per facilitare lo studio a casa
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per facilitare lo studio a casa
Bambini e compiti a casa Suggerimenti utili per facilitare i rapporti genitori – figli riguardo lo studio a casa I dati Ocse del 2003 riferiscono di un primato tutto italiano sui compiti a casa, in Italia infatti si studia in orario extrascolastico più degli altri paesi: 10,5 ore a settimana, a fronte di una media che è di quasi la metà (5,9). Alla luce di questi dati il tema dei “compiti a casa” appare uno degli argomenti più discussi tra i genitori e meno apprezzati dagli studenti. Se da un lato per alcuni genitori lo studio a casa rappresenta un piacevole motivo di condivisione e di confronto con i propri figli, dall’altro troviamo genitori che quotidianamente discutono con i propri ragazzi perché si rifiutano di studiare; questi genitori si sentono allora in dovere di effettuare continui controlli sullo svolgimento dei compiti e di assegnare punizioni (che vanno dallo spegnimento della tv alla sottrazione del cellulare o della playstation etc) in caso di rifiuto. Gli stessi genitori ammettono tuttavia che tali metodi non sono affatto efficaci e portano comunque benefici di breve durata. E’ proprio sul tema dei compiti a casa, fonte di un continuo braccio di ferro familiare, che si è concentrata l’attenzione di recenti studi pedagogici il cui scopo è quello di individuare quale sia la giusta misura con cui un genitore deve aiutare il proprio figlio e quale l’atteggiamento educativo più appropriato. Come sostiene la psicologa dell’Età Evolutiva Anna Oliverio Ferraris (2003) la prima cosa che bisogna chiarire è che, già a partire dalla scuola elementare, “i compiti a casa sono un'occasione per accrescere l'autodisciplina del bambino: imparare a darsi dei tempi, a seguire delle regole”. Anche Sira Serenella Macchietti, docente di Pedagogia Generale all’Università di Siena - Arezzo evidenzia che “La ricerca e gli esercizi da svolgere a casa devono essere fatti in autonomia. Solo così permettono al bambino di scoprire i suoi talenti e stimolano il piacere di apprendere”. I compiti dunque, secondo gli esperti del settore, sono una prova in cui i bambini devono misurarsi da soli; a volte però, il timore dell’insuccesso scolastico dei figli spinge i genitori a fare i compiti al loro posto. Questo atteggiamento – che più che un tentativo di aiuto rivela un desiderio di controllo - rischia di impedire lo sviluppo dell’autonomia del bambino e l’assunzione delle sue responsabilità: “i genitori che svolgono i compiti al posto dei figli – sottolinea la Oliverio Ferraris (2003)- inviano loro il messaggio implicito che devono sempre dipendere da qualcuno che pensa, pianifica e organizza tutto per loro”. Tuttavia questo non esclude che vi siano particolari circostanze in cui il bambino necessita dell’aiuto degli adulti: se i compiti sono davvero al di là delle possibilità del figlio il genitore può stimolarlo e sostenerlo nel cercare una soluzione al problema che presenta (es: suggerirgli di ricorrere a un dizionario o a Internet se non conosce dei termini, di tracciare una “scaletta” prima di svolgere un tema, di organizzare una ricerca selezionando il materiale utile al riguardo). In queste situazioni il genitore deve aiutare il figlio ad organizzarsi nello studio cercando di fargli comprendere la “logica” con cui deve essere affrontato un compito; in sostanza il genitore deve essere abile nel suggerire tutta una serie di strategie che servono ad “imparare ad imparare”. Particolarmente delicati sono i momenti di passaggio da un ciclo di scuola all’altro (prima elementare, prima media, prima superiore): in questi casi il sostegno del genitore può concretizzarsi nell’aiutare il proprio figlio a trovare un nuovo metodo di studio. E’ inoltre molto importante, come suggerisce la Oliverio Ferraris (2003), che il bambino impari a concentrarsi su quello che fa: “per poter risolvere un problema, leggere un brano da cima a fondo, fare un riassunto o imparare a memoria una lista di vocaboli bisogna concentrarsi, cercare cioè di non disperdere l'attenzione, di non lasciarsi distrarre da stimoli estemporanei. Il bambino deve imparare, man mano, a individuare un obiettivo e a portare a termine un compito resistendo alla tentazione di lasciarlo a metà. Il che non significa che non si possano fare pause, piccoli break rigeneratori che aiutano a riacquistare concentrazione: significa imparare a concludere ciò che si intraprende. In altre parole, a responsabilizzarsi”. E’ essenziale a tal proposito anche l’atteggiamento dei genitori che devono favorire l’autonomia del figli nella scelta dei tempi di studio: ci sono bambini che studiano subito dopo il pranzo, altri invece preferiscono giocare e poi “mettersi al lavoro”. L’atteggiamento – comune a molti genitori - di impedire un’attività ricreativa perché “si devono fare i compiti” non appare produttivo; sembra piuttosto utile far si che il bambino impari a far fruttare il suo tempo conciliando lo studio con il tempo libero. Alla luce di queste considerazioni, cosa possono fare in pratica i genitori per aiutare i propri figli nello svolgimento dei compiti a casa? A detta degli esperti del settore tre sembrano essere gli atteggiamenti più efficaci: 1) Cercare di capire le reali motivazioni che spingono i bambini a non fare i compiti 2) Spiegare ai propri figli l’importanza dello svolgimento dei compiti offrendo loro il necessario supporto 3) Instaurare un dialogo con la scuola e gli insegnanti Andiamo ad esaminarli nel dettaglio: 1)Cercare di capire le reali motivazioni che spingono i bambini a non fare i compiti: Spesso i genitori sono troppo occupati a rimproverare e a controllare continuamente i figli perché non portano a termine i loro compiti senza sforzarsi di comprendere le reali motivazioni che si celano dietro a questo atteggiamento. In particolare Philippe Meirieu (2002), autore di numerosi libri di pedagogia e direttore dell’Institut National de Recherche Pédagogique, analizza le possibili cause del rifiuto di studiare: a) Una richiesta d’aiuto: il rifiuto dello studio può essere il segno di una richiesta di carattere affettivo, il bambino può rifiutare di applicarsi per avere la gioia di vedere il padre o la madre sedersi accanto a lui e dedicargli del tempo. In questo caso i genitori devono interrogarsi sull’attenzione riservata al figlio dando una risposta in campo affettivo, separandola, se possibile dal problema scolastico. b) Il segno che lo studio non ha senso: molto spesso la resistenza allo studio va ricercata nell’incapacità di riconoscerne il senso. Nei casi più semplici i bambini non hanno capito cosa si chiede loro di fare, più frequentemente invece non comprendono proprio “a cosa serva” studiare. Nel primo caso sembra inutile cercare di spiegare le cose correndo il rischio di mal interpretarle; più efficace appare suggerire al proprio figlio di mettersi in contatto con un compagno di classe per poter confrontare le proprie opinioni, avere chiarimenti e trovare insieme una soluzione. Nel secondo caso la situazione appare più complessa poiché ai genitori spetta il difficile compito di “conferire senso all’apprendimento scolastico”. In pratica ciò può voler dire per esempio, accostare una lezione, un esercizio, una regola appresa a scuola con la vita di tutti i giorni (ad es: per fare questo dolce ci occorrono venti centilitri di latte, come facciamo a misurarli?) “Conferire un senso” alle acquisizioni scolastiche per motivare gli studenti allo studio è di certo un’operazione complessa: genitori, insegnati ed educatori dovrebbero operare in sinergia al fine di mostrare ai ragazzi che le conoscenze scolastiche, come evidenzia Meirieu (2002) “non sono soltanto merci che permettono di acquistare la tranquillità e di sperare in un ipotetico ritorno sociale, bensì oggetti che collegano gli uomini tra di loro e permettono di ritrovarsi in un’universalità possibile al di là delle differenze” 2) Spiegare ai propri figli l’importanza dello svolgimento dei compiti offrendo loro il necessario supporto Appare fondamentale che il genitore riesca a spiegare al figlio l’importanza dello svolgimento dei compiti senza mai sostituirsi a lui nell’esecuzione degli stessi ma rimanendo sempre a disposizione per fornirgli chiarimenti, indicazioni e suggerimenti. E’ inoltre importante che il genitore eviti critiche, punizioni e forme di controllo: se si vuole che i bambini affrontino serenamente i compiti a casa bisogna mostrarsi ottimisti sulle loro capacità concedendo loro il tempo necessario per imparare. 3) Instaurare un dialogo con la scuola e gli insegnanti E’ buona norma che i genitori stabiliscano contatti con l'insegnante dei figli per ottenere informazioni in merito all’andamento scolastico e/o su possibili cause di disagio. Inoltre, come evidenzia Oliverio Ferraris (2003), “laddove i genitori ritengono che i compiti siano eccessivi o difficili, meglio un stabilire un confronto diretto con l'insegnante, invece di criticarne il metodo e demolire la figura del docente”. Suggerimenti bibliografici Maino M., Compiti a casa. Aiutarli o no? Psychologies Magazine, N.1/2 - gennaio/febbraio 2007 Meirieu P., I compiti a casa. Genitori, figli, insegnanti: a ciascuno il suo ruolo, Feltrinelli, Milano, 2002 Oliverio Ferraris A., Compiti a casa, Corriere Salute, Gennaio 2003