza in grado di rivoluzionare il mondo è racchiusa nella propria volontà di cambiare. Negli anni Novanta si assiste ad una fioritura di tale topos: prime fra tutte, le autrici note con lo pseudonimo CLAMP omaggiano l’estetica dell’androginia, nelle loro opere. La regina della commedia amorosa scolastica, Ai Yazawa, realizza Mint na bokura, Cuori di menta in cui la protagonista si ingegna a violare le regole di una scuola femminile facendovi entrare, sotto mentite spoglie, il fratello gemello che è deciso a seguirla in ogni sua scelta ma ne paga un pegno imbarazzante quando scopre che un ragazzo si è invaghito di lui en travesti. Nel 2002, inizia la serializzazione del manga Princess Princess di Mikiyo Tsuda - l’autrice usa questo nome d’arte per gli shôjo, mentre Per un maggior approfondimento sulla ripresa dell’iconografia cristiana vedere il paragrafo 2.6 Evoluzione storica del genere: Mama-san e Papà-zuka 129 Nel manga, i rapporti di Tōga con Saionji e Akio, sottolineano una voluta ambiguità sessuale, tanto da renderlo un personaggio molto amato nel fandom yaoi. 128 97 firma i boys’love con Zaô Taishi -, una commedia scolastica che presenta tematiche trasgender, nella migliore tradizione del travestitismo in formato onnagata. Il giovane Toru si trasferisce in un nuovo, esclusivo liceo maschile, nel quale si perpetua una tradizione peculiare: gli studenti dai lineamenti più androgini vengono selezionati per diventare le principesse della scuola, incarnado l’ideale femminile per gli studenti del liceo, che ne traggono gioia e motivazione in un ripetitiva e dura vita scolastica. Del tutto assenti i riferimenti alle implicazioni sessuali del loro ruolo sui generis, di grande interesse sociologico è notare il segno della differenza culturale: come, in Giappone, l’estetica dell’androginia elevi figure effeminate che, in Occidente, sarebbero vittime di bullismo. Una situazione stimolante è quella presentata da Tsukasa Hôjônel suo Family Compo: rimasto orfano, Masahiko viene accolto nella famiglia dello zio materno, divenuto una trans: la zia ha un marito, cioè una moglie lesbica, che assume con grande pertinenza il ruolo maschile nella casa ed insieme danno vita ad un matrimonio legittimato dalla legge tra un uomo e una donna, a tutti gli effetti. L’unione è coronata dalla nascita di una bambina o bambino: fino alla fine, la storia non rivela il sesso di Shion che, all’ingresso di Masahiko, ha cambiato scuola ed identità di genere,di anno in anno. Un fumetto paradossale che ricorda il personaggio di Eriko, la mamma transessuale, in Kitchen di Banana Yoshimoto: ispirato al manga Shichigatsu nanoka, Accadde il 7 luglio di Yumiko Ōshima del 1976, dove un baldo giovane, alla morte del suo amato che era vedovo con una bambina, assume il ruolo di madre per onorare la memoria del defunto, curandone la figlioletta. Con Banana, il personaggio assume una dimensione reale ed autentica, mancante nel manga, che aiuta a sviluppare due tematiche fondamentali: la famiglia come invenzione - Eriko diventa la madre di Yūichi e Mikage, eleggendo entrambi a propria famiglia - e la ricerca di una nuova ridefinizione dei ruoli maschile e femminile - l’amore tra Yūichi e Mikage: lui è lontano da un’immagine di virilità minacciosa, ma anche dall’ambiguità dei bishônen; mentre è lei a prendere l’iniziativa, dando voce ai sentimenti di entrambi. Con il tempo, l’omosessualità celata ermeticamente in Versaille no bara emerge: in particolare, i fan di Oscar si affezionano alla figura di Haruka Tenou, Sailor Urano, in Bishōjo senshi Sailor Moon: le due figure si comportano perfettamente come fossero una coppia vera e propria. Nello stesso testo, non mancano tre personaggi trasgender, le Sailor Starlight, nascoste sotto spoglie maschili che ritornano donne quando devono combattere. Invece, la talentuosa mangaka Takahashi omaggia Ikeda in Urusei Yatsura con il personaggio di Ryunosuke, ragazza cresciuta dal padre come un maschio, edin Ranma 1\2 con la figura della pattinatrice Azusa Shiratori, collezionista con la mania di impossessarsi delle cose altrui, che sequestra Genma Saotome sotto le sembianze di un panda, travestendolo da Oscar: tutti i suoi oggetti si richiamano, nel nome, al mondo di Versaille no bara. Proprio quest’opera da vita ad un personaggio che assurge a emblema del 98 travestitismo, per la sua particolarità di cambiare, letteralmente, natura sessuale. Durante un allenamento di arti marziali in Cina, il giovane Ranma e suo padre, Genma Saotome, cadono nelle sorgenti maledette: da quel momento sono condannati a trasformarsi, rispettivamente, in una ragazza ed in un panda al contatto con l’acqua fredda; l’effetto scompare se bagnati con acqua calda. Dunque, il fulcro dell’azione è rappresentato da questa imbarazzante peculiarità e la trama diventa un mero espediente per inscenare episodi iperbolicamente comici: Ranma 1\2 può essere definito come gyagu, dall’inglese gag, manga, filone che nasce quando la comicità si configura come elemento fondante ed irrinunciabile della narrazione. Dal momento che l’opera è immersa in un grande caos, l’autrice sceglie il nome del suo protagonista, non solo perché raro e valido sia al maschile che al femminile, ma soprattutto perché significa ‘confusione’.130 Differentemente dalla norma che vige nel panorama manga, qui, la dualità dell’identità sessuale viene affrontata in maniera stuzzicante e spiritosa, lontana dai dubbi esistenziali, dal sentimentalismo, da ideologie velate e da implicazioni morbose: l’autrice mescola tema scolastico ed amore adolescenziale in un carnevalesco manga avventuroso e dinamico. Insieme all’autore Mitsuru Adachi, Takahashi è la maestra incontrastata della commedia amorosa anni Ottanta, contaminata dal fantastico: le opere di entrambi travalicano la classificazione in target e sono in grado di rivolgersi indifferentemente ad ambo i sessi. Nel paragrafo dedicato all’omiai, si è parlato del fidanzamento combinato del protagonista con la bella Akane, anche lei esperta di arti marziali, nonché prototipo dell’otenba, maschiaccio: la giovane si ritrova accanto una persona che vive la peculiare esperienza di essere, talvolta, in un corpo maschile e, talvolta, in un corpo femminile. La leggerezza con la quale viene trattata la questione si esprime nelle battute maliziose delle sorelle maggiori, che alludono alla fortuna di questo doppio matrimonio - si può godere del piacere di entrambe le nature - con un giovane che non manca di ammiratrici, quando è uomo, né di pretendenti, quando è donna. I personaggi di questo manga sono innumerevoli, tutti eccentrici e, certamente, legati a Ranma sia uomo sia donna, o per odio o per amore. Ciò comporta equivoci amorosi eterosessuali, solo in apparenza: la metamorfosi del protagonista è esclusivamente fisica e, così, la ‘ragazza col codino’ resta comunque un uomo. Nonostante sia un manga comico,fa riflettere il modo con cui il ragazzo si relaziona al suo corpo da donna: inizialmente Ranma non accetta la sua natura femminile e la svilisce appena possibile, indossando solo abiti e biancheria maschile e girando spesso a seno nudo, rispettivamente simbolo di un doppio maschile ed icona erotica; ma anche quando impara ad accettare tale aspetto, sfrutta il corpo voluttuoso per i suoi scopi, sia in combattimento sia nella quotidianità- come ottenere gratuitamente dei nikuman, ravioli al vapore, grazie al tipico fascino fanciullesco di una 130 La serie è basata sugli scontri tra i vari personaggi in un panorama di arti diverse che vanno dal kendo alla ginnastica artistica, passando per il pattinaggio e la lotta indiscriminata. 99 donna. Quasi che un uomo no possa capire l’essere donna, neanche quando ne assume effettivamente le sembianze. L’eroe viene baciato tanto da uomini quanto da donne - per fare due esempi, la guerriera cinese Shampoo lo bacia diverse volte in forma di ragazzo e l’abile pattinatore Mikado Sazenin ruba un bacio sulle labbra alla sua versione femminile -, ma mai con la sua promessa sposa, nonostante incarnino il prototipo della coppia di innamorati. Anzi, sembra avere un dono naturale nell’offenderla: nel corso della serie l’eroe finisce maldestramente per dirle che è poco carina, che i suoi comportamenti non sono molto femminili e che, in versione ‘ragazza col codino’, il suo seno è più grande di quello di lei. La parodia del genere romantico tocca l’apice nella conclusione: finalmente, si giunge al sospirato - dai lettori - matrimonio tra i due protagonisti per poi essere interrotto da una baraonda. Nonostante molti fan non abbiano preso bene la scelta di questo finale aperto, è indubbia la sua coerenza con l'atmosfera del manga: torna al punto di partenza, ma allo stesso tempo, conclude poiché è, ormai, chiara la natura del sentimento che li lega e, nell’ultima scena, Ranma abbandona il solito muretto per percorrere il tragitto casa-scuola accanto ad Akane- simbolo dell’abbattimento delle distanze. Mentre le figure maschili spaziano dalla tipologia del padri degenere - Genma Sautome - al vecchio maniaco e ladro di intimo femminile - Happosai -, la galleria di personaggi femminili forti e indipendenti - comunque, non equilibrati mentalmente - è fuori le righe e degna di nota: a partire dalla madre di Ranma, Nodoka Saotome, che appare nel manga con una katana, tipica spada giapponese, da usare contro padre e figlio.Suo marito le ha promesso di trasformare Ranma nel più virile tra gli uomini,pena illoro seppuku,il suicidio dei samurai,ad opera di lei stessa in veste di kaishakunin, boia.131 Quasi fossero emanazione della materna ‘virilità’, s’incontrano: la cinese Shampoo la cui forza è superiore a quella della maggior parte degli uomini e, pertanto, la legge del suo villaggio le impone di sposare solo colui capace di batterla in duello - tale è la condanna di Ranma; la gotica Kodachi,i cui petali di rosa neri l’affiancano alla figura di una vedova nera, che ha eletto Ranma a marito ideale; la viziata Picholet Chardon II, capace di ottenere tutto ciò che vuole - nonostante sia una donna; la dolce Ukyo, prototipo della donna emancipata - possiede un ristorante sensibile ma anche approfittatrice all’occorrenza, capace di maneggiare una spada degna della potenza di un uomo, nonché altra fidanzata ufficiale di Ranma - in giovane età viene truffata dal Genma per avere come dote il carretto degli Okonomiyaki, piatto agro-dolce giapponese. Quest’ultima si presenta in vesti maschili, tanto da essere scambiata come tale e si accompagna ad altri personaggi androgini: il travestito Tsubasa Kurenai, un suo compagno della scuola maschile che lei frequentava sotto mentite spoglie, ed il sottoposto Konatsu, con un’infanzia che ricorda quella di Cenerentola e cresciuto come donna sotto le vesti di una 131 L’autrice riprende, sempre in chiave comica, lo stereotipo della madre-mostro trattata nel paragrafo 2.7 Ribon no kishi come specchio dell’umano: stereotipi femminili. 100 kunoichi, ninja di sesso femminile. Per il primo quello da donna è solo dei molteplici ed assurdi travestimenti che mette in azione; per il secondo, la questione è più interessante: caratterialmente molto femminile, ribalta al maschile la figura di Lady Oscar e delle sue nipotine e, anche una volta scoperta la sua identità, continua a lavorare come cameriera con un kimono da donna. Infine, la stessa virilità di Ranma viene messa in dubbio, tanto nel corso della serie - preferendo gli allenamenti di arti marziali alla compagnia di una bella ragazza - quanto nel finale: l'acqua capace di rompere la maledizione che grava su di lui è sempre stata nella casa, ma finisce per berla il vecchio maniaco Hipposai. Così, Ranma resta definitivamente Ranma 1/2, vale a dire uomo a metà, costretto ad accettare la sua alterità: la comicità è uno dei pochi mezzi attraverso i quali è possibile far passare idee sovversive. L’identità come processo non è una condizione a priori del sé, bensì una costruzione sociale: l’identità - maschile e moderna - è il frutto della differenza e processo di costituzione dell’alterità. Ciò conduce al passing, processo attraverso il quale una persona ha l’aspetto di qualcun altro o qualcos’altro a patto di espellere il segno della propria differenza: il passer abita uno spazio intermedio con un corpo ibrido ed anela ad essere membro di coloro che partecipano al potere - che sia una questione di razza, di genere o di sessualità. Quando una donna crea liberamente il proprio destino si fa ‘simile all’uomo’, nel suo atteggiamento verso la propria libertà: non uno slancio verso l'inclusione omologante nel canone maschile, piuttosto un divenire finalmente Soggetto, sottraendosi alla funzione di puro Altro. Secondo Bouissou, Riyoko Ikeda ha perfezionato un espediente narrativo che presenta anche il tema dell’ ‘invidia del pene’ caro a Freud, permettendo a ragazze cresciute in una società maschilista di liberarsi simbolicamente della paura dei ragazzi: tuttavia, per il teorico Oscar fallisce nel tentativo di emanciparsi poiché, non solo ripiega sul sentimento fraterno con André, ma muore nella sua divisa maschile.132 Gli esempi riportati mostrano anche uomini ‘in gonnella’: il travestitismo maschile è, usualmente, un artifizio narrativo finalizzato ad effetti comici; invece, il manga ne fa una moda che potrebbe essere dovuta ad un’ ‘invidia della vagina’, poco affrontata dalla psicoanalisi, che Bruno Bettelehim individua in speciali riti di passaggio di alcune società primitive. L’inconscio mascolino rifiuta vergognosamente questa sua invidia inconfessata di appropriarsi del potere femminile di donare la vita.133 A prova di ciò, l’autore francese fa riferimento al notevole guadagno di status della sfera femminile in questi ultimi anni e al calo demografico che minaccia l’Arcipelago valorizzando il ruolo riproduttivo. A tal proposito, il manga Kanojo ni Naru Hi, narra di uno studente delle superiori, Miyoshi, da sempre in competizione con il suo amico d’infanzia, 132 Freud sostiene che in tutte le persone è possibile rintracciare un grado di omosessualità latente o in conscia; l’androgino che, contiene certo qualche elemento di omosessualità, è più che altro un ‘fantasma sessuale’ o asessuato. 133 Tale fobia inconscia viene rielaborata drammaturgicamente dal genere horror: 2.18 Il genere horror e la nevrosi femminile. 101 Mamiya, fino al giorno in cuiquest’ultimo ricompare a scuola con le sembianze di una bellissima ragazza: la storia si ambienta in un mondo che segue una logica di equilibrio tra uomini e donne, tanto che i membri di un sesso vengono riconvertiti dalla natura in quello opposto, secondo le necessità. Dunque, c’è l’eco di una paura per le sorti del genere umano: certamente, tale aspetto resta sullo sfondo a favore delle dinamiche omosessuali e di detenzione del potere che intercorrono tra i protagonisti. Oramai, molteplici sono gli esempi di travestitismo, androginia e amori omosessuali, presenti nei manga - che siano shôjo, shônen, seinen o josey -, anche mainstream non dedicati all’argomento né ad un pubblico specifico. 2.12 LO YURI MANGA E L’AMORE SAFFICO Il termine giapponese yuri indica il genere manga le cui storie ruotano intorno all’amore saffico, enfatizzando tanto la parte sessuale quanto quella emotiva delle relazioni tra donne. Letteralmente, il termine ha il significato di giglio ed è piuttosto comune come nome personale femminile, come molti altri nomi di fiori. Nel 1971, l’editore Itou Bungaku utilizza per la prima volta i termini barazoku e yurizoku per riferirsi rispettivamente ai ragazzi e alle ragazze omosessuali.134 In seguito, la particella-zoku, tribù, cade e rimane l'abitudine ad utilizzare il termine yuri per riferirsi a tutti quei prodotti che rappresentano amore, desiderio ed attrazione fra donne: Il termine yuri può essere utilizzato per descrivere anime e manga - o anche altro, come fanfiction, film, ecc. - che mostrano una forte connessione emotiva o anche solo desiderio fisico fra donne. Lo yuri non è un genere definito dal sesso o dall'età degli spettatori, ma dalla percezione degli spettatori stessi. Possiamo, se si vuole, differenziare fra shounen yuri, scritto da uomini per uomini; shoujo yuri, scritto da donne eterosessuali per donne eterosessuali e ciò che noi di Yuricon chiamiamo yuri puro, scritto da lesbiche per lesbiche. Ma tutti questi sottogeneri sono comunque sempre yuri. In definitiva, è yuri ogni storia con donne innamorate di - o che provano attrazione sessuale verso - altre donne.135 Così come la definizione Boys’ love ha sostituito quello di Shônen’ai, il termine Yuri viene favorito a Shôjo-ai che,come il corrispettivo maschile, viene associato alla pedofilia: la traduzione occidentale dei termini sostituiti è, erroneamente,‘amore fra ragazze’ ed‘amore fra ragazzi’, ma letteralmente significano ‘amore per le ragazzine’ ed‘amore per i ragazzini’. 134 Itou Bungaku è a capo della rivista Barazoku, Tribù della rosa: uscita nel 1970, è una delle prime pubblicazioni rivolte a ragazzi omosessuali, raccogliendo tutti gli autori di fumetti gay già pubblicati su Fuzokukitan - dedicata alle pratiche sessuali meno ortodosse. 135 La citazione è presa dal sito Yuricon, ritenuto un punto di raccordo fondamentale nella rete per tutto quanto concerne il genere. 102 Per riferirsi al genere, è facile incontrare anche la sigla GL,Girls Love: nessuno dei termini citati è utilizzato dalle ragazze omosessuali o bisessuali giapponesi per descrivere se stesse, preferendo prestiti linguistici dall’inglese lez o lesbian oppure parole appartenenti al gergo omosessuale, come nabe. Detto ciò, va specificato che il genere nasce principalmente per stuzzicare le fantasie di lettori uomini ed eterosessuali: il successo tra il pubblico maschile è tale che, negli ultimi anni, si assiste allo sviluppo di una vera e propria moda di personaggi yuri -perlopiù stereotipati - in manga non specifici per attirare un pubblico più largo;nonché di relazioni yuri che rimangono relegate su di un piano secondario e che spesso accendono le fantasie degli otaku senza concretizzarsi sul piano ufficiale. Dunque, lo yuri è legato a doppio filo al concetto di fan service - elementi che indugiano, gratuitamente, su particolari che soddisfano le richieste del pubblico, nella maggior parte di natura sessuale, ma non necessariamente -, tuttavia le storie sono condite da un coinvolgimento sentimentale che lo differenzia dal manga erotico. Un esempio di yuri creato da un uomo per uomini è Hen di Hirota Oku, dove l’intreccio lesbico viene approfondito solo in funzione dell’appeal che ha sui lettori e le scene di nudo abbondano: è interessante la dualità caratteriale, ma soprattutto fisica, delle protagoniste che sembrano uscite, l’una, dalle pagine shônen con le sue forme prorompenti e, l’altra, da quelle shôjo per la sua tipica esilità.136 Si riprende il cliché di donne eterosessuali che scoprono la propria omosessualità: nel tipico setting scolastico - in voga presso il genere -, si incontrano Chizuru - bellissima studentessa che eccelle in tutto ciò che fa, consapevole di essere il sogno di tutti gli uomini, che sapientemente manipola - e Azumi - la tipica ragazza innocente, della porta accanto - in un susseguissi di luoghi comuni, che vanno dall’iniziale antipatia tra le due, al rifiuto di un’attrazione per lo stesso sesso, alle parallele storie eterosessuali precedenti l’incontro tra le due donne. Certamente, tali punti vengono solo accennati per dare una continuità che porti a nuove scene di sesso; inoltre, nella storia è presente anche una sottotrama shônen ai tra i comprimari Ichiro e Sato: fan service a 360 gradi. Le donne non hanno perso tempo ad appropriarsi del genere yuri, rendendolo più vicino alla sensibilità GLBT, ‘gay\lesbico\bisessuale\trasgender’, gradito a livello internazionale: il primo amore yuri risale al 1971 nel manga Shiroi heya no futari di Ryoko Yamagishi, sebbene il sentimento sia a senso unico e la storia destinata a tramutarsi in tragedia.137 Così come le figure dei bishônen nascono sulle pagine del Gruppo 24, non stupisce che sia proprio una di loro a dare vita a storie saffiche nella tipica ambientazione di 136 Molto esplicativa, in tali termini, è la copertina del terzo volume di Hen, che mostra le protagoniste in costume da bagno: l’una di spalle, in posa di pudico imbarazzo, coperta da un costume nero intero; l’altra di profilo, provocante e sfacciata, indossa un succinto costume rosso. 137 In realtà, precursore del genere è considerato Sakura namiki di Makoto Takahashidel 1957:non propriamente yuri, è la storia di tre studentesse che fanno parte del club ping pong, in una scuola solo per ragazze.) 103 un collegio, stavolta esclusivamente femminile. La figura ammaliante, forte e difficile di Simone incontra quella remissiva ed insicura di Resine: quest’ultima respinge ossessivamente l’attrazione che le lega e che sarà loro fatale; al contrario, Simone ostenta la propria omosessualità, frutto di una madre che la trascura per dedicarsi ad altri uomini - in perfetto stile freudiano, come se tale inclinazione sessuale necessitasse una ragione intrinseca. Originale è la galeotta rappresentazione di Romeo e Giulietta, che permette a Simone di approfittare del bacio nella scena del balcone: Resine fugge dalla scuola e Simone viene uccisa da uno dei suoi avventori, dopo essersi ubriacata per il rimorso. Opera molto coraggiosa per l’epoca - anche puramente da un punto di vista commerciale, non si sapeva se avrebbe avuto un mercato -, presenta in nuce tutti gli elementi che definiscono lo yuri come tale. I fan del genere amano la capacità di distorcere e stravolgere i ruoli tipici presenti sia nella società sia nell’universo manga, mostrando personaggi femminili che ricoprono un ruolo più deciso e meno sottomesso. Altro carattere peculiare, spesso criticato, è il finale tragico: a volte, l’alone di struggente sentimentalismo invade l’intera trama con il tema dell'amore non corrisposto. Un esempio è il manga Card Captor Sakura del gruppo CLAMP: Tomoyo, pur consapevole dell’eterosessualità di Sakura, prova per lei un sentimento che è più di una semplice amicizia.138 Frequente è la presenza di personaggi eterosessuali - se non entrambi, almeno uno dei due -alle prese con una nuova attrazione, di tipo omosessuale, che mette in discussione la loro vita e le loro relazioni sociali: la figura di Utena Tenjo in Shojō kakumei Utena è precursore di tale topos. Infine, si predilige un’ambientazione scolastica, dove le relazioni yuri sono spesso legate al concetto onēsama\kōnai: l’espressione solitamente indica il legame tra sorella maggiore e sorella minore e, nel contesto dei manga, assume la valenza di stereotipo di genere. Tali caratteri generali non sono il frutto tanto di una scelta estetica, quanto di processi sociali. L'attrazione per persone dello stesso sesso, in età adolescenziale, è ritenuta naturale in Giappone, più che in Occidente: lo scambio di doni, carezze e baci - soprattutto fra le ragazze - ed il confondere l’infatuazione con l'ammirazione per una persona più grande che assume il ruolo di idolo sono considerate norma nella vita scolastica dei giapponesi - certamente, ciò non significa che vi siano diffuse sperimentazioni sessuali adolescenziali. Tali atteggiamenti rientrano nella serie di esperienze giovanili - alla stregua delle meches ai capelli o delle mode kawaii, lolita, kogaru,… - che devono finire con il raggiungimento dell'età adulta: ‘Ma queste sono cose che si possono fare solo a sedici anni … poi, quando avrò superato i vent’anni, lascio perdere’, esemplificative le parole di una 138 Secondo le dichiarazioni delle autrici, uno dei loro scopi in questo manga era di rendere le minoranze ‘normali’ agli occhi di Sakura, tanto da accogliere sia stranieri - gli studenti Shaoran ed Eriol, rispettivamente cinese e inglese - sia altre forme di amore - le figure omosessuali di Yukito e Touya. Per un maggiore approfondimento vedere paragrafo 2.18 Il Mahō shôjo e il misticismo del pensiero giapponese 104 Bosozoku.139 Tali dinamiche ricordano gli ambienti dell’antica Grecia e, non a caso, il termine saffico - definizione di omosessualità femminile - deriva dal nome della celebre poetessa greca Saffo, così come il sinonimo lesbismo dall’isola dove nacque, Lesbo. All’omosessualità femminile si attribuiva una funzione pedagogica, analoga a quella maschilee rappresentava per l'adolescente una fase di passaggio dall'età infantile al mondo degli adulti: la giovane veniva educata e preparata al matrimonio e ad una delle sue funzioni essenziali, vale a dire la procreazione. Dunque, tale rito d’iniziazione sessuale si consumava all’interno di comunità femminili - per antonomasia, il circolo di Saffo -, poi abbandonate con l’arrivo delle nozze.140 Tale pseudo-omosessualità, richiama la situazione yuri standard che affronta l’amore saffico come una parentesi di vita: due ragazze adolescenti scoprono la propria sessualità all’interno di un’istituzione scolastica, per poi abbandonare dolorosamente tale passione, una volta terminato il liceo. Nel 1977, l’autrice Kiriko Nananan debutta, nel genere yuri, con Blue, una delicata storia d’amore tra due liceali: Kayako frequenta l’ultimo anno del liceo femminile, al quale si è appena iscritta. Nel tentativo di stringere nuove amicizie, scopre di essere attratta dalla sua compagna di classe meno socievole e più misteriosa, Masami. Tali figure ricalcano due tipologie di personaggi tipiche, l’ Ojou-sama ed il Moekko, che seguono le modalità del rapporto sopracitato onēsama\kōnai: la prima figura si presenta elegante e raffinata, spesso di nobili natali, dal carattere deciso, abile in tutto quello che fa e, per questo, amata ed ammirata da tutti; la seconda, molto più frequente, è un'ordinaria ragazzina timida ed insicura, senza doti particolari se non una grande ingenuità e perfetto contraltare dell’Ojousama. In Blue, tra le due ragazze nasce un’amicizia destinata a trasformarsi in un sentimento più profondo ed iniziano a condividere mille progetti di un futuro insieme. Eppure, alla fine dell’anno scolastico si assiste ad un epilogoné felice né ottimista: sedute in riva al mare, Kayako annuncia la sua partenza per Tokyo, dove proseguirà gli studi, e Masami, che vuole rendere i propri genitori orgogliosi, confessa di voler giungere al matrimonio. La realtà fa il suo ingresso con una logica disarmante: la romantica scena di un treno in partenza, come metafora dei due destini divisi, chiude il manga. Pur essendo una semplice - e datata - storia d’amore adolescenziale, il volume ha un valore artistico-espressivo, che influisce sulle opere a venire per l’assetto di tavole e vignette, totalmente prive di sfondi per concentrare l’attenzione sui personaggi ed i dialoghi e per i suoi contenuti: il classico setting scolastico, un amore tra due adolescenti di cui una precedentemente eterosessuale - Masami perde la verginità con un uomo sposato, restando incinta e costretta ad abortire -, il lieto fine 139 Il termine è composto da tre kanji: bo, violenza, so, velocità, e zoku, gruppo, cioè gruppo della velocità violenta. È usato per ‘banda di motociclisti’ o solo ‘motociclista’: tale fenomeno, come manifestazione di subcultura, nasce nelle periferie dei centri urbani, a partire dagli anni Sessanta. 140 La stessa Saffo era una donna felicemente sposata; si aggiunga che la leggenda sulla sua morte vuole che si sia gettata da una rupe per l’amore non corrisposto del giovane Faone, dunque un uomo. 105 negato.Sequel ideologico sulle avventure di Kayako all’università potrebbe essere nominata l’opera Rica’tte kanji!?, Una specie di Rica?! di Rica Takashima, un’altra autrice che ha raggiunto il successo grazie al genere yuri. Dunque, Rica è una studentessa che si trasferisce a Tokyo per frequentare il primo anno di università: sa di essere lesbica ed approfitta della libertà concessa dalla grande città, frequentando i locali del quartiere gay, Shinjuku Nicchôme. In un bar conosce Miho, una studentessa d’arte un po' più grande di lei e nasce subito più di un’amicizia: Rica, indolente ad un rapporto esclusivo, intesse relazioni superficiali anche con altre ragazze, in un susseguirsi di gag. Il tutto viene affrontato con grande leggerezza e comicità: nel loro primo incontro, Rica investe Moho, sigaretta in mano, con la sua buffa spontaneità, degna della Katharine Hepburn in Susanna - finalmente, preferita al personaggio tragico di Rossella O'Hara in Via col vento; ironica è anche la figura di Michiru - mostrata in una sequenza di vignette tutte uguali, dove a cambiare è solo la sua accompagnatrice -, una latin lover che ricorda Jude Law in Alfie.141 Da un lato, il romanticismo s’infrange contro le reali difficoltà che una ventenne incontra all’idea di una relazione seria e, dall’altro, contro un ottimismo ironico che alleggerisce la tematica lesbica, da sempre velata di drammaticità. Sono storie che affrontano il tema del viaggio verso la maturità e, come se non fosse già difficile crescere, queste giovani donne devono fare i conti con il proprio essere diverse.142 Inoltre, quello che tali manga alludono - ma non mostrano - è la rinuncia a cui si è costretti, una volta varcata l’età adulta: accade che si convola a nozze pur essendo dichiaratamente omosessuali. In tal caso, ogni forma di discriminazione decade, sebbene ciò possa sembrare un non-sense, e si continuano ad avere le proprie relazioni sentimentali e sessuali:un esempio lo si può trovare in Maria-sama ga miteru di Satoru Nagasawa, nelle figure di Sachiko e Kashiwagi, o in Love my life, nei genitori di Ichiko. I titoli da citare sarebbero innumerevoli: la produzione di yuri è vasta ed articolata quasi quanto quella dell’intero genere shôjo. Certamente, non si può prescindere dalla figura di Ebine Yamaji, fautrice della svolta femminista dello yuri: Mahoko, Love my life, Indigo Blue, Sweet Lovin’ Baby, Yoru wo koete, Free Soul, Kaigaratachi, tra i principali titoli. L’opera del suo debutto è Love my life: sebbene più originale rispetto al panorama che la precede, è la tipica storia d’amore tra due studentesse universitarie, Ichiko ed Eri. Tuttavia, degno di nota è il momento in cui Ichiko decide di confessare al padre la sua relazione omosessuale. Inaspettatamente, alla sua confidenza ne fa seguito un'altra, da parte del genitore stesso: anche lui mette a nudo la propria identità sessuale gay, nonché quella della defunta madre di Ichiko, lesbica, uniti dal desiderio di costruire una famiglia. Nuova è la 141 Lo stile e lo spirito di questo manga lo avvicina alla striscia OL Shinkaron, vista nel paragrafo 2.18 Lo Josey manga e la donna giapponese: libertà sessuale e lotte sul lavoro. 142 Bisogna sottolineare che le autrici, prese ad esempio, propongono il tema in maniera opposta: lo stile quasi minimalista di Kiriko Nananan si scontra con le ‘pupazze’ caricaturali di Rica Takashima. 106 rappresentazione di uno dei momenti cruciali per una ragazza lesbica, il coming out: tuttavia, l’autrice aggira il pericolo del rifiuto mettendo il padre nella stessa condizione della figlia e ciò, a mio parere, sembra pericolosamente instillare il dubbio che l’identità sessuale della ragazza sia il risultato dell’omosessualità dei genitori. In Free Soul,il coming out è difficile e più realistico: Keito, non accettata dalla madre, si allontana di casa e viene accolta da un’anziana ed eccentrica artista, in cui vive anche il giovane Sumihiko, assistente e modello. La ragazza si dedica alla realizzazione del suo primo manga, la cui protagonista è Angie una cantante di colore lesbica - suo alter ego - e, nel frattempo, lavora presso un negozio di dischi: qui conosce l’affascinante e misteriosa musicista Niki, con cui intreccia una complicata storia d’amore. Oltre ad avere un affaire anche con Sumihiko, Niki vive un rapporto incestuoso con il padre e ciò le impedisce di vivere una serena vita sentimentale. Un’opera complessa ed affascinante che innesca un effetto a matriosca di figure simulacri dall’autrice a Keito alla sua creazione Angie -, nonché affronta lo scomodo argomento della diversità su più livelli - l’omosessualità, l’etnia e l’incesto. Si assiste al raggiungimento della maturità della protagonista che, essendo lesbica, ha maggiori difficoltà a determinarsi come figlia, come autrice di manga e come donna. Indigo Blue trasferisce le vicende definitivamente nel mondo adulto: Rutsu è una giovane scrittrice che non ha mai avuto il coraggio di vivere una relazione lesbica e l’amore provato per una donna, ai tempi dell’università, viene sublimato nel suo primo racconto. Qui, Rutsu descrive un intenso rapporto tra una protagonista donna ed un indeterminato Y che solo Rutsu sa essere, in realtà, una donna anch'essa: tuttavia, una sua attenta lettrice, nonché redattrice di una rivista d’arte, Tamaki, coglie l’identità nascosta del personaggio. Il caso vuole che le due donne si incontrino ed intraprendano una relazione sentimentale: scrittura e vita si uniscono nel nuovo romanzo di Rutsu in cui, finalmente, vuole esplicitare l’attrazione per le donne e la difficoltà di accettarsi che questa consapevolezza comporta. Il baluardo del confucianesimo si personifica nella figura del suo ragazzo, nonché suo editor, Ryuji, che lei non riesce ad allontanare in quanto simbolo di una vita socialmente corretta. La protagonista è priva dell’entusiasmo, quasi adolescenziale, dei giovani personaggi degli altri lavori e,tra luci ed ombre, si mostra come una bugiarda incallita che continua a ferire i suoi amanti mantiene contemporaneamente entrambi i legami -, solo per la paura di accettare ed amare la propria persona. Perfino nel finale non c’è redenzione e, imperterrita,sussurra a Ryuji deciso ad iniziare un proprio lavoro di scrittura - di voler dormire con lui, per poi tornare a casa e fare l’amore con Tamaki. Indigo blu è il colore della vernice con cui il personaggio Y - nel primo romanzo - ricopre il corpo della sua partner: è il colore della capacità di ognuno di trovare la propria strada, dell'equilibrio tra corpo e mente, ma anche il colore dell'illusione, di coloro che non possono o non vogliono affrontare la realtà. Nel paragonare Rutsu a questo colore, Tamaki ci offre un'importantissima interpretazione non solo del 107 personaggio, ma anche e soprattutto dell'opera stessa. Attraverso dialoghi e tematiche più mature, vengono affrontati i rischi di scoprire se stessi, di essere omosessuale ed il conseguente rifiuto della propria natura. Anche in quest’opera ritorna il tema del doppio, che altro non è se non il riferimento ad un tormento autobiografico: Perchè Rutsu è attratta da Tamaki? Perché non lo è fino in fondo da Ryuji? Ho pensato e ripensato a queste domande da quando ho cominciato a disegnare Indigo Blue fino all’ultima tavola. Pensavo a che significato avessero per Rutsu le esistenze di Tamaki e di Ryuji. Ma infondo erano domande legate a quelle che mi ponevo su me stessa […] Perchè disegno di amori lesbici? Perché vorrei disegnare anche di relazioni eterosessuali, ma sento di non essere pienamente in grado di farlo?.143 Altre mangaka attive nel genere yuri sono Minami Q-ta autrice, tra gli altri, della storia breve Atashi no nona in te wo dasuna, Giù le mani dalla mia ragazza; Nanae Haruno con Double House e Pietà; Erica Sakuzawa, che firma i volumi Love Vibes e Sheets no sukima, Tra le lenzuola.144 Nel 2004, Satoru Nagasawa realizza uno dei primi lavori di yuri puro - per utilizzare la terminologia dello Yurikon - con il già citato Maria-sama ga miteru e, nello stesso anno, Kaishaku rompe con il circolo vizioso di un finale senza speranze, grazie all’opera Kannazuki no Miko. Quest’ultima opera è di difficile identificazione per la presenza di temi tipici del genere mecha, dell’azione di uno shônen e della delicatezza di uno shôjo; tuttavia, la relazione omosessuale fra le due protagoniste, Kurusugawa Himeko e Himemiya Chikane,lo pone a pieno titolo nel genere qui analizzato: le protagoniste sono le rispettive reincarnazioni delle miko, sacerdotesse, del sole e della luna ed i loro destini si intrecciano per salvare il mondo e nell’amore l’una per l’altra. Nella battaglia finale, alla stregua di un samurai che anela la fine del sakura, Chikane è pronta al proprio sacrificio per un bene più grande ed Himeko l’affianca anche nella morte, non potendo vivere senza l’amata. Dopo i titoli di coda - pertanto, non tutti lo sanno -, per la prima volta nel genere, le eroine hanno il loro lieto fine: sulla Terra,una parte di loro rinasce nelle sembianze di due gemelle e in un’altra dimensione, Kanaduki - la luna senza dei, continuano a vivere insieme. Nel 2006, Yoko Shoji, i cui fumetti sono caratterizzati da un alto valore educativo e da un’attenzione scientifica, pubblica G.I.D. Gender Identity Disorder: Akiko non si riconosce nel suo corpo di donna e decide di intraprendere il cammino duro, doloroso e costellato di abbandoni verso la transizione al sesso maschile. Il coraggio di una scelta che molte altre eroine del manga, da Erminia ad Utena, avrebbero magari intrapreso. 143 Ebine Yamaji, Indigo Blue,Kappa Edizioni, 2007, cit., Prefazione. Queste stesse mangaka vengono nominate anche nel paragrafo 2.19 Lo josey manga e la donna giapponese: libertà sessuale e lotte sul lavoro. Uno studio organico richiede delle classificazioni che, nella pratica, sono molto labili: storie yuri tra donne adulte rientrano anche nello josey, sia per l’età anagrafica delle protagoniste sia per un’esplicita rappresentazione dei loro rapporti sessuali. 144 108 Gli ultimi dieci anni hanno assistito alla pubblicazione di storie yuri che si svincolano dai cliché e le mezze misure, presentando relazioni omosessuali pubbliche in cui non mancano scene di sesso, come non possono mancare se si descrive una quotidianità, fatta di studio, lavoro, desideri, speranze, tradimenti e scontri: dalle opere di Simoun di Hashiba Hayase145 e Strawberry Panic! di Namuchi Takumi, alle più recenti Citrus di Saburo Uta e Prism di Higashiyama Shou. Quest’ultima opera esemplifica come si sia evoluto il genere e come la contemporaneità - il lavoro, recentissimo, è del 2010 - abbia modellato i motivi topici rispecchiando il cambiamento dei tempi: mantenendo un’ambientazione scolastica, le tavole mostrano il nascere del primo amore tra due ragazze, Megu ed Hikaru. L’idea base del plot è molto semplice e, al tempo stesso, fresca e promettente: il cuore di Megu non ha mai dimenticato un giovane con il quale ha trascorso un solo pomeriggio sulla spiaggia e di cui conosce solo il nome, Hikaru. Il primo giorno di liceo, scopre che la nuova arrivata, dal viso familiare, non è altri se non il suo primo amore. L’abilità dell’autore è quella di mostrare il naturale sviluppo di un sentimento nuovo - e non perché siano dello stesso sesso, ma in quanto giovani ed alle prime armi -, nonché i primi approcci sessuali, che l’imbarazzo delle protagoniste rende così autentici. L’intensità visiva delle scene intime è molto profonda e diventa reale nel momento in cui la vita vera fa capolino: nella scoperta dei propri corpi, le ragazze vengono interrotte dal fratello maggiore di Hikaru che deve usare il bagno o da Megu stessa che, grottescamente, chiede alla compagna se può toccarle il petto. La dualità dei personaggi, secondo la dinamica dell’onēsama\kōnai, si delinea nelle prime pagine, grazie al flusso dei pensieri di Megu che osserva la sua compagna così serena, ammirata dai ragazzi e simpatica alle ragazze; in seguito, i confini si dissolvono in un rapporto paritario. Un elemento innovativo, la cui portata non è da sottovalutare: come analizzato in precedenza, neanche le coppie di bishônen vengono esonerati dal binomio impari uomo\donna. Al disegno piacevole, che delinea una semplice quotidianità, si affianca una narrazione particolare dove i personaggi - principali: Megu; e non: Erika e Mana - esprimono i loro pensieri in prima persona, attraverso una sorta di passaggio del testimone. Inoltre, l’autore fonde egregiamente le obbligate scene romantiche con momenti comici, che non ingannano, però,il lettore con mondi idilliaci; anzi, si affrontano situazioni di omofobia, bullismo e disagio: dopo essere state sorprese a baciarsi, un gruppo di ragazzi strattona e spintona le ‘two lesbos’ al suono delle parole ‘Kiss for us!’, alla stregua di fenomeni da baraccone. Rispetto alle riflessive opere precedenti del genere, qui il disagio dell’adolescente non mette in dubbio se stessa ma si rivolge all’opinione pubblica. A ciò bisognerebbe rispondere con la semplicità con cui Hikaru risponde a Megu: Per un maggior approfondimento su tale manga vedere il paragrafo 2.16 Il Mahō shôjo e il misticismo del pensiero giapponese. 145 109 ‘It’s kinda…hard to control. I’m just so happy’.146 Nonostante ci si imbatta in un realismo infrequente nel genere, la vera rivoluzione di una storia yuri si deve ricercare nel finale: poiché il lavoro è stato interrotto - a causa di un’infrazione dell’autore -, non è dato sapere se l’amore dura anche fuori la bolla dell’istituzione scolastica.147 Negli ultimi anni, si assiste alla concorrenza dei mercati dei paesi confinanti di Cina e Corea del Sud, i cui prodotti - rispettivamente detti manua e manwa - appaiono più freschi e liberi dei cugini giapponesi. In materia yuri, si pongono gli esempi di Their Story del cinese Tanjiu e Fluttering feelings del coreano Samba, entrambi storie d’amore tra due studentesse. Ciascuno con la propria peculiarità, tali lavori delineano un vivere quotidiano dai colori pastello, in cui poter essere se stessi con serenità: le giovani donne possiedono una spontaneità tutta nuova e vanno incontro ad un amore che le agita in quanto sentimento travolgente e non in quanto passione ‘diversa’. Fluttering feelings si svolge in ambiente universitario e inscena l’attrazione topica degli opposti: ‘Like oil and water it feels like our componente are foundamentally different’, così parla Kim No-rae, i cui pensieri in prima persona portano avanti la narrazione.148 Inizialmente quest’ultima, ‘an ordinary college student’, sembra rivestire la figura del kōnai con il suo disordine e la sua poca socialità; ben presto tali schematismi - zoccolo duro del fumetto giapponese - si ribaltano e confondono: l’immagine perfetta di Baek Seol-a si ammorbidisce mostrando un lato dolce e fragile, che viene accudito dal senso pratico e materno dimostrato dall’altra. L’evento scatenante è una violenza subita da Baek Seol-a per mano del suo ex fidanzato e sventato in tempo dalla sua vicina di casa, Kim No-rae. Lo stile sa amalgamare un disegno morbido e delicato con un comico utilizzo del super-deformed: è così che le ragazze giungono ad amarsi e ad affrontare, insieme, i propri scheletri nell’armadio. Ancora più scanzonata è l’opera cinese per l’allegria adolescenziale ed i personaggi senza pensieri: si presenta come il tipico manga scolastico a cui si è abituati, con la semplice esclusione dell’elemento maschile nella coppia. La prima immagine di Sun Jing la mostra nell’atto di palpeggiare una compagna, ridendone di gusto con il suo migliore amico: scena esemplificativa di una normalità - impensabile in Giappone - che serenamente accetta un gesto tipicamente maschile da parte di una ragazza. Anche qui i ruoli vengono scavalcati: la figura di Sun Jing è fisicamente più alta ed il suo comportamento poco ortodosso, eppure è lei ad assumere atteggiamenti timidi ed impacciati; al contempo, la bionda Qui Tong è fisicamente più minuta, ma maggiore di età e sicura nella sua dolcezza. Al contrario, le eroine dello yuri giapponese sembrano tutte riproporre 146 Indicativa è la figura della sensei Ogachi, che sprona le due ragazze nel loro amore: la donna ha vissuto per un periodo a Londra e forse è questo a permetterle una maggiore apertura. 147 L’ultima tavola vede il racconto in prima persona di Mana-san, la sorellina di Megu: le sue parole hanno un suono piuttosto moralizzante e vecchio stampo - sebbene il concetto sia giusto -, che augurano loro buona sorte in un mondo crudele. 148 La scena d’apertura ne sottolinea da subito le differenze in una piacevole alternanza che mostra la buffa Kim No-rae e l’elegante Baek Seol-a a compiere le stesse azioni ma in modo antitetico. 110 certamente, in modi diversi - la frase di Kayako in Blue: "I realized that leading a simply, uncomplicated life is ideal for me". Probabilmente tali differenze si devono, almeno in parte, alle peculiarità socioculturali: storicamente, Corea e Cina non hanno avuto, e non hanno tuttora, situazioni che permettono facilmente una libera espressione del singolo; tuttavia, semplicisticamente - le conoscenze in materia sui due paesi non sono approfondite - si può pensare che un potere restrittivo porti ad una rottura tra l’individuo e lo Stato, alimentando la sete di libertà ed indipendenza. Contrariamente, nel Sol Levante la devozione verso il proprio Paese non viene imposta dall’esterno, ma instillata culturalmente dall’interno: ciò ostacola una scioltezza di pensiero ed azione, nel momento in cui rischia di essere disdicevole e di disturbo per gli altri. Tuttavia, l’onestà intellettuale obbliga a riconoscere l’odierna apertura del fumetto giapponese: nel nuovo millennio le storie diventano più felici nel finale e si evade di meno dalla realtà, parlando dell’oggi e dell’amore tra donne vissuto nel presente, che non lo rifiuta più come una volta. Nell’anno in corso è stato pubblicato Manpuku Yuri - esempio banale ma indicativo -, un manga che ruota intorno al cibo ed alla cura della casa, vissuta da una felice coppia lesbica: sebbene la donna venga riportata alla sua dimensione casalinga, l’amore lesbico viene pubblicizzato. 2.13 IGARASHI E SAITO, MAESTRE DEL SENTIMENTALISMO: LO SHOJOCARO AL MELÒ Tornando al mondo dello shôjo manga, c’è anche chi, come Yumiko Igarashi, si è disinteressata alla ‘sostanza’ preferendo la ‘forma’. L’autrice - spesso citata sineddoticamente con la sua opera principe - porta in auge tutti i motivi classici anni Settanta, che rendono lo shôjo tale e, regina incontrastata delle atmosfere da soap opera, non ha mai nascosto di essere una ‘creatura redazionale’. Considerata una delle autrici più apprezzate dello shôjo di prima generazione, coltiva il suo talento durante il liceo ad Hokkaido, grazie alle compagne di classe Waki Yamato - con la quale stringe una forte e duratura amicizia - e Yôko Tadetsu: da qui, viene loro attribuito il nome di ‘Gruppo di Hokkaido’. Come accaduto per Ikeda, anche il suo nome si lega ad un fumetto soltanto, Candy Candy pubblicato dal 1975 al 1979: storia di una piccola orfanella che cresce tra ingiustizie ed angherie, riuscendo a divenire una giovane infermiera pronta ad aiutare il prossimo, prima di giungere all’immancabile matrimonio. Come da manuale, è ambientato in una fantomatica Londra ai primissimi del Novecento: l’epoca storica viene appena accennata, poiché la Storia non è così essenziale nelle sue avventure - del resto Candy non è Oscar; l’arco temporale permette di seguire l’eroina - che alla fine del manga ha sedici anni nella crescita ed, esattamente come le sue lettrici, affronta i problemi legati al passaggio 111 dall’infanzia all’adolescenza; vengono affrontate esperienze che santificano ogni tribolazione dei torti subiti. Certamente, il tema centrale è l’amore: l’amore platonico ed infantile tra lei e Antony; l’amore quieto e rassicurante tra lei e Albert e l’amore potente e passionale per Terence. Si parla di realizzazione personale, in un paese - il Giappone - e in un’epoca - gli anni Settanta hanno visto fallire i moti sessantottini - in cui il lavoro delle donne fuori casa veniva scoraggiato: certamente, Candy non incarna la figura della donna in carriera, ma conquista un lavoro che la rende indipendente ed utile agli altri. Si parla di ingiustizie da combattere: la facilità con la quale l’eroina cade nei vari inganni e tranelli si lega ad un atteggiamento di stoica e fatalistica accettazione delle contrarietà, tipicamente nipponico. Si parla di figure sfavorite, ultime nella scala sociale - quali gli orfani - che emergono grazie alle loro doti e generosità. Ma si parla anche di morte: quella del primo paziente di Candy, il burbero signor Mac Gregor e quella improvvisa e crudele che colpisce il dolce Anthony. L’opera riprende, in maniera soft, i capisaldi tipici del romanzo di formazione: immagine emblematica della crescita personale è l’episodio in cui Candy si costringe ad affrontare la paura del cavallo.149 Candy difende e propone stili di vita anticonformisti a patto che alla fine tutto si appiani: Albert può vivere come un hippie in mezzo agli animali, ma alla fine occupa il posto che la società gli richiede, come capo della famiglia Andrew; Candy è una giovane indipendente dedita al suo lavoro, ma alla fine trova l’amore della sua vita che la accompagna all’altare. Le influenze occidentali sono molteplici, dal romanzo di Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe, per il suo temperamento vivace e spontaneo, alle atmosfere di Cenerentola per la scena del ballo con Anthony.150 Per la svolta finale - Candy sposa il suo benefattore Albert, che altri non è se non il Principe della Collina - è l’autrice stessa a dichiarare di essersi ispirata a Papà Gambalunga, romanzo di Jean Webster: il topos dell’eroina aiutata da un personaggio misterioso, la cui identità viene svelata soltanto alla fine e del quale si innamora perdutamente. Le direttive dell’epoca erano orientate a creare, nelle giovanissime lettrici, una sensazione di sogno attraverso personaggi dalle lunghe ciglia e dagli occhioni stellati e, infatti,le creature della Igarashi sono tutte sante ed ingenue. Tale abitudine si ripete anche con Georgie!, un classico intramontabile e romantico sul tedio amoroso, realizzato nei primi anni Ottanta, in tandem con Man Izawa. Lo stile è simile a quello di Candy e la protagonista è di nuovo una graziosa fanciulla con vaporosi capelli biondi ed occhioni stellati; tuttavia, i toni della vicenda sono decisamente più adulti: si anticipa la futura svolta 149 Per un maggiore approfondimento sul tema del Bildunsroman vedere il paragrafo 2.3 I topoi del genere ed il precario equilibrio tra tradizione e modernità. 150 Anche il topos fiabesco del ballo è molto usuale nello shôjo classico: basti pensare a Ribon no kishi e alla stessa Versaille no bara. 112 dell’autrice verso il mondo dei ladies comics.151 Il manga salta la fase della crescita e mostra, fin dall’inizio, un’appassionata fanciulla che suscita amori, non solo platonici, nei ragazzi che incontra: il figlio infelice e malato di un lord inglese, Lowell, se ne innamora follemente ed Abel e Arthur, i fratelli adottivi di lei, la desiderano. La vicenda è ambientata in Australia verso la metà del XIX secolo e si sviluppa tra intrighi, passioni, crudeltà, decessi, amori carnali e nascite di figli illegittimi con toni più crudi sebbene sempre velati dal romance: Arthur rimane vittima di una vicenda di violenza omosessuale ed Abel va incontro ad una morte crudele. In questo mare di Amore sottomesso all’ideale puro, Igarashi concede attenzione e popolarità anche all’opera shakespeariana di Romeo e Giulietta - certamente vicina al suo amore per le passioni tragiche -, nonché ai miti ellenici con la già citata opera Paros no ken, la spada di Paros, una voce fuori dal coro, all’interno della sua produzione, certamente degna di nota. Questo manga di ambientazione fantasy rientra nel genere yuri, per la relazione amorosa che intercorre tra le protagoniste: fortemente incentrato sul romanticismo, dal tratto tipico degli anni Ottanta e con un finale aperto, che lascia il lettore nell'incertezza sul destino dei protagonisti. La trama prende spunto da una leggenda che, certamente, ruota intorno alla spada di Paros: colui che porterà Paros ad un futuro di luce e prosperità è sia uomo che donna, mentre colui che porterà Paros alla distruzione, brandendo la sacra spada, non è né uomo né tanto meno donna.152 La protagonista, Erminia, sembra aver assimilato la lezione del genere yuri, sconvolgendo i ruoli sociali: cresciuta come se fosse un ragazzo, veste e cavalca come un soldato, si allena nell'arte della spada ed arriva perfino a non assecondare i desideri del padre - non concepibile nella società giapponese né per un uomo né tantomeno per una donna -, rifiutando di convolare a nozze. È lei stessa a dettare legge quando, minacciata dall’ultimatum paterno, accondiscende a sposarsi a patto che il promesso sia scelto attraverso una tenzone che coinvolga tutti i pretendenti. L'ultimo sopravvissuto alla serie di duelli dovrà affrontare la stessa Erminia e batterla per conquistare la sua mano, nonché l’eredità del regno. La storia si snoda tra intrighi, tradimenti, brame di potere, battaglie e violenze, lontane dalle atmosfere melò delle opere precedenti. Tuttavia, Erminia non può giungere al lieto fine, in quanto donna e - probabilmente - proprio perché attratta dal suo stesso sesso: l’eroina viene miseramente sconfitta al torneo, dall’erede del regno di Kauros; l’amata Fiona viene picchiata e violentata dalle guardie di Kauros; l’amico d’infanzia Julius viene sconfitto ed accecato ed il padre assassinato. Erminia, liberata proprio da Fiona, scappa con lei dal teatro di guerra, attendendo il momento giusto per riconquistare 151 Anche se per una breve scena, anche qui si riprende il motivo del travestitismo con la conseguente tensione omoerotica: Georgie si traveste da uomo per imbarcarsi su di una nave diretta in Europa e, involontariamente, conquista il cuore di una fanciulla che la perseguita durante il viaggio, dando vita a situazioni ambigue. Certamente, l’eterosessualità della protagonista è fortemente comprovata. 152 La profezia porta alla memoria il celebre indovinello della Sfinge nel mito greco di Edipo: probabilmente, ispirandosi ai miti greci, è plausibile che l’autrice ne fosse a conoscenza. 113 il regno perduto. L’opera presenta richiami ad altri lavori ed autoreferenziali: lapalissiana la similitudine fra la principessa di Paros ed Oscar, nonché tra Julius - che ama Erminia, ma è da lei considerato un fratello - con Andrè di Versaille no bara. Tuttavia, c’è una sostanziale differenza tra le due donne-soldato: se Oscar è una donna celata dietro vesti maschili, Erminia ha il cuore di un uomo intrappolato in sembianze femminili, non si sente donna e non vorrebbe esserlo, tanto da amare la giovane lavandaia Fiona senza alcun dubbio identitario. Quest’ultima riprende il topos yuri, per il quale una giovane eterosessuale si trova ad amare un’altra donna: tanto che, inizialmente, si innamora di Erminia perché la crede un uomo. Il loro primo incontro ricalca quello tra Candy ed Albert: Fiona bambina viene consolata per la morte dei genitori da un giovane principe, che altri non è che Erminia esattamente come fa Albert suonando la cornamusa per alleviare la fanciulla dal peso della solitudine - e, da allora, sogna di poterlo rincontrare. Dall’orfanella americana, Fiona eredita anche l’ingenuità per cui spesso viene schernita. Nonostante gli spunti interessanti, l’opera è carente nell’evoluzione e nella resa psicologica dei personaggi. L’erede di tali atmosfere da Ragione e Sentimento è Chito Saito che, tuttavia, se ne distacca smettendo di credere agli shôjo manga romantici: a metà strada tra il mare di luccichii di Igarashi e quelli della generazione anni Ottanta. Nel 1985, l’autrice esordisce con un fumetto intitolato Honoka in purple, letteralmente ‘Viola pallido’, uno sdolcinato interludio d’amore tra due ragazzi, che si trovano a convivere sotto lo stesso tetto, a seguito dell’imprevisto matrimonio dei rispettivi genitori. Saito affronta due importanti zone franche: innanzitutto, c’è una letterale allusione allo stato emotivo ‘virginale’ delle protagoniste; inoltre, un altalenante flusso di sentimenti rende la definizione di Amore ancora più labile: spesso nelle sue opere c’è sempre qualcuno che ama troppo e qualche altro che non sa se riamare così intensamente - lo shôjo scolastico sa fare tesoro anche di quest’insegnamento.153 Con un moto nostalgico verso le autrici di prima generazione, Saito si cimenta con l’opera in costume in Waltz wa shiroi dress de, Un valzer in abito bianco, nonché l’opera che l’ha consacrata: una storia di spionaggio che coinvolge l’ambasciata inglese e sposta le lancette al 1935. La protagonista, Koto, è portatrice di uno spirito di emancipazione, che la lega all’eroine precedenti, ed il futuro matrimonio senza amore con il cugino è degno della tradizione: elemento innovativo è l’amore interetnico con una spia del movimento d'indipendenza nazionale indiano, che incontra ad un ballo dopo aver perso una scarpetta - dejà vu.154 Infine, secondo dichiarazioni ufficiali, l’autrice realizza il personaggio di Kanon, nell’opera omonima, che sarà precursore della figura di Utena Tenjo: sono fonte d’ispirazione tanto l’indomita passione e la veemenza selvatica della ragazza - caratteristiche 153 in Koibitotaschi no bashiyo, Il luogo dei fidanzati, la sua seconda opera, si riscontrano altri topoi: sbroglia l’atavica questione dell’eterno amico, non prima di aver incluso il terzo incomodo. 154 Si è ben lontani dalla xenofobia del tragico manga Watashi no jonî di Satonaki nel paragrafo 2.9 Lo shôjomanga diventa appannaggio femminile. 114 possibili in quanto non-giapponese; le sue origini mongole -, quanto la tensione edipica che si crea quando l’autrice insinua il dubbio che l’arrogante maestro di orchestra, Gen Mikami, possa essere suo padre. Inoltre, il personaggio di Anthy è di probabili origini indiane, come l'eroe di Waltz wa shiroi dress de: è una delle poche protagoniste di colore nei manga. Dunque, per quanto rilevato fino a qui nelle sue opere, Chito Saito è una figura da tenere a mente per lo shôjo scolastico, nei suoi motivi peculiari e nella sua evoluzione. 2.14 LE STUDENTESSE SHÔJO E L’INFERNALE SISTEMA SCOLASTICO GIAPPONESE Gli anni Ottanta suggellano una svolta nello shôjo manga che entra in una fase più adulta, ‘imborghesendosi’ visibilmente e convertendosi alla contemporaneità giapponese: non è più necessario ricorrere ad un esotico Occidente per esprimersi liberamente, ormai il fumetto per ragazze è abbastanza forte da parlare della quotidianità con un registro realistico. Tale scelta permette una migliore identificazione da parte delle lettrici, gratificate da una maggiore attenzione alle loro problematiche. Le mangaka rintracciano il luogo più rappresentativo della ‘giapponesità al tempo presente’ nella scuola: l’istruzione permea tutta l’infanzia e l’adolescenza degli individui nipponici,che si affannano a sopravvivere alle prove che quest’istituzione infernale riserva loro, pregiudicandone il futuro. Infatti, ottenere dei buoni risultati scolastici permette l’accesso a scuole ed università prestigiose, che a loro volta sono la garanzia di un ottimo impiego presso un’affermata azienda. Dunque, questa gakureki shakai, società dell’educazione scolastica,genera un’escalation al contrario che parte dalla materna - alcuni asili prevedono la valutazione del Q.I. del bambino - fino all’unico grande obbiettivo di tale carriera: il test d’ingresso universitario.155 Nei manga scolastici si assiste a studenti impegnati non solo negli esami, nei compiti in classe, nei test e nelle lezioni, ma anche negli amori e nelle passioni: si descrive un sentimento travolgente che nulla ha a che fare con la realtà e, proprio perché il mondo disattende le aspettative, il manga lo presenta con maggiore intensità. Con Hanayori dango, Yôko Kamio ferma il tempo agli anni del liceo ed apre la strada del new romance che raggiunge la massima espressione con Wataru Yoshizumi e Ai Yazawa, rispettivamente le disegnatrici di Marmelade Boy e i Cortili del cuore, Gokinjo monogatari: si rivela essere il genere eletto a raccontare i primi amori,dal momento che eleva il sentimento a focus unico della storia, non secondario ad un trofeo da vincere o un mondo da salvare - rispettivamente nel filone sportivo e in quello fantascientifico, analizzati 155 Purtroppo, alto è il tasso di suicidi di studenti che non passano il test. L’università è una delle più grandi falle di tale sistema: conta il nome dell’università e una volta ammessi lo sforzo richiesto è nullo. Molti sfruttano tali anni per riposarsi dalle fatiche pregresse. 115 più avanti. Il setting scolastico agevola il disegno grazie alla regolarità di ogni giornata studentesca e ciò permette la ricorrenza di immagini topiche che scandiscono il trascorrere del tempo: i rintocchi dell’orologio sulla facciata dell’edificio, l’entrata ed uscita dei giovani dalle aule, studenti che depongono negli armadietti le scarpe da esterno e viceversa o l’esposizione dei quadri a fine anno.156 A ciò si aggiunga l’obbligo delle peculiari uniformi, segno di conformismo ma anche distintivo di ogni scuola: in Magic Knight Rayearth delle CLAMP, il primo incontro fra le protagoniste avviene sulla torre di Tokyo durante una gita scolastica e Hikaru Shido, di una normale scuola superiore, riesce a capire, grazie alla diversità delle divise, che Umi Ryuzaki frequenta una prestigiosa scuola per le figlie di uomini importanti e che Fuu Hooji è allieva presso un istituto che seleziona gli studenti per il loro quoziente intellettivo. O ancora, in Prism di Higashiyama Shou, Mana-san capisce che Hikaru frequenta la stessa scuola della sorella. Il modello dell’eroina è quello di un’adolescente eccessivamente timida e romantica, dall’aspetto infantile e dalle maniere composte che si innamora di un certo ragazzo, solitamente, il più ammirato della scuola. Tra i comprimari sono ricorrenti il vecchio amico di lei e la vecchia amica di lui, la cui presenza permette di movimentare l’intreccio, prima di giungere all’atteso lieto fine: il primo, solitamente affabile, assume un ruolo fraterno, pur aspirando all'amore della sua compagna;la seconda, caratterialmente nemesi della protagonista, è più attiva ed esplicita nel mirare all'amore del suo compagno. Dunque, la felicità della coppia è ostacolata da equivoci, inganni, tradimenti ed infatuazioni per terzi, fino a quando lui non si rende conto dell'amore profondo che prova per lei: spesso triste e delusa, l’eroina riflette sugli interrogativi che la sua età delicata le pone di fronte. La contemporaneità vuole che essa sia accompagnata, più di rado, da motivi floreali e preferibilmente isolata su campi bianchi. Da Tsukushi Makino a Mikaki Kôda,157 l’incipit classico prevede l’ingresso della protagonista in una nuova scuola, come metafora dell’inizio di una nuova vita: l’adolescente entra in una fase sospesa tra la pubertà e l’età adulta. Non a caso, il termine shôjo letteralmente significa ‘donna a metà’, ’femmina non propriamente tale’ sottolineando la sua condizione liminale che termina con il matrimonio - per gli uomini con l’ingresso nel mondo del lavoro: il piacere per tali letture cela la riluttanza giovanile a crescere e, quindi, assumere i ruoli e le identità che la rigida società confuciana assegna loro. Il sociologo Andrew Calcutt spiega che "Negli ultimi anni la condizione adulta è parsa sempre più indesiderabile, dato che connota o l’accettazione in un mondo inaccettabile o, nella sua variante di sinistra, una consacrazione apparentemente 156 Per i ritardatari, tanto nella realtà quanto nei manga, è prevista una punizione e, per antonomasia, si ricorda Ranma dell’omonima opera in corridoio a sorreggere due secchi pieni d’acqua - oggi, è sufficiente restare fuori dall’aula. 157 Sono state nominate le protagoniste,rispettivamente, di Hanayori dango, in Italia Marie Yvonne e di Gokinjo monogatari, Melissa. La prima opera è stata analizzata per il suo finale tradizionalista nel paragrafo 2.3 I topoi del genere ed il precario equilibrio tra tradizione e modernità. 116 futile a politiche screditate di trasformazione sociale" e le mangaka sono consce di tale fenomeno.158 Hanayori dango aggiorna, agli anni Novanta, il sospetto che la scuola nipponica sia un calvario più che un luogo di apprendimento: si assiste all’umiliazione ai danni degli studenti più deboli e, di solito, i carnefici sono gli individui più in vista - pratica classista diffusa anche in molti teen movie occidentali: di recente, il bullismo è diventato un problema molto più serio fra gli adolescenti nipponici e la tendenza giapponese al silenzio esacerba la situazione. Se gli studenti si accorgono che qualcuno è vittima di bullismo, non affrontano il problema e cercano semplicemente di tenere le distanze per paura di essere coinvolti. Tsukushi stessa deve lottare per farsi valere e rivaleggiare contro il nonnismo di quattro rampolli, soliti malmenare i compagni, nella totale impunità - perfino, il gruppo docente non si oppone. L’ incubo degli studenti è il cartellino rosso sull’armadietto: colui che lo riceve diventa oggetto di ogni tipo di angherie da parte degli altri studenti, fino a quando non è costretto a lasciare la scuola. Dunque, tra lo spauracchio dei test d’ingresso e la cattiveria dei compagni, i giovani adolescenti dello shôjo scolastico avvertono il peso della solitudine in un ambiente ostile che rievoca le ipocrisiee la perfidiadella Sonority House di Oniisama e…. Nonostante tutto, l’amore è possibile e la sopracitata protagonista riesce a farsi notare grazie al suo lato meno femminile, che la rende ‘così diversa dalle altre’ - diretta discendente di Benio, questa è l’eredità del travestitismo anni Settanta. Tsukushi è un esempio di ragazza attiva, ma non unico modello possibile: il manga si preoccupa di soddisfare qualsiasi tipologia caratteriale delle lettrici, così come lo shônen: il giovane più vivace predilige Goku e quello più introverso sceglie Nobita Nobi.159 Un esempio di eroina ‘passiva’si trova in Hot Gimmick di Miki Aihara: l’anonima protagonista non si ribella alla condizione di schiavitù imposta dal suo fidanzato - padrone, tanto da rinunciare al rapporto con suo fratello. In entrambi gli esempi, la storia d’amore nasce tra ragazzi di diverso ceto sociale - è sempre il ragazzo ad avere lo status migliore - che frequentano serenamente lo stesso istituto: pur nella sua ossessività e rigidità, il sistema scolastico giapponese è molto democratico poiché svincola le capacità di successo dall’estrazione sociale della famiglia. Tale sistema è frutto di una società meno classista di quella europea, dove le differenza sociali non vengono avvertite, tanto da incontrare figlie di banchieri a fare le cameriere e rampolli dell’alta borghesia in veste di facchini: non ci si vergogna a svolgere lavori umili poiché non vengono ritenuti tali. I lavori delle dive della casa editrice Shueisha, Wataru Yoshizumi e Ai Yazawa, non sono certo capolavori ma siglano i caratteri di tale genere: personaggi giovani e carini, esili 158 A. Gomarasca La bambola e il robottone. Cultura pop nel Giappone contemporaneo, Einaudi, 2001, cit., pag. 81. 159 Tale argomento si lega ai sei bisogni psicologici dell’umano trattati nel paragrafo 2.4 La natura psicologica del piacere della lettura: il manga come favola moderna. 117 eroine che si nutrono di sospiri d’amore e dimensioni familiari attraversati dall’incomunicabilità ma, in apparenza, perfetti ed accoglienti. In Marmelade boy, l’aspetto romantico ha ancora un sapore letterario per il ruolo che la tuke ha sulle vite dei personaggi; mentre la madre di Gokinjo monogatari dimentica cinquant'anni di tradizione con il suo surrealismo comico e romantico, che scalza l’isteria melodrammatica. La prima storia prende lo spunto narrativo dalla crisi che investe l’istituzione familiare negli anni Novanta: Miki è sconvolta dalla decisione di divorzio dei suoi genitori, ma è tale evento che la porta a conoscere il ‘fratellastro’ Yû, del quale si innamora. Alla fine dell’anno scolastico, Miki e Yû riescono a stare insieme felicemente, dopo i numerosi ostacoli superati per giungere al lieto fine. Con Gokinjo monogatari, Ai Yazawaparla correttamente la lingua del new romance:il suo design inscena una parodia di cosa voglia dire essere giovani nel mondo contemporaneo; l’autricemoltiplica le voci nel giro di vite che ruota intorno alla protagonista, tanto da non essere l’unica a toccare il vertice di gradimento del fumetto; l’alienazione dal mondo dello shôjo per i suoi personaggi underground ed il rifiuto delle decorazioni floreali; equilibrio formale, un maggior controllo sull’immagine, battute ironiche, colpi di scena e una realtà metropolitana, che fotografa e impagina. A fare da retroscena è il tema modaiolo e la protagonista Mikako Koda è una studentessa dell’accademia Yazawa, che insegue il grande sogno di diventare una stilista. Ciò porta l’autrice a disegnare accuratamente gli abiti stravaganti di questi strani personaggi ed il risultato è sui generis: vestiti che parlano, vestiti che camminano, vestiti che fanno shopping, vestiti che socializzano, vestiti che si giurano amore eterno. I comprimari vengono raddoppiati sia per lei che per lui: rispettivamente Lisa e P-Chan - l’una in stile dark-punk e l’altra vestita da bomboniera con pizzi e merletti- e Yusuke e Jiro, tutti studenti dello stesso anno nella stessa scuola.160 L'approfondimento psicologico dei personaggi è accurato, la protagonista - priva della prefazione propria dello shôjo classico - cresce grazie ai propri errori e le scenette comiche parodizzano tanto la realtà contemporanea quanto i canoni del melò classico, tanto il mondo dei giovani quanto quello degli adulti: la madre di lei - autobiograficamente, una mangaka - è colta dalla paura del nido vuoto ed immagina la figlia ed il suo ‘piccolo grande amore’ nei panni di Lauren Bacall ed Humprey Bogart nel celebre finale del film americano Casablanca. In opere successive, entrambe le autrici cercano di rispondere a cosa potrebbe accadere agli amati personaggi, una volta finito il liceo: nel 2008, Yoshizumi realizza Il cappuccino.161 I due protagonisti si accingono ad andare a vivere insieme con il benestare dei rispettivi genitori, a patto che sia solo un breve periodo prima delle nozze:il tema è spinoso poiché in Giappone la convivenza non è vista di buon occhio. Ad ipocrisie dilaganti ed 160 A loro si aggiungano Yusuke, Jiro, Mariko, Shintaro, Ayumi: questa è la portata innovativa dell’aumento esponenziale dei personaggi in questa e nelle altre opere dell’autrice. 161 Il cappuccino come elemento esotico nella cultura nipponica diventa metafora della natura esotica della relazione dei due, decisamente moderna per un ambiente così ricco di legami e contraddizioni come il Giappone. 118 arcaici tabù - i tabù sociali sono molto più presenti e pressanti di quelli sessuali - si aggiungono le difficoltà dello stare insieme e la pressione della routine quotidiana: lui tentato da una ragazza molto più piccola, lei sfinita dalle mille incombenze casalinghe. Si distacca dai classici shôjo per il suo raccontare semplicemente la realtà: convivenza, problemi quotidiani, tradimento, perdono ed un finale dolceamaro, una sconfitta che ha il sapore della speranza per la coppia.162 Ai Yazawa realizza il sequel di Gokinjo monogatari con Paradise Kiss: gli attori sono diversi - i figli e parenti dei precedenti protagonisti - ma si mantiene la location dell’accademia d’arte - in realtà, l’autrice proietta nei suoi fumetti il sogno infranto di diventare una stilista lei stessa. L’irrequieta gioventù è colta nel suo momento di permalosità esistenziale, caratteriale e generazionale: l’atmosfera glamour e vaporosa si avvia verso i ladies comics, con un discreto incremento sessuale nella vita dei personaggi. Tuttavia, l’opera matura - nonché forse più celebre - dell’autrice è Nana: iniziato nello stesso anno di ParadiseKiss, il 2000, e rimasto purtroppo incompiuto - si interrompe bruscamente al capitolo 84 - per via di problemi di salute dell’autrice.163 Grazie alla scelta di protagonisti che hanno appena varcato l’età adulta, l’autrice porta a maturazione tutte quelle tematiche tipiche del genere, che una liceale può affrontare con il massimo grado di maturità permessa ad un’adolescente. Nana Komatsu e Nana Osaki sono due ragazze che condividono il nome e l’età: per motivi differenti, decidono di trasferirsi a Tokyo ed è sul treno diretto alla capitale che si conoscono e, quando scoprono che per errore è stato affittato ad entrambe lo stesso appartamento, i loro destini finiscono per congiungersi definitivamente.164 La drammaturgia riprende la forma del futago, facendo delle ragazze due facce della stessa medaglia: la prima è dipendente dagli uomini, sognante, modaiola, insicura e senza alcuna ambizione, ma con un profondo animo romantico; l'altra indipendente, matura, forte e determinata nell’inseguire il proprio sogno di diventare una cantante punk rock. Le protagoniste, stanche delle sofferenze amorose, sostituiscono la figura del 'ragazzo' con la presenza dell’amica, diventando instabili quando una delle due si allontana: un legame che supera la sorellanza, assumendo la forma di un amore platonico non dichiarato. Tuttavia, ritrovare in ciò un aspetto yuri risulta una forzatura. Ciò che rende interessante il manga sono i suoi personaggi con la loro tremenda umanità, che garantisce l’identificazione: non ci sono né buoni né cattivi, ma tutti agiscono pensando di essere nel giusto, per poi sbagliare e soffrire. I loro legami si allontanano dai 162 Questioni di stile:il tratto è sempre lo stesso, i personaggi restano uguali alle opere precedenti e si mantiene la dolcezza - marchio di fabbrica dell’autrice - molto apprezzata dai lettori. 163 L’autrice affronta tematiche pungenti, degne del genere josey, quali la relazione con un uomo sposato o la scoperta di una ventenne di essere rimasta incinta fuori dal matrimonio: entrambe le vicende riguardano la figura di Nana Komatsu. 164 In giapponese il loro nome significa ‘sette’ - il richiamo torna con l’abitazione numero 707 - ed il gioco di parole continua quando Nana Komatsu viene soprannominata Hachi, ‘otto’: è anche il nome del cane cui è dedicato un monumento alla stazione della metropolitana di Shibuya, Tokyo, esaltato per la fedeltà dimostrata al padrone, per ben 13 anni dopo la sua morte. Il collegamento non è casuale. 119 classici rapporti adolescenziali, fatti di bugie, tradimenti, dimostrazioni d'affetto e litigi che incrinano tutto d’improvviso: si amano o si odiano, senza vie di mezzo. Il leitmotiv dell’estensione corale assume le sembianze di un antidoto alla solitudine che spesso ha invaso l’io dello shôjo classico: mostra il volto di ragazzi soli dalla psicologia fragile - come Nana e Ren - o di coloro che hanno trascorso un'esistenza tranquilla ma si lamentano della loro vita - come Hachi e Nobu - e di numerosi altri personaggi minori che insaporiscono la storia con i loro punti di vista. In particolare, il modo di vedere l’amore assume sfaccettature multiple: tutte ancora lontane dalla ricerca del ‘buon compagno’ per l’omiai e, allo stesso tempo, distanti dalla visione ovattata dei loro sosia adolescenti. Con Nana e Ren, la coppia di fidanzati del liceo si trasforma in un amore morboso, in un legame ormai logoro che nessuno dei due riesce a recidere definitivamente pur non essendo più sincero ed esclusivo da tempo; l’inguaribile romantica dello shôjo si ripropone con Hachi: tuttavia, la ragazza si lascia trasportare dagli eventi in fatto di uomini, che cambia continuamente e sono spesso più anziani di lei - l’ultimo dei quali, Asano, sposato. C’è chi, come Shin, crede che il vero amore sia non pretendere nulla dalla persona amata e chi, al contrario, è convinto che amare significhi voler donare e ricevere tutto dalla persona amata, come Nobu. Non mancano i complessi edipici: Yasu si lega a Nana alla stregua di un padre, amandola segretamente, elo stesso Shin vede in Hachi una figura materna. La società odierna considera l’amore come un subdolo mezzo per realizzarsi nel lavoro: i protagonisti hanno ormai abbandonato la freschezza adolescenziale e sono stati macchiati dal mondo adulto e, nel loro caso, dall’ambiente musicale, tra corruzione, contratti di lavoro inconsistenti e scandali causati dai media.165 Dunque, prosegue lo stereotipo di figure adulte ambigue ed oscure, iniziato da Tezuka e raccolto dal fumetto adolescenziale, che investe il filone scolastico - poiché si snoda tra scuola e famiglia -, in particolare: negli anni Sessanta il pater familias è spesso un pendolare che esce di casa prima del risveglio dei figli e vi rientra quando i piccoli sono già a dormire. Troppo spesso è la figura dell’assenza e molti giovani crescono con contatti rarefatti con la figura paterna. Dopo il boom economico, anche la figura della madre ha vissuto una trasformazione sulla scorta dei processi di emancipazione della donna: l’aumento del numero delle lavoratrici, dette office ladies, riduce ulteriormente i contatti quotidiani fra genitori e figli. Una donna che lavora può finire per deludere il proprio figlio: "Mio figlio sente di essere diverso dagli altri bambini perché la sua mamma è meno presente delle altre".166 Nei manga affrontati la cerisi della famiglia si sviluppa in diversi modi: la protagonista di Hanayori dango è tiranneggiata da una madre che proietta la propria 165 Questioni di stile: il design è in costante miglioramento, benché tenga saldi alcuni dettagli tipici che l'hanno resa famosa,quali le figure magrissime ed altissime, il look dei protagonisti molto curato ed il fotorealismo delle ambientazioni - i personaggi si radunano al Jackon Hole, ricalcato sul pub realmente esistente. 166 Miyoko, 35 anni, intervista rilasciata in Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokyo Sister.., cit., pag. 69. 120 aspirazione alla scalata sociale sulla figlia, mero strumento di potere - riadattamento contemporaneo della Signora Hell di Ribon no kishi; mentre la spinosa questione del divorzio viene inserita nel manga Marmalede Boy: nonostante siano onerose le difficoltà economiche che una madre divorziata è costretta ad affrontare, le separazioni sono aumentate in maniera esponenziale negli ultimi decenni - certamente, le percentuali sono molto inferiori rispetto all’Occidente. Purtroppo i padri, già assenti, scompaiono quasi del tutto, perché le possibilità di vedere i figli sono regolamentate a lungo raggio a causa di una società frenetica, nonché basata sul gruppo che deve essere uno: chi lascia la famiglia né è automaticamente fuori. La mancanza paterna è un motivo inserito nell’opera Gokinjo monogatari: l’adolescente vive sola con la madre per ben quattordici anni e, quando i genitori decidono di tornare insieme, lei si trova ad affrontare l’incontro con la sorellastra, in linea paterna. Infine in Nana, l’omonima protagonista ha un'infanzia difficile, abbandonata alle cure severe della nonna all'età di 4 anni, a causa della fuga d’amore della madre con un uomo, che non è suo padre - del quale non sa nulla.167 Tali esempi - che potrebbero essere innumerevoli - mettono in nuce le cause della solitudine del protagonista in un mondo di adulti, costretto a condurre una vita lontana dai genitori ed imperniata sull’attività scolastica: le due Nana sono simbolo, a modo loro, della crisi contemporanea e di una società scuola-centica. Il loro dualismo sembra riprendere, in versione più complessa, le figure di Lisa e P-Chan in Gokinjo monogatari, stereotipi kawaii e gothic lolita.168 Il kawaii è uno stile, un’estetica, una moda, una cultura sviluppata dalle adolescenti. Certamente, i media e gli esperti - in gran parte uomini - non tardano ad esprimere la loro condanna contro queste giovani donne immature ed irresponsabili: a ciò loro rispondono feticizzando all’estremo la propria personalità infantile. Dunque, tale moda non è così innocente come sembra, bensì esprime un rifiuto: buona parte delle giovani, desiderose - almeno in superficie - di slegarsi dalla tradizione, cavalcano il kawaii per rifuggire le responsabilità che arrivano con la vita adulta, proprio come sembra fare Hachi con la sua superficialità. Tale provocazione è la stessa di altre sottoculture giovanili: ciò che rende inospitali gli spazi comunitari di casa, scuola, quartiere è l’eccesso opprimente di aspettative che grava in essi. Al primo posto ne è imputato il moderno sistema scolastico: a partire dagli anni Settanta, dentro le case Danchi si sente parlare solo di scuola riguardo ai propri ragazzi, affermando un’uniformità di giudizio sulle qualità del singolo direttamente demandata alle valutazioni dell’indice di merito scolastico, detto hensachi. Il caso gothic lolita è un fenomeno corrosivo di tali premesse, è indice di un desiderio di fuga 167 La nonna ha sempre ricordato alla nipote di non diventare come la madre - una prostituta - e, in primis, le proibisce abiti appariscenti. Alla morte dell’anziana signora, Nana acquista un abito rosso. 168 Attualmente una delle più importanti e visibili sottoculture giapponesi, lo stile Gothic Lolita nasce verso la fine degli anni Novanta e gli anni Duemila ed è caratterizzato da un trucco solitamente scuro ed un abbondante uso del colore nero per gli abiti. 121 dall’istituzione scolastica: non s’intende una fuga fisica o un rifiuto dell’apprendimento delle nozioni impartite, ma un rigetto dei valori e delle norme formative cui esso è imputato l’hensachi come unica stima riconosciuta - e della propaganda di gruppo, messa in crisi dagli episodi di bullismo. Nana viene accusata di essere una prostituta e decide di abbandonare il liceo: il suo look è un moto di ribellione e simbolo di distinzione sociale nell’ostentare una durezza che la società non attribuisce alla figura femminile. Poiché la pressione per la buona riuscita scolastica viene fatta per il bene del ragazzo, è ovvio che l’apprensione faccia del genitore un buon genitore: anche il mondo adulto partorisce nuovi ‘mostri’, quali la kyōiku mama, la madre che fa della riuscita scolastica dei propri figli lo scopo della vita. L’obbiettivo ossessivo di tale figura è aiutare la prole a fare una brillante carriera scolastica, esonerandola dai doveri domestici ma pretendendo ottimi voti e ciò innesca nei figli un forte senso di colpa per il costante sacrificio materno: quando non c’è più bisogno di lei, si sente svuotata ed inutile perdendo spesso l’equilibrio.169 Ormai le eroine degli shôjo sono irrequiete ed impazienti nel prender posto fra le fila dei maschietti e non più taciturne portatrici di fisime d’amore: sempre più emancipate,sono stanche della dolcezza, compostezza e pazienza richiesta loro per essere femminile, dunque, si tolgono la maschera e così arriva Yukino Miyazawa. Si tratta della protagonista di Kareshi kanojo no jijyo,La situazione di lui & lei, di Masami Tsuda: "Non ho mai parlato a nessuno col cuore, né ho mai avuto un litigio, non ho mai tolto di fronte a nessuno la mia maschera di ragazza perfetta, e così facendo non mi sono mai mostrata per quella che sono", con queste parole la protagonista descrive se stessa. Infatti, per seguire l’etichetta, si mostra disponibile, rispettosa e mite nella vita pubblica, subendo una totale metamorfosi nel privato, che la presenta dispotica e dal cattivo gusto: dietro a tale atteggiamento si cela l’ossessione di venire apprezzata e lodata continuamente - come analizzato sopra, la valutazione del singolo dipende dall’hentachi. L’ingresso della figura maschile, Soichiro, segue il topos dell’antipatia iniziale tra i due adolescenti: Yukino è in competizione con lui per la leadership scolastica. Casualmente, il ragazzo scopre il lato nascosto della personalità di lei ed inizia a ricattarla, non trovando un modo migliore per rapportarsi con Yukino, di cui è già innamorato - altro cliché. Quest’opera si occupa della fase successiva al fidanzamento, mantenendo inalterati i motivi del genere: le invidie che ostacolano la relazione, i problemi di incomunicabilità in famiglia - il ragazzo si sente in obbligo verso i genitori adottivi che l’hanno sottratto ad un’ infanzia violenta, ma soffre la formalità del loro rapporto - ed un finale conforme agli schemi sociali, che promette felicità e successo per tutti. La novità risiede nel piacere per la diversità e le imperfezioni in un paese che esige un’attenta cura dell’immagine. Ciò ricade, in particolare, sulla figura femminile, a partire dall’istituto 169 Le nevrosi della società contemporanea - in particolare della figura della donna - vengono riprese dal genere horror trattato nel 2.12 Il genere horror e la nevrosi femminile. 122 scolastico che impone divise impeccabili e pettinature ordinate - alcune scuole vietano di portare i capelli sciolti sulle spalle -, per arrivare al mondo del lavoro che obbliga l’uso di un sapiente make up, descritto in appositi manuali - è la naturalezza a risultare indecente: l’influenza della cultura zen, però, porta a non alterare gli attributi del corpo per apprezzare ciò che la natura dona.170 Essere sempre curata e presentabile è segno di rispetto, mentre il mostrarsi in disordine e, dunquesvelare i propri difetti, è sinonimo di poco riguardo per gli altri: ciò rende più comprensibile, per un occidentale, la natura del segreto di Yukino e la sua sottomissione ai ricatti del ragazzo. Tale pensiero discende dalla tradizione atavica delle geishe che ostentano visi come cesellati nella porcellana, labbra dai colori accesi e tratti di matita perfetti. Una maschera, dunque. Nonostante i tratti dell’infernale sistema scolastico e delle sue ripercussioni sulle giovani adolescenti sia stato delineato, non ci si può esimere dal citare Mars di Fuyumi Soryo: una delle opere più controverse ed originali - bestseller nel 1996 - di un genere che, sebbene di grande interesse sociologico, non sforna tutti capolavori artisticamente validi. Anche quest’opera si presenta come una traversia amorosa tra le mura domestiche e quelle scolastiche, condita dai tipici elementi preconfezionati: innanzitutto, un’ambientazione scolastica popolata di adolescenti inquieti; una sedicenne solitaria che si innamora dello studente ribelle e tenebroso; un tragico passato che segna le vite di entrambi. Eppure, l’autrice prende tali elementi narrativi e li destruttura donando loro nuova linfa vitale. Nonostante alla protagonista, Kira Aso, venga riservato il cliché dell’emarginazione, non è alla disperata ricerca di una condizione socialmente normale, bensì accetta di vivere nell’unico mondo capace di ospitarla: quello della pittura. Il personaggio maschile, Rei, è una figura affascinante, tuttavia priva di attrattiva per il timore che incute: un’angoscia interiore lo porta a camminare in bilico tra il dolore e la morte. Nel suo passato, il giovane ha sofferto la morte del fratello gemello, chiara citazione del manga Jüichigatsu no Gymnasium di Moto Hagio. La ragazza suggella e fissa la giovinezza maledetta di lui nei suoi dipinti e Rei, facendosi ritrarre, apre la mente ed il cuore a Kira.171 Preso da un eccesso di narcisismo, il giovane osa baciare uno dei quadri, simulacro di sé stesso: riferimento ai bishônen, che si ripete anche quando lo studente Makio Kirishima si innamora di Rei per averlo salvato da un gruppo di bulli.172 La storia d'amore diventa materia viva e pulsante, in quanto giusta redenzione dopo un travaglio interiore che le lettrici avvertono in prima persona. Questa strana coppia è circondata da personaggi molto particolareggiati e scevri da una retorica idealizzante o estetizzante, perennemente in bilico tra le luci delle loro migliori intenzioni e 170 Il Giappone è il secondo paese di consumo di cosmetici, dopo gli Stati Uniti: "La giapponese sta al trucco come Spielberg sta al cinema" afferma l’autrice di Tokyo sister...,cit.,pag. 38. 171 Il tema del quadro come doppio del modello crea un filo letterario che discende direttamente dall’opera inglese di Oscar Wild, Il ritratto di Dorian Gray. 172 Riprendendo il testo del manga, Makio paragona Rei al dio Marte per la sua forza bruta. 123 le ombre delle loro pulsioni più incontrollabili. Makio, forse una delle figure più geniali dello shôjo manga, è schiacciato da un odio totale e senza redenzione, derivante da complessi meccanismi mentali: il ragazzo è in cura presso un ospedale psichiatrico: simbolo del labile confine tra pazzia e normalità. Kira si rivolge a lui con tali parole: "Dipingerti sarebbe facilissimo. Basterebbe colorare di nero tutta la tela". La sceneggiatura si presenta cruda e serrata dai dialoghi plausibili e taglienti ed una regia sapientemente orchestrata e calibrata. Le tematiche riguardano legami di sangue inaspriti da insidie, diffidenza nel costruire rapporti sociali e doti in qualche disciplina da mettere in risalto, come l’amore per la pallacanestro in Boyfriend o per la musica rock in Three: la caratteristica comune delle diverse storie è un collage di disillusioni congenite. L’infanzia resta il solo territorio dell’esistenza in cui si è liberi e felici, prima che la realtà del mondo adulto inquini sentimenti e passioni essenziali: l’adolescente nipponica dedica allo studio i suoi anni migliori, pur sapendo che la società la costringerà a lasciare il futuro lavoro, duramente conquistato, dopo la nascita del primo figlio. Pertanto, le statistiche indicano che il 90% delle ragazze preferiscono frequentare istituti di soli due anni - per un futuro impiego modesto - e, attualmente, sul 45% totale dei ragazzi che si laureano, solo un terzo sono donne.173 L’istruzione elementare obbligatoria, per le bambine, fu istituita nel 1872 per espressa volontà dell’imperatore: in quest’epoca di rapida evoluzione, i dirigenti sono consci che, senza un’adeguata scolarizzazione di massa, il Giappone non sarebbe diventato una nazione moderna ed autonoma.174 Le scuole femminili secondarie si moltiplicano e, nei primi del Novecento, alcuni illuminati educatori fondano accademie femminili, sebbene ancora poche - l’Università femminile di Medicina di Tokyo ol’Università giapponese delle Donne. Tuttavia, solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Costituzione democratica sancisce il diritto all’istruzione uguale per tutti: viene istituito un sistema scolastico diviso in sei anni di scuola elementare, shogakko,tre di media, chogakko,e tre di liceo, kotogakko. Nel 1985 i programmi scolastici, diversificati per maschi e femmine, vengono unificati dal ministero della Pubblica Istruzione, con la ratificazione della Convenzione dell’ONU in favore delle donne. Negli ultimi vent’anni il ministero della pubblica Istruzione si sta impegnando per eliminare, dai libri di testo, ogni riferimento a un ruolo diverso della donna e dell’uomo nella famiglia e nella società: il primo padre che cucina appare su un libro di testo nel 1990. E pensare che lo shôjo manga rompe gli stereotipi vigenti di femminilità e virilità a partire già dagli anni Settanta. 173 I genitori sono meno indulgenti con un maschio: è dalla sua situazione economica che dipendela futura famiglia; invece, per una donna tale condizione sine qua nonpuò dipendere anche dal matrimonio o da un’eredità. 174 In realtà, il 50% degli uomini sapeva già leggere e scrivere, mentre per le donne la percentuale scende al 10% limitato alle classi più elevate. 124 2.15 LO SHÔJO SPORTIVO E L’ODIERNA RIELABORAZIONE DELL’ETICA BUSHIDO Nel Sol Levante, il selettivo sistema scolastico pone in grande rilievo la competizione, una presenza pressante che i ragazzi percepiscono sin da piccoli e che si esplicita soprattutto nell’attività sportiva. I manga e gli anime incentrati sullo sport sono quelli che hanno riscontrato maggiore successo presso il pubblico occidentale degli anni Ottanta ed anche lo shôjo conta questo filone tra le sue schiere. Nato dopo la guerra, lo spôtsu manga, manga sportivo, è frutto della sconfitta: gli occupanti oppongono il proprio veto alle storie di samurai e di arti marziali e, così, gli sport occidentali diventano il mezzo per perpetuare il topos del combattimento e del superamento di sé. Anche la televisione, negli anni Cinquanta, fa dello sport una cultura di massa; nonché il sistema educativo giapponese, teso ad infondere nelle nuove generazioni ideali di stoicismo, impegno e costanza, sprona i giovani ad aderire ad attività sportive pomeridiane. Certamente, dietro a questa ‘politica del corpo’ si devono ricercare fattori sociologici: i giapponesi scoprono la propria inferiorità fisica rispetto ai vincitori, la cui altezza media supera la loro di quasi dieci centimetri e, così, non resta che impegnarsi e fortificarsi per cancellare l’onta. Antonietta Pastore resta stupita di fronte alla metamorfosi della donna nipponica che pratica sport: non più una creatura timida e goffa ma una guerriera pronta a dare il massimo per la vittoria. Nel suo testo, cita il manga Attacker YOU!, Mila e Shiro, due cuori nella pallavolo, di Jun Makimura e Shizou Koizumi: l’eroina e le sue compagne, con i loro occhioni sgranati ed i gesti contenuti, presentano un atteggiamento pudico e bamboleggiante che, in maniera repentina, cede il passo ad una aggressiva determinazione una volta scese in campo. Dunque, il filone sportivo, seppur iperbolicamente, mostra la profonda dicotomia della figura femminile, nonché il sua posizione all’interno della gerarchia patriarcale nipponica: a fine competizione, le ragazze s’inchinano compostamente dinnanzi l’allenatore,maschio, per ringraziarlo della vittoria. Qualsiasi disciplina, fatta eccezione per quelle specifiche delle ‘città delle donne’ - il mondo del fiore e del salice e il Takarazuka -, vede al vertice un uomo che richiede rispetto ossequioso: perfino le arti tradizionali, da sempre destinate ad un pubblico in prevalenza di donne, facevano capo ad un Gran Maestro - rigorosamente del sesso ‘forte’ - e, solo di recente, sono diventate di competenza esclusiva femminile. Le gerarchie si mantengono anche quando la presenza maschile viene espropriata: il rispetto per le allieve anziane e la severità sono regole elargite in dosi massicce nella scuola del Takarazuka e, come già affrontato, i legami di sorellanza tra le geishe non sono mai paritari. La realizzazione di uno spôtsu manga al femminile diventa mentalmente accettabile solo in seguito ad un evento di grande portata sociale: nel 1964, tutta la Nazione segue i Giochi olimpici di Tokyo con il fiato sospeso, quando le pallavoliste nipponiche, 125 soprannominate ‘le magiche dell’Asia’, trionfano in finale contro l’URSS. Da qui, hanno inizio le numerose serie dedicate alla pallavolo femminile, prima fra tutte Attack No.1, come già anticipato. L'importanza storica della serie risulta superiore all'effettiva qualitàà intrinseca: estremamente ripetitivo, focalizzato non poco sull'elemento sportivo a scapito della caratterizzazione dei personaggi, privi di un adeguata analisi psicologica,ancora lontano dalla profondità di altre opere quali Ace wo nerae!,Jenny la tennista, di Sumika Yamamoto. Tale filone ha un intento educativo, ma anche un aspetto agonistico: se, da un lato, lo sport viene visto principalmente come veicolo di crescita morale dell’individuo; dall’altro, poiché lo scopo finale è vincere, diventa uno sfogo per i più bassi istinti, quali la voglia di primeggiare sugli altri e l'amore per la gloria, contrastando pesantemente con il primo intento. Generalmente il finale ad effetto supera tale impasse: Rocky Joe muore sul ring e le pallavoliste di Attack No.1 perdono la finale. Grazie all’influsso della tradizione buddista sulla mente giapponese, il protagonista del manga sportivo è sempre un ragazzo medio dall’aspetto comune lontano dai caratteri di immortalità ed invincibilità dell’eroe americano e, proprio a questa normalità, si deve il successo delle serie perché vicina alla media del pubblico: il talento da solo non basta, l’ arma vincente è la volontà e questa non è un potere estraneo all'essere umano comune. Il genere prevede uno schema narrativo tipico, mutuato dal fumetto Kyojin no Hoshi, La stella dei Giants di Ikki Kajiwara: il\la protagonista in giovane età si cimenta in durissimi allenamenti, spesso disumani, finalizzati a vincere tornei, che si susseguono parallelamente alle tappe della sua crescita. La storia profila un traguardo dopo l’altro secondo un collaudato climax esponenziale di agonismo, nel corso del quale vengono messi a punto dall’eroe\ina incredibili ‘colpi miracolosi’ che chiamano in causa un abbondante uso della figura retorica dell’iperbole. L’azione sportiva è facilmente rappresentabile grazie ai kata, posture e mosse codificate e infinitamente ripetute, sui quali si modellano gli stilemi del genere, insieme ad immagini statiche che ricordano le pose del teatro Kabuki: volto teso,occhi ardenti, sopracciglia aggrottate, gocce di sudore. Gli elementi elencati hanno una valenza universale, tuttavia la generalizzazione non deve spingersi oltre, poiché ogni periodo storico colora il manga di sfumature diverse: le origini dello spôtsu si collocano in un decennio difficile, diviso tra la ‘miracolosa’ ripresa economica, il tenore di vita in aumento e l’ondata di manifestazioni e scioperi contro il trattato sulla sicurezza che lega il Giappone agli Stati Uniti, contro l’inquinamento industriale e contro la guerra nel Vietnam. Tali eventi sociali vengono rielaborati in maniera differente da shôjo e shônen: mentre quest’ultimi sono mossi da un'ideologia di contestazione verso il sistema, tra tutti Ashita no Joe; i primi si caratterizzano per la totale e sentita adesione allo stesso. Certamente, il sistema è incarnato dalla figura del maestro, l’allenatore, la cui guida non viene mai minata ma ciecamente seguita: Kozue, Mimì, non si ribella al bullismo scolastico quando è il prezzo da pagare per 126 giungere alla vittoria, così come le allieve del Nishi Tennis Club si sottopongono, obbedienti al volere di Jin Munakata, ad allenamenti simili ad una demolizione del loro fisico e del loro orgoglio. Frequentemente, alla crudezza delle azioni e degli avvenimenti, si aggiunge quella delle parole: "Arrivati a questo punto, esiste soltanto la vittoria! Poco importa se la lasciate sfuggire solo per un soffio. Il secondo o l'ultimo posto sono la stessa cosa!" sono le parole dell’allenatore Hongo all'inizio del secondo volume di Attack No. 1. Tale asprezza è il riflesso della cultura militarista che ha dominato il Giappone per secoli: dopo aver visto le loro madri sobbarcarsi il peso di un paese in guerra, le giovani lettrici dell’epoca, certamente, non impallidiscono di fronte alle scene di Kozue che migliora le ricezioni con le catene ai polsi, versando sangue e sudore sul campo da gioco, come se fosse un campo da battaglia. Con il cambiamento dei tempi, lo shôjo sportivo intraprende una strada più edulcorata, che si apre alla risata - basti pensare alla spensierata e goffa protagonista di Attacker YOU! - ma lascia invariato il rapporto senpai-kōhai poiché, come esaminato nel paragrafo precedente, si propone come una realtà molto presente. Nel microcosmo dei club sportivi scolastici, si riscontrano le dinamiche sociali che vigono nel mondo adulto, vengono enfatizzati i concetti di autorità, obbedienza, riconoscimento della leadership e i giovani atleti prendono molto sul serio i pesanti allenamenti richiesti loro dal maestro o dai più anziani. Ciò viene riflesso nel Nishi Tennis Club, in cui i giochi di potere sono gestiti dalle allieve più veterane che non si fanno scrupoli nel nonnino sulle ultime arrivate né ad alzare la testa contro l’allenatore: certamente, il loro dominio finisce lì dove inizia la parola dell’uomo e nessuno può discutere le sue decisioni. La schiera di malpensanti rivali attribuisce il trattamento privilegiato a comportamenti ‘audaci’ della tennista nei confronti del mister: l’ambiguità del rapporto esclusivo tra Jim ed Hiromi nasce dalla completa sottomissione della ragazza alla volontà dell’unica persona che crede in lei. L’asprezza degli allenamenti riflette la fatica ed il sacrificio che segnano l’apprendimento di qualsiasi disciplina nella realtà giapponese: la regola per diventare una geisha erano lunghe ore di fatiche e di severo studio dello shamisen ed estenuanti lezioni di danza, poiché la sofferenza era ritenuta una componente fondamentale della bravura. Una dimenticanza o un movimento goffo venivano puniti con un colpo deciso del ventaglio chiuso dell’insegnante e, frequentemente, le lezioni si tenevano al freddo dell’inverno finché le ragazze non avevano le dita sanguinanti e la voce arrochita.175 Oltre alla figura topica dell’allenatore-demone, Attack No.1 è precursore anche della tradizione delle tecniche segrete inverosimili, mutuate direttamente dai manga di arti marziali: in tal caso, celebre l’attacco ‘goccia di ciclone’della protagonista.176 Infine, è qui già presente il topos di personaggi antagonisti che si riveleranno 175 Attualmente le Madri delle case da tè sono consapevoli delle difficoltà di trovare ragazze seriamente intenzionate ad intraprendere la strada. Sono perciò inclini a mitigare l’addestramento. L.C. Dalby, La mia vita.. 176 la formula oni-coach è il reale soprannome dell’allenatore delle olimpiadi del ’64, Hirofumi Daimatsu. 127 i compagni migliori e questo oltre dieci anni prima di Dragonball e del Jumpismo - i cambi di personalità sono tipici degli shônen di oggi: Kozue non solo scopre una grande amica nella sua più grande rivale, ma il suo esordio è segnato dall’astio delle compagne fino al momento in cui dimostra il proprio valore. Eppure, al di là delle critiche, degli ostacoli e delle prove che si aggiungono al malumore adolescenziale, queste eroine hanno abbandonato gli spalti e l’uniforme di cheerleader per scendere finalmente in campo. Questi manga mostrano il sapore tutto nipponico che acquisisce fare sport - anche se uno sport occidentale d’origine - nella terra del Sol Levante, dettato dai continui richiami all’ethos dei samurai: "il bushido comporta non solo uno spirito marziale e l’abilità nel maneggiare le armi ma anche lealtà assoluta al proprio signore, la devozione al dovere e il coraggio di sacrificare la propria vita in battaglia"177 A ciò il buddismo zen aggiunge la disciplina fisica, l’autocontrollo ela pratica della meditazione. Certamente la lealtà - caratteristica distintiva della società feudale - verso il proprio signore ha assunto la forma moderna di rispetto nei confronti del proprio maestro: indifferentemente dal campo in cui si agisce, l’obbiettivo è quello di saper vincere obbedendo alle regole con volontà, coraggio, autodisciplina e perseveranza, giungendo ad un superamento di sé. Ad ogni allenamento il protagonista sembra avvicinarsi al satori, diventare consci nell’inconscio, perché solo se la sua mente non è disturbata da nessun tipo di attaccamento, il mushin, può giungere alla vittoria. Purtroppo, l’eventualità del fallimento porta con sé un inevitabile senso di colpa:al giorno d’oggi, ciò comporta il super lavoro, causa frequente del karoshi, nonché il suicido per purificare una cattiva reputazione o per chiedere il perdono di una mancanza alla famiglia e all’azienda. Forme moderne del seppuku dei bushi, per i quali l’onore si traduceva nell’orgoglio di morire piuttosto che essere disonorati. Dopo sessant’anni circa dalla sua nascita, il genere sportivo si è evoluto passo dopo passo con i tempi, che non sono più duri come una volta: lo sport non è più un mezzo per superare la propria inferiorità fisica o risvegliare lo spirito guerriero schiacciato dagli invasori, ma diventa un’incitazione all’iniziativa personale e a credere nelle proprie capacità in quanto individuo - rappresentativo delle contro tendenze che stanno emergendo. Anche le atlete dello shôjo possono abbandonare l’austerità dei classici e donare maggiore spazio all’amore, anche a scapito dello sport stesso. 178 177 R.J. Davies, O. Ikeno La mente giapponese..., cit., pag 48. La presente analisi si estende anche alle numerose serie manga dedicate al balletto - Arabesque, Swan, Lady Love - nonché quelle dedicate al teatro, prima fra tutte Il grande sogno di Maya e l’aspirazione all’onorevole ruolo de La Dea Scarlatta tra stentanti prove, invidie e rivalità 178 128 2.16 IL MAHŌ SHÔJO E IL MISTICISMO DEL PENSIERO GIAPPONESE Sotto la definizione di mahō shôjo, letteralmente ‘ragazza magica’, ricade un intero filone di manga che unisce la commedia al fantasy e in cui è presente l'espediente della magia, che spesso complica la situazione con effetto comico. L’elemento fantastico può manifestarsi sotto una vasta gamma di possibilità: dalle maghette - in giapponese majokko, il cui significato si estende alla definizione del genere -, armate di bacchette magiche dalle forme variegate e munite di formule simili jingle; ad un semplice elemento marginale, quale un angelo che esaudisce i desideri o alla natura demoniaca dei personaggi stessi. Ad esempio in Ultra Maniac la protagonista tenta di far mettere insieme la sua migliore amica con il suo aspirante fidanzato, finendo irrimediabilmente per rendere la situazione solo più complicata; invece, in Fruit Basket i membri della confraternita che accoglie l’eroina si trasformano in incarnazioni del bestiario zodiacale cinese, sotto l’effetto di stimoli diversi. Il tallone d’Achille del genere è il rischio dell’infantilismo e di una storia poco originale, a causa dei rigidi schematismi che il filone magico impone. È errato vedere nella fantasia e nell’irreale del manga un rifiuto infantile della realtà: per i giovani giapponesi, sottomessi da subito alle esigenze di un sistema scolastico costrittivo, il sogno ed il fantastico rivestono una funzione escapistica rinvigorente. Le majôkko fanno il loro ingresso sulle riviste shôjo, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta: Meg - Bia-, Chappy, Lalabel e Lun Lun - Lulù - sono alcuni nomi di graziose streghette, alle prese con il primo amore e debitamente affiancate da amici fedeli, che seguono un percorso che le conduce dall’infanzia alle soglie dell’età adulta. Il tema della crescita diventa esplicito in quelle trame che s’incentrano sulla trasformazione di giovanissime protagoniste in ragazze più grandi - sempre dotate di un talento particolare -, grazie al dono di oggetti magici e relativi poteri. Nella serie Mahou no Tenshi Creamy Mami, L’incantevole Creamy, Yu Morisawa è affiancata da due piccoli gatti alieni - Posi e Nega - e attraverso i poteri ricevuti in dono da loro si trasforma nella dolcissima Creamy, una famosa cantante. Anche nella serie Mahou no Star Magica! Emi, Magica Magica Emy si riscontrano i medesimi punti, quali poteri magici da sperimentare sulla pelle di una ragazzina umana e creature parlanti e puntualmente kawaii: la piccola Mai Kazuki, seguita costantemente dal buffo Moko - un folletto con le sembianze di uno scoiattolo volante -, si trasforma in Emy, una bravissima prestigiatrice. La narrazione si snoda in continue situazioni equivoche e divertenti, causate dalla necessità di tenere segreti i poteri magici ricevuti e, dunque, la vera natura dei loro doppi.179 Da ciò si evince che crescere come le eroine, nell’immaginario adolescenziale giapponese, è il miraggio di poter diventare adulti senza travaglio, in una 179 Entrambi gli esempi appartengono a quella particolare categoria di manga che succedono alla messa in onda dell’anime. Tale dato è indicativo del successo del genere, soprattutto negli anni Ottanta. 129 dimensione onirica nella quale alberga un’autorealizzazione scevra da obblighi sociali. E ciò ricorda l’analisi di Matt Torhn sulla produzione della mangaka Hagio Moto: anche qui, si trovano protagonisti quattordicenni, perché considerata l’età liminale e soffocante per eccellenza.180 Più recente, nel 2002, è Dennou Sôjo Mink, Cyber Idol Mink, fumetto che testimonia le qualitàdella mangakaMegumi Tachiwaka, legata atitoli molto infantili - Mûgen Densetsu Takamahara, Hot Typhoom, Yume kui Annai in - a causa dei dettami redazionali. Una normalissima ragazza s’innamora dell’idol Illiya, attore e cantante celebre del quale acquista l’ultimo album: all’interno vi trova allegato un CD-ROM,capace di trasformare chiunque in un idol virtuale. Dunque, si perpetua il leitmotiv del mahō, che permette all’ordinarietà infantile di saltare un’intera fase della crescita giungendo ad una precoce adolescenza: meglio se il doppio sia una figura di successo. L’autrice dichiara di essere in debito, innanzitutto, con il periodo storico contemporaneo - tra il vecchio ed il nuovo secolo - ricco di nuove tecnologie; con il cantante del gruppo musicale l’arc-en-ciel, ispiratore del suoidolcartaceo; con il dilagante fenomeno ‘sillabico’,abusato dalle colleghe, che porta alla scelta di nomi in sintonia con il clima, quali Tamu Tamu Min Min Go Go. Secondo Davide Del Savio, in uno studio da lui svolto su questo tipo di prodotto, emergono due punti rilevanti: 1. utilizzo della magia come mezzo attraverso il quale arrivare alla consapevolezza che possedere un potere magico non è fondamentale per essere delle persone speciali; 2. L’utilizzo, in chiave scintoista, del tema infanzia-età adulta per sottolineare la capacità dei bambini di guardare oltre l’apparente banale quotidianità, per cogliere la presenza di creature e dimensioni parallele. Bouissou sostiene che "le streghette trovano la loro nobiltà letteraria nei film d’animazione superbi e profondi di Mihazaki"181: il dio dell’animazione giapponese ha costellato le sue opere di figure paranormali dal sapore arcaico e la cosa più interessante è che affida la comunicazione con l’irrazionale a figure di bambine, anch’esse seguite da buffi animaletti - nel caso di Totoro la stazza non ne pregiudica l’effetto kawaii. Nei bambini, la disponibilità a credere nell’impossibile è particolarmente spiccata e il loro sesso femminile consente una libertà negata ai caratteri maschili più rigidi e chiusi dentro funzioni sociali e narrative specifiche.182 Negli anni Novanta, il genere assiste ad una svolta significativa: i sedici anni si impongono sull’età dell’infanzia, le majôkko lasciano il posto a magiche guerriere dalle sfumature erotiche ed il nucleo narrativo s’intreccia con il genere super-eroico. Il Giappone non è estraneo a figure di donne combattenti e la sua storia porta il ricordo di numerose, ma poco conosciute, donne samurai: i tempi duri costringevano anche le giovani spose e madri ad impugnare le armi per difendere la propria famiglia e il proprio contado. Figura 180 Per un maggiore approfondimento vedere il paragrafo 2.8 Lo shôjo manga diventa appannaggio femminile. J. M. Bouissou, Il Manga..., cit., pag. 163. 182 Il riferimento è alle opere Kiki-consegne a domicilio, La città incantata e Il mio amico Totoro. 181 130 leggendaria è Tomoe Gozen, 1161-1184, le cui gesta eroiche sono riportate nel poema epico Heike Monogatari. Il manga rielabora i tratti della guerriera e la veste alla marinaretta: Bishôjo Sensi Sailor Moon nasce dalla matita di Naoko Takeuchi e viene pubblicato sulla rivista Nakayoshi, della casa editrice Kodânsha. Cardine del genere,l’opera è una geniale ricetta che combina in modo nuovo generi ormai consolidati nel tempo, quali il sentai mono, la serie live action, le maghette ed il filone un po' sexy delle combattenti in minigonna, ricettacolo delle fantasie dei maschi nipponici, attratti dalle divise scolastiche da liceali. La trama segue le avventure di Usagi Tsukino, adolescente maldestra e svogliata,che riceve il potere di trasformarsi in Sailor Moon, colei che trae i suoi poteri dalla luna. Grazie alla guida di un gatto parlante, si unisce ad altre adolescenti dotate degli stessi poteri - diversificati per colore, simbolo e origine - per riuscire a trovare la principessa della luna: si alternano ripetitivi combattimenti con il cattivo di turno, ad un intreccio amoroso e siparietti comici.Sebbene, a prima vista, il pattern sembri assimilabile - ad esempio, la presenza di un animaletto kawaii viene rispettata -,la differenza di fondo con le majôkko risiede nel fatto che le Sailor non crescono, ma sono reincarnazioni di combattenti lunari; inoltre, lo scopo della trasformazione non è fine a soddisfare desideri individuali, bensì ad adempiere a una missione, nel corso della quale le donne prendono coscienza di loro come gruppo e della necessità di collaborare per l’affermazione delle proprie scelte. Il cambio di nome da semplici studentesse a guerriere Sailor - anche tale elemento verrà ripreso dalla produzione seguente - mantiene il legame con il tema della crescita: in Giappone una stessa persona può avere più nomi, a seconda del ruolo che svolge, in modo che Chi-fa-la-tal-cosa venga riconosciuto da tutti come tale ed ogni nome deve essere appropriato allo stadio esistenziale della persona. Dunque, si acquista un nome nel momento in cui conquista uno status. La Takeuchi farcisce il lavoro di simbolismi o riferimenti culturali, elementi di astrologia, mitologia classica occidentale e credenze orientali: il nome della protagonista, Tsukino Usagi, è foneticamente affine all’espressione‘coniglio -usagi- della luna - tsuki’, che deriva dall’idea che gli avvallamenti ed i crateri lunari ricordino la forma dell’animale e, intorno a questo, è nata una leggenda asiatica, ripresa anche da Masami Kurumada nel suo Saint Seiya, I Cavalieri dello Zodiaco- antesignano dell'opera della Takeuchi per diversi aspetti. Il richiamo simbolico al coniglio è continuo, dalla sua bizzarra pettinatura simile alle orecchie dell’animale alla testa di un coniglietto che l’autrice inserisce nelle vignette di Usagi, nonché per il colore della sua uniforme, il bianco, che accomuna sia la luna sia i conigli. Anche la scelta di un gruppo costituito da cinque guerriere nasce dalla cultura nipponica e riprende la filosofia delle cinque forze: secondo Confucio, al mondo vi sono cinque forze, o cinque facoltà, dinamiche chiamate Wuxing, agenti, che formano una catena di combinazioni per generare energia. Tali forse sono il fuoco,huo, la terra,tu, il metallo oro, jin, l’acqua, shui, e il legno,mu. La tradizione orientale associa -non solo simbolicamente, ma 131 anche sul piano etimologico - quest’ultimi ai primi pianeti del Sistema Solare rispettivamente, Marte, Terra, Venere, Mercurio e Giove -, a loro volta legati alla settimana esattamente come in Occidente. Nomen omen, ciascuna marinaretta contiene nel nome il kanji presente in quello di un pianeta - e, da qui, in quello del giorno e dell’agente stesso -, da cui discendono i suoi poteri ed al quali si ispira il suo cromatismo. Esemplificativo, la giovane Makoto Kino è Sailor Jupiter, la combattente protetta dal pianeta Giove. Nella tradizione orientale, al pianeta sono legati l’elemento del legno ed il colore verde: il cognome della ragazza, Kino, contiene l’ideogramma ki, legno, che appare sia nel nome giapponese di Giovedì sia in quello del pianeta Giove;la natura è la sorgente dei poteri della combattente - usa attacchi legati a piante e fiori - ed il suo sogno è quello di diventare una fioraia; il pianeta di riferimento è il più grande del Sistema Solare e, allo stesso modo, Jupiter si presenta come la più alta, la più formosa e con maggior forza fisica; infine, per via dello spesso e denso strato di nubi che lo ricopre, su Giove si verificano tempeste e perturbazioni, pertanto la guerriera è solita ricorrere al fulmine per combattere. Ma le Sailor si investono anche di simbolismi classici occidentali e sono in grande debito con la mitologia greca: Ami, alias Sailor Mercury, eredità la sua intelligenza dall’entità che i greci legavano al pianeta Mercurio, vale a dire Ermes, nonché dio della ragione e messaggero degli dèi; Minako, alias Sailor Venus, ricorda nell’aspetto Afrodite, divinità dell’amore e della bellezza,per i suoi lunghissimi capelli biondi e gli occhi azzurri e, in Sailor V, fa la sua comparsa Adone, di lei follemente innamorato, così come nel mito greco è presente, sotto lo stesso nome, un giovane di incomparabile bellezza da cui Afrodite era ammaliata.183 Le altre quattro Sailor che completano lo spettro del Sistema Solare - da Saturno a Plutone - fanno il loro ingresso nel corso della storia ed operano in solitaria, ma la loro caratterizzazione - dal nome, al cromatismo, agli attacchi - seguono le stesse dinamiche di scrittura simbolica. Sebbene, in tale sede, non si possano sviscerare tutti i richiami di ogni personaggio, è necessario soffermarsi sulla coppia lesbica di guerriere Sailor, perché più volte nominate: il loro legame non è casuale, ma letteralmente ‘scritto nelle stelle’, dal momento che la stessa astrologia definisce Urano e Netturo i ‘pianeti gemelli’ per la simile composizione chimica. Infine, ciò che tocca la sensibilità di un occidentale è trovare, accanto all’iconografia dei tre talismani dell’imperatore - nel manga detenuti da Sailor Urano,Nettuno e Plutone -, quella del Messia e del Sacro Graal.184 Il Messia, letteralmente ‘re unto dal Signore’, è una figura importantissima nella tradizione ebraico-cristiana: un uomo inviato da Dio per salvarlo e purificare il mondo dal peccato. Nel manga si mostra la ricerca, da parte di buoni e cattivi, di questa figura che è al tempo stesso un’essenza maligna 183 Il mito racconta che, conteso da lei e dalla dea Persefone, Adone era destinato a passare quattro mesi l’anno conognuna delle due dee e quattro per conto suo e venne ucciso da Ares, amante geloso di Afrodite, trasformato in cinghiale o, secondo altre versioni, da un cinghiale mandato da Ares. 184 Il discorso sulle effigi imperiali è stato presentato nel paragrafo 1.2.1 In the beginning woman was the Sun. 132 con l’unico scopo di annientare totalmente la vita, ma anche figura salvifica che debellerà il male per proteggere la vita. L’ago della bilancia che decide quale delle due figure sarà destinata a trionfare è il Sacro Graal, seihai, oggetto mistico che, nel manga, nasce dall’unione dei poteri di Sailor Moon, Tuxedo Kamen e Sailor Chibi Moon, quasi un’esaltazione dell’istituzione familiare. Talmente forte risulta un tale adattamento dell’iconologia cristiana, da essere stato celato nella versione italiana dell’anime. Il giudizio di A. Rumor sull’opera è molto duro, tanto da definirlo un 'catalogo di gigionerie senza freni’ e un lavoro mediocre che aggiunge l’elemento omosessuale ‘con irrisibile ipocrisia’: tuttavia, ne concorda il merito di aver aperto uno spiraglio sulla cedibilità editoriale dello shôjo, in Italia. Secondo l’autore, il merito del successo planetario va alla figura di Yoshio Irie, che prende le redini della rivista Nakayoshi a soli ventisei anni ed impone al gruppo di lavoro, compresa la stessa Naoko Takeuchi, trecentosessantacinque giorni d’incubazione: stanco di leggere fumetti che annaspavano nella ridondante banalità dell'essere romantici, suggerisce l’aggiunta del paranormale e, soprattutto, un’attenta strategia di marketing. La crisi dell’editoria impone nuove regole di business e con Bishôjo Sensi Sailor Moon si parla per la prima volta di media mix - unione di manga e merchandising -, con i geniali furoku- gadget in omaggio, dai poster alle cartoline. Ciò ha reso possibile una diffusione del prodotto su larga scala ed un eco di temi e stili, in esso contenuti, che risuona dopo vent’anni: Mahô tsukai Kurohime di Masanori Ookamigumi Katakura mostra delle prosperose armaghette, paladine-pistolere della pace che affrontano i malvagi, in una sorta Far West mistico colonizzato da strambe divinità; oppure il sui generis Madoka Magica di Hanokage. Il manga segue alla produzione dell’anime e ne è una fedele riproduzione, tranne che per l’ambientazione contemporanea - pertanto non di grande spessore artistico: la storia è sempre quella di una giovane, Madoka, e delle sue amiche che stringono un patto con un essere magico, Kyubei, diventando delle Puella Magi per combattere le Streghe. In realtà,tali elementi vengono ribaltati per mostrare il lato oscuro dell’essere maghetta: le ragazze non sanno di dover pagare un prezzo molto alto per aver stretto un patto faustaniano con un animaletto che, dietro le sembianze kawaii, cela una natura mefistofelica. Una Puella Magi non combatte per vocazione, ma per egoismo personale, il gruppo si sfalda e lei è sola contro le streghe e contro se stessa e la morte si affaccia sulla scena con violenza e crudo realismo, lontano da una possibile rinascita come accade alle guerriere Sailor. La vera eredità del fantastico è nelle mani del collettivo, tutto al femminile, CLAMP: Nananase Ôkawa, figura leader, si occupa di soggetti e sceneggiature; Mokona Apapa è l’infaticabile disegnatrice titolare; Mick Neroy è ‘esperta di colori’, art director e seconda disegnatrice; infine, Stsuki Igarashi è l’addetta alle retinature. Lo pseudonimo permette loro di suddividersi il carico di lavoro in modo anonimo e la loro prima apparizione risale al 133 Komiketto del 1987, come autrici di dojinshi. Abili imprenditrici di se stesse, le quattro ragazze - tutte volto da bambola, espressione arguta, guardaroba da diva della pop music sintetizzano il vecchio concetto di nakama, il pragmatismo di gruppo tutto giapponese, e l’innovazione del media-mix. La loro specialità sono le majokko sensuali e potenti, che attraggono i maschi come le ragazze: eppure è complicato trovare nel manga una sistemazione soddisfacente per il Clamp, amante della fantasia, che disegna per un pubblico eterogeneo, pur mantenendo uno stretto legame con lo shôjo. Le Clamp sono attratte dal caos ad hanno una fissazione per le dimensioni parallele e per mistica ossessione per l’Apocalisse, a cui si giunge con una mîse di shôjoo bishônen: emblematico lo humor nero di Tokyo Babylon e X ed il paradiso terrestre in pericolo nel quale si risvegliano le studentesse edochiane di Maho Kishi Reyarth. Mentre quest’ultimae Card Captor Sakura sono prodotti appositamente per le giovani lettrici di Nakayoshi, da RG Veda - imparentato ai miti e alla religione induista - sino ad Angelic Layer o Chôbits, ci si trova di fronte ad opere impossibili da classificare, che sembrano scritte per un pubblico non pubblico. Il loro talento sta nel riuscire a passare dai toni ottimisti e romantici di Card Captor Sakura a quelli oscuri ed ambigui di Tokyo Babylon; dalle atmosfere delicate e soffuse di una line art sottile nel primo, a un'un’atmosfera di cinica umanitàresa attraverso una linea art più marcata nel secondo; dal messaggio di rispetto per la diversità sotto ogni forma, senza pregiudizi o tabù, dell’uno, all’immagine di una Tokyo moderna, paradigma dei mali della società, dell’altro. Entrambe le opere, ideologicamente ed esteticamente opposte, sono dei capolavori: Card Captor Sakura è stato, perfino,insignito del prestigioso Seiun Award come miglior manga dell’anno 2001 e non è sfuggito a testate del calibro del New York Times.185 All’interno delle opere mahō, scene, vicende e personaggi possono comporsi di più livelli di lettura: riferimenti a miti, immagini sacre, abitudini rituali, superstizioni quotidiane. Storicamente, il persistere del paranormale deriva dalla strategia delle autorità giapponesi che, durante il processo di modernizzazione, reciclano lo shintō e i kami, in qualità di pilastri dell’identità nazionale: il Giappone, pur abbracciando completamente la modernità materiale, non ha mai fatto del tutto sua quella modernità culturale che, in Occidente, ha sterminato le figure del folklore ed ha relegato la dimensione magica nella dimensione dell’irrazionale e della superstizione. Il fantastico può essere considerato "il veicolo più appropriato per comprendere il Giappone moderno".186 Il termine religione aiuta poco nella sua enorme ampiezza e si avvicina più ad una filosofia di vita: "Nella cultura giudaicocristiana passate il tempo a scusarvi ed a chiedere perdono. Noi guardiamo la natura e 185 Le opere sono state affrontate, rispettivamente, nel paragrafo 2.12 Lo yuri manga e l’amore saffico e nel paragrafo2.10 La genesi dei Boys’ love: le donne giapponesi raccontano l’amore tra giovani androgini. 186 J. M. Bouissou, Il Manga..., cit., pag. 170. 134 diciamo continuamente grazie".187 Un aspetto fondamentale è la tendenza al sincretismo religioso, che nasce dalla scarsa incidenza dell’esclusivismo, alla base dei tre monoteismi per cui l’adesione ad una fede considerata come l’unica vera implica il rigetto delle altre false. Ciò porta ad una sorta di separazione funzionale delle diverse religioni, nell’ambito degli aspetti della vita dei fedeli: lo schintō è legato ai riti e alle pratiche della collettività, della vita - matrimoni e passaggi d’età - e il buddismo al mondo dell’aldilà, all’elaborazione della morte e alle pratiche funerarie.188 Nel panorama del fumetto si generano tre ambiti in relazione al tema: il primo della presenza di religioni, simboli, riti, miti e figure come semplice parte di quotidianità - unica funzione è l’ambientazione realistica; nel secondo il richiamo e la citazione, un utilizzo attivo dell’immaginario mitico, di solito parte dei racconti e delle leggende tradizionali; nel terzo la religione diventa una visione del mondo, basata su di una fede in principi ed entità che sovrastano l’essere umano. Nel primo caso possiamo inserire Uruseiyatsura, Lamù, uno tra i titoli più longevi del fumetto, per la sua capacità di coniugare l’ambientazione scolastica con il recupero dell’immaginario folcloristico nipponico. Con umorismo surreale e farsesco, mostra il quartiere di Tomobiki di Tokyo alle prese con invasori extraterrestri e la stessa protagonista, Lamù, è una vivace e provocante aliena, che s’innamora di un liceale pigro, sciocco ed immancabilmente attaccato alle gonnelle delle ragazze - stereotipo maschile. Lamù ed il suo popolo sono caratterizzati fisicamente allo stesso modo degli Oni, demoni giapponesi vestiti di pelle di tigre e con piccole corna conichesullatesta. La figura di Sakuranbô - bassino, sguardo vacuo ed capo rasato - è una parodia, senza mezzi termini, del tipico monaco buddista: menagramo sempre pronto a predire sventure - visto il legame di tale religione con la morte - e vorace divoratore di cibo, contrariamente al principio del controllo delle passioni. Perfino la dea Amaterasu diventa oggetto di parodia, certamente blanda: una classedi studenti mette in scena la mitologia giapponese eil caso vuole che la vera Amaterasu, in viaggio per Izumo, venga reclutata nel ruolo di se stessa. Durante la recita, si uniscono anche gli altri Dei, convinti che Tomobiki sia la città sacra di Izumo.189 Tale libertà risulta possibile grazie ad un dogmatismo poco rigoroso, ma il limite da non poter superare ruota intorno alla figura dell’imperatore: in base alla costituzione, è unicamente il simbolo dell’unità nazionale, privo di reali poteri politici e di qualunque prerogativa divina, tuttavia, la sua figura rimane saldamente ancorata alla mitologia nazionale e disonorarlo sarebbe come bruciare la bandiera in America. Il secondo gruppo si può compendiare nella figura di Sailor Mars inBishôjo Sensi Sailor Moon:oltre ad essere legata al pianeta Marte ed al dio della guerra, Ares, del pantheon 187 Julie Rovéro-Carrez e Choël Raphaëlle, Tokyo Sister..., cit., pag.34. Le due maggiori tradizioni sono shintō e buddismo. Lo shintō è la religione autoctona, politeista con forti accenti animistici; il buddismo, nato in India nel VI sec a.C., giunge dopo diversi secoli. 189 Il racconto mitico parodizzato viene affrontato nel paragrafo 1.2.1 In the beginning woman was the Sun. 188 135 olimpico, l’eroina detiene numerosi contatti con la tradizione orientale. La geomanzia asiatica del feng shui vuole il colore rosso - assegnato aRei Hino per via del colore rossastro del pianeta, la cui struttura contiene enormi quantità di ossido di ferro - come un colore caldo adatto alle case dove vivono persone anziane e, infatti, Rei vive da sola con suo nonnoin un santuario shintō. Questa è un ulteriore rivisitazione religiosa: nella vita di tutti i giorni, Rei è una miko impiegata nel santuario di famiglia e tale occupazione spirituale le dona dei poteri extrasensoriali, quali leggere le fiamme, avere visioni di eventi futuri o captare minacce e spiriti maligni. La combattente respinge gli attacchi dei nemici anche con l’ausilio di rituali come il Kuji, le nove sillabe -una sorta di esorcismo giapponese della tradizione taoista e presente anche nel buddismo Shingon - o gli ofuda, talismani shintō- fogli di carta con su scritto il nome del kami o del tempio. A ciò si aggiungano le simbologie dei suoi attacchiil Burning Mandala eilMars Flame Sniper: rispettivamente si richiamano il mandala, in sanscrito ‘cerchio’, un diagramma circolare costituito da diverse figure geometriche che, nella cultura vedica/buddista, rappresenta un percorso di formazione spirituale; nonchè, l’abilità nel tiro con l’arco per cui sono note le miko - iconograficamente la Sailor evocauna freccia infuocata. Se la figura della sacerdotessa shintō popola il manga per il suo fascino mistico, quella della monaca buddista è completamente assente e ciò si deve, anzitutto, alla scarsa considerazione nella quale è tenuta, all’interno del suo stesso ordine: il principio di universalità del Buddismo mostra la sua contraddizione nel non accettare una neutralità sessuale e nel proiettare solo sulla donna l’attitudine negativa nei confronti della sessualità, con conseguentesvalutazione del corpo della donna e attribuzione esclusiva della spiritualità all’uomo. Ciò unisce tanto l’Oriente quanto l’Occidente.190 Il sessismo si estende anche alla concezione della salvezza, che pone la donna alle dipendenze del merito maschile: non esistono Buddah femmine e una donna può diventare tale solo se, prima, si reincarna nel corpo di un uomo - a patto che conduca una vita buona;se si ritira a vita monastica; se uno dei suoi figli intraprende il cammino di monaco ed alla madre viene assegnato il merito per averlo educato. Il terzo gruppo rovescia, in una parodia oscura e violenta, l’idea del mondo creato da Dio per un progetto al cui centro vi è l’uomo: Simoun di Hashiba Hayase è un manga del 2006, seguito all’anime anche questo e dallo stile retrò che richiama gli anni Novanta diBishôjo Sensi Sailor Moon e Kakumei Utena. L'azione si svolge sul pianeta Daikuriku, Terra del Cielo, teatro di guerra tra fazioni confinanti per la conquista del segreto tecnologico della nazione di Simulacrum. Tutti i suoi abitanti nascono femmine e, all’età di diciassette anni, ciascuno compie liberamente la scelta del sesso, immergendosi nell'acqua 190 La nota leggenda della nascita del Buddah storico racconta che Shakyamuni entra nel corpo della madre in modo misterioso e nasce dalla sua ascella destra. Anchei boddisattva emergono senza parto, seduti nei fiori del Loto puro. La nascita di una persona è resa impura dal piacere sessuale del concepimento e la donna incarna tale spirito peccaminoso. 136 della Fonte in una cerimonia che ricorda il battesimo. Dunque, si percorre il topico tema della crescita, attraverso i dubbi causati dalla fine dell’infanzia, la scoperta dell’amore e la scelta sulla propria identità sessuale. Le protagoniste della vicenda sono delle sacerdotesse, chiamate Sibille, il cui compito consiste nel volare nel cielo su dei carri sacri, chiamati Simoun, nonché elemento di discordia e causa del conflitto. Per questo motivo, le Sibille, in bilico tra la loro identità religiosa e la loro identità di guerriere, sono costrette ad usare i Simoun per combattere: questi veicoli, in grado di viaggiare sia nel Tempo che nello Spazio, possono essere guidati solo da sacerdotesse che non hanno ancora scelto il proprio sesso una sorta di verginità, sebbene priva di valenza sessuale -, e necessitano la presenza di due piloti perché costituiti da un doppio motore elicoidale. Il simbolismo della coppia è onnipresente, tanto che lo stesso Dio di Simulacrum è doppio ed il suo simbolo è una coppia di ali gemelle; inoltre, ha una natura profondamente sessuale, vista la necessità del bacio di accensione tra la coppia di Sibille alla guida di un Simoun. Le coppie sono fortemente dinamiche: un'Auriga può diventare una Sagitta e viceversa, una Sibilla può fare coppia con diverse sibille e le coppie cambiano, si evolvono, si intreccianoe finiscono.191 Lapalissiano è il citazionismo della mitologia greco-romana, già presente in Bishôjo Sensi Sailor Moon, che va dalle architetture dei luoghi sacri, come le Rovine e la Fonte - templi greci rivisitati all’uso del latinoper i termini religiosi: le sacerdotesse sono chiamate Sibille; un gruppo di 12 sibille è chiamato Coro; la sibilla principale è chiamata Sibylla Aurea; le posizioni che le sibille assumono nei Simoun sono Auriga - colei che sta in basso - e Sagitta - colei che sta in alto - elo stesso Dio è chiamato Tempus Spatium. Al di là della latinità, le sibille ricordano più le miko giapponesi, soprattutto per il loro legame con la Danza, metafora della Vita che scorre nel Tempo e nello Spazio: le Danze nel Cielo dei Simoun sono rituali di ringraziamento a Dio, così come i combattimenti aerei sembrano bellissime coreografie. In questo manga il rapporto tra società e religione è strettissimo: nella Teocrazia del Simulacrum, il credo è incentrato sulla venerazione di una forza spirituale conosciuta con il nome di Tempus Spatium, rappresentata iconograficamente da un pilastro dotato di ali. Anche la scelta del sesso è qualcosa di strettamente legato alla religione, nel suo essere rito di passaggio che segna l’ingresso all’età adulta. Certamente tale moda del magico si sviluppa in generi e sottogeneri dall’innumerevole produzione; tuttavia, è nel genere horror che il paranormale raggiunge la sua massima espressione. 191 La componente yuri trabocca di giovani ragazze maggiorate con altissima carica erotica e, pertanto, il manga è stato citato nel paragrafo 2.12 Lo yuri manga e l’amore saffico. 137 2.17 IL GENERE HORROR E LA NEVROSI FEMMINILE In Giappone si usa la parola kaiki per definire il mistero, che fa la sua fortuna in un genere narrativo dal grande potenziale: l’horror, sorprendentemente gradito alle lettricidi fumetti per ragazze. Le giovani del Sol Levante sono cultrici dell’occulto ed amanti del cinema di Dario Argento, la cui prima fan è proprio la giovane promessa Banana Yoshimoto. Probabilmente la narrativa horror ricalcaquella che Giorgio Amitrano considera la formula vincente per un giovane pubblico femminile: "l’intreccio trascura la logica per puntare sull’emotività pura e domina l’iperbole".192 Infatti, sembra non tradire quell’essenza romantica che si ricerca in uno shôjo, dando vita ad un filone fortunato grazie all’unione azzardata di terrore e amore: come le eroine classiche ed i loro tragitti tormentati, questi personaggi sono agitati da forze ignote nel loro intimo e corredati da occhioni, cornici decorative e tensioni omoerotiche. I motivi floreali si macchiano di sangue creando un particolare effetto poetico. Al 1992 risale uno dei capostipiti del genere Onikimaru, Slayer, di Kei Kusunoki ed il protagonista è un giovane in uniforme scolastica armato di katana, costretto ad uccidere i terrificanti Oni, demoni mitologici del folklore nipponico - anche nel paragrafo precedente -, per guadagnarsi una mortalità umana. Come accade negli altri filoni dell shôjo manga, la vera insidia risiede nel cuore della gente: emarginato perché diverso, il protagonista è un ibrido umano nato dal cadavere di un Oni. Dunque, dover sterminare una razza il cui sangue scorre anche nelle sue vene èil tormento del ragazzo bello e misterioso non bishônen. In stile prettamente shôjo, è l’utilizzo spropositato di modelli di bellezza e giovinezza grazie ai quali scovare la traccia del Maligno orrendo e mefitico nella società odierna. Altri ingredienti specificatamente nipponici sono gli orrori della guerra - il trauma fondativo nipponico -, le ibridazioni con l’artificiale - che trova il suo massimo sviluppo nel genere cyberpunk -, la vendetta della natura violentata - tema già presente nei racconti popolari - e l’immagine della distruzione dell’Arcipelago - frutto dell’olocausto nucleare nonché dettato dal senso di precarietàcon la quale vivono i giapponesi, per una terra che trema in continuazione. Bouissou procede alla ricerca dell’elemento che suscita terrore in un paese che, fino all’epoca Edo - gli anni Sessanta dell’Ottocento -, considerava di ordinaria amministrazione persone crocifisse e teste mozzate ai bordi delle strade: la morte brutale non è sinonimo di paura, piuttosto bisogna rivolgersi alla violazione sacrilega di una proibizione.193 Il genere non fa ricorso a lame, pali, seghe ed altri oggetti mortalmente penetranti, ma preferisce spirali aspiranti, bocche voraci, fluidi viscosi e fecondazioni 192 193 Banana Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, 2014, cit.,pag. 144. J. M. Bouissou, Il Manga..., cit., pag. 184. 138 impure: gli strumenti che richiamano il fallo sono sostituiti da simboli dell’utero materno. Per il simbolico maschile, la madre arcaica è molto più minacciosa di quella pre-edipica: se i genitali femminili possono essere costruiti come la mancanza del pene, il grembo e la minaccia di una prole - altrettanto minacciosa - non può essere posto sotto il segno opposto. Dunque, l’orrore nipponico è femminile: la donna fa paura dalla notte dei tempi e la mostruosa kuchisake onna,la donna dalla bocca spalancata, vanta un’origine divina nella figura di Izanami.194 Quando lo sposo discende negli Inferi per cercarla, il suo corpo di dea ha già cominciato a decomporsi e l’immagine raccapricciante costringe Izanaghi a fuggire. Quest’ultimo viene punito per aver disobbedito al veto di guardare e, da qui, nasce un ulteriore topos dell’horror: l’occhio varca il limite tra il permesso ed il proibito e commette sacrilegio.195 In riferimento al binomio mostruosità-identità femminile - che nasce dalla binomio aprioristico di mostuosità-alterità e dalla sintesi alterità-femminilità -, anche le mitologie occidentali pongono la donna sotto tale segno per via del suo essere Altro. La funzione riproduttrice della donna - vista come un grembo mostruoso - la colloca sul lato della natura e non nell’ordine simbolico. L’uomo è sopraffatto da inquietudine ed orrore perché si sente diviso tra la propria libertà e la dimensione materiale e carnale che trasferisce tutta sulla donna: l’eiaculazione è una promessa di morte che afferma la specie sull’individuo. Certamente, la freudiana paura di castrazione e di immanenza è principalmente una caratteristica della psiche occidentale: il giapponese è meno schiavo di tabù sessuali e totalmente scevro dell’ossessione per il proprio ego. Il femminile si teme per la sua centralità all’interno della famiglia investita, come ripetuto più volte, di un ruolo sacrale: incrinare l’equilibrio familiareappare una trasgressione temibile al pari della morte e la donna è la mina vagante che personifica tale minaccia. Lo psicopatico armato di sega elettrica è meno presente della madre mortalmente abusiva o della donna ripudiata persa nella sua follia ossessiva: figure femminili, concepite per essere vittime designate ed esasperate fino al limite, popolano le opere della ‘regina dell’orrore’, Kanako Inuko. L’autrice sviluppa un disegno molto dettagliato e senza pretese realistiche, mirando ad un effetto di straniamento per il suo design deformante. Da Fushigi no Tatari-can, Tatari, a Kuchisake onna densetsu, La leggenda della donna dalla bocca spalancata - che riprende l’omonima figura mostruosa sopra analizzata -, la protagonista è una giovane ragazza nella norma vessata continuamente da un sadomasochismo psicologico, fino alla reazione malefica e punitrice della stessa, per un certo piacere morboso. "È superfluo sottolineare che storie come questa offrono alle giovanissime un’irresistibile opportunità di identificazione, sublimando la paura del sesso in 194 Figura mitica di cui si è già parlato nel paragrafo 1.2.1 In the beginning woman was the Sun. Estrema somiglianza con il mito di Orfeo che scende negli Inferi per riportare la sua sposa sulla terra: voltandosi a guardare se Euridice lo sta seguendo, disobbedisce al veto e la perde per sempre. 195 139 una rappresentazione di orrori con catarsi finale e relativo recupero dell’innocenza", con tali parole Giorgio Amitrano analizza il piacere della lettura delle giovani nipponiche.196 Nel Giappone contemporaneo, l’inferno è spesso all’interno delle mura domestiche e, certamente, la figura materna ne è la diabolica signora: buona parte dell’esistenza di un individuo nipponico è permeata dall’ombra incombente di una madre che organizza le vite degli altri fin nei minimi dettagli, modellandone il futuro, e ciò comporta l’evolversi di un fortissimo senso di colpa per le cure ricevute. Queste sono le ragioni che stanno dietro a tale tema ricorrente, spesso legato al tabù dell’incesto e al topos della trasmigrazione delle anime - di diretta derivazione buddista: il mangaka Kazuo Umezu, nel suo Senrei, Battesimo, trapianta il cervello di una vecchia attrice in quello della figlia che ella ha generato al solo fine di poter, un giorno, trasferirsi dentro un corpo nuovo; o ancora, la sopracitata Kei Kusunoki nel suoYagami-kun no ratei no jijo, Il segreto della casa di Yagami, racconta dell’ambiguo legame tra un liceale e la madre, strega, che assume le sembianze di una sedicenne allo sguardo altrui e, tale equivoco anagrafico, porta gli altri personaggi a considerarla come la fidanzata del figlio stesso. Debitrice verso i maestri Rumiko Takahashi e Stephen King, la mangaka debutta appena sedicenne acclamata dalla critica un veroenfant prodige: "Far paura alla gente o farla sorridere per me è la stessa cosa".197 La sua opera antonomastica è Par 2, pubblicato con il suo studio K2, fondato in collaborazione con la sorella: la giovane Raika è vittima di orrende visioni, di enigmi della mente che la confondono tanto da non riuscire a distinguere la realtà, in un susseguirsidi eventi, mostruose entità e mutazione della carne che stordiscono senza lasciare respiro. Una citazione obbligatoria va a Chie Shinohara e le sue opere "dove il colore del sangue si confonde con quello dell’oscurità":198 definita la controparte dark di Rumiko Takahashi, è una delle più amate dal pubblico. Il suo prestigio sta nel montaggio preciso di vignette che non lasciano niente al caso e alla capacità di trasmettere un sentimento di terrore anche senza sangue. L’opera Sora wa alai kawa no notori, Il cielo è rosso sulle rive del grande fiume,occupa le posizioni più alte del bestseller a fumetti e sa rielaborare in modo originale gli stilemi finora analizzati: la topica ragazzina graziosa ed ordinaria, vittima di entità misteriose senza pace; il diabolico gioco dell’identitàperduta; spiriti che posseggono corpi; forme e suoni lugubri di mani che la afferrano all’improvviso; il male che viene dall’ambiente familiare o da sé stessi; infine, uno schema narrativo in cui l’ happy end ha una pronuncia distorta e fuori sincrono. Di facile intuizione, il continuo riferimento all’autrice di Ranma 1\2, Urusei Yatsura e Inuyasha, che gioca abilmente con la galleria demoniaca del folklore nipponico. 196 Mario A. Rumors Come bambole...cit., pag. 97. Ivi, cit., pag.,81. 198 Ivi, cit., pag.,93. 197 140 Il filone propone anche figure orrifiche di provenienza cristianoccidentale: in primis, il vampiro ed il suo corredo obbligatorio di bellezza tenebrosa, immortalità, forza sovrumana,gusto per il sangue e paura del sole. Il nipponico processo del wagon yôsai - di cui si è già parlato in precedenza - porta a depurare lo stereotipo di Dracula da tutti quegli elementi considerati troppo gaijin, quali il crocefisso e le corone d’aglio: questo ibrido riflette su di sé il mancato dualismo, tipicamente zen, tra Male e Bene tanto da piangere e struggersi a causa di sentimenti che sfiorano ‘l’umano’. La signora dei vampiri è la disegnatrice Narumi Kakinouchi, la cui opera principale è Kyuketsuki Miyur,Vampire Miyu, in grande debito con la produzione di Moto Hagio e di natura introspettiva: la protagonista è la figlia di un umano e di una schinma - dall’unione delle parole schin, divino, ema, demoniaco -, capace di ispirare nel pubblico vaghe suggestioni fetish e terrorizzanti al tempo stesso.199 La figura mortifica del vampiro ed il suo legame con una giovinezza eterna lo lega alla malinconia del tempo che fugge e, infatti, l’opera si trova in debito con l’aware: "Le cose di questo mondo non sono eterne, per questo sono così belle" afferma Miyu. La principessa delle tenebre non resiste alla tentazione di gustare il sangue umano e fa della madre consenziente la sua prima vittima, offrendole in cambio la vita eterna: torna il topos della figura materna, in una raccapricciante situazione che ribalta il rapporto genitore-figlia. Il sangue crea un legame che sembra rievocare l’allattamento, portandomi a compiere un personale e azzardato collegamento con la versione pasoliniana dell’Edipo Re: in un circolo morboso, il latte materno come principio nutritivo è sostituito dal sangue nefasto dell’omicidio e dell’incesto. 2.18 LO JOSEY MANGA E LA DONNA GIAPPONESE: LIBERTÀ SESSUALE E LOTTE SUL LAVORO L’ultima fascia del mercato ad essere accontentata dall’editoria manga è il pubblico femminile adulto, il cui gusto si era formato sui grandi classici degli shôjo anni Settanta.Visto come il corrispettivo femminile dei seinen, tale genere viene definito con il termine giapponese josey che, letteralmente, significa ‘donna’.200 Nel 1980 viene pubblicata la prima rivista loro dedicata, Be-Love, ed i titoli superano la cinquantina, alla fine del decennio successivo. Scritti principalmente da donne, tra le mangaka si incontrano nuove arrivate ed ex autrici di shôjo, altrimenti costrette al ritiro a vita domestica entro il compimento del loro trentesimo anno. La loro comparsa si registra nel decennio di massima 199 Il percorso editoriale dell’opera è , come spesso si è visto accadere, modificato dall’opinione del pubblico: secondo il piano dell’autrice, il personaggio di Larvae doveva essere una figura senza né corpo né volto, ma le lettrici vi avevano già scorto un volto maschile affascinante e tormentato e, certamente, non potevano essere deluse. 200 Altre terminologie per riferirsi al genere sono redikomi o ladies comics. 141 esplosione del fenomeno manga e vengono abilmente distribuiti tra la studentessa universitaria, l’impiegata d’ufficio e la casalinga: le ragazze, che leggevano fumetti adolescenziali, sono ormai cresciute e cercano opere più adulte. Infatti, i redikomi si presentano come una variante shôjo dallo stile più sobrio, dal linguaggio meno idealizzato e dalle rappresentazioni più esplicite. La narrazione si sofferma sulla vita edi sogni di donne adulte e la varietà tematica riflette le molteplici esigenze femminili: dall’educazione dei figli alle donne in carriera che tentano la scalata sociale, passando per la spinosa questione del sesso. Relazionarsi con personaggi che superano ogni tipo di crisi, permette alla lettrice una catarsi ottimista ed offre anche consigli pratici: in particolare, per quelle donne relegate in casacon i figli - le universitarie e le lavoratrici prediligono sentimenti di rivalsa -, che non hanno più alcuna comunicazione con i propri mariti impiegati, costretti a lavorare fino a tardi, uscire a bere con i colleghi dopo il lavoro e giocare a golf con il capoufficio nel fine settimana.201 Parlando di vita quotidiana, un esempio particolarmente interessante è la rivista Fumetti davvero sconvolgenti per suocere e cognate: dover vivere con i suoceri è una situazione comune per una giovane sposa - per l’alto costo degli alloggi ed il forte senso del dovere nipponico verso le persone anziane -e la rivista si concentra sullo stress che ciò comporta. Se in Occidente, la figura della suocera è spesso spunto per una sana comicità, in Giappone assume sfumature negative che portano ad una reale problematica sociale, segnata da alcuni tragici episodi.202 Dunque, il target prende a cuore le vicende di domestica ordinarietà; tuttavia, il mercato non tarda ad esigere sensazioni più ardite, mostrando la sessualità negata nei fumetti per ragazze. I fumetti adolescenziali esaltano la castità, tanto che gli innamorati raggiungono la felicità nel solo sfiorarsidelle mani, ed il messaggio fondamentale è quello di mantenere le proprie pulsioni sotto controllo: in Kimi in todoke, Arrivare a te,di Karuho Shiina, i protagonisti non giungono neanche al primo bacio; Ryuji e Taiga, nel manga Toradora! di Yuyuko Takemiya,si considerano promessi sposi già dal primo bacio. È a questo punto che fanno il loro ingresso sulla scena Hanano in Utena no kekkon, Il matrimonio di Utena, di Masako Yôshi e Amiin Ichigo to chocolate di Rika Kurita: la prima lavora in una fioreria ed è circondata da presenze floreali, che rievocano le atmosfere shôjo, tuttavia non è più un’adolescente e la storia d’amore con l’operaio Ishida è messa in secondo piano; la seconda ha un debole per gli oggetti griffati, nonché l’assurda pretesa di trovare un ragazzo che sia perfetto, tanto quanto i suoi accessori. Insomma, sono manga disegnati per chi la parola amore la conosce fin troppo bene: si varca il territorio dei ladies comics, che saltano la fase 201 Lo straordinario è ordinario non retribuito istituzionalizzato. Il risultato sono famiglie disgregate, padri assenti e non comunicazione generazionale. Per un’approfondimento sul rapporto marito\moglie vedere il paragrafo 2.2 Sfumature culturali del concetti di ‘Amore’ in Giappone. 202 Antonietta Pastore rievoca un episodio di cronaca nera dei primi anni Novanta:il gesto disperato di una giovane sposa che si brucia viva insieme alla figlia di due anni,a causa della figura oppressiva della suocera. 142 dei sospiri d’amore giungendo velocemente ai fatti. Entro la fine degli anni Ottanta, quasi un quarto dei fumetti per signora presenta i contenuti cosiddetti hentai e, considerando il mondo pudibondo e conservatore in cui sono percepite le donne giapponesi, i manga H arrivano come una sorta di fulmine a ciel sereno.203 Infatti, l’opinione pubblica vede in tali pubblicazioni una controparte femminile delle riviste per soli adulti, eppure la rivista Comic Amour - la cui redazione è equamente ripartita tra uomini e donne - è sempre stata solidale all’idea di far emergere il punto di vista femminile: è facile incrociare quisquilie psicologiche da pregustare prima del rapporto carnale, come la riflessione su termini quali la verginità. La rappresentazione dell’erotismo è arginata da limiti che non sfociano nella volgarità e i cui particolari piccanti sono opportunamente mascherati. Dalla lettura dei redikomi si può imparare molto, soprattutto in una società in cui le ragazze non sempre ricevono un’educazione sessuale a scuola o a casa: "I genitori giapponesi provano vergogna rispetto al sesso e non ci parlano di malattie veneree e di contraccezione così noi impariamo dai fumetti. Penso che abbiamo bisogno di quel tipo di fumetti".204 Queste le premesse del formidabile successo di Futari H di Katsu Aki, una sorta di commedia erotica informativa i cui timidi protagonisti si sposano vergini e, insieme, si avviano alla scoperta della sessualità di coppia, fino a scoprire perfino le gioie dei rapporti di gruppo.205 Ciò viene esposto senza il didascalismo freddo degli articoli specializzati o la volgarità dei prodotti di pura pornografia. Maestra dell’erotismo nei ladies comics è Milk Morizono, personaggio chiave nella svolta sexy del potere concesso alla donna:l’autrice esordisce come mangaka di shôjo prima di dedicarsi ad un genere più adulto, dovepoter coniugareil suo tratto elegante alle pulsioni nascoste nella sua mente di donna. Le sue opere permettono un vero e proprio salto di qualità: con un design raffinato, ricercato e naïf, nei suoi manga inserisceeventi scaturiti dalla vita vera - testimonianze proprie e di terzi - ed argomenti scottanti,quali l’AIDS o gli amori proibiti alla Casa Bianca che coinvolgono la figura di Marilyn Monroe rispettivamente, in Soshite tsutaete libi no ovari e in Monroe Densetsu. Le eroine ad uso delle lettrici più grandi trattano i loro amanti come animali di compagnia, vanno a letto con uomini sposati, rimangono incinte, vengono tradite e le mangaka non esitano né a svelare il numero dei loro amanti né a denunciare i mali nascosti della società giapponese, quali l’incesto o l’anoressia: le fumettiste Ogawa, Moyoco Annô, Erica Sakurazawa, Kiriko Nananan, Q-ta Minami esprimono quei valori che Mari Okazaki in Sex no tao otokonoko no 203 Il termine hentai abbraccia tutto ciò che è inteso come deviante e perverso. Talvolta,viene usato per indicare l'attrazione verso donne mature, in opposizione al lolicon: un genere di mangache raffigura personaggi femminili dall'aspetto infantile, in veste erotica. 204 Una liceale si confida all’autore di Manga: 60 anni ...,cit., pag. 41. 205 Il lettore riceve una grande quantità di informazionie consigli utili per poter superare le varie problematiche dei rapporti sessuali, che vanno dalla taglia media del pene a come mettersi il preservativo al buio. 143 ade wa hachimitsu no nioi ga surf, Dopo il sesso il sudore dei ragazzi ha l’odore del miele, definisce simpaticamente "lo squisito piacere delle ragazze in questo mondo creato da quegli esseri umani con un buffo pisellino".206 Ci si confronta con un nuovo tipo di fare manga, un avviso al machismo da parte delle giovani donne e mangaka giapponesi: se la protagonista di Il cappuccino riesce a perdonare il tradimento del compagno con la proverbiale comprensione della donna giapponese, Natsu di Tenshi no suchiede il divorzio senza sentirsi, stranamente, triste o arrabbiata; se lo shôjo spinge l’eroina tra le braccia del più bello e ricco del liceo, il disincantato redikomi preferisce che sia un giovane diciassettenne a gettarsi tra le cure di una donna, Sumire di Kimi wa per!, alla stregua di un animale domestico e farle scoprireche l’uomo perfetto è quello che ti fa sentire tale; se si affrontano tematiche borderline, bisogna affrancarsi dal melodramma e soffermarsi, piuttosto, su come va avanti la vita. Uno tra i manga più cinici e realisti è Shibō toiu na no fuku, Questo non è il mio corpo di Mayoco Annô - incentrato sul rapporto malato con il cibo -, per il modo adulto di concepire i personaggi ed il legame drammatico con la realtà: Noko Hanazawa lavora presso una grande società ed inizia a percepirsi inadeguata nel proprio fisico - sempre stata di costituzione robusta -, solo dopo le crudeli pressioni psicologiche delle colleghe. In particolare, gli abusi sono opera della bellissima Mayumi, sadica nel suo odio verso i diversi da lei. Noko accetta il trattamento in silenzio, riempiendo i vuoti col cibo, quasi a creare una corazza di grasso, fino a quando il suo ragazzo non la tradisce con la collega: anche lui, Saito, è un debole che acquisisce sicurezza nella passività e gentilezza di Noko, certo che, per via del peso, non lo tradirebbe mai.Noko si convince che i fallimenti dipendano dalla sua taglia e, diventando più magra, la sua vita cambi: così, affronta incontrollate crisi bulimiche alternate ad atteggiamenti anoressici. Sarebbe stato bello se, in questo manga, i personaggi cambiassero: se Noko capisse che il problema non è il peso, ma la sua testa; se Saito smettesse di cercare donne o arrendevoli o, all’estremo, dominanti; se Mayumi cominciasse ad andare d’accordo con le persone, invece di maltrattare chi non ritiene alla sua altezza. Invece, rimangono immobili nelle loro debolezze e meschinità e dai loro errori non imparano, proprio perché anche nella vita reale ciò spesso non accade.207 Divisi tra una sessualità esplicita ed esagerazioni romanzate, lo josey raramente perora la causa femminista nella società giapponese: il professore di sociologia Kinko Ito sostiene che, in queste opere,si rappresenta ciò che gli uomini giapponesi vorrebbero che le donne fossero. Tuttavia, "in molte storie redikomi, le eroine giapponesi imparano ad avere 206 Rispettivamente animali da compagnia: Kimi wa per!, Sei il mio cucciolo! di Yayoi Ogawa; uomini sposati e gravidanza: Nana di Ai Yazawa; tradimento: Tenshi no su, Angel Nest di Erica Sakurazawa; incesto: Mars di Fuyumi Soryo; anoressia: Shibō toiu na no fuku, Questo non è il mio corpo, di Mayoco Annô. 207 Gli esempi sono accomunati da uno stile realistico che apre una finestra sulla realtà sociale. Tuttavia, anche il genere josey - tale per la presenza di protagoniste donne, adulte e per una minore censura sui rapporti sessuali subisce influenze di altri filoni, quale il fantasy: ad esempio, Karneval di Touya Mikanagi e Are You Alice? di Ninomiya Ai. 144 un pensiero indipendente e a imporre la loro sessualità. Non sono più oggetti sessuali ma proprietarie del loro corpo e del loro piacere sessuale."208 Tale genere si sviluppa non solo in risposta alla nascita di un nuovo pubblico - le ragazze del baby boom sono ormai diventate delle donne -, ma anche a specifiche esigenze sociali: gli anni Novanta segnano l’inizio di una crisi che ancora affligge il Giappone vent’anni dopo ed uno dei sintomi del decadimento del capitalismo moderno è la libertà, a volte quasi promiscuità, sessuale della giovane generazione. Tra il l’87 ed il ’94 le statistiche hanno riscontrato un abbassamento dell’età media della prima esperienza sessuale fra le ragazze: le liceali minorenni sono passate dal 9 al 16% e le universitarie dal 26 al 44%. La figura di Rika Kawada in Futari H diventa simbolo di tali premesse: una studentessa universitaria che, nonostante la sua giovane età, ha avuto esperienze con una trentina di uomini diversi ed attualmente ne frequenta cinque tra amanti e fidanzati. Il breve josey manga America di Keiko Ichiguchi è rappresentativo nel dipingere la nuova gioventù giapponese in una realtà dove l’essere status-società cede il passo all’essere individuo: ad Osaka,un gruppo di adolescenti aspira al Sogno Americano e si trovano alle prese con i sentimenti, i progetti di lavoro, la voglia di auto-affermazionee gli scontri generazionali in famiglia. Con Led Zeppelin in sottofondo, il giovane Takako sente che "Non so perché ma il Giappone mi va stretto" ed, ideologicamente, il padre di Nea risponde che "il Giappone sta cambiando, imita il peggio degli altri paesi"209: ecco, il gap generazionale di una società in cambiamento. Il finale è indicativo sul piano sociale: ognuno realizza il proprio sogno attraverso percorsi anomali - dal giornalista all’idolo pop -, che rompono con l’istituzione dello shigoto. In Giappone, il lavoro si suddivide in due categorie: baito e shigoto,il lavoro part time - la definizione non corrisponde al concetto occidentale -ed il lavoro a tempo pieno, i contratti molto elastici senza vantaggi di tipo sociale ed i contratti rigidi garanti di stabilità. I protagonisti di America, emblemi della nuova gioventù giapponese, usano il baito come strumento di contestazione e libertà, in una società che in tal senso non perdona: non si è legati all’azienda se non per l’orario di lavoro stabilito, ma si perde lo status di adulto.210 Per la ‘tribù delle donne’ la conquista parte dalle basi: non si tratta di dover protendere tra lo shigoto o il biato, ma di ottenere il diritto di scegliere una vita fuori le mura domestiche: "Voglio solo lavorare!" urla la signora Kotori Nojima nel mangaO Shigoto Desudi Saimon Fumi, in cui tre giovani impiegate buttano anima e corpo nel lavoro, non accettando compromessi con i rivali maschi. La donna anni Ottanta s’introduce nel mercato del lavoro per scoprire che la legislazione delle pari opportunità è inefficace e che la discriminazione sessuale resiste in qualità di norma: nel 1985 viene promulgata una legge 208 P. Gravett, Manga: 60 anni..., cit., pag. 60. S. Lucianetti, A. Antonini, Manga..., cit., pag. 85. 210 Nella lingua giapponese, il termine che indica la condizione adulta è shakaijin, molto simile alla parola usata per indicare l’impiegato, kaishajin: ciò compendia la concezione nipponica della vita e del lavoro. 209 145 sulle pari opportunità nel lavoro, istituendo il sistema della ‘doppia via’ ed apportando una clausola che esonerasse le donne dalle mansioni faticose o pericolose e dal lavoro nelle ore serali. Pensata per proteggere il genere femminile dallo sfruttamento portato avanti sotto la guerra - in particolar modo nelle fabbriche -, tale aggiunta diviene un pretesto ‘legale’ per perorare la discriminazione: secondo il doppio sistema di assunzione, le donne vengono assunte nel gruppo ‘senza possibilità di carriera’, con la duplice esclusione dall’impiego a vita e dal salario per anzianità.211 La problematica del lavoro femminile è sempre da ricercare nel ruolo primario di moglie e madre che la società le affida: al contrario dell’uomo, ciò non permette alla donna di consacrare tutte le sue energie alla ditta, lavorando 10\12 ore al giorno esclusi gli spostamenti e le uscite obbligate fuori l’ufficio. Sarebbe necessario un cambiamento radicale di mentalità ed uno sconvolgimento della struttura sociale che diminuisca la dedizione al lavoro.212 Questo ambiente sociale non è ancora capace di gestire milioni di giovani laureate, a cui è dovuto un posto gratificante da occupare: da settembre a dicembre del quarto anno universitario, le ditteaprono le assunzioni valutando la rispettabilità e l’avvenenza fisica delle candidate e, così, sbocciano nuove Office Lady o Shigoto no hana, i fiori del lavoro.213 Le giovani signore d’ufficio rispondonoall’essere sottopagare ed insoddisfatte nel lavoro, vivendo le loro vite da singlefuori l’ufficio tra shopping, nightclub e feste alla moda: appuntamento fisso dal 1989 è la striscia sulle OL Shinkaron, Sopravvivenza in ufficio, di Risu Akizuki. Rappresenta la traumatica condizione con grande ironia: esilarante la metamorfosi da impeccabile OL a regina della disco, coronata da una perfetta cotonatura anni Ottanta; imprevedibile il travestimento con impermeabile ed occhiali scuri, in stile diva, che nasconde una giovane ancora in pigiama per le bravate della sera prima; anche tematiche serie, quali le molestie sessuali - un simpatico impiegato affila alla collega una ‘sonora’ pacca sul sedere - vengono trattate con elegante humour. Secondo l'autrice, è proprio la difficoltà per queste giovani donne di avere un qualsiasi sogno che le spingono al divertimento. L’ingresso nel mondo del lavoro costringe le giovani laureate ad una metamorfosi che segna l’abbandono dell’infantilismo adolescenziale: si esigono pettinature ordinate senza meches o tinte accese, gonne più lunghe, abiti colori pastello, una rigida gestualità, calze di 211 Con la motivazione di un’orario altrimenti pesante, il 92% delle donne è inserito nel, cosiddetto, II gruppo e la totalità degli uomini nel I - con possibilità di carriera. Nonostante le pari opportunità, nel 1985 lo stipendio di una donna è uguale al 50% di quello di un uomo proprio per i limiti imposti alla carriera. Oggigiorno, tale percentuale è salita ma non di molto. 212 Kenichi Ohmae spiega le motivazioni dello stacanovismo giapponese: "Dai sei ad dodici anni mi è stato istillato un concetto di fondo: la sopravvivenza del Giappone. Agli scolari si insegnava allora e si insegna oggi che l’unica soluzione a questo problema consiste nell’importare materie prime, trasformarle e riesportarle. L’unica alternativa è l’estinzione. La gente ha paura di non lavorare perché teme che interrompendosi il lavoro, il paese si fermerebbe." L. Isgrò, Fattori e limiti di un mito..., cit., pag. 23. 213 Diverso è il periodo delle assunzioni per i ragazzi che va da aprile ad agosto. Tale precedenza è comprensibile e giustificata dal fatto che, per un uomo, si decidono i suoi prossimi 40 anni lavorativi; le donne raramente lottano per un posto con minime possibilità di carriera, mantenendoloper 5/6 anni fino alla maternità. 146 nylon anche con più di 30°, un sapiente make up, mentre il manuale della perfetta OL insegna loro il modo appropriato di servire il tè, inchinarsi, aprire una porta, porgere i documenti e ringraziare. Eppure, c’è una concorrenza è spietata: anche senza prospettive di carriera e l’imparità con gli uomini, accedere ad una ditta ichi-ryü, di prima categoria, garantisce prestigio sociale, stipendi più alti, migliori condizioni di lavoro, nonché la possibilità di trovare marito tra i colleghi - ottimi partiti in partenza. Vale a dire, le tre cose buone di cui parla Sumire Iwaya in Kimi wa pet!: un uomo, per considerarlo un buon partito, deve avere una retribuzione più elevata della sua, un’istruzione superiore ed un’altezza fisica maggiore. "È assurdo che una ragazza debba affidare il suo futuro benessere alle risorse dell’ipotetico marito, al quale delega fin da ora il compito di mantenerla":214 lo sfogo di Antonietta Pastore si rivolge alla giovane e talentuosa Makiko, appena assunta da una prestigiosa azienda e già alla ricerca di un compagno tra i colleghi; eppure, in un affascinante scambio tra la realtà ed il manga, tali parole calzano perfettamente all’eroina dell’opera sopracitata. Sumire, giornalista redazionale, è il prototipo della donna moderna: intelligente, grande lavoratrice, seria ed irreprensibile; diligentemente, sul posto di lavoro nasconde la sua personalità sentimentale, trasandata, iraconda, con il vizio del fumo e la passione per il wrestling, la Formula 1 e gli anime shōnen. Lo stile pulito e morbido, ma allo stesso tempo sensuale, di Yayoi Yagawa tratteggia una donna che ha focalizzato la propria intera esistenza nella carriera lavorativa e le difficoltà che deve superare in una società maschilista: Sumire lotta ogni giorno per ottener il rispetto dagli uomini del suo entourage - che continuano a chiamarla per cognome, in segno di distacco -, mostrando segni d’ansia. Le sue debolezze la salvano dallo stereotipo di donna invincibile, modellando, invece, una persona umana che non si cura delle malignità altrui, per poi soffrirne in solitudine; si prende cura di sé e della casa in modo quasi maniacale, affinché la gente non la etichetti come una interessata solo alla carriera; accudisce amorevolmente Momo - nome che il ragazzo acquisisce in qualità di animale domestico - per ricevere in cambio solo amore incondizionato e fedeltà, come farebbe un qualsiasi cucciolo di cane. Quattordici numeri di verità: verità sulla vita lavorativa femminile giapponese, verità sull'impaccio che si prova in relazioni sentimentali che non si è abituati a gestire, verità nel trattare temi abusati come il primo grande amore. Maggiormente felina ed ambiziosa è la donna in carriera di Kono Hito ni Kakero, Scommetti su questa donna, di Ryôka Shü e Kazuko Yumeno: sebbene sia l’ennesima storia su una dirigente di successo presso una grande banca, di certo rabbrividisce di fronte a Jûyaku Hisho Rina di Izumi Imanoe ne rimodella la figura della donna.215 Hiromi Harashima è una donna giunta al vertice della sua carriera - certamente non la cima dell’organizzazione 214 A. Pastore, Il Giappone delle donne..., cit., pag. 76. La seconda opera mostra una segretaria di nome Rina completamente e, sfacciatamente, devota al suo direttore di banca, per il quale è pronta a risolvere qualsiasi questione, lasciando il merito al capo. 215 147 piramidale, che spetta ad un uomo -, con un grande spirito imprenditoriale: all’azienda Hiromi dedica tutta la sua vita, sacrificando la sensibilità femminile e la possibilità di avere una famiglia - ha raggiunto i trent'anni d’età che, per una nubile, vuol dire essere una urenokori. Dunque, è la perfetta incarnazione della kyaria ûman, donna in carriera: tale figura è determinata a schiacciare, con annessa aggressività, l’ultima roccaforte del rampante machismo, quale il mondo degli affari. Certamente, i dati reali forniscono cifre che non sostengono questo colpo di stato: il 6,2% della totale forza lavoro sono i posti di responsabilità occupati dalle donne, di cui il 9,2%sono avvocati, l’8,5% medici, il 2,9% magistrati. Solo i settori svincolati dal sistema delle aziende pubbliche o private offrono migliori possibilità di successo alle donne: da Internet, il grande mezzo democratico, alle attività commerciali, che dipendono solo dal fisco. Anche il mondo manga risulta essere un’eccezione: la Biblios, la più importante collana di Yaoi, era composta inizialmente da un gruppo di ragazze di una fanzine e da alcuni otaku. Ad oggi, presenta un corpo dirigente al femminile - vale a dire, un segmento emarginato dalla competizione lavorativa di alto livello -, in aggiunta, fautore di un nuovo modello estetico.216 Dunque, l’emancipazione femminile giapponese, se può essercene una, si rivolge a percorsi diversi, se non insoliti: ad esempio, decine e decine sono le donne che lavorano nella pornografia, dietro la macchina fotografica e la cinepresa o impegnate nella rappresentanza e nel commercio. Interessante è il caso di Jun Yamane affermata regista di cinematografia pornografica: laureata all’accademia di Tokyo, passa alcuni anni di gavetta presso un ente televisivo e, ben presto, si accorge che non avrebbe avuto né l’opportunità di un avanzamento, né concreta mansione creativa; al contrario, il mondo del porno, dopo un giusto apprendistato, le permette di realizzare film.217 L’opera più riuscita sulla guerra tra sessi a lavoro è Minori densesu, La leggenda di Minori di Akira Oze: la graziosa protagonista è una giornalista ventottenne che ha deciso di lavorare come scrittrice freelance. La passione e l’ostinazione si affiancano ad una vita da single molto attiva, che passa da un uomo all’altro: la protagonista non può permettersi distrazioni per portare avanti la sua carriera, tuttavia il suo intimo viene privato di qualsiasi soddisfazione. A peggiorare il quadro, la madre e la nonna pretendono che la ragazza si sposi prima dei trent’anni: Minori rischia di superare la tekireikie tale aspetto la affianca ad Hiromi.218 Anche questa figura manga sembra sovrapporsi a quella di una ragazza in carne ed ossa, Yuriko, universitaria molto intelligente, con ottimi voti ed una forte caparbietà nell’inseguire il sogno di fare carriera nel marketing della moda: agli esordi, il suo successo spaventa il fidanzato dell’università, ma lei è ancora piena di entusiasmo; la sua scalata la 216 In realtà, il presidente della Biblios è un uomo, con l’unico ruolo di rappresentanza: è un’operazione di facciata classica di tutte le aziende giapponesi. 217 in nota Ironico pensare che la pornografia, dove il corpo della donna viene mercificato, è garante di successo per le donne stesse. La testimonianza è contenuta in R. I. Fùrnari, Le ragazze perdute...,pag. 111\113. 218 Per maggiori approfondimenti sul termine tekireiki vedere il paragrafo 1.2.5 Lo sbarco dei vascelli neri. 148 porta a viaggiare e non sentire la mancanza di qualcuno accanto, che prima o poi arriverà; infine, la dedizione all’azienda la ripaga con una carriera ferma ad un vicolo cieco, un’età anagrafica al limite per il matrimonio ed un animo fiaccato. Tale situazione la porta ad abbandonare quel lavoro, che ha richiesto solo sacrifici. Raffigurata sul grafico, la vita professionale delle donne crea una curva ad M: dopo un primo periodo di lavoro a tempo pieno, l’impiego viene lasciato alla nascita del primo figlio - le donne meno presenti, in media, sono quelle tra i 27 ed i 34 anni -, e, una volta cresciuta la prole, si torna in attività con uno stipendio molto inferiore, nonostante le mansioni siano le stesse. In virtù di ciò, le talentuose signorine del business non hanno più bisogno della poesia, del romanticismo e dei fiori, non tollerano i capelli scombinati dal vento della passione edi loro occhi hanno smarrito il candore di quando erano bambine: non si tratta di un altrove estetico, ma di una semplice replica di un dato sociale. Si è sempre meno preoccupati di cercare le risposte: non è detto che questo genere manga si riservi il diritto di fornire un punto di vista definitivo. 149 III. L’ALTRO VOLTO DELLO SHÔJO MANGA: IL CORPO GRAFICO DELLA DONNA NEI TARGET MASCHILI Lo shôjo manga nasce come corrispettivo femminile del genere shônen: letteralmente ragazzo, il termine identifica una categoria di manga indirizzati ad un pubblico maschile, generalmente compreso tra l'età scolare e la maggiore età. La struttura drammaturgia prevede un eroe proiettato verso il raggiungimento di un obbiettivo - dalla scoperta delle proprie origini, al trofeo di una competizione sportiva, alla salvezza del mondo da un nemico imbattibile -, conquistato dopo una serie di ostacoli che lo mettono alla prova e lo forgiano interiormente. Come accade per lo shôjo, anche qui il target si ramifica in diversi sottogeneri, a seconda degli elementi o delle ambientazioni fantasy, horror e così via. Quando i giovani nipponici superano la soglia dei diciotto anni passano alla lettura di opere più mature dette seinen, nonché controparte maschile dello josey. Certamente, anche tale universo è costellato di figure femminili, in quanto parte di una esistenza e di un genere umano diviso tra uomini e donne. Ad esempio, i primi lavori di Yoshihiro Tatsumi, capogruppo del genere gekiga - il più segnato da un’assenza femminile per la sua intrinseca logica narrativa -, dipingono un Giappone in rovina, occupato da soldati americani brutali, dove gli uomini cadono in depressione e bevono e dove le donne si prostituiscono, su uno sfondo di miseria e frustrazione sessuale: la peggiore degradazione femminile, ossia la svalutazione del proprio corpo, diviene metafora di un mondo perverso.219 Nei fumetti rivolti originariamente ad un pubblico di giovani uomini, le figure femminili hanno assunto caratteristiche diverse, nel corso del tempo. Nei suoi manga, Tezuka denuncia le condizioni poco invidiabili della donna - per secoli,relegata ad un ruolo passivo di moglie o di cortigiana -, e altri disegnatori ne seguono l’esempio, facendo sì che la figura femminile assuma il giusto peso. Tale passaggio avviene gradualmente: da esclusivo oggetto sessuale, a figura destinata ad addolcire storie ambientate in un mondo tutto maschile, fino alla creazione di personaggi propositivi e carismatici. Nel mondo burlesco ed irriverente di Rupan Sansei, Lupin III di Monkey Punch, si trova un esempio lampante: l’ammaliante doppiogiochista Fujiko Mine, di cui Lupin - il ladro gentiluomo per antonomasia - è eternamente innamorato.220 È un personaggio proverbiale, non solo per la sua bellezza, ma soprattutto per le sue straordinarie doti di ladra, spia e trasformista: ha 219 Nel gekiga non c’è posto per il gruppo, né tantomeno per la donna: il suo è un eroe solitario, che riprende la tradizione del samurai errante, il rōnin. L’assetto grafico supporta un registro espressivo dai toni realistici con linee nette e ben marcate, che indugiano sui volti segnati dalla sofferenza. I punti focali e le origini del genere sono stati accennati nel paragrafo 2.8 Lo shôjo manga diventa appannaggio femminile. 220 L’autore si rifà al personaggio di Arsenio Lupin creato dal romanziere Maurice Leblanc. Il manga ha avuto una risonanza tale da suscitare l’interesse dello stesso sensei Hayao Miyazaki, al quale si deve il secondo lungometraggio dedicato al celebre ladro Rupan Sansei - Kariosutoro no shiro, Lupin III - Il castello di Cagliostro.) 150 capelli lunghi e voluminosi che spesso nasconde sotto parrucche; quando non è sotto mentite spoglie, indossa abiti attillati, mimetici ed accessori di armi di ogni tipo; perfettamente consapevole dell’effetto che produce la sua avvenenza, irretisce costantemente Lupin e, al pari di un uomo, è furba e piena d’iniziativa dimostrandosi un’eroina maliziosa ed indipendente. Guida una Kawasaki, due Harley-Davidson e un’Austin Mini, la sua presenza lascia una scia di Chanel n°5 ed il suo prorompente fascino fa di lei un’icona di sensualità: nomen omen, il cognome Mine significa ‘picco della montagna’ in riferimento al suo seno prosperoso ed il nome Fujiko si può tradurre con ‘cime gemelle’. Lo stesso connubio di sensualità e furbizia si trova nel manga Kyattsu Ai, Occhi di Gatto di Tsukasa Hojo: tre avvenenti sorelle, di giorno, lavorano al bar omonimo di cui sono proprietarie e, di notte, si trasformano in abili ladre di opere d’arte.221 Da Fujiko alle sorelle Kisugi, si afferma una bellezza procace, molto più vicina alla donna occidentale dalle lunghe gambe, i fianchi larghi ed i seni prosperosi. Tale fisicità stereotipata è un elemento fan service: le inevitabili istantanee sulla mutandine e sulle scollature tengono conto delle esigenze dell’occhio maschile, nonché delle sue fantasie che aspirano a figure in grado di inglobare i diversi appeal di donna affascinante, ragazzina vulnerabile e corpo sexy in un’unica donna dei sogni, quale Maya Natsume in Tenjho Tenje, Inferno e Paradiso, di Oghure Ito, in arte Oh! Great!. La storia ha luogo nel prestigioso Istituto Todou, il cosiddetto ‘paradiso dei combattenti’, una scuola equivalente al liceo dove, invece delle discipline canoniche, viene insegnata esclusivamente l'arte del combattimento. Il personaggio di Maya è corteggiato da tutti e la sua avvenenza lascia senza parole anche i due protagonisti, Soichiro Nagi e Bob Makihara; è una liceale forte fisicamente e carismatica all’interno del gruppo studentesco, tanto da essere a capo del club Jukenbu; allo stesso tempo, le viene attribuito un lato fragile a causa della morte del fratello maggiore. In realtà, una buona percentuale dei fumetti moderni descrivono i vecchi stereotipi: le donne tendono ad essere timide e deboli, docili ed umili; al contrario, gli uomini sono raffigurati forti, burberi e freddi. A partire dai manga anni Settanta, la donna viene intesa perlopiù come cheerleader, come damigella in pericolo o come elemento debole, nel caso della tipica squadra di azione in cui uno su cinque membri è una ragazza. Ad esempio, nel manga Cyborg 009 di Shotaro Ishinomori, il personaggio di Françoise Arnoul, 003, rappresenta l'unico cyborg di sesso femminile: è quello che più di tutti vorrebbe tornare ad una vita pacifica e tranquilla - la casa è il posto assegnato alla donna -, è desiderosa di lenire il dolore e la solitudine dell'amato compagno più che di combattere e, infine, è normalmente la figura che si spaventa in battaglia. Dunque, la narrazione mostra, spesso e volentieri, una ragazza che incoraggia il proprio amato, sia che giochi a basketball, a calcio o a baseball sia 221 In realtà, le ragazze sono interessate soltanto ai lavori di Michael Heinz, famoso artista degli anni Quaranta, nonché il loro amato padre scomparso, i cui quadri erano stati sottratti dai nazisti. 151 che combatta contro mostri giganti e demoni. In attesa della fatidica proposta di matrimonio, sacrifica spesso i suoi obiettivi per aiutarlo, mentre lui sogna di vincere e preferisce allenarsi che stare con lei. L'idea è che le donne, non importa quanto forte o indipendenti queste siano, realmente cercano qualcuno da cui possono dipendere e che le protegga: questo è il tema che riassume molti rapporti umani nei manga per ragazzi - e, purtroppo, non solo. Anche gli anni Ottanta seguono questa tendenza: in City Hunter di Tsukasa Hōjō, benché Kaori sia una partner decente e dal carattere forte, solitamente viene rapita o usata come esca e, certamente, non può salvarsi da sola. (in nota Nonostante poi, il gruppo indipendente e segreto di investigazione City Hunter - da cui il titolo - la veda come socia paritaria e non come assistente di lui.) Tuttavia, nei migliori manga, l'uomo guadagna forza dalla preoccupazione di lei, guadagna forza dal suo amore e vince la sua battaglia tanto per sé quanto per l’amata: in Kuraingu Furiiman, Crying Freeman di Kazuo Koike e Ryōichi Ikegami si eleva, infatti, la donna a figura salvifica e l’eroe - affermato vasaio costretto a trasformarsi in un pericoloso killer tramite ipnosi - ritrova uno spiraglio di pace, grazie all’incontro con l’affascinante Emu Hino. La donna è pronta a legare il proprio destino con il suo ed ha curare le ferite della vera natura di lui, sopraffatta dal dolore e dal rimorso. Questa suddivisione dei ruoli maschio/femmina è dovuta principalmente al pubblico a cui è indirizzato un determinato manga: se il pubblico comprende ragazzi e uomini è quasi scontato che i personaggi di rilievo siano maschili, chele figure femminili vengano messe in secondo piano e che il tema amoroso trovi poco spazio. Ciò non preclude esempi di ragazze capaci - perfino migliori delle eroine di shôjo di serie B -, ma non possono trovarsi allo stesso livello del protagonista, che svolge la funzione di alter ego per un pubblico prevalentemente maschile. Tale dinamica è visibile anche in titoli mainstream contemporanei, da Naruto di Masashi Kishimoto a One Piece di Eiichiro Oda: l’analisi che segue sull’inferiorità narrativa delle figure femminili, non inficia personaggi delineati in modo esemplare. Nell’universo ninja di Naruto, sembra che il massimo a cui possa aspirare una ninja donna è l’eccellenza nelle arti mediche e non nel combattimento, come le figure maschili: Tsunade è il Quinto Hokage di Konoha, è l'unica donna del trio dei Ninja Leggendari e non è considerata seconda a nessuno nelle Arti Mediche.222 Trattata da tutti con grande rispetto, la donna possiede una straordinaria forza fisica, in grado di distruggere qualsiasi cosa a mani nude.223 Inoltre, Tsunade mette al tappeto Naruto con un solo dito certamente, solo perché il protagonista è ancora tredicenne ed inesperto. I suoi innumerevoli 222 Viene presa ad esempio il personaggio femminile che, nel testo drammaturgico, è considerato una delle tre donne più forti del mondo dei ninja. Hokage di Konoha è il titolo del capo del Villaggio della Foglia, nel Paese del Fuoco; i Ninja Leggendari è un gruppo formato dai personaggi Tsunade, Jiraiya e Orochimaru e vengono così soprannominati perché, durante la Terza Guerra Mondiale Ninja, furono gli unici sopravvissuti allo scontro con il Villaggio della Pioggia. 223 Il mondo mistico di questo manga pone al centro della forza il chakra, un misto tra l'energia fisica presente nel corpo e l'energia spirituale. 152 difetti sono generalmente legati alla natura maschile, quali l’irruenza, l’impulsività, l’arroganza, il vizio del bere e del gioco d’azzardo - che in Giappone è considerato non solo illegale, bensì immorale. D’altra parte, le viene rimproverato di pensare con il cuore, piuttosto che con la ragione e questa è una debolezza prettamente femminile agli occhi di un uomo: il suo essere donna si completa nella dolorosa piaga di una perdita passata - il suo amato. Nonostante sia estremamente abile nel combattimento corpo a corpo,la sua utilità in battaglia si concentra nel neutralizzare i veleni dei nemici con potenti antidoti e nel curare i feriti. Anche altre donne importanti della storia seguono tale destino, escludendosi dalla ‘carriera militare’: Tsunade accetta di prendere Sakura - il personaggio femminile della serie per antonomasia - come sua allieva e diviene anche la maestra di Ino Yamanaka, la ninja più forte della sua età. Dunque, sebbene molti caratteri sopracitati la eguaglino in qualche misura agli uomini che la circondano, in quanto donna resta ai margini dell’universo maschile: ciò non mette in dubbio il fascino e la complessità di figure così mistiche e spirituali, bensì evidenzia i caratteri che la donna assume nell’universo shônen. Tra i pirati di One Piece, i personaggi femminili di Nami e Nico Robin sono in debito con l’archetipo di Fujiko Mine: portatrici di una bellezza procace, sottolineata da abiti succinti e tacchi alti, allo stesso tempo, sono tra le più intelligenti della ciurma del Cappello di paglia.224 L’una è un’esperta navigatrice e l’altra un’archeologa dalla vasta conoscenza della storia e delle culture passate; entrambe rompono con lo stereotipo della donzella in difficoltà: se Nami è un personaggio avido, prepotente ed autoritario, Robin non ha scrupoli nell'utilizzare la violenza. Ma anche loro sono escluse dal combattimento di appannaggio maschile: nonostante Robin abbia un corpo atletico ed una resistenza fisica impressionante, il personaggio non possiede capacità sovraumane; Nami stessa combatte poche volte ed, anzi, quando si trova in pericolo, la sua prima preoccupazione è la sua salvezza. Parlando di titoli mainstream odierni, non ci si può esimere dal nominare Shingeki no kyojin, L’attacco dei giganti di Hajime Isayama: in questo mondo post-apocalittico in cui gli umani sopravvissuti cercano di sfuggire a giganti androfagi, i tre giovani Eren Yeager, Mikasa Ackerman e Armin Alert portano avanti tale battaglia.225 Poiché il manga rientra nella categoria shônen, Eren è il personaggio principale, ma altrettanto complessa è la sua comprimaria femminile, Mikasa: non sfugge alle dinamiche che coinvolgono le ‘colleghe’ sopra descritte. Mikasa ha una fisicità tipicamente asiatica, con i lisci capelli neri, la pelle chiara e gli occhi scuri; la sua infanzia trascorre felice insieme ai genitori, fino al giorno del loro omicidio per mano di brutali trafficanti di umani: la giovane viene salvata 224 Le loro misure sono molto pronunciate: rispettivamente, 86-57-86 e 99-59-89. Ma il carattere parodico del manga le aumenta, in seguito ad un salto temporale, portandole rispettivamente a 98-58-88 e 100-60-90. 225 L’opera è tra i tredici manga a ricevere una nomination per il premioManga Taishō nel 2010; vince il prestigioso premioKodansha Manga Award nel 2011 come miglior shônen; viene nominata alla sedicesima edizione delPremio culturale Osama Tezuka. 153 dall’intervento di Eren e, da quel momento, entra a far parte della famiglia di lui. Ormai consapevole della malvagità che perversa nel mondo, Mikasa perde la propria innocenza ed esitazione ma non la voglia di vivere e di avere degli affetti, che rivede in Eren e nel piccolo Armin. Per seguire il fratello adottivo, si arruola nell’esercito e raggiunge, nella valutazione finale, un punteggio molto alto tanto da essere considerata un guerriero d’élite: nonostante la giovane età, diventa una combattente di grande talento, tanto da battere anche ragazzi più grandi o mettere al tappeto lo stesso Eren senza grandi sforzi. A ciò si aggiungono una mente brillante e prodigiose abilità nel maneggiare la, cosiddetta, ‘Attrezzatura per effettuare il Movimento Tridimensionale’ - dispositivo che permette di librarsi in aria con delle funi e gas ad alta pressione, per una maggiore mobilità nell'affrontare i giganti: tale superiorità fisica è un’eccezione all’interno del panorama - come si è potuto vedere - che, perciò, deve essere bilanciata da altri fattori, affinché il personaggio maschile risalti. Così, l’autore la pone in una condizione di dipendenza assoluta da Eren: la sua personalità viene pesantemente influenzata dal ragazzo e dalle sue scelte, il suo unico scopo è quello di proteggerlo - il talento militare diventa funzionalmente indispensabile per la sua determinazione - e sacrifica sé stessa per tale missione. Mikasa ha un grande senso del giusto o sbagliato, ma non sempre riesce a scoraggiare Eren dai suoi piani ad alto rischio, così subisce le conseguenze di tali azioni e si rassegna a tenerlo d’occhio accorrendo quando si trova in pericolo: al di là dell’azione concitata che la vede protagonista, resta un personaggio passivo se paragonata al ragazzo. Le è debitrice per averle risparmiato un terribile destino ed averle insegnato come affrontare la vita. Come da prassi non si approfondisce il tema amoroso, tuttavia, Mikasa ha la tendenza ad imbarazzarsi quando terzi parlano del suo legame con Eren. Certamente, anche negli shônen i due sessi si cercano e, nell’aria, si respira attrazione e sentimento, ma senza giungere mai a conclusione: Inuyasha di Rumiko Takahashi termina la grande storia d'amore senza neanche un bacio; Full Metal Alchemist di Hiromu Arakawa tenta con un'improbabile dichiarazione seguita da un abbraccio abbozzato; Full Metal Panic di Shōji Gatō corona il sogno d’amore con i due innamorati che pescano insieme. Anche tale aspetto subisce importanti variazioni nel corso del tempo e, sebbene la tendenza sia quella descritta sopra, le eccezioni sono in aumento: con il filone sportivo si assiste ad un cambio di direzione verso un maggior coinvolgimento di argomenti secondari, in primo luogo quelli sentimentali, con un’influenza che deriva proprio dallo shôjo manga. Mitsurō Adachi - nominato in riferimento alla Takahashi - è uno dei mangaka che meglio ha saputo miscelare sentimenti e sport in un delicato equilibrio, in opere quali Touch, Prendi il mondo e vai, e Rough. Specialmente nel primo esempio, l’autore apre le porte dello shônen al tema del triangolo amoroso, che la presenza femminile mette in moto, e la competizione dei protagonisti si sposta anche fuori dall’ambito sportivo: la stessa fisicità più longilinea della comprotagonista è ripresa direttamente dalle pagine shôjo. Kimagure Orange Road, È 154 quasi magia Johnny si concentra molto sui sentimenti dei suoi protagonisti - il punto di vista resta prettamente maschile - e l’autore, Itsumi Matsumoto, complica la componente romantica del triangolo attribuendo al protagonista, Kyosuke Kasuga, poteri ESP. Rispetto alla situazione a cui si assiste in Touch - ossia quella standard -, tale manga pone al centro della contesa il giovane e la sua indecisione sembra sempre giustificata dalle caratteristiche delle due ragazze così diverse: Hikaru, capelli corti e grandi occhi azzurri, è solare, allegra, un’esplosione di entusiasmo e affetto che non manca di manifestare a Kyosuke in modo evidente e sfacciato; Madoka -uno dei personaggi più sexy del fumetto giapponese -ha un corpo perfetto, una cascata di capelli scuri e gli occhi verdi, il modo di fare a volte scontroso, sensuale, ma a tratti così dolce e affettuoso. Le giovani incarnano i due prototipi di femminilità del manga. All’inizio della storia, sia Madoka che Hikaru sono delle teppiste: fumano, fanno a botte e non hanno una condotta esemplare a scuola, secondo uno schema molto comune alla subcultura giovanile dei Bosozoku.226 Il nuovo arrivo cambia le loro vite e la compagnia di Kyosuke fa desiderare ad entrambe di apparire ai suoi occhi nel modo migliore:tale scelta drammaturgia sembra voler ribaltare il tipico schema shôjo che, da Candy Candy a Hanayori dango, vede la ragazza in qualità di ‘musa ispiratrice’ per il ragazzo ribelle. La storia procede ed il legame tra i tre ragazzi si intensifica di capitolo in capitolo, fatto di tantissimi momenti vissuti insieme, come vacanze, viaggi o semplici giornate scolastiche, fino alla scelta di lui. In quanto lettura rivolta a ragazzi, non manca una strizzata d’occhio al genere ecchi:esemplare l’erotismo soft della scena in cui il padre di Kyosuke, fotografo, compie degli scatti ad entrambe sulla spiaggia in costume da bagno. Sempre affascinato dall’una e dall’altra, Kyosuke non manca di mostrare una vera e propria ossessione per Madoka, di fatto la prima persona che incontra appena arrivato in città e in cui lei gli regala il suo cappello rosso. Altra tematica spesso presente nella produzione di fumetti maschili è la presenza di una figura femminile non umana: il fumetto Den’ei Shojo, Video Girl Ai di Masakazu Katsuracome può essere eletto come uno dei capostipiti sul tema. Yota Moteuchi è un innamorato non ricambiato, tanto da ricevere il soprannome dai compagni di scuola di Motenai Yoda, ossia ‘senza donne’, per la sua scarsa fortuna con le ragazze. Per distrarsi, il protagonista acquista un video dal titolo Io ti consolerò e,al momento della visione, viene travolto da una giovane donna, materializzatasi dal suo videoregistratore: il suo nome è Ai ed ha il compito di consolare le persone in difficoltà, entro i tre mesi di autonomia personale. Programmata per essere bellissima, sensuale e femminile, il malfunzionamento dell’apparecchio causa una sua riproduzione un po' alterata, che la priva dei suoi seni abbondanti e la manda su tutte le furie: l’ironia viene rivolta al genere stesso e, in quanto 226 Tale fenomeno è stato descritto nel paragrafo 2.12 Lo yuri manga e l’amore saffico. 155 eroina shônen, anche lei avrebbe voluto rientrare di diritto nello stereotipo di donna dai seni prosperosi. Il guasto diventa l’esca drammaturgia che permette alla ragazza di provare sentimenti, alla storia d’amore di prendere il via ed ai due innamorati di lottare contro gli impedimenti che li dividono. Nonostante spesso venga accostato allo shôjo per le sue tematiche liceali-amorose, la focalizzazione interna al protagonista, i continui riferimenti sensuali al corpo delle ragazze, nonché le allusioni ai rapporti sessuali rendono il lavoro uno shônen a tutti i livelli. Dietro ad una figura femminile idealizzata e lontana dalla realtà contingente - perché virtuale -, ci sono precise ragioni sociologiche: come già detto, nella società giapponese la separazione fra mondo maschile e femminile resta ancora oggi molto netta. L’abitudine a frequentare amici di sesso opposto è poco diffusa e da ciò nascono una serie di incomprensioni, che di certo non terminano dopo il matrimonio. Così, nello stesso modo in cui le adolescenti sublimano la paura dall’ignoto maschile producendolo e consumando manga dalle tematiche omosessuali, i teenager maschi si rifugiano in una figura femminile venuta dall’esterno, la cui principale caratteristica è la maggiore comprensione delle dinamiche che regolano l’universo maschile ed una certa propensione all’azione. Se da un lato si ha un mondo senza peli, barba o calvizie, qui si esorcizza il mistero-donna modellandolo secondo le proprie aspettative. Frequentemente, tale idealizzazione finisce per infrangersi contro la realtà nei seinen manga, che puntano spesso alla rappresentazione delle dinamiche reali uomo\donna nel mondo adulto, in generale, e sul posto di lavoro, in particolare: un controcampo maschile del punto di vista di una office lady nel genere kyaria ûman.227 Essere un uomo in una società androcentrica, come il Giappone odierno, porta nella narrazione una serie di implicazioni: in Kash Kacho Shima Kosaku, Il caposezione Shima di Kenshi Kur Hirokane, l’intento è mettere in luce il triste mondo dei lavoratori ed il suo protagonista è un impiegato presso un’azienda pubblicitaria, nonché un maschio giapponese nella seconda metà dei trent’anni inserito nel sistema gerarchico. Da tali premesse il lettore occidentale non può prescindere. Nonostante sia sposato, Shima è circondato da donne e avventure rosa che sorgono principalmente in ambito lavorativo: la scappatella con una OL è una prassi non solo molto diffusa, ma anche accettata dalla logica sciovinista tipica delle aziende giapponesi. Tuttavia non sono fantocci senza cervello, anzi sono donne che, nella consapevolezza della profonda ingiustizia sociale subita quotidianamente, combattono per ritagliarsi uno spazio personale, usando l’arguzia per raggiungere gli obbiettivi e, talvolta, lo charme per sfruttare gli uomini a proprio vantaggio. Donne disincantate, forti e intimamente libere e, dunque, esattamente l’opposto dello stereotipo tramandato dalla tradizione. Shima, nel rapporto con le donne, è uno sconfitto - persino la moglie, alla notizia del suo trasferimento negli Stati Uniti, si nega 227 Per un approfondimento su tale tematica vedere il paragrafo 2.19 Lo josey manga e la donna giapponese: libertà sessuale e lotte sul lavoro. 156 di seguirlo ed al suo ritorno chiede il divorzio -; eppure, agli occhi della società giapponese, Shima è un vincente per la sua capacità di mettere da parte le questioni personali per il lavoro e di adattarsi al fine di diventare un pesce più grande. La panoramica ha tentato di esporre i parametri generali, ma certamente non si è potuto tenere conto delle innumerevoli variazioni sul tema. Ad esempio, il manga Akira di Katsuhiro Ōtomo riprende e deforma gli stereotipi affrontati finora. Il teppista Kaneda pallido riflesso dell’eroe positivo all’antica - vaga tra le rovine di Neo Tokyo, perseguendo ostinatamente i suoi obiettivi personali, irrisori in confronto al cataclisma: vendicare i suoi compagni bosozoku massacrati dal mutante Tetsuo. L’immaturo protagonista proietta, inconsciamente, questo sogno nelle sue relazioni con le donne: Kay, giovane Giovanna d’Arco nipponica, il suo pigmalione Lady Miyako e Chiyoko, la guerriera materna. Sebbene si rivelino tutte più forti di lui e ne sottolineino l’infantilismo -, anche loro falliscono miseramente nei rispettivi sforzi di ricostruzione:se la stessa megalopoli di Tokyo rinasce tale e quale dalle sue cenerei, non c’è speranza per un’umanità che non impara dai propri errori. Così, la comunità umanitario-buddista di Lady Miyako si disgrega e Kay viene spogliata della sua natura di Giovanna d’Arco e si riduce a quella di compagna amorosa di un Kaneda, ristabilito nel suo ruolo di piccolo macho capobanda. Il successo di Akira non è più questione di una generazione che serra i denti rifiutando di cedere alla disperazione, come in Gen di Hiroshimadi Keiji Nakazawa, ma quella di una gioventù che vuole essere distratta dalle sue delusioni e disillusioni: la generazione che ha visto fallire i sogni sessantottini dei loro fratelli maggiori, che ha vissuto l’assenza dei padri e la presenza massiccia delle madri. A tal proposito, lo psichiatra Takeo Doi utilizza pericolosi sinonimi, quali infantilismo ed immaturità: disfunzione generazionale che "assolve qualsiasi distinzione tra individui e bambini, uomini e donne, Oriente ed Occidente in favore di una forma universale di comportamento di dipendenza infantile".228 Oltre al richiamo al fumetto come avversione al mondo degli adulti, c’è la ripresa del termine nipponico amae, ‘dipendere dalla benevolenza altrui’, vitale per andare d’accordo con gli altri ed utilizzato in relazione ai bambini che dipendono dai propri genitori, ai giovani che contano sui propri anziani, ai nonni dai loro nipoti. Alla radice di tale dipendenza, vi è un elemento istintivo comune a tutto il genere umano, anche alla società occidentale sebbene sia nascosto: al contrario, in quella giapponese risulta evidente poiché questa, sin dai tempi antichi, ha messo in risalto l’unità del gruppo.229 Doi lo traduce con ‘dipendere dalla benevolenza altrui ed approfittarne’ ed, etimologicamente, lo lega all’atteggiamento del bambino o della bambina verso la propria madre: sospetta che ama, la radice della parola amae, possa essere collegata 228 Roger J. Davies,Osamu Ikeno, La mente giapponese, Maltemi Editore srl, 2007, cit., pag.27. Le ragioni storico-geografiche sono state sviscerate durante tutto il corso dell’analisi. In particolare vedere il paragrafo 1.2.1 In the beginning woman was the Sun. 229 157 all’espressione infantile uma uma che indica la richiesta del seno o del cibo da parte del bambino. Dunque, sebbene riguardi ciascuna tipologia di relazione - necessariamente divise in sfere interne e sfere esterne -, le radici dell’amae si ritrovano nella relazione prototipica tra madre e figlio: il desiderio di essere amati passivamente, la riluttanza a venire separati dal caldo cerchio madre-figlio e buttati in un mondo di realtà oggettiva. Un discorso calzante se si pensa che, in Giappone,la vera relazione di coppia è quella di madre e figlio e gli uomini, ben cosci di ciò, spesso hanno rapporti difficili con i figli maschi. Il Sol Levante vanta una tradizione secolare di madri energiche, quando non dispotiche, e di figli formati, quando non deformati, dal loro vigoroso esempio. Proverbiali i personaggi materni di Miyazaki che sembrano trasporre in grottesco e simpatico - non macchietta per lo spessore che riesce a dare ad ogni personaggio - quello che nel genere horror diventa mostruoso.230 Le tre madri della sua produzione sono tutte con i capelli tra il rosso ed il castano,dall’ampia figura e dalla risata cordiale: in Tenkū no shiro Rapyuta, Laputa-Il castello nel cielo, la moglie del Boss è l’esatto corrispettivo del marito, grazie al corpo massiccio dall’ampio seno e alla forza fisica pari a quella di un uomo. La sua spontaneità, il calore umano e la generosità si ritrovano in Osono di Majo no takkyūbin, Kikiconsegne a domicilio: solare icona materna che da a Kiki un riparo, un lavoro e nuova fiducia in se stessa. Queste figure restituiscono al ruolo di donna lavoratrice, di madre o di moglie la complessità che si può trovare nella vita di reale. Tuttavia, quella che ricorda di più la figura di madre ai fratelli Miyazaki è il personaggio di Dola di Tenkū no shiro Rapyuta, Laputa-Il castello nel cielo: un donnone corpulento, con due fitte trecce rosse, un paio di pistole infilate nella cintura ed un’indole decisa, concreta e apparentemente spietata. Dola nasconde un cuore tenero ed è capace di gesti di grande altruismo. Né i numerosi figli né Pa, il meccanico dell’aereo pirata, si sognerebbero di prendere i suoi ordini alla leggera e si potrebbe supporre che anche i fratelli Miyazaki - veri figli giapponesi di una vera mamma giapponese - non avessero nessuna convenienza a sottrarsi ai precetti della figura materna. La madre giapponese è ugualmente amata e temuta dai suoi figli: nella serie culto del postapocalittico giapponese Hyôryü kyoshitsu, Una classe alla deriva,Umezu proietta una scuola primaria in un futuro universo devastato, sterile e popolato da creature mostruose. Lasciati a sé stessi, i bambini tentano coraggiosamente di sopravvivere ma finiscono per ammazzarsi tra loro e l’unico motivo di speranza dell’opera è proprio una madre, che rifiuta di accettare la scomparsa del figlio: arriva a stabilire con lui sporadici contatti psichici e gli fa giungere un aiuto. D’altra parte, il manga perlopiù allontana dall’azione la madre, spesso deceduta:‘la morte è preferibile a ciò che ci si può aspettare se restano in circolazione’. (in nota Antonia Levi) Se, da un lato, Tetsuo di Akira non è che un bambino abbandonato, che sogna di 230 La figura materna nel genere horror è stata affrontata nel paragrafo 2.17 Il genere horror e la nevrosi femminile. 158 tornare a rannicchiarsi fra le braccia della mamma; dall’altro,il maschilista Shikamaru Nara di Naruto è fermamente convinto che le donne siano delle seccature, soprattutto sua madre, tanto da chiedersi come abbia fatto un tipo come suo padre a sposarla. Tale amore-odio si proietta sulla figura femminile in generale ed è riflesso in tutta la cultura popolare nipponica. 3.1 IL GENERE MECHA ED IL RITORNO SIMBOLICO ALL’UTERO MATERNO Il termine mecha deriva dalla parola giapponese meka, abbreviazione del latinismo mechanica, mezzo o strumento: viene utilizzato per indicare i robot giganti dell'immaginario fantascientifico giapponese ed il suo spettro semantico finisce per inglobare il filone manga intorno al tema dominante dell’elemento non umano - la macchina. Se si pensa al Giappone, in modo superficiale, non si può non riferirsi alla tecnologia: è la patria delle maggiori aziende che si occupano di tecnologia hi-tech, nonché delle società che si contendono il primato di prodotti tecnologici commerciali come televisioni, cellulari, videogiochi, computer, macchine e moto. Alla base di ciò, vi è il primo contatto tra la nazione e l’esterno nel lontano 1853, con l’arrivo delle navi del Commodoro Perry: per non cadere vittima delle forze occidentali, è necessario fare propri gli strumenti tecnologici del nemico, secondo il principio del wakon-yosai - letteralmente ‘spirito giapponese e corpo occidentale’.231 Preservando la propria cultura, il Giappone riesce in breve tempo ad imitare ed, infine, superare le capacità tecniche occidentali, in dimostrazione della propria superiorità - e della ferrea volontà stakanovista: l’evoluzione da società pressoché feudale ad avamposto tecnologico è così immediata da generare una serie di opposizioni che, ancora oggi, non sono state risolte. L’ambizione nipponica si spinge oltre e, così, il Giappone inizia un periodo di guerre espansionistiche: sotto il potere della sua tecnologia cade la Corea, la Mongolia e una parte della Siberia e, nel 1918, l'impero giapponese raggiunge l'apice dei suoi domini territoriali. Il militarismo - e i conseguenti efferati omicidi - porta ad un contrasto interno tra spirito e corpo, tra tecnologia ed ideologia che permea la storia contemporanea giapponese: come per l’Occidente la modernità prende il nome di colonialismo, così per il Sol Levante la modernità è sotto il segno del massacro. Nel 1937 il Giappone si allea con la Germania nazista per continuare la guerra contro la Cina e, con l'attacco di Pearl Harbor del 1941, ha inizio la catastrofica guerra con l'America che culmina con le esplosioni atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Segue un’immediata ricostruzione del paese, tramite un utilizzo ancora più massiccio e rapido della tecnologia. 231 Per un maggiore approfondimento sull’evento storico vedere il paragrafo 1.2.5 Lo sbarco dei vascelli neri. 159 Tale tecnologizzazione influenza l’immaginario collettivo nipponico permettendo lo sviluppo di manga sia imperniati su tematiche fantascientifiche sia evoluti in una direzione più critica, ponendo interrogativi sullo sviluppo della scienza e sui suoi limiti: la bomba atomica ha fatto loro scoprire la potenza irresistibile della scienza. Da questo trauma nascono due grandi narrazioni: una storia dell’apocalisse e del fallimento degli adulti, in cui, a seguito di eventi catastrofici,un gruppo di giovani orfani sopravvissuti cerca di ricostruire un mondo nuovo;si può riprendere come esempio Akira. Il secondo scenario racconta l’invasione del Giappone - o del pianeta - da parte di esseri di un’altra razza che pilotano macchine formidabili, contro le quali combattono degli adolescenti nipponici, spesso anch’essi orfani, al comando di robot per vincere la guerra in vece dei loro padri;si fa riferimento ai classici di Go Nagai,Yoshiyuki Tomino e Yoshiyuki Sadamoto.232 L’elemento comune dell’orfanismo rispecchia la condizione dei giovani giapponesi, testimoni della guerra e della sconfitta: i loro padri sono morti o si sono trincerati nel silenzio colpevole dei vinti; le loro madri lavorano strenuamente per nutrire i figli in un paese sulla soglia della carestia, i capi della nazione sono giudicati come criminali e l’imperatore stesso - padre putativo per antonomasia - dichiara alla radio che non è il dio che i suoi sudditi avevano imparato a venerare ciecamente. Il mezzo migliore per esorcizzare questi ricordi è proprio rigiocarli nell’universo familiare della finzione grafico-narrativa dei manga: definito dallo psicanalista Serge Tisseron come il medium per eccellenza che permette di "vomitare quello che si è dovuto ingoiare ma che non si è digerito". 233 Il primo robot del genere risale alle vignette di Gajo Sakamoto con Tanku Takuro, nel 1934: il robot protagonista è un androide samurai dalla forma ancora embrionale. Infatti, il ruolo di primo robot nella storia dei manga viene attribuito a Tetsuwan Atom, Astroboydi Tezuka: Atom è un cyborg, metà umano-metà macchina, creato per difendere il paese dagli attacchi nemici. L’autore sceglie la figura di un bambino, perché non colpevole di aver combattuto la folle guerra come gli adulti; sebbene funzioni proprio grazie all’energia atomica. Tuttavia, il manga che per primo riesce a rievocare la guerra perduta dai padri - e stavolta vincerla - è Majingā Z, Mazinga Z del 1972: un robot gigante comandato all'interno da un ragazzo, Koji Kabuto, che salva la terra dal delirio di onnipotenza dello scienziato Dottor Hell. Go Nagai, considerato da tutti uno dei più grandi mangaka di sempre, innova definitivamente lo stereotipo di robot da combattimento: un colosso metallico le cui forme riprendono l'iconografia nipponica delle armature samurai, le posture teatrali ed il bestiario della mitologia nazionale; il pilota, necessariamente un ragazzo, comanda il robot dal suo interno creando quel tipico rapporto simbiotico che porta il pilota stesso a provare dolore ad 232 L’avventura spaziale, le serie robotica di combattimento ed il post-apocalittico sono i tre pilastri iniziali della cultura otaku. 233 J.M. Bouissou, Il Manga..., cit., pag. 160 160 ogni colpo percepito dalla macchina: nel successivo Koetetsu Jeeg, Jeeg robot d’acciaio, l’interdipendenza è totale, poiché il pilota Hiroshi - essendo un cyborg dal corpo meccanico e dal cuore umano - diventa la testa del robot. Inoltre, la Terra è sempre minacciata da un nemico esterno, possessore di una tecnologia superiore - il robot stesso è spesso un’arma aliena:una metafora conservatrice che vede gli alieni come coloro che vogliono sconvolgere l’ordine delle cose. Verso la fine degli anni Settanta, il genere registra una svolta di stampo realistico con l’opera Kidō Senshi Gandamu, Mobile Suit Gundam di Tomino: innanzitutto, i mobile suit divengono normali macchine da combattimento sottoposte alle leggi della natura esplodono, si usurano finiscono l'energia e consumano i proiettili - in opposizione ai precedenti robot simili a deus ex machina; si assiste alla rottura dell’empatia psicofisica tra pilota e macchina; s’introduce il termine mecha anche in riferimento all’armatura mobile, un robot con la funzione di esoscheletri. Sul piano narrativo, si mantiene il soggetto di base di un giovane giapponese che, a bordo della macchina, salva la terra, tuttavia, se prima il mecha è costruito dal padre o da figure sostitutive, ora inizia lo scontro fra generazioni, come fra il giovane pilota Amuro Rei ed il padre, inventore del robot. Inoltre, si perde anche la stereotipata contrapposizione tra bene e male, a favore di una concezione più complessa di una guerra che travolge persone costrette ad uccidere per un dovere istituzionale. La cultura giapponese poggia su fondamenti lontani dalla tradizione giudaico-cristiana: nessun dio onnisciente ha mai detto qualcosa ai giapponesi e, dunque,per essi il Bene ed il Male sono concetti relativi. Si obbedisce ad un’altra forma di morale universale che prescrive ad ogni individuo di seguire la propria strada fino in fondo:gli eroi dei manga solo raramente sono tutti bianchi o tutti neri e si distinguono in buoni e cattivi solo per i propri fini, rispettivamente, universali e circostanziali. Il Male non è la violazione di un comandamento trascendente, ma l’incapacità di un individuo di controllare il suo ego. In base a ciò, i personaggi del genere mecha scelgono se usare come strumento di pace o di morte il robot che - nonostante l’aspetto parzialmente malefico - non è buono o cattivo di per se stesso. L’eroe giapponese, in tal caso il pilota, riconosce l’esistenza di un compito a cui è chiamato e si produce per portarlo a termine, anche a scapito dei propri sentimenti: in Evangelion di Yoshiyuki Sadamoto, il giovane Shinji si trova a dover scegliere tra la vita del suo migliore amico e la salvezza dell’umanità e, su incoraggiamento dello stesso, decide per il bene comune stritolandolo con il suo robot, in un interminabile atto di dolore. Sebbene sia un universo principalmente di segno maschile, numerose sono le figure di ragazze che popolano queste pagine:a Gô Nagai si devono l’androide Cutie Honey, protagonista dell’omonimo lavoro, che può assumere più identità alternative e si presenta decisamente maliziosa rispetto agli standard femminili giapponesi; la dolce Hikaru Makiba di Ufo Robot Golrake,inizialmente mite ed ingenua,si trasforma in un'agguerrita combattente 161 alla guida del Delfino Spaziale; senza dimenticare la splendida Flora di Jeeg robot d’acciaio, una bella donna dai capelli verdi che ha giurato fedeltà all'Imperatore del Drago, al quale si ribella coraggiosamente pagando con la morte. Da buon amante delle donne, Go Nagai realizza anche macchine robotiche di sesso femminile e, da bravo provocatore, pensa bene di esaltare le componenti femminili, in modo inequivocabile, inserendo le armi in corrispondenza del seno: Afrodite A, Dianan A e Venus Alfa, certamente inferiori a Mazinga nel combattimento. Per il genere fantascienza e le atmosfere spaziali, Leiji Matsumoto dedica grande importanza all’universo femminile nelle sue opere, non tutte le donne da lui create sono guerriere, ma trovano spazio le temibili soldatesse matriarcali Mazoniane e la donna pirata Esmeralda, anche lei ribelle e combattiva: il prototipo dei suoi personaggi femminili - nonché suo ideale di donna - è Meter di Ginga Tetsurō Hoshino, Galxy Espress 999, bionda e longilinea, talvolta dolce e materna, altre volte crudele guerriera. Inoltre, sotto un punto di vista puramente metaforico, sembra quasi che le serie robotica ritornino sul dilemma della figura materna: la situazione di interdipendenza del ragazzo con il suo guscio protettivo simboleggia il ritorno all'utero materno e, al tempo stesso, il robot assume il ruolo di genitore adottivo dell'eroe orfano. La vera rivoluzione al femminile si opera nel filone del post apocalittico: sebbene la tradizione giapponese ignori la fine del mondo che il cristianesimo promette da secoli all’Occidente, per converso, l’Arcipelago possiede un’esperienza senza eguali in fatto di cataclismi, che si tratti di eventi naturali o provocati dall’uomo. Da qui, gli ingredienti principali del genere quali atmosfere desolate, ecosistema stravolti, DNA mutati, macabri innesti e sperimentazioni sulla struttura carne-ossa senza etica o rispetto per la dignità umana: Tetsuo - incontrato nel paragrafo precedente - ‘incarna la mutazione, un cancro che germina nella società portandola alla distruzione e all’instaurazione di un ordine nuovo, dove i nuovi nati sono la chiave di volta di un organismo traballante che inevitabilmente collasserà su se sesso’.234 È Miyazaki che ri-edita tale universo nel suo unico manga riconosciuto Kaze no tani no Naushika, Nausicaä e la Valle del Vento: su di una Terra desolata e soggiogata da un ecosistema sbilanciato, le cui poche zone fertili sono oggetto di aspri contenziosi, strane foreste contaminate da isotopi radioattivi ospitano giganteschi insetti, frutto di spaventose mutazioni. Spetta a Nausicaä il compito di proteggere le foreste di funghi determinanti per il ripristino dell’ecosistema mondiale: il ruolo femminile principale è quello di una figura al contempo combattente, scienziata e materna, capace di immaginare soluzioni non convenzionali e di comunicare telepaticamente con ogni essere vivente. Il suo grande amore verso tutte le creature la porta a guardare al mondo con occhi non velati dall’odio: figura quasi cristologia nella sua 234 S. Lucianetti, A.Antonini, Manga..., cit., pag. 105. 162 vocazione al martirio pur di riscattare il mondo intero attraverso il suo sacrificio. L’autore stesso spiega che: Il motivo per cui rappresento un’eroina femmina dipende dal fatto che la società accorda tradizionalmente il controllo all’uomo, in Giappone come nel resto del mondo. Abbiamo raggiunto un’epoca in cui questo modo di pensare orientato al maschile sta per raggiungere i suoi limiti. Questo è il motivo per cui un punto di vista femminile va incontro ai tempi correnti. 235 L’eredità al femminile si mantiene nel genere mecha, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, che assume nuove forme rispetto ai precedenti robottoni: una versione New Age che prende vita dai nuovi concetti di cyborg - ibrido di macchina ed organismo - e di nanotecnologia. La scienza giapponese punta ad un maniacale senso di arte e si dà inizio alla ricerca di una tecnologia microscopica, sempre più piccola e pregnante, una tecnologia che ricopre il corpo e lo cabla con il resto del mondo: nel 1979 la Sony lancia il walkman e nasce il concetto di koden, individuo elettrificato, che prende piede con l'avvento dei cellulari, delle console tascabili, delle fotocamere digitali e di tutte quelle tecnologie portatili. In effetti, per il Giappone la tecnologia è qualcosa di molto invasivo: dalle prime gambe robotiche del 1983 ai primi robot antropomorfi del 1993; nel 2000 la società Honda partorisce ASIMO, un automa antropomorfo che ricreai movimenti umani con perfezione maniacale; nel 2004 la Sony lancia QRIO e la Mitsubishi crea Wakamaru. Dunque, il muro che separa l'immaginario collettivo fantascientifico giapponese dalla realtà si fa sempre più sottile. Al concetto di uomo cablato s’ispira la corrente fantascientifica del cyberpunk, termine coniato da Bruce Bethke nel 1980 ed è un blend delle parole cybernetics e punk: si occupa dell’espressione, spesso buia, di idee che trattano l’uomo, la tecnologia e la loro rispettiva combinazione nel prossimo futuro. Tale espressione è caratterizzata da alcuni elementi: l’avanzamento tecnologico e la sua invadenza fino agli stessi corpi umani, tanto da spingersi alla completa riconversione in corpi cibernetici; un’ambientazione urbana avveniristica, opprimente e stratificata e situata cronologicamente nel primo cinquantennio degli anni 2000. Il ventitreenne Yukito Kishiro disegna Tsutsu nume Gunnm, Alita-l’angelo della battaglia che mette in scena una città high-tech, Salem, popolata da razze ibride e cyborg dominati da bianchi anglosassoni che sfruttano una Terra devastata: Alita è la cyborg giovane e tormentata dalla mente umana e dal corpo interamente artificiale, che trascina gli oppressi in una rivolta per annientare un’arma sconosciuta. Tale eroina, senza memoria, è Alessia Spagnoli, Hayao Miyazaki. Le insospettabili contraddizioni di un cantastorie, Sovera Edizioni, 2009, cit., pag. 19. 235 163 alla ricerca della propria identità e finisce per scoprire che, un tempo, fu Yoko, una guerriera nipponica, sconfitta e decapitata. Il nemico invincibile di Alita-Yoko è uno scienziato pazzo bianco che si rivela essere anche il suo Pigmalione, al quale deve la vita per averla ricostruita in seguito ad un incidente quasi mortale: trasposizione della storia dell’Arcipelago, con il dottor Nova nel ruolo degli Stati Uniti. Atmosfere cyberpunk dominano le produzioni di Masamune Shirow, portabandiera delle ultime tendenze fantascientifiche con Koukaku Kidoutai, Squadra Corazzata Antisommossa, meglio noto come Ghost in the Shell: nel manga viene delineato uno scenario posteriore alla Terza e alla Quarta guerra mondiale, anno 2030, nel quale un blocco asiatico, con a capo il Giappone, domina le politiche del globo. Certamente, la futuristica New Port City è lontana dalla realtà, tuttavia si riscontrano somiglianze nelle parole della Fùrnari che descrivono la megalopoli giapponese odierna: Se vogliamo fare delle valutazioni circa il vissuto quotidiano delle metropoli, le sue attrattive e le sue peculiarità potremmo definire Tokyo come una grande madre tecnologica che si occupa dei suoi milioni di figli con premura ed efficiente sollecitudine, tarda creare, nel suo abitante più giovane, un rapporto quasi simbiotico di dipendenza assoluta.236 Sulla terra si aggirano esseri umani, cyborg e robot e le comunicazioni si sono evolute al punto che tutti sono collegati a una immensa rete neurale attraverso un innesto cibernetico. A mantenere l’ordine è la Sezione 9 Pubblica Sicurezza, una squadra speciale della Polizia che si occupa della risoluzione di crimini e terrorismo informatici. A capo della squadra antisommossa, c’è il Maggiore Motoko Kusanagi, una bellissima cyborg il cui corpo sintetico mantiene solo il midollo spinale come elemento umano e nel cui cervello elettronico è racchiusa, digitalmente registrata, la mente. Tra intrighi di potere ed interessi privati di natura economica, le vicende del manga si dipanano attorno all’investigazione sul Marionettista, un hacker di classe A che si introduce nella mente delle sue vittime, arrivando alla zona Ghost dei cervelli cibernetici e ‘riprogrammandone’ la volontà per i propri fini. Siamo di fronte ad un vero e proprio salotto filosofico sulla sfumatura politica della tecnologia come arma irrinunciabile per il potere ed il controllo su altre vite, nonché sui confini tra l’umano e il non umano. Si smette di combattere contro un alieno venuto dall’esterno per affrontare ciò che l’uomo stesso ha creato ma che è sfuggito al suo controllo. Viene rappresentato il tentativo umano di salvaguardare la frontiera: nel film americano Blade Runner di Riddley Scott, è la mancanza di empatia umana degli androidi a stabilire il modello complesso dei rapporti indentitari; nel suddetto manga è il Ghost. Con tale termine s’intende l’anima in un’accezione scientifico-informatica, cioè la volontà, la coscienza ed i 236 R.I.Fùrnari, Jose-e..., cit., pag. 19. 164 processi neurali tipici di ogni singolo essere umano: da ciò il dubbio sulla possibilità di convertire un corpo interamente in una macchina, in uno Shell, guscio. Le macchine hanno ormai un anima: in Occidente, dove Dio l’ha riservata solo agli uomini, quelle che se ne ritrovano dotate hanno qualcosa di sacrilego; in Giappone, dove i kami dello shintō investono anche alcuni oggetti artificiali, il tecno-animismo è perfettamente naturale. Nonostante vengano realizzate opere di grande rilievo artistico, la comunità nipponica inizia a guardare con sospetto alla fantascienza: il 1995 è un anno traumatico per il Giappone, a causa del grande terremoto dell’Hansin e dell’attentato terroristico al gas nervino sulla metropolitana di Tokyo, ad opera della setta religiosa Aum. La rinascita del genere si deve a Shinseiki Evangerion, Neon Genesis Evangelion di Sadamoto, in origine animazione e successivamente trasformata in un manga, negli stessi anni Novanta: in questa realtà drammaturgica, ogni volta che l'evoluzione arriva ad un punto morto, gli Angeli scendono sulla terra per ricreare l'umanità grazie ad un cataclisma mondiale, come era già successo con i dinosauri nell'età preistorica.237 Nel 2015, attaccano la città di Neo-Tokyo 3 e, più precisamente, la NERV - l’organizzazione alle dirette dipendenze delle Nazioni Unite con il compito di respingere gli attacchi degli Angeli - per trovare il frutto della conoscenza e riunire così l'umanità in un unico essere divino, portando il genere umano ad un nuovo stadio evolutivo. Per difendere la Terra, sono stati prescelti dei ragazzi in grado di pilotare i cosiddetti Evangelion, macchine da combattimento tecno-organiche, costruite clonando i resti del primo Angelo. Tra battaglie e drammi personali si giunge allo scontro finale. L’opera è fantascienza robotica condita da ambiziosi risvolti psico-sociologici e, soprattutto, da vistosi riferimenti ed enciclopedismi criptici ripresi tanto dalla cabala ebraica quanto dalla Bibbia cristiana: Eva e Adamo, Angeli e Apostoli, Marduk e i Re Magi, la crocifissione e l’Albero delle Sephiroth. I richiami simbolici che farciscono le pagine del manga sono da considerare una strizzata d’occhio al pubblico cervellotico e di nicchia degli Otaku. Dunque, il concetto di robot si è molto evoluto: in quanto frutto degli esperimenti effettuati sui primi due angeli Adam e Lilith, gli Evangelion si pongono a metà tra l'umano e il divino e, per la prima volta,non più strutture metalliche. Per prendere vita, hanno bisogno di un anima umana fornita di particolari curve armoniche nel cervello, in grado per creare quell’interazione neurale utile a far muovere il mecha. A ciò si aggiunga una maggiore attenzione sull’elemento umano, divenuto ormai l'unico motore di tutta la storia, e la complessità realistica dei personaggi è uno degli elementi più innovativi: in primis, il protagonista, Shinji Ikari, - figlio abbandonato dello scienziato a capo della NERV -, è un completo antieroe a causa della sua codardia, non ha mai un riscatto o un momento 237 Gli Angeli sono il frutto di un’evoluzione diversa da quella umana: gli uomini sono discendenti di Lilith, il secondo angelo, e possiedono il frutto della conoscenza; gli angeli sono i discendenti di Adam e possiedono il frutto della vita. 165 dimostrare la propria forza e vive tutta la narrazione da alienato; Rei Ayanami, ragazza prodotta in laboratorio, sembra avere come unico desiderio quello di compiacere Gendo Ikari, a capo della NERV, ubbidendo ciecamente ad ogni suo ordine alla stregua di un manichino e subisce un processo di divinizzazione nella fusione con l’Apostolo Lilith; Asuka Langley, che al contrario di Rei è il polo caldo dell’emotività ed il cui sviluppo si realizza antiteticamente a Shinji, combatte per dimostrare agli altri la sua abilità e trovare la sua personale affermazione, pur scontrandosi con la presa di coscienza dei propri limiti. I piloti vengono attaccati dagli Angeli sul piano mentale e lottano con loro stessi aumentando i dubbi che minano l'uomo e creando ferite molto più profonde di quelle fisiche. Le novità sono molteplici: la confusione ha preso il posto delle certezze degli esordi; i giovani piloti vanno in battaglia sognando il disarmo generale; il padre defunto, di cui i figli seguono la missione, è sostituito da un genitore indegno e crudele, con il quale il giovane protagonista non riesce a regolare i suoi conti; l’organizzazione a difesa dell’umanità sembra nascondere fini ultimi oscuri e sospetti; il rapporto del protagonista con la macchina biologica, quale via di salvezza in un mondo alieno è metafora del rapporto tra il pubblico ed il fumetto. Sebbene il tema si sia modificato nel tempo, il fulcro tematico resta l’etica sul rapporto uomo-tecnologia che, qui, viene mostrato esasperato e malsano per fare da monito. Tuttavia, la svolta più importante si gioca sul piano della coscienza collettiva: la vittoria non è più puntuale ed il finale non rivela chi ha vinto la guerra, quasi a voler dire che, mezzo secolo dopo l’olocausto nucleare, è tempo di lasciarsi alle spalle quella indicibile sconfitta. Per ciò che riguarda la figura femminile, si riflettono i cambiamenti della società giapponese contemporanea: non c’è ombra di sottomissione in queste donne, in grado di comandare, combattere, risolvere problemi in modo identico alle figure maschili - con l’eccezione di Rei, che avrebbe fatto lo stesso anche se fosse stata maschio, in quanto manichino senza anima. Inoltre, la figura materna entra di forza nella narrazione: la creatura bio-meccanica si trasforma in un utero gigante nel quale il protagonista galleggia come nel liquido amniotico che, evidentemente, egli rimpiange.238 Non è un caso che i piloti quattordicenni prescelti siano tutti orfani poiché, all'interno del mecha, dimora l'animo della madre scomparsa:la metafora dell'utero materno è presa in prestito dall'epopea dei robot, per diventare un concetto concreto e fondamentale. Il fantastico giapponese esprime le angosce di una nazione per la quale la storia è stata crudele: penano a trovare la loro identità tra un Occidente che non lo riconosce su di un piano paritario ed un Asia che essi hanno tentato crudelmente di dominare e dove le ferite della storia rimangono dolorose. Il genere mecha può essere visto come: metafora sociologica di una Cyborgian Society; metafora psicologica in cui lo scontro edipico 238 Un liquido giallo chiamato LCL, Link Connect Liquid, riempie la cabina di pilotaggio e sommerge l'operatore consentendo di sincronizzare le onde celebrali dell'Eva con il suo pilota. 166 sostituisce la figura genitoriale che si scopre inadeguata con il mecha di turno; metafora storica di una tecnologizzazione forzata in contrasto con la spiritualità classica nipponica. Tuttavia, la predominanza del femminino e del simbolico ad esso legato è illusorio: la cultura ha ormai aperto le porte al ‘postmoderno’ e, nell’era dei post, si supera anche il binomio sessuale: come teorizzato da Donna Haraway, il cyborg è una creatura del mondo post genere - post sesso, post razza e post classe - e, dunque, il femminile si emancipa solo in virtù della sua condizione esistenziale dovuta all’indefinitezza dell’identità fra corpo e mente. I cyborg femminei ospitano implicazioni di una certa complessità legate alle questioni di gender e al ruolo della donna nella società giapponese rispetto allo sguardo maschile. Ciò è stato notato fra gli altri da Kumiko Satô, per la quale le genoidi assumono spesso il ruolo feticista di protettrici materne dei personaggi maschili, prive di una volontà e sottomesse al loro padrone. Oltre al filone delle cyborg volitive ed indipendenti, il cui prototipo è individuabile in Motoko Kusanagi, vi è anche un genere in cui le ginoidi sono dipendenti, dall’aspetto kawaii, di fisionomia adolescenziale: la loro vulnerabilità e la controllabilità ai voleri virili riafferma nella finzione il dominio dell’uomo su una figura femminile sempre più sfuggente ed emancipata. Gli sviluppi dell’animismo che caratterizza il legame con le macchine si sviluppa anche in una forma di sensualità\sessualità feticistica nei confronti delle macchine, che può spingersi a livelli parossistici, fino al concetto di sexy robot. Nella tradizione nel manga, una parte di rilievo è assegnata ai filoni erotici e, ancor di più, agli spunti erotici che percorrono molti generi narrativi. 3.2 LA PORNOGRAFIA, LA CRISI DI VALORI DELL’ULTIMA GENERAZIONE E IL CORPO FEMMINILE COME OGGETTO SESSUALE Non va sottovalutata la vastità di un fenomeno editoriale che vanta una presenza rilevante sul mercato ed una vasta fetta di pubblico:il manga pornografico,kannô manga, è classificato alla voce della ‘terza categoria’ alla stregua delle riviste consacrate ai divertimenti popolari, quali il pachinko e il mah-jong. Anche le riviste a fumetti amatoriali costituiscono un grande ambito di produzione pornografica. Il sesso abbonda nella cultura popolare dell’Arcipelago con una libertà sconosciuta ai fumetti occidentali e ciò è dovuto al retroscena culturale:per lo shintō, la religione della fertilità, l’attività sessuale costituisce un fondamento sacro della vita, tanto che la verginità prolungata veniva vista come una pericolosa anomalia, alla quale poneva fine il prete stesso con una deflorazione rituale; per il taoismo è, addirittura, un mezzo per accedere all’immortalità; da sempre, uomini e donne si ritrovano insieme nelle onsen, fonti d’acqua calda, completamente nudi senza che ciò acquisisca sfumature maliziose. Se da una parte il manga tiene alta la coraggiosa tradizione dei vecchi culti della fertilità, dall’altra non è di certo il primo mezzo espressivo nipponico a mostrare 167 l’argomento: la cultura giapponese è ricca di stampe che raffigurano atti sessuali fantasiosi, dalle uyiko-e - le ‘immagini di primavera’ - alle shunga e all’ero-guro di epoca Meiji. Anche nelle fiabe popolari occidentali o nelle festività di retaggio pagano - quali, il carnevale - non si fatica a riconoscere una buona percentuale di sesso tra le pieghe, rispettivamente, della narrazione e delle usanze. Tuttavia, nei manga le scene assumono forme spesso crudeli o burlesche, perfino perverse agli occhi della maggior parte degli occidentali: detto ciò, in Giappone la criminalità è debole, la società molto ben organizzata, l’individuo tutto impregnato di autocontrollo e la ricercatezza della cultura tradizionale molto presente. Rispetto al numero di stupri ed omicidi commessi in un anno, per esempio, in America, in Giappone se ne verificano una mera frazione: nel 2002, il numero di violenze sessuali denunciate ogni 100 000 persone, in Giappone, ammontava a 1,4, mentre negli USA saliva a 37,2, cifra quasi 27 volte più alta. Tale contrasto demolisce ogni argomentazione secondo cui il consumo di manga stimola comportamenti criminali: Schodt suggerisce la natura catartica di queste immagini. Le storie piene di sadismo o violenza gratuita sono sublimate ed utilizzate, piuttosto, come modo per scongiurare reali episodi di questo tipo. Tale volontà di esorcizzare l’inadeguatezza maschile, attraverso un processo di estetizzazione, si affianca ad un atto liberatorio in una società che mette a dura prova la spontaneità: come se affrancarsi dalle convenzioni attraverso la finzione potesse aiutare a conciliarsi con le contraddizioni di una vita reale ben più anonima e prosaica. I fumetti erotici possono dividersi in due filoni principali: da un lato, le produzioni soft in cui l’erotismo è trattato con brio e leggerezza; dall’altro, le produzioni più hard e propriamente pornografiche con sfumature che vanno dal sadomaso al fetish, ambientazioni che spaziano dalla quotidianità a mondi virtuali e ibridazioni con generi quali il poliziesco, l’avventura, l’horror, la fantascienza. Quest’ultimo è il filone che meglio permette di esasperare le figure immaginarie:il topos per eccellenza è quello dell’alieno o demone che intrude nel corpo di una ragazza terrestre, il cosiddetto tentacle sex, anticipato da una stampa ukiyo-e in cui una donna sogna di essere penetrata da una piovra con tutti i suoi tentacoli. Tuttavia, si tenga a mente anche che tra i fumetti erotici ve ne sono alcuni indirizzati ai giovani, con specifici intenti didattici e che, nel manga adolescenziale, viene attribuito un grande valore alla verginità. Anche se i manga non sono governati dal codice puritano imposto dall’industria del fumetto americana, sono ben lungi dall’essere non regolamentati: la distribuzione, l’esposizione o la vendita di materiale osceno sono duramente puniti dall’articolo 175 del Codice penale, con due anni di carcere o con un’ammenda salata. La definizione di oscenità è alquanto imprecisa: nel 1957, la Corte Suprema giapponese definisce oscene le opere "che stimolano o eccitano gratuitamente il desiderio sessuale in una 168 maniera tale da turbare il senso del pudore comunemente presente in una persona ordinaria e che va contro la concezione della sana morale sessuale".239 Dunque, essendo problematica e vaga la definizione di ‘indecenza’, l’arbitrio ha finito per definire l’oscenità attraverso la sola rappresentazione degli organi sessuali, dei peli pubici o della penetrazione: finché questi non vengono raffigurati, qualsiasi situazione può essere lecita, per quanto violenta e degradante sia.240 Tale pratica di censura sembra discendere da un assorbimento dei precetti culturali occidentali, vista l’incongruenza con la concezione nipponica tradizionale dell’arte erotica, le cui raffigurazioni sono sempre accompagnate da una generosa rappresentazione dei sessi dei partecipanti. I mangaka sono costretti a ricorrere a stelline, pallini, bolle, zone di luce o pixel e ciò non fa altro che attirare l’attenzione proprio sulle zone censurate: l’articolo 175 ha contribuito a rendere i manga più espressivi a livello sessuale e le sue restrizioni hanno incoraggiato gli autori ad avventurarsi oltre le rappresentazioni convenzionali. Giocare con le proibizioni si è spesso trasformata in una forma d’arte umoristica ed ha fatto la fortuna di alcuni mangaka specializzati in melanzane, daikon - ravanello cinese - ed altri matsutake -verdure -, nonché in serpenti, cetrioli di mare ed anguille; sul versante femminile si hanno conchiglie e molluschi di ogni forma, nonché specialità gastronomiche locali, come i dorayaki - alghe anemoni. Masamichi Yokoyama è considerato il maestro del genere. Le scene d’amore sono chiamate tradizionalmente nureba, scena bagnata: l’acqua, simbolo materno per eccellenza, è un elemento spesso associato a questo tipo di sequenze, tanto che il culmine del rapporto sessuale viene rappresentato tramite onde, cascate, zampilli e simili. Donne, acqua ed emozioni sessuali sono concetti che hanno sempre teso ad agglomerassi nella storia giapponese, anche in virtù del taoismo che considera le secrezioni come inseparabili dal perfetto orgasmo. La prima esperienza sessuale di una geisha riprende tale metafora nell’espressione mizu-age, letteralmente ‘acqua che sale’ - in riferimento all’eiaculazione maschile -, che discende dall’ambiente nautico indicando il carico e scarico delle merci dalle chiatte fluviali. I trattamenti violenti o degradanti hanno tradizionalmente come vittima le donne, piuttosto che gli uomini: si è tentati di vedere gli effetti del maschilismo di cui sono intrise le disposizioni del codice penale giapponese sulla violenza o i lunghi rifiuti dei parlamenti nipponici a legiferare sugli abusi domestici. Nella pornografia giapponese, le pratiche sadomasochistiche, di cui le donne sono vittime, occupano un spazio sproporzionato, ma l’aspetto realmente offensivo, sia in generale sia in particolare proprio per le donne, è che nella finzione queste sembrano trarne piacere. Le studiose Allison e Napier rintracciano i 239 J.M. Bouissou, Il Manga..., cit., pag. 238. Paradossalmente, nel contesto reale i peli pubici per una donna sono considerati sinonimo di una buona reputazione, poiché la completa depilazione del genitale è riservata alle donne di mestiere. 240 169 modelli tipici del maschio nel ‘voyeur comico’ e nel ‘fallo demoniaco’: la prima identità, rappresentata da corpi infantili o senili e teste enormi dagli occhi spalancati, suggerisce una mascolinità passiva ed impotente; la seconda, raffigurata da mostri possenti e tentacoli fallici, è azione sadica allo stato puro. In entrambi i casi si cela un atteggiamento di frustrazione e disperazione riguardo l’identità femminile, che porta ad espressioni violente. Tuttavia, la questione è molto più complessa: esiste, infatti, una pornografia specificatamente concepita per le donne ed, anche qui, le numerose autrici trattano la figura femminile allo stesso modo dei colleghi maschi, in veste di vittime consenzienti che solo così raggiungono il massimo del piacere. Pur adducendo la causa di tale atteggiamento alla presenza di editori uomini dietro la mano femminile, rimarrebbe ancora da spiegare la larga fetta di lettrici che acquistano con libera scelta. Ciò che preoccupa di più, all’interno del Giappone, non è l’aspetto sadomaso di tali rappresentazioni: negli anni Ottanta e Novanta, l’universo fantastico arricchisce il genere erotico\pornografico e quelli che attirano di più l’attenzione sono il boys’love ed il lolicom.241 Il ‘complesso di Lolita’, detto rorikon in giapponese, impone la ragazzina in uniforme come feticcio centrale della pornografia ed il pubblico di riferimento sono giovani uomini, che ormai hanno superato la trentina. Il genere si ufficializza nel 1982 con Manga Burikko, la prima rivista specializzata in eroine dall’apparenza molto giovane e dall’innocenza provocante: il genere alimenta titoli che sfiorano la pedo-pornografia, che si aggrava sommando alla giovane età dell’oggetto sessuale la proibizione dell’esposizione del pelo pubico. Riprendendo il celebre caso di Bishōjo senshi Sailor Moon, quest’opera è stata lodata come tentativo di resistenza di genere: forse proprio per questo, la serie è oggetto di numerosissime rivisitazioni entai, in cui le guerriere vengono rappresentate come oggetto sessuale abusato o come violente padrone di uomini deboli. Sul piano sociologico, diverse sono le maniere in cui le ragazze giapponese reagiscono agli sguardi, ai discorsi ed ai feticismi di cui sono fatte oggetto tanto nella realtà quanto nell’immaginario nipponico. Le subculture giovanili femminili contengono la risposta, spesso esplicitata in un conformismo parodico: si è già analizzata la moda kawaii, che nasce come provocazione allo stereotipo negativo dei media; ma è anche il caso dei body-kon e delle Roppongi girls, accusate dalla cultura ufficiale di esibire uno stile volgare, che loro intensificano in modo pacchiano per ridicolizzare le critiche di sociologi ed opinionisti; è il caso delle ragazze ganguro, l’ultima moda di strada femminile emersa in Giappone, che offrono ‘volti neri’ incorniciati da capelli 241 Il boys’love, sebbene in un modo assolutamente diverso, presenta un immaginario che non si discosta molto dal suo corrispettivo maschile, per le atmosfere morbose e contenuti forti Per un maggior approfondimento vedere il paragrafo 2.9 Genesi dei Boys’ love : le donne giapponesi raccontano l’amore tra giovani androgini. 170 e rossetti bianchi, come in una sorta di negativo fotografico della propria immagine. (Per un maggiore approfondimento sulle subculture giovanili femminili vedere il paragrafo)Infine più pregnante in tale contesto - è il caso delle kogyaru: uno stile che combina elementi infantili e provocanti, utilizzando come base il richiamo feticista dell’uniforme scolastica. Come una sorta di sfida parodica al conformismo giapponese dei ruoli e delle divise, tale stile apporta una serie di modifiche all’uniforme scolastica ufficiale che ne deformano il significato, fino da farlo coincidere con l’immaginario pornografico del rorikon manga.242 Nel momento in cui la televisione ed i settimanali fotografano le liceali dal basso, ritraendone gambe e gonne e cancellandone voci e visi, quest’ultime si riappropriano dell’immagine rubata, ne esagerano i contorni e ne fanno implodere il significato, provocando panico e fascinazione al tempo stesso. Tali mode di strada si configurano nei termini di un’autentica guerriglia semiotica ed il divario fra l’immagine maschile della studentessa come oggetto sessuale e l’immagine soggettiva che di se stesse hanno le studentesse si dissolve pericolosamente. Dunque, l’opera di censura è presa rapidamente in mano, con la benedizione delle autorità, da alcune associazioni quali la Young Women Christian Association o il Consiglio nazionale per lo sviluppo della gioventù: ogni settimana si ispezionano le librerie ed una lista di titoli viene trasmessa alle autorità locali, affinché li classifichino come yügai, nocivi, e li bollino con un divieto di esposizione e di vendita ai minori. I grandi editori reagiscono prontamente decidendo di imballare le serie spinte con pellicole di plastica, al fine di impedire lo yomitachi, la lettura in piedi, ed anche le dojinshi iniziano a mantenere un profilo basso. Quando si viaggia sul filo della legalità si fa ricorso alla tecnica del ‘ricopertinato’: la copertina è staccata dal blocco delle pagine intere e non presenta fori che testimonino un’anomalia e che facciano pensare alla presenzia di graffette. La copertina viene semplicemente appoggiata e, certamente, i titoli riportati non corrispondono a quelli delle pagine interne. Le autorità e i media non cessano di trovare il carpio espiatorio nel manga - un ruolo che gioca sempre più spesso -, invece di rivolgere lo sguardo al contesto culturale, di cui il fumetto è solo un riflesso: gli anni Ottanta vedono il Giappone, nel pieno della sua prosperità, adagiarsi su di un conservatorismo consolatorio e, fra i giovani, la volontà di cambiare il mondo viene rimpiazzata da un consumismo edonistico. I temi forti riguardano gli adolescenti ed il numero in crescita di omicidi\suicidi collegati al bullismo scolastico; la questione sessuale e l’erotizzazione dell’adolescenza: nel tentativo di non perdere iscritte in un periodo di calo demografico, le scuole private fanno realizzare da alcuni stilisti nuovi modelli di divise e ciò apporta una connotazione modaiola ad un tipo di abbigliamento 242 Ad esempio, la moda dei calzettoni abbassati, ruzu sokkusu, diventa oggetto di seduzione sulle pagine manga. 171 concepito come forma di anti-moda, nonché l’interesse vojeuristico per le liceali. Nel 1993 l’attenzione dei media si focalizza sull’emergere di una nuova industria del sesso, basata sulle studentesse: sorgono i burusera-ten, negozi specializzati nella vendita di accessori ed effetti personali delle liceali a cui quest’ultime vendono parti della loro divisa o le loro mutandine usate, in cambio di denaro facile. Nel 1994 uno scandalo più grave riguarda le giovani nipponiche: il cosiddetto fenomeno dell’enjo-kosai, appuntamenti ricompensati, una nuova forma dilettantesca di prostituzione con lo scopo di guadagnare il denaro per acquistare vestiti firmati ed oggetti di consumo. L’aspetto sociologico interessante è che le giovani non considerano tale attività una degradazione del loro corpo e del loro essere donna, anzi: non solo riescono a dissetare il loro bisogno edonistico, ma percepiscono il proprio sesso come una fonte di potere e di controllo del soggetto maschile, simbolo del sistema patriarcale. In Delivery del 2007 vengono mostrate ragazze che vendono il loro corpo con cinica rilassatezza per permettersi delle borse di lusso: potente è lo scontro generazionale con i loro padri, di cui esse disprezzano la misera vita di salaryman. Ciò è frutto dell’egoismo della cosiddetta ‘generazione della moratoria’, cioè della generazione di giovani giapponesi non più disposti al sacrificio per l’azienda, all’obbedienza sociale ed al rispetto della tradizione. Dunque, non tanto il manga è causa di una promiscuità sessuale, piuttosto l’accrescimento del sesso a fumetti è un effetto della grande repressione, a seguito delle grandi contraddizioni del dopoguerra. 172 CONCLUSIONI In conclusione, stupisce che la mancanza di consenso, per il ritardo con cui le istituzioni rispondono ai fermenti sociali, debba tradursi in un disagio prevalentemente femminile. Forse bisogna far risalire tutto alla radice comune della forte ghettizzazione della donna giapponese: trecento anni fa si poteva essere indipendenti ma dentro i quartieri Ukiyo; di recente, si può diventare capo di una pericolosa banda di motociclisti, ma una banda al femminile; si può far parte del gruppo dirigente di una grossa casa editrice, purché sia in maggioranza composte da donne; e, ancora oggi, per una letteratura che annovera come capolavori classici testi scritti dalla penna femminile, le librerie continuano a dividere i testi in libri scritti dalle donne e libri scritti dagli uomini, sottintendendo che il primo gruppo tratta argomenti più leggeri e frivoli del secondo. Tuttavia, ciò non ferma i grandi talenti dal fare l’eccezione: il caso di Versaille no bara ha avuto una cassa di risonanza su larga scala e Rumiko Takahashi, mescolando e confondendo gli stereotipi sessuali, appassiona lettori di entrambi i sessi e scavalca il rigido dualismo di genere. L’industria manga diventa uno spazio di riscatto sociale e queste autrici, sebbene ghettizzate ad ‘argomenti femminili’, conquistano il diritto di esprimersi arrivando a quella fetta sociale, da sempre messa da parte: quel pubblico di adolescenti che detiene la chiave di ciò che sta accadendo alla società, sul piano della coscienza soggettiva e dei comportamenti individuali. Gli ambasciatori di questa comunicazione sono le eroine manga, alle quali viene spesso mossa l’accusa di non essere completamente libere e mai vittoriose rivoluzionarie. Eppure le loro conquiste, per quanto parsimoniose, sono potenti: Gli shôjo manga mi hanno mostrato l’esistenza di persone abbastanza coraggiose da non seguire lo stesso percorso battuto da tutti, persone che non si adeguavano al sistema. Le loro storie mi hanno insegnato che si può pensare alla propria vita in alto modo. Forse è proprio perché gli shojo hanno riguardano la vita emotiva delle persone che possono avere un impatto tale da poter cambiare il corso di una vita. 243 Ciò testimonia che: sebbene il gaman resti la virtù principale per questi personaggi, nel frattempo hanno agito in modo indipendente e deciso, al pari di un uomo; sebbene non cerchino mai di cambiare le cose, nel frattempo hanno affermato la propria individualità attraverso un lavoro o una passione; sebbene alla fine si prospetti sempre il matrimonio, nel frattempo sono state loro al centro della storia. Tali vittorie agrodolci avvicinano le narrazioni alla realtà e, forse proprio per questa vicinanza, il manga è così amato e sentito 243 Mitsuba Wajima racconta che i manga di Moto Hagio le hanno dato la forza ed il coraggio di lasciare il Giappone. P. Gravett, Manga: 60 anni..., cit., pag. 81. 173 proprio dalle sue lettrici e non solo: sempre più maschi sono attratti da questa soggettività e dalla sua cultura. I giovani abbandonano sempre più spesso i propri fumetti per leggere gli shôjo manga, sempre più affascinati dalle icone della cultura femminile, una cultura che rappresenta, ai loro occhi, un’illecita zona libera esterna alla cultura aziendale, dove è possibile perseguire interessi e desideri individuali. Il manga al femminile sembra aver preso il posto della geisha nella sua funzione di mezzo d'evasione e di baluardo dell'essenza femminile; nel suo essere creatore di tendenze e nel suo esprime sentimenti tormentati e travolgenti; nel suo intimo paradosso di icona e scrigno dello spirito giapponese. Le donne delle pagine manga o della vità reale sono scisse tra atteggiamenti di conciliazione e spirito battagliero, incapaci di rendere serenamente possibile la fusione di caratteristiche, tradizionalmente, separate in femminili e maschili. Il loro problema non è di essere a disagio con se stesse, ma non avere un posto nella società e, certamente, questa non è solo una dinamica giapponese: anche i modelli femminili offerti dal cinema occidentale sono, in maggioranza, lolite, adolescenti al tempo delle mele, ragazze disadattate o spiriti combattivi, che gettano le armi non appena trovano una spalla maschile sulla quale appoggiarsi. Criticando la concezione che la società ha della donna, e non essere donna in quanto tale, nel film d'animazione Kurenai no buta, Porco Rosso di Miyazaki Fio Piccolo afferma: "Non posso smettere di essere donna, ma lasciatemi provare".244 244 A. Spagnoli, Hayao Miyazaki..., cit., pag. 56. 174 BIBLIOGRAFIA Allison Permitted & prohibided desires Mothers, Comics, and Censorship in Japan University of California Press, 1999; Antonini L’incanto del mondo. Il cinema di Miyazaki Hayao, Il principe costante, 2005; R. 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